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Tendinite zampa d’oca e ginocchio doloroso

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zampa d'oca palestra esercizi

Semitendinoso, gracile e sartorio sono tre muscoli situati nella regione mediale della coscia, I loro ventri muscolari hanno un decorso verticale/obliquo partendo dall’anca fino ad arrivare al ginocchio medialmente, dove si uniscono in un tendine comune dalla struttura palmata: per via di questa sua caratteristica prende il nome di zampa d’oca.

A causa di alcuni fattori di rischio o per un uso immoderato delle sue funzioni può infiammarsi e causare dolori. La corretta esecuzione di alcuni esercizi e movimenti nella vita quotidiana, durante l’attività sportiva e in palestra sono necessari per ridurre il rischio di incorrere in questa problematica.

Zampa d’oca: cenni anatomici

E’ situata nella parte mediale del ginocchio, superficialmente all’inserimento tibiale del legamento collaterale mediale con il quale, oltre a stringere rapporti anatomici, l’aiuta a resistere alle forze che tendono a portare il ginocchio in posizione di valgo (curvo verso l’interno).

Come detto in precedenza, la zampa d’oca è il tendine distale congiunto di tre muscoli diversi: semitendinoso, gracile, sartorio. I tre ventri muscolari condividono alcune funzioni:

  • intrarotazione del ginocchio (solo con ginocchio flesso)
  • flessione di ginocchio

Oltre a queste, ognuno dei tre muscoli ha altre funzioni che dipendono dalle proprie caratteristiche anatomiche.

Il semitendinoso è carnoso nella parte prossimale e prevalentemente tendinoso in quella distale. E’ situato nella parte postero-mediale della coscia e ha origine nella tuberosità ischiatica con un tendine comune al capo lungo del bicipite femorale con il quale, assieme al semimembranoso, costituisce il gruppo muscolare degli ischiocrurali, che condividono l’innervazione (nervo tibiale) e la biarticolarità.

La sua funzione, oltre a quelle già citate (zampa d’oca), è quella di estendere e addurre l’anca.

 Il muscolo gracile origina dalla sinfisi pubica; assieme all’adduttore lungo, all’adduttore breve, all’adduttore grande ed al pettineo fa parte del complesso dei muscoli adduttori, dei quali è l’unico biarticolare. Con la sua azione flette e adduce l’anca.

Il sartorio ha un aspetto stretto e allungato (è il muscolo più lungo del corpo umano) ed è situato nella parte anteriore della coscia con origine nella spina iliaca antero-superiore. Le sue fibre hanno un decorso obliquo verso il basso e medialmente. Anch’esso biarticolare, con la sua azione flette, extraruota e abduce l’anca.

Fra il condilo prossimale mediale della tibia e l’inserzione del tendine della zampa d’oca c’è la borsa anserina (da pes anserinus, traduzione latina di zampa d’oca). La borsa è una struttura a forma di sacca, contenente liquido sinoviale e rivestita da una membrana sinoviale. Il suo compito è di proteggere l’articolazione ammortizzando e riducendo l’attrito fra le strutture tra le quali è interposta durante i movimenti.

Borsite e tendinite della zampa d’oca

zampa d'oca esercizi palestra

Un sovraccarico funzionale dovuto solitamente a movimenti ripetuti di flessione e intrarotazione del ginocchio, che causano attrito e aumentano la pressione sui tendini della zampa d’oca e sulla borsa anserina, può portare a uno stato doloroso nella zona mediale del ginocchio.

In questi casi potrebbe trattarsi di un’infiammazione alla borsa anserina (borsite) e/o ai tendini della zampa d’oca (tendinite). Questa condizione ha un’insorgenza graduale per un periodo prolungato, solitamente con una sensazione di bruciore/dolore nella porzione mediale della tibia, appena sotto il ginocchio.

A volte potrebbe presentare anche gonfiore, soprattutto in caso di borsite. Il dolore potrebbe essere rievocabile al tatto e nei casi più gravi potrebbe compromettere il riposo notturno. Potrebbe anche essere dovuto a un trauma diretto (un urto).

Il salire e scendere le scale, alzarsi e sedersi da una sedia, il cammino in pendenza, la posizione seduta con gambe accavallate e una posizione di allungamento per il gruppo dei muscoli ischiocrurali sono azioni che portano solitamente a una sensazione di dolore in caso di borsite/tendinite alla zampa d’oca.  Il dolore non è invece presente durante la camminata in superfici piane. La flessione del ginocchio rappresenta invece uno stimolo algogeno.

Cause dolore zampa d’oca

Le cause sono spesso dovute ad un sovraccarico funzionale, ovvero continue sollecitazioni ripetute nel tempo, ad intensità eccessive, che causano microtraumi che portano allo stato infiammatorio; non a caso è una patologia molto diffusa fra gli atleti.

Inoltre, le donne risultano essere più colpite: questo è dovuto alla struttura del bacino solitamente più larga rispetto agli uomini, che si traduce in una maggiore angolazione del ginocchio (valgismo) e dunque in una maggiore pressione nell’area d’inserzione della zampa d’oca.

Oltre al valgismo, tra i fattori predisponenti troviamo:

  • ipotrofia/ipotonia dei muscoli stabilizzatori del ginocchio;
  • pregressi episodi di lesioni al legamento collaterale mediale e/o al menisco mediale;
  • artrosi;
  • sovrappeso;
  • errata biomeccanica in alcuni movimenti durante l’allenamento o la vita quotidiana (salire e scendere le scale).

Rimedi dolore zampa d’oca

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Ridurre al minimo i fattori di rischio, per quanto possibile, è un’ottima strategia preventiva, dunque è utile:

  • ridurre il peso in caso di soggetti sovrappeso;
  • rinforzare il quadricipite;
  • correggere la biomeccanica dei movimenti in cui inconsapevolmente si porta il ginocchio in posizione di valgo dinamico, cioè la caduta all’interno del ginocchio in esercizi come affondi, step up, squat; ed in altri movimenti quali la corsa, la camminata, il salire e scendere le scale, l’alzarsi e il sedersi;
  • eseguire esercizi propriocettivi al fine di migliorare la condizione di valgo dinamico grazie a un maggior controllo dei movimenti e una miglior percezione del proprio corpo nello spazio;
  • dopo valutazione, se alcune delle cause del ginocchio valgo sono dovute ad una debolezza dei muscoli abduttori e rotatori esterni d’anca è utile eseguire esercizi di rinforzo di questi muscoli, come grande e medio gluteo (abductor machine, clam shell, abduzioni con elastici o ai cavi) e stretching dei muscoli adduttori.

Ritorno all’attività sportiva

Nel caso in cui sfortunatamente incorri in questa patologia (la diagnosi è di pertinenza medica), sono utili le consuete raccomandazioni tipiche per i disturbi muscolo scheletrici: riposo, utilizzo del ghiaccio nella zona dolorosa e utilizzo di antiinfiammatori (a discrezione del medico), fisioterapia.

Superato lo stato infiammatorio puoi tornare gradualmente all’attività sportiva, con l’utilizzo di un adeguata programmazione e un sovraccarico progressivo e di tutte le accortezze preventive al fine di evitare ricadute.

Conclusioni sulla zampa d’oca

La corretta tecnica esecutiva, il giusto dosaggio d’intensità e volume d’allenamento e il mantenimento di uno stato fisico ottimale sono sempre parametri importanti nel mantenimento di un buono stato di salute fisica e la prevenzione degli infortuni permetterà di dare continuità ai tuoi allenamenti che si tradurrà in migliori risultati.

Bibliografia

-The Lower Limb Tendinopathies: Etiology, Biology and Treatment

-Bisciotti, Piero Volpi https://doi.org/10.1007/978-3-319-33234-5

-J Clin Rheumatol. 2007 Apr;13(2):63-5

-Donoghue DH. Injuries of the knee. In: O Donoghue DH, ed. Treatment of injuries to

athletes, 4th edn. Philadelphia: Saunders; 1987: 470–471

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK532941/#article-27061.s1

-Fitness posturale volume 2. Andrea Roncari

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Il sudore fa dimagrire?

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sudare fa dimagrire

Sudare fa dimagrire: sogno o realtà? Tutti sperimentano letteralmente sulla propria pelle il sudare, a causa di un intenso allenamento dentro o fuori una palestra o di un’estate afosa per i meno sportivi. Se ti stai chiedendo se il sudore fa dimagrire, sei nell’articolo giusto.

Come sempre cerchiamo di vedere la questione da un punto di vista scientifico, abbandonando i luoghi comuni e cercando di dare finalmente delle risposte convincenti ed inequivocabili.

Sudare fa dimagrire?

Tra i più inossidabili e radicati luoghi comuni che aleggiano negli ambienti fitness e nelle menti di chi li frequenta c’è senza dubbio il mito del “sudare“, ancora di salvataggio per quella fetta di popolazione che, spinta da tanti buoni propositi, decide di rimettersi in forma e dimagrire 1 kg al giorno per prepararsi alla fatidica prova costume.

Ecco che magicamente l’equazione “sudare=dimagrire” la fa da padrone partorendo improbabili allenamenti “fai da te” dell’ultimo mese o suggerendo fantasiose e stravaganti tecniche dimagranti a base di k-way o pellicole trasparenti sotto le magliette, magari con la speranza di dimagrire 10 chili in una settimana.

Per chissà quale strano motivo, il principale colpevole responsabile dei chili di troppo è sempre l’acqua, uno spauracchio che in tutti i modi si cerca di eliminare.

Che cos’è il sudore?

Il sudore è un liquido costituito principalmente da acqua e da alcuni ioni, secreto da ghiandole apposite: le ghiandole sudoripare che sono localizzate nella pelle e che sono circa 3-4 milioni. Già, il sudore è acqua e non grasso.

La composizione elettrolitica è simile a quella del plasma sanguigno, dove infatti ci sono sodio, potassio, urea, ammoniaca. Durante la fase di secrezione, una buona parte degli ioni vengono riassorbiti, mentre gli altri vengono escreti sulla superficie corporea.

In senso più ampio, il sudore svolge un’importante funzione di termoregolazione. Ad esempio, durante un allenamento moderato della durata di un’ora un soggetto perde circa 0.5-1 litro di acqua tramite sudore, valori che aumentano se l’ambiente è caldo. In un giorno e in condizioni di esercizio fisico vigoroso possono essere persi anche 10 litri di sudore, una bella quantità.

In alcune zone del corpo ci sono delle ghiandole sudoripare diverse da quelle che si trovano lungo tutta la superficie dell’organismo, come ad esempio a livello delle ascelle. La secrezione avviene in modo differente e prevede l’intervento di batteri, responsabili dell’odore del sudore. Questa secrezione è sotto controllo ormonale ed ha inizio dalla pubertà.

Quando si suda si bruciano calorie?

sudore fa dimagrire e bruciare grassi

Fuori il dente fuori il dolore (o il sudore?): sudare non fa bruciare più calorie. Piuttosto, se sudi significa che, probabilmente, stai facendo uno sforzo fisico (vedi: allenamento) ed è questo lavoro muscolare che induce una spesa energetica che fa bruciare calorie e non il meccanismo del sudare.

Inoltre, sudi quando l’attività svolta è intensa, difficile sudare molto se vai a fare una passeggiata. Qui entra in gioco il discorso dei carboidrati e dei grassi in quanto substrati energetici.

Viene sempre utilizzata una miscela di fonti energetiche e non esclusivamente o solo glucosio o solo acidi grassi. Tuttavia, a seconda dell’intensità dell’esercizio (ma non solo!) le quantità di glucidi e lipidi della miscela cambiano e una avrà la meglio sull’altra, contribuendo di più o di meno al rilascio di energia.

Più intenso è l’esercizio, più la miscela sarà costituita in maggior parte da glucidi; più è blando più saranno i grassi ad essere ossidati. Pensare che sudare faccia bruciare più calorie e più grassi è sbagliato, anche perché, considerando questo aspetto, quando sudi stai facendo un allenamento intenso e quindi i grassi vengono consumati poco a favore dei carboidrati.

Quanto fa bene sudare?

sudare fa dimagrire in palestra

Quando la temperatura corporea si alza, a prescindere dalla causa, l’organismo cerca di ripristinare il proprio equilibrio: la termoregolazione è un processo fisiologico e finalizzato al mantenere il corpo ad una temperatura ottimale. Sudare è uno dei meccanismi della termoregolazione, quindi sì: sudare fa bene.

C’è però anche da ricordare che sudare è importante tanto quanto integrare i liquidi persi per ripristinare una situazione di equilibrio: l’idratazione (o, meglio, la reidratazione) non è un parametro da sottovalutare, così come l’integrazione di sali minerali quando l’esercizio è di lunga durata e molto intenso.

Ricorda che quando senti lo stimolo della sete in realtà sei già disidratato: per prevenire una non-idratazione è meglio bere (acqua) a piccoli sorsi ad intervalli di 15-20 minuti circa. Questo perché bere la stessa quantità di acqua in una volta sola non ha lo stesso effetto e idrata di meno.

Inoltre, anche l’idratazione pre-attività fisica è importante al mantenimento delle condizioni ottimali durante l’allenamento: 5-7 ml/kg di peso corporeo nelle 4 ore prima di iniziare.

Sudare fa perdere grassi?

Da dove attinge l’acqua del sudore l’organismo? Siamo proprio sicuri che quest’acqua provenga dal tanto odiato grasso sottocutaneo?

Da un punto di vista funzionale il corpo ha più compartimenti liquidi:

  • ogni cellula contiene il liquido intracellulare (LIC), fondamentale per il corretto funzionamento dei processi metabolici;
  • al di fuori delle cellule c’è il liquido extracellulare(LEC): diviso in plasma (la componente liquida del sangue) e dal liquido interstiziale, localizzato tra le cellule.

È proprio da questo liquido interstiziale che l’organismo attinge l’acqua per la formazione del sudore nell’importante processo di termoregolazione che lo coinvolge. Il LIC costituisce un parametro fondamentale ed indispensabile per il corretto funzionamento di una cellula, difficile pensare che il corpo se ne possa privare facilmente andando a minare il corretto equilibrio intracellulare su cui si basano le reazioni che avvengono al suo interno.

Analizzando la composizione chimica di un adipocita, la cellula costituente principale del tessuto adiposo che tutti vogliono tanto eliminare, notiamo come esso possa essere considerato anidro (dal greco “privo d’acqua”), in virtù della bassa percentuale d’acqua contenuta al suo interno.

In condizioni normali infatti un adipocita è occupato per il 90% del suo volume da un’unica grossa goccia lipidica che spinge gli organelli in prossimità della membrana cellulare.

Difficile credere che il corpo si privi del liquido intracellulare, ancor più difficile pensare che se ne privi da una cellula che di acqua al proprio interno ne contiene pochissima.

La fascia per sudare fa dimagrire?

A questo punto, dovrebbe essere chiaro come fasce, outfit multistrato, rivestimenti vari, corse sull’asfalto a mezzogiorni ad agosto per sudare non facciano dimagrire. Sono un ottimo modo per indurre un’auto-disidratazione, a personale rischio e pericolo.

Il tuo amico ha usato la fascia e dice di vedere più in risalto gli addominali? Può essere, ha sudato, è disidratato, ma è solo un fenomeno temporaneo e dovuto alla perdita di acqua e non di grasso corporeo.

Quando fanno dimagrire le fasce? Quando mangi bene (in ipocalorica) e ti alleni, anche tenendole nel borsone e senza indossarle.

Fa bene o fa male sudare?

Tutti i fattori come l’alta temperatura ambientale, l’umidità e l’esercizio fisico provocano un aumento della temperatura corporea e di conseguenza inducono meccanismi di dispersione del calore per garantire l’omeostasi termica dell’organismo, tra i quali il più importante è costituito dalla sudorazione.

Sudare è fisiologico, non fa dimagrire ma ti permette di stare il più possibile in omeostasi.

Bibliografia

Gartner & Hiatt (2014). “Istologia”. EdiSES.

McArdle, Katch F., Katch V. (2015). “Exercise Physiology – Nutrition, Energy and Human Performance”. Chapter 25: Exercise and Thermal Stress, pagg. 598-641. Wolters Kluwer Health.

Co-autrice: dott.ssa Lucia Ienco

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Guida di base alla nutrizione

Guida di base alla nutrizione

Come mangiare correttamente per dimagrire

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Dieta di frutta e verdura per dimagrire e perdere peso

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dieta frutta verdura per dimagrire

Una dieta a base di frutta e verdura per dimagrire non può che sembrare un’idea vincente: fin da bambini (giustamente) insegnano che sono alimenti che fanno bene, anche se effettivamente non così benefici da permettere anche di perdere peso per il solo fatto di averli mangiati. Con questo articolo sono approfondite le caratteristiche di frutta e verdura, qual è il loro ruolo nella dieta, anche per chi fa palestra ed è uno sportivo. Se ti interessa scoprirlo, non resta che continuare la lettura!

Dieta con frutta e verdura a volontà

Basare la propria alimentazione solo su frutta e verdura non è una scelta sana, dal momento che, seppur alimenti salutari, sono comunque incompleti: grassi e proteine sono sostanzialmente assenti o presenti solo in ridottissima traccia, l’energia fornita deriva dai carboidrati e in misura minore dalla fibra. Dovrebbero essere comunque mangiati abitualmente ogni giorno in quanto fonte di:

  • acqua: aiuta a rimanere idratati;
  • micronutrienti: vitamine e minerali, elementi essenziali e differenti a seconda dell’alimento scelto;
  • fibra alimentare: importante substrato per il microbiota intestinale e una miglior funzionalità digerente;
  • fitonutrienti: non sono essenziali ma contribuiscono a contrastare infiammazione e ossidazione.

Mangiare frutta e verdura fa bene: ma fa bene in qualsiasi quantità? Per un’alimentazione corretta non vale mai la regola “di più è meglio”, nemmeno per i cibi più salutari e ricchi di nutrienti, come frutta e verdura. Piuttosto, è valido il principio “nella quantità giusta è meglio”: questo perchè sia un quantitativo in difetto che in eccesso non fa bene alla salute.

Ad esempio, consumare poca frutta e verdura è motivo di carenza di micronutrienti (e conseguenze) o è indice di un’alimentazione in generale scorretta. Dall’altra parte, un eccesso potrebbe comportare disturbi gastrointestinali per l’eccessiva fibra introdotta.

Per evitare di perdere nutrienti, sono sconsigliati:

  • la lunga conservazione poichè le vitamine perdono la loro funzionalità: meglio consumare i prodotti più freschi possibili;
  • il calore: fa avvenire l’idrolisi della cellulosa e la perdita di vitamine;
  • la cottura tramite bollitura, dal momento che i micronutrienti solubili si disperdono nell’acqua.

Quale frutta e verdura mangiare per dimagrire? Quanto si perde?

dieta frutta verdura per dimagrire

Frutta secca a parte, frutta fresca e verdura sono alimenti relativamente poco calorici in quanto costituiti prevalentemente da acqua (acalorica), ma alcuni sono più calorici di altri, come ad esempio la frutta zuccherina.

Sono alimenti che non possono mancare in una dieta per dimagrire, proprio per le loro caratteristiche e per il loro valore alimentare: in una dieta ipocalorica mangi meno del solito e così facendo non riduci solamente l’introito calorico e di macronutrienti, ma anche di micronutrienti. Inserire così frutta e verdura aiuta a raggiungere ugualmente il proprio fabbisogno di vitamine e minerali, che sono sempre indispensabili per la funzionalità dell’organismo.

In generale, non ci sono tipologie specifiche da escludere a dieta, se c’è il deficit calorico perderai peso a prescindere dalla frutta o verdura scelta. Tuttavia, è possibile preferire quella meno calorica in modo che a parità di quantità sia lasciato più spazio anche ad altri cibi. In questo articolo trovi vari tipi di frutta e le rispettive calorie: calorie della frutta: quante ne contiene.

La velocità con cui perdi peso dipenderà sostanzialmente da quanto è marcato il deficit impostato: più è alto più sarà rapido il calo del peso. C’è anche da sottolineare come improvvisi introiti energetici troppo bassi (deficit marcato) non siano sostenibili nel tempo, con il solo risultato di abbandonare la dieta e non raggiungere l’obbiettivo sperato.

Dieta frutta e verdura dimagrante per dimagrire

Alimenti acquosi e fibrosi sono sempre utili in una dieta dimagrante per riempire lo stomaco e dare un maggior senso di sazietà. Facciamo un esempio: un frutto e un cioccolatino possono avere lo stesso potere calorico, per ipotesi 100 kcal. Ma i cibi non sono solo calorie, infatti sono costituiti da nutrienti diversi e da sostanze che hanno un impatto differente sull’organismo: una mela per le sue caratteristiche dovrebbe aiutare di più rispetto ad un cioccolatino a smorzare la fame. A parità di calorie, la prima è voluminosa, non densamente energetica. ricca di fibra e nutrienti, mentre il secondo il contrario.

Anche inserire una porzione di verdura in ciascun pasto contribuisce ad avere meno fame, specialmente se mangiata prima del resto del pasto. In questo modo è più facile riempire una buona parte dello stomaco e dare il tempo agli ormoni anoressizzanti di far salire il senso di sazietà: così a fine pasto ti sentirai più pieno e meno propenso, anche inconsciamente, a mangiare di meno di primo, secondo o dolce.

Esempio menù di dieta con frutta e verdura

Per mangiare una quota adeguata di frutta e verdura, basati sul riuscire ad inserire nei tuoi pasti giornalieri un totale di 4-5 porzioni. 1 porzione corrisponde:

  • per la verdura a 200 g (80 g se insalata a foglia)
  • per la frutta 150 g (30 g per la frutta secca) (fonte LARN).

Ad esempio, puoi inserire la verdura a pranzo e a cena e un frutto a colazione e negli spuntini:

  • Colazione: fiocchi di avena, banana, 1 tazza di latte
  • Spuntino: 7-8 noci e un quadratino di cioccolato
  • Pranzo: insalatona, filetto di salmone alla griglia, 2 fette di pane
  • Merenda: arancia e uno yogurt
  • Cena: risotto alle verdure miste e tagliere di affettati

Dieta con frutta e verdura di stagione

dieta a base di frutta e verdura per dimagrire

Complice il supermercato che presenta 365/365 ogni tipo di frutta e verdura, oggi si è un po’ perso il mangiare cibi di stagione, anche perchè effettivamente non si sa a quale stagione appartenga un determinato frutto o ortaggio. Quali vantaggi ci sono nello scegliere alimenti di stagione?

Uno dei motivi è che probabilmente questi contengono meno nitriti e nitrati: sostanze che sono fornite alla pianta per farla crescere e il cui eccesso non fa bene alla salute poichè convertiti in metaboliti tossici per l’organismo (es. nitrosammine). Rispettando norme e tempistiche per le quantità utilizzate e raccogliendo il frutto/ortaggio nel momento giusto è assicurato un contenuto minore di questi composti azotati nell’alimento, anche con valori molto inferiori rispetto a quelli previsti dalla legge.

Il secondo, è che le colture fuori stagione tendono ad accumulare metaboliti non sempre benefici ma anche dannosi/tossici in risposta a stimoli ambientali e in caso in precise sollecitazioni, dato che comunque è un processo molto costoso per il metabolismo vegetale.

I prodotti di stagione, inoltre, possiedono un numero più elevato di antiossidanti, sicuramente un aspetto positivo: hanno una funzione protettiva e contrastano l’azione dei radicali liberi che portano ad un precoce invecchiamento cellulare e varie patologie.

Frutta e verdura in palestra e nel bodybuilding

Per quanto riguarda la salute, frutta e verdura andrebbero compresi anche nella dieta di chi fa bodybuilding poichè i pro sono maggiori dei contro come visto precedentemente.

In termini di macronutrienti, entrambe queste categorie di alimenti vengono compresi nei carboidrati: anche se pochi (o relativamente pochi per quelli più calorici) vanno comunque a contribuire al bilancio energetico e glucidico. Un’informazione più utile per la consapevolezza di ciò che mangi che effettivamente per un risvolto pratico: non sono 2o g di insalata in più a sbilanciare completamente il tuo apporto glucidico e calorico.

In quanto alimenti fibrosi e che possono causare discomfort intestinale, è meglio consumarli non poco prima di un allenamento: la fibra alimentare che contengono non viene digerita e proprio questo potrebbe causare gonfiore o dolore addominale, così come tutti gli altri alimenti fibrosi come legumi, cereali integrali. Un consiglio valido soprattutto per chi sa di avere difficoltà di digestione.

Dieta depurativa e disintossicante con frutta e verdura

dieta frutta e verdura detox

Tutti sanno che in una dieta detox che sia davvero tale non possono mancare la frutta e la verdura “perchè detossificano l’organismo”. Per fortuna in realtà, non serve ricorrere per forza ad una dieta disintossicante e depurativa e base di sola frutta/verdura: in particolare organi come reni, fegato, intestino sono presenti nell’organismo (anche) per svolgere proprio questa funzione.

  • Il fegato è la centrale metabolica dell’organismo e rielabora le sostanze che riceve
  • I reni filtrano il sangue e producono l’urina (liquido di scarto)
  • L’intestino tramite la formazione delle feci espelle le sostanze che non hai digerito e assimilato

Piuttosto che affidarti a tisane, infusi di erbe, tè drenanti che non hanno un reale beneficio, cerca di mantenerti in salute in modo che anche la funzionalità di questi organi che smaltiscono fisiologicamente le tossine possano funzionare al meglio.

Pensa ad esempio al fegato grasso: nel cronico bevendo molto alcol e/o sostenendo un regime molto ipercalorico (soprattutto se poco salubre), l’organo viene infarcito di cellule adipose, che alterano la normale funzionalità degli epatociti che non sono più capaci di essere efficienti nelle loro funzioni.

Conclusioni sulla dieta con frutta e verdura

In conclusione, frutta e verdura sono immancabili in una dieta: anche se non sono alimenti molto palatabili e a cui è facile preferire altro, i benefici sulla salute sono un motivo più che valido per consumarli. La quantità non deve essere eccessiva (come per qualsiasi altro alimento) ma giusta; sicuramente però è meglio una porzione in più che limitarti ad una porzione al giorno… Anche se dicevano “una mela al giorno leva il medico di torno”!

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Dieta dei 3 giorni per perdere peso

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dieta dei tre giorni per perdere peso

Perché passare una vita a dieta se puoi dimagrire velocemente in pochi giorni? La dieta dei tre giorni per perdere peso risponde proprio a questo: infatti, dovrai seguire un preciso schema alimentare solamente per meno della metà della settimana per raggiungere il tuo obbiettivo di perdita di peso.

Scopri se funziona realmente, perché e cosa mangiare.

Dieta americana dei tre giorni: cos’è?

Tra le tante diete che provengono dal nuovo continente, c’è questa “dei tre giorni”, definita anche dieta Birmingham. Come suggerisce il nome, lo schema settimanale che propone prevede:

  • 3 giorni consecutivi in cui seguire un preciso regime alimentare di dieta;
  • 4 giorni “di pausa” in cui puoi mangiare normalmente.

Questo sistema va poi ripetuto per massimo 3-4 settimane. Nei tre giorni sono previsti tre pasti (colazione, pranzo, cena) che complessivamente comprendono tutti e tre i macronutrienti, anche se in proporzioni differenti: ad esempio sono poco presenti i cereali, molto di più verdure, frutta e proteine.

Benefici della dieta dei 3 giorni

dieta dei tre giorni per dimagrire

Il fatto di non imporre uno schema rigido su tutta la settimana ma solo su tre giorni può aiutare a renderla più sostenibile: fuori il dente (i tre giorni restrittivi) fuori il dolore.

Uno dei motivi per cui una dieta fallisce è che richiede troppa fatica mentale: seguire pasti prestabiliti in quantità precise ogni giorno senza poter scegliere, nel pratico, non è per tutti. In questo caso, invece, i giorni di pausa potrebbero anche essere utili per “lasciare la corda” e non dover controllare minuziosamente quanto mangiare.

Per dimagrire

Innanzitutto, non scontato, è che se viene seguita senza compensare nei quattro giorni di pausa effettivamente fa perdere peso: puntare sul creare un bilancio calorico negativo settimanale grazie a tre giorni ipocalorici pone le basi per permettere il dimagrimento.

Il problema sorge quando i giorni “di pausa” sono considerati un’occasione per mangiare qualsiasi cosa e in quantità molto abbondanti “perché i tre giorni di dieta sono passati e puoi mangiare quello che vuoi”.

Per sgonfiarsi

Come in ogni dieta rapida, la perdita di peso che avviene è soprattutto a carico dei liquidi corporei: l’acqua, infatti, è il parametro che influisce di più sulle variazioni di peso sia in aumento che in difetto. Così, la dieta dei tre giorni può aiutare a sgonfiarti senza l’aiuto di una dieta detox.

Non è comunque un risultato che permane nel tempo, dato che il beneficio sarà solo temporaneo se non viene mantenuto con costanza nel tempo un certo regime alimentare.

Prima di Natale

Come prevenire i “danni” che possono fare i pasti delle feste? Molto semplice: nei giorni prima (o anche dopo) puoi tenerti più leggero e mangiare di meno, con ad esempio questa dieta in modo da bilanciare.

È comunque normale vedere il proprio peso corporeo aumentare dopo le feste: mangi più del solito, magari anche alimenti più ricchi di sale, zuccheri accompagnati dal bere (acqua e non) di più. Una situazione momentanea che viene risolta in poco tempo una volta tornati all’abituale regime alimentare.

Come visto poco prima, infatti, quel peso in più non è dato da grasso, ma da liquidi e depositi di glicogeno pieni, che a loro volta trattengono acqua. Se vuoi approfondire, trovi un articolo  su come sopravvivere alle abbuffate natalizie e non.

Esempio di menù della dieta dei tre giorni

cosa mangiare nella dieta dei tre giorni

Ci sono tre pasti giornalieri con quantità e alimenti molto precisi. Oltre a quanto indicato, puoi aggiungere come condimento sale, erbe aromatiche, pepe, margarina; al posto dello zucchero utilizzare dolcificanti acalorici.

Primo giorno

  • Colazione: mezzo pompelmo, 1 fetta di pane tostato con 1 cucchiaio di burro di arachidi, caffè o tè
  • Pranzo: 125 g tonno al naturale, 1 fetta di pane tostato, caffè o tè
  • Cena: 90 g di carne a scelta, 250 g carote, 1 mela, 125 g gelato

Secondo giorno

  • Colazione: 1 uovo sodo, 1 fetta di pane tostato, caffè o tè
  • Pranzo: 250 g formaggio in fiocchi, 5 cracker salati, tè o caffè
  • Cena: 2 wurstel, 250 g di broccoli, 125 g di carote, mezza banana, 125 g gelato

Terzo giorno

  • Colazione: 1 fetta di pane tostato, 1 uovo sodo, tè o caffè
  • Pranzo: 40 g formaggio gruviera, 5 cracker salati, 1 mela, caffè o tè
  • Cena: 250 g tonno, 250 g carote o barbabietole, 250 g cavolfiore, 250 g melone o kiwi, 125 g gelato

Funziona la dieta dei 3 giorni? Perché?

dieta dei tre giorni per perdere peso

La dieta dei 3 giorni funziona: e come non potrebbe facendo mangiare quantità molto ridotte di cibo? Per vedere scendere il numero sulla bilancia, infatti, mangiare di meno rispetto a quello di cui ha bisogno è un fattore imprescindibile.

Così, proponendo solamente tre pasti giornalieri, con quantità ridotte e con alimenti in generale non molto calorici (pesce, carne, verdura in abbondanza) è molto probabile che per la maggior parte delle persone si tratti di un regime ipocalorico, che fa effettivamente perdere peso. Infatti, giornalmente sono previste circa 1000 kcal.

Non è da dimenticare che la settimana è costituita da sette giorni e non solo da 3: sono determinanti anche gli altri 4 giorni al fine del funzionamento della dieta. Se infatti “annulli” il deficit calorico creato nei tre giorni mangiando molto (magari proprio perché affamato a causa dell’eccessiva restrizione) in quelli “di pausa”, recuperi senza troppa fatica il peso perso.

Inoltre, bisogna capire anche qual è il tuo obbiettivo, se perdere qualche chilo o se perdere grasso, aspetti che nel breve periodo non sono sinonimi: ciò che contribuisce al calo del peso è a carico sostanzialmente di acqua e glicogeno. Infatti, per perdere tessuto adiposo non bastano pochi giorni ma settimane.

Appare quindi chiaro come una dieta veloce faccia sì perdere peso ma non effettivamente dimagrire (meno grasso), soprattutto nel lungo periodo.

Se mantieni questo schema per le 3-4 settimane e nei giorni liberi mangi normalmente senza esagerare, è possibile anche perdere grasso poiché mantieni un deficit calorico per delle settimane. Anche in questo caso, però, è molto facile riprendere il peso perduto se dopo il mese previsto ricominci a mangiare esattamente come prima di cominciare.

Conclusioni sulla dieta dei 3 giorni

La dieta dei tre giorni è uno dei tanti metodi per dimagrire in quanto impone una strategia per farti stare con un bilancio energetico negativo: per solo tre giornate segui per filo e per segno quanto propone, le altre quattro puoi mangiare quello che vuoi, facendo comunque attenzione a non esagerare.

Se è una dieta che riesci a seguire senza troppa fatica e con cui ottieni risultati è quella che fa per te, altrimenti non c’è da preoccuparsi proprio perché non è l’unico modo per perdere peso. Se sei interessato all’argomento dieta e dimagrimento puoi approfondire con l’articolo sulla dieta per dimagrire oppure guardare questo video!

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Esercizi per braccia snelle e toniche

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esercizi per braccia toniche e snelle

Quando si parla di allenamento per gli arti superiori al femminile, le opinioni delle donne al riguardo si possono schematizzare in due correnti di pensiero diverse: la prima è quella del “no, non alleno le braccia o comunque le alleno poco perché non voglio diventare un uomo” e la seconda è “voglio lavorare molto con le braccia perché voglio togliere le ali da pipistrello”.

Qualunque sia il tuo pensiero a riguardo, è bene sapere che l’ allenamento dell’ upper body è fondamentale non solo da un punto di vista estetico, ma anche da un punto di vista funzionale. Questo vuol dire che tonificare e migliorare l’ aspetto delle “braccia flaccide” renderà non solo le braccia più toniche, ma migliorerà anche la qualità della vita oltre che ridurre scompensi posturali e infortuni. Vediamo in che modo.

Perché allenare il tronco e le braccia?

Se non avessi ancora del tutto chiaro perché è utile allenare l’ upper body metto qui i motivi fondamentali per cui è importante farlo:

1) mantenimento o recupero dell’ equilibrio tra la parte superiore e inferiore: questa potrebbe essere la motivazione estetica. Non solo l’ allenamento aumenta il tono muscolare, ma ristabilisce l’ equilibrio tra l’ upper e il lower body. Molte donne hanno una fisicità ginoide (fisico a pera), e questo sposta molto il focus sui fianchi piuttosto che su spalle, braccia e schiena. Oltre a questo, allenare solo gli arti inferiori può peggiorare lo stato infiammatorio e di ritenzione idrica degli stessi.

2) aumento della forza e della funzionalità nella vita quotidiana: avere braccia forti facilita la vita, perché banalmente ti rende più autonoma nel trasportare carichi di vario tipo, tra cui casse d’acqua o la spesa, senza contare che se sei madre probabilmente dovrai tenere in braccio un bambino di “x” chili per parecchio tempo durante la giornata. Inoltre avere braccia forti evita di compensare con la schiena, risparmiandoti dolori e infortuni.

3) correzione di posture errate: la vita di qualsiasi persona si vive “davanti”, nel senso che le braccia fanno più che altro movimenti in avanti, e questo porta a un atteggiamento posturale di chiusura delle spalle. Spesso e volentieri questo aspetto è accentuato dalla presenza del seno o da un lavoro sedentario. Chi ha un seno importante tenderà a chiudere maggiormente le spalle in avanti. Lavorare sul tronco e sugli arti superiori in termini di miglioramento di tono ed elasticità dei tessuti consentirà di correggere vizi posturali, ridurre gli infortuni o problematiche a collo e spalle. Tra i vizi posturali più comuni c’è sicuramente l’ anteposizione delle spalle. Allenare in modo logico l’ upper body consentirà di migliorare anche questo atteggiamento posturale.

Perché ho le braccia flaccide?

esercizi donna per snellire le braccia

In palestra molte donne lamentano la presenza delle famose ali di pipistrello/tende o semplicemente si sentono molto deboli a livello degli arti superiori. Il motivo per cui le braccia non sono toniche è semplice: non le stai allenando a sufficienza o non stai usando una tecnica o un programma adeguati. Se il muscolo non viene stimolato sufficientemente in fatto di carico e frequenza allenante non può mantenersi tonico e/o crescere.

Ad aggiungersi a questo fatto c’è da dire che con l’ aumentare dell’ età si assiste a un processo fisiologico chiamato sarcopenia, cioè si ha la graduale sostituzione del tessuto muscolare con il tessuto adiposo. Questo processo normale si riscontra in tutto il corpo ed è necessario rallentarlo il più possibile tramite l’ allenamento contro resistenza. Ecco perché con l’ aumentare dell’ età il “problema” delle “ali di pipistrello” è più frequente.

Un altro motivo per cui potresti avere le braccia flaccide può essere dato da un dimagrimento ingente e molto rapido. In seguito a una rapida perdita di peso infatti la pelle può rimanere flaccida in diverse parti del corpo, tra cui le braccia.

Allenamento braccia per donne: i principi fondamentali

esercizi per braccia toniche donna

Per ridurre o eliminare l’ effetto “braccia flaccide” valgono gli stessi principi dell’ ipertrofia che spiegano anche il mantenimento e la crescita degli arti inferiori. Questo significa che è necessario sottoporre gli arti superiori a un carico adeguato, allenarli con una buona frequenza e soprattutto seguire una programmazione che preveda un sovraccarico progressivo, in modo da ottenere risultati tangibili. E’ chiaro che oltre a queste variabili è fondamentale anche la tecnica di esecuzione, perché senza quella non si avranno progressi adeguati e il rischio di infortuni articolari aumenterà.

Parlando di “allenamento per le braccia” starai intendendo principalmente il tricipite e il bicipite brachiale ma, come già spiegato, deve essere allenato tutto il tronco, e quindi anche spalle, petto e schiena. Non si può ragionare per settori, ma in toto, perché la funzionalità del corpo e l’ estetica migliorano se tutto il sistema è in equilibrio.

Come vedremo più avanti, questo si traduce nella scelta di esercizi multi e mono-articolari, nell’ uso di diverse tecniche allenanti e nella variazione periodica degli angoli di lavoro per evitare sovraccarichi articolari e per dare nuovi stimoli di adattamento al corpo.

Sulla base di queste considerazioni le linee guida si possono riassumere così:

  • Se hai poco tempo focalizzati principalmente sugli esercizi multi-articolari (panca piana presa stretta, push up, dip, trazioni, lat machine)
  • Se hai tempo a sufficienza dedica la prima parte della seduta ad esercizi multi-articolari più difficili e poi orientati verso esercizi mono-articolari (curl, push down, etc)
  • Prediligi volumi di allenamento alti (3-4 serie con un range di ripetizioni 8-15), recuperi ridotti (30”-60”) e una buona intensità di allenamento (70-80% 1RM)

Esercizi per dimagrire le braccia: esistono?

Se stai leggendo questo articolo molto probabilmente ti starai chiedendo qual è il segreto per poter dimagrire sulle braccia. La risposta è che non esiste segreto, perché il dimagrimento è un processo fisiologico che interessa il corpo in toto, e non può essere localizzato.

Se hai una fisicità ginoide e perdi peso, molto probabilmente perderai prima tessuto adiposo a livello delle braccia e solo alla fine a livello degli arti inferiori. Questo significa che a determinare il dimagrimento è il deficit calorico e non l’ esecuzione di specifici esercizi per le parti che vorresti vedere più snelle e magre.

Esercizi efficaci per le braccia da fare a casa a corpo libero

Allenare le braccia a casa a corpo libero è possibile, anche se ovviamente il numero di esercizi è limitato non avendo attrezzi. Senza l’ utilizzo di pesi, i principali esercizi che si possono fare per le braccia e l’ upper body sono multi-articolari e full body. Tra questi ne ricordo alcuni:

  • Trazioni semplificate al tavolo con gambe piegate o tese.
  • Push up e varianti. Tra le più semplici ci sono i push up sulle ginocchia con le mani appoggiate su un rialzo, gomiti aperti. Se il livello di fitness lo consente si possono tenere le gambe tese con i piedi a terra o in rialzo, i gomiti stretti al busto per un maggior coinvolgimento del tricipite brachiale o ancora si può tenere un rialzo sotto una delle due mani.
  • Burpees e varianti.
  • Dips con gambe piegate se hai un livello base di fitness o gambe tese o in rialzo se hai un livello intermedio o avanzato.
  • Plank e varianti per un maggior coinvolgimento delle spalle (es. military plank).

Esercizi per le braccia con pesi e manubri in palestra

Se ti alleni in palestra o hai la possibilità di utilizzare manubri, bilancieri o macchine isotoniche, hai un’ ampia scelta di esercizi e varianti da provare. Come già accennato, è bene lavorare sia sugli esercizi multi che mono-articolari.

Tra i multi-articolari, si ricordano le trazioni (assistite con elastico, chin assist) e la lat machine. Sebbene in palestra molto spesso si eseguano questi esercizi con una presa inversa perché consente di sollevare più carico, è sconsigliabile farlo. Questo perché porterebbe a lungo andare a usura e problematiche articolari. E’ consigliata invece la presa neutra e, se con la lat, con il triangolo, non solo per evitare infortuni articolari ma anche perché consente una maggiore attivazione del bicipite brachiale. Tra gli altri multi-articolari si ricordano anche la panca piana con presa stretta e i dip, che consentono un’ ottima attivazione del tricipite brachiale.

Per quanto riguarda i mono-articolari invece si ricordano per il tricipite il push down (con sbarra, corda, cavo singolo, presa inversa), estensioni con busto a 90°, french press ed estensioni con manubrio o bilanciere dietro la testa.

Per quanto riguarda invece i mono-articolari per il bicipite si ricorda il curl con le sue infinite varianti e posizioni (con bilanciere, manubri, cavi alti o bassi, in piedi o seduta, con panca inclinata) e la panca Scott.

Esercizi per le braccia con gli elastici

Come detto prima, affinchè il tono degli arti superiori migliori, è necessario uno stimolo adeguato. In alcuni casi particolari (gravidanza, terza età, recupero funzionale), l’ utilizzo degli elastici come resistenza dà uno stimolo sufficiente per migliorare o mantenere il tono muscolare. Tuttavia se sei una donna sana senza particolari problematiche forse l’ elastico non dà uno stimolo sufficiente. Se ne hai la possibilità sarebbe meglio utilizzare i pesi oppure le macchine isotoniche.

Esercizi per le braccia per le donne in gravidanza

Come risaputo, l’ allenamento in gravidanza è fondamentale per la salute della madre e del bambino e, a meno che non ci siano controindicazioni da parte del medico, deve essere fatto. Partendo da questo disclaimer, è da sottolineare che soprattutto la donna in gravidanza è bene che mantenga un buon tono degli arti superiori, perché una volta nato il bambino molto probabilmente dovrà tenerlo in braccio per parecchio tempo, e la forza negli arti superiori sarà una necessità molto più funzionale che estetica.

Detto ciò, è chiaro che una donna in gravidanza deve evitare di sollevare carichi eccessivi o comunque fare attività che siano troppo stancanti o che possano peggiorare la sua postura già compromessa dal pancione. Per queste ragioni durante la gravidanza è più sensato puntare più al mantenimento del tono muscolare pre-esistente piuttosto che all’ ipertrofia pura.

Come linee guida quindi si può dire che se sei in gravidanza e vuoi mantenere il tono degli arti superiori è consigliabile allenarsi in palestra utilizzando macchine isotoniche o pesi liberi sempre in posizioni di sicurezza (evitare posizioni o posture instabili), utilizzare un volume alto (3-4 serie, con un range di ripetizioni che va da 8 a 15) riducendo però l’ intensità allenante per evitare di stancarsi troppo. Se per cause di forza maggiore non puoi andare in palestra, puoi allenarti a casa sempre con i pesi liberi oppure con l’ utilizzo di elastici.

Conclusioni sugli esercizi per le braccia

esercizi per braccia snelle

Allenare il tronco e gli arti superiori è fondamentale per le donne, non solo da un punto di vista estetico ma anche da un punto di vista funzionale e posturale. Incorpora nel tuo allenamento esercizi multi e mono-articolari che colpiscano i distretti muscolari interessati con diversi angoli di lavoro e diversifica gli stimoli per creare adattamenti nel tuo corpo.

Usa alti volumi e un range di ripetizioni che va dalle 8 alle 15. Se vuoi ottenere risultati scegli  carichi stimolanti, altrimenti il famoso effetto a “tenda” non sparirà. Se sei in gravidanza e non hai controindicazioni è fondamentale allenarsi anche per mantenere il tono delle braccia in vista del bambino che terrai in braccio.

Infine, come ultimo consiglio, alimentati in modo adeguato al tuo fabbisogno energetico giornaliero, perché senza un introito calorico sufficiente la muscolatura non può crescere.

Bibliografia

– Ebben WP, Jensen RL
Strenght trainig for women: Debunking Myths that Block Opportunity
The Physician and sportsmedicine 1998 May; 26(5): 86-97

– R Artal, M O’Toole
Guidelines of the American College of Obstetricians and Gynecologists for exercise during pregnancy and the postpartum period
Br J Sports Med 2003; 37: 6-12

– Roncari A
Project Exrcsie: volume 1 – arto superiore
IGB Group S.r.l 2017

– Schoenfeld, Brad J
The Mechanisms of Muscle Hypertrophy and Their Application to Resistance Training
Journal of Strength and Conditioning Research. 2010 Oct; 24(10): 2857-2872

– Wescott WL PhD Resistance Training is Medicine: Effects of Strength Training on Health
Current Sports Medicine Reports 2012 July/August; 11(4): 209-216

 

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Croci ai cavi alti o bassi per i pettorali

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Le croci ai cavi per i pettorali sono un esercizio ormai celebre ed estremamente amato nel panorama del bodybuilding italiano ed internazionale. La celebrità di questo esercizio deriva dal fatto che è stato, per lungo tempo, un unicum nel mondo dell’allenamento in palestra, essendo una tipologia di esercizi che allena i pettorali enfatizzando al massimo la fase di massimo accorciamento, fornendo una contrazione di picco che la variante con manubri o le distensioni non permettono.

In questo articolo analizzeremo quella che è l’esecuzione classica delle croci ai cavi, vedendo anche le diverse varianti che possiamo inserire nella nostra programmazione.

Croci ai cavi: esecuzione corretta

vantaggi croci ai cavi

L’esecuzione “classica” delle croci ai cavi prevede di lavorare con il macchinario crossover avendo, dunque, due carrucole, una a destra ed una a sinistra.

Nella posizione di partenza l’atleta ha le braccia aperte e, durante la fase concentrica, effettuerà un’adduzione dell’omero fino ad arrivare al massimo accorciamento possibile del gran pettorale. I cavi permetteranno di mantenere la tensione per tutto il ROM. Nella fase eccentrica semplicemente andremo ad allungare il pettorale fino ad arrivare alla posizione iniziale.

Errori comuni nelle croci ai cavi

croci ai cavi esercizio

Seppur le croci, nella sua versione ai cavi, risulta al più un esercizio di facile lettura ed esecuzione, è estremamente comune osservare puntualmente errori da parte di chi le esegue, scopriamoli assieme:

  • eccessiva abduzione e tilt anteriore scapolare durante la fase di accorciamento
  • braccia ipertese durante lo svolgimento dell’esercizio
  • utilizzare un carico non idoneo per la natura dell’esercizio

Un’eccessiva abduzione e tilt anteriore scapolare durante la fase di accorciamento muscolare è facilmente osservabile come in molti frangenti, appena si inizia la fase concentrica del movimento, (quella in cui si portano le maniglie dei cavi in avanti) e avviene una chiusura a livello del tratto scapolo-toracico (non si rimane belli aperti con la gabbia toracica ma ci si chiude), cosa che porta le spalle ad anteporsi eccessivamente, superando la linea del pettorale, “rubando” quindi lavoro muscolare a quest’ultimo.

Durante la fase di allungamento del pettorale, quando le maniglie dei cavi traslano posteriormente, le scapole si devono addurre e deprimere, una volta terminata tale fase, fisiologicamente le scapole si abdurranno, ma l’eccessiva abduzione creerà lo scenario poc’anzi descritto, quindi un aumentato scarico di lavoro sul deltoide.

In sintesi è quindi importante controllare lo scivolamento scapolare durante la fase di chiusura dell’esercizio, assicurandosi che le scapole non si aprano troppo, cosa che porterà il gran pettorale in svantaggio meccanico.

Le braccia ipertese durante lo svolgimento dell’esercizio sono atteggiamento che porterà ad un maggior rischio di insulti articolari a carico dell’articolazione della spalla. limitando la possibilità di addurre le scapole entro i range fisiologici permessi dall’esercizio.
E’ consigliabile mantenere qualche grado di flessione dei gomiti durante la fase di allungamento muscolare, per poi estendere le braccia durante la fase di accorciamento o chiusura.

Utilizzare un carico non idoneo per la natura dell’esercizio risulta opportuno utilizzare una resistenza adeguata per eseguire l’esercizio in maniera consona, con un giusto timing delle varie fasi del movimento, evitando gli atteggiamenti sopra descritti, frutto anche, di una eccessiva smania di voler utilizzare un carico troppo elevato.

Le croci ai cavi risultano un esercizio che si presta molto bene a lavori a range di ripetizioni medio-alti, dove lo stress metabolico fa da padrone, e le resistenze utilizzate sono relativamente basse per rendere l’esercizio sicuro e chirurgico sul muscolo target di nostro interesse, il gran pettorale.

Varianti esecutive delle croci ai cavi

esecuzione croci ai cavi

Esistono diverse varianti esecutive dell’esercizio croci ai cavi, ed ognuna di esse è vittima di accorgimenti tecnici importanti da rispettare. Vediamole quindi assieme:

Croci in piedi ai cavi alti

È la variante classicamente più utilizzata, che permette un ottimo isolamento muscolare del gran pettorale a scapito del deltoide anteriore. In questa variante è importante posizionarsi oltre la linea dei cavi, circa due passi più avanti, con il busto leggermente inclinato.  Impugnando quindi le maniglie dei cavi, con la gabbia toracica ben aperta e le scapole in adduzione e depressione, concentrarsi sul movimento di adduzione dell’omero che deve partire dai gomiti e non dai polsi, fino al picco di contrazione del gran pettorale.

Consigliata la posizione con un piede in avanti ed uno indietro per avere maggiore stabilità ed equilibrio in corso di esercizio.

Croci in piedi ai cavi bassi

A differenza della variante sopra esposta, in questo caso ti ritrovi ad avere le maniglie dei cavi posizionate ad un’altezza più bassa sulle carrucole. Un’altezza troppo bassa (a livello del terreno) porterebbe però ad un forte coinvolgimento del deltoide anteriore e, sostanzialmente, ad una simulazione delle alzate frontali, esercizio per le spalle.

E’ consigliato quindi tenere un’altezza dei cavi a livello del bacino non più in basso. In questa variante l’attivazione muscolare si sposta preferenzialmente sui fasci clavicolari del gran pettorale, il deltoide anteriore sarà piu’ attivo durante l’adduzione dell’omero in questa variante rispetto quella ai cavi alti.

A 90 gradi

A differenza delle varianti in piedi, questa in appoggio su panca garantisce senza dubbio maggiore stabilità durante l’esecuzione dell’esercizio. Con la panca verticale, quindi a 90°, posizionata leggermente più avanti rispetto la linea dei cavi, posiziona questi ultimi ad altezza spalle ed esegui l’esercizio senza accelerare bruscamente la fase di contrazione in accorciamento, ma cercando di enfatizzare il lavoro lungo tutti i gradi di ROM concessi, inserendo anche un piccolo fermo di contrazione nel punto di massimo accorciamento del gran pettorale.

Croci su panca piana

L’ultima variante che discuteremo è quella su panca piana, con i cavi posizionati in basso. Rispetto alla variante con manubri, offre una tensione continua sul pettorale per tutto l’arco di ROM e, modulando l’inclinazione della panca, sarà possibile cambiare l’angolo di lavoro e quindi l’enfasi sui diversi fasci del pettorale, esattamente come avviene nelle versione con manubri.

Allenamento croci ai cavi in palestra e nel bodybuilding

Come già menzionato sopra, le croci ai cavi sono un esercizio che ben si presta ai lavori sul range di ripetizioni medio alto (10-20 reps), il carico esterno utilizzato sarà moderato ma finirà quasi tutto esclusivamente a carico del muscolo gran pettorale (alto carico interno).

Dobbiamo sempre tener conto in primis del volume totale per il muscolo gran pettorale ed il fatto di progredire sulle serie allenanti nelle croci ai cavi potrebbe essere un astuto metodo di aumento del volume allenante tramite un accumulo di lavoro derivante da un esercizio monoarticolare ma non è di certo l’unico metodo o necessariamente il migliore.

Bisogna valutare dunque come si vogliono impostare le progressioni sul distretto muscolare target in primis e non ragionare meramente sui singoli esercizi, progredendo su ognuno di essi, per ogni distretto muscolare, ogni settimana, poiché andresti incontro inesorabilmente ad un incredibile accumulo di fatica dopo pochissimo tempo, e saremo costretti a scaricare in maniera estremamente precoce.

E’ consigliato in linea di massima inserire l’esercizio croci ai cavi dopo il lavoro piu’ a sfondo meccanico, dato da esercizi quali: panca con bilanciere o manubri, piegamenti con sovraccarico, dips zavorrateAlcuni soggetti possono beneficiare anche del ragionamento inverso, ovvero eseguire un esercizio monoarticolare per i distretti carenti e solo dopo il lavoro con i multiarticolari.

Tale approccio inficerà inevitabilmente la performance sugli esercizi composti ma permetterà di partire con il muscolo già stimolato, in modo da canalizzare con più probabilità il lavoro sin dalle prime reps sul muscolo target.

Quante serie e ripetizioni fare?

Sett.1 → 3x 12-12-12 (variante in piedi ai cavi alti)
Sett.2 → 4x 12-12-12-12 (2 con variante in piedi ai cavi alti + 2 con variante in piedi ai cavi bassi)
Sett.3 → 5x 12-12-12-12-12 (3 con variante in piedi ai cavi alti + 2 con variante in piedi ai cavi bassi)
Sett.4 → 6x 12-12-12-12-12-12 (3 con variante in piedi ai cavi alti + 3 con variante in piedi ai cavi bassi)
Sett.5 → 6x 12-12-12-12-12-12 (2 con variante in piedi ai cavi alti + 2 con variante in piedi ai cavi bassi + 2 con variante da seduto in appoggio su panca)
Sett.6 → 6x 12-12-12-12-12-12 (2 con variante in piedi ai cavi bassi + 2 con variante da seduto in appoggio su panca + 2 con variante su panca piana)
Sett.7 → 6x 12-12-12-12-12-12 (3 con variante da seduto in appoggio su panca + 3 con variante su panca piana)
Sett.8 (scarico attivo) → 2x 12-12 (variante in piedi ai cavi alti)

Le 12 ripetizioni non sono un numero arbitrario o magico, potevano essere 10, come 13, come 15 o più, o cambiare nel corso delle settimane modulando il carico o inserendo tecniche di intensificazione, l’importante è capire la logica dell’esercizio, ovvero allenare un range di lavoro medio-alto, con serie portate al cedimento muscolare in modo da avere un reclutamento di tutto lo spettro completo delle fibre muscolari.

Inserimento delle varianti

Inserire le diverse varianti nel corso del mesociclo e dopo settimane che se ne utilizza maggiormente una passare ad un’altra, rappresenta un ottimo modo per cambiare angoli di lavoro e sfruttare i benefici che ogni variante può offrire. Nel caso si palesi un miglior feedback muscolare con una variante piuttosto che l’altra nel corso del tempo, non necessariamente dovrai inserire tutte le possibili varianti ma attingere soltanto da quelle o da quella che ci offre le migliori sensazioni.

Croci ai cavi o con manubri?

Risulta più conveniente l’esecuzione delle croci con i manubri o con i cavi? A questa domanda la risposta non può che essere dipende, ma scopriamo da cosa. L’esecuzione con i manubri porta i pettorali al loro picco di contrazione alla fine della fase eccentrica, ma non consente una tensione continua lungo tutto l’arco di movimento, infatti una volta che ci ritroveremo con le braccia in linea retta alle spalle, una ulteriore adduzione non sarà piu’ a carico del gran pettorale.

L’esecuzione con i cavi invece consente una tensione continua lungo tutto il ROM, non prevede quindi tratti morti o passivi per il muscolo target. Le croci ai cavi dovrebbero essere complementari a quelle con i manubri e non necessariamente alternative, consiglio pertanto di inserirle eventualmente entrambe e suddividere il volume in maniera equa.

Conclusioni sulle croci ai cavi

Le croci ai cavi sono un esercizio molto interessante per l’allenamento del muscolo gran pettorale, che è consigliato inserire in aggiunta al lavoro a sfondo multiarticolare a cura della panca, delle distensioni, delle dips, dei piegamenti ecc.
Segui tutte le indicazioni tecniche all’interno dell’articolo per poter trarre il meglio da questo esercizio.

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Dieta ipercalorica per prendere peso e aumentare la massa magra

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dieta ipercalorica per aumentare la massa muscolare

Non c’è aumento di massa senza energia in eccesso: un principio valido sia per chi vuole raggiungere il normopeso sia per chi nell’ambito della palestra e del bodybuilding vuole incrementare il tessuto muscolare. Su cosa basarti per costruire una dieta ipercalorica per mettere peso?

Cos’è la dieta ipercalorica? Definizione e significato

La dieta ipercalorica è un concetto generale che prevede un bilancio energetico positivo: l’energia che entra (ciò che mangi) è in eccesso rispetto a quella che esce e che viene spesa dal metabolismo basale, dallo svolgimento di attività fisica sportiva e non, dalla digestione degli alimenti.

È la dieta a cui rivolgerti quando vuoi aumentare di peso: senza l’eccesso calorico il numero sulla bilancia non diventa più alto. Numeri a parte, c’è modo e modo di prendere peso: a seconda dello stimolo i tessuti che rispondono all’eccesso energetico sono sostanzialmente quello muscolare e quello adiposo.

È chiaro che se vuoi restare in salute e/o raggiungere un determinato obbiettivo estetico bisogna puntare sull’incrementare la massa magra e non quella grassa: insomma, nello specifico dev’essere una dieta per aumentare la massa muscolare.

Il suo opposto in termini calorici e di obbiettivo è la dieta ipocalorica, che non è altro che il principio base di una qualsiasi altra dieta per dimagrire.

Fa male la dieta ipercalorica?

Seguire una dieta ipercalorica non fa male quando questa è equilibrata e non viene seguita per troppo tempo: il rischio sarebbe quello di ingrassare e di creare disordini metabolici, con tutte le loro negative conseguenze.

Mangiare in più soprattutto quando non svolgi esercizio fisico favorisce l’accumulo dell’energia in eccesso sotto forma di grassi e quindi di adipociti che si riempiono: diventi più grasso. Quando invece la dieta ipercalorica è programmata e in sinergia con l’allenamento, è più probabile che l’energia va a favore della massa muscolare.

Immagina che ci sia una competizione tra la cellula grassa e quella muscolare; in pratica per evitare che siano gli adipociti ad avere la meglio devi avere una buona base: muoviti, assicurati di avere una buona sensibilità insulinica, non creare un gap energetico troppo elevato rispetto alla normocalorica.

Cosa mangiare in una dieta ipercalorica?

dieta ipercalorica cosa mangiare per prendere peso

Non ci sono cibi specifici, l’importante resta l’assicurarsi il bilancio energetico positivo. Anche se potrebbe essere facile pensare che debba essere un regime alimentare molto ricco di alimenti proteici, in realtà non deve necessariamente essere (come vedremo) una dieta iperproteica. La scelta degli alimenti dovrebbe essere la stessa delle altre diete:

  • Non escludere categorie di cibi
  • Dare spazio a tutti i macronutrienti
  • Trovare un compromesso e un equilibrio tra cosa ti piace e cosa fa bene

Mangiare di più significa che le quantità e/o la qualità dei tuoi pasti cambia: le porzioni di uno stesso alimento diventano più grandi oppure ti dirigi verso la scelta di alimenti più calorici a parità di quantità. Soprattutto se ti sazi facilmente, è consigliabile:

  • scegliere fonti densamente energetiche: quelle che anche in piccole quantità apportano molta energia, come ad esempio olio e frutta secca;
  • scegliere cibi meno sazianti: perciò limitare il consumo di prodotti fibrosi (cereali integrali, legumi) e/o acquosi (alimenti freschi come frutta, verdura).

Consiglio che non deve sfociare nell’escludere cereali o frutta e verdura e nel preferire cibi poco sani che in grandi quantità non fanno sicuramente bene: ci vuole sempre un po’ di equilibrio. Esistono dei cibi che sono molto calorici e che inoltre hanno un effetto benefico, in un contesto adeguato, sulla salute: i pesci grassi (come il salmone), l’olio evo, la frutta secca, i semi.

Inoltre, piuttosto che fare pochi pasti molto consistenti, è utile distribuire le quantità in più momenti della giornata: oltre ai pasti principali (colazione, pranzo, cena) inserisci degli spuntini (metà mattina, metà pomeriggio, post cena).

Quante calorie assumere in una dieta ipercalorica?

dieta ipercalorica per aumentare prendere peso e aumentare la massa magra

Non esiste una dieta ipercalorica standard e uguale per tutti: uno stesso introito energetico per soggetti diversi può far diminuire, mantenere o aumentare il peso. Questo perché ognuno ha un proprio fabbisogno energetico, determinato da più fattori.

Di quanto aumentare le calorie rispetto alla normocalorica? In media, se sei una donna sono sufficienti 200 kcal, se sei un uomo 300 kcal. Oltre a questi valori, un altro modo può essere considerare di incrementare la normocalorica del suo circa 10%: ad esempio se quando il peso è più o meno costante assumi una media di 2000 kcal, per aumentare di peso passa a circa 2200 kcal.

Non aumentare in modo eccessivo l’input calorico: a più calorie introdotte non corrisponde un maggior sviluppo muscolare, in quanto la sintesi proteica è comunque limitata. Se il peso sale in modo troppo rapido, conviene diminuire (comunque restando in ipercalorica) l’introito, poichè stai depositando energia anche e soprattutto sotto forma di adipe.

Inoltre, un eccesso troppo elevato contribuisce a creare insulino-resistenza e, quindi, a rendere ancora più facile il deposito di grasso piuttosto che di muscolo. Lo stesso meccanismo avviene anche quando la sovra-alimentazione perdura per molto tempo: il muscolo diventa resistente all’anabolismo e non cresce. In questo caso, è consigliato ri-abbassare l’introito energetico in modo da ripristinare la sensibilità insulinica, per poi riprendere con l’ipercalorica.

Dopo aver impostato le calorie, passa ai macronutrienti (in ordine):

  1. Proteine: 1.6-2.2 g/kg peso corporeo;
  2. Grassi: minimo 0.5 g/kg fino a valori più alti per chi non tollera grandi quantità glucidiche;
  3. Carboidrati: le restanti calorie.

Dieta ipercalorica per mettere peso

Per iniziare una dieta ipercalorica sono necessari alcuni pre-requisiti: ad aumentare di peso sono capaci di tutti, ma farlo nel modo migliore no. Servono quindi degli accorgimenti.

Cominciare l’ipercalorica con una massa grassa ben rappresentata non è l’ideale e sarebbe più opportuno, prima di iniziare a prendere peso, perdere quanto necessario di tessuto adiposo. Un periodo di ipocalorica che ha portato dei buoni risultati è così la base per iniziare ad incrementare la massa muscolare.

Il “problema” che quindi nasce spontaneo è il tempo: volevi aumentare i muscoli in poche settimane, invece ti ritrovi ad affrontare prima un periodo di definizione per solo poi iniziare a vedere i risultati che speravi. Fa parte del gioco e ne va dell’obbiettivo finale. Per chi ha già raggiunto un soddisfacente livello personale di massa grassa bassa, invece, il problema non si pone e può procedere direttamente ad aumentare le calorie.

Dieta ipercalorica nel bodybuilding per mettere massa

I tre obbiettivi di una dieta ipercalorica nel bodybuilding sono: l’incremento della massa magra, il mantenimento della massa grassa e il miglioramento della performance. Il concetto fondamentale è che non c’è dieta ipercalorica che funzioni al meglio senza un adeguato programma di allenamento che prevede un incremento dei parametri allenanti.

Fai quindi attenzione sia alle gestione dell’alimentazione sia, di pari passo, a quella dell’allenamento.

Puoi scegliere se:

  • prolungare l’ipercalorica nel tempo (3-4 mesi) con un incremento costante di 200-300 kcal ogni tot settimane;
  • inserire un incremento più marcato ed intervallato da dei periodi di mini-cut.

La seconda strategia rispetto alla prima è consigliata soprattutto per i soggetti che fanno più difficoltà a sviluppare nuovo tessuto contrattile e/o a cui non importa vedersi più “appannato” per questo periodo in cui il focus è acquisire volume muscolare e non essere definito.

Un aspetto interessante da considerare come l’aumento ponderale/mese cambi a seconda del soggetto: da più tempo ti alleni (e quindi ottenuto si spera qualche risultato) e più è lenta la crescita del peso.

Livello di esperienza Incremento ponderale/mese
Beginner 1-1.5% del peso corporeo iniziale
Intermedio 0.5-1% del peso corporeo iniziale
Avanzato Fino a 0.5% del peso corporeo iniziale

Dieta ipercalorica per le donne

Anche se forse hai sentito qualche voce di corridoio che sostiene che le donne non debbano fare fasi di ipercalorica, in realtà non ci sono motivi a supporto: la biologia e fisiologia umana sono valide allo stesso modo per tutti.

Come accennato sopra, per le donne è consigliato un incremento leggermente minore rispetto agli uomini (200 invece di 300 kcal), ma comunque valgono gli stessi principi:

  • mantieniti attiva e segui un programma di allenamento efficace;
  • preferisci fonti alimentari salutari, ma concediti anche qualche sfizio per soddisfare l’appetito.

Dieta ipercalorica vegetariana e vegana

L’alimentazione vegetariana e vegana escludono cibi che sono sostanzialmente una fonte proteica: un aspetto secondaria in ottica di ipercalorica e aumento della massa muscolare, in quanto l’incremento energetico non prevede anche più proteine – il fabbisogno proteico è infatti più elevato quando la dieta è ipocalorica.

La “regola” in quanto a proteine resta sempre quella di variare le fonti, in modo da completare lo spettro aminoacidico, e di tenere un apporto leggermente più alto (+5-10%) rispetto a quella di un onnivoro. Per gli altri macronutrienti non è un problema coprire le quantità sopraindicate, in quanto fonti di carboidrati e grassi non mancano per vegetariani e vegani.

Conclusioni sulla dieta ipercalorica

In riassunto, ciò che serve per prendere peso è incrementare le calorie e, per trarne maggiori benefici, seguire un adeguato e progressivo programma allenante. L’obbiettivo è riuscire a favorire la crescita del tessuto muscolare e limitare quella dell’organo adiposo.

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Dolore al gomito: sintomi, cause ed esercizi

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Il gomito è una delle principali articolazioni che compone l’arto superiore insieme alla spalla e al polso. Il complesso articolare del gomito ci rende capaci di eseguire movimenti che permettono di svolgere attività quotidiane e gesti sportivi specifici che coinvolgono il braccio. In questo articolo approfondiamo le possibili cause di dolore al gomito, analizzandone successivamente i sintomi, i rimedi e gli esercizi più efficaci.

Cause del dolore al gomito

Il gomito può essere protagonista di traumi e quadri dolorosi di varie tipologie. Il dolore al gomito può derivare infatti da cause differenti e talvolta difficili da inquadrare. Innanzitutto il gomito può riferire dolore dopo un trauma (un colpo o una caduta violenta), nel quale l’articolazione può nei casi migliori subire una contusione e nei peggiori presentare una frattura o una lussazione del gomito.

Le cause statisticamente più comuni di dolore al gomito sono tuttavia da ricercare in quadri degenerativi a carico di alcune strutture tendinee che proprio nei pressi del gomito trovano il proprio punto di inserzione. Parliamo, nella fattispecie, del dolore nella zona laterale del gomito (chiamato anche “epicondilite”) e del dolore nella zona mediale del gomito (chiamato anche “epitrocleite”).

Nel primo caso ci si riferisce a una problematica che colpisce i tendini dei muscoli estensori del polso (inseriti sull’epicondilo omerale, nella parte laterale del gomito), mentre nel secondo caso ci si riferisce a una problematica che affligge i flessori del polso (inseriti sull’epitroclea omerale, nella parte mediale del gomito). Analizziamo più dettagliatamente queste due condizioni.

Dolore laterale al gomito

L’epicondilite (o “gomito del tennista”) è la principale causa di epicondialgia, ossia di dolore localizzato nella zona laterale del gomito. Questa viene chiamata anche “tendinopatia laterale del gomito”, ed è essenzialmente una tendinopatia inserzionale dei muscoli estensori del polso e delle dita, inseriti anatomicamente proprio a livello dell’epicondilo laterale dell’omero.

Come per tutte le tendinopatie che possono affliggere il corpo umano, le cause possono essere ricercate in uno squilibrio funzionale tra gli stress imposti sulle strutture tendinee e muscolari, e la capacità di recupero dei tessuti stessi. Tali stress sono dovuti ad una combinazione di forze tensive (generate dalla contrazione muscolare) e di forze compressive.

L’epicondilite colpisce più frequentemente l’arto dominante di soggetti tra i 30 e i 50 anni, e si osserva sia in uomini che donne in egual misura. Nello specifico, ne soffrono maggiormente soggetti che svolgono attività sportive o lavori manuali ripetitivi (come elettricisti, musicisti, macellai, impiegati addetti ai videoterminali, operai addetti alle catene di montaggio…), attività e mestieri il cui comune denominatore è rappresentato da sforzi prolungati o ripetuti che comportano l’estensione del polso e delle dita e/o la rotazione del polso contro resistenza.

Nonostante il proprio nome (che scopriremo in seguito essere oramai obsoleto) questa patologia si riscontra spesso in sport come lo Squash, il Badminton, la Pallanuoto, il nuoto e sport di lancio vari.

A dispetto del nome e del suo suffisso -ite, che richiama a un’infiammazione, il quadro è prettamente degenerativo e caratterizzato da alterazione dei tendini degli estensori del carpo e delle dita.

Il dolore al gomito è generato da un sovraccarico funzionale eccessivo di questi muscoli impegnati nelle attività manuali lavorative e sportive nelle quali sono previsti movimenti ripetuti contro resistenza di estensione del polso e delle dita e rotazione dell’avambraccio (come per esempio quando si svita un bullone). In contesto fitness lo stress funzionale in questione può essere dato anche dagli esercizi nei quali è coinvolta in maniera determinante una presa.

La persistenza di tali forze stressanti e lesive per i tessuti interessati può generare alla lunga alterazioni e degenerazioni tissutali che instaurano un circolo vizioso caratterizzato da dolore-immobilità-debolezza, il tutto amplificato anche da una possible ipersensibilità al dolore del sistema nervoso (specialmente nei casi di epicondilite cronica).

In particolare è stato osservato che un aumento repentino e poco graduale dello stress imposto sui tessuti tendinei è spesso il fattore che innesca i processi tendinopatici, per cui la colpa non è tanto della quantità di stress imposto, ma più della gradualità con la quale questo viene inserito (i tessuti tendinei hanno infatti necessità di un fisiologico tempo di recupero tra un’attività stressante e la successiva per poter adattarsi allo stimolo).

Dolore mediale al gomito

L’epitrocleite (o “gomito del golfista”) è la principale causa di eptroclealgia, ossia di dolore localizzato nella zona mediale (interna) del gomito. Tale condizione viene chiamata anche “tendinopatia mediale del gomito”, e si tratta in questo caso di una tendinopatia inserzionale dei muscoli flessori del polso e delle dita, e/0 dei muscoli pronatori dell’avambraccio, inseriti anatomicamente a livello dell’epitroclea omerale.

Allo stesso modo dell’epicondilite, le cause possono essere ricercate in uno squilibrio funzionale tra gli stress imposti sulle strutture tendinee e muscolari, e la capacità di recupero dei tessuti stessi.

L’epitrocleite colpisce più frequentemente l’arto dominante di soggetti tra i 35 e i 50 anni, (anche se è possibile riscontrarla in tutte le fasce di età) con un’incidenza leggermente più alta nel sesso maschile. In questo caso i soggetti più colpiti sono coloro che svolgono attività sportive o lavori manuali ripetitivi (come elettricisti, idraulici, macellai, carpentieri…) che prevedano sforzi prolungati o ripetuti che comportano la flessione del polso e delle dita e/o la pronazione dell’avambraccio associata ad una presa.

Nonostante il proprio nome questa patologia si riscontra spesso, oltre che nei golfisti, anche in altri sport come il tennis, allenamento con pesi, lancio del giavellotto, football americano, sport di lancio vari.

Il dolore al gomito nel caso di epitrocleite è quindi generato da un sovraccarico funzionale eccessivo di questi muscoli impegnati nelle attività manuali lavorative e sportive nelle quali sono previsti movimenti ripetuti contro resistenza di flessione del polso e delle dita e pronazione dell’avambraccio. In palestra lo stress funzionale in questione può essere generato anche dagli esercizi nei quali è richiesta una elevata forza di presa.

Solitamente i muscoli più coinvolti in questa patologia sono il flessore radiale del carpo e il pronatore rotondo, ma lesioni possono talvolta comprendere anche i muscoli palmare lungo, flessore superficiale delle dita e flessore ulnare del carpo.

Da sinistra verso destra i muscoli flessore radiale del carpo, pronatore rotondo, palmare lungo e flessore superficiale delle dita

Altre possibili cause di dolore al gomito

Sebbene il dolore laterale e mediale di gomito rappresentino la stragrande maggioranza dei quadri dolorosi a livello del gomito, è importante sapere che esistono anche diverse altre condizioni che possono portare al dolore al gomito, condizioni che non devono essere trascurate. Fra queste troviamo:

  • Problematiche articolari al gomito: da un punto di vista articolare, l’articolazione fra omero e radio e fra omero e ulna può essere sede di alterazioni sintomatiche

gomito

  • Problematiche al nervo radiale: questo nervo può infatti essere coinvolto nella cosiddetta “sindrome del tunnel radiale”, una patologia da compressione di un piccolo ramo del nervo radiale (il nervo interosseo posteriore) in prossimità del muscolo supinatore breve. Questa sindrome rappresenta una delle principali cause di fallimento di molte terapie, e può riferire dolore lateralmente al gomito sull’epicondilo e lungo il decorso del nervo radiale su tutto l’avambraccio dorsalmente fino alla mano. Il nervo in questione può risultare talvolta troppo sensibile agli stimoli meccanici e rispondere evocando i sintomi dell’epicondilite attraverso dei test clinici per la sua messa in tensione.
  • Problematiche al nervo ulnare: sindromi da compressione nervosa di questo nervo possono spesso sembrare epitrocleiti (può comunque succedere che le due cose siano presenti insieme simultaneamente).

  • Dolori riferiti e modulati da alterazioni al rachide cervicale o toracico: esistono evidenze del fatto che anche il rachide cervicale e quello toracico possono avere influenza sul dolore laterale al gomito. Questo soprattutto se il soggetto dolorante differisce in concomitanza anche dolore al collo una storia clinica passata di sofferenza cervicale. Il dolore al gomito potrebbe insorgere come dolore riferito cervicale o da radicolopatia (un disturbo a carico delle radici nervose cervicali).

dolore cervicale

  • Lesioni del legamento collaterale ulnare del gomito (localizzato nella parte mediale del gomito)
  • Quadri avanzati di artrosi del gomito, che possono riferire dolore e rigidità articolare conseguente a una degenerazione delle superfici articolari e della cartilagine che le ricopre. Questa condizione è tipica dei soggetti più anziani.
  • Tendinopatia distale del bicipite brachiale: un quadro tendinopatico a questo livello può causare dolore localizzato anteriormente al gomito
  • Tendinopatia del tricipite brachiale: seppur molto più rara dei quadri visti finora, una tendinopatia a carico del muscolo tricipite brachiale può provocare dolore localizzato posteriormente al gomito
  • Borsite del gomito: si tratta di un’infiammazione della borsa situata a livello dell’olecrano dell’ulna, un osso del gomito localizzato posteriormente a quest’ultimo.

Le borse a livello articolare hanno la funzione di cuscinetto che attutisce e neutralizza gli attriti a livello di strutture delicate come tendini e legamenti, hanno forma piatta e sono caratterizzate dalla presenza fisiologica di liquido sinoviale al loro interno. Se la borsa si infiamma diventa più gonfia, aumenta il liquido al suo interno e può divenire anche visibile posteriormente sul gomito.

Tra le cause di borsite al gomito possiamo avere un trauma posteriore, una pressione sul gomito costante e prolungata come per esempio su un tavolo, una scrivania o sul pavimento, un’infezione conseguente a un taglio o patologie infiammatorie come l’artrite reumatoide.

Sintomi del dolore al gomito

gomito

Dolore laterale al gomito

Il dolore al gomito causato da una tendinopatia laterale ha una manifestazione tipica caratterizzata da:

  • Dolore laterale al gomito localizzato a livello dell’epicondilo, dolore che viene evocato durante la palpazione della zona e che può irradiare fin lungo tutto l’avambraccio
  • Dolore nell’effettuare una presa specie con avambraccio in pronazione
  • Dolore nell’effettuare l’estensione del polso contro una resistenza esterna.

Spesso, inoltre, è possibile notare deficit della mobilità e forza degli estensori di polso, dei supinatori e dei muscoli posteriori del cingolo scapolare (cuffia dei rotatori, stabilizzatori scapolari), così come un deficit di forza della presa. In fasi acute il dolore può essere presente anche a riposo o con movimenti banali.

epicondilo

A un’attenta analisi è possibile diagnosticare clinicamente l’epicondilite del gomito grazie ad alcuni test come l’estensione del polso contro resistenza e con l’avambraccio pronato, il test di Maudsley, il test di Mill e il test di Cozen.

In generale il dolore al gomito è esacerbato dal sollevamento di un oggetto pesante afferrato specie con l’avambraccio in pronazione. In genere, la positività dei test sopra menzionati può indirizzare la diagnosi verso l’epicondilite, anche se tuttavia è doverosa un’attenta diagnosi differenziale nella quale vengano escluse eventuali ulteriori possibili patologie.

In palestra, in caso di epicondilite, è frequente la riproduzione del dolore in molti esercizi in cui è necessaria una presa salda, tra cui quelli di tirata per la schiena (Lat Machine, Trazioni) e quelli per le braccia nei quali è richiesto il sollevamento di un carico (Curl, Curl inverso, French Press). Ciò non toglie che, in caso di dolore molto intenso, ogni esercizio per gli arti superiori potrebbe provocare dolore.

epicondilite

Dolore mediale al gomito

I classici sintomi dell’epitrocleite prevedono invece un dolore molto localizzato interno al gomito che viene accentuato da movimenti di flessione del polso o delle dita con il gomito in posizione di estensione e l’avambraccio in supinazione. Inoltre, anche uno stress laterale sull’avambraccio con il gomito flesso o esteso e l’omero bloccato può provocare il dolore.

Per capire come si manifesta il dolore mediale del gomito, analizziamone i sintomi caratteristici. L’epitrocleite ha a sua volta una manifestazione tipica, caratterizzata da un dolore interno al gomito localizzato a livello dell’epitroclea, che può irradiare talvolta al polso e nel lato ulnare dell’avambraccio. Tale dolore può essere evocato da:

  • Palpazione diretta della zona di inserzione dei muscoli flessori del polso
  • Attività che richiedono una presa salda
  • Attività quotidiane e/o movimenti che richiedono una flessione e/o pronazione forzata del polso contro una resistenza esterna, specie se con il gomito esteso.
  • Attività o sport in cui sono previsti lanci ripetuti

epitrocleite

Spesso, inoltre, è possibile notare deficit della mobilità e forza dei flessori del polso, dei pronatori e dei muscoli del cingolo scapolo-omerale (in particolare nei movimenti di abduzione, extrarotazione ed estensione di spalla), così come un deficit di forza della presa. In fasi acute il dolore può essere presente anche a riposo o con movimenti banali.

In palestra, potenzialmente, a seconda anche della gravità del quadro, il dolore può essere esacerbato in qualsiasi esercizio in cui è necessaria una presa. Tuttavia, di solito il dolore è presente durante esercizi di tirata (come Lat machine e Trazioni) e durante esercizi per i bicipiti, specie con l’avambraccio supinato (come per esempio il Curl con bilanciere).

Lat machine supina

Importante comunque precisare che un dolore alla parte interna al gomito (epitroclealgia) non per forza è dovuto ai tendini dei flessori o solo ed esclusivamente ad essi. Come abbiamo visto in precdenza, infatti, sono comuni quadri di dolore derivati da una distrazione o lesione al legamento collaterale ulnare del gomito (specie post trauma) o infiammazioni del nervo ulnare che passa proprio in questa zona del gomito. In quest’ultimo caso i sintomi possono irradiarsi anche a livello dell’avambraccio come una tensione e fino alle ultime due dita della mano con formicolii e intorpidimento. Soprattutto nei casi molto cronici col dolore che persiste da molti mesi o anni è spesso presente un quadro di sensibilizzazione del dolore, il quale può presentarsi “a specchio” anche nel gomito opposto. 

Dolore al gomito: quanto tempo per guarire?

I tempi di guarigione relativi al dolore al gomito sono molto variabili e strettamente dipendenti dalla causa primaria della sintomatologia dolorosa, oltre che dall’entità dell’eventuale quadro patologico (trauma, infiammazione, degenerazione articolare, degenerazione tendinea, coinvolgimento nervoso ecc…).

Per quanto riguarda le due cause più comune di dolore al gomito, ossia epicondialgia ed epitroclealgia, la letteratura scientifica riporta che i sintomi possono durare in media dalle 2 settimane fino ai 2-3 anni. Nell’85% circa dei casi il dolore svanisce spontaneamente (con la sola rimozione/modifica dello stimolo provocativo) entro un anno ed è caratterizzato da possibili recidive e riacutizzazioni del dolore. Il restante 15% può andare incontro invece a quadri cronici che perdurano per oltre un anno.

In questo contesto, assolutamente da non trascurare è il sistema di elaborazione del dolore. Specie nei casi cronici che sono restii alla guarigione e che perdurano per molto tempo, è riportato un quadro di ipersensibilità dell’area, con un’alterazione nella modulazione del dolore a livello del sistema nervoso centrale. In altre parole, a questo livello può essere presente un’eccessiva sensibilità dei tessuti agli stimoli che conduce a elaborare uno stimolo doloroso amplificato.

La presenza di questi elementi, di dolore dall’intensità e/o durata anomala, e di altri fattori (come la migrazione del dolore nel gomito opposto) può essere riconducibile a un quadro di ipersensibilità del sistema nervoso centrale in un contesto di dolore cronico. Essi spiegherebbero perchè talvolta non vi sia correlazione diretta tra la patologia dei tendini nell’ecografia e la gravità dei sintomi.

Un altro motivo della cronicità del dolore al gomito può essere riscontrato nei casi in cui lo stimolo nocivo/doloroso non venga mai modificato/rimosso.

Rimedi e cure per il dolore al gomito: che fare?

Come curare il dolore al gomito? La doverosa premessa da cui partire in questo contesto è che come abbiamo visto il dolore al gomito può essere dovuto a una moltitudine di diverse cause, ragion per cui il trattamento più efficace dovrà in ogni caso essere stabilito in base alla causa di tale sintomatologia, oltre che alle caratteristiche individuali della persona, considerandone lo stato di salute, la storia passata e l’attuale livello funzionale.

Considerando le principali e più comuni cause di dolore al gomito precedentemente menzionate, possiamo dire che fra le diverse tipologie di trattamento comunemente proposte per la gestione e il trattamento di queste patologie troviamo:

  • Correzione/modifica/sospensione delle attività provocative che sovraccaricano durante la giornata i muscoli flessori/estensori del polso e pronatori/supinatori dell’avambraccio
  • Esercizi di rinforzo e allungamento dei muscoli flessori/estensori del polso e delle dita e dei muscoli pronatori/supinatori (esercizi isometrici e/o isotonici).
  • Terapia manuale
  • Tutori ed ortesi
  • Infiltrazioni locali di cortisone
  • Terapie fisiche (TENS, laser, ultrasuoni…)
  • Ghiaccio e farmaci antinfiammatori
  • Chirurgia
  • Riposo

Quale tipologia di trattamento è corretto prediligere? Cosa afferma la letteratura scientifica a riguardo?

Secondo gli studi un trattamento di tipo “multimodale” (comprensivo di più interventi terapeutici) è da preferire; tuttavia la parte principale e fondamentale del trattamento dovrà sempre essere l’identificazione e la successiva modifica/rimozione (da valutare per ogni singolo caso) dell’attività provocativa, insieme all’esecuzione di un programma di esercizi di ricondizionamento muscolare e tendineo volti a restituire elasticità, forza e resistenza ai gruppi muscolari interessati, così da facilitare la risoluzione del dolore e migliorare le proprietà meccaniche dei tessuti colpiti.

La funzionalità tendinea, infatti, è data dalla qualità e dall’organizzazione delle fibre collagene di cui le stesse cellule tendinee sono composte, ed è stato osservato che è proprio il carico espresso sui tenociti (tramite l’esercizio con sovraccarichi) il fattore chiave in questo contesto, in grado di regolare la risposta di sintesi proteica del collagene.

Il fattore più importante nel trattamento delle tendinopatie (nel nostro caso epicondilite ed epitrocleite) è quindi la gestione dei carichi. Applicare un carico ottimale (“optimal load”, diverso per ogni soggetto in base alle proprie caratteristiche) permetterà una riorganizzazione delle fibre collagene, migliorando di conseguenza l’organizzazione strutturale, la biomeccanica e la funzionalità tendinea.

Questo processo può essere svolto mediante contrazioni muscolare isometriche e isotoniche (di solito si preferisce somministrare contrazioni isometriche mantenute nelle fasi di irritabilità/dolore più elevate, per passare successivamente a contrazioni isotoniche concentriche/eccentriche e ad esercizi più complessi e globali) dei muscoli target (nel nostro caso la muscolatura flessoria ed estensoria dell’avambraccio e del polso).

Fondamentale in questi contesti sarà anche l’educazione del soggetto, che dovrà essere informato delle caratteristiche e del comportamento tipico di queste patologie, della prognosi media e dei fattori provocativi, così da ottimizzarne la gestione individuale.

epicondilite

Il messaggio chiave da portare a casa è quindi che il trattamento per questi disturbi si deve basare sull’educazione, sull’identificazione e gestione dell’attività provocativa, e sulla gestione dei carichi tramite esercizi. Altri tipi di intervento possono essere aggiunti con l’obbiettivo di ridurre i sintomi e ottimizzare il processo di guarigione, ma dovranno essere considerati come un’arma in più, e non come la parte principale del percorso riabilitativo.

Va tuttavia detto che in alcuni casi (come in alcuni traumi o contusioni violente, o in presenza di problematiche di degenerazione articolare molto avanzata) può risultare utile un approccio chirurgico.

Dolore al gomito in palestra

Quando si parla di esercizi con sovraccarichi in ambiente fitness e body building, tante discussioni nascono a partire dagli infortuni più frequenti che incorrono negli appassionati tra le mura della sala attrezzi. Tra le problematiche più comuni, oltre al dolore alla spalla, vi è senza dubbio il dolore al gomito, altro evento spesso fastidioso, debilitante e motivo di stop prolungati dagli allenamenti. Il gomito in palestra è  infatti un’articolazione coinvolta quasi sempre quando si eseguono esercizi per la muscolatura degli arti superiori: dai semplici esercizi monoarticolari per il bicipite e il tricipite, fino ai grandi esercizi multiarticolari per l’allenamento del gran pettorale e della schiena.

Dolore laterale al gomito in palestra

Il sovraccarico funzionale è dietro l’angolo quando si portano avanti con costanza programmi di allenamento mirati allo sviluppo della forza e dell’ipertrofia muscolare. In linea di massima non esistono esercizi da sconsigliare in senso assoluto e permanente, poiché l’epicondilite nasce da uno squilibrio tra il carico a cui è sottoposto l’apparato tendineo e il recupero che necessita per evitare fenomeni degenerativi. Per questo è fondamentale il dosaggio dei carichi di lavoro adeguatamente gestito grazie a una programmazione razionale e di buon senso.

Ad ogni modo, esistono alcune associazioni di movimenti che possono provocare ed esacerbare il dolore in quadri di epicondiliti sintomatiche, e la loro conoscenza è la base per capire perché viene l’epicondilite e come prevenire l’insorgenza di questo disturbo. Il fattore fondamentale in palestra è quindi gestire nel tempo questi movimenti (evitandoli temporaneamente, se necessario) dosando nella maniera più intelligente possibile il carico sui tessuti interessati. Gli esercizi in assoluto più a rischio sono quelli che prevedono movimenti di flessione del gomito associati a pronazione dell’avambraccio.

curl
La flessione di gomito con pronazione forzata aumenta lo stress a livello dell’epicondilo.

Quando il gomito è flesso, infatti, la pronazione forzata comporta tensione a livello dei muscoli aventi inserzione sull’epicondilo, tensione che si ripercuote sulla giunzione mio-tendinea e sui tendini stessi.

Gli esercizi a cui fare attenzione in particolare sono:

  • il Curl a presa inversa con manubri o bilanciere (in particolare bilanciere dritto, il quale genera forzature che non permettono di rispettare la normale biomeccanica del gomito). Questo esercizio andrebbe quindi limitato (se non eliminato temporaneamente) in fasi molto dolorose di epicondilite, a favore di un Curl con manubri classici (associazione di flessione e supinazione) e/o un Curl con bilanciere sagomato classico.

curl

  • Lat Machine , Trazioni e Pulley con presa prona. Le tipologie differenti di prese in questi due esercizi andrebbero costantemente cambiate durante i vari periodi dell’anno, evitando di allenarsi tutto l’anno con la presa prona. Alternate presa prona e presa neutra durante la vostra programmazione sia per ridurre il sovraccarico sugli estensori del polso e prevenire l’epicondilite, sia per variare gli stimoli muscolari in ottica ipertrofia.
  • Qualsiasi altro esercizio che necessita l’utilizzo di una presa salda che ostacola la forza di gravità.

lat machine

lat machine
La Lat Machine con presa prona (in alto), se eseguita con carichi e volumi mal dosati, nel lungo periodo può favorire lo sviluppo dell’epicondilite in soggetti predisposti. Alternate quindi durante l’anno di allenamento questa variante con quella a presa neutra o ai cavi svincolati (sotto) per prevenire l’epicondilite.

È importante aver ben compreso che, anche se esistono esercizi che per loro natura aumentano il fattore di rischio di insorgenza di epicondilite, l’elemento chiave in questo contesto è il rispetto della gradualità nella progressione e programmazione dei parametri allenanti.

L’esercizio fisico, infatti, ha dimostrato di provocare una riduzione netta del collagene tendineo durante le prime 24h-36h successive agli esercizi, ma un aumento netto (arrivando a quantità maggiori di quelle di partenza) dopo 36h-48h. In altre parole questo vuol dire che un tempo di recupero insufficiente tra un allenamento e il successivo potrebbe alla lunga alterare l’equilibrio tra sintesi e degradazione del collagene tendineo, determinando uno stato catabolico di quest’ultimo. Per tale ragione è raccomandabile inserire un recupero di 2-3 giorni tra le attività di carico pensante sul tendine ogni volta che si aumentano in modo importante i parametri di allenamento.

Questo non vuol dire che sia necessario prendere 3 giorni di recupero dopo OGNI allenamento, ma che ogni volta che si svolge un allenamento pesante a carico di un determinato distretto muscolo-tendineo, nel quale si è aumentato uno o più parametri allenanti (volume, intensità, densità…) sarebbe consigliabile un recupero di 2-3 giorni prima di fornire un ulteriore stimolo allenante elevato, così da garantire il fisiologico turnover di collagene intratendineo, evitando così l’insorgenza di processi degenerativi tendinopatici.

L’allenamento abituale, quindi, comporta un maggior turnover del collagene, mentre l’inattività riduce la sintesi del collagene (che ricordiamo essere alla base della funzionalità e salute tendinea). D’altro canto, anche un allenamento ripetuto con periodi di riposo troppo brevi può provocare un netto degrado della matrice tendinea e provocare lesioni da sovraccarico.

Dolore mediale al gomito in palestra

Anche in caso di dolore mediale al gomito in palestra saranno valide le medesime considerazioni appena fatte per il dolore laterale. In questo caso gli esercizi in assoluto più a rischio sono quelli che prevedono movimenti di flessione del gomito associati a supinazione dell’avambraccio.

Gli esercizi a cui fare attenzione in particolare sono:
  • Il Curl con manubri o bilanciere (in particolare bilanciere dritto, il quale genera forzature che non permettono di rispettare la normale biomeccanica del gomito). Questo esercizio andrebbe quindi limitato (se non eliminato temporaneamente) in fasi molto dolorose di epitrocleite.
  • Lat Machine e Trazioni con presa supina.
  • Qualsiasi altro esercizio che necessita l’utilizzo di una presa salda che ostacola la forza di gravità (molti movimenti e skill del calisthenics, per esempio, sono inclusi in questa categoria).
  • In soggetti molto rigidi anche la posizione forzata dei gomiti in avanti nell’incastro del bilanciere sulle spalle durante lo squat con bilanciere. In questi casi è consigliato allargare l’ampiezza della presa delle mani sul bilanciere per compensare un’eventuale rigidità di spalla in rotazione esterna.

curl bilanciere

curl sagomato

Oltre alla fondamentale ricalibrazione dei parametri allenanti negli esercizi appena citati, vediamo tre accorgimenti utili per ridurre l’epitrocleite in palestra e avviarci verso una definitiva guarigione.

  • Il primo accorgimento riguarda l’allineamento della presa: è tipico in soggetti che soffrono di epitrocleite cronica con recidive costanti, che durante esercizi come Lat machine, Trazioni o Pulley si assista ad una presa con eccessiva flessione del polso (allo scopo anche di vincere un sovraccarico eccessivo). In questo modo si genererà un sovraccarico importante a carico dei muscoli flessori del polso e delle dita, ostacolando la guarigione; per cui è fondamentale prendere coscienza di un’eventuale alterazione nell’allineamento della presa e correggerla (il polso dovrà ritrovarsi leggermente esteso di circa 20-30°).

  • Secondo accorgimento: la cura dello schema motorio, in particolare durante esercizi multiarticolari. In questi esercizi sarà importante cercare di ridurre il sovraccarico sui muscoli dell’avambraccio. Per fare ciò è fondamentale imparare a selezionare al meglio i movimenti dell’omero durante gli esercizi di tirata e di spinta. Per esempio, durante gli esercizi di tirata si dovrà pensare a tirare l’omero all’indietro e verso il basso. In questo modo lo stimolo sarà veicolato al massimo sui muscoli della schiena, diminuendo il sovraccarico sui muscoli dell’avambraccio. Sarà quindi necessario non pensare di tirare dai polsi, ma concentrarsi invece sul muovere i gomiti

  • Terzo accorgimento: sarà fondamentale aggiungere e integrare nella scheda di allenamento esercizi di ricondizionamento della matrice tendinea degenerata. Come riportato precedentemente, a seconda dello stadio dell’epitrocleite potremmo inserire esercizi isometrici, eccentrici o concentrico-eccentrici per i muscoli flessori del polso e pronatore rotondo.

Per quanto riguarda la gestione del dolore durante l’esecuzione degli esercizi la regola da rispettare secondo la letteratura è la seguente: è consentito al massimo un dolore che sia di bassa entità (che risulti quindi tollerabile) e che non peggiori ne durante ne nelle 24 ore dopo l’allenamento (deve quindi rimanere relativamente stabile, o diminuire poco dopo l’allenamento). In caso contrario, probabilmente il carico esercitato sui tendini è stato eccessivo, e sarà necessario ricalibrare nuovamente i parametri allenanti.

Dolore al gomito nel calisthenics

Che dire in merito al dolore al gomito nell’allenamento a corpo libero? Gli esercizi di questa disciplina creano spesso un elevato stress sulle strutture del gomito, coinvolte in maniera importante in praticamente tutti gli esercizi classici a corpo libero per la parte superiore del corpo. Epicondiliti, epitrocleiti e dolori all’avambraccio durante il rilascio della presa rappresentano infatti infortuni molto frequenti in coloro che si allenano a corpo libero. In particolare, attività particolarmente stressanti, e che di conseguenza richiedono un particolare occhio di riguardo, sono:

  • Esercizi in massima flessione di polso, come quelli eseguiti con l’utilizzo del “false grip” agli anelli o alla sbarra durante trazioni e muscle up. Il false grip può sovraccaricare i muscoli flessori del gomito, principali responsabili delle epitrocleiti.
  • Esercizi in massima estensione di polso, come le verticali, i piegamenti in verticale, i push-up, i dip alla sbarra e agli anelli, la planche. L’estensione di polso estremizzata in questi esercizi comporta un elevato sovraccarico delle strutture del polso.
  • Esercizi con grande richiesta di stabilizzazione in deviazione radiale, come la planche (e le propedeutiche varie) su parallele, la verticale su parallele, la L-sit (e progressioni come V-sit e Manna). La deviazione radiale richiesta può sovraccaricare il polso, generando dolore.

Come comportarsi dunque in questi casi? Analizziamo alcuni spunti utili:

Anche in questo caso sarà importante inserire nel programma di allenamento esercizi di rinforzo e stretching specifico per la muscolatura del gomito e del polso. Il fattore più importante tuttavia sarà ancora una volta il rispetto del principio della gradualità dello stimolo. Gli esercizi e le progressioni (sia degli esercizi “base” che delle “skill”) dovranno essere affrontati in modo graduale, dando ai tessuti il tempo di cui hanno bisogno per adattarsi alle nuove linee di carico (in particolare per movimenti “nuovi” o che non si svolge da molto tempo).

Se si è in presenza di quadri dolorosi sarà consigliabile cercare linee di movimento non dolorose, e laddove non sia possibile, rimuovere temporaneamente le attività più provocative (in particolare quelle sopra citate), per poi reinserirle in maniera graduale e progressiva una volta che il dolore sarà diminuito, e si sarà aumentata la tolleranza al carico dei tessuti.

tuck planche

Anche in questo caso sarà inoltre indispensabile dosare e personalizzare i parametri allenanti in base alla propria situazione e nel rispetto del dolore (che in alcuni casi potrà essere presente, purché non eccessivo e purché non peggiori nelle 24h dopo l’attività).

Un ulteriore consiglio è quello di iniziare gli allenamenti con un riscaldamento specifico per le strutture articolari che andremo ad allenare, con degli esercizi di mobilità attiva di gomito e polso. A seguito di questo introdurremo delle serie di avvicinamento al carico allenante, le quali ci renderanno ulteriormente preparati agli stress generati dall’allenamento.

Durante l’esecuzione di esercizi molto stressanti come la Planche, in presenza di epitrocleite, sarà preferibile utilizzare delle prese neutre del polso, e non supinate (evitando così la massima estensione del gomito associata a supinazione). In caso di dolori o problematiche al polso, invece, si potrà trarre beneficio dall’utilizzo delle parallele in sostituzione alla presa diretta sul pavimento. Sarà inoltre utile procedere gradualmente sia nell’arrivare nella posizione isometrica di Planche (e delle sue varie propedeutiche), sia soprattutto nel terminarla, rilasciando la presa molto lentamente.

Durante l’esecuzione di esercizi che richiedono un forte coinvolgimento dei flessori del polso per la stabilizzazione, come per esempio i piegamenti in verticale al muro, un consiglio in caso di epitrocleite sarà quello di andare ad eseguire temporaneamente tali esercizi in appoggio al muro, diminuendo cosi l’impegno muscolare richiesto per stabilizzarci.

L'articolo Dolore al gomito: sintomi, cause ed esercizi proviene da Project inVictus.


Come perdere 5 kg in un mese?

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perdere 5 kg in poco tempo

Cosa devi fare per perdere 5 kg in poco tempo? Sono sufficienti pochi giorni, un mese di dieta e palestra mirati per perdere finalmente peso? Scopri con questo articolo quanto tempo ti serve, quali quantità scegliere e quali alimenti privilegiare per un dimagrimento efficace.

Quanto tempo ci vuole per perdere 5kg? Quante calorie?

In quanto tempo puoi perdere 5 kg? La risposta che vorresti sentirti dire è “poco”, “1 giorno” o qualcosa di simile, ma in realtà non è così: ci vuole più tempo e la risposta più corretta è “dipende!”. Una risposta che di solito non piace perché non dà certezze.

Per perdere 5 kg di grasso da un punto di vista teorico basta fare qualche conto: 1 kg di adipe corrisponde a 7000 kcal (1 g = 7 kcal), diversamente dai grassi alimentari che invece ne contengono 9 per grammo poiché più disidratati.

Grazie ad allenamento e alimentazione, un connubio vincente per perdere peso rispetto al prenderli singolarmente, puoi creare un deficit (taglio) calorico e porre una solida base che ti consente di iniziare a veder scendere quell’odiato numero sulla bilancia.

Tale taglio deve corrispondere (sempre teoricamente) a 35000 kcal (7000 kcal x kg). Non resta che distribuirle: è chiaro che non è possibile non mangiare per molti giorni consecutivi per riuscire a raggiungere questo numero non di poco conto.

Ad esempio, per avere dei numeri alla mano:

  • se ogni giorno imposti un deficit di 500 kcal, ci vorranno 70 giorni, poco più di due mesi;
  • se 350 kcal allora ci vorrà più tempo: circa 100 giorni.

Tutto fila liscio, almeno nella teoria: poi nella pratica, subentrano la soggettività, le diverse risposte metaboliche, il fatto che all’inizio si perda più peso e poi man mano il calo sarà sempre più lento, ecc. Senza dimenticare che nella pratica il dimagrimento non è lineare: perdere grasso è fisiologia e non pura matematica.

Come perdere kg in fretta: i consigli fondamentali

Perdere peso in fretta è possibile, ma questo non coincide con il dimagrimento (meno grasso corporeo), che è invece quello che di solito si vuole perdere. Infatti, quando il peso cambia in poco tempo i responsabili sono l’acqua e il glicogeno (carboidrati), non il tessuto adiposo.

Basta così bere meno del solito e introdurre una quota minore di carboidrati per perdere peso. Per quanto riguarda i carboidrati, questi nell’organismo vengono depositati sotto forma di glicogeno nel fegato e nel muscolo e 1 g di glucosio depositato si lega a 3 di acqua.

Emerge così facilmente come una minore introduzione di glucidi si traduce in un deposito minore e quindi un peso minore. Un’altra variabile che influisce sul peso corporeo nel breve periodo è il sale: questa sostanza, con cui oggi è facile eccedere dal fabbisogno, ha infatti la capacità di trattenere i liquidi.

Cibi da privilegiare per perdere 5kg in un mese

Cosa devi mangiare per dimagrire? Quello che vuoi? Anche se non è la risposta che forse ti aspetti, sì! Come hai letto prima la base per la perdita di peso è l’introito calorico: una volta stabilito, puoi raggiungere quella quota di calorie e di nutrienti con qualsiasi alimento.

Non sono il togliere i carboidrati, evitare lo zucchero nel caffè, fare una dieta a base di frutta e verdura o il centrifugato di carote a colazione che fanno dimagrire. Se uno di questi metodi funziona è perché ti permettono di creare il deficit.

C’è anche da dire, però, che se da una parte è la quantità del cibo a determinare il peso, dall’altra è la qualità che contribuisce alla salute e al costruire un piano alimentare più efficace. Ad esempio, inserire alimenti fibrosi (cereali integrali, frutta, verdura, legumi) e proteici (pesce importante per gli omega-3, carne, uova, legumi) aiuta la sazietà.

Se in questo modo riesci a soddisfare il tuo piano alimentare e la fame, non bisogna dimenticare che oggi il cibo è anche gratificazione e appagamento: per soddisfare l’appetito puoi sicuramente toglierti qualche sfizio con i tuoi cibi preferiti e dimagrire comunque. Prima del singolo pasto c’è il contesto!

Perdere 5kg senza attività fisica

È possibile perdere peso anche senza per forza diventare degli sportivi: questo significa che il parametro su cui andare ad agire è l’alimentazione. I pasti così vedono diminuire le quantità oppure la scelta degli alimenti, preferendo quelli meno calorici a parità di peso.

È sicuramente più difficile dimagrire rispetto a chi invece fa attività fisica, soprattutto per chi già abitualmente mangia poco o sente facilmente la fame: protraendo per più settimane una dieta ipocalorica non sentirti sazio è praticamente inevitabile. Ma è un buon segnale: vuol dire che stai effettivamente perdendo peso.

Perdere 5kg con attività fisica

Se ti piace fare attività fisica, anche solo molto semplicemente andare a camminare nel tempo libero, sei avvantaggiato nella perdita di peso: rispetto ad un sedentario probabilmente hai un miglior assetto metabolico (non “per fortuna” ma proprio perché sei attivo) e puoi creare il deficit calorico tramite la spesa data dall’esercizio fisico.

Così puoi anche non intaccare più di tanto (dipende da quanto in più ti muovi) quanto mangi: un aspetto non da poco soprattutto se fai fatica a sopportare la fame.

Camminando

perdere 5 kg in poco tempo con la corsa

Senza dare troppo fiducia a smartwatch e app, che solitamente sovrastimano la spesa energetica, considera che in media quando cammini consumi circa 0.5 kcal/km/kg. Ad esempio, se pesi 80 kg e cammini a qualsiasi ritmo per 10 km consumi 0.5 x 10 x 80 = 400 kcal. Camminare può essere utile per dimagrire, poichè è una cosa semplice alla portata di molti e che può anche risultare piacevole per “staccare” durante la giornata.

Tuttavia, non è sicuramente tra le attività che fanno bruciare di più: per consumare maggiormente con la camminata puoi scegliere se incrementare i chilometri percorsi oppure preferire terreni in salita (che sarà più faticoso).

Correndo

Nel caso della corsa, invece, rispetto alla camminata a parità di chilometri e chili consumi di più: in questo la formula è 1 kcal/km/kg. Sempre nel caso del soggetto di 80 kg e dei 10 km, le calorie consumate sono il doppio (800 kcal).

Qual è il vantaggio del correre rispetto al camminare? Probabilmente, dato che oggi una delle cose che non si ha o si dice di non avere è il tempo, che bruci di più a parità di tempo –  poichè la velocità della corsa dovrebbe essere chiaramente maggiore di quella della camminata.

Per approfondire l’argomento puoi guardare questo video:

Con la palestra

A parità di tempo impiegato, un allenamento con i pesi fa consumare meno energia rispetto alla corsa: una media di 300 kcal/ora. Non per questo l’allenamento con i pesi è da scartare se vuoi dimagrire: soprattutto se ricerchi una ricomposizione corporea e necessiti di costruzione di massa magra è la via da preferire in abbinamento ad una dieta adeguata.

Perdere 5kg a 40 anni o a 50 anni

È possibile dimagrire anche dopo i 40? Certamente sì, i processi metabolici e fisiologici sono sempre gli stessi e la regola del deficit calorico vale sempre. Sicuramente sarà sceso un po’ il metabolismo basale, ma comunque si tratta di un calo non così drastico da rendere impossibile la perdita di peso.

Alcuni motivi principale per cui, forse, fai più fatica a perdere i chili sono:

  • ti muovi di meno;
  • non ti rendi conto di quanto effettivamente mangi (se troppo) a causa di abitudini consolidate negli anni;
  • a forza di innumerevoli tentativi di diete per perdere peso mangi troppo poco e hai spontaneamente abituato il tuo organismo a consumare poco.

Cosa fare? In sostanza, essere più consapevole di quanto e cosa mangi, incrementare la spesa energetica svolgendo dell’esercizio fisico: anche poco intenso come una passeggiata ogni giorno può fare la differenza.

Perdere 5kg dopo le feste

Per alcuni gli abbondanti pasti delle feste potrebbero essere un problema: come risolverlo? Premesso che non sono quei pochi giorni di feste ad essere il motivo dell’ingrassamento ma tutti gli altri, prendere peso nel giro di qualche giorno o settimana è normale quando mangi più del solito.

Ma non per forza questo è dovuto all’accumulo di grasso, anzi: quando l’incremento ponderale cambia da un giorno all’altro ci sono altre cause alla base come:

  • glicogeno: mangi più carboidrati e le riserve epato-muscolari si riempiono
  • acqua: legata sia alle molecole di glucosio del glicogeno sia trattenuta magari anche a causa del grande apporto di sodio.

Viene quindi da sé come la prima cosa da fare per perdere i chili delle feste sia semplicemente tornare al solito regime alimentare o, per compensare grandi eccessi, mangiare leggermente meno nei giorni vicini ai pasti molto abbondanti.

Trovi più informazione sull’argomento nell’articolo sulle abbuffate natalizie.

Perdere 5kg e non recuperarli subito

Se perdere peso è difficile, riacquistarlo è molto facile: una volta visto quel numero sulla bilancia tanto desiderato hai l’impressione di essere arrivato e di poter cominciare a mangiare come prima della dieta – alla fine dei conti, al peso target ci sei arrivato!

Invece non funziona così: la fase successiva è fondamentale per non recuperare i chili persi. Questo è più semplice da realizzare quando l’alimentazione instaurata durante il dimagrimento (ad esempio numero dei pasti, quantità,…) diventa un insieme di buone abitudini.

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Mobilità in palestra

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L’approccio medio alla mobilità è paragonabile a quello che hanno tutti i neofiti il primo giorno che entrano in palestra e non sanno fare nulla, cominciano a fare tutte le macchine guardando i disegnini che spiegano che muscoli allenano fino ad aver fatto un esercizio per tutti i muscoli, al massimo ne fanno due per un muscolo in particolare se gli interessa sviluppare proprio quel muscolo.

Alla fine della giornata il nostro neofita avrà fatto più o meno: chest press, pectoral machine (2 per il petto che è importante), lat machine, push down, curl manubri, leg extension, leg curl e forse calf seduto e magari tutto in 3×15.

Tutti noi, che ormai i pesi li bazzichiamo da un pezzo, ci rendiamo conto che questo approccio sia limitante. Magari da qualcosa nel breve periodo perchè per quello basta anche solo scollare il culo dal divano, ma sappiamo già tutti che dopo un po non darà nulla e il nostro aspirante sex simbol si stancherà di farlo perchè estremamente annoiato.

Sappiamo questo, ma l’approccio medio di chi si allena e si dedica alla mobilità è lo stesso. Ecco che cerca su internet i vari esercizi e uno alla volta allunga tutti i muscoli del corpo, magari un paio di esercizi per i muscoli che gli interessano particolarmente.

 

Alla fine della giornata il nostro pesista che si approccia alla mobilità avrà allungato: il pettorale, il dorsale, i femorali, il piriforme (se va bene), gli adduttori, i polpacci, il quadricipite, ecc… e magari tutto in 3×30”.

Magari prima non lo avevate notato, ma ora spero vi rendiate conto di come questo sia un approccio limitante, noioso e senza speranza di portare benefici nel lungo periodo, è lo stesso identico approccio che ha il neofita in sala pesi. In fondo non c’è nulla di sbagliato, potete essere i più esperti del mondo nella pesistica, ma la mobilità è un altro campo e qua siete dei neofiti al pari del deallenato che entra per la prima volta in palestra.

Poi fin’ora ho solo parlato del “COSA”, non mettiamoci in mezzo il “COME”…

Io, che ho iniziato con lo sport a 8 anni, che non ho mai sopportato la sala pesi come preparazione fisica perchè mi sembrava quanto di più lontano possibile ci fosse dallo sport, che non capivo come potesse essere utile andare in palestra, contare e soffrire quando per tutta la vita mi ero mosso e avevo imparato a controllare il corpo, che ho cominciato ad amare i pesi solo quando ho cominciato a sviluppare dei movimenti prima col powerlifting e poi con la pesistica e che quindi ho sempre avuto un approccio molto basato sul movimento ci ho comunque messo anni di studi per capire questa cosa.

Tutte le attività che vengono svolte in palestra o comunque usate da chi si allena in palestra hanno un retaggio derivante dal bodybuilding che sia quanto di più limitativo possibile: una visione MUSCOLOCENTRICA.

Mentre nel bodybuilding ha la sua logica perchè i Bber non devono sviluppare una prestazione bensì una resa estetica che rispetti determinati canoni per cui l’attenzione va posta ad ogni singolo muscolo, negli sport come la pesistica o il powerlifting o in attività come la mobilità il focus devono averlo il movimento.

Parliamoci chiaro, non vi fa male vedere uno strappo venir analizzato come nella foto? come un insieme di muscoli usati?

Ogni sport si basa sul movimento e sul suo sviluppo. Solo nel BB questo non avviene e non mi capacito come questo fatto possa influenzare così tanto altre attività. Provate a fare pesistica focalizzandovi sullo sviluppo del quadricipite invece che sulla triplice estensione poi mi dite cosa ne viene fuori.

Questa non è una critica al BB, che come detto DEVE basarsi sul muscolo, ma all’uso del BB come preparazione fisica. BB e preparazione fisica sono due cose diverse.

Gli sport, come la mobilità, sono MOVIMENTOCENTRICI. Il corpo impara ad esprimere al massimo le sue capacità quando le utilizza nello sviluppo di un movimento, di un’abilità.

Il corpo non è un insieme di compartimenti stagni e le sue massime espressioni le può sviluppare solo con la sinergia di tutti i suoi distretti. Il miofasciale non l’ho mai approfondito, ma mi hanno sempre colpito quei manichini che riproducono tutti i fasci dove se muovi il bacino in un certo modo vedi la testa fare “no no”.

Un altro esempio è la posturologia, sapete minimamente quanto sia complessa? Ho una scoliosi, colpa dell’unghia del dito sinistro più corta che porta ad uno scompenso dei muscoli interdigitali che porta…ecc…ecc… ad avere la muscolatura della colonna contratta… ecc…ecc… scoliosi. Naturalmente l’esempio è spropositato, ma il nostro corpo funziona cosi.

Se il nostro corpo è tutto collegato, come faccio a pensare di avere un miglioramento “isolandolo”? Certo che se voglio un miglioramento isolato in un punto, devo isolare il lavoro, ma se cerco il transfert per un gesto atletico non cerco il miglioramento di un punto isolato, ma di un’intera catena cinetica o forse di molteplici. Lo sviluppo di un punto singolo va lasciato a quando si ha un punto singolo carente.

Tornando a paragoni su temi a noi più consoni. Se doveste sviluppare forza nelle gambe cosa fareste? Leg extension e leg curl o squat? O magari ancora meglio squat e poi leg extension e leg curl?

Lo squat è un movimento, allenare lo squat significa allenare un’abilità che sfrutta delle capacità. Allenare il quadricipite o i femorali è un semplice migliorare le capacità di quei muscoli.

Se per diventare forti alleniamo lo squat, perchè per diventare mobili allunghiamo i muscoli invece che allenare, che so, un ponte? Per guadagnare mobilità di spalle ha più senso allungare singolarmente il pettorale o imparare a spingere in un ponte finchè le spalle non scorrono e si aprono?

Queste spalle vi sembrano bloccate? eppure io le alleno tanto poco direttamente. Le alleno con esercizi dove probabilmente il ponte è l’esercizio più semplice.

Un’altra limitazione che ha un apporccio muscolocentrico è anche il semplice numero di muscoli che abbiamo.

Guardate l’immagine sopra, rappresenta la posa del piccione reale o re piccione, in un semplice (beh tanto semplice non è) movimento come quello sopra guardate gli innumerevoli muscoli che vengono attivati/allungati. Nell’immagine poi non vengono nemmeno menzionati tutti perchè muscoli minori come il piriforme ad esempio non ci sono nell’elenco. Come si fa a considerare il nostro corpo, con tutti i muscoli che ha e le catene muscolari che si attivano per ogni singolo movimento come un mero insieme di muscoli?

Una cosa che ho notato nella mia breve carriera da atleta e allenatore è che spesso approcci troppo basati sui muscoli finiscono per basarsi solo sui più grossi e superficiali e tralasciano tutti i più piccoli e profondi che invece sono fondamentali anche solo per dare stabilità al gesto.

Per fare un esempio nel momento in cui si lavora su una spaccata frontale è importante allenare non solo femorali e adduttori in allungamento, ma anche l’attivazione e forza di glutei e di tutti i piccoli abduttori ed extrarotatori del femore che la fanno da padrone in un movimento simile. Se io mi mettessi a lavorare solo stretchando femorali e adduttori senza anche l’attenzione a tutta la parte attiva della spaccata i risultati sarebbero davvero limitati.

Considerate pure che quando si allunga un muscolo e quello fa male è una reazione di difesa del nostro corpo, è solo attraverso il movimento e la volontà di muoversi, attraverso l’attivazione degli agonisti che gli antagonisti riescono a rilassarsi. Questa è fisiologia spicciola, proprio la base del movimento umano, eppure nella mobilità sembra sempre non contare.

La parte attiva della spaccata la possiamo lavorare solo ed esclusivamente focalizzandoci sul movimento, rendendo la spaccata non un semplice scendere finchè le gambe non sono aperte, ma un aprire le gambe tramite contrazione.

Quello che vedete in video è un semplice esercizio di mobilità dove si associa un affondo ad una flessione all’indietro del busto.  Non mi sembra proprio di vedere solo dei muscoli allungati, ma dei movimenti complessi che si basano sullo “spingere” e lo spingere è la conseguenza della ricerca di movimento e non di allungamento di un mero muscolo. In questo esercizio in particolare è d’obbligo sia spingere con il piede sul muro per aprire l’anca e con le mani e le spalle per aprire l’articolazione della spalla e la schiena. Se non si spinge in questa posizione, ma si pensa solo ad allungarsi non riusciremo MAI ad arrivare in fondo alla posa.

Quando si fa davvero mobilità il dolore al muscolo allungato sparisce (in parte) e si fa strada la fatica dei muscoli che ci fanno muovere. Le pose diventano difficili da gestire perchè faticose, non perchè dolorose.

Poi certo che se ho problemi particolari, ho dei grossi limitanti, allora vado analiticamente a sciogliere quei nodi con esercizi più mirati al muscolo target.

L’esempio fatto prima rimane, i movimenti complessi sono il nostro squat, che va allenato per migliorarne le prestazioni, con varianti e alternando gli stimoli (si anche nella mobilità si usano molte varianti e stimoli diversi!!) mentre gli esercizi per i singoli muscoli sono i nostri esercizi di isolamento.

Insomma la progressione la sviluppiamo sui fondamentali, sullo squat o sul ponte, ma per farli progredire usiamo anche gli esercizi di isolamento.

A volte può essere utile inserire una variante semplificata del gesto come target intermedio/ a breve termine. Un esempio può essere toccarsi la testa con i piedi nel cobra come target a breve termine e quindi come esercizio da utilizzare in tutte le sedute dedicate alla mobilità e il ponte come target a lungo termine. Il ponte è un esercizio tassante che non sempre ci possiamo permettere e dobbiamo usare, mentre il cobra lo è molto meno e possiamo usarlo sempre anche quando abbiamo poco tempo. Inserire un target a lungo termine e uno a breve termine sono il modo migliore per progredire. Sempre in riferimento al nostro squat è come dire che dobbiamo migliorare i kg sul bilanciere, ma sculiamo per via di una catena posteriore debole quindi nel breve periodo punto a lavorare sul goodmorning e a rinforzarlo.

Per continuare nel discorso sulla mobilità devo però fare due precisazioni e cioè cos’è una:

ABILITà: è un’attività appresa e svolgibile con elevata probabilità di riuscita, minimo dispendio di energia e nel più breve tempo possibile. Le abilità riflettono la bravura della persona nell’eseguire un determinato movimento o più movimenti e sfruttano le capacità dell’individuo. In poche parole è saper fare un determinato gesto e migliorare in un’abilità è migliorare nella sua espressione. Es uno squat è un movimento e migliorare l’abilità dello squat significa esprimere più chilogrammi.

All’interno delle abilità si distinguono le ABILITà MOTORIE che sono azioni motorie automatizzate.

È importantissimo specificare che abilità motorie simili esercitano transfert le une alle altre.

Quest’ultima frase è quanto di più importante ci sia per la ricerca del transfert sulla prestazione dalla mobilità ed è il motivo per cui la nostra mobilità DEVE venir basata su movimenti che richiedono attivazione muscolare e non di cedere come nello stretching passivo.

La mobilità è ATTIVAZIONE, è CONTRAZIONE e non CEDIMENTO (ricordatevi questa frase perchè la ritroveremo spesso).

CAPACITà: sono quel complesso di prerequisiti che permettono al soggetto di esprimere azioni motorie, efficaci e consapevoli, tanto più complesse quanto più evoluto risulta il grado di sviluppo e di prestazione raggiunto. All’interno di ciò troviamo le capacità condizionali e cioè i prerequisiti strutturali quali forza, velocità, resistenza e flessibilità e le capacità coordinative che rappresentano i prerequisiti funzionali che riguardano la regolazione del movimento.

Tornando ai nostri esempi di prima possiamo semplificare dicendo che alleniamo un’abilità allenando lo squat e alleniamo una capacità usando la leg extension (non è correttissimo, ma passatemelo per buono) per rinforzare il quadricipite.

Nel fare mobilità dobbiamo sviluppare un’abilità, un gesto complesso che ci porti ad attivare in sinergia il nostro corpo. Se vogliamo degli sviluppi a lungo termine dobbiamo programmare una progressione nelle nostre abilità.

Esattamente come programmiamo uno sviluppo nello squat sfruttando varianti e complementari bisogna programmare uno sviluppo nel ponte usanto varianti e complementari.

Allungare il pettorale, allungare il dorsale, ecc… analiticamente e sperare di migliorare nell’apertura delle spalle, ma soprattutto sperare di migliorare nella stabilità in over head è da illusi. Farlo allenando un ponte o altri esercizi complessi è invece possibile.

Questo argomento va però ampliato e lo farò nel prossimo articolo dove parlerò di differenza fra FLESSIBILITà e MOBILITà. Anticipo solo che per avere dei riscontri nello sport non dobbiamo allenare l’ampiezza articolare e basta, questa potrebbe portare instabilità. Noi dobbiamo allenare il controllo e la capacità di generare forza nel rom più ampio possibile!

La mobilità è un’abilità, mentre flessibilità, forza e controllo sono le sue capacità.

Guardate la differenza fra quando cedo nel pezzo in cui scendo a quando spingo nel pezzo in cui salgo.

Autore: Marco Clementi

Sono un appassionato del mondo dei pesi e della mobilità. Amo unire i due mondi i quali sono estremamente collegati e si prestano l’uno al miglioramento dell’altro. Il mio percorso nello sport inizia a 8 anni con la barca a vela che mi avvicina al mondo della palestra e della mobilità. Dopo la maturità scientifica mi iscrivo all’università di Bologna al corso di scienze motorie laureandomi nel 2016. Durante questo periodo scopro il powerlifting e il weightlifting e grazie alla vittoria della borsa di studio del Governo Cinese riesco a concludere il mio percorso universitario a Pechino alla Beijing Sport University. Qui seguo un anno di lezioni e pratica di pesistica insieme ad atleti e allenatori di livello olimpico. Ho affiancato al percorso universitario la formazione sul campo grazie a vari esperti del settore con i quali mi sono formato e ai diversi corsi seguiti come quelli della FIPE e di AIF. Ho sempre amato condividere le mie conoscenze e le mie esperienze con quanta più gente possibile ed è il motivo che mi ha portato a scrivere per il project.

Se ti va di seguirmi su instagram, ecco il link: https://www.instagram.com/benchpressdiary/

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Come allargare le spalle? Esercizi efficaci

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Come allargare le spalle e quali esercizi servono a tale fine sono uno degli obbiettivi che vengono solitamente ricercati in palestra, in particolare se il fine è prettamente estetico. Un ottimo sviluppo delle spalle aiuta a conferire un aspetto armonioso tra parte superiore ed inferiore, accentuando la “forma a V o V shape“. Questo è molto importante anche in ambito del bodybuilding agonistico, soprattutto nelle categorie estetiche come Bikini, Figure, Men’s physique e Classic physique.

L’articolazione della spalla dovrebbe essere valutata prima di pensare la programmazione dell’allenamento, questo per verificare la presenza di eventuali rigidità, dolori o alterazioni posturali che possono limitarne il movimento. Il consiglio è di effettuare alcuni semplici test.

Qualora riscontri anomalie, si suggerisce di collaborare tra figure professionali per ottimizzare il percorso del soggetto. Nel presente articolo si dà per scontato di essere in presenza di una spalla in salute, senza limitazioni o problemi che potrebbero interferire con l’allenamento in palestra.

Come allargare le spalle? Come fare?

La doverosa premessa da fare è che questo articolo si focalizzerà sui dettagli, perchè parliamo di estetica e di bodybuilding. Certamente puoi ottenere uno sviluppo delle spalle eseguendo prevalentemente esercizi multiarticolari come military press, spinte con manubri sopra la testa ecc…

Quando inizi ad avere obiettivi estetici e non sei più ai primi mesi o anni di allenamento ha senso iniziare a contemplare nella programmazione una maggiore specificità, ragionando anche in funzione dei punti deboli del soggetto.

Non significa nemmeno lavorare solo con cavi ed esercizi monoarticolari, ma dovresti:

  • ricercare una giusta selezione degli esercizi,
  • adattare le esecuzioni al soggetto,
  • operare una progressione sensata dei parametri allenanti nel tempo consona all’obbiettivo.

Il deltoide è suddiviso in 3 porzioni (in questo articolo sul deltoide puoi approfondire le sue funzioni):

  • frontale
  • mediale
  • posteriore

Se il tuo obiettivo è quello di “allargare le spalle” è soprattutto sul deltoide mediale che devi concentrarti: di conseguenza selezionare e imparare bene i movimenti in cui esso è il protagonista.

Il capo anteriore del deltoide è coinvolto in molti esercizi di spinta orizzontale, può essere sensato limitare gli esercizi di spinta verticale sopra la testa a ROM completo (ad es. military press, spinte sopra la testa con manubri).

Non vuol dire non eseguire questi esercizi, ma essi chiamano in causa maggiormente anche il trapezio superiore, che se molto sviluppato rischia di creare un effetto di “spalle spioventi” più che ampie.

Questo ti consentirà di ripartire il volume maggiormente nei movimenti in cui il prime mover è il deltoide mediale, optando preferibilmente per varianti in cui trapezio superiore e deltoide frontale siano meno attivi.

Ricordati che si parla di sinergia: non attivi esclusivamente un muscolo, ma puoi enfatizzarne l’attivazione rispetto ad altri – i quali però si attiveranno in ogni caso.

Esercizi per allargare le spalle con i pesi

In questa categoria inseriamo gli esercizi che puoi svolgere con il bilanciere, in genere quelli che ti consentono di utilizzare carichi medio-alti.

Li suddividiamo in tre categorie:

  • Esercizi spinta verticale FULL ROM: distensioni sopra la testa con bilanciere in piedi o seduto (e varianti), qui la posizione di partenza in genere è con i gomiti lungo il busto e bilanciere a contatto con il petto, il movimento termina con le braccia distese sopra la testa. I muscoli più attivi sono: deltoide anteriore, deltoide mediale, trapezio superiore. Questi muscoli, in questa categoria di esercizi, sono più attivi rispetto al ROM parziale.

 

  • Esercizi spinta verticale ROM PARZIALE: distensioni incomplete sopra la testa con bilanciere fino a 90°-130°, il movimento è come quello delle distensioni sopra la testa, ma ci fermiamo quando i gomiti sono ad altezza delle spalle o poco sopra. I muscoli più attivi sono: deltoide anteriore e deltoide mediale. C’è una minore attivazione del trapezio superiore con carichi uguali o maggiori al 70% 1RM.

 

  • Esercizi di isolamento multiarticolari: tirate al petto con bilanciere: il muscolo protagonista è il deltoide mediale, ottimo esercizio multiarticolare che permette di limitare l’intervento del trapezio superiore.

Esercizi per ingrandire le spalle con i manubri

Li suddividiamo in tre categorie:

  • Esercizi spinta verticale FULL ROM: spinte sopra la testa con manubri (in piedi o seduto)

La posizione di partenza è con i gomiti lungo il busto e i manubri posizionati quasi lateralmente e leggermente più avanti rispetto alle spalle (piano scapolare), il movimento termina con le braccia distese sopra la testa. I muscoli più attivi sono: deltoide anteriore, deltoide mediale, trapezio superiore. Essi sono più attivi rispetto al ROM parziale.

 

  • Esercizi spinta verticale ROM PARZIALE: distensioni sopra la testa con manubri fino a 90°-130°.

Il movimento è come quello delle distensioni sopra la testa, ma ti fermi quando i gomiti sono ad altezza delle spalle o poco sopra. I muscoli più attivi sono: deltoide anteriore e deltoide mediale, minore attivazione del trapezio superiore con carichi uguali o maggiori al 70% 1RM.

 

  • Esercizi di isolamento monoarticolari: alzate laterali con manubri o al cavo basso, alzate laterali singole (eseguite in varie modalità esecutive).

Qui il movimento è generalmente una pura abduzione della spalla. Il muscolo tendenzialmente più attivo è il deltoide mediale.

Esercizi per allargare le spalle con gli elastici

Qualora non avessi a disposizione attrezzi, puoi eseguire con gli elastici il lavoro di isolamento (es: alzate laterali).

Essendo facile sottostimare le proprie capacità, soprattutto con elastici non molto duri, puoi valutare la possibilità di portare ogni serie al cedimento isometrico: arrivi a non chiudere l’ultima ripetizione e lotti trattenendo l’elastico finchè per cedimento totale il braccio ritorna in basso gradualmente. Scontato il consiglio di optare per alta frequenza.

Esercizi a corpo libero a casa per ingrandire le spalle senza pesi e attrezzi

In questo caso ci sono esercizi a corpo libero come gli hand stand push ups (per esempio).

Puoi eseguirli anche nella variante con mani rialzate se disponiamo di blocchi o parallele basse, ricercando un movimento di spinta verticale a ROM parziale, simulando quelli spiegati nelle categorie specifiche con bilanciere e manubri.

Unisci nella programmazione le varianti a corpo libero e quelle con gli elastici (qualora li avessi a disposizione).

Allenamento per aumentare le spalle in palestra e nel bodybuilding

Ora capiremo come unire i punti trattati e come inserire un lavoro mirato in una scheda di allenamento in ottica bodybuilding.

Quante serie e ripetizioni fare per esercizio

Le spalle sono un distretto muscolare piccolo che recupera velocemente, in genere 1-2 giorni (ma come sempre dipende): non ricevono mai un reale stress in allungamento come può accadere per il petto, ischiocrurali, glutei e quindi subiscono un minore stress meccanico.

Rep range: mediamente il rep range in cui si svolge gran parte del lavoro, considerando che la porzione stressata maggiormente per l’obbiettivo è quella mediale, va dalle 8 alle 12/15 ripetizioni. Puoi comunque svolgere lavori anche in rep range inferiori nel range delle 5-6 ripetizioni.

Serie: in linea generale, considerando questo volume come esclusivo per il deltoide mediale, si consiglia di iniziare con 10-12 serie allenanti, da cui poi muoverti verso un loro aumento o diminuzione in base alle progressioni e ai parametri di recupero soggettivi.

Dividi, per esempio, queste 10-12 serie in:

  • 3-4 serie: ESERCIZIO VERTICALE FULL ROM o ESERCIZIO spinta verticale ROM PARZIALE con manubri /bilanciere. REP RANGE: 5-6

 

  • 4 serie: ESERCIZIO DI ISOLAMENTO MULTIARTICOLARE. REP RANGE: 7-9

 

  • 3-4 serie: ESERCIZIO DI ISOLAMENTO MONOARTICOLARE. REP RANGE: 10-12

Quante volte allenare le spalle a settimana

Puoi partire con una frequenza di allenamento di 2 volte settimanali, per poi muoverti se necessario verso frequenze più spinte o conservative in base alle progressioni, ai restanti parametri allenanti e di recupero soggettivi.

Esempio di scheda con esercizi per allargare le spalle

ALLENAMENTO 1 GIORNO PESANTE
  settimana 1
settimana 2 settimana 3
Esercizio schema (SxR)
schema (SxR) schema (SxR) riposo
Spinte sopra la testa con manubri ROM parziale partenza da 0°

in alto arrivi con i gomiti ad altezza della linea degli occhi, usa fascette per la presa

3x 5 RIR2-1 carico fisso

 

 

4x 5 RIR2-1 carico sett.1

 

 

3x 6 RIR2-1 carico sett.1

 

 

2-2.30″

 

 

Tirate al petto con bilanciere

SALITA 2″ DISCESA 2″

CC: cedimento concentrico

3x 8-7 RIR1-CT carico fisso

1x AMRAP stesso carico a CC. Se >9 rep alza carico serie prima.

3x 8-7 RIR1-CT carico fisso

1x AMRAP stesso carico a CC. Se >9 rep alza carico serie prima.

3x 8-7 RIR1-CT carico fisso

1x AMRAP stesso carico a CC. Se >9 rep alza carico serie prima.

90″
ALLENAMENTO 2 GIORNO LEGGERO      
  settimana 1
settimana 2 settimana 3  
Esercizio schema (SxR)  schema (SxR) schema (SxR) riposo
Alzate laterali

 

3x 12 a 10 CT carico fisso

quando chiudi 12 ripetizioni ad ogni serie alzi il carico

3x 12 a 10 CT carico fisso

quando chiudi 12 ripetizioni ad ogni serie alzi il carico

3x 12 a 10 CT carico fisso

quando chiudi 12 ripetizioni ad ogni serie alzi il carico

1’20-90″

Il riposo tra le due giornate varia ed è di circa 1-2 giorni, da adattare in base alle capacità soggettive di recupero dell’individuo e al resto della programmazione.

La logica appena illustrata è da inserire nella routine di allenamento, non è una scheda fine a sè stessa; le 3 settimane sono un esempio esplicativo per rappresentare il concetto di progressione dei parametri allenanti.

É ideale per tutti? No, è un esempio pratico da cui prendere spunto.

Conclusioni sugli esercizi per allargare le spalle

A contribuire al risultato delle spalle larghe vi sono anche fattori scheletrici non modificabili, quali:

  • la lunghezza della clavicola e la sua orizzontalità rispetto al terreno;
  • la larghezza del bacino; il quale se molto stretto aumenta la percezione di ampiezza delle spalle (non per nulla nelle categorie estetiche spesso e volentieri vediamo ragazzi/e con una vita decisamente “stretta”).

La componente genetica può penalizzare in ambito agonistico ma non deve essere una scusa a “non fare”: il bodybuilding è illusione e puoi quindi modellare la forma dell’atleta lavorando sui muscoli.

Prende quindi una rilevanza fondamentale l’analisi del soggetto, della sua struttura, del suo movimento sotto carico e delle sue sensazioni in palestra: in sintesi la personalizzazione del protocollo allenante.

Bibliografia:

Paoli A, Marcolin G, Petrone N. Influence of different ranges of motion on selective recruitment of shoulder muscles in the sitting military press: an electromyographic study. J Strength Cond Res. 2010 Jun;24(6):1578-83. doi: 10.1519/JSC.0b013e3181d756ea. PMID: 20508462.

Roncari A. Project exercise Volume 1. Milano: project inVictus; 2017.

Platzer W. Anatomia Umana, Atlante Tascabile. 5° edizione. Casa Editrice Ambrosiana; 2016.

L'articolo Come allargare le spalle? Esercizi efficaci proviene da Project inVictus.

Calf in piedi: esecuzione corretta

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Con questo articolo puoi scoprire e capire come svolgere l’esercizio calf in piedi. Un’esecuzione corretta ti consente di fornire uno stimolo muscolare adeguato per creare i presupposti dell’adattamento ipertrofico.

Una premessa importante è quella di valutare se le caviglie del soggetto consentono un corretto ROM in dorsiflessione – a tal proposito vi sono dei semplici test che però non tratteremo in questo articolo.

Cos’è il calf in piedi? A cosa serve?

Questo esercizio si svolge in piedi e consiste di due movimenti che si verificano ad ogni ripetizione svolta:

  • Flessione plantare (estensione di caviglia): spinta sulle punte durante la fase concentrica del movimento (salita).
  • Dorsiflessione plantare: durante la fase eccentrica (discesa).

Per i motivi che vedremo tra poco, questo esercizio coinvolge principalmente il muscolo gastrocnemio.

Muscoli coinvolti nel calf in piedi

Il calf in piedi è classificato come “esercizio per i polpacci”, in realtà con questa definizione si fa riferimento ad un muscolo composto da 3 ventri muscolari, il tricipite della sura:

  • Plantare (cui non faremo riferimento, per la sua dimensione ridotta e localizzazione che poco incidono sul risultato estetico): muscolo biarticolare.
  • Gastrocnemio: muscolo biarticolare.
  • Soleo: muscolo monoarticolare.

Questi muscoli si inseriscono sulla tuberosità calcaneare grazie al tendine di Achille. Le azioni svolte da questi muscoli sono:

  • Flessione plantare: movimento che avviene ad esempio quando ti sollevi sulle punte – quello che interessa in questo articolo.
  • Supinazione del piede: movimento che avviene quando sollevi il piede, “rivolgendo” la pianta del piede verso l’altra gamba.
  • Inversione del piede: movimento che avviene ad esempio quando sollevi il piede “rivolgendo” la pianta del piede dalla parte opposta rispetto all’altra gamba.

Soleo

É un muscolo monoarticolare situato sotto al gastrocnemio. La sua funzione principale è quella di flettere la pianta del piede: estensione di caviglia, oltre a quelle elencate prima.

Interviene maggiormente durante la flessione plantare a ginocchio flesso rispetto al gastrocnemio, il quale si trova in svantaggio per generare forza. Interviene in modo minore nella flessione plantare a ginocchio esteso (in piedi), dove il gastrocnemio interviene maggiormente.

Gastrocnemio

É il muscolo più superficiale, si compone di due capi (gemelli):

  • mediale: la porzione che si trova nel lato interno, verso il polpaccio opposto;
  • laterale: la porzione che si trova all’esterno.

Le sue funzioni, insieme al muscolo plantare, sono quelle di:

  • Plantiflettere la caviglia
  • Flettere il ginocchio (in quanto biarticolare)

Interviene maggiormente durante la plantiflessione a ginocchio esteso (sollevarsi sulle punte), in quanto si trova in una posizione ideale per generare forza. Quindi con il calf in piedi vai a stimolare principalmente il gastrocnemio.

Errori comuni nei calf in piedi

Possiamo racchiudere gli errori più comuni in due categorie: di posizione e di movimento. Per quanto riguarda i primi puoi riscontrare:

  • posizione dei piedi scorretta: il piede non va ruotato internamente/esternamente, ma essere dritto, in posizione neutra.
  • posizione delle ginocchia scorretta: le ginocchia sono distese e non flesse; tradotto: gamba distesa.
  • posizione del bacino scorretta: il bacino si trova in linea con la gamba e sopra le caviglie, non deve andare né avanti nè indietro, anche mentre effettuate l’esercizio.

Nei secondi, invece, gli errori che puoi compiere in relazione al movimento sono:

  • movimento incompleto sia in salita che in discesa: mezze ripetizioni non aiutano a far crescere i polpacci! Cerca una bella contrazione in alto pensando a spingere lontano le punte dei piedi.
  • movimenti veloci con rimbalzo: scendere velocemente verso il basso e salire come vi fosse un elastico al posto del polpaccio è una tecnica da evitare.
  • spostare i piedi durante l’esecuzione: a volte per via della pedana, appoggio o calzatura indossata, il piede scivola durante la discesa. Puoi rimediare con della magnesite che aumenterà il grip (mi raccomando poi pulisci che altrimenti ti cacciano dalla palestra).
  • flettere il ginocchio durante il movimento: il ginocchio rimane disteso, gamba dritta durante l’intero movimento.

Come si esegue il calf in piedi? Come si fa?

Il calf in piedi può essere svolto in diverse varianti, il movimento si svolge sempre rispettando 3 punti:

  • POSIZIONE: puoi svolgerlo in piedi o seduto a gambe distese, per esempio alla pressa. Parti con le punte dei piedi su un rialzo (macchinario apposito, gradino, rialzi di vario genere).
  • FASE CONCENTRICA DEL MOVIMENTO (la salita): flessione plantare, vai sulle punte dei piedi o del piede qualora lo svolgessi monopodalico.
  • FASE ECCENTRICA DEL MOVIMENTO (la discesa): dorsiflessione plantare, ritorno in basso con i talloni o il tallone (qualora lo svolgessi monopodalico) frenando il movimento grazie alla contrazione eccentrica, senza lasciarti andare a vuoto passivamente.

Calf in piedi al macchinario (Calf machine):

Solitamente il carico è selezionabile e vi è un supporto che si trova sulle spalle, le punte dei piedi sono sul rialzo apposito. Il movimento si esegue come appena detto; puoi selezionare i gradi di movimento regolando il supporto sulle spalle. Il consiglio è quello di posizionarlo in modo da poter svolgere un movimento completo.

Meglio evitare questa variante in caso di soggetti con problematiche a livello vertebrale (dischi): in tal caso opta per varianti seduto ma a gambe distese, come per esempio la variante alla pressa orizzontale.

Calf in piedi su scalino o rialzo:

Il movimento è eseguito con le punte dei piedi su un gradino o un rialzo, l’altezza deve essere sufficiente da consentire un movimento completo della caviglia.

Calf in piedi senza rialzo:

Il movimento è eseguito partendo con i piedi a terra e spingendo sulle punte; sconsigliata questa variante in quanto si perde tutta la parte inferiore del movimento di cui puoi beneficiare utilizzando un rialzo. Questa variante non permette di fornire uno stimolo adeguato.

Su singola gamba (monopodalico):

Variante di calf in piedi eseguita con una gamba alla volta, utile in soggetti che hanno problemi durante la spinta negli esercizi bipodalici in cui spingono maggiormente con una parte rispetto all’altra. Poggia la mano della parte opposta rispetto a quella del piede in appoggio, ad un appiglio, per tenere l’equilibrio, ma che non dia aiuto nella salita.

Puoi utilizzare questa variante anche qualora non avessi a disposizione buoni carichi. Se utilizzi un sovraccarico esso è tenuto con la mano del braccio omolaterlale del piede in appoggio.

Varianti esecutive di calf in piedi

Con bilanciere

Questa variante è consigliato attuarla utilizzando il multipower con l’ausilio di un gradino di rialzo su cui poggiare i piedi, il quale deve essere sufficientemente alto per poter consentire un range di movimento adeguato.

Si sconsiglia l’utilizzo del bilanciere libero, questo perchè vi sarà una forte componente di instabilità che condizionerà probabilmente l’efficacia del lavoro sul distretto che vogliamo allenare.

Con manubrio

L’esecuzione con manubrio è consigliata nella variante monopodalica, quindi su una gamba sola. Si esegue l’esercizio posizionandosi su un rialzo, il quale deve essere sufficientemente alto per poter consentire un range di movimento adeguato.

Il carico deve essere tenuto dalla parte opposta rispetto alla gamba che lavora, quindi se lavori con la gamba destra tieni il manubrio nella mano sinistra. La mano opposta a quella che tiene il carico è posta su di un supporto per dare equilibrio; non appoggiarti di peso in quanto vai ad alterare l’esecuzione e diminuire l’efficacia del lavoro.

Ovviamente il carico può essere un manubrio ma anche un carico “di fortuna” come una cassa di acqua o altro oggetto.

Con elastico

Sconsigliata questa variante in favore di una variante monopodalica con un carico di fortuna (zaino con oggetti all’interno, casse di acqua in variante monopodalica…), ma se non vi sono alternative e hai a disposizione solo un elastico puoi provarla.

Si esegue l’esercizio posizionandosi su un rialzo, posizioniamo l’elastico infilando la testa al suo interno come fosse una collana, in modo che un’estremità sia poggiata sulla parte bassa del collo e l’altra estremità la facciamo passare al di sotto dei piedi. Da questa posizione vai a svolgere il movimento. Puoi eseguire questa variante sia in maniera bipodalica che monopodalica.

A corpo libero

Se per corpo libero si intende senza carico, ci sono due considerazioni per le due varianti:

  • monopodalica: puoi lavorarci in modo efficace soprattutto se sei alle prime armi, lavorando dalle 8 ripetizioni in su tranquillamente.
  • bipodalica: puoi lavorarci in modo efficace se hai poca forza, in genere però anche questi soggetti riescono a macinare un buon numero di ripetizioni. Se riesci ad eseguire correttamente >12-15 ripetizioni è meglio piuttosto, se scegli questa variante, utilizzare uno zaino con dentro dei libri o altri oggetti pesanti.

Allenamento calf in piedi in palestra

Andiamo a vedere come possiamo inserire questo esercizio nella routine in palestra.

Quante serie e ripetizioni fare?

Serie: il parametro rimane sempre soggettivo. Alcuni punti importanti da considerare:

  • un volume medio consigliato per i polpacci che va dalle 8 fino alle 16 serie.
  • le serie settimanali vanno valutate in base a quanto sviluppati sono i polpacci e quanto essi sono la priorità.
  • la maggior parte dell’impatto estetico dei polpacci è conferita dal gastrocnemio.

Puoi ripartire il 60% del volume totale in varianti a ginocchio esteso viste precedentemente ed un 40% del volume totale nelle varianti a ginocchio flesso (seduto). Se le serie sono poche, ha senso optare per una sola variante settimanale, possibilmente a ginocchio esteso.

Ripetizioni: il range utilizzato consigliato in questo esercizio e nelle sue varianti va dalle 8 alle 20-25. Alcuni punti da considerare:

  • Nella parte più alta del range spesso ci si ferma prima rispetto a quanto si potrebbe fare effettivamente.
  • Può essere sensato investire del tempo ottimizzando rep range medi, dalle 8 alle 12-15 ripetizioni.
  • Può essere sensato prima di arrivare a serie molto elevate in termini di ripetizioni, vagliare tecniche di serie interrotte in rest pause.
  • Ha senso ciclizzare i rep range nella settimana e nei mesocicli.
  • Ha senso variare i TUT, inserendo pause in alto o in basso, soprattutto agli inizi e per variare lo stimolo.

Quanti kg utilizzare?

Il carico sarà specifico in base a:

  • Range di ripetizioni scelto.
  • Tempo di esecuzione scelto: se con pause in alto o in basso, con movimento più o meno controllato.
  • Ha senso utilizzare un carico che ci consenta di arrivare a fine serie a cedimento concentrico soprattutto se utilizziamo rep range dalle 12 ripetizioni in su.
  • Cercare una progressione di carico nel corso delle settimane, mesi, anni, in tutti i rep range vagliati.

Esempio di scheda con i calf in piedi

  • Serie polpacci settimanali in esempio: 12 serie
  • 60% volume varianti polpacci in piedi: 7 serie
  • 40% volume varianti polpacci seduto: 5 serie
  • Frequenza di allenamento scelta: 3 volte settimanali
  • Rep range mesociclo: 8-12
  • Note: S (salita o concentrica), F (fermo in alto o in basso), D (discesa o eccentrica)
  • Durata protocollo 4-5 settimane
Giorno 1 Schema Note: Riposo
Calf machine in piedi

S1″, F in alto 1″, D 2″

4x 8

cedimento concentrico

Modula il carico per mantenere 8 ripetizioni in ogni serie.

Focus progressione carico

90″-2′
Giorno 2 Schema Note: Riposo
Calf variante seduto

S1″, F in alto 1″, D 2″

3x 10

cedimento concentrico

Modula il carico per mantenere 10 ripetizioni in ogni serie.

Focus progressione carico

90″
Giorno 3
Schema Note per entrambi esercizi
Riposo
Calf machine in piedi

S1″, D 2″, F in basso 1″

 

3x 12 a 10 RP

cedimento concentrico

 

RP: rest pause 10-15″

carico pari al 12RM, dalla seconda serie arrivato a cedimento concentrico, riposi 10-15″ ed esegui le ripetizioni che mancano ad arrivare a 12.

Quando alla prima serie batti le 12 ripetizioni alzi il carico.

1’20”
Calf variante seduto

S1″, F in alto 1″, D 2″

2x 12 a 10 RP

cedimento concentrico

1’20”

In conclusione, a prescindere dalla variante utilizzata è consigliato inserire nella propria scheda di allenamento una variante di calf polpacci in piedi: ognuna può essere una scelta più o meno saggia in base al contesto e al soggetto.

Non si dovrebbe ragionare solo sul singolo esercizio fine a se stesso, ma riflettere su ogni scelta fatta tenendo conto dell’obiettivo specifico che vedrà di conseguenza una programmazione a breve, medio e lungo termine dei parametri allenanti, tra i quali anche la scelta degli esercizi.

Bibliografia

Roncari A. Project exercise Volume 2. Milano: project inVictus; 2018.

Roncari A. Fitness posturale Volume 2. Milano: project inVictus; 2020.

Platzer W. Anatomia Umana, Atlante Tascabile. 5° edizione. Casa Editrice Ambrosiana; 2016.

 

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Trazioni orizzontali: come si eseguono?

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Le trazioni orizzontali sono un esercizio multi-articolare, viste frequentemente tra gli esercizi del Calisthenics e forse un po’ meno in palestra. Con questo articolo imparerai a cosa servono, l’esecuzione corretta e come utilizzarle nei tuoi allenamenti.

Cosa sono le trazioni orizzontali? A cosa servono?

Le trazioni orizzontali sono chiamate anche “body row” o “australian pull up“: sono un esercizio in cui il corpo è tenuto in orizzontale mentre ci si traziona verso una sbarra o verso degli anelli. Puoi utilizzarle per fare del volume se il tuo scopo è l’ipertrofia oppure in preparazione alle trazioni vere e proprie – se ti interessa, a questo link trovi un articolo per imparare a fare la prima trazione alla sbarra.

Trazioni orizzontali: esecuzione corretta

Impugna la sbarra o gli anelli e stendi il tuo corpo in orizzontale, con i piedi in avanti. Tieni a mente che più sarà orizzontale la tua posizione e maggiore sarà la difficoltà dell’esercizio. Trazioni a corpo completamente orizzontale possono risultare anche più impegnative delle trazioni vere e proprie.

Un aspetto importante che puoi tenere in considerazione se usi gli anelli è che potrai spostare più focus sui vari muscoli flessori del gomito, a seconda della presa che utilizzerai. L’ideale è comunque avviare il movimento sempre con la presa prona e cioè coi palmi delle mani rivolti verso l’avanti e il dorso rivolto verso di sè. Potrai poi chiudere il movimento e avvicinarti alla sbarra utilizzando una presa supina che darà più focus al muscolo bicipite e al tempo stesso meno stress all’articolazione del gomito

Muscoli coinvolti nelle trazioni orizzontali

La parola tirata richiama sicuramente il suo protagonista più celebre: il gran dorsale. La sbarra o gli anelli, infatti, tendono a flettere l’articolazione della spalla (portano cioè il braccio tendenzialmente verso l’alto) e per opporsi a questo movimento si dovrà andare dalla parte opposta (estensione) usando quindi gran dorsale, grande rotondo, capo lungo del tricipite e deltoide posteriore.

Il supporto però (sbarra o anelli) non si limita solo a portare le braccia verso l’alto ma tende anche a portarle in fuori. Se ti inattivi e stai “a peso morto” noterai come le scapole si spostino all’esterno e il braccio venga “tirato” verso il supporto stesso. Per evitare questo dovrai impedire che la scapola venga tirata in fuori, utilizzando i suoi adduttori: romboidi e trapezio medio.

Per agevolare l’attivazione muscolare e il giusto pattern motorio dovrai stare attivo in “depressione” e cioè mantenere le spalle basse, lontano dalle orecchie. Potrai dare più enfasi al gran dorsale se ti trazioni portando il supporto verso il basso, e potrai invece focalizzare lo stimolo sugli adduttori scapolari portandolo all’altezza del petto.

Un ultimo ma non meno importante coinvolgimento muscolare in questo esercizio, è l’intervento dei flessori del gomito: bicipite brachiale, brachiale e brachioradiale. Infatti, in condizioni di inattivazione, il supporto tiene il gomito dritto. Per avvicinare il corpo al supporto eseguendo la trazione dovrai anche far sì che il gomito si possa piegare, usando ad esempio il bicipite, che interverrà per portarti verso la sbarra (o qualunque supporto tu sia usando).

Benefici delle trazioni orizzontali

Come avrai letto all’inizio di questo articolo, uno degli scopi che può avere la trazione orizzontale è quello di prepararci alla trazione verticale, solitamente eseguita alla sbarra in presa prona nella sua versione più classica. Capita infatti spesso che chi si approccia alle trazioni non sia in grado di farne nemmeno una. La trazione orizzontale ti permette di preparare i muscoli ad affrontare in seguito la trazione verticale.

Non solo, magari sei già in grado di fare qualche trazione verticale ma dopo qualche tempo dall’inizio del tuo allenamento, i tuoi muscoli si stancano e non ti permettono più di lavorare sulla tirata. Puoi così “scalare una marcia” e utilizzare le trazioni orizzontali, continuando il tuo allenamento e macinando maggior volume suoi muscoli target.

Puoi inoltre utilizzare le trazioni orizzontali in palestra per alternare gli stimoli nel corso del periodo. Gli esercizi più adoperati in questo contesto sono forse la lat machine e il rematore con manubri o bilanciere. Può essere interessante anche integrare le trazioni “in body row”, sia come esercizio nuovo e sia come complementare agli esercizi che esegui abitualmente. Questo ti permetterà di variare gli stimoli e di inserire uno schema motorio eventualmente nuovo, che potrà rendersi fattore contribuente alla ricerca dell’ipertrofia.

Allenamento trazioni orizzontali in palestra

Se ti sei chiesto quante ripetizioni devi fare o quante serie, come sempre, dovrai considerare che non esiste un numero magico valido per tutti. La cosa migliore che puoi fare è partire con poco e aggiungere nel tempo. Nel mondo dell’allenamento sottovalutarsi, piuttosto che sopravvalutarsi, ripaga di più nel lungo periodo. Ricorda che sei sempre in tempo ad aggiungere.

Quante serie e ripetizioni fare?

Per dare delle dritte molto generiche, in termini di serie, dalle 4 alle 6 può essere una buona media, ma molto dipende da cos’altro alleni nel corso della seduta. Per le ripetizioni ci si giostra solitamente in base al numero massimale che si riesce ad eseguire. Se ad esempio riesci ad eseguire 8 trazioni orizzontali al massimo, non userai quel numero in allenamento.

Puoi quindi usarne 4 o 5 (tenendoti così lontano dal tuo massimale) e totalizzare un totale di 24 trazioni orizzontali nella seduta (6×4) o 30 (6×5). Questo appena visto può già essere un esempio di progressione: usa il 6×4 e quando lo chiudi facilmente puoi passare al 6×5, e così via.

Quante volte allenarle a settimana?

Se sei neofita, per abituare il tuo corpo gradualmente, puoi allenare le trazioni orizzontali 3-4 volte a settimana. Se prediligi poche sedute dovrai concentrare maggior lavoro nel singolo giorno, rischiando di affaticarti troppo e di dover poi andare “col freno a mano tirato” negli allenamenti successivi.

Se hai la possibilità di allenarti più frequentemente potrai essere più “clemente” nelle singole sedute, avere uno stress ridotto e portarti a casa un maggior lavoro qualitativo nel corso della settimana. Anche in questo caso una buona base di partenza può essere partire con poco di tutto e aggiungere un po’ per volta.

Esempi di scheda con le trazioni orizzontali

Settimana 1 (2 allenamenti) – 5×4 (5 serie, 4 ripetizioni)

Settimana 2 (3 allenamenti) – 5×4

Settimana 3 (3 allenamenti) 5×5

Settimana 4 (3 allenamenti) 5×6

Settimana 5 (3 allenamenti) 6×5

Settimana 6 (3 allenamenti) 6×5 (corpo un po’ più orizzontale)

Insomma, progredendo un po’ per volta si aggiunge via via qualcosina. E’ però sempre importante assicurarsi di non essere troppo al limite con uno schema, prima di passare al successivo. Si progredisce solo quando la mole di lavoro che stai affrontando, è risultata ben tollerabile.

Varianti di trazioni orizzontali

Puoi eseguire le trazioni orizzontali su un gran numero di supporti e ci sono molte varianti delle trazioni: dalla sbarra, passando per il trx , fino agli anelli. Come hai visto  in precedenza, l’esecuzione sui supporti svincolati (che non forzano cioè la presa, come potrebbe fare la sbarra) come gli anelli o il trx, permette al gomito di muoversi un po’ secondo la sua fisiologia, partendo in pronazione (palmi in fuori) e finendo in supinazione (palmi in dentro).

A presa supina, prona o neutra

Puoi fare anche ulteriori varianti, come utilizzare una presa supina dando più enfasi al bicipite, una presa solo prona dando enfasi al brachiale oppure una presa neutra (nè pronata, nè supinata) dando più enfasi al muscolo brachioradiale. Tieni però a mente che non potrai isolare completamente un muscolo escludendone un altro.

Trazione orizzontale a un braccio con assistenza

Una variante per i più esperti è la “archer australian pull up” o trazione orizzontale eseguita mono-arto, con un braccio a fare da assistenza. In questa variante ci si traziona verso la mano del braccio che vuoi utilizzare, tenendo l’altro braccio disteso (gli anelli si prestano molto bene per questa variante).

Con piedi su un rialzo

Puoi invece rendere le trazioni orizzontali più difficili usando un rialzo ai piedi. Anche in questo caso potrai regolare il rialzo in base al tuo livello, rispettando sempre i princìpi generali del sovraccarico progressivo, come già osservato nell’esempio sulle progressioni.

Trazioni orizzontali a casa con il tavolo

Magari ti sarà già capitato di osservare qualche atleta su internet che esegue le trazioni orizzontali a casa solamente con l’uso del tavolo. E’ uno stratagemma che, in mancanza di attrezzatura, puoi sicuramente utilizzare.

Dovrai però essere più cauto nel dosaggio dell’allenamento in quanto, pur non protagonisti diretti del gesto, anche i flessori delle dita e della mano sono molto coinvolti, in particolare se adoperi il tavolo.

Non avendo infatti una sbarra o un supporto che puoi avvolgere, le tue dita saranno costrette a restare quasi del tutto distese per permetterti di restare ancorato al tavolo e questo fa sicuramente fare gli straordinari ai flessori delle dita e della mano, che possono così andare incontro a stress precoce ed esporre a un maggiore rischio di infortuni e fastidi, come la famosissima epitrocleite  o gomito del golfista.

Conclusioni sulle trazioni orizzontali

Come avrai notato, le trazioni orizzontali sono un esercizio estremamente poliedrico e modulabile che, quando impostato al meglio, può dare molti benefici su più fronti. Basterà adoperarlo con criterio all’interno di una programmazione di allenamento e non stenterà a dare i suoi frutti.

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Muscolo infraspinato: anatomia e funzioni

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muscolo infraspinato anatomia e funzioni

Il Muscolo Infraspinato o Sottospinato origina dalla fossa infraspinata (faccia dorsale della scapola, al di sotto della spina della scapola che attraversa quest’ultima obliquamente) e si inserisce sulla grande tuberosità omerale.

Anatomia e funzioni del muscolo infraspinato

  • Origine: fossa Infraspinata
  • Inserzione: tubercolo maggiore dell’omero, faccetta mediale.
  • Azione: ruota esternamente l’omero

Innervato dal nervo sovrascapolare (C4-C6), il muscolo Infraspinato fa parte della cuffia dei rotatori, dove esplica la sua funzione di stabilizzatore dinamico della testa omerale, grazie all’aiuto dei suoi fratelli Sovraspinato, Sottoscapolare e Piccolo rotondo.

Le inserzioni distali dei muscoli della cuffia si uniscono alla capsula articolare dell’articolazione glenomerale prima di inserirsi direttamente sull’omero, formando una cuffia di protezione per lo stesso, da questo il nome di cuffia dei rotatori.

L’attività di questi muscoli risulta essere significativa soprattutto per i movimenti dell’arto al di sopra della testa (90° gradi di abduzione) dove c’è maggior lassità della capsula articolare della spalla (stabilizzatori passivi): in questa posizione, per evitare lussazioni della spalla, l’attività dei muscoli (stabilizzatori attivi della spalla), risulta essere fondamentale.

Si pensi che questi, a braccio abdotto a 90°, esprimono forze di compressione sull’articolazione della spalla pari a 80-90% del peso corporeo.

Ricorda che l’articolazione della spalla è una delle più mobili del corpo umano, il che la rende incredibilmente instabile: la sua stabilità è dipendente dalle strutture attive (muscoli) e passive (legamenti e cartilagini). La stabilità richiede che i sistemi neuromuscolari siano ben funzionanti, e grazie ai propriocettori localizzati nei tessuti connettivi periarticolari, la muscolatura della cuffia è in grado, a livello non cosciente, di fornire la stabilità dinamica necessaria durante i movimenti.

Perché il muscolo infraspinato è utile?

Una delle lesioni di tipo cronico più comune in palestra è l’impingement subacromiale: un intrappolamento dei tessuti molli tra la volta acromiale e il tubercolo maggiore dell’omero. Questo continuo strofinamento e schiacciamento porta ad un’infiammazione e in seguito lesione dei tessuti stessi.

La linea di forza e la posizione del muscolo sovraspinato è ideale per controllare il movimento di abduzione dell’omero, infatti, durante l’abduzione i muscoli sovraspinato e deltoide fanno rotolare superiormente la testa dell’omero. Senza la contrazione dei muscoli infraspinato, piccolo rotondo e sottoscapolare, la testa omerale andrebbe ad impattare superiormente contro la volta acromiale.

Grazie ad essi invece si ha un piccolo scivolamento della stessa verso il basso permettendo così alla testa omerale di ruotare sul posto anzichè rotolare verso l’alto.

Inoltre, durante le ultime fasi dell’abduzione (portando il braccio sopra i 90°) i muscoli piccolo rotondo e infraspinato ruotano esternamente l’omero evitando che il tubercolo maggiore di esso vada a scontrarsi contro l’arco acromiale portando alla conseguenza sopra citata.

In palestra sarà importante porre attenzione all’assetto scapolare durante la maggior parte degli esercizi: i muscoli extrarotatori di spalla hanno origine unicamente sulla scapola. Ne risulta che per una loro attivazione ottimale la scapola deve essere posizionata correttamente: una scapola che cede, in caso ad esempio di debolezza dei muscoli trapezio medio e grande dentato, impedisce ai muscoli extrarotatori di svolgere il proprio lavoro, riducendo la stabilizzazione attiva della spalla e aumentando la probabilità di incorrere in lesioni di spalla.

Azione dell’infraspinato nei movimenti della spalla

Oltre ad essere attivi durante abduzione i muscoli della cuffia risultano avere attività anche durante estensione e adduzione di spalla, aiutando direttamente nel movimento e stabilizzando l’articolazione.

  • Flessione, abduzione: abbassa insieme al sottoscapolare ed extraruota insieme al piccolo rotondo la testa omerale, impedendo così una situazione di schiacciamento dei tessuti tra omero e volta coracoacromiale.
  • Stabilizza l’articolazione assieme a tutti i muscoli della cuffia dei rotatori
  • Adduzione, estensione: partecipa attivamente al movimento, oltre a stabilizzare l’articolazione.

Test per la valutazione della forza del muscolo infraspinato

Test di rotazione esterna contro resistenza: braccia lungo i fianchi e gomito flesso a 90°, il paziente porta il dorso della mano verso l’esterno mantenendo il gomito attaccato al fianco, mentre l’esaminatore oppone resistenza in verso opposto.

Test di Patte: il paziente porta la spalla a 90° di abduzione con il gomito anch’esso flesso a 90° deve poi eseguire un’extrarotazione contro una resistenza offerta dall’esaminatore.

Se durante i test il paziente non ha dolore e riesce ad esprimere la corretta forza, puoi considerare il muscolo sano.

Rinforzo del muscolo infraspinato

Esercizi di rinforzo per i muscoli extrarotatori (infraspinato e piccolo rotondo) sono consigliati in caso di rigidità della capsula anteriore o lassità della capsula posteriore (test del muscolo sovraspinato > di 70°).

Extrarotazioni con manubrio: effettuabili in piedi con braccio abdotto di 90° e gomito flesso di 90° (da non effettuare con il braccio lungo il fianco come spesso vedi fare in palestra) oppure sdraiati su un fianco con braccio lungo il fianco e gomito flesso a 90°.

Extrarotazioni in isometria: mantenendo un elastico tra i due polsi, poni entrambi gli avambracci sul muro e l’elastico in tensione, dopo di che effettua una camminata a salire e scendere con gli avambracci sul muro.

Extrarotazioni con cavo o elastico: in piedi, seduto o supini posizionando un asciugamano arrotolato tra gomito e fianco in modo da allineare l’omero con il corpo.

Importante inoltre è variare gli angoli dell’articolazione durante l’esercizio, quindi a diversi gradi di abduzione della spalla.

Risulta interessante la variante in posizione supina secondo la quale l’attivazione del trapezio superiore e del bicipite brachiale è significativamente maggiore in posizione seduta rispetto alla posizione supina, per avere un miglior isolamento del muscolo infraspinato e evitare compensi muscolari non necessari, si predilige la posizione supina.

Cosa fare in caso di dolore

E’ importante cercare di allenarsi nei piani di movimento dove non percepisci dolore, cercando di riadattare gli esercizi e riducendo il range di movimento alla fascia priva di dolore. Il riscaldamento è fondamentale, insieme ad esercizi di pre-attivazione per cuffia dei rotatori e muscoli scapolari.

E’ sconsigliato lavorare a cedimento e dedicarsi a grossi volumi di allenamento. Gli esercizi dolenti per la spalla dovranno essere ripresi gradualmente, sempre nel range privo di dolore.

 

Test per la valutazione della lunghezza del muscolo infraspinato

Il test viene eseguito con soggetto supino, le anche sono flesse per mantenere ben adesa la regione lombare al lettino, braccio abdotto a 90° e gomito flesso a 90° con avambraccio perpendicolare al lettino. Una volta stabilizzata la scapola si porta l’avambraccio in rotazione interna verso il lettino.

Viene valutato normale un movimento che permetta alla spalla di raggiungere i 70° di rotazione interna e un angolo di 20° tra avambraccio e lettino (importante è bloccare il compenso della scapola). Verranno valutati invece retratti quei rotatori esterni che non permettano agli avambracci tale escursione di movimento.

Ricorda che le misurazioni e i confronti devono essere sempre fatti su entrambe le spalle, poiché un paziente con una lassità legamentosa generale, non dovrebbe essere considerato patologico se il test supera i 70° per entrambi gli arti.

Allungamento del muscolo infraspinato

Sleeper Stretch

  • Sdraiati su un fianco con spalla da allungare a contatto con il terreno, fletti la spalla a 90° e il gomito di 90°,
  • Con l’aiuto dell’altro braccio porta lentamente l’avambraccio in intrarotazione verso il terreno,
  • Fermati quando senti il distretto posteriore della spalla in allungamento,
  • Mantieni la posizione.

Cross body stretch

In piedi appoggiati al muro con la spalla da allungare, fletti la spalla di 90° e aiutati con l’altro braccio per effettuare un’adduzione orizzontale. In questa posizione devi assicurarti che la scapola sia addotta prima di essere fissata contro il muro; la sensazione di allungamento deve essere sempre percepita nella zona posteriore della spalla.

Conclusioni sul muscolo infraspinato

Ben 16 muscoli controllano gli ampi movimenti del complesso della spalla, singolarmente essi non sarebbero in grado di effettuare correttamente neanche un movimento. Lavorando in perfetta sinergia, anche un piccolo deficit ad uno di questi muscoli può creare una riduzione della forza e la perdita di controllo della spalla oltre, ovviamente, alla possibilità di procurare una lesione o modificare la postura.

Questo è il motivo per cui è importante una accurata valutazione del complesso della spalla, e prendersi cura in caso di deficit, di ognuno dei muscoli che la compone.

Note sull’autore

Dott. Luca Tinto
Laureato in Scienze motorie all’università di Pisa, Laureando in Fisioterapia all’università di Genova, Istruttore di Calisthenics presso La Spezia

Bibliografia

Sasaki, S., Kenmoku, T., Otera, A., & Miyajima, G. (2018). Electromyographic analysis of infraspinatus and scapular muscles during external shoulder rotation with different weight loads and positions. Journal of Orthopaedic Science, 3–8.

Anatomia dell’apparato locomotore 

Cinesiologia del sistema muscoloscheletrico Donald A. Neumann

Project Exercise 1 (Andrea Roncari)

Fitness Posturale (Andrea Roncari)

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Allenamento per dimagrire e perdere peso

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allenamento cardio o pesi per il dimagrimento

Il famoso cardio per dimagrire è l’unica opzione per il dimagrimento? Per fortuna no: l’allenamento per dimagrire non è tanto prestabilito e uguale per tutti, quanto variabile e da impostare in base al soggetto, anche se c’è una linea guida consigliata da seguire: sia il cardio che l’allenamento con i pesi (a casa o in palestra), infatti, sono valide e sinergiche strategie per dimagrire.

Cardio o pesi? Qual è l’allenamento per dimagrire velocemente?

Sia il cardio che i pesi hanno i loro pro e contro: dal punto di vista calorico e di parità di tempo, il cardio fa consumare un po’ di più del doppio delle calorie rispetto all’allenamento con i pesi. Tuttavia, per dimagrire non basta consumare calorie con il cardio: serve anche l’allenamento con i pesi per mantenere la massa muscolare e migliorare la sensibilità insulinica, ottima alleata per una corretta gestione dei nutrienti.

A partire da soggetti in salute, giovani e non allenati, l’allenamento cardio comporta una perdita di peso a carico della massa grassa, senza sostanzialmente alterare la quantità di massa magra o FFM (Fat Free Mass, di cui i muscoli sono solo una parte), mentre quello con i pesi favorisce sia la perdita di tessuto adiposo che l’incremento della FFM. Per un dimagrimento efficace, punta alla riduzione della massa grassa e al mantenimento del tessuto muscolare per migliorare la salute, la composizione corporea, avere un fisico tonico.

Perciò, più che “cardio o pesi?” è da considerare “cardio e pesi, per ottenere i benefici di entrambi. Per perdere peso ci sono 3 opzioni che portano allo stesso risultato, cioè un bilancio energetico negativo:

  1. Mangiare di meno
  2. Mangiare le stesse quantità e muoverti di più
  3. Mangiare di meno e muoverti di più

Incrementare in modo regolare l’attività fisica in combinazione ad una dieta adeguata è migliore come strategia per perdere peso rispetto alla restrizione calorica attuata solo tramite tagli alimentari, perciò l’opzione 2 e 3 sono da preferire rispetto alla prima in termini di qualità del dimagrimento.

Qual è lo sport che fa dimagrire di più?

L’allenamento che ti fa dimagrire di più ma soprattutto meglio è quello che prevede:

  • una componente cardio per consumare calorie e favorire il deficit calorico;
  • una componente di esercizi con i pesi, per mantenere la massa muscolare e far sì che la perdita di peso sia più a carico del tessuto adiposo.

Inoltre, entrambi (di più quello con i pesi) migliorano la sensibilità insulinica: i nutrienti che mangi vengono meglio gestiti dall’organismo rispetto a chi, invece, presenta un’insulino-resistenza, facile da riscontrare in chi ha un’alimentazione scorretta e ipercalorica ed uno stile di vita poco attivo – un concetto correlato a quello di flessibilità metabolica e dimagrimento.

E’ anche interessante considerare che dopo l’allenamento c’è una fase in cui l’organismo mette in atto i processi di recupero, che vengono ottimizzati sia grazie all’adattamento nel corso dei mesi e degli anni di allenamento regolare sia grazie alla nutrizione, che è in grado di massimizzare i risultati che vuoi ottenere grazie all’esercizio fisico. Perciò, è essenziale affiancare un piano alimentare adeguato al soggetto in base all’obbiettivo. Anche perchè, se ti alleni ma nel frattempo non segui una dieta ipocalorica ben impostata, non dimagrirai, nonostante l’allenamento migliore del mondo.

Allenamento cardio per dimagrire con la corsa

La corsa fa consumare grassi? Sì, ma non per questo implica direttamente che faccia dimagrire. Com’è possibile?! In media, ogni minuto di corsa moderata consuma 1 g di grasso: se corri per un’ora bruci 60 g di acidi grassi. Poi, dato che “mi sono allenato allora posso mangiare di più” durante la giornata fai pasti più abbondanti, ritrovandoti la sera con l’aver assunto più di 60 g di grassi ma soprattutto con un bilancio energetico non negativo: così, il cardio non fa dimagrire ed emergono due concetti importanti:

  • anche l’alimentazione deve essere opportuna e contestualizzata;
  • non è l’esercizio in sé che fa dimagrire ma il contesto energetico che crea e gli adattamenti a cui porta.

A parte queste premesse, come anticipato, la corsa è un ottimo modo per dimagrire proprio perché permette di bruciare molte energie e quindi creare un contesto calorico favorevole al calo ponderale: più che contare i grammi di grasso, considera in generale l’impatto energetico che ha il fare quell’attività fisica. Anche perchè, facendo un paio di calcoli basandoti solo sul conteggio dei grammi di acidi grassi, è facile accorgerti di come perdere alcuni chili diventi un’impresa a lunghissimo periodo – probabilmente scoraggiante anche per i più motivati.

Un altro aspetto positivo della corsa, così come le altre attività aerobiche, è che stimola il catabolismo lipidico sia a livello sottocutaneo che viscerale – a differenza dei pesi che invece colpiscono di più solo quello sottocutaneo. Inoltre, diminuisce la tendenza all’insulino-resistenza, promuove la salute del sistema cardiovascolare e la biogenesi dei mitocondri (le “fornaci” che bruciano nutrienti per ottenere energia).

Solitamente come attività aerobica per consumare grassi viene consigliata quella a bassa intensità, ma non è una proposta valida se sei già ben allenato e sportivo: in questo caso, meglio preferire esercizi ad alta intensità di una certa durata (30-60 minuti).

Cambia qualcosa tra il correre (o camminare) su strada o a casa sul tapis-roulant? A parità di condizioni (chilometri, velocità), richiedono una spesa energetica simile, anche se lo schema motorio non è esattamente lo stesso – eventuale problema a cui sopperire tramite il curved treadmill con cui riesci a riprodurre una corsa più simile a quella su strada.

Allenamento per dimagrire con i pesi

L’allenamento con i pesi è importante a fini del dimagrimento, quando svolto in maniera regolare: se mantieni alti livelli di forza sei favorito nella perdita di peso, a parità di condizioni, rispetto a chi invece ne ha di meno. Inoltre:

  • permette di mantenere il tessuto muscolare,
  • migliora il controllo glicemico,
  • modifica positivamente il profilo delle lipoproteine (colesterolo LDL, HDL),
  • incrementa il metabolismo basale, a patto che aumenti la massa magra,
  • migliora la sensibilità insulinica.

È utile soprattutto nel lungo periodo, poiché è facile riprendere il peso perso se non continui a monitorare la situazione: chi mantiene una buona massa e forza muscolare tende di meno a riacquistare il peso perduto. Mantenere una buona FFM, che è metabolicamente attiva, consente di avere un metabolismo giornaliero più alto e di bruciare più grassi a riposo: tutti elementi che, anche con l’avanzare dell’età, vanno contrastano l’incremento delle adiposità.

A questo link trovi una scheda di esempio per il dimagrimento e la definizione.

Quante volte allenarsi per dimagrire?

allenamento per dimagrire quali esercizi

3-4 volte a settimana è una buona frequenza di allenamento, chiaramente da adattare in base al tempo a disposizione, alla tipologia di esercizio fisico, al tuo livello di allenamento (non sei mai stato sportivo? Sei già abituato ad allenarti 4-5 volte/settimana?).

Se 3 allenamenti a settimana sono già sufficienti per notare progressivamente dei cambiamenti della composizione corporea, considera che poi ogni allenamento aggiunto contribuisce a creare una maggiore spesa energetica, specialmente se ogni sessione allenante consuma almeno 300 kcal.

Non per questo esagerare con allenamenti strenui molto lunghi 7 giorni su 7: buon senso, in base al tuo grado di allenamento – considera anche che essendo in ipocalorica il corpo è già parzialmente stressato da questa condizione e che rischi di creare, con la molta attività fisica, un deficit e uno stress troppo marcato.

Quanto deve durare l’allenamento per dimagrire?

La durata dell’allenamento o in generale dell’attività fisica svolta incide sulla perdita di peso: maggiore è la durata e più è alta la spesa energetica. È ottimo quando un allenamento consente di bruciare circa (almeno) 300 kcal, che corrisponde in media a 1 ora di allenamento con i pesi, 30 minuti di corsa o bicicletta, 60 minuti di camminata a ritmo sostenuto.

Per avere dei numeri più precisi per quanto riguarda le attività di corsa e camminata, puoi usare queste formule di stima:

  • corsa: 1 kcal/km/kg peso corporeo
  • camminata veloce: 0.4-0.5 kcal/km/kg
  • camminata lenta: 0.1-0.3 kcal/km/kg

Forse hai sentito dire che dopo un certo numero di minuti di attività continua, consumi solo grassi a scopo energetico: l’allenamento deve quindi durare più di 20’ minuti per bruciare grassi? Come sempre, bisogna conoscere e contestualizzare.

Prima di tutto, il corpo come carburante utilizza sempre una miscela di fonti energetiche, in cui i carboidrati o i grassi possono essere preponderanti in base a intensità dell’esercizio (il parametro più rilevante), durata, stato di allenamento e dieta del soggetto. Così il consumare solo grassi è abbastanza irrealistico.

Inoltre, se in acuto con l’esercizio fisico gli adipociti vengono svuotati, questo non vuol dire che poi in cronico non vengano riempiti nuovamente: è il bilancio lipidico cronico (settimane, in base anche all’alimentazione) che conta e non quello instaurato con un singolo allenamento.

Esercizi brucia grassi per dimagrire velocemente

esercizi per dimagrire velocemente

Esistono gli esercizi per dimagrire? Lascia da parte la moda degli esercizi “brucia-grassi” e esercizi per dimagrire la pancia o le cosce: sono proposte che prese singolarmente (senza dieta ipocalorica opportuna e programma allenante progressivo) non portano ad un risultato tangibile. Le mode passano, la fisiologia resta.

Perché questi non funzionano? Il punto chiave per permettere che gli adipociti di tutto il corpo e non di un solo distretto vengano svuotati è che il bilancio energetico sia negativo: niente deficit? Niente lipolisi.

Fare esercizi mirati (es. addominali per perdere adipe sulla pancia) non stimola la lipolisi in quel settore, ma, come tutti gli esercizi, induce una risposta ormonale ed enzimatica generalizzata che colpisce gli adipociti di tutto il corpo e non solo di quel distretto.

Così, le parti del corpo che perdono grasso per prime sono quelle che:

  • hanno una concentrazione più elevata degli enzimi deputati alla mobilizzazione lipidica,
  • presentano cellule con recettori sulla propria membrana che sono più sensibili ai segnali di lipolisi rispetto ad altre.

Queste zone sono proprio quelle dove hai già meno tessuto adiposo. Al contrario, il grasso ostinato, anche se è il primo che vorresti rimuovere, fisiologicamente è l’ultimo che sarà intaccato perchè più resistente ai segnali di rilascio degli acidi grassi che contiene.

Quali esercizi prediligere per dimagrire?

Il vero allenamento per dimagrire è, come abbiamo visto, dato dalla combinazione di cardio e pesi. Puoi impostare l’allenamento con:

  • prima una componente che punta sulla tensione meccanica con sovraccarichi;
  • poi quella di tipo metabolico per favorire la capillarizzazione.

Dopo la parte con i pesi, se non hai molto tempo, quindi, ti conviene scegliere l’attività cardio più intensa (correre piuttosto che camminare) in modo da consumare più calorie a parità di tempo. Senza dimenticare di trovare esercizi che fai volentieri, in modo da riuscire ad essere costante nel lungo periodo.

In conclusione: qual è l’allenamento migliore per dimagrire?

L’allenamento ideale per perdere peso consiste in attività che coinvolgono grandi masse muscolari con una spesa energetica medio-alta, con una componente sia di pesi che di cardio. Così ti assicuri sia il mantenimento della massa magra che un buon consumo calorico – oltre ai benefici per la salute. Ricorda anche che piuttosto che non muoverti o abbandonare dopo poco tempo i buoni propositi, qualsiasi sport diventa il migliore per il dimagrimento.

Bibliografia

Burke & Deakin (2015). “Clinical Sports Nutrition”. Mc Graw Hill.

McArdle, Katch F., Katch V. (2015). “Exercise Physiology – Nutrition, Energy and Human Performance”. Wolters Kluwer.

 

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BCAA – aminoacidi ramificati: cosa sono e quali scegliere?

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aminoacidi ramificati

Una delle poche certezze del mondo della palestra e del bodybuilding è che tra tutti gli integratori i BCAA (aminoacidi ramificati) sono tra quelli più utili. Numerosi studi scientifici ne provano l’efficacia. Ma è veramente così? Un articolo da leggere se vuoi guardare oltre alle solite sicurezze.

Cosa sono i BCAA (aminoacidi ramificati)? Definizione e significato

Gli aminoacidi ramificati (BCAA, da branched-chain amino acids) sono forse ancora oggi tra i supplementi più popolari nel fitness e nell’attività fisica in generale. Ma questo è probabilmente anche il caso più emblematico in cui esiste una larga discrepanza tra la popolarità di un supplemento e la sua inefficacia.

I BCAA sono tre aminoacidi essenziali: leucina, isoleucina, valina e da soli compongono il 40% degli aminoacidi di un muscolo. Hanno la caratteristica di bypassare il passaggio attraverso il fegato venendo metabolizzati direttamente dalle fibre muscolari.

A cosa servono gli aminoacidi ramificati?

L’uso dei BCAA è una delle strategie più utilizzate ai fini del miglioramento della composizione corporea nell’ambito del fitness e del culturismo. La popolarità di questa pratica potrebbe essere in parte dovuta ad interpretazioni distorte e sopravvalutazioni dei risultati ottenuti dal loro uso nelle ricerche scientifiche, supportati da chi ha interessi di vendita, in parte dovuta al fatto che più si sente nominare un’informazione o si nota la popolarità di una certo integratore, e più si crede sia vera e fondata, a prescindere dalla sua reale efficacia.

A riguardo dell’utilità dei BCAA raramente sentiamo esprimersi esperti di alto livello e di fama internazionale. Sembra quasi che i BCAA, a causa della loro popolarità, vengano accettati a priori come uno dei supplementi più efficaci, e fondamentali per garantire i guadagni muscolari o un supporto anticatabolico, come succede con le migliori proteine in polvere.

Sebbene queste nozioni possano essere valide in diverse circostanze, questo non sembra essere il caso in gran parte delle condizioni alimentari a cui sono sottoposti i culturisti o gli atleti di forza.

Benefici e vantaggi dei BCAA: funzionano veramente? Fanno dimagrire?

Ad oggi i BCAA non sono riconosciuti come un supplemento particolarmente utile o importante per l’attività sportiva (anche se sono sicuri per la salute: i BCAA fanno male?), che questa sia finalizzata alla crescita muscolare, alla perdita di grasso o alla performance (1,2,3,4); alcuni importanti ricercatori li hanno addirittura giudicati controproducenti per l’anabolismo (3).

Ma è comprensibile che questa informazione tecnica tardi ad arrivare alle persone e a molti operatori, in buona parte perché influenzati dalle credenze popolari fortemente radicate dei tempi passati, in parte perché non tutti stanno al passo con i continui aggiornamenti della ricerca e le più recenti evoluzioni del settore. Questo senza considerare l’opposizione di chi, in una posizione di conflitto di interessi, comprensibilmente ignora questo cambio di direzioni per poter continuare a promuoverne la vendita.

Per come venivano riconosciuti in passato secondo le opinioni più comuni, i BCAA sembravano risultare tra i migliori e più efficaci supplementi per l’attività fisica. I benefici attribuiti andavano dalla crescita muscolare, al dimagrimento, al miglioramento di vari tipi di performance, al recupero fisico, al migliore focus mentale.

Ad oggi, quantomeno gran parte di questi benefici sono stati fortemente messi in discussione tra scienziati ed esperti, e se proprio bisognasse riconoscere un potenziale effetto positivo, questo risulta limitato a situazioni particolari che in genere non riguardano chi si allena in palestra, soprattutto con un piano alimentare mirato (vedi diete scarsamente proteiche, o pazienti ricoverati o anziani).

Effetto “energetico”

Una proprietà che viene spesso attribuita ai BCAA nel contesto sportivo è quella di agire come supplemento energetico, un ruolo che potrebbe essere enfatizzato per supportare un’ulteriore presunta funzione ergogenica aggiuntiva al ritardo della fatica centrale.

I BCAA risultano un substrato energetico come tutti i nutrienti calorici, e dato che vengono ossidati (impiegati come energia) preferenzialmente dal muscolo scheletrico bypassando la metabolizzazione da parte del fegato (18,19) (come accade invece per gli altri amminoacidi), questo dettaglio decontestualizzato potrebbe essere messo in risalto per poterne valorizzare il ruolo energetico per il muscolo sotto sforzo.

Rimane però discutibile che i BCAA siano più efficienti dei carboidrati per apportare energia sotto sforzo, dato che anche questi ultimi vengono prontamente e prioritariamente ossidati dal muscolo contribuendo ad apportare energia immediata (23,24), sopprimendo inoltre l’eventuale ossidazione dei BCAA muscolari (25). Inoltre, a parità di litri d’ossigeno consumato il glucosio produce 5.36 kcal, mentre i BCAA soltanto 3.33 kcal: sarebbero quindi una fonte di carburante molto meno efficiente.

Per concludere, l’esercizio fisico richiede energia, e se il cibo scarseggia il corpo sarà portato a ricavarla da substrati depositati nel corpo, tra cui in minima parte dai BCAA muscolari; mentre in caso contrario la ricaverà da ciò che viene introdotto dall’esterno, che essi siano carboidrati o BCAA isolati.

Recupero muscolare

aminoacidi ramificati e BCAA

Tra i vari proposti benefici, i BCAA favorirebbero il recupero accelerando il ripristino di vari parametri:

  • l’indolenzimento muscolare (DOMS),
  • il danno muscolare,
  • la performance,
  • la funzionalità muscolare temporaneamente deteriorate dagli allenamenti estenuanti o dai nuovi stimoli di allenamento (13,14,15).

Per quanto sia stato stabilito un effetto benefico per alcuni aspetti del recupero, anche in questo caso lo si osserva in condizioni in cui l’apporto proteico risulta subottimale per lo sportivo, o in cui i BCAA assunti a ridosso dell’allenamento vengono paragonati a un placebo (zucchero). Alcuni ricercatori infatti sottolineano che i BCAA potrebbero agire positivamente sul recupero se l’apporto proteico è al di sotto di 1.6 g/kg di proteine (16), cioè inferiore alle soglie minime ottimali per chi si allena con i pesi (1,7).

Effetto ergogenico

Uno dei più citati effetti dei BCAA è il ruolo ergogenico, cioè di miglioramento della performance sportiva. L’ipotesi originale verteva sul ritardo della fatica a carico del sistema nervoso centrale: per farla breve, impedendo l’accesso del triptofano al cervello per sintetizzare serotonina, un neurotrasmettitore implicato nell’affaticamento, i BCAA avrebbero limitato o ritardato la fatica a livello centrale.

Ma da molti anni l’ipotesi dei BCAA per la fatica centrale è stata messa in discussione data anche l’assenza di reali prove sperimentali (17,18,19), sollevando dei dubbi sulla sua validità. Inoltre, la fatica centrale risulta molto più influenzata dalla durata che non dall’intensità dell’esercizio (20), e non a caso questi effetti dei BCAA vengono trattati nel contesto dell’endurance prolungata più che dell’allenamento con i pesi (18).

Questo da una parte potrebbe validare l’utilizzo dei BCAA come potenziale ergogenico per l’endurance prolungata, dall’altra pone ulteriori dubbi sull’utilità negli sport con i pesi, per caratteristica intensi e di durata breve o moderata. Ma anche i carboidrati assunti nel pre-allenamento aerobico, attorno a 1.5 g/kg, sono capaci di ritardare la fatica centrale rispetto a un pasto meno glucidico (0.8 g/kg) con le stesse proteine (21). Quindi rimane discutibile che i BCAA abbiano un effetto unico in tal senso che non può essere ottenuto con il cibo o con i carboidrati.

Come assumere gli aminoacidi ramificati? Dosaggio

aminoacidi ramificati quando assumerli

Quante proteine per la massa muscolare? Le indicazioni ufficiali delle organizzazioni quali ACSM, ADA e Dietitians of Canada suggeriscono, per chi si allena con i pesi, apporti proteici compresi tra 1.6-1.7 g/kg di peso (3), ma questo vale se l’apporto calorico è almeno impostato sul livello di mantenimento (dieta eucalorica/normocalorica).

Recenti documenti scientifici importanti hanno però chiaramente determinato che in condizioni ipocaloriche (cioè di bilancio calorico negativo) le proteine debbano essere aumentate rispetto a quelle ritenute ottimali in condizioni eucaloriche o ipercaloriche per prevenire la riduzione del tessuto magro per chi si allena con i pesi(4).

Un dato importante è che se una persona che si allena con i pesi segue una dieta iperproteica, raggiungendo le quantità suggerite dalle linee guida ufficiali, e ricavando gran parte delle proteine da fonti nobili, normalmente tra il 15 e il 20% di queste proteine è rappresentato da BCAA (5). Alcune tipologie di proteine del siero di latte (whey protein) arrivano al 26% di BCAA, le proteine del latte al 21%, le proteine della carne e della soia in polvere isolate al 18%, e le proteine del grano al 15%(6).

Bisogna anche tener presente che solitamente i culturisti, o in generale gli atleti di forza, tendono a mantenere l’introito proteico superiore a quanto suggerito dalle linee guida e dalle organizzazioni sopracitate (7,8 – tradizionalmente 2-2.2 gr/kg, ma anche quantità superiori), e questo si riflette su un’assunzione di BCAA ancora maggiore di quella stimata.

Poichè il rischio catabolico aumenta in condizioni ipocaloriche (4), l’aumento dell’apporto proteico suggerito avrebbe la capacità di prevenire la perdita di massa magra negli atleti di forza senza supplementazione di BCAA, anche perchè l’aumento dell’apporto proteico determina come diretta conseguenza un aumento dell’assunzione degli stessi BCAA dal cibo.

In condizioni ipocaloriche (cutting) si possono raggiungere quantità proteiche di circa 3 g/kg (4 – specie se il decifit è molto marcato), che per una persona di 70 kg si traducono in 210 gr di proteine, e se almeno il 15-20% di queste è rappresentato da BCAA, ciò corrisponde almeno a 31-42 gr di BCAA solo dalle proteine alimentari.

Tali quantità aumentano se parte di queste proteine è coperta dalle whey protein, come spesso accade per chi si allena con i pesi. Naturalmente un uomo pesa facilmente più di 70 kg, pertanto i quantitativi aumentano ulteriormente rispetto a queste stime. Sarebbe inoltre un errore considerare i BCAA in forma di supplemento come differenti da quelli ricavati dal cibo. Infatti un amminoacido alimentare non può essere distinto da uno già presente nel corpo(9). Una data quantità di BCAA nel sangue è quindi uguale che derivi da una fonte carnea, dal latte, da un vegetale, da un supplemento isolato o dai processi catabolici del muscolo scheletrico.

I normali BCAA presentano un rapporto 2:1:1, cioè la leucina è presente in quantità maggiore del doppio rispetto a isoleucina e valina, o in altri termini il 50% della quantità totale è rappresentato dalla leucina. Dato che quest’ultimo è il principale, e secondo alcuni l’unico aminoacido importante tra i tre per promuovere la sovraregolazione delle vie anaboliche, in anni più recenti sono state presentate sul mercato anche le cosiddette formule “arricchite di leucina” (“leucine enriched”) con proporzioni differenti, come i BCAA 4:1:1, 8:1:1, arrivando addirittura fino alle 20:1:1.

Ma la proposta delle formule “leucine enriched” sembra motivata da scopi puramente commerciali in quanto non risulta avere alcuna reale base scientifica. L’unico studio ad oggi pubblicato sul confronto tra i normali BCAA e quelli più arricchiti di leucina (4:1:1) non ha osservato alcun beneficio da questi ultimi (26). Al contrario, recentemente è stato proposto che isoleucina e valina potrebbero interferire con l’assorbimento intestinale di leucina, l’unico tra i tre utile per potenziare la sintesi proteica (MPS), nel caso sia associata a una porzione proteica in quantità non-ottimali (<20 g) (2,3).

Ciò significa che se lo scopo è utilizzare questi aminoacidi per potenziare la MPS, ha più senso usare la leucina isolata, sia per il costo minore rispetto alle sopravvalutate formule arricchite, sia perché si è dimostrata più efficace dei tre BCAA assieme per questi scopi.

Endurance e dosaggio BCAA

Importanti evidenze suggeriscono che per prevenire o limitare fortemente il catabolismo muscolare e la conseguente ossidazione di BCAA muscolari durante l’esercizio sia sufficiente garantire adeguate scorte di glicogeno muscolare (18,19 – correlate ad un sufficiente consumo di carboidrati nella dieta) e assumere una bevanda a base di carboidrati nel corso della sessione(18).

Questi dati in realtà sono stati ricavati da atleti di endurance e maratoneti, una categoria di atleti molto più esposta al rischio di catabolismo muscolare durante l’esercizio rispetto a chi si allena con i pesi. Ciò potrebbe significare che possa bastare una bevanda zuccherata da sorseggiare durante l’esercizio per ottenere un effetto anticatabolico paragonabile a quello indotto dai BCAA, senza considerare l’effetto anticatabolico favorito dall’eventuale e probabile assunzione di nutrienti nel periodo pre-esercizio. Un normale pasto misto viene digerito in molte ore (12), e se lo si consuma nel pre-allenamento, i carboidrati e gli amminoacidi da esso ricavati sono naturalmente ancora aumentati durante, e molto probabilmente anche dopo l’esercizio.

I BCAA di conseguenza non sembrerebbero in qualsiasi circostanza così miracolosi come le case produttrici e il senso comune vogliono farci credere. La critica dunque non è focalizzata sul fatto che i BCAA non siano efficaci, ma bensì sul fatto che quelli assunti col cibo possano essere più che sufficienti (con una dieta iperproteica e adeguatamente calorica per atleti di forza) per garantire il massimo dei loro benefici (effetto anticatabolico, substrato glucogenetico, stimolo dei segnali proteosintetici, attenuazione della fatica, attenuazione del DOMS ecc). Questo comunque non significa che i BCAA non siano utili in altre condizioni; ad esempio, se per qualsiasi motivo un atleta non riesce o non intende coprire il fabbisogno proteico suggerito per il suo tipo di attività in rapporto al bilancio calorico. Un effetto di attenuazione del catabolismo muscolare con abbondanti quantità di BCAA (circa ben 80 gr al giorno) è stato dimostrato quando gli atleti si trovano in condizioni di apporto calorico e proteico insufficiente(20).

Gli atleti di endurance, i quali generalmente tendono a sottovalutare l’apporto proteico(2) spesso senza raggiungere i fabbisogni iperproteici per loro raccomandati (1.2-1.4 gr/kg – 3), possono trarre beneficio da questa supplementazione. Infatti alcune evidenze hanno osservato che anche con introiti proteici leggermente superiori a quelli suggeriti per le loro necessità (1.6 gr/kg), assumendo 12 gr di BCAA per 12 giorni gli atleti di endurance hanno dimostrato una riduzione dei marker del danno muscolare a seguito di 2 ore di pedalata a moderata intensità(21).

Questo può significare che, al contrario di quanto non è stato dimostrato per gli atleti di forza, gli atleti di endurance possono ottenere dei vantaggi dai BCAA anche in condizioni di apporto proteico e calorico adeguato. A maggior ragione l’assunzione di BCAA per gli atleti di endurance potrebbe valere sotto restrizione calorica a causa di un aumentato fabbisogno proteico rispetto alle quantità suggerite (1.2-1.4 gr/kg), al fine di preservare la massa magra(22), e di riflesso la performance.

Quando assumere gli aminoacidi ramificati? Prima, durante o dopo l’allenamento?

Performance: se gli scopi di assunzione sono quelli di ottenere un effetto ergogenico nei limitati casi in cui possono avere un razionale, i BCAA andrebbero assunti nel pre- e/o nell’intra-workout, e la quantità più comunemente suggerita è di 100 mg/kg (7.5 g per un uomo di 75 kg o 5 g per una donna di 50 kg). L’assunzione, anche superiore a quella indicata, potrebbe essere sensata durante gli allenamenti di endurance a digiuno molto prolungati (>60 min) o in scarsità di carboidrati (modalità “training low”).

Recupero: se gli scopi dell’utilizzo sono mirati a favorire il recupero dall’allenamento, i BCAA andrebbero assunti soprattutto nelle ore post-workout per una quantità complessiva di 200 mg/kg (13) (15 g per un uomo di 75 kg o 10 g per una donna di 50 kg). L’assunzione per questi motivi può essere sensata nel caso si segua una dieta con apporto proteico subottimale per lo sportivo, in particolare se al di sotto di 1.6 g/kg/die (16).

In generale per il timing delle proteine puoi approfondire con questo articolo: Quando assumere le proteine?

Aminoacidi ramificati BCAA per la massa muscolare (bodybuilding)

Molti autori citano l’autocondizionamento psicologico e l’effetto placebo quando un atleta giustifica l’utilizzo di BCAA per la presunta efficacia riscontrata, e questo aspetto è naturalmente ben documentato in letteratura(10), nonché uno dei principali punti di forza su cui possono fare affidamento le aziende di integratori. Che sia placebo o che funzioni realmente poco importa, in quanto è sufficiente che il compratore sia solo “psicologicamente soddisfatto”.

Sta di fatto che ad oggi sembra che nessuna ricerca abbia dimostrato chiaramente che l’uso di BCAA nelle classiche condizioni “culturistiche” (dieta adeguatamente calorica e proteica) sia più vantaggioso rispetto alle stesse condizioni dietetiche in assenza di questa supplementazione. Qualcuno di questi autori li considera comunque utili in forma libera, perchè in questo modo riescono a rendersi disponibili in maniera molto rapida. Secondo altri, in condizioni leggermente ipocaloriche – nei regimi di cosiddetta “ricomposizione corporea” – potrebbero fornire un contributo.

Tuttavia queste sono ancora teorie, e non sembrano esistere dei test e delle ricerche dirette in grado di confermarlo. L’assimilazione rapida dei BCAA liberi potrebbe essere certamente utile in condizioni particolari, ma consideriamo che il rilascio di amminoacidi ottenuti dal cibo proteico assunto durante la giornata è costante, specie se si assumono pasti proteici frazionati per più volte al giorno come avviene nella maggior parte dei casi. Parte degli amminoacidi ricavati dalle proteine alimentari infatti viene trattenuta dal piccolo intestino (attorno al 30-50%) per essere rilasciata in seguito, quando il cibo non è più disponibile (11).

Uno dei tipici benefici attribuiti ai BCAA è quello di agente anabolico, ovvero che dovrebbe favorire una maggiore crescita muscolare. In realtà, i BCAA isolati dimostrano di per sé al massimo deboli capacità di stimolare la sintesi proteica muscolare (MPS) post-ingestione rispetto alle proteine con una pari quantità di BCAA (2), e non risulta un chiaro effetto a lungo termine sulla crescita o il mantenimento muscolare in associazione all’allenamento con i pesi (5,6).

Cosa più importante, assumere una quantità di proteine ottimale per gli sportivi già apporta molti BCAA contenuti nel cibo, e dato che spesso chi si allena in palestra assume giornalmente ben più proteine di quelle che sarebbero necessarie (>2.2 g/kg), l’apporto di BCAA con il cibo eccede i livelli minimi per ottimizzare l’anabolismo che si otterrebbero con un apporto proteico di almeno 1.6 g/kg (1,7).

Se dal punto di vista dell’anabolismo i BCAA non risultano chiaramente utili, spesso vengono proposti come supplemento anti-catabolico durante l’esercizio. In primo luogo, l’effetto anti-catabolico è stato messo in discussione da alcuni scienziati (4), anche se alcuni studi hanno raccolto degli indizi a supporto di questa idea (8,9).

Ad ogni modo l’esercizio fisico non espone a catabolismo muscolare nel contesto della normale alimentazione. L’eventuale processo di catabolismo muscolare viene enfatizzato nell’esercizio a digiuno, ma questo non è un indicatore della perdita di massa muscolare (10,11). Il fatto che in un momento della giornata (come nel digiuno notturno o negli allenamenti a digiuno) si verifichi un leggero catabolismo muscolare, non è indice di una perdita di massa muscolare (10,11).

Cosa più importante, ingerire cibo ha di per sé un effetto anti-catabolico (12), quindi anche se i BCAA agissero in tal senso, l’effetto verrebbe sopraffatto dal cibo ingerito.

Gli aminoacidi ramificati non fanno ingrassare?

Uno dei presunti effetti secondari degli aminoacidi ramificati, spesso promossi nel fitness e nel bodybuilding sarebbe quello di agente “brucia grassi” (fat burner). L’unico studio spesso citato come presunta prova di questo effetto, osservò che chi li assumeva per ben 65 g al giorno perse più grasso rispetto a chi instaurava la stessa restrizione calorica con più proteine ma senza BCAA isolati (22).

Bisogna però considerare le importanti limitazioni dello studio (qui non approfondite), il fatto che i risultati non sono mai stati replicati, e soprattutto che le quantità di BCAA assunti erano comunque irrealistiche e esageratamente elevate (0.9 g/kg/die). Quindi ad oggi non ci sono dati forti a documentare un effetto “brucia grassi” dei BCAA.

Dove si trovano gli aminoacidi ramificati? In quali alimenti?

Le quantità medie che trovi in questo paragrafo aumentano se il soggetto assume più di 1.6-1.7 gr/kg proteine (una necessità soprattutto sotto regime ipocalorico – 4) e/o se assume supplementi proteici derivati dalle proteine del siero del latte (whey protein), le quali contengono circa il 25% di BCAA sulla quantità proteica totale(6). Ad esempio, se un soggetto di 75 kg assume le tradizionali quantità proteiche di 2 gr/kg (150 gr/die), l’apporto di BCAA dalle proteine alimentari ammonta mediamente a 26 gr, e la media aumenta leggermente se si assumono soprattutto fonti proteiche definite “di alta qualità” (carne, pesce, uova e latticini) e proteine del siero del latte.

Assunzione media di BCAA dalle sole proteine ricavate dal cibo (il 15-20% delle proteine è composta da BCAA, +/- 17.5% – 5) sulla base dell’apporto proteico ideale in rapporto al peso corporeo suggerito dalle linee guida ufficiali per chi si allena con i pesi (1.6-1.7 gr/kg, +/- 1.65 gr/kg – 3) in condizioni dietetiche eucaloriche (normocaloriche):

– Individuo di 65 kg   > PRO 107.2 gr/die > BCAA 18.7 gr/die

– Individuo di 70 kg   > PRO 115.5 gr/die > BCAA 20.2 gr/die

– Individuo di 75 kg   > PRO 123.7 gr/die > BCAA 21.6 gr/die

– Individuo di 80 kg   > PRO 132 gr/die    > BCAA 23.1 gr/die

– Individuo di 85 kg   > PRO 140.2 gr/die > BCAA 24.5 gr/die

– Individuo di 90 kg   > PRO 148.5 gr/die > BCAA 25.9 gr/die

– Individuo di 95 kg   > PRO 156.7 gr/die > BCAA 27.4 gr/die

– Individuo di 100 kg > PRO 165 gr/die    > BCAA 28.8 gr/die

Conclusioni sugli aminoacidi ramificati (BCAA): servono o non servono?

In conclusione, i BCAA possono sicuramente rivelarsi un integratore molto utile, ma è necessario tenere conto del fatto che le proteine alimentari, specie se di alta qualità, ne esprimono un buon contenuto, pertanto una supplementazione ulteriore in condizioni di dieta fortemente iperproteica può rivelarsi facilmente superflua o inutile. Poiché però una buona parte degli utenti fitness, e spesso anche gli atleti di endurance, potrebbero non coprire le richieste proteiche e/o caloriche necessarie per il loro fabbisogno (anche solo a causa dell’eventuale bilancio calorico negativo), in questi casi la supplementazione di BCAA può essere sicuramente più sensata.

 

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Fibre alimentari: funzioni, proprietà, benefici

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fibre alimentari benefici e dimagrimento

Le fibre alimentari sono delle sostanze non-nutritive che hanno molti benefici sulla salute (cardiovascolare, prevenzione tumorale, digestione,…) e sul dimagrimento: proprio per questo gli alimenti che le contengono dovrebbero fare parte di ogni dieta.

Cosa sono le fibre alimentari? Definizione

Le fibre alimentari sono un gruppo di sostanze non digeribili e non assorbibili, in quanto l’organismo umano non ha gli enzimi digestivi in grado di scindere queste macromolecole – per questo in pratica sono considerate acaloriche (senza calorie). Dal punto di vista chimico, sono carboidrati complessi presenti sostanzialmente solo in prodotti vegetali e comprendono:

Sono molecole che possono essere utilizzate dal microbiota che risiede nel colon tramite fermentazione: si parla di fermentazione colica, che riguarda principalmente le fibre solubili.  Le principali caratteristiche fisiologiche includono l’effetto lassativo e la regolazione di colesterolemia e glicemia.

A cosa servono le fibre alimentari? Benefici, proprietà ed effetti

Le fibre hanno importanti benefici per l’organismo e svolgono diverse funzioni.

Fibre alimentari solubili

  • attività prebiotica che migliora la composizione del microbiota intestinale
  • aumento della viscosità della massa fecale
  • fermentazione nell’intestino crasso
  • produzione di acidi grassi a corta catena (acetato, buttirato, propionato) che hanno effetto anti-infiammatorio
  • chelano il glucosio, migliorando la risposta glicemica
  • chelano il colesterolo ed i sali biliari migliora la colesterolemia
  • vengono completamente metabolizzate dai microbi intestinali e non si ritrovano nelle feci

Fibre alimentari insolubili

  • assorbono e trattengono acqua e gas nell’intestino
  • aumentano la massa fecale e la sua morbidezza
  • ripuliscono l’intestino aumentando la velocità di transito delle feci
  • rimangono quasi completamente indigeste e sono escrete con le feci

In generale il loro consumo quotidiano è correlato ad un minor rischio di tumori al colon, malattie cardiovascolari e diabete. Tutto questo grazie alle proprietà delle fibre ed al loro potere saziante (meno mangi, meno sei grassi e meno hai patologie correlate al sovrappeso).

Le fibre sono consigliate sia in caso di costipazione e diverticoli (bisogna bere molta acqua che viene assorbita dalle fibre insolubili), o nel caso di diarrea (in questo caso non bisogna bere acqua).

Classificazione fibre alimentari: quali sono?

fibre alimentari benefici

Le fibre si dividono in due grandi famiglie, le fibre solubili che si dissolvono in acqua (emicellulose, glucani, pectine, gomme, amidi resistenti, inulina) e le fibre insolubili che non si dissolvono (cellulosa, lignina, alcune emicellulose).  A livello nutrizionale si consiglia di assumere 1/3 delle fibre solubili e 2/3 insolubili.

Le fibre sono caratterizzate per la loro fermentazione (uno dei motivi per cui non bisogna eccedere), per lo scambio di cationi, l’elevata viscosità e la capacità di trattenere acqua ed altri nutrienti come il glucosio, il colesterolo ed i sali biliari.

Fibre solubili Fibre insolubile
Pectine, gomme, mucillagini, galattomannani Cellulosa, emicellulasa, lignina
Si gonfiano e formano un gel Aumentano la massa fecale
Rallentano i tempi di svuotamento gastrico Accelerano il transito intestinale
Chelano glucosio e colesterolo Riducono il contatto con sostanze nocive

 

Alimenti e cibi ricchi di fibre alimentari: cosa mangiare? Dove si trovano?

Ecco gli alimenti più ricchi di fibre alimentari:

Alimento Fibre
Crusca di frumento 42g
Crusca di avena 42g
Fave 21g
Fagioli 15g
Piselli 15g
Pop Corn 15g
Segale 14g
Lenticchie 14g
Ceci 13g
Mandorle 13g
Soia secca 12g
Arachidi 11g
Pistacchi 11g
Frumento integrale 10g
Orzo 9g
Datteri 9g
Prugne 8g
Fiocchi d’avena 8g
Nocciole 8g
Cioccolato amaro 8g

Le fibre alimentari si trovano nel regno vegetali e principalmente nei legumi, cereali (soprattutto integrali), verdura, frutta (soprattutto nella buccia) e frutta secca.

Fibre solubili Fibre insolubili
Crusca di avena Cerali integrali
Orzo Orzo
Legumi Verdure
Frutta secca Ceci
Patate Pane integrale
Albicocche Fagioli
Mela Melanzane
Pera Pera
Riso integrale Piselli

Come possiamo vedere gli alimenti contengono sia fibre solubili che insolubili in diversa %. Ricordiamoci che generalmente viene consigliato un rapporto di 1/3 a favore delle fibre insolubili.

Quali sono gli alimenti senza fibre?

Le fibre si trovano solo nel regno vegetale, pertanto tutti i derivati animali sono senza fibre (carni, pesce, latticini, formaggi, insaccati, ecc.). Le grandi organizzazioni della sanità sottolineano che una dieta sana e salutare è una dieta che si basa principalmente su alimenti di origine vegetale (ricchi di fibre). Di contro le fonti animali sono le uniche che possiedono il colesterolo.

Quali alimenti ricchi di fibre per dimagrire?

Gli alimenti ricchi di fibre per dimagrire sono principalmente tutti i legumi, che con il loro contenuto di fibre, antinutrienti e proteine, sono tra gli alimenti più sazianti che possiamo mangiare. Anche i cereali integrali contengono più fibre rispetto a quelli raffinati (che generalmente sono solo il frumento ed il riso). Leggi l’articolo sui cibi integrali per sapere di più.

Infine la frutta e la verdura hanno un buon quantitativo di fibre e non dovrebbero mai mancare in un regime dietetico, soprattutto perchè essendo alimenti a bassa densità energetica, aiutano col senso di sazietà per chi segue una dieta ipocalorica.

La frutta secca anche se contiene tante fibre, avendo un alto contenuto di grassi e calorie va mangiata con moderazione se vuoi perdere peso e non può essere annoverata tra i cibi per dimagrire (aiuta comunque col senso di sazietà a lungo termine).

Integratori di fibre alimentari

L’integrazione di fibre generalmente è consigliata solo in casi particolari, come in chi segue una dieta chetogenica, o deve migliorare la sua flora intestinale (effetto prebiotico). Gli integratori di fibre possono essere sostituiti anche dall’assunzione di crusca (di avena e frumento) al mattino.

Può essere indicato assumere integratori per migliorare il senso di sazietà, se soffri di ipercolesterolemia, iperglicemia, costipazione o diarrea (ricordiati che l’effetto cambia a seconda di quanta acqua bevi).

Controindicazioni delle fibre alimentari

fibre alimentari benefici per dimagrimento

Un eccesso di fibre non è raccomandato per diversi motivi:

  • eccessiva fermentazione batterica (disbiosi fermentativa)
  • chelano sostanze nutritive, ed in diete carenti di ferro e calcio i fitati ne riducono l’assorbimento
  • aumentano l’infiammazione intestinale
  • peggiorano il colon irritabile
  • aumentano il meteorismo
  • causano diarrea o costipazione

Fibre alimentari, calorie e fabbisogno giornaliero

I grandi istituti della sanità (FDA, AIRC, OMS), raccomandano l’introduzione giornaliera, attraverso gli alimenti, delle fibre alimentari, in quantitativi che vanno dai 25-35g. Questo quantitativo è raggiungibile tramite: due porzioni di verdura/giorno + 3 porzioni di frutta/giorno + 2/3 porzioni di legumi/settimana.

Le fibre alimentari in realtà non sono tutte completamente indigeste perché vengono scisse dai batteri intestinali (microbiota) che le degradano in acidi grassi a corta catena, i quali nutrono i nostri enterociti (cellule dell’intestino).  Le fibre alimentari apportano mediamente da 1,5-2,5kcal/g, ma chelando alcuni nutrienti come il glucosio, velocizzando il passaggio gastrico ed aumentando il senso di sazietà, vengono generalmente considerate, in nutrizione, come acaloriche (senza calorie).

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Come ridurre gli attacchi di fame?

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ridurre attacco di fame a dieta

Un attacco di fame è spesso un ostacolo quando vuoi dimagrire. Però, sentire la fame è anche un segnale positivo perché significa che effettivamente i tuoi adipociti si stanno svuotando rilasciando i grassi che contengono. Cosa puoi fare per limitare gli attacchi di fame e non mandare all’aria la dieta (ipocalorica)?

Che cos’è la fame?

La fame è una sensazione legata al bisogno di introdurre cibo quando l’organismo entra in carenza energetica ed è regolata dagli ormoni e dall’ipotalamo: una regione del sistema nervoso che fa da sensore per tutta una serie di parametri da tenere sotto controllo per garantire l’omeostasi e le funzioni organiche, meccanismo fame/sazietà incluso.

A questo livello c’è infatti il lipostato, il sistema di controllo della spesa energetica, che regola il peso corporeo monitorando la quantità di riserve energetiche presenti nell’organismo: depositi depletati e peso che scende? Il lipostato induce a mangiare.

La fame è quindi una risposta ad un bilancio energetico negativo perché mangi di meno rispetto a quello che consumi. Dal tuo punto di vista è una situazione volontaria e necessaria per perdere peso, ma l’organismo, invece, la percepisce come una situazione in cui c’è qualcosa che non va: “i conti (energetici) non tornano” e bisogna risolvere il problema.

Così, come può l’organismo risolvere la carenza energetica in cui si trova? Deve per forza trovare il modo per farti assumere cibo: ecco perché esiste la fame, come strategia di sopravvivenza.

Se sei a dieta, puoi interpretare la sensazione di fame (non di appetito) come un buon segnale di bilancio energetico negativo e quindi di dimagrimento: se magro vuoi apparire, di fame devi soffrire dicevano. Anche se poi anche la percezione di questa sensazione è soggettiva: qualcuno la soffre di più, altri meno.

Anche i crampi di fame a livello addominale, che altro non sono che il risultato di contrazioni cicliche del tubo digerente, sono un segnale che indica una fase (momentanea) di carenza di cibo; infatti sono tipiche del tempo di digiuno che c’è tra i pasti.

Fame continua e compulsiva: da cosa dipende?

attacco di fame e dieta

La fame può quindi essere considerata come una risposta ad un bisogno. Risposta che dipende da cosa? Quando è continua e compulsiva o sei in grande carenza energetica da molto tempo oppure, più probabilmente, la confondi con l’appetito (impulso a mangiare ma non per motivi di carenza energetica).

Se questa sensazione di fame nervosa (che cos’è la fame nervosa?) è continua, i motivi sono riconducibili a:

  • ansia, depressione, stress;
  • poche ore di sonno o di scarsa qualità (risvegli, sonno non profondo):
  • gravidanza;
  • troppo repentino calo di peso, alimentazione sregolata.

In quest’ultimo caso, la causa può essere sia dettata dalla qualità dei cibi sia dalle abitudini: la maggior parte dei cibi che consumi sono densamente energetici o no? Mangi circa agli stessi orari? Distratto da tv, cellulare? Molto velocemente senza quasi accorgerti di cosa hai nel piatto?

Uno dei motivi che spingono a consumare di più sono i cibi ultraprocessati (UPFs): snack confezionati, gelato, cioccolato, creme spalmabili, bevande zuccherate, sostituti dei pasti, prodotti pronti da scaldare, hamburger, dessert confezionati,… Tutti cibi iper-appetibili, pratici, veloci, con un packaging attraente, molti ingredienti e anche economici.

Per le loro caratteristiche, sei spinto a mangiare più velocemente (aumento dell’eating rate) rispetto a quanto faresti consumando le stesse calorie provenienti però da cibi più salutari e meno densi energeticamente.

Vengono quindi assunte molte calorie in poco tempo: il segnale di sazietà arriva in ritardo o non viene percepito nonostante la grande quantità energetica assunta e nasce il bisogno di mangiarne ancora per riuscire a placare la fame. Da una parte la sazietà non viene soddisfatta, dall’altra vengono ingerite molte calorie – calorie “vuote”: l’apporto energetico è alto ma i nutrienti utili pochi.

 

Fame la sera dopo cena

Per quanto detto finora, la fame corrisponde ad una carenza di cibo. A meno che di regime ipocalorico, quindi, in fisiologia non ci dovrebbe essere questo reale bisogno di fornire energia all’organismo e  di riempire le scorte.

Però, la sera appena sei tranquillo dopo una giornata di lavoro, dopo aver cenato, ti si apre un buco nello stomaco. E’ veramente fame? Probabilmente no, soprattutto se hai cenato da poco. Questa sensazione però nasce spontanea, perchè il cibo oggi non è più solo un soddisfare i propri bisogni nutrizionali ma anche un modo per rispondere a stress, depressione, emozioni e avere gratificazione.

Senza esagerare, mangiare qualcosa tra la cena e prima di andare a dormire non è un problema: se rientra nel fabbisogno giornaliero non fa ingrassare e può essere un problema solo quando è molto abbondante o difficile da digerire, perchè poi la digestione va ad influire sulla qualità del sonno.

Fame la notte

La fame notturna è spesso dovuta ad un malessere psicologico ed è più grave quando comincia a presentarsi con frequenza, in quanto diventa un evento consolidato e, man mano che passa il tempo, sarà sempre più difficile riuscire a smettere. È un problema da un punto di vista:

  • alimentare: probabilmente è un desiderio incontrollato, poi legato al senso di colpa e all’ingrassamento;
  • del sonno: interromperlo con risvegli e non dormire bene aumenta lo stress, non fa recuperare l’organismo, è sia causa che conseguenza della fame nervosa;
  • della qualità di vita in generale.

In caso di fame notturna, quindi, è salutare smettere questa abitudine, anche con l’aiuto di professionisti, come uno psicologo in collaborazione con un nutrizionista. Un primo step può anche comprendere il dare più “ordine” all’alimentazione durante la giornata.

Come ridurre gli attacchi di fame?

attacco di fame e rimedi

Cosa fare in pratica per limitare gli attacchi di fame?

  • Capisci qual è la causa: è realmente fame oppure c’è un altro motivo?
  • Fai altro: trova qualcosa da fare così che il cervello sia distratto da questo e non dalla fame
  • Cerca, se possibile, di diminuire/risolvere i fattori stressanti della tua giornata (lavoro, famiglia,…)
  • Comincia dalla spesa e tieni in casa pochi cibi palatabili, in modo da essere meno attratto dal voler mangiare qualcosa di molto calorico e poco saziante
  • Bevi acqua, tè o tisane senza zucchero: la sensazione di fame può essere confusa con quella di sete
  • Assicurati di dormire un buon numero di ore e di fare un sonno di qualità

Oltre a questo, da un punto di vista alimentare cerca di avere un’alimentazione equilibrata, sia in termini di qualità degli alimenti che di abitudini:

  • meno cibi ultraprocessati,
  • più cibi poco densamente energetici, fibrosi e idratati,
  • inserisci spuntini per smorzare la fame tra i pasti principali,
  • cerca di mantenere più o meno gli stessi orari (frequenza dei pasti).

Inoltre, un modo per avere meno fame è riuscire ad essere più sazi e soddisfatti da quello che mangi: è consigliato masticare bene e piano oppure introdurre la verdura prima del resto del pasto per dare il tempo ai segnali di essere trasmessi ed elaborati da parte dell’ipotalamo ed aumentare il senso di sazietà.

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Come aumentare o diminuire l’appetito?

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come regolare appetito a dieta

L’appetito vien mangiando… O no? Avere fame è una sensazione spiacevole, soprattutto quando sei a dieta: mangiare o non mangiare quel biscotto, quel pezzo di cioccolata, quel pacchetto di patatine? Cosa puoi fare per regolare l’appetito?

Che cos’è l’appetito? Definizione ed etimologia

L’appetito (dal latino appetitus der. di appetere “aspirare a”) è un impulso a soddisfare un desiderio di cibo senza un motivo fisiologico ma piuttosto psicologico; può anche essere definito fame nervosa. E’ una sensazione diversa dalla fame (infatti è importante riuscire a distinguerle), che invece sorge quando c’è un bisogno fisiologico e una vera carenza energetica.

L’appetito porta, di solito, a mangiare quantità anche superiori rispetto alle richieste dell’organismo e spinge alla ricerca di cibi molto palatabili: quanti spinti dal desiderio di cibo iniziano a mangiare frutta o verdura? Questi cibi sono costituiti principalmente da molti zuccheri e grassi e contengono sale, una triade fatta su misura per:

  • dare la sensazione di gratificazione al momento del consumo (quindi momentanea)
  • spingere a consumarli di nuovo, anche perché non portano sazietà

Nasce un circolo vizioso che rende questi alimenti una vera e propria dipendenza: per essere soddisfatto dovrai continuare a mangiarli in una quantità sempre maggiore. Il meccanismo porta chiaramente a mangiare troppo e in quantità elevate cibo poco salutare, con conseguenze sulla salute (eccesso adiposo incluso con sue conseguenze).

Appetito e perdita di peso

appetito come regolarlo

Tutte le diete che sono ipocaloriche fanno dimagrire, ma come non farle fallire per cause psicologiche? Durante la perdita di peso gli adipociti si svuotano perchè rilasciano gli acidi grassi che contengono: il tessuto adiposo così diminuisce e dimagrisci. Il grasso però non è solo un organo di deposito, ma anche di secrezione dato che produce molto molecole (adipochine).

Tra queste c’è anche la leptina, uno degli ormoni della sazietà, fondamentale per la regolazione a lungo termine. Viene secreta in quantità proporzionale a quella del tessuto adiposo bianco, sia dagli adipociti e in parte anche dallo stomaco:

  • più ne hai, più leptina c’è e quindi in risposta c’è anche più sazietà
  • al contrario, quando sei in ipocalorica prolungata e perdi molto grasso, c’è meno leptina e quindi sei meno sazio

Non è tuttavia un meccanismo valido per soggetti obesi: avendo molti adipociti pieni non dovrebbero mai avere fame o appetito, quando invece non è così. Questo perchè, nonostante gli alti livelli dell’ormone della sazietà, sono leptina-resistenti e quindi non “rispondono” alla sua presenza.

Per limitare l’appetito durante la perdita di peso, non fare un taglio calorico troppo drastico (350, massimo 500 kcal circa): meglio un deficit meno marcato e più perseguibile nel tempo che uno molto consistente per poco tempo, sia in termini di sostenibilità che di risultati.

Inserisci alcuni cibi che soddisfano l’appetito e che ti gratificano: mettere dei “paletti” o etichettare alcuni cibi come proibiti/che fanno ingrassare è solo una restrizione mentale in più che sarà difficile da rispettare, se non nel breve periodo. Pensa al modo per riuscire a seguire ipoteticamente la dieta il più a lungo possibile.

Appetito famelico e smisurato: quali sono le cause?

Il controllo dell’appetito coinvolge il sistema nervoso, che tramite stimoli elettrici e ormonali regola il senso di fame, appetito, sazietà. In particolare, la dopamina stimola i circuiti nervosi legati alla ricompensa in risposta all’assunzione di cibo, soprattutto quando ricco di zucchero e di grasso. Così i cibi palatabili appagano ma solo momentaneamente, per di più senza saziare.

Se hai un’alimentazione ricca di cibi ultra-processati è facile quindi mangiare grandi quantità di cibo e di calorie (spesso in eccesso) e comunque avere continuamente appetito, magari anche poco dopo tempo rispetto al pasto.

Inoltre, nasce anche un circolo vizioso per il quale, a stimolazione ripetuta, per ottenere lo stesso livello di appagamento dovrai mangiare quantità maggiori perchè il sistema nervoso si abitua, come nel caso delle droghe (infatti la regione nervosa stimolata è la stessa): il cibo diventa così una dipendenza.

 

Come aumentare l’appetito?

Per aumentare l’appetito, per quanto riguarda la frequenza dei pasti, puoi non fare gli spuntini ma mangiare solamente nei pasti principali (colazione, pranzo, cena), così che dato il digiuno più prolungato, rispetto a quello che intercorre tra un pasto e una merenda, stimoli di più a voler assumere alimenti.

Mangia cibi che ti piacciono, saporiti e belli alla vista, che invoglino al consumo. Anche la scelta delle fonti è da considerare: preferisci cibi poco ingombranti, con poche fibre e che, invece, siano densi energeticamente: meno lo stomaco è pieno e le sue pareti sono distese e più il segnale di sazietà tarderà ad arrivare.

Il freddo è un fattore che aumenta l’appetito, come? Quando la temperatura è molto bassa, hai più appetito e desiderio di assumere alimenti che portano ad un incremento dell’apporto energetico e della temperatura (appunto utile a contrastare il freddo). Allo stesso modo, il caldo tramite segnali di origine ipotalamica, dove c’è infatti il centro della regolazione della temperatura corporea, diminuisce l’appetito (come aumentare il senso di sazietà per dimagrire?).

Come diminuire l’appetito?

Al contrario di prima, puoi fare 3 pasti principali più 2 o 3 spuntini per regolare la fame nel corso della giornata e non essere assalito da improvvisi buchi nello stomaco che ti portano a mangiare grandi quantità ci cibo.

Puoi diminuire l’appetito limitando la causa, che non sempre è direttamente correlata al cibo, anzi: stress, sonno disturbato, problemi in famiglia o sul lavoro, ecc possono essere una causa indiretta dell’appetito. Quindi, agisci in modo da ridurre la causa dello stress, anche in aggiunta ad attività fisica non troppo intensa o rilassante (yoga, pilates).

Dal punto di vista più strettamente alimentare, i cibi che danno più sazietà sono quelli ricchi di grassi e proteine (pesce, carne, uova, frutta secca) e di fibre (frutta, verdura, legumi, cereali integrali). Puoi quindi inserirli nei tuoi pasti, avranno un impatto positivo non solo sulla regolazione della fame ma anche sulla salute.

Conclusioni pratiche sull’appetito

Per limitare l’appetito puoi agire anche sul piano nutrizionale: punta al sentirti più sazio e soddisfatto da un pasto, preferisci cibi fibrosi, ricchi di acqua, di grassi, di proteine. Prima di tutto, però, cerca di distinguere la sensazione da quella della fame, per un’alimentazione “più fisiologica e meno psicologica”. Inoltre, limita gli stress quotidiani (ad esempio valutando la qualità del sonno o facendo attività fisica) e segui un’alimentazione equilibrata.

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Ipertrofia sarcoplasmatica o miofibrillare

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ipertrofia miofibrillare sarcoplasmatica

L’ipertrofia, l’aumento della massa muscolare, il “diventare grossi” è probabilmente l’obiettivo più comune tra chi frequenta le palestre, ed è sicuramente l’obiettivo cardine di chi fa body building. E’ divisa in due tipologie, sarcoplasmatica e miofibrillare: scopri le differenze ed i diversi metodi di allenamento per stimolarle!

Ipertrofia sarcoplasmatica e ipertrofia miofibrillare: definizioni e differenze

Il termine ipertrofia significa aumento del volume delle cellule, in questo caso si fa riferimento a quelle muscolari. Essa viene divisa in due tipologie: quella sarcoplasmatica e quella miofibrillare.

Quella sarcoplasmatica è causata appunto da un aumento del sarcoplasma, composta prevalentemente da: acqua, proteine non contrattili, organelli, e riserve energetiche di glicogeno e lipidi. Essa avviene in seguito a stimoli di tipo metabolico creando degli adattamenti strutturali ed energetici nel muscolo. E’ tipica di chi fa body building e non è necessariamente correlata ad un aumento di forza.

Quella miofibrillare viene detta anche ipertrofia funzionale ed è dovuta ad un aumento delle miofibrille e delle proteine contrattili actina e miosina. Essa è tipica dei sollevatori di peso e degli sport di potenza, poiché agisce sulla parte contrattile del muscolo comportando un incremento della produzione di forza.

E’ meglio l’ipertrofia sarcoplasmatica o quella miofibrillare?

Non c’è una risposta precisa a questa domanda poiché dipende dagli obiettivi del singolo individuo: sicuramente un body builder che avrà come obiettivo primario l’estetica del muscolo e le relative simmetrie, dedicherà la maggior parte del suo tempo a cercare stimoli che favoriscono l’ipertrofia sarcoplasmatica, mentre chi fa sport dove è richiesto un determinato impegno di forza cercherà di creare adattamenti relativi all’ipertrofia miofibrillare.

Tuttavia ci sono alcune considerazioni da fare: in fisiologia questi due fenomeni vengono distinti per farci comprendere al meglio gli stimoli da cercare durante l’allenamento, ma nel raggiungimento di determinati obiettivi sportivi possono essere connessi tra di loro.

Ad esempio per un body builder, riuscire a migliorare la propria forza attraverso l’ipertrofia miofibrillare, gli consentirà successivamente di aumentare i propri carichi di lavoro durante il periodo di lavoro dedicato all’ipertrofia sarcoplasmatica, creando un miglior rapporto tra stimoli meccanici e stimoli metabolici.

Al contrario per un sollevatore di pesi, il miglioramento dell’ipertrofia sarcoplasmatica gli permetterà di avere una maggiore efficienza metabolica a causa del maggior numero di substrati energetici presenti all’interno della sua cellula muscolare. Ciò gli consentirà di riuscire ad aumentare la propria tolleranza a volumi di allenamento più lunghi rispetto al solito e di ottimizzare i processi di recupero muscolare post allenamento.

Allenamento per l’ipertrofia sarcoplasmatica

ipertrofia sarcoplasmatica e miofibrillare in palestra

Come hai modo di vedere nella guida completa per l’ipertrofia muscolare per ottenere un miglioramento dell’ipertrofia muscolare bisognerà proporre degli stimoli che creino stress su 3 differenti aree:

  • stress ormonale: stimolo endocrino selettivo
  • stress metabolico: aumento dell’acido lattico, riduzione dei livelli di fosfati e di ATP, abbassamento del livello di glicogeno muscolare
  • stress meccanico: elevato reclutamento, contrazioni eccentriche, rottura dei sarcomeri

Se vuoi migliorare la tua ipertrofia sarcoplasmatica dovrai stimolare maggiormente la componente metabolica: tempi di lavoro relativamente lunghi con un recupero incompleto tra le serie permetteranno l’aumento della concentrazione di lattato, e la diminuzione di CP e di glicogeno muscolare. Quest’ultima sostanza verrà poi reintrodotta attraverso la dieta e grazie al fenomeno della supercompensazione sarà possibile ottenere quell’effetto estetico desiderato di pump muscolare.

Di conseguenza l’obiettivo dell’allenamento sarà quello di raggiungere il cedimento muscolare con lo scopo di stancare il più possibile le fibre muscolari.

Quante ripetizioni fare?

A tal fine l’ideale è lavorare in un range di ripetizioni tra 8-12 poiché tale strategia permette di trovare il giusto compromesso tra l’intensità determinata dal carico applicato e il TUT necessario alla produzione di lattato.

Esercizi per l’ipertrofia sarcoplasmatica

Gli esercizi normalmente proposti in palestra vengono divisi in due categorie: multiarticolari e monoarticolari. Gli esercizi multiarticolari prevedono il coinvolgimento di più articolazioni e di conseguenza un numero maggiore di muscoli, mentre quelli monoarticolari coinvolgono una sola articolazione e di conseguenza un numero minore di gruppi muscolari.

Gli esercizi multiarticolari sono risultati maggiormente utili al fine del miglioramento della produzione di forza, poiché comportano anche un miglioramento della secrezione degli ormoni anabolici. Questi esercizi vengono definiti anche “base” poiché soddisfano le seguenti esigenze:

  • possibilità di utilizzare carichi elevati nel tempo;
  • lavorare su intere catene cinetiche di movimento.

Ne consegue che questi esercizi sono particolarmente indicati in soggetti neofiti, che dovranno consolidare gli schemi motori. Gli esercizi multi-articolari liberi con sovraccarichi si prestano maggiormente a range di ripetizioni relativamente bassi in cui è consigliabile non lavorare sempre a cedimento muscolare; questo poiché tali esercizi richiedono un notevole impegno neurale oltre ad una buona coordinazione intra ed inter-muscolare ed esagerare in termini di volume all’interno di una serie andrebbe a comportare il rischio d’inficiare sul gesto tecnico-motorio.

Gli esercizi monoarticolari hanno invece la caratteristica di riuscire a concentrare lo stimolo su un gruppo limitato di muscoli. Premesso il fatto che non è possibile isolare un singolo muscolo, questa classe di esercizi permettono una particolare attivazione del muscolo agonista, che sarà quindi il muscolo sul quale verrà concentrato il focus del movimento, a discapito dei muscoli sinergici e stabilizzatori che invece non saranno attivi, poiché il movimento presenta una traiettoria guidata e non modificabile, impedendo eventuali compensi.

Essi si prestano maggiormente a tempi di esecuzione più lunghi, a recuperi incompleti e ad un maggior congestionamento a livello periferico. Di contro però hanno anche un maggior rischio di stress articolare causato dal vincolo di movimento creato dall’attrezzo.

In seguito a queste evidenze possiamo fare le seguenti considerazioni, non esistono categorie di esercizi migliori di altre, ma tutto va modulato in base agli obiettivi:

  • se vorrai migliorare la tua massa muscolare a livello generale, dovrai focalizzarti maggiormente sugli esercizi multiarticolari
  • se i tuoi obiettivi sono più legati alla definizione muscolare, gli esercizi monoarticolari ti permetteranno di creare maggiori stimoli metabolici a livello periferico perché sono più adatti a TUT relativamente lunghi.

Inoltre in alcuni casi vengono combinate le due modalità di esercizio, con il fine di pre-affaticare il muscolo target prima degli esercizi multiarticolari, attraverso gli esercizi monoarticolari, proponendo un ampio numero di ripetizioni durante la serie. Ciò permetterà al muscolo target di congestionarsi prima dei sinergici durante l’esecuzione dell’esercizio multiarticolare.

Allenamento per l’ipertrofia miofibrillare: come stimolarla?

Al contrario se con una scheda in palestra vorrai stimolare maggiormente l’ipertrofia miofibrillare, dovrai concentrarti maggiormente sul lavoro meccanico. A tal proposito bisognerà cercare una via di mezzo tra un programma di forza massima e uno di ipertrofia sarcoplasmatica. Di conseguenza sarà necessario un volume di allenamento minore, tempi di recupero tra una serie e l’altra più ampi, utilizzando carichi più alti.

Infine è bene ricordare che se vorrai utilizzare carichi alti non dovrai avere una varietà di esercizi troppo ampia perché per aumentare i carichi è necessaria una ripetizione continua del gesto, perfezionando sempre di più la tecnica esecutiva.

Quante ripetizioni fare?

Il numero di ripetizioni consigliato è tra le 5-8 reps poiché tale range ti permetterà di utilizzare carichi più alti e allo stesso tempo fornire un tempo di lavoro minimo necessario all’ipertrofia.

Esercizi per l’ipertrofia miofibrillare

Al contrario dell’ipertrofia sarcoplasmatica, l’ipertrofia miofibrillare richiede maggiore stress meccanico, ne conseguirà che gli esercizi maggiormente indicati sono quelli multiarticolari. Ciò avviene perché in essi è possibile utilizzare carichi più alti, al contrario di quelli monoarticolari a causa del potenziale stress articolare creato da quest’ultimi mediante l’utilizzo di carichi alti.

In ogni caso anche in questa situazione gli esercizi monoarticolari non vanno completamente esclusi perché un soggetto potrebbe avere particolari carenze in singoli gruppi muscolari che quindi andrebbero rinforzati: prova a pensare ad un soggetto che durante l’esecuzione dello squat, o di esercizi monopodalici come gli affondi tende ad avere un atteggiamento di valgo dinamico, dovrà rinforzare il suo medio gluteo per migliorare l’esecuzione dello squat.

Conclusioni pratiche: ipertrofia sarcoplasmatica o miofibrillare?

Seppur in fisiologia l’ipertrofia viene suddivisa in due tipologie, dal punto di vista pratico non è possibile separarle perché il nostro corpo risponde a degli stimoli in maniera globale e non a compartimenti stagni, semmai sarà possibile stimolare maggiormente determinati fattori rispetto ad altri. Non esiste un tipo d’ipertrofia migliore dell’altra, dipende semplicemente dai tuoi obiettivi, ma è bene ricordare che in entrambi i casi potrai cogliere i vantaggi dell’una in funzione dell’altra.

Non ci sono esercizi indispensabili, ma semplicemente esercizi più indicati in relazione al caso specifico, è bene però ricordare che cambiare scheda compulsivamente non ti aiuterà nel raggiungimento dei tuoi obiettivi: infatti per apprendere bene un pattern motorio dovrai ripetere il gesto più e più volte, incrementando le tue capacità di volta in volta al fine di avvicinarti sempre di più al tuo obiettivo finale.

Bibliografia

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  • https://www.projectinvictus.it/ipertrofia-muscolare-conosciamola-meglio/
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  • Paoli, A., & Toniolo, L. (2009). Basi fisiologiche dell’ipertrofia muscolare. J Sport Sci law, 2, 154-170.

Note sull’autore

Dottor. Pasquale Salerno

Laureato in scienze e tecniche dell’attività motoria preventiva e adattata presso l’università di Pavia.
Appassionato di preparazione atletica negli sport di squadra, di riatletizzazione sport-specifica e di fitness rieducativo.
Contatto IG: @psalerno_performanceandfitness

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