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Apparato locomotore e sistema muscolare

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In questo articolo parleremo dell’apparato locomotore e del sistema muscolare cercando di dare qualche spunto pratico per chi si allena ed ama lo studio del corpo umano. Conoscere il nostro corpo è la base su cui fondare lo studio della fisiologia (sportiva e non) e su cui poi costruire piani d’allenamento sensati.

Apparato scheletrico e muscolare

apparato scheletrico e muscolare

L’apparato muscolo scheletrico è il più voluminoso del corpo umano (circo l’80%) e rappresenta l’apparato locomotore attraverso cui riusciamo a spostarci.

Apparato scheletrico

Le ossa hanno una funzione di sostegno, sono formate da tessuto connettivo altamente specializzato per la resistenza meccanica, hanno una componete rigida ma con una micro flessibilità. Questo avviene grazie ad una componente organica ed una inorganica. Vengono paragonate alle costruzioni in cui l’anima dei pilastri in metallo viene ricoperta dal cemento armato. Le ossa sono vive e si continuano a rimodellare grazie all’azione degli osteoblasti ed osteoclasti. L’allenamento (soprattutto quello contro resistenze) potenzia il rimodernamento osseo e aumenta il suo metabolismo. La micro formazione delle ossa avviene attraverso trabecole che si rimodellano per adattarsi alle forze di compressione a cui vengono sottoposte.

Si suddividono in:

  • ossa lunghe (come il femore o l’omero)
  • brevi (come i carpi della mano o tarsi del piede)
  • piatte (come l’occipite, osso frontale e le altre ossa del cranio)
  • irregolari (come le vertebre lombari, dorsali, cervicali)
  • sesamoidi (come la patella o altre ossa molto più piccole come il pisiforme)

ossa apparato scheletrico

Apparato articolare

Le articolazioni uniscono le ossa tra loro e sono formate da un tessuto fibroso cartilagineo. Più un’articolazione è mobile e più paga un prezzo in fragilità. La spalla è spesso soggetta a traumi proprio per la sua grande mobilità, al contrario le suture del cranio hanno un ruolo di massima protezione ma nessun movimento (qui qualche osteopata torcerà il naso).

A seconda della loro mobilità vengono suddivise in:

  • diartrosi (articolazioni mobili come il ginocchio)
  • anfiartrosi (articolazioni semimobili come la colonna vertebrale)
  • sinartrosi (articolazioni fisse come le suture delle ossa del cranio)

articolazioni corpo umano

Apparato muscolare

I muscoli sono la parte attiva dell’apparato muscolo scheletrico, attraverso la loro contrazione riusciamo a muoverci. Sono formati da particolari tipi di cellule chiamate fibre muscolari o miotici e si suddividono in volontari (quelli dell’apparato locomotore) ed involontari o lisci (dei vasi sanguigni e dell’apparato digerente), il cuore è un muscolo involontario ma striato e non liscio e rappresenta l’eccezione alla regola.

I muscoli del corpo umano volontari si possono suddividere in molti modi, in base alle loro inserzioni tendinee, alla loro lunghezza, pennazione, ecc. Per dare una classificazione di massima abbiamo:

  • muscoli fusiformi (come il bicipite brachiale)
  • muscoli pennati (sono la maggior parte dei muscoli fasici che richiedono forza)
  • muscoli semipennati o unipennati (come il tibiale anteriore)
  • muscoli bipennati (come il gastrocnemio)
  • muscoli multipennati (come il deltoide)
  • muscoli paralleli (come il sartorio)
  • muscoli circolari (come lo sfintere)

Quello che può interessare a chi si allena è che più un muscolo è pennato e più è forte ma meno è veloce. La pennazione permette al muscolo di accorpare più fibre possibili, aumentando così la possibilità di generare forza. Questa forza tuttavia avviene diagonalmente e non lungo una linea di forza che sia più breve possibile. Questo è il motivo per cui la natura deve trovare un compromesso tra forza e velocità.
Se è vero che ad un aumentare della pennazione abbiamo un aumento della forza è altrettanto vero che superati i 45° di pennazione la forza inizia a calare, questo perché il muscolo perde capacità di tirare nella giusta direzione. Questo è uno dei motivi per cui il muscolo quando si accorcia troppo non riesce più a generare forza in modo ottimale. Lo stesso fenomeno avviene anche nei bodybuilder con massa notevoli, dove ad un aumento dell’ipertrofia non segue più un aumento diretto della forza, per via della modifica dell’angolo di pennazione.

forma muscoli

Apparato locomotore: conclusioni

L’apparato locomotore ed il sistema muscolare sono estremamente complessi ed affascinanti ma possono essere racchiusi in una semplice regola universale: la struttura segue la funzione. Il motivo per cui siamo progettati così è dato dal compromesso, che la selezione naturale ha dovuto adottare, per trovare forme e strutture che seguissero le leggi della prestazione e dell’economia del gesto.

Il nostro corpo è l’insieme di migliaia di compromessi atti a farci sopravvivere, attraverso il movimento, nell’ambiente circostante.

apparato locomotore

Se l’anatomia ti appassiona come me, qui puoi trovare alcuni video che ho girato parecchi anni fa 🙂 :

 

 

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Perché non dimagrisco? Quando il metabolismo si blocca

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Perchè le diete non funzionano? Perché dopo i primi iniziali risultati smettiamo di perdere peso? Perché non dimagrisco? In questo articolo cercheremo di rispondere in modo chiaro e diretto a queste domande. Facendoci aiutare dalla biochimica e dalla fisiologia, indagheremo quando il metabolismo si blocca e risponderemo alla domanda come dimagrisco.

Come mai non dimagrisco

La nostra composizione corporea è regolata da oltre 200 fattori, le diete si concentrano di solito solo su 2-3: sul carico glicemico, sull’insulina, sulla densità energetica, sulle proteine animali, ecc. Ma tutti questi, per quanto importanti che siano, sono solo dei co-fattori. Quando scegliamo una strategia alimentare alcuni elementi anoressizzanti si attivano e contemporaneamente altri opposti, che ci portano ad ingrassare, si co-attivano. E’ fisiologico, funziona in questo modo per l’organismo. Se così non fosse ci saremmo già estinti alla prima carestia.

La natura ha creato dei termometri metabolici, il più importante è all’interno delle cellule grasse (adipociti), quando si riempiono il metabolismo sale, quando si svuotano, indovinate? Scende. Lo sappiamo è una bella fregatura, complimenti al corpo che ha giocato un’ottima carta per non farsi fregare.

Ma ora vediamo di conoscere i principali tre motivi per cui non dimagriamo, per cui il metabolismo si blocca, in modo da evitare gargantueschi errori (che fanno tutti), così da raggiungere risultati mai sperati prima.

1) Calo di peso troppo veloce.

come mai non dimagrisco

In fisiologia viene raccomandato di non scendere di peso più rapidamente rispetto all’1,3%/BW del proprio peso corporeo a settimana. Pesate 100Kg? Sono 1,3Kg a week. Questo perché una perdita più rapida andrebbe ad intaccare più velocemente l’erosione della massa magra.
In nutrizione si ritiene accettabile una perdita di peso in cui il 75% sia a carico della massa grassa (FM) ed il 25% sia della massa magra (FFM). Sopra 1,3%/BW perderete ancora più muscolo, a meno che non siate obesi o siate ingrassati da poco, in questo caso viene ritenuto accettabile una perdita più rapida.

L’ideale sarebbe scendere intorno ad un meno 0,5-1%/BW a settimana. Una ragazza di 60Kg dovrebbe perdere 300-600g a week, non di più.

Normalmente invece le persone appena si mettono a dieta iniziano a scendere di peso velocemente, apportano cambiamenti drastici alla loro alimentazione ed allo stile di vita, per poi, dopo qualche mese, ritrovarsi più magri ma ancora con la pancia e fianchi.

Il tutto e subito si paga con gli interessi. Esiste un antagonismo tra cellula muscolare (miocita) e cellula grassa (adipocita). Tutti e due utilizzano gli stessi recettori per il glucosio (Glut-4). Quando perdiamo peso gli adipociti si riempiono di Glut-4, se il muscolo si erode, è la cellula grassa a prevalere. Cannibalizziamo il tessuto contrattile per far sopravvivere il grasso. Visto sulla bilancia perdiamo peso ma a livello fisiologico c’è da spararsi, ci manca solo l’insulino resistenza.

2) Carboidrati troppo bassi

come dimagrire velocemente coi carboidrati

Tutti sappiamo che appena togliamo i carboidrati dimagriamo, un po’ per via del glicogeno e dell’acqua che vanno via, un po’ perché la calma insulinica oggettivamente aiuta a bruciare il grasso. Ma, (mio zio diceva che tutto quello che viene prima di un ma non conta), ma un altro termometro metabolico è situato nel fegato. Più l’epatocita (la cellula del fegato) è ricca di glicogeno e più comunica al cervello di tenere alto il metabolismo, al contrario se ne è priva, comunica d’aumentare la beta-ossidazione, cioè il consumo di grassi. Questo è fico ma di contro abbassa anche il metabolismo. Così diventa una coperta corta, più brucio trigliceridi più nel tempo consumo meno.
Per evitare questo errore o si scelgono strategie dimagranti in cui si tengono alti i carboidrati (oggi sono tornate di moda), oppure si fanno ricariche cicliche ogni 3-4 giorni. Questo permette all’organismo di non perdere l’affinità col glucosio e di preservare la leptina (una adipochina, influenzata dai livelli del gluocosio e che regola il metabolismo tramite la sua influenza sugli ormoni tiroidei).
Insulina e leptina sono sorelle, la prima esplica i suoi effetti nel breve termine, la seconda nel medio-lungo termine. Per cui se avete paura dei picchi glicemici ricordatevi che aiutano a tenere alto il metabolismo. Non è il picco che fa disastri nell’organismo, ma quanto quest’ultimo impiega per ritornare ai livelli basali. L’insulina è un ormone fondamentale per rimanere magri, purtroppo siamo troppo preoccupati dei suoi effetti sulla liposintesi per imparare a sfruttarla correttamente.

Qui trovi l’articolo che ti spiega come i cereali intervengono per sbloccare il metabolismo.

3) Dieta ipocalorica al momento sbagliato

come la letpina interagiesce col dimagrimento

Oggi è molto popolare dire che le calorie nell’alimentazione non contano, che non siamo una bomba calorimetrica, ecc. In realtà chi lo sostiene semplicemente non sa governare il concetto di caloria e di quello che ci sta dietro.
In nutrizione si dice che l’ideale per il dimagrimento è impostare una dieta con un deficit del 10-20% e questo è assolutamente corretto, ma (ricordatevi di mio zio), ma dipende.
Se pesate 80Kg e 3500Kcal sono la vostra quota normocalorica questo è corretto, se invece per mantenere in equilibrio l’omeostasi (lo stato interno) vi bastano 2000Kcal le cose si complicano. Assumendo, in ipocalorica, solo 1600-1800Kcal su 80Kg, per quanti mesi sperate di continuare a dimagrire?
Ci sono donne che arrivano a mangiare 700-900Kcal e rimangono ancora grasse. E’ possibile togliere se prima non avete messo?
Conoscete la storia della cicala con la formica?
D’inverno cosa avete fatto? Durante i mesi invernali bisogna ricostruire il metabolismo (reset metabolico). L’obbiettivo è quello d’insegnare, a poco a poco, all’organismo a mangiare di più senza ingrassare. In questo modo in 6 mesi possiamo aumentare il nostro set-point metabolico di 400-1000Kcal e partire con una dieta ipocalorica da un livello decisamente più alto.

Perché non dimagrisco e come sbloccare il metabolismo

perchè non dimagrisco

Per diventare magri, per stare in salute, essenzialmente bisogna insegnare al corpo due strade.

1) Diventare un buon ossidatore, aumentando l’inefficienza metabolica.
60% delle energie che introduciamo da carboidrati e lipidi viene sprecata in calore, su 100Kcal al corpo ne rimangono solo 40Kcal per gestire i processi metabolici e di turnover. Questa % è così alta perché la natura ha creato un cuscinetto per l’organismo, meno calorie assumiamo e più lui aumenta l’efficienza metabolica e dissipa. I magri che mangiano tanto sono tali perché disperdono la maggior parte di quello che assumono in cicli futuli.
Vedremo coi prossimi video/articoli come indirizzarci su questa strada e come la % dei macronutrienti che assumiamo influenza le proteine disaccoppiartici mitocondriali .

2) Ricostruire il metabolismo, dobbiamo essere consci che per dimagrire dobbiamo ingrassare (lo sappiamo è brutto leggerlo soprattutto se siamo in estate), che per guadagnare dobbiamo investire.
Le diete non sono altro che un togliere, togliere alimenti, togliere calorie, sempre togliere. Per questo falliscono. Noi vi diciamo invece che dovete mettere, investire mesi e mesi nel ricreare quello stato metabolico di partenza essenziale per poi, solo quando abbiamo le condizioni ottimali, mettersi a dimagrire.

Non ci sono altre strade, non ci sono altri segreti, è tutto qua ed è estremamente semplice, ci vuole solo pazienza, bisogna imparare a vivere di progetti, portandoli avanti un tassello alla volta, senza ricercare il tutto subito.

Buona estate ci rivediamo a settembre, col nostro libro (uscita 27 settembre), con nuovi video/articoli per approfondire ulteriormente questo affascinante argomento.

E ricordatevi sempre che solo chi conosce sceglie, altrimenti crede di scegliere.

E’ risaputo che chi condivide gli articoli sui social diventa più magro, con perdere questa occasione e condividi l’articolo 😀

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Burpees: tutorial ed esecuzione

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Video Tutorial sull’esecuzione dei Burpees, spiegato dai ragazzi del Crossfit M1. Tutto quello che c’è da conoscere su questo ottimo esercizio che allena sia i muscoli che il cuore.

Burpees crossfit: un esercizio riscoperto

Royal H. Burpee inventò nel 1939 un test semplice per classificare lo stato fisico della persona. Il soggetto doveva buttarsi a terra, fare un piegamento rialzarsi e saltare, questo per solo 4 volte nel minor tempo possibile. R. Burpee aveva così ideato un test economico e rapido, per predire (con un certo grado d’errore), se il soggetto era “in forma” oppure no.

Verso la fine del XXI secolo con l’avvento del crossfit i brurpees avrebbero preso un’altra direzione e sarebbero diventanti un vero e proprio esercizio metabolico/cardiovascolare, per il rammarico di tutti crossfitters.

Cosa allena i burpees

Il Burpees è un esercizio a cavallo tra l’allenamento metabolico e la ginnastica. È un esercizio che permette un buon lavoro cardiovascolare. Il burpees allena i muscoli pettorali, i deltoidi anteriori, i tricipiti, il CORE e le gambe.

Occorre anzitutto raggiungere il pavimento, rimanere disteso appoggiando del tutto il petto a terra.
Successivamente è necessario tornare in forma eretta, fare poi un salto e battere le mani sopra la testa. Durante il salto il bacino deve raggiungere la massima estensione.

Gli errori più comuni sono due e consistono nel:

  • Scendere a terra e non completare la distensione del petto a terra.
  • Saltare e non distendere completamente il bacino, rimanendo così un po’ piegati.
  • Non assumere un ritmo costante nella respirazione

Burpees come farli correttamente

burpees

Quando siamo nella fase di atterraggio, evitiamo di frenare il movimento rendendo rigidi. Nella fase di recupero dobbiamo alzare prima il petto, balzare in avanti in una posizione comoda e poi saltare.
Quando si scende non occorre fare uno squat completo ed appoggiare le gambe, basta infatti fare un mezzo squat ed iniziare la distensione delle gambe e del petto.

L’ideale è inspirare nella fase di partenza, espirare mentre di discende, inspirare nel recupero poi espirare nello slancio.

Nel classico burpees i tempi di esecuzione sono 4:

  1. Scendo con le mani a terra
  2. Distendo i piedi
  3. Torno in avanti
  4. Salto

Possiamo evitare un tempo: in fase di discesa, prima ancora di poggiare le mani, distendo già le gambe. In questo modo abbiamo un unico tempo di discesa, anche se questa è leggermente più pericolosa.

burpees tutorial

A cosa servono i burpees

I BP sono un ottimo esercizio metabolico-cardiovascolare. Il fatto d’alternare la posizione eretta a quella orizzontale, aumenta la frequenza cardiaca ulteriormente. Coinvolgono gran parte della muscolatura del corpo ed utilizzandolo come sovraccarico fanno si che l’esercizio abbia un alto tonellaggio.

Sono indicati per chi si vuole mettere in forma, dimagrire (iniziate in modo graduale) e per chi vuole migliorare il proprio conditioning (nel crossfit o negli sport da combattimento).

Burpees jump

Spesso i BP hanno una variante in cui nel salto bisogna salire sopra ad un box (burpees jump) oppure bisogna saltare dall’altra parte di un bilanciere. Questa variante è molto più impegnativa ed obbliga la persona ad effettuare non più un salto minimo ma sufficiente per l’ostacolo scelto. Se salite su un box ricordatevi sempre di distendere le gambe prima di scendere.

burpees jump

Mettiamo qui un tutorial video per il box jump, qual ora ti possa servire.

Burpees pull up

burpees pull up

Una variante interessante dei burpees che allena il dorso ed i bicipiti è quella dei burpees pull up. Una volta che l’abbiamo completato, al posto che tornare a terrà, eseguiremo un pull up per poi ,una volta rimesso piede a terra, riprendere l’esercizio da capo.

Programma burpees

I due programmi standard con cui una persona, un po’ allenata, può iniziare a cimentarsi sono:

  1. 100 Burpees in meno tempo possibile (tenete un ritmo e pause regolari)
  2. Tabata Burpees (20″ di esercizio, 10″ di pausa per 8 volte, sono 4′)

Questi due sono gli standard con cui iniziare a sfidarsi per ottenere il meglio da questo esercizio.

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Panca stretta per i tricipiti: come eseguirla correttamente

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La Panca Stretta è uno degli esercizi multiarticolari utilizzati  per la stimolazione del muscolo tricipite in palestra. Ad oggi, frequentando un centro fitness medio, ciò che risulta ancora poco chiaro è quando deve essere stretta questa presa. Strettissima, a distanza di due pollici, larghezza spalle, le possibilità sono svariate e ognuna è associata alle più svariate teorie. Vediamo di fare un pochino d’ordine. Una rapida analisi biomeccanica delle varie possibilità di prese sul bilanciere presenti ad oggi in sala attrezzi permetterà di capire quale sia la migliore sotto tutti i punti di vista, dal beneficio muscolare a quello articolare.

Statisticamente, osservando con occhio esterno la sala pesi, l’esecuzione più frequentemente consigliata prevede una presa  molto stretta come trucchetto magico per stimolare maggiormente il tricipite, sia che si stia eseguendo una Panca Stretta appunto ma anche quando si è alle prese con i Push-up stretti. L’indicazione generale è quella di impugnare il bilanciere con le mani distanziate solo di due pollici oppure, se si eseguono dei Piegamenti, con le mani poste a terra a “diamante”.

panca presa stretta

Innanzitutto è bene iniziare a comprendere per quale motivo stringendo la presa vi dovrebbe essere un’intensificazione del lavoro sui tricipiti per non prendere sempre tutto come oro colato e iniziare a porre le basi per qualche importante riflessione. Dando per assodato come si esegue la Panca Piana classica, il piano di movimento interessato e i muscoli sono coinvolti, utilizzando una presa stretta, notiamo subito due cambiamenti:

  1. a mano a mano che stringiamo la presa, il piano di movimento si sposta da trasversale a sagittale e il movimento eseguito diviene più una flessione di spalla e meno un’adduzione orizzontale;
  2. il passo delle mani più stretto, aumenta la flessione del gomito in eccentrica e ciò fa aumentare le richieste di lavoro sul tricipite nell’atto di estendere il gomito.

panca stretta presa sbagliata

Il risultato di tale cambiamento va a comportare quindi una riduzione del lavoro sui fasci sterno-costali del pettorale (ma non sui fasci claveari che invece beneficiano della diminuita larghezza della presa) e un aumento di lavoro sul tricipite, che nella pratica si traduce in un drastico calo del peso potenzialmente sollevabile sul bilanciere (spostamento dell’onere del carico da muscoli grossi a muscoli più piccoli ad angoli di lavoro sfavorevoli). Stessa cosa accade nei Piegamenti sulle braccia con la sola differenza che il peso da spostare siete voi. Fin qui nulla da dire.

La domanda da fare a questo punto è una sola: quanto stretta questa presa? Ad ascoltare i fanatici dei Piegamenti a “diamante” sembrerebbe molto stretta, in sostanza con le mani quasi a contatto una sopra l’altra. Analizziamo per bene cosa accade con una presa così stretta, osservando in primis i risvolti dal punto di vista muscolare. Stringere eccessivamente la presa appare a prima vista uno stratagemma per aumentare la flessione di gomito in eccentrica e aumentare così l’attività del tricipite. Tuttavia non è da trascurare un fattore conseguente a questo: nell’atto di portare il bilanciere al petto, a un certo punto della discesa, se la presa è molto stretta gli avambracci verranno a contatto con il busto e i gomiti “spingeranno” in fuori. Ciò determina un cambio del piano di movimento dell’omero da sagittale a trasversale con un coinvolgimento maggiore del pettorale, una conseguenza che va nella direzione opposta rispetto a quelli che sono gli obiettivi reali dell’esercizio ovvero una stimolazione maggiore del tricipite.

Come se non bastasse qualche dubbio rispetto allo stringere eccessivamente la presa nasce anche se consideriamo il punto di vista della salute articolare. Lungi da me fare terrorismo ma nell’osservare una presa molto stretta si nota come polso e gomito siano tutt’altro che in linea tra loro e l’avambraccio è tutt’altro che perpendicolare al pavimento. Il tutto con i ringraziamenti del polso per le forze di taglio alle quali risponde prontamente, ma delle quali vorrebbe e potrebbe fare volentieri a meno.

Quindi? Quanto stretta questa presa? Quale compromesso ideale per attivare maggiormente il tricipite tutelando le articolazioni? La risposta la trovate nella larghezza della presa che riesce a correggere entrambi i difetti di quella precedentemente analizzata.

Una larghezza sicuramente soggettiva ma che deve appunto:

  • mantenere in asse gomito e polso e mantenere l’avambraccio perpendicolare al terreno durante la spinta del bilanciere o del vostro corpo;
  • impedire ai gomiti di “allargarsi” (abduzione orizzontale dell’omero) durante la discesa per preservare il piano sagittale che diminuisce l’intervento del pettorale e aumenta contemporaneamente quello del tricipite.

panca stretta tricipiti

La larghezza che permette tutto ciò è quella del vostro busto. Prima di impugnare il bilanciere o di posizionare le mani a terra verificate su voi stessi quanto larga sarà la presa. Ricordate comunque che la modalità a presa stretta attiva molto anche la parte alta del pettorale. Inoltre la traiettoria di spinta varierà leggermente rispetto a quella della panca classica in quanto, per permettere di mantenere polso e gomito in asse, il bilanciere dovrà necessariamente finire sotto i capezzoli di qualche centimetro. Tranquilli, tutto nella norma.

Alla Chest Press il problema non si pone, i supporti verticali sono già posizionati e non ci sono alternative nella larghezza da attuare: quest’ultima sarà comunque ottimale e non comporterà le problematiche che ho descritto sopra.

In definitiva il mio consiglio è di abbandonare i Piegamenti a “diamante” o le prese strettissime al bilanciere, per intenderci quelle che si consigliano spesso con la distanza di due pollici. Come visto si può fare di più e meglio per reclutare i tricipiti in sicurezza.

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Microbiota: cos’è e come tenerlo sano

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Negli ultimi anni la scienza si è sempre di più interessata al microbiota umano, ovvero all’insieme di batteri che vivono nel nostro corpo e che cooperano in simbiosi per la nostra salute. Oggi parleremo nello specifico del microbiota intestinale, quella che è la colonia di microrganismi più numerosa (si stima che 2-3kg del nostro corpo sono formati da questi batteri) e che una volta veniva chiamata flora intestinale (oggi la scienza sta abbandonando questo termine).

Nella composizione corporea il microbiota è un primo schermo alle calorie che assumiamo. Più sono in equilibrio e sani i batteri e più sembrerebbe che hanno  una capacità di filtrare e “bloccare” le calorie in eccesso. Agiscono anche sul senso di sazietà, comunicando con gli enterociti (le cellule dell’intestino) che a loro volta inviano segnali ai centri ipotalamici della fame.
Questo avviene perché il microbiota converte le fibre alimentari che mangiamo in acidi grassi a corta catena, i quali sono il nutriente principale degli enterociti. Le cellule intestinali così, se sazie, invieranno al cervello il segnale di fermarsi dal mangiare.

Microbiota e dieta

La nostra dieta influenza direttamente il nostro microbiota. A seconda di che nutrienti mangiamo nutriremo determinati ceppi batterici rispetto ad altri. Già nei primi giorni di vita il colostro della mamma influenzerà il microbioma e microbiota del neonato. La distinzione tra microbioma e microbiota riguarda il pratimonio genetico delle nostra flora batterica e la reale popolazione di microrganismi che ci vive. Geneticamente ognuno di noi nasce con una predisposizione a quali saranno, in maggior parte, i batteri che vivranno con lui in simbiosi, per tutta la vita.

L’alimentazione, malattie, stile di vita e farmaci, influenzeranno poi le variazioni del microbiota. Per questo microbiota e dieta sana devono sempre andare di pari passo, perché si influenzano in modo reciproco.

Negli ultimi anni si parla molto di probiotici e prebiotici, categorie d’alimenti (le prime derivanti principalmente dai latticini, la seconda contenenti fibre alimentari), che potrebbero aiutare il microbiota intestinale. Per vedere come l’alimentazione influenza la flora intestinale, possiamo andare a vedere quali sono le disbiosi più comuni, ovvero le alterazioni negative per la salute dell’uomo, del suo microbiota.

Come curare il microbiota partendo dalle sue disbiosi

Esistono diversi tipi di disbiosi, quelle non parassitarie o genetiche, sono principalmente tre:

Disbiosi deficitaria

È causata da uno stile di vita sbagliato, un’alimentazione povera di fibre, da alcol e fumo ed infine dall’utilizzo di antibiotici. In queste disbiosi il microbiota intestinale viene ridotto, portando così l’attività digerente (e di conseguenza l’intero organismo) a risentirne.

Va curata adottando uno stile di vita sano, un’alimentazione corretta con fibre e probiotici.

Disbiosi putrefattiva

È causata da un’alimentazione troppo ricca di proteine e grassi, ma nello stesso tempo povera di fibre. È tipica di chi mangia troppe carni lavorate e formaggi.

Va curata togliendo gli insaccati, diminuendo la carne (prediligendo quella magra), i formaggi ed aumentando il quantitativo di carboidrati e fibre.

Disbiosi fermentativa

E’ causata da un’alimentazione troppo ricca di carboidrati e zuccheri. È tipica di chi mangia solo carboidrati lavorati e poca frutta e verdura. In questa disbiosi abbiamo un’eccesso di batteri intestinali (sovrappopolazione).

Va curata riducendo i carboidrati e gli zuccheri, col medico si può valutare successivamente di sottoporsi ad una terapia antibiotica mirata a riportare nel giusto numero i batteri intestinali.

Microbiota intestinale conclusioni

Anche se oggi il microbiota è ormai sulla bocca di tutti, la scienza sta indagando ancora sull’argomento. L’ultima grande review scientifica del 2016 pone ancora molti dubbi e poche certezze. Al momento sappiamo che la salute del nostro corpo passa anche per la salute dei suoi batteri e che una sana alimentazione e stile di vita, aiutano il microbiota a prosperare.

L’articolo riassunto in immagini

microbiota ed appetito

Degli scienziati hanno provato a sostituire il microbiota di topolini obesi con quello di topolini magri e viceversa. Hanno scoperto che modificandolo, la composizione corporea dei topolini si modificava. 

microbiota intestinale

La flora batterica scompone le fibre in acidi grassi a corta catena, che nutrendo gli enterociti, segnalano al cervello il senso di sazietà.

disbiosi

L’alterazione negativa del microbiota e microbioma, viene chiamata disbiosi. Test delle urine o delle feci possono individuare di che disbiosi si tratta.

disbiosi deficitaria

disbiosi putrefattiva

disbiosi fermentativa

Probiotici e prebiotici

Probiotici e prebiotici potrebbero aiutare il microbiota. Ecco una lista d’alimenti delle due categorie. 

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La palestra blocca la crescita

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L’associazione tra adolescenti e sollevamento pesi è spesso fonte di reazioni negative da parte dei genitori; frasi come: i pesi o la palestra bloccano la crescita, fanno venire la gobba, ostacolano lo sviluppo, sono molto comuni.

Cosa dice la scienza a tal proposito? Scopriamolo insieme.

Uno studio pubblicato nel 2015 nel British Medical Journal intitolato: Leisure time computer use and adolescent bone health —findings from the Tromsø Study, Fit Futures: a cross-sectional study afferma che passare molto tempo davanti a televisore e computer provoca un indebolimento osseo negli adolescenti; questo è dovuto al fatto che le ossa si adattano allo stress come tutti gli altri tessuti presenti nel corpo umano. Nel caso dei ragazzi sedentari il loro tessuto osseo, non essendo sufficientemente stimolato, va incontro ad una demineralizzazione (lo stesso fenomeno, molto meno accentuato, che accade agli astronauti di ritorno da lunghi periodi passati nelle spazio dove la gravità, e quindi lo stress osseo, è minore rispetto alla terra).

i pesi bloccano la crescita

Il tessuto osseo è un tessuto vivo, è composti da minerali come carbonato di calcio, fosfato di calcio e fluoruro di calcio, la sua struttura è dinamica, risponde e si adatta agli stimoli grazie a delle cellule presenti sulla sua superficie che ne determinano la densità.

Se un tessuto viene stimolato si adatterà irrobustendosi (esempio: il tessuto muscolare) al contrario, se il tessuto non riceve stimoli adeguati, avrà la tendenza a “de-allenarsi” riducendo la massa. Alla base di questo comportamento c’è la funzione, essenziale per la sopravvivenza, di eliminare tutto ciò che è in eccesso. Il nostro organismo tende a metabolizzare il tessuto non utilizzato per mettere a disposizione dell’organismo intero le risorse di cui è composto.

Lo studio è interessante perché i soggetti che ne hanno preso parte sono adolescenti e quindi corpi in via di sviluppo.
Se viene applicato il giusto stimolo all’organismo, in termini di tensione muscolare, le ossa risponderanno allo stress irrobustendosi.

struttura osso

L’età dello sviluppo è una finestra di accrescimento unica, l’organismo risponde allo stress con adattamenti che accompagneranno la persona per gran parte della vita.
Per questo un’impalcatura ossea più densa, acquisita durante l’adolescenza, si traduce in un corpo adulto meno incline a malattie come l’osteoartrite.
I ragazzi e le ragazze cresciute nelle aree rurali , dove l’attività fisica è parte integrante dello stile di vita, risultano avere una densità ossea maggiore.

Detto questo è importante capire che la struttura di un allenamento di un adolescente deve essere differente rispetto a quello di un adulto.

Vediamo le caratteristiche che un allenamento per adolescenti deve avere:

  • passare molto tempo ad acquisire la tecnica corretta
  • prediligere il volume all’intensità
  • evitare di arrivare al cedimento con tecniche di intensità come: superserie, piramidali etc..
  • prediligere esercizi multiarticolari come squat, stacco da terra, distensioni su panca rispetto ad esercizi di isolamento.
  • inserire sempre una settimana di recupero attivo ogni 5 o 6
  • riservare almeno una sessione su 4 all’allenamento di tipo aerobico per migliorare l’efficienza cardio-circolatoria e la capacità di lavoro.
  • mangiare adeguatamente per supportare sia la crescita dell’organismo che lo stress indotto dall’esercizio fisico.

Molti pensano che esercizi come stacco da  terra e squat siano pericolosi per soggetti in via di sviluppo.
Questo concetto è radicato profondamente nella cultura popolare ma non trova nessun riscontro nella letteratura scientifica; come abbiamo visto precedentemente uno stimolo applicato nella giusta maniera in termini di tecnica e carico non può che apportare benefici.

Stuart McGill, ricercatore canadese esperto biomeccanico della schiena, afferma, giustamente, che gli unici esercizi pericolosi sono quelli fatti male.
Per la loro natura stacco e squat eseguiti nel modo corretto vanno a rinforzare la muscolatura della schiena ed una schiena forte è spesso esente da dolori e da deviazioni dalle curve fisiologiche (lordosi cervicale, cifosi toracica, lordosi lombare).

Naturalmente prima di iniziare una qualsiasi attività sportiva è sempre consigliabile la visita presso uno specialista Ortopedico in grado di rilevare eventuali alterazioni della schiena.

La palestra blocca la crescita? Tiriamo le Conclusioni

Alla luce di quanto emerso a bloccare la crescita non è la palestra ma la sedentarietà. I ragazzi passano già ore seduti a scuola e sui libri. Andare in palestra, seguendo tutti i canoni sopra esposti, non avrà ripercussioni sull’apparato osteo-muscolare, anzi.
Volete crescere sani e forti? Liberatevi dai pregiudizi e dalle false credenze, fate sport e se vi piace anche palestra!

Articolo del Dott Alessio Alfei
Dott. Alessio Alfei, Spartan SGX, ACE PT , laureato con lode in scienze motorie, preparatore atletico, titolare della palestra Muscle Power a Roma, blogger del Ministero della Forza.
Su Facebook: Alfei Performance Systems
http://ministerodellaforza.blogspot.it

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Panca al Multipower: analisi biomeccanica e riflessioni pratiche

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L’utilizzo del Multipower (MP) come surrogato della Panca Piana classica è pratica comune in tutti i centri fitness di oggi. Una rapida analisi biomeccanica, confrontando le due modalità esecutive, può consegnarci importanti informazioni da riportare immediatamente nella pratica dell’allenamento quotidiano.  Può realmente il MP sostituire la Panca Piana classica? Cosa cambia da un punto di vista muscolare e da un punto di vista articolare?

Il Multipower, come molti sanno, è strutturato da un bilanciere che scorre all’interno di due guide le quali vincolano il movimento e condizionano inevitabilmente l’esecuzione di un esercizio. La Panca Piana, come anche il Lento Avanti,  è riprodotta in maniera semplice posizionando una panca al di sotto del bilanciere guidato e riproducendo fedelmente il movimento di spinta.

Se analizziamo la questione focalizzando la nostra attenzione sui muscoli non ci sono dubbi: se spingete il bilanciere al MP sdraiati su una panca il gran pettorale si attiverà, verrà stimolato e in condizioni esterne favorevoli crescerà. Il problema, come spesso accade in palestra, non sta qui; il muscolo è un mero esecutore ed è protagonista di diatribe spesso sterili e poso affascinanti. Osservate il movimento, imparate le funzioni muscolari e capirete in maniera inconfutabile quali sono i muscoli attivi. Fine della storia.

Se vogliamo invece affrontare il discorso in maniera più precisa e approfondire ogni aspetto dobbiamo imparare a distaccarci dalla mentalità superficiale che considera solo ed esclusivamente il punto di vista muscolare, per addentrarci negli aspetti biomeccanici e articolari in senso stretto.

traiettoria panca pianaFigura 1. Traiettoria corretta del bilanciere alla Panca Piana. Il bilanciere deve partire all’altezza dei capezzoli con gli avambracci perpendicolari al terreno e, tramite una traiettoria a I storta (freccia rossa), raggiungere l’altezza del collo alla fine della spinta.

Per fare ciò partiamo col definire la traiettoria ideale che deve seguire il bilanciere durante una Panca Piana classica per poi confrontarla con quella possibile al MP. Come riporta nel suo libro Evangelista nel 2011, durante la Panca Piana il bilanciere deve compiere (come movimento naturale) una traiettoria che parte all’altezza del collo e giunge sulla linea dei capezzoli o lievemente più sotto alla fine del pettorale. Questa traiettoria fisiologica in visione laterale ha l’andamento di una I inclinata. Inoltre sottolinea anche che durante l’esecuzione i gomiti devono posizionarsi sempre sotto il bilanciere mantenendo gli avambracci perpendicolari al terreno in modo da evitare rischiose rotazioni dell’omero sotto carico. Tutto ciò può essere garantito solo se la spalla è libera di muoversi lungo il piano sagittale cosa che accade durante l’esecuzione della panca classica (figura 1).

Lo stesso non può accadere con un bilanciere al MP. Infatti, se provate a posizionare una panca piana sotto di esso sarete davanti ad una scelta di traiettoria: non potendo eseguire spostamenti sul piano sagittale la I inclinata ve la scordate e dovrete decidere se partire col bilanciere al collo o col bilanciere ai capezzoli e sarete costretti poi a tenere quella traiettoria sempre durante la spinta. Se scegliete di partire dal collo, tenere i gomiti sotto il bilanciere significa avere gomiti altissimi e ciò renderà impossibile il mantenimento del corretto assetto scapolare (figura 2).

traiettoria panca piana multipower

Figura 2. Panca Piana al MP e impossibilità a eseguire una traiettoria ottimale. In foto si vede una partenza all’altezza del collo che non permette di assumere il corretto assetto scapolare sotto carico.

Diversamente la partenza dai capezzoli renderà complesso mantenere i gomiti sotto il bilanciere (come fisiologia vorrebbe) e durante la spinta sono in agguato rischiosi movimenti di intrarotazione dell’omero (figura 3). Insomma, mettersi sotto il bilanciere del MP renderà la vita molto molto difficile alle vostre spalle in un esercizio come la panca nel quale vengono già ampiamente sollecitate.

panca piana multipower

Figura 3. Panca Piana al MP e impossibilità a eseguire una traiettoria ottimale. In foto si vede una partenza all’altezza dei capezzoli che impedisce alla spalla di eseguire la traiettoria fisiologica e la espone a forzature sotto carico.

Panca Multipower: conclusioni

Alla luce di questa breve analisi appare impossibile riprodurre fedelmente la Panca Piana sotto un MP e non tanto da un punto di vista muscolare bensì da quello articolare e del rischio infortuni. Oltre a ciò, anche la questione motoria merita un appunto. Infatti, molti giustificano l’utilizzo del MP come sostituto della Panca dicendo: “Non riesco a fare la Panca perché mi sbilancio”.

Eseguire la Panca classica (figura 4) senza vincoli garantirà oltre alla stimolazione del muscolo target anche un reclutamento ottimale dei muscoli stabilizzatori e amplierà il bagaglio motorio attraverso il miglioramento della propriocezione e dello schema corporeo nel lungo periodo. È normale che se non l’avete mai eseguita i primi allenamenti traballate e vi sentite instabili. In prima istanza qui andranno allenate le capacità coordinative e solo successivamente ci si potrà concentrare sul muscolo per stimolarlo all’interno di un contesto motorio che vi permetterà di esprimere tutto il vostro potenziale.

panca piana

Figura 4. La Panca Piana classica, a differenza di quella eseguita al MP, garantisce oltre a un’ottima stimolazione del gran pettorale anche un miglioramento del bagaglio motorio riducendo le forzature articolari.

Se la abbandonate subito semplicemente perché inizialmente “è difficile” e sceglierete il “più facile” MP avrete risolto gli effetti dell’instabilità ignorandone le cause. Continuare a eseguire la Panca al Multipower peggiorerà (o quantomeno non migliorerà) le capacità coordinative perché queste non verranno chiamate in causa e stimolate durante l’esecuzione. Se ritornerete poi a fare Panca senza MP vi sentirete ancor più instabili e sarete entrati all’interno di un circolo vizioso.

Per questo serve pazienza, criterio, buon senso e progressione nel lungo periodo. Purtroppo a fare il MP sono capaci tutti, non vi sono richieste motorie elevate. Facendolo si rimane sempre e comunque nella mentalità muscolo-centrica, dimenticando tutto ciò che sta intorno. Per far crescere un muscolo basta stimolarlo e supportarlo e per fare ciò consiglio sempre la strada che porta anche al miglioramento della funzionalità e delle capacità motorie sempre con un occhio di riguardo alla prevenzione. In tal senso la Panca classica non potrà essere mai sostituita da quella al Multipower.

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Educazione alimentare: nasce dalla relazione genitori-figli

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Educazione alimentare per bambini

L’educazione alimentare dei bambini è spesso una “lotta”: uno scontro tra i loro gusti, la società intrisa di strategie di mercato, una scienza che ogni giorno ci bombarda di nozioni su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e i nostri schemi appresi e radicati nel tempo. Non si nasce genitori: si diventa genitori nella continua interazione con i propri figli. Siamo reduci di un passato per cui essere paffutelli era segno di benessere e di salute,  attualmente siamo spettatori e attori di un mondo in cui la magrezza è lo status a cui aspirare. In cui l’estetica e la salute viaggiano su binari distanti, dove vige la regola del “troppo”: da una parte troppo cibo, troppi additivi, troppo sale, troppi grassi, troppo marketing che direziona le scelte, dall’altra, all’estremo opposto, troppo controllo, troppa selezione, troppi schemi, alla continua ricerca di una salute totalmente, esclusivamente ed utopicamente costruita mediante un’alimentazione impeccabile. I bambini nascono e si trovano incastrati in un sistema in cui devono trovare uno spazio di benessere ed equilibrio, guidati dai propri genitori, in modo cosciente.

Lo stile alimentare di un bambino si costruisce nel tempo, fin dai primi attimi della sua esistenza.
Come comportarsi per rendere più sereno, flessibile, equilibrato ma soprattutto consapevole il loro approccio alla scoperta del cibo?

Innanzitutto, può sembrare banale, ma i figli apprendono da ciò che fanno i genitori, e non da quello che dicono. Ma quanti genitori sono oggettivamente un esempio, sul piano alimentare, per i propri figli? Prima regola, dunque, la coerenza. I bambini assorbono dalle nostre abitudini, ed è il motivo per il quale sarebbe opportuno interrogarsi sul modo in cui noi stessi viviamo l’alimentazione, sul piano prettamente nutritivo, ma senz’altro anche su quello cognitivo ed emotivo. Che il cibo sia un piacere spesso dettato dal gusto è un dato di fatto, ma se per il genitore in primis è anche motivo di malessere o di compensazione, se viene utilizzato come modalità per gestire emozioni o se è vissuto in maniera poco flessibile si corre il rischio di trasmettere certi schemi anche ai nostri piccoli.

Per quanto riguarda il gusto, è un senso che si costruisce e che si può direzionare fin da subito. Insegnare ai bambini ad essere curiosi sperimentando, assaggiando, senza essere schizzinosi e selettivi è l’unica soluzione per cercare di garantirgli un’alimentazione varia. “Ma mio figlio non mangia niente, non vuole assaggiare, rifiuta determinati alimenti”. Si chiama “neofobia”, ed è un meccanismo assolutamente naturale.

Si tratta della “paura del nuovo” o semplicemente del sui rifiuto, o di alimenti con gusti particolari (in periodi di vita successivi, invece, il rifiuto di un cibo può essere guidato dalla costruzione della propria autonomia, per settare i limiti, giocando a “sfidare” il genitore). La soluzione può essere riproporre il cibo in maniera serena, senza “imporre”, cercando di non forzare, semplicemente proponendolo in maniere diverse (senza “nasconderlo” in altri cibi, in questo modo infatti il bambino assumerà il cibo ma non imparerà mai ad apprezzarlo e ad “accettarlo”). Possono essere necessari anche 10/15 tentativi, dunque è d’obbligo armarsi di pazienza (perseverare serenamente senza perdersi d’animo è difficile, ma è necessario per educare un figlio). Ricordiamoci inoltre che i bambini possono essere incuriositi dai colori, dai sapori, dalle preparazioni, dalle storie e dagli aneddoti che raccontiamo loro a proposito degli alimenti che assumono, ma quando sono piccoli a loro poco interessa di cosa “faccia bene” o meno. Non è necessario fossilizzarsi su determinati cibi: la scelta ad esempio degli ortaggi è molto vasta, e se il bambino ne rifiuta alcuni sarà possibile sperimentarne tanti altri.

Oltre a questo, non è funzionale far diventare la tavola un campo di battaglia: sia nell’approccio con loro, sia tra i genitori stessi. Lasciamo fuori dalla cucina le ansie, i nervosismi ed i litigi.

Altrettanto poco utile è utilizzare il cibo come premio o associarlo all’idea dell’appagamento emotivo (sostituendo ad esempio un abbraccio o un’ora di giochi insieme con un dolce o quant’altro). Nemmeno promettere “qualcosa di buono” se il bimbo finisce qualcosa di “meno buono”. Questo non farà altro che alimentare il divario tra “cibo cattivo” (la cui assunzione deve dunque essere premiata per lo sforzo) e cibo buono (il premio “goloso”).

Un altro obiettivo importante è cercare di insegnare ai figli a sintonizzarsi sui propri naturali meccanismi di fame e sazietà, senza obbligarli necessariamente a finire il piatto: se un bambino dice “basta” nella stragrande parte dei casi è sazio, e dunque è inutile e controproducente imporgli altro cibo; facciamo in modo che impari ad autoregolarsi ascoltando il proprio interno, senza essere influenzato da imposizioni esterne.

Infine, la regola più importante: mai proibire certi cibi, specialmente quelli appetibili. Vietare determinati alimenti (oltre ad essere poco sensato sul piano della salute, visto e considerato che ben sappiamo quanto sia la dose a fare il veleno, e che nessun cibo faccia male a prescindere) può far scaturire infatti il meccanismo disfunzionale della reattanza psicologica, per cui qualcosa che ci viene proibito diventa magicamente più desiderato, e dunque il rischio diventa che il piccolo utilizzi le occasioni in cui non vi è il “controllore” per eccedere e perdere il controllo.

Educazione alimentare nei bambini, traiamo le conclusioni

Educazione alimentare bambini

L’educazione alimentare dei figli, specialmente nell’approccio col cibo, è un processo complesso ed “in fieri”, dunque si ritiene necessaria la collaborazione di tutti gli adulti di riferimento (genitori, parenti prossimi ed altri educatori, ad esempio le maestre). Non possiamo e non dobbiamo dare regole, ma è importante tracciare  insieme un percorso di coscienza insegnando la moderazione, l’equilibrio e la varietà cercando di farli crescere persone consapevoli, attente, informate e con adeguata capacità critica (sia nei confronti del marketing, che delle “spinte” dei propri coetanei), flessibili artefici della propria individualità e della propria alimentazione e non succubi di un strategie di mercato orientate alla mera vendita o passivi esecutori di rigide regole da cui scappare alla prima occasione, ricordando di dare al cibo il ruolo che ha (di nutrimento ma anche di piacere e di salute) senza permearlo di ambiti che non gli appartengono.

E riprendendo in ultimo la frase di apertura dell’articolo: l’educazione alimentare dei bambini non deve essere una “lotta” contro di loro, ma deve diventare un percorso, CON e PER loro.

Della Dott.ssa Carolina Strada

carolinaSono una psicologa esperta in comportamento alimentare, mi occupo di benessere ed equilibrio a 360° tra il corpo e la mente, aiutando ad ottimizzare le risorse e a trovare le strategie per vivere serenamente.

Scopri il sito di Carolina: carolinastrada.it
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Dimagrisci mangiando, si può o è una bufala?

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Dimagrisci mangiando sono un po’ le parole magiche che chiunque si mette a dieta vorrebbe sentire.
Immaginatevi invece una dieta che promette che mangerai pochissimo, soffrirai la fame e per di più avrai a disposizione solo cibi che non ti piacciono. Dimagrisci mangiando è invece molto più rassicurante ed attraente come promessa, ma sarà vera?
Scopriamolo!

Dimagrisci subito mangiando

Di solito i fautori di questa promessa partono subito trovando un colpevole: i carboidrati e l’insulina. Non sei grasso perché mangi troppo, figurati; sei grassa perché mangi i cibi sbagliati. Che sollievo sentire queste parole, uno pensava che la colpa era sua, invece è degli alimenti sbagliati, pensa a saperlo prima!
Come dimagrire, così diventa subito più chiaro e semplice.

L’insulina è il colpevole preferito perché per tutta una serie di ragioni può portare ad ingrassare, attenzione può:

dimagrisci mangiando subito

Purtroppo (o per fortuna) non è che se non stimoli l’insulina puoi mangiare e dimagrire senza remore. Magari!
Si ingrassa per motivi insulino indipendenti, cosa vuol dire?
Che basta un eccesso calorico per acquistare peso (anche senza stimolare l’insulina), come basta un deficit energetico per perderlo (anche con l’insulina). È il bilancio calorico che abbiamo creato che determina cosa succederà, picchi insulinici bloccano il dimagrimento ma solo in acuto, il che vuol dire che appena l’insulina calerà torneremo a dimagrire.

L’omestasi lipidica è determinata da medi-lunghi periodi non dai picchi insulinici del pasto, magari!

insulina e dimagrimento

In definitiva si dimagrisce sia con regimi low carb con pochi carboidrati, sia con regimi low fat con pochi grassi. Solo le proteine conviene non tenerle low, perché nei periodi di ipoalimentazione aiutano a mantenere il muscolo ed a controllare l’appetito. Alla domanda come dimagrisco? La risposta non è tenendo a bada l’insulina, ma tenendo a bada il bilancio energetico (poi le due cose possono corrispondere ovviamente).

Dimagrisci mangiando: alcuni consigli reali

Presa coscienza di questa triste verità vediamo come perdere peso mangiando realmente.

  1. Prediligi cibi a bassa densità calorica

Ovvero i “cibi che fanno dimagrire” sono quelli idratati ricchi d’acqua: verdura e frutta, tanto per cambiare, ma anche legumi, pesce, carne appena scottata. Insomma basta leggere sull’etichetta del prodotto quante calorie contiene se è fino a:

  • 0-150kcal/100g: semaforo verde
  • 0-250kcal/100g: semaforo arancio
  • >250-300kcal/100g: semaforo rosso

Questo non vuol dire che gli alimenti in rosso sono da evitare e quelli in verde se ne può mangiare quanto se ne vuole. Tutto con una logica. La pasta è molto calorica ma quando la cuoci arriva anche a triplicare il suo peso, quindi con un contorno leggero, possiamo mangiarla, basta stare attenti 🙂
I cibi per dimagrire sono semplicemente quelli che ti fanno stare nel tuo range calorico! Puoi scegliere se appagarti riempiendo lo stomaco con alimenti a bassa densità energetica, o appagare la psiche attraverso il gusto. Forse la strada migliore è fare un po’ ed un po’.

  1. Muoviti

Il secondo ed ultimo consiglio per dimagrire mangiando è quello d’essere sempre attivi. Facendo sport almeno 2-3 volte a settimana ma soprattutto stando attivi tutto il giorno. Non pensate per 3h a settimana di palestra d’essere degli sportivi, rimanete dei sedentari. Muoversi vi permette di mangiare mediamente 300kcal in più al giorno, in una settimana sono 2100kcal che per una donna equivale ad una giornata di pasti in più.

Non sottovalutate le calorie che potete consumare coi piccoli gesti, perché se le andiamo a contare sembrano veramente poche, ma sommate nelle ore, giorni, settimane, finiscono per fare la differenza.

Insomma se volete dimagrire mangiando dovete iniziare a fare una selezione negli alimenti e dovete dare una svolta al vostro stile di vita.
Altre soluzioni, ci spiace, ma non esistono 😉

dimagrisci mangiando

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Deltoide anteriore ed alzate frontali

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Le Alzate Frontali sono un esercizio che può essere eseguito con manubri, cavi o bilanciere e sono  proposte per una stimolazione mirata e selettiva del deltoide anteriore. Vediamo sinteticamente i punti focali di questo semplice esercizio, analizzandone l’esecuzione, i possibili rischi articolari e la sua collocazione nella scheda di allenamento per l’allenamento delle spalle.

Deltoide anteriore e Alzate Frontali: analisi del movimento e varianti esecutive

Da un punto di vista biomeccanico, l’esercizio prevede una flessione a 90° della spalla a gomito esteso, un movimento caratterizzato da una leva lunga che non permette di sollevare grandi carichi. L’esecuzione corretta con i manubri prevede una partenza con le braccia lungo i fianchi. Da questa posizione, mantenendo il tronco fermo, si flette l’omero a 90° con i gomiti in leggera flessione per ridurre lo stress sull’apparato legamentoso. Proseguire con la flessione oltre i 90° appare poco sensato poiché la leva via via va a diminuire togliendo tensione al muscolo e inficiando lo stimolo meccanico sul muscolo. L’esecuzione corretta con bilanciere o cavo basso è identica e prevede di impugnare l’attrezzo con una presa larga quanto le spalle. Da questa posizione, mantenendo il tronco fermo, si flettono entrambe le spalle a 90° con i gomiti in leggera flessione per ridurre lo stress sull’apparato legamentoso.

Alzate Frontali e rischio articolare e dolore al deltoide anteriore.

Dolore deltoide anteriore

Anche qui è possibile effettuare rotazioni associate. Visto che il deltoide anteriore è anche un intrarotatore da un punto di vista muscolare potrebbe avere senso associare alla flessione dell’omero anche una leggera intrarotazione. È bene precisare tuttavia che si tratta di un dettaglio assolutamente non rilevante ai fini di un’ottimale stimolazione del muscolo target. Attenzione comunque che in uno studio recente di Hughes del 2012 viene riportata un’elevata compressione del tendine del muscolo sottoscapolare con questa combinazione di movimenti.

È quello che in letteratura chiamano impingement coracoideo, ossia il contatto e la relativa compressione dei tessuti interposti tra il tubercolo minore dell’omero e il processo coracoideo derivante da una combinazione di movimenti di questo tipo (ricordiamo comunque che l’intrarotazione di spalla non è una pronazione di avambraccio: pronare l’avambraccio con spalla in posizione neutra non avrà effetti né di natura muscolare né articolare).

In spalle doloranti si consiglia anche qui un’esecuzione in rotazione neutra o extrarotazione parziale (pollici verso l’alto). Rimaniamo comunque consapevoli che la rotazione interna potrebbe generare dolore in chi ha un’infiammazione al deltoide anteriore  (o meglio al sottoscapolare e del sovraspinato), ma la rotazione esterna ai gradi estremi potrebbe scatenare dolore in chi ha un’infiammazione al sottoscapolare (Hughes et al., 2012) e al capo lungo del bicipite. Personalizzate quindi la variante in base all’eventuale storia clinica e/o alla sintomatologia.

Alzate frontali in piedi o seduto?

deltoide anteriore esercizi

Eseguirle da seduto o in piedi fa poca differenza, a patto che nell’esecuzione da seduti venga mantenuta una lordosi in posizione neutra e vengano reclutati in maniera sincrona trasverso dell’addome e multifido per ridurre i carichi sui dischi intervertebrali (questo specie se il soggetto è sedentario, scarsamente allenato e con storia clinica di dolori alla schiena ricorrenti; non è vero che da seduti si diminuiscono i carichi sulla colonna). E a patto che l’esecuzione in piedi non sia protagonista di oscillazioni e strattoni con la schiena per vincere un carico eccessivo. In generale optate per un’esecuzione in piedi soprattutto per soggetti che svolgono lavori sedentari e che devono ripristinare una fisiologica lordosi lombare.

Alzate frontali ed esercizi per il deltoide anteriore: conclusioni pratiche

deltoide anteriore alzate frontali

Visto che il deltoide anteriore è adeguatamente stimolato durante il Lento Avanti e le Alzate Laterali ed è coinvolto in una grande varietà di esercizi mirati ad altri gruppi muscolari (vedi gran pettorale), le Alzate Frontali risultano quantomeno un esercizio di secondo piano e di minor importanza, specie per soggetti sedentari e senza particolari mire agonistiche. Potete inserirlo in alcuni periodi dell’anno per variare gli angoli di lavoro e gli stimoli in una programmazione a lungo termine mirata all’ipertrofia, senza tuttavia sopravvalutarne l’importanza per il raggiungimento di un obiettivo volto a cambiare in meglio la composizione corporea.

 

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Riprendere ad allenarsi dopo una pausa, come fare

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Questo articolo è dedicato a chi per via delle vacanze o di un’influenza, deve saltare una o più settimane d’allenamenti.
Come dobbiamo riprendere, cosa abbiamo realmente perso per colpa dello stop?
La prima cosa che voglio fare è rassicurare tutti quelli che vivono con la paura di perdere massa se saltano un allenamento: secondo un paio di studi recenti[1] sembrerebbe essere stato dimostrato che il corpo riesce a passare senza problemi ben 2-3 settimane di pausa senza perdere massa muscolare (ovviamente non dovete seguire un’alimentazione ipocalorica).

Non solo quindi un paio di settimane di pausa non creano danni, ma se sono state ben programmate possono aiutare il corpo e la mente a recuperare le energie dopo un anno di allenamenti.

Ciò però non significa che dopo una pausa ci si debba ributtare a capofitto negli allenamenti, come se non ci si fosse mai fermati!
Per chi ha fatto solamente una settimana di pausa, nessun problema!
La soluzione che trovo più efficace è spesso quella di ripetere la settimana precedente all’interruzione e poi andare avanti.

Ma cosa succede se ci fermiamo per più di una settimana? Prendiamo come esempio le classiche due settimane di stop estive.
Immaginiamo una classica progressione lineare che abbiamo svolto in questo modo:

  • Settimana 1, wo 1: 5x5x100kg
  • Settimana 2, wo 2: 5x5x105kg
  • Settimana 3, wo 1: 5x5x110kg
  • Settimana 4, wo 2: 5x5x115kg

La settimana 4 interrompiamo e non riusciamo a continuare per due settimane, che fare? Invece che continuare con un 5x5x115, rifacciamo la settimana 3 con 110 , per poi solo nella settimana successiva continuare da dove avevamo interrotto. Diventa quindi:

  • Settimana 1, wo 1: 5x5x100kg
  • Settimana 2, wo 2: 5x5x105kg
  • Settimana 3, wo 1: 5x5x110kg
  • Settimana 4, wo 2: 5x5x115kg

Settimana 5-6: vacanza

  • Settimana 7, wo 1: 5x5x110kg
  • Settimana 8, wo 1: 5x5x115kg
  • Settimana 9, wo 1: 5x5x120kg

Se invece le settimane di pausa sono maggiori possiamo usare questo schema:

  • 1 settimana di pausa: ripetiamo l’ultima settimana
  • 2 settimane di pausa: ripetiamo da due settimane indietro
  • 4 settimane di pausa: ripetiamo da quattro settimane indietro (la prima ed eventualmente seconda settimana sarà d’adattamento anatomico (vedi esempi sotto), quindi possiamo usare ancora pesi più leggeri, con un minor volume, ma la progressione del carico nelle settimane seguenti sarà più rapida).

riprendere allenamenti

Facciamo un esempio di come riabituare il corpo al volume di allenamento e all’intensità che siete soliti tenere durante il vostro programma.

Immaginiamo di aver seguito una classica scheda in multifrequenza su 4 giorni:

A
Squat 5×5
Panca 4×6
Trazioni 3xmax.
Lento Avanti 4×8
Rematore 4×8
Curl bilanciere 3×10
Addominali

B
Stacco 6×4
Panca Inclinata 5×8
Rematore Manubrio 4×6
Dip 3x max.
Trazioni zavorrate 4×5
French press 3×12
Addominali

Tornare dalle vacanze e riprendere subito potrebbe essere demotivante, perché può capitare di non riuscire più a utilizzare i carichi che avevamo prima delle vacanze o della pausa. Un buon approccio potrebbe essere di aumentare gradatamente carico e volume per 1-2 settimane, a seconda di quanto siete stati fermi. Maggiore la pausa, maggiore il periodo di ricondizionamento.

Partiamo con un paio di allenamenti con il 50% del volume e il 70% dei carichi utilizzati nell’ultima scheda. Il poco volume sicuramente vi permetterà di riuscire a capire da subito quanto vi siate allontanati da carichi allenanti nella vostra pausa. Se vi sentite in forma potete passare, per gli allenamenti 3 e 4, ad un volume del 75% e a carichi intorno all’85%. Se invece non vi sentite ancora pronti a riprendere, aumentate gradatamente il volume e i carichi per ancora una settimana, per riprendere poi la terza settimana con la scheda che avevate abbandonato.

Se invece cercate un approccio vero e proprio per ricominciare totalmente, potete fare un paio di settimane in full body per poi dividere le alzate in diverse giornate all’aumentare del volume. Mi spiego.

Cominciate con qualcosa di semplice

  • squat
  • panca
  • trazioni
  • military
  • rematore

Fate un classico ramping, ovvero partite dal 50-60% del vostro vecchio massimale e salite facendo 5-6 ripetizioni fino a trovare un carico impegnativo (buffer 1-2). Trovato quel carico, fate un altro paio di set da 5-6 ripetizioni con l’80-90% di quel carico (back off).

Questo 2-3 volte per la prima settimana.

La seconda settimana passate a qualcosa di più complesso, come:

  • squat
  • panca
  • Trazioni
  • Stacco
  • Military
  • Rematore bilanciere

Con lo stesso approccio scritto sopra, magari utilizzando 2-3 serie di back off.

Dalla terza settimana potete scegliere, aumentare ancora il volume oppure passare a qualcos’altro!

[1] Hwang PS, Andre TL, McKinley-Barnard SK, Marroquín FE, Gann JJ, Song JJ, Willoughby DS. Resistance Training–Induced Elevations in Muscular Strength in Trained Men Are Maintained After 2 Weeks of Detraining and Not Differentially Affected by Whey Protein Supplementation. The Journal of Strength & Conditioning Research. 2017 Apr 1;31(4):869-81 e Ogasawara R, Yasuda T, Sakamaki M, Ozaki H, Abe T. Effects of periodic and continued resistance training on muscle CSA and strength in previously untrained men. Clinical Physiology and Functional Imaging. 2011 Sep 1;31(5):399-404.

Note sull’autore

Articolo di di Alessio Ferlito seguilo sul suo Blog. Alessio è anche l’autore di  Project Strength

riprendere ad allenarsi dopo una pausa

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Calcolo calorie: è veramente utile?

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Ormai da trent’anni sentiamo che calcolare le calorie non serve. Che sono molto più influenti gli ormoni o altri fattori, come per esempio il microbiota. Ma è veramente così? Il calcolo delle calorie è obsoleto?
Scopriamolo!

Calcolo calorie giornaliere perché non piace

Nell’alimentazione quasi ogni anno si sente una novità, uno nuovo studio mostra che…, arriva la nuova dieta, la nuova scoperta, ecc. Alla fine sembra che attorno alla nutrizione ruotino 1000 fattori complicatissimi. Starci dietro risulta quasi impossibile, chi ha il tempo per studiare, capire ed applicare. Alla fine non è mica colpa nostra se siamo grassi.

Immaginiamo ora che tutti questi fattori vengono ridimensionati rispetto al bilancio calorico della giornata. Se siamo in negativo dimagriamo, in positivo ingrassiamo. Cosa succederebbe? Che basterebbe un fattore per verificare se siamo stati bravi oppure no. La colpa diventa immediatamente nostra. È nostra la responsabilità.

In questa piramide abbiamo inserito una gerarchia dei fattori rilevanti per raggiungere il peso forma.

peso forma piramide

Tenendo a mente questi fattori, per creare un deficit calorico in una donna, mediamente si sta sotto di 300kcal al giorno (dimagrimento lento e costante). Vediamo ora in quanto tempo riusciremmo a perdere 1kg.

calcolo calorico per perdere 1kg

Ci vogliono ben 23 giorni, senza sgarri. Dal calcolo delle calorie notiamo subito che ci vuole tempo e bisogna essere costanti. Cosa che già di base le persone non sono disposte ad accettare. Ma cosa succede se ci capita di sgarrare, cosa succede se semplicemente aggiungiamo una mela al giorno?

calcolo calorie giornaliere

Dal calcolo calorico notiamo che i giorni da 23 sono passati a 31, solo perché abbiamo aggiunto una mela! Ora capiamo perché è tanto difficile dimagrire e perché calcolare le calorie non piace. Perché i margini sono pochissimi.

Calcolo calorie alimenti

Avendo ben presente questo possiamo ripescare quanto aveva già scritto nell’articolo dimagrisci mangiando e possiamo creare una selezione degli alimenti in base al loro contenuto energetico:

  • 0-150kcal/100g: semaforo verde
  • 0-250kcal/100g: semaforo arancio
  • >250-300kcal/100g: semaforo rosso

Sappiamo che se le nostre scelte ricadranno sui primi alimenti potremmo abbondare, mentre quelli in rosso dovranno essere ben calcolati.

Calcolo delle calorie che strategie nutrizionali adottare

Tenendo a mente tutto quello che abbiamo visto le strategie nutrizionali si possono dividere in due strade:

  • Dimagrimento lento e costante
  • Dimagrimento veloce intervallato da break diet (ricariche)

La prima scelta è incentrata sul far dimagrire lentamente creando un piccolo deficit calorico, che non andrà ad incidere troppo sul senso della fame e sull’assetto ormonale. Va tuttavia calcolato che non sono ammessi sgarri, cene nel weekend dove si beve e si cede alle abbuffate.

Nella seconda scelta invece il taglio è bello drastico ma possiamo avere sia ricariche infrasettimanali, sia e vere e proprie settimane di ricarica.

Funzionano tutte e due ma di solito le persone tendono a preferire la seconda, perché rimanere ligi nel tempo è difficilissimo.

calcolo delle calorie e strategie dimagranti

Fabbisogno calorico giornalieri, BMI, indice di massa corporea

Arrivati a questo punto molto, molte persone si chiedono: ok ma quante calorie devo assumere al giorno? In questo articolo sul fabbisogno calorico abbiamo dato diverse formule per calcolarlo, partendo dal BMI (indice di massa corporea) o da altri dati.

Quello che può convenire fare è anche tagliare drasticamente le calorie (fatelo solo se siete completamente sani e non fate lavori troppo faticosi)  arrivando anche a 1000kcal per le donne e 1500kcal per gli uomini. Ogni giorno aggiungete 100kcal. Quando smettete di perdere peso avete trovato il vostro fabbisogno calorico.

Calcolo calorie bruciate e calcolo calorie nella corsa

Altro punto saliente che molti si chiedono è quante calorie consumo con l’attività sportiva e non o quante calorie consumo con la corsa. Nel link sul fabbisogno calorico abbiamo già risposto a questa domanda, mediamente le calorie bruciate durante il giorno con l’attività fisica e non corrispondono ad un 20-30%.

  • Per un uomo che assume 2400kcal sono 480-720kcal
  • Per una donna che assume 1800kcal sono 360-540kcal

Per la corsa o la camminata invece rimandiamo alla formula d’Arcelli. Probabilmente le varie app sul calcolo calorico o le macchine fitness vi diranno che consumate più calorie, ma usano algoritmi che stimano in eccesso il consumo per invogliare le persone ad utilizzarli.

Consumo grassi corsa camminare a digiuno

Calcolo calorie e peso ideale: conclusioni

Per dimagrire non è essenziale calcolare le calorie dei cibi o che consumiamo. Ci mancherebbe altro, ma il nostro consiglio è tuttavia, almeno per due settimane, di calcolarlo. In questo modo avrete un’idea. Tantissime persone non si accorgono che solo a cena assumono 2000kcal, o che se versano per 2-3 secondi l’olio sull’insalata introducono 140-180kcal.

Insomma esagerare è facilissimo, saperlo ci fa essere più coscienti ed in questo modo saremo più preparati per raggiungere il nostro peso ideale!

 

 

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I meridiani miofasciali – linea superficiale posteriore

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Bentornati a tutti voi al V atto alla scoperta della miofascia. Come promesso riprendiamo questo viaggio  arrivando finalmente al succo del discorso: la descrizione funzionale -anatomica dei vari meridiani. Alla fine di tale descrizione verranno elencati vari esercizi che coinvolgono il meridiano studiato ma anche esercizi dove si lavora sull’allungamento globale.

Piccola guida per orientarsi al meglio

Il libro di Myers, nella sua versione originale, si intitola “Anatomy Trains” poiché la metafora ferroviaria è molto utile per capire il funzionamento di tali meridiani. Importanti sono i concetti di: direzione, profondità, connessioni dirette, connessioni meccaniche, stazioni, stazioni di smistamento,espressi, locali, deragliamenti.

  • Direzione: per identificare un meridiano miofasciale vi deve essere continuità tra le fibre fasciali. Se il meridiano è superficiale deve rimanere superficiale, non si va al piano inferiore poiché trattasi di un altro meridiano, un binario diverso. Alcuni muscoli a seconda della posizione degli arti (flesso o disteso) possono essere connessi o non connessi fascialmente. Ad esempio:
  • braccio rilassato lateralmente → pettorali, coracobrachiali, NON CONNESSI.
  • Braccio disteso in alto come nel tennis o appesi a una sbarra → pettorali, coracobrachiali CONNESSI e agiscono come una catena che collega le coste al gomito.

Conoscere i binari consente all’operatore o all’allenatore di decidere razionalmente cosa fare. Altro esempio è quello del peroneo breve che forma una curva stretta attorno al malleolo laterale, ma la continuità fasciale è mantenuta poiché il malleolo ha un effetto “carrucola”.

  • Profondità: muscoli che si trovano sullo stesso piano (ad es frontale: retto dell’addome e muscoli infraioidei) possono appartenere a meridiani diversi: retto dell’addome linea frontale superficiale, gli infraioidei Linea frontale profonda.
  • Connessioni dirette vs connessioni meccaniche:

diretta → fasciale

meccanica → intervento delle ossa (ad esempio: retto femorale e retto addominale che hanno una connessione meccanica tramite le pelvi, non diretta nei movimenti sagittali di flesso-estensione e nel tilt anteriore e posteriore delle pelvi)

  • Piani d’intervento:ad esempio nel caso di adduttore lungo e capo corto del bicipite femorale che si inseriscono sulla linea aspra. Sembrerebbero quindi in connessione ma l’adduttore magno si frappone tra i due rendendo quindi la connessione non realizzabile.

Stazioni: inserzioni muscolari, luoghi dove fibre del muscolo e del tendine sono in continuità col periostio. Più si è a livello superficiale più c’è comunicazione con altri binari miofasciali.
Scambi: i piani miofasciali si intrecciano frequentemente tra loro, unendosi e separandosi. Ciò permette di distribuire le forze tra i binari a seconda della posizione del corpo.
Espressi: muscoli poliarticolari che abbondano in superficie. Ricoprono una serie di muscoli monoarticolari (locali) che hanno singola parte della funzionalità generale del muscolo poliarticolare.
Locali: vedi sopra.
Deragliamenti: sono eccezioni alle regole dei Meridiani Miofasciali. In un deragliamento i Meridiani continuano a lavorare solo in determinate condizioni. Quando parleremo del gastrocnemio vi farete un’idea più chiara.

Linea superficiale posteriore

Catena muscolare posteriore

Fa parte della catena posteriore tanto cara a noi sportivi (coinvolta nello stacco da terra, nello swing con kettlebell, in uno scatto, in parte nei colpi di pugno e calcio diretti).

Si distinguono due tratti:

  • dalle dita dei piedi alle ginocchia
  • dalle ginocchia alla fronte

Se le ginocchia sono distese, la LSP funziona come una linea continua di miofascia integrata.

Postura

  • Supporta il corpo nella completa estensione, si oppone alla flessione. Si deduce quindi che ha un’importante ruolo posturale, ecco perchè lavorandoci con esercizi multiarticolari (dato che è nella sua natura lavorare interamente come una un’unità) si riscontra un miglioramento posturale. Nel caso invece abbiamo una LSP rigida il primo passo è partire dalla fascia plantare. Alla fine di tale articolo vedrete sia esercizi di forza che una proposta di allungamento globale.
  • Data la sua natura posturale, che deve essere funzionate H24 troviamo molti muscoli e tendini forti su questa linea (tendine d’achille, tendini ischio crurali, legamento sacrotuberoso, fascia toracolombare).
  • Nella posizione eretta i tendini incrociati della LSP assistono i legamenti crociati nel mantenere l’allineamento posturale tra tibia e femore. Quando alleniamo lo squat e lo stacco come si deve, dove la tensione dei femorali tiene la tibia in sede proteggendo i crociati, stiamo allenando tale funzione. Ah ma quindi vanno bene anche i dildo squat? Assolutamente no poiché in tal caso reclutiamo di più i quadricipiti (liena superficiale frontale), non vi è una attivazione muscolare che aiuta in questo ruolo di protezione e vengono caricate solamente le strutture passive.

Movimento

La funzione principale della LSP è quindi estensione ed iperestensione. A livello embriologico dato che nasciamo in posizione fetale, la LSP si rafforza man mano attraverso gli stadi dello sviluppo dove il neonato prima solleva il capo, poi gattona e infine sta in piedi. Ecco perchè molti sistemi o movimenti che ricalcano tale sviluppo (vedi il crawling, il get up) sono utilissimi a resettare tutto il sistema. La vita quotidiana ci porta a lavorare in anteriorità, per questo si nota una debolezza generale di questa linea, non adeguatamente stimolata.Stiramenti, tensioni e traumi passano attraverso le strutture di queste linee fasciali di trasmissione.
Abbiamo detto che la LSP media posture e movimenti sul piano sagittale.
Le LSP in realtà sono due una destra e una sinistra e a volte vi possono essere squilibri tra le due.

Schemi di compensazione posturale associati alla LSP:

  • limitazione dorsiflessione della caviglia
  • accorciamento ischiocrurali
  • anteroversione pelvica
  • nutazione sacrale
  • limitazione suboccipitale (che porta a iperstensione delle cervicali superiori)
  • slittamento anteriore o rotazione dell’occipite sull’atlante
  • sconnessione dei movimenti occhi-colonna vertebrale.

Descrizione del Meridiano

meridiano miofasciale

n blu le stazioni osse in rosso i binari miofasciali

  • La stazione di partenza di tale linea fasciale la troviamo al di sotto della falangi distali del piede. Quindi il primo binario comprende:

fascia plantare

tendini e flessori brevi delle dita del piede.

Le varie fasce e muscoli associati formano una corda d’arco che regola l’arco plantare longitudinale. Questa corda d’arco favorisce l’avvicinamento delle due estremità, mantenendo un appropriato rapporto tra calcagno e prima e quinta testa metatarsale.

  • La fascia plantare: importante anello della catena spesso trascurata/sovraccaricata nelle preparazioni atletiche, disabituata a lavorare essendo il piede costretto nelle scarpe, diventando progressivamente più rigida. I problemi a tale livello, come le fasciti sono correlate spesso a:

– tensione dei muscoli ischiocrurali
– tensione della lordosi lombare
– iperestensione delle cervicali alte

Sia un lavoro manuale che una semplice pallina o bastone sotto il piede aiuteranno il rilassamento che verrà trasmesso ai tessuti superiori.

Cosa guardare per capire se vi è un problema a livello della fascia plantare: guardate il bordo laterale e mediale del piede. Se vedete un accorciamento importante su uno dei bordi significa in poche parole che la fascia plantare è più retratta da quel lato. Controllate anche gli archi plantari se sono normali o tendono a collassare. Comunque sia anche se il piede non ha squilibri importanti un lavoro a tale livello gioverà sicuramente anche a livello locale; basta guardare il gran numero di vasi e nervi che si concentrano qui.

fascia plantare del piede

  • Da calcagno a ginocchio

Le fasce non si inseriscono semplicemente sull’osso del calcagno ma sono in continuum con il periostio dell’osso, proseguono il loro tragitto ritornando ad essere tendine (il Tendine d’Achille). Questo è uno dei tendini più forti e resistenti del corpo umano, proprio perchè non si inserisce con una piccola inserzione sul calcagno ma anche alla rete di collagene che lo avvolge. Per romperlo, ci vuole tantissimo tempo, grandi impatti ripetuti nel tempo, con meccanica sbagliata. Andando verso l’alto il tendine si appiattisce e si unisce ad altre tre strutture miofasciali: muscolo soleo (profondo) gastrocnemio (superficiale) il piccolo plantare al centro. Da cui avete già qualche indizio per lavorare su chi ha dei femorali rigidi.

Se ci fate caso il calcagno ha, come la patella sul ginocchio, la funzione di puleggia. Se si ha una LSP ipercontratta, la tensione eccessiva può spingere il tallone avanti nell’articolazione subtalare, altro pattern comune è lo spostamento del complesso tibia-perone posteriormente sul talo. Si può verificarlo semplicemente, osservando di lato il soggetto e tirando una linea verticale da bordo inferiore del malleolo laterale. Se c’è “poco tallone” dietro questa linea vi è uno squilibrio presente a carico della LSP.  Se il rapporto tra le due parti del piede è di ¼ o 1/3 allora non vi sono problemi.

Un rapporto di 1/5 o più indica un appoggio minimo della parte posteriore del corpo che tenderà a ritrovare l’equilibrio inclinando tutto il peso avanti. Tale schema può essere dovuto a tensioni della Lsp o anche ad altre tensioni, poiché spesso si può notare uno slittamento anteriore delle ginocchia o delle pelvi per portare maggior peso sull’ avampiede.

Come agire?

– Liberare la fascia plantare, includendo la banda laterale, nella direzione del tallone.

– Liberare il compartimento superficiale posteriore della gamba(soleo e gastrocnemio) in giù verso il calcagno.

-Mobilizzare il calcagno stabilizzando con una mano la parte frontale del tarso e con l’altra lavorare il calcagno con movimenti di inversione ed eversione.

– nei casi più difficili, lavorare sui legamenti della caviglia, in profondità e lentamente.

Il risultato sarà un piccolo ma visibile miglioramento e rifacendo il test della linea, vedrete che la quantità di tallone dietro a questa è maggiore rispetto a prima. Tali interventi sono quindi strategici e dovrebbero precedere ogni altro intervento. Facendo questo piccolo lavoro abbinato ad altri piccoli lavori sulla linea superficiale posteriore, la flessione in avanti della postura del paziente si dovrebbe risolvere. Ovviamente tutto è più facile con un operatore specializzato che sa dove mettere le mani, ma alla fine di tale articolo vi presenterò una proposta pratica per lavorare globalmente su questa linea.

  • Risalendo man mano la linea incontriamo due grandi e forti muscoli che si inseriscono nel tendine d’Achille: Soleo (parte profonda) e gastrocnemio (superficiale).

Piccola annotazione: bisogna saper distinguere tra “espressi” e “locali” poiché la posizione posturale è spesso sostenuta dai sottostanti locali e non dai superficiali espressi. Gli espressi attraversano più di un’articolazione, i locali percorrono e agiscono solo su una.

Essendo la LSP superficiale a noi interessa principalmente il gastrocnemio i cui due capi attraversano sia la caviglia che il ginocchio e agiscono su entrambi. Il Soleo invece attraversa e agisce solo sulla caviglia.

Seguendo il soleo (locale) si arriva fino alla fascia sul retro del popliteo che attraversa il ginocchio e lo flette. Grazie a ciò l’espresso gastrocnemio può partecipare sia alla flessione plantare che alla flessione del ginocchio, mentre i due locali sottostanti forniscono solo un’azione.

  • Ginocchio: qui abbiamo un esempio di Deragliamento, fenomeno a cui abbiamo accennato all’inizio dell’articolo. Gastrocnemio e ischiocrurali, a un’attenta osservazione, sono sia separati che connessi a livello dei condili del femore. In pratica una lieve flessione delle ginocchia li scollega gli uni dagli altri.

Per avere un esempio pratico fate riferimento alla Elephant Routine dell’ottimo Elia Bartolini, dove sfrutta questo principio. In pratica a ginocchia semiflesse scollegate la LSP e l’allungamento risulta più facile poiché avete meno muscoli e meno tensioni da vincere, e si aumenta di molto la flessione dell’anca. Appena stendete le gambe ricollegate tutta la LSP e l’allungamento risulterà più difficile.

ginocchio
Questa rapporto e configurazione tra questi muscoli somiglia molto a un cosiddetto nodo quadrato: libero quando il ginocchio è piegato, in tensione quando il ginocchio è disteso.

nodo quadro

  • Dal Ginocchio all’Anca: proseguendo verso l’alto, seguendo gli ischiocrurali (semimebranoso, semitendinoso, bicipite femorale) arriviamo al lato posteriore della tuberosità ischiatica. Tutti e tre gli ischiocrurali sono degli “espressi” poiché agiscono sia sul ginocchio che sull’anca. Molto si scrive sugli ischiocrurali ma molto poco sulle funzioni separate dei singoli muscoli.

Semitendinoso, semimbranoso (mediali) → rotazione mediale della tibia a ginocchio flesso.
Bicipite femorale (laterale) → rotazione laterale della parte inferiore della gamba sul femore (ginocchio flesso).

Nei movimenti di flesso-estensione pura (corsa) lavorano tutti insieme.

Quindi questa rotazione funzionale è possibile solo a ginocchio flesso mentre quella posturale della tibia sul femore è più comune. Molti sono i fattori che contribuiscono a tale fenomeno, come le tensioni dei muscoli attorno alle articolazioni interessate e le tensioni originanti dai piedi.
Tibia ruotata medialmente (basandosi sulla direzione della tuberosità tibiale rispetto alla patella)? → allora lavoro manuale e stretching su ischiocrurali mediali.
Tibia ruotata lateralmente? → bicipite femorale.

Nella parte pratica vedremo come lavorare.
Se nonostante il lavoro non vi è alcun effetto bisogna tenere in considerazione le tensioni del piede, torsione delle pelvi e dalla Linea a Spirale.

  • Dall’anca all’osso sacro: a questo livello, se molti di voi pensano ancora in maniera muscolo centrica, verrebbe naturale pensare che glutei sono la continuazione della linea. Tuttavia sono più superficiali. Ma tenendo in considerazione le regole dei Meridiani Miofasciali vediamo che il legamento sacrotuberoso sale dalla parte posteriore della tuberosità ischiatica, continuando idealmente gli ischiocrurali, passando sopra l’articolazione sacrococcigea.

Questo legamento è resistentissimo, molto forte crea questa connessione tra tuberosità ischiatica e sacro importantissima per mantenere la postura eretta e l’integrità delle pelvi.

Quindi anatomicamente e funzionalmente ha una grande importanza strategica. E’ un crocevia, una zona di comunicazione e smistamento delle tensioni, poiché è collegato in basso con i bicipiti femorali e in alto con la fascia del sacro e l’erettore della colonna.

  • Dal sacro all’occipite: prossimo binario che ci porta verso l’alto è il muscolo erettore della colonna che grazie alla fascia sacrale continua il legamento sacrotuberoso.

muscoli profondi della colonna

L’erettore si estende per tutta la colonna dal sacro all’occipite (vi ricorda qualcosa? Tipo i trattamenti osteopatici CRANIO-SACRALI?). Gli espressi sono il lunghissimo del dorso, e lileocostale che ricoprono i locali,  i più profondi spinale, semispinale e multifido.

Allenare la linea superficiale posteriore

Essendo coinvolta nel mantenimento della postura eretta (funzione estensoria) è coinvolta già dallo stare in piedi (si presume con la corretta postura).
Semplici esercizi che conosciamo già tutti sono i seguenti:

Corpo Libero: -iperestensioni su hyperextension, spinal bridge, alcune progressioni per la human flag e straddle planche, la maggior parte delle progressioni riguardanti le trazioni.
Kettlebell: deadlift, swing 2 hand e 1 hand, clean, snatch. Tra gli esercizi di griglia,windmill e bent press anche se in maniera parziale.
Bilanciere: iperstensioni + rematore, stacco da terra, squat (l’overhead ha il suo perchè), Snatch.

Mobilità per la linea superficiale posteriore

In alcune routine si parte dai piedi (poiché la linea parte dalla fascia plantare) e si va man mano a risalire. Qui di seguito un esempio.

  • su/giù sulle punte piedi uniti 60 rip (è un riscaldamento)
  • elevated seiza piedi su rialzo, 2′

esercizi fascia

  • su/giù su punte, punte fuori 60 rip
  • squatted seiza 2′

esercizi caviglie

con i primi due andiamo a rimuovere la resistenza del tibiale anteriore che potrebbe contrastare il lavoro che vogliamo fare sulla catena posteriore.

  • su/giù, punte unite, talloni separati 60 rip
  • curled seiza 2′

Esercizi

qui cominciamo il vero e proprio allungamento sulla fascia plantare, è normale sentire fastidio alle dita, se siete contratti sentire tensione sulla pianta del piede, se siete molto contratti sentirete anche il tendine d’achille e persino tutto il complesso del polpaccio.

  • 2 molleggi + 2 squat a piedi uniti x 10 rip

Esercizi stretching

  • Allungamento femorali in pike 2′
  • ripeto 2 molleggi + 2 squat (dovrei riuscire a scendere di più)
  • allungamento tendine d’achille a terra, in ginocchio 1’30”
  • in piedi, un piede avanti poggiato su appoggio, piede post che punta avanti, spingo anche indietro e inclino busto avanti. 1’30”

questo è uno stretch molto intenso se fatto bene sentirete tensione dal tendine d’achille, dietro il ginocchio (dove si incontrano gastocnemio e ischiocrurali), tutti gli ischiocrurali e parte del gluteo. Usate metodi presi dal PNF per guadgnare il più possibile.

  • Ostacolista a terra, ginocchia unite, piede ant su rialzo 1’30”
  • Ostacolista largo a terra, piede ant su rialzo 1’30”
  • Pike 2′ 

Questa è una routine molto breve ne esistono altre più lunghe della durata di circa 40′. Tanto tempo ci vuole per irrigidire le strutture e altrettanto bisogna spenderne per riportarle alla normalità. Mai lavorare sul dolore, ma leggero fastidio. E’ più importante quella che in Inglese chiamano Consistency, piuttosto che l’Intensità. La mobilità è una Maratona piuttosto che una corsa sui 100 m. Abbiate pazienza e siate Costanti.

Uno strech molto utile, eseguito con bilanciere o kettlebell (la mobilità con sovraccarico è una delle metodiche più efficaci) che colpisce tutta la linea in toto e rinforza e prepara all’imprevisto anche i più piccoli muscoli attorno alla colonna è il Jefferson Curl che richiederebbe un articolo a sé, visto che c’è chi lo glorifica e chi lo demonizza. Con un leggero sovraccarico anche 5-8 kg può essere molto utile. La spina è progettata per muoversi anche in flessione.

Ricordate sempre il principio “Se non usi una certa funzione, la perdi”.

Bibliografia:

Anatomy Trains, Thomas W. Myers.
Becoming a Supple Leopard, Kelly Starrett
The Trigger Point Therapy Workbook: Your Self -Treatment Guide for Pain Relief, Clair Davis
Anatomia Clinica, Marinozzi.

Fascia: The Tensional Network of the Human Body; Schleip et al.

Articolo di Andrea ColarussoLogo

Curriculum di Andrea Colarusso:

Laurea Triennale in Scienze Motorie e Sportive
Laurea Specialistica in Scienza e Tecnica dello Sport- Sport di combattimento
Canali Postural Method 1° livello
Personal Trainer FIPE 3° livello
Specialista in Kettlebell FIPE, Delegato regionale Lazio Kettlebell FIPE
Istruttore avanzato FIPL 2° livello

Docente per Scuola dello Sport e Fipe
Tirocinio presso Nazionale Olimpica Italiana Taekwondo.
Preparatore Atletico Club Scherma Roma, settore Spada.
Istruttore Thai Boxe/ K1 FIGHT1
Creatore Satori Training PT .

Cofondatore Prometheus Training Team.

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Deltoide posteriore: esecuzione degli esercizi ed errori più comuni

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Il deltoide posteriore è un muscolo spesso inseguito e desiderato da chi pratica bodybuilding ed è alla ricerca di uno sviluppo del deltoide completo ed equilibrato. Di esercizi ne esistono parecchi eseguibili con manubri, cavi o macchinari specifici. Facciamo chiarezza riguardo alla corretta esecuzione di questi esercizi allo scopo di massimizzare l’attivazione del muscolo target e minimizzare i rischi articolari.

Deltoide posteriore: esecuzione corretta ed errori comuni

Iniziamo col dire che il deltoide posteriore in palestra è adeguatamente stimolato in maniera settoriale attraverso esercizi che prevendono un’abduzione lungo il piano orizzontale, ottenuta tramite Alzate Laterali su proni su panca, Rear Delt o Aperture ai cavi alti (solo per citare i più famosi), ricalcando una delle sue funzioni anatomiche (il muscolo in questione è anche un’estensore/abduttore/extrarotatore di spalla e con alcune sue fibre un adduttore dell’omero).

Prendendo come paradigma l’esercizio forse più famoso, le Alzate Laterali proni su panca, vediamo come eseguire correttamente l’esercizio per un’ottimale attivazione muscolare. L’esecuzione corretta prevede una partenza con le spalle flesse a 90°, i gomiti estesi e le braccia che cadono perpendicolari rispetto al pavimento. Da questa posizione si estende l’omero lungo il piano trasversale con i gomiti in leggera flessione per ridurre lo stress sull’apparato legamentoso. Un errore comune in questo esercizio è quello di avvicinare i gomiti al busto in fase concentrica e cambiare quindi il piano di movimento. La spalla si estenderà ma non lungo il piano trasversale e diminuirà il lavoro sul deltoide posteriore a favore di altri muscoli come gran dorsale e grande rotondo. Ricordate inoltre, per un’attivazione efficace, di pensare a muovere i gomiti verso l’alto e non a far partire l’input del movimento dai polsi.

deltoide posteriore esercizi

Le medesime considerazioni possono essere riportate nelle Aperture ai cavi e nel macchinario Rear Delt. Nel primo caso non abbassate mai i gomiti durante l’apertura (il gomito si mantiene all’altezza della spalla sempre), nel secondo caso rimanete col busto eretto e non inclinatevi, condizione necessaria a mantenere il movimento lungo il piano trasversale evitando il coinvolgimento di muscoli più grossi come il gran dorsale.

Deltoide posteriore e rotazioni

Come per le Alzate Laterali classiche, anche per le Alzate Laterali da prono è possibile associare le rotazioni della spalla al movimento. L’esercizio si conclude con la spalla abdotta di 90° circa, ragion per cui appaiono valide le considerazioni fatte per le Alzate Laterali classiche con qualche piccola aggiunta. L’esecuzione old shool coi manubri prevede di intraruotare l’omero mantenendo i pollici rivolti verso il basso. Dal punto di vista muscolare l’intrarotazione pone il deltoide posteriore nella posizione migliore per essere coinvolto in maniera efficace ed è probabilmente questo il motivo per cui questa esecuzione “si sente” di più. Tuttavia, come visto, l’intrarotazione associata all’abduzione aumenta le forze compressive intra-articolari, motivo per cui mi sento di sconsigliare tale modalità specie in chi ha già spalle doloranti (ad ogni modo il discorso è puramente teorico, poiché i carichi irrisori che caratterizzano l’esercizio ridimensionano i rischi articolari nella pratica).

Le esecuzioni in rotazione neutra ed extrarotazione parziale risultano più fisiologiche per la spalla ma forse meno efficaci muscolarmente. Il coinvolgimento del deltoide posteriore rimane buono in rotazione neutra mentre scema un po’ all’aumentare dell’extrarotazione. È vero che la rotazione esterna lo coinvolge anche nella sua funzione accessoria, ma è altrettanto vero che lo sposta leggermente dalla linea di azione ottimale che verrà invece occupata dal deltoide mediale.

 extrarotazione alzate posteriori

Conclusioni di buon senso: cenni di programmazione

Considerando l’enorme varietà di esercizi nei quali è coinvolto (per esempio Trazioni, Pulley, Lat Machine), porre un’attenzione spasmodica verso il deltoide posteriore appare fuori luogo, specie in ambiente fitness e nel body building non agonistico. È un muscolo piccolo e facilmente affaticabile se “isolato” in estensione orizzontale. Alternate le varianti con cavi e manubri durante la programmazione annuale per variare stimoli e angoli di lavoro consapevoli che, visti i carichi irrisori che è possibile sollevare con un muscolo così piccolo e con esecuzioni corrette, i rischi articolari per soggetti sani sono poco significativi.

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Bodybuilding donne: incomprensioni e cose da fare

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Il rapporto tra le donne è la palestra è spesso molto complicato ma quando parliamo di bodybuilding e donne le incomprensioni prendono spesso il sopravvento. In primis perché le ragazze appena sentono la parola bodybuilding o pesi, subito s’immaginano di diventare come un uomo, poi perché oggettivamente per una donna allenarsi bene coi pesi, non è affatto facile.
Ma cerchiamo di capire perché  e come sviluppare al meglio l’allenamento al femminile in sala pesi.

Bodybuilding donne come iniziare

Le ragazze che si iscrivono in palestra hanno di fronte un difficile cammino. Da una parte devono comprendere che corsi di GAG, Zumba, Spinning, ecc possono aiutarle a sfogarsi ma non serviranno per la loro composizione corporea. Dall’altra che l’utilizzo dei pesi non servirà a farle diventare maschili, ma aiuterà a mantenere la massa magra durante la perdita del grasso corporeo.

Qui vediamo il rapporto testosterone/estrogeni nell’uomo e nella donna, rapporto che mostra una chiara difficoltà da parte del sesso femminile nel riuscire a costruire nuova massa muscolare.

bodybuilding donna come iniziare

La donna, oltre ad un profilo ormonale differente ha anche una composizione corporea differente, caratterizzata da una microcircolazione più difficile che spesso causa ritenzione idrica ed una composizione e distribuzione dell’adipe particolare.

A parità di peso le donne hanno più grasso (soprattutto la parte di grasso essenziale) e meno muscolo (soprattutto sugli arti superiori).

composizione corporea donna uomo

Tutte queste differenze si devono inevitabilmente riflettere con allenamenti e stimoli differenti. Pena, quando la donna vuole fare bodybuilding, non ottenere i risultati sperati.

Dieta bodybuilding donne

Una ragazza che vuole fare palestra dovrà impostare la sua alimentazione su di sé e non prendere riferimenti generici. Durante la scheda per l’allenamento della massa muscolare le differente tra uomo e donna non saranno così marcate, se non nei seguenti punti. La donna ha:

  • meno bisogno di proteine dell’uomo
  • un quantitativo sempre buono di grassi
  • bisogno di stimoli costanti e non tagli drastici

Spesso si vedono donne nel bodybuilding che assumono 3g/kg di proteine ma questo può andare bene solo in contesti doped, anche tagliare completamente i carboidrati o i grassi non è una scelta fattibile in contesti natural. Ricordiamoci comunque che i lipidi, per le donne, sono più importanti rispetto ai glucidi, che comunque non dovrebbero, neanche loro, mai mancare.

Approcci estremi portano facilmente a far perdere il ciclo nelle ragazze. Segno che l’organismo è stato scosso dal regime alimentare. La donna che fa bodybuilding deve continuare ad avere le mestruazioni in modo regolare, questo è un segnale che tutto procede per il meglio, sia durante il periodo di massa muscolare, sia durante la definizione.

L’alimentazione bodybuilding nelle donne, seguirà tutte le regole che abbiamo visto negli articoli per la dieta per la massa muscolare e la dieta per la definizione.
Le donne che fanno palestra dovranno solo evitare di fare sali e scendi troppo bruschi, n0n scendendo mai sotto ai 40-60g di grassi giornalieri. Il loro corpo si adatta molto di più a stimoli lenti ma costanti.

dieta bodybuilding donne

Bodybuilding donne allenamento

L’allenamento nelle donne che fanno palestra dev’essere graduale, pena ritrovarsi piene d’acqua e con il volume degli arti inferiori aumentato. Le ragazze sopportano molto bene allenamenti voluminosi ma ci devono arrivare gradualmente. Appena fanno troppo si ingrossano (d’acqua) subito. In questo articolo sulla plicometria vi mostriamo anche come prendere le circonferenze. Se aumentano di volume e non siete nel periodo di massa, state sicuramente sbagliando qualcosa e gli arti si stanno riempiendo d’acqua.

allenamento donne bodybuilding e ritenzione idrica

Le donne che si allenano hanno anche un buona capacità glicolitica e rispondono bene ad allenamenti metabolici. Questo vuol dire che possono usare un maggior numero di ripetizioni e pause più brevi tra le serie.

Nel bodybuilding femminile ovviamente si porrà molta attenzione all’allenamento dei glutei ma per questo vi rimandiamo alla nostra guida.

Bodybuilding donne: conclusioni

Le donne in palestra non si dovranno comportare come gli uomini, gli esercizi del bodybuilding dovranno essere approcciati in modo personalizzato e la dieta dovrà seguire una determinata direzione. Ma detto questo, se le ragazze vogliono ottenere veramente ottimi risultati in palestra, il loro approccio dovrà, inevitabilmente, essere quello del bodybuilding, ma al femminile.

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Quando mangiare per una miglior composizione corporea

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Ormai da 20-30 anni chi va in palestra viene a conoscenza della finestra anabolica, ovvero il lasso di tempo di 2h che segue l’allenamento, in cui l’organismo è più ricettivo ai macronutrienti che gli diamo. Negli ultimi anni il termine è stato cambiato in finestra delle opportunità (ne avevamo parlato in questo articolo sulla sensibilità insulinica), ovvero in questo lasso di tempo non c’è nulla d’anabolico, ma semplicemente l’organismo ripartisce i macronutrienti più verso il muscolo e meno verso la cellula grassa.

quando mangiare

Partendo da queste teorie mediamente si tendeva a mangiare di più nei giorni ON, quando ci alleniamo, mentre nei giorni OFF si tende ad introdurre meno carboidrati e calorie. Tuttavia negli ultimi anni diversi preparatori hanno abbandonato questa strategia e fanno esattamente l’opposto, portando comunque ottimi risultati.
Ma quindi quando conviene mangiare di più per una miglior composizione corporea?

Partiamo dalla teoria per trovare una risposta pratica!

Quando mangiare: le ragioni dei giorni ON

Il dispendio energetico dei giorni della settimana non è sempre uguale; quando ci muoviamo di più, o ci alleniamo, ovviamente il dispendio sale.
Mediamente una seduta di pesi può consumere 200-300kcal (lo sappiamo sono poche), mentre 30′-60′ di cardio intenso arrivano a consumare 400-800kcal.
Partendo da questo presupposto, chi preferisce mangiare di più nei giorni ON rispetta semplicemente le spese energetiche organiche.

Tra l’altro l’allenamento stimola l’AMPK che a sua volta migliora la sensibilità insulinica, al contrario nei giorni OFF, se ci siamo allenati intensamente, permane uno stato infiammatorio nei muscoli, che può causare una temporanea resistenza insulinica.

resistenza insulinica post allenamento

Quando mangiare: le ragioni dei giorni OFF

Chi invece propende per mangiare di più nei giorni OFF, lo fa per le seguenti ragioni fisiologiche.
Quando mangiamo meno il sistema simpatico è più attivo, abbiamo una maggior attività adrenergica che ci permette un maggior focus mentale nell’allenamento. Nei giorni di recupero invece la sintesi proteica è molto attiva, in risposta agli effetti dell’allenamento. Mangiare così di più in questi giorni va a rispondere alle esigenze organiche dell’allenarsi correttamente e recuperare bene.

Infine l’allenamento ha mediamente un effetto anoressizante, ovvero toglie appetito. Al contrario quando non ci alleniamo è più facile sentire lo stimolo della fame.

Quando mangiare di più per dimagrire

In conclusione che si adotti una strategia o l’altra poco cambia, perché l’organismo non ragiona in ore o giorni, ma in settimane e mesi. I tempi per cambiare l’omeostasi (dopo le prime settimane d’adattamenti rapidi), sono molto lenti.

Quello che conta è:

  • introito calorico SETTIMANALE
  • distribuzione dei macronutrienti

A parità di questi fattori cambia veramente poco, altrimenti tutti seguirebbero la stessa strategia da anni.
Se assumete 18.000kcal la settimana potete ripartirle in questi due modi:

quando conviene mangiare quando mangiare per perdere peso

Stessi macronutrienti, stesse calorie, distribuiti solo in modo diverso.

Se siete molto grassi o insulino resistenti, potrebbe ancora convenire distribuire i carboidrati vicino all’allenamento sia nel pre, durante e post.
Altrimenti vi conviene adottare la strategia che più vi è più comoda, senza farvi troppe seghe mentali.

 

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Record panca piana: ecco come migliorarlo

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Quello che voglio proporre oggi è un approccio all’allenamento della panca piana molto diverso dai classici programmi che si vedono di solito. Premetto che non si tratta di un lavoro adatto a tutti,ma per chi saprà rispettarlo darà grosse soddisfazioni.

Partiamo dal contesto in cui è nato questo programma: mi ero ritrovato a dover preparare due atleti in pochissimo tempo e questo aveva reso impossibile impostare un classico ciclo accumulo + intensificazione e avevo bisogno di qualcosa che mi permettesse di farli salire di livello in un periodo di 7 settimane,di cui l’ultima comprendeva il peaking, quindi sei settimane di lavoro effettivo.

Ispirandomi alle mie precedenti letture sul metodo Chernishev ho stilato un programma che ne rispettasse i principi,ma che fosse attuabile in tempi più brevi di quelli delle versioni che avevo studiato (8 settimane in media)
Viene da se che quello a cui ci troviamo di fronte è un mesociclo shock, utile a portare oltre la propria soglia l’atleta in pochissimo tempo (3 settimane in questo caso) sottoponendolo a uno stress estremo tale da forzare in pochissimo tempo adattamenti che normalmente richiederebbero tempi più lunghi. È quindi il classico programma “adattati o muori”, adatto a battere il record di panca piana.

A chi si rivolge il programma per la panca piana

panca piana record

Prima di buttarvi a testa bassa in questo programma bisogna valutare se avete le caratteristiche necessarie per utilizzarlo con successo. È necessaria un’anzianità di allenamento con lavori specifici per il powerlifting di almeno un anno o aver già raggiunto dei buoni kg sulla panca.
Se spancate 100kg a 80/90kg di peso corporeo questo tipo di lavoro non fa per voi,visto che potete migliorare benissimo con approcci molto più semplici.
Altro prerequisito è avere un fermo al petto molto attivo. Se quando fate panca tendete a perdere tensione al petto e a sprofondarci è più conveniente lavorare su questo difetto con progressioni più morbide che prevedano l’inserimento graduale di fermi progressivamente più lunghi.

Passiamo ora presentare il programma

Piccolo appunto per facilitare la comprensione dello schema: il 100% indicato alla fine di ogni allenamento fa riferimento alla singola più pesante che potete chiudere nelle peggiori condizioni possibili.
Una volta scelto questo peso,calcolate i carichi di lavoro di tutto il programma tarandolo su di esso e non sul massimale reale. Fate attenzione a non sovrastimare questo carico,perché l’accumulo di fatica nel corso del programma sarà estremo. Tenete a freno l’ego per queste tre settimane. La singola andrà sempre svolta con fermo da gara,indipendentemente dal fermo utilizzato durante l’allenamento.

Settimana 1
Giorno 1 Panca fermo 3” 80% 3,5,3/ 83%,3,5,3/ 86% 3,3,3/ 100% 1
Giorno 2 Panca fermo 5” 80% 2,3,2/ 84% 2,3,2/ 100% 1
Giorno 3 Panca fermo 3” 80% 3,5,3/ 83%,3,5,3/ 86% 3,5,3/ 100% 1
Giorno 4 Panca fermo 5” 80% 2,3,2/ 84% 2,3,2/ 100% 1
Giorno 5 Panca fermo 2” 80% 2,4,2/ 85% 2,4,2/ 100% 1

Settimana 2
Giorno 1 Panca fermo 3” 80% 3,5,3/ 83%,3,5,3/ 88% 3,3,3/ 100% 1
Giorno 2 Panca fermo 5” 80% 2,4,2/ 84% 2,4,2/ 84% 2,2,2/ 100% 1
Giorno 3 Panca fermo 3” 80% 3,5,3/ 83%,3,5,3/ 86% 3,5,3/ 100% 1
Giorno 4 Panca ferno 5” 80% 3,5,3/ 83% 3,5,3/ 86% 2,2,2/ 100% 1
Giorno 5 Panca fermo 3” 80% 3,5,3/ 83%,3,5,3/ 88% 3,5,3/ 100% 1

Settimana 3
Giorno 1 Panca fermo 3” 80% 3,5,3/ 83%,3,5,3/ 86% 3,3,3/ 100% 1
Giorno 2 Panca fermo 5” 80% 2,3,2/ 84% 2,3,2/ 100% 1
Giorno 3 Panca fermo 3” 80% 3,5,3/ 83%,3,5,3/ 86% 3,5,3/ 100% 1
Giorno 4 Panca fermo 5” 80% 2,3,2/ 84% 2,3,2/ 100% 1
Giorno 5 Panca fermo 2” 80% 2,4,2/ 85% 2,4,2/ 100% 1

Come potete vedere ci troviamo di fronte a qualcosa di davvero estremo. Vengono applicati contemporaneamente tutti gli stressor possibili. Abbiamo quindi:

-Volume: il volume della singola seduta risulta importante. Si va da un minimo di sette serie allenanti a un massimo di dieci. Le ripetizioni non scendono mai sotto alle due e nel blocco iniziale di ogni allenamento si toccano anche le cinque rep.

-Intensità: nonostante il volume alto, l’intensità non sarà da meno. La singola posta alla fine di ogni allenamento sarà circa al 90% del massimale reale e la affronterete dopo aver accumulato tutta la fatica dell’allenamento,quindi sarà percepita come un peso quasi massimale. Certi giorni avrete bisogno di caricarvi come prima di una terza prova in gara per poterla chiudere.

-Fermi lunghi: se si esclude la singola finale che viene svolta con fermo da gara,il fermo più breve che vi ritroverete a utilizzare sarà di due secondi. Le sessioni con fermo di 3 e cinque secondi saranno le più estreme e potrebbe essere necessario abbassare leggermente il carico di lavoro nell’ultimo blocco di serie di ogni allenamento. Se sentirete questa necessità, abbassate il carico del peso minimo che vi permetterà di completare la sessione.

-Frequenza: la frequenza di lavoro è giornaliera. Tale scelta si rende necessaria per velocizzare l’adattamento del corpo a tutti questi stressor. Non provate a diminuirla o non arriverete a fine programma. I programmi shock funzionano proprio perché estremi in ogni loro componente, se si prova ad addolcirli si finisce per sbattere di muso contro a un muro.

Indicazioni finali su come battere il record di panca

Per ottenere il massimo da questo programma rispettate queste indicazioni:

-Squat e stacco a mantenimento: in questa fase limitate molto il lavoro a carico di queste due alzate,impostando l’allenamento in modo di svolgere un lavoro di mantenimento. Mediamente la panca si può tirare sempre durante tutto l’anno anche allenando contemporaneamente in modo pesanti le altre alzate,ma in questo caso non siamo in una situazione standard. Il programma sarà al limite delle vostre capacità di recupero durante ogni allenamento e aggiungere ulteriore fatica non è una buona idea.

Posizionate inoltre la panca come primo esercizio di ogni sessione: fare una mole di lavoro del genere dopo aver fatto lo squat vi farà arrivare alla panca totalmente cotti a livello neurale e limiterà la vostra capacità di produrre lavoro di qualità.
Per la stessa ragione lavori aerobici ad alta intensità vanno limitati. Qualcosa di blando si può fare,ma del resto non morirete saltando il cardio per qualche settimana.

-Riscaldamento: so che vista la gran mole di lavoro da fare la vostra tendenza sarà sempre quella di cercare di ridurre la durata dell’allenamento, ma non dovete fare assolutamente l’errore di andare al risparmio per quanto riguarda il riscaldamento.
Questa è una parte che nel corso della mia carriera di allenatore ha preso sempre maggior peso nei miei programmi,tanto da ritrovarmi spesso a scrivere delle routine pesantemente personalizzate per i miei atleti.

Non considero sufficiente il riscaldamento specifico svolto con l’alzata allenata. Iniziate con mobilità generale che vada a toccare tutte le maggiori articolazioni del corpo. A questa farete seguire del lavoro specifico per aumentare la mobilità specifica necessaria per la panca(aumento dell’arco lombare,ecc). Nell’ultimo anno ho iniziato ad inserire tra la mobilità specifica e il riscaldamento specifico alcuni esercizi con gli elastici utilizzati per educare a livello propriocettivo l’atleta,simulando alcune sensazioni che poi dovrà ricercare con il bilanciere in mano.

-Stretching e mobilità: lo stress a carico della parte superiore del corpo sarà molto elevato,specialmente per via dei fermi lunghi. Un buon lavoro sulla mobility vi manterrà in salute e vi farà allenare meglio.
Molta attenzione va posta sull’allungamento dei tricipiti che in questo programma tendono a soffrire in modo particolare e potrebbero portare a qualche fastidio ai gomiti se non adeguatamente trattati.

-Complementari: consiglio di utilizzare un movimento di tirata in ogni sessione. Non amo molto le trazioni su atleti pesanti,ma anche senza di loro i movimenti utili non mancano. La bellezza dell’allenamento della schiena è la quantità di esercizi di tirata che si possono utilizzare con un po’ di fantasia e cognizione di causa. Un esercizio che mi è sempre piaciuto molto utilizzare è il tanto bistrattato(almeno nell’ambiente pl) pulley. Eviterei varianti molto pesanti dei rematori quali rubish e pandlay row, molto utili in altre fasi della preparazione, ma che dati gli alti carichi facilmente utilizzati da atleti con un buono stacco da terra possono far salire facilmente la fatica complessiva. Limitate al minimo il lavoro diretto a carico di tricipiti, pettorali e spalle,saranno già molto stressati dalla panca: dip, panca stretta e distensioni sopra la testa varie non faranno parte dei vostri programmi per qualche settimana. Vedrete comunque voi stessi che una volta finito l’allenamento di panca non avrete la solita smania di fare altro lavoro di distensione.

I bicipiti invece mi è sempre piaciuto lavorarli distribuendo il lavoro su di una frequenza più alta piuttosto che appesantire la singola sessione.

Cosa fare dopo questo programma sulla panca piana?

distensioni su panca piana record

Posto che dopo questo ciclo il vostro massimale sarà già aumentato testare direttamente il nuovo 1rm non è l’opzione migliore.
Questo principalmente per due motivi:

  • Il primo è che anche se siete più forti vi trovate in una situazione in cui l’accumulo di fatica delle settimane trascorse è enorme e questo limita la vostra capacità di esprimere al meglio forza in un contesto di singola massimale.
  • Non siete condizionati alla tipologia di prestazione richiesta per essere efficaci e qualitativi con carichi submassimali.

Pertanto il lavoro che dovrete svolgere dovrà essere orientato allo svolgimento di un alto numero di alzate di qualità a carichi molto elevati (range 85/95% dell’1rm) e allo stesso tempo dovrete strutturare l’allenamento al fine di smaltire la fatica accumulata precedentemente,prestando allo stesso tempo attenzione a non perdere la grande condizione costruita con tanta fatica. Niente tagli drastici di volume quindi.

Alla fine di questa fase, della durata di circa 4/6 settimane sarete pronti a testare il nuovo massimale di panca piana, o ad andare in gara se siete degli agonisti.

L’articolo è di Federico Gallo

Federico è un allenatore veneto di Powerlifting ed allena la fortissima squadra dei Vikings.

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federico gallo

 

 

 

 

 

 

 

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Chest press: come si esegue e come farla correttamente

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Il macchinario Chest Press è uno dei più famosi in palestra. Utilizzato per la stimolazione del gran pettorale è spesso protagonista di errori esecutivi e dubbi da fugare. Una breve analisi ci permetterà di delineare una corretta esecuzione individuando gli errori più comuni, facendo definitivamente chiarezza su un esercizio all’apparenza semplice ma che può presentare qualche insidia.

Chest Press ed errori comuni: il mito dei gomiti alti

Spesso si sente dire di mantenere “i gomiti alti” durante la Chest Press. Lasciate che esprima tutta la mia perplessità nei riguardi di tale indicazione e vediamo di capire il perché questo accorgimento andrebbe evitato.

Tenere i gomiti alti” tecnicamente significa eseguire l’esercizio con l’omero a 90° o anche più di abduzione. Per raggiungere tale posizione la scapola dovrà quindi iniziare un movimento naturale di elevazione e rotazione craniale (come fisiologia articolare ci insegna), ragion per cui se si ascolta tale consiglio sarà impossibile il raggiungimento dell’assetto scapolare in adduzione e depressione (descritto nel concetto numero 1) così importante per la sicurezza delle nostre spalle.

Diversamente, posizionare le scapole in maniera corretta sulla panca determina automaticamente un “abbassamento dei gomiti” ovvero una partenza con omero a circa 45°-60° di abduzione, posizione senza dubbio più fisiologica per tutti i movimenti nei quali si spinge qualcosa. Provate a pensare a come vi posizionate quando volete spingere un oggetto di grosse dimensioni come un armadio. Di certo nessuno si mette a spingerlo coi gomiti sopra le orecchie e ciò non è un caso.

Come se non bastasse una spinta eseguita a gomiti alti aumenta di gran lunga il rischio di associare all’abduzione dell’omero di partenza anche una rapida intrarotazione nell’atto di vincere la resistenza di un peso, specie quando affaticati nelle ultime ripetizioni eseguite con traiettorie non perfette. Abbiamo già appurato nel precedente in precedenti articoli che l’associazione abduzione/intrarotazione è alquanto rischiosa per la spalla specie con carichi elevati.

chest press pettorali

Spostando il contendere su di un piano prettamente biomeccanico osserviamo che la spinta a “gomiti alti” è eseguita con un’adduzione dell’omero su di un piano orizzontale puro, sicuramente un movimento a opera principalmente del gran pettorale (vedi funzioni). Diversamente posizionarsi bene sulla panca e “abbassare i gomiti” comporta una spinta eseguita con un’adduzione/flessione dell’omero su di un piano ibrido orizzontale/sagittale, tuttavia anche qui lavoro per il gran pettorale (vedi le funzioni). In entrambe le esecuzioni quindi il muscolo target viene correttamente stimolato in base alle sue funzioni anatomiche, con la grande differenza che nella seconda la nostra spalla è decisamente più tutelata.

Chest Press: un’esecuzione scientifica

Vediamo di delineare un quadro nitido per eseguire correttamente la Chest Press. Partiamo dall’articolazione più a rischio durante l’esercizio: la spalla. La Chest Press va infatti eseguita come una Panca Piana bilanciere: scapole addotte, gomiti più bassi delle spalle e avambraccio perpendicolare al muro per evitare rotazioni sgradite. Mai eseguirla con i gomiti alti. L’altezza del sedile deve essere tale da permettere di avere le manopole all’altezza dei capezzoli o della parte bassa del pettorale e non all’altezza del collo.

Tale accorgimento aiuta il raggiungimento e il mantenimento di un assetto corretto durante la spinta. Mai spingere portando in avanti le spalle dopo aver terminato l’estensione dei gomiti: ricordate sempre di tenere le scapole ferme durante la spinta grazie al fondamentale contributo dei muscoli adduttori e depressori delle scapole. Tale accorgimenti diminuirà enormemente il rischio infortunio.

chest press esecuzione

Possiede normalmente due possibilità nella presa una cosiddetta orizzontale e una verticale. La prima garantisce un movimento su piano ibrido sagittale/trasversale simile a quello di una Panca Piana classica, la seconda invece avvicina i gomiti ai fianchi e sposta il movimento più verso un piano sagittale favorendo maggiormente l’attivazione del petto alto come abbiamo visto in precedenza.

Fate attenzione durante la spinta e mantenere in allineamento fisiologico il rachide cervicale: molto spesso soggetti con disequilibri muscolari, disfunzioni del movimento e cervicalgie croniche potrebbero effettuare involontariamente un’anteposizione del capo durante la spinta: imparate, tramite la contrazione dei muscoli profondi del collo, a prevenire questa alterazione che non farà altro che contribuire al dolore cervicale.

chest press macchina pettorali

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Come fare la dieta e non fallire

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Perché falliamo la dieta

Possiamo pressoché sempre ricondurre il fallimento delle dieta ad un fattore psicologico, vale quindi la pena analizzare come percepiscono la dieta le persone e studiare una strategia per ridurre lo stress derivante da essa.
In una ricerca di David Rogerson di Maggio 2016 viene analizzata l’esperienza dell’essere a dieta a mezzo di un’intervista strutturata a soggetti che hanno seguito strategie di perdita o mantenimento del peso sul lungo termine.

I partecipanti hanno descritto quali sono state per loro le principali barriere e facilitazioni durante questo percorso.

come fare la dieta

Cito Lyle McDonald dicendo: “You aren’t expecting absolute perfection & strictness in your dieting behaviour”
Che in italiano sarebbe: “Non ci si aspetta l’assoluta precisione e rigidità nelle abitudini alimentari”

Cosa vuole dire con questo?
Il problema degli approcci tipici alla dieta è che non permettono alcun grado di flessibilità, instaurando così nelle persone un desiderio sempre crescente nei confronti degli alimenti che NON POSSONO ASSOLUTAMENTE MANGIARE, fin tanto che questo desiderio non li consuma.
A quel punto i meno forti semplicemente cedono alla tentazione e spesso si instaura questa sensazione di fallimento che li porta a lasciarsi andare completamente e sentirsi sconfitti.

I dati sul successo delle diete non sono per niente incoraggianti:

IL 95% DI COLORO CHE SEGUE UNA DIETA RIPRENDE TUTTO IL PESO PERSO ED IL 30-50% DI QUESTI NE GUADAGNA DI PIÙ.

Questi dati sono scioccanti ma forniscono un’immagine ben chiara dell’inefficacia dell’approccio tipico alla dieta.

“SE NON SEI IN GRADO DI MANGIARE COME OGGI PER IL RESTO DELLA TUA VITA I RISULTATI NON RESTERANNO”

Ed è proprio qui che falliscono la gran parte delle diete, non permettendo alcun tipo di flessibilità ci sottopongono ad un regime che semplicemente non è sostenibile sul lungo termine… gettando così le basi per il nostro insuccesso.
Come possiamo quindi consolidare abitudini alimentari che ci permettano di aver successo con la nostra dieta e mantenere i risultati nel tempo?

Come seguire la dieta in modo efficace

Sono sempre stato affascinato dalla razionale alla base della dieta flessibile e dell’alimentazione intuitiva.

Moltissimi esperti di calibro mondiale quali principalmente:

  • Eric Helms
  • Alan Aragon
  • Layne Norton
  • Lyle McDonald

Sostengono fortemente questo approccio. Non bisogna però confondere la IIFYM  con la dieta flessibile.
L’IIFYM che in italiano sarebbe “se ci sta nei tuoi macro”  è stata la prima forma di dieta flessibile che ha ottenuto riconoscimento su ampia scala.
In questo caso la flessibilità si limita alla selezione degli alimenti e non all’applicazione della stessa.
Di fatti anche un approccio IIFYM può essere estremamente rigido,  basta fare un giro sui vari gruppi fitness FB per vedere persone che dosano l’olio con le siringhe o che semplicemente sentono di aver fallito l’obiettivo se hanno mangiato 5g di carboidrati in più.

L’obiettivo della dieta flessibile è quello di comprendere come funzionano le calorie, bilancio energetico ed i macronutrienti.
Bisogna eliminare la visione assolutistica sul cibo e comprendere che non esistono cibi buoni e cibi cattivi, esistono semplicemente cibi più o meno efficaci ed efficienti per raggiungere il nostro obiettivo.

Per sostenere meglio la dieta Eric Helms consiglia una mentalità inclusiva anzi che esclusiva. Cosa si intende per mentalità inclusiva?
Smettere di pensare “NON POSSO MANGIARE QUESTO ALIMENTO” ma pensare “ENTRO FINE GIORNATA DEVO AVER MANGIATO ALMENO QUESTI ALIMENTI”.
Passare quindi dal pensare “non posso assolutamente mangiare un biscotto oggi” al pensare “bene con le kcal e macronutrienti che ho a disposizione devo mangiare ALMENO 2 porzioni di frutta e verdura”.

Questo esempio serve a mostrare la differenza (anche a livello psicologico) dei due approcci.

Per comprendere meglio come possiamo migliorare l’aderenza alla dieta senza rinunciare completamente agli alimenti che desideriamo ed applicando una mentalità inclusiva ci viene in aiuto la definizione di dieta bilanciata di Alan Aragon.

come fare una dieta per dimagrire

Alan consiglia di ripartire il proprio introito calorico nel seguente modo:

  • 70% Cibi integrali e minimamente processati di cui amiamo il sapore
  • 10% Cibi integrali e minimamente processati di cui ci è indifferente il sapore.
  • 10% Cibo semi spazzatura o di dubbia “pulizia” di cui amiamo il sapore
  • 10% Cibo spazzatura di cui amiamo il sapore

Questo approccio alla dieta non ci vincola ad alcuna selezione degli alimenti ed allo stesso modo non ne vieta NESSUNO.
Traccia unicamente una linea guida di come inserire ciò che ci piace e ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra dieta giornaliera.

Ovviamente  quante meno calorie avremo a disposizione tanto meno saranno quelle derivanti dal cibo spazzatura che ci possiamo permettere.
Un atleta che compete nelle gare di bodybuilding (BB MP Bikini ecc..) nelle ultime fasi della preparazione ovviamente avrà a disposizione molte meno kcal rispetto all’inizio e mirando a condizioni estreme dovrà necessariamente avere un approccio più rigido.
La maggior parte di noi però non avendo questa esigenza può attenersi senza alcun problema a questo schema.

Un altro aspetto fondamentale per migliorare l’aderenza e l’applicabilità di uno stile alimentare è la visione sul medio lungo termine.
Tendiamo erroneamente a concentrarci eccessivamente sull’oggi, scordandoci completamente che il corpo si trova in una continua alternanza di momenti di deficit e surplus energetico, anche all’interno della giornata stessa, ed è la sommatoria di questi momenti ad avere realmente importanza piuttosto che il momento stesso.

Smettere di pensare all’oggi e spostare la visione su scala settimanale ci può essere infinitamente utile.

Nel caso ci fosse un’occasione per cui non possiamo e/o non vogliamo aderire al 100% al nostro piano alimentare non dobbiamo pensare di aver fallito o aver creato danni irreversibili. Basta semplicemente tenere in considerazione il bilancio settimanale per poter attenuare l’impatto di un evento particolare.

Facciamo un esempio: se oggi fosse il vostro compleanno e volete festeggiarlo con i vostri cari, volete godervi la serata anche senza esagerare e consumate quindi 500kcal in più di quelle che avreste dovuto assumere in questa giornata.
In questo caso basterà ridurre l’apporto calorico di 100kcal nelle 5 giornate successive per riportare il bilancio calorico settimanale al valore prestabilito andando così ad impattare minimamente il nostro percorso.

come dimagrisco

Ovviamente questo stratagemma, che Eric Helms ha nominato “PRESTITO CALORICO”, deve essere usato sporadicamente per sopperire a queste esigenze e non dovrebbe essere la norma.

Ci sono però avvenimenti che non vogliamo, E NON DOBBIAMO, precluderci.

Ha senso quindi attuare strategia per poter trasformare la dieta in uno stile di vita sano ed qeuilibrato che ci permetta di ottenere i risultati desiderati senza però andare ad impattare negativamente la qualità della nostra vita.

Riassumiamo quindi in una lista gli accorgimenti necessari a rendere più sostenibile una dieta:

  • Flessibilità nella selezione degli alimenti
  • Comprensione dei concetti alla base dell’alimentazione (kcal e macro)
  • Ripartizione coerente delle fonti alimentari
  • Applicazione di una mentalità inclusiva e non esclusiva
  • Visione sul medio/lungo termine
  • Gestione coerente degli eventi speciali

 

Il video articolo come fare la dieta e non fallire è di Filippo D’Albero.
Visita ed iscriviti al suo canale YouTube.

Filippo d'albero

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Materiale per approfondire:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27142984

‣https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/arti…
‣http://www.leanbodiesconsulting.com/a…
‣https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1…
‣https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2…
‣https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2…
‣https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1…
‣https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1..

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Proteine in polvere fanno male?

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Chi fa palestra ha ben presente quella sensazione di disagio che si crea quando beve le proteine in polvere in mezzo al pubblico. La vecchia signora pensa che è un drogato, la mamma premurosa gira lo sguardo del figlio dall’altra parte, ecc.
Ma veramente le proteine in polvere fanno male? Dobbiamo preoccuparci?
Scopriamolo!

La risposta a questa domanda è in realtà molto semplice: NO!
Se facessero male non sarebbero vendute o il consumatore leggerebbe sull’etichetta che nuoce alla sua salute. In realtà per il nostro organismo non c’è nessuna differenza tra gli integratori che assumiamo ed il cibo solido che mangiamo.

Questo perché noi parliamo di alimenti, mentre l’organismo legge nutrienti. Parliamo di proteine ma assorbiamo aminoacidi (di e tripeptidi). Il corpo non è in grado di capire da che fonte alimentare arrivano questi aminoacidi, se da un integratore o dal cibo solido.

digestione nutrienti ed alimentiL’organismo non riconosce se gli aminoacidi arrivano dalle proteine in polvere o dal cibo

Fanno male le proteine in polvere? Quando si e quando no

Capita raramente di leggere sul giornale notizie eclatanti di decessi per via degli integratori. Questi casi molto sporadici (infatti spesso la notizia arriva dall’estero) avvengono per difetti genetici sugli enzimi deputati alle proteasi o inerenti ai processi cellulari. Non è l’integratore a causare la morte, la persona aveva un’incapacità congenita di sopportare determinati carichi proteici che venissero dagli integratori o meno.  Questi soggetti sono così rari da fare appunto notizia e non riguardano il metabolismo delle persone normali (se una persona muore per aver mangiato le mandorle non è che le mandorle fanno in automatico male a tutti).

Le proteine in polvere fanno male al fegato o ai reni?

Da sempre si associa l’assunzione di proteine (in questo caso in polvere) a problemi ai reni o al fegato. Nei soggetti sani questa correlazione non è mai stata dimostrata e negli ultimi anni la letteratura scientifica ha messo in discussione la relazione anche per molte patologie.

È logico che il medico, in una posizione di cautela, consiglierà sempre d’evitare d’assumere qualcosa di cui non si ha bisogno. Il nostro non è un invito a non ascoltare il medico (prima che ci denunciano) ma semplicemente quello di studiare la letteratura scientifica in merito e poi farsi una propria opinione.

Le proteine in polvere fanno male? Conclusioni

Per concludere il consumatore può stare tranquillo sull’assunzione di integratori proteici, che in realtà non fanno altro che aumentare la quota di proteine nella dieta. Chi è curioso può fare sia una visita sul ministero della salute sia sul sito della WADA che regolamenta il doping a livello mondiale.
In questo modo vedrà i decreti ministeriali e le organizzazioni mondiali cosa pensano degli integratori proteici, avendo così un’idea super partes.

regolamentazione italiana integratoriMinistero della salute e legislazione integratori

proteine in polvere fanno maleSito organizzazione mondiale antidoping WADA

L’ultimo punto fondamentale che dobbiamo capire è che gli integratori sono comodi ma non apportano, a parità di macronutrienti, nessun vantaggio alla composizione corporea o alla performance.

Le proteine in polvere sostituiscono il merluzzo, l’albume, il petto di pollo, ecc. solo per comodità e in questa ottica la persona decise se integrare o meno.

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