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Stretching passivo: come farlo

In questo articolo scopriamo lo stretching passivo, analizzando le sue caratteristiche scopriremo come poterlo utilizzare durante l’allenamento.

La base dello stretching 

Possiamo definire lo stretching statico come la base delle basi: senza di esso non esisterebbero molti altri metodi. Inoltre, è quello più intuitivo e semplice da fare: per questo, ricopre un ruolo basilare.

Durante lo stretching passivo, in parole semplici, ci si posiziona in una determinata posa dove il muscolo è sottoposto ad allungamento e “passivamente” quindi assecondando la forza di gravità, si rimane in posizione di allungamento.
Ma cosa significa “posizione di allungamento”?
Già da qui in molti potrebbero avere dei dubbi, in quanto noi sentiamo tirare, ma non ne conosciamo la ragione.

Una posa è di allungamento perché uno o più muscoli si trovano in una posizione in cui le fibre muscolari sono allungate oltre il loro abituale standard: l’origine di tali muscoli si trova più lontano del normale dall’inserzione degli stessi.

Lo stretching in questione si chiama passivo perché passivamente, lentamente, assecondiamo la forza di gravità per metterci in una posizione di allungamento, lasciando che ci spinga verso il basso o in determinate posizioni. Non sarà sempre la forza di gravità a renderci agile il lavoro, ma dovremo spesso impegnarci mediante determinati movimenti del corpo, a posizionarlo nella miglior maniera per massimizzare i benefici di una posa.

Vista la semplicità e l’intuitività di questo tipo di allenamento, lo stretching passivo è il più indicato per i soggetti principianti, coloro che si affacciano allo stretching per le prime volte, oppure per chi è molto rigido.

Non solo per la sua semplicità, ma anche per un discorso di pesantezza e rischio di infortuni: lasciar allungare un muscolo sotto gravità, senza sottoporlo a bruschi allungamenti (come nello stretching dinamico) o allungamenti forzati (come nello stretching con l’ausilio di pesi) ecc. sarà più sicuro per il soggetto principiante e porterà ad una progressione graduale nel tempo. Inoltre, nei soggetti rigidi, metodi avanzati hanno minor efficacia in quanto potranno agire su un range di movimento troppo ridotto, quando hanno bisogno di maggior elasticità muscolare per essere produttivi. Quindi, se siete principianti, lo stretching passivo sarà il vostro migliore amico (assieme al PNF… Ma questa è un’altra storia!).

Come mettersi in posizione

Il come mettersi in posizione dipende tantissimo dall’esercizio che andiamo ad eseguire: ognuno ha la sua tecnica con le sue peculiarità. Il concetto di base da tenere sempre in considerazione è cercare di sentire l’allungamento del muscolo agendo sull’allontanamento dell’origine dall’inserzione dello stesso. Non c’è metodo migliore di un esempio per spiegare questo concetto.

Prendiamo in questione il muscolo bicipite femorale assieme agli ischiocrurali (i muscoli posteriori della coscia). Il loro allungamento avviene, oltre ad altre azioni, attraverso la flessione dell’articolazione dell’anca (ginocchia al che vanno verso il petto), dove la loro origine si allontana dall’inserzione. Sapendo questo, metteremo il corpo in una posizione tale da consentire l’allungamento seguendo questo concetto: flettere l’articolazione dell’anca.
Un esercizio davvero semplice che balza subito alla mente è stendersi sdraiati supini, alzare una gamba di fronte a noi ed afferrarla, tirandola verso il nostro torace. In questo modo l’articolazione dell’anca risulterà flessa e potremo avvertire una sensazione di stretching sui muscoli bicipite femorale ed ischiocrurali.

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Stretching ischiocrurali
Stretching ischiocrurali: in realtà questa posizione non rispecchia a pieno lo stretching stativo passivo, perchè la contrazione del quadricipite/ileopsoas, aiutano l’allungamento del bicipite femorale, per via del principio dell’inibizione reciproca.

Una volta in posizione, durante lo stretching passivo basterà fare del nostro meglio per rimanervi rispettando dei dettagli che fanno la differenza: la respirazione, la durata, e la gestione del dolore.

La respirazione nello stretching

La respirazione è il primo dettaglio che gioca un ruolo fondamentale: restare in apnea non solo non consente il ricambio dell’ossigeno nel sangue con conseguente irrigidimento dei muscoli, ma spesso quando stiamo in apnea involontariamente contraiamo anche i muscoli della parete addominale. Tali muscoli, molto grandi ed in uno snodo centrale del corpo, portano ad un irrigidimento generale di quest’ultimo, cosa che, in una posa di stretching, come potete immaginare non è il massimo. Quindi ricordatevi di respirare, sempre. Respirare significa portare calma e concentrazione nel corpo. 

Le linee guida in questo caso parlano di una fase di inspirazione di 2-4 secondi, ed una di espirazione di 3 o 5 secondi. Sommati, circa 6 secondi a respiro, tradotto, 10 respiri sono 1′ di tenuta.

La respirazione deve essere un misto tra diaframmatica e polmonare: nel primo caso, incanaleremo l’aria “dentro la pancia” come se doveste gonfiare l’ombelico. Nel secondo, la incanaleremo nei polmoni, come per gonfiare lo sterno. Il mio consiglio è di non soffermarsi troppo su quest’ultimo aspetto ma tenere una respirazione il più possibile vicino a quella che utilizziamo nel quotidiano. Sò che questa cosa farà storcere il naso a molti che prediligono una piuttosto che l’altra, ma qui la regola è fare quello che porta maggiori risultati al singolo. Vi trovate bene a respirare solo con il diaframma? Bene, se vi porta risultati, utilizzate quella respirazione. Stessa identica cosa per l’altra. 

Ricordatevi di non andare in iperventilazione, molto spesso, soprattutto i principianti, enfatizzano eccessivamente la respirazione svuotandosi completamente d’aria durante l’espirazione e riempiendosi completamente durante l’inspirazione, risultato: giramenti di testa fortissimi dati dalla respirazione eccessiva e troppo pronunciata. Come ripeto: meglio tenerne una il più possibile vicina al quotidiano.

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Stretching passivo
Nello streching passiva è bene tenere le spalle basse e rilassate e l’addome non in tensione.

Quanto stretching fare?

Quanto rimanere in posizione è la domanda da un milione di euro in questo campo. Alle persone non importa cosa stanno facendo, cosa stanno allungando, l’unica domanda che spesso viene posta è: “per quanto devo rimanere in posizione di stretching?“. La teoria su questo aspetto non da risposte certe. Il tempo minimo di allungamento passivo per ottenere dei benefici si attesta attorno al minuto, di uno stretching che non sia eccessivamente doloroso, quindi mantenibile tranquillamente per quella tempistica. Non a caso il protocollo base di allungamento per una posizione è di 3 serie da 1′ di tenuta (o 10/15 respiri profondi).

Esistono poi casi dove lo stretching viene mantenuto per poco tempo (attorno ai 20″) quando un atleta avanzato va in una posizione estrema ed è mantenibile per poco, oppure ancora, casi in cui viene protratto anche per 5′. Tenute così lunghe vengono utilizzate per prendere confidenza ed assodare certe posizioni oramai “comode”.

Le pratiche quindi spaziano da un estremo all’altro, ma esistono delle linee guida:

  • Tenere una posizione da sola per meno di 30″ non vi porterà a chissà quale vantaggio, fatta eccezione per le pratiche come alcuni rami dello yoga dove si passa per certe pose senza mantenerle per più di qualche secondo, ma dove ci si torna per più e più volte.
  • Il protocollo base consiglia da 30″ (il minimo minimo minimo) fino a 1′ (quello consigliato) di tenuta in stretching passivo, ripetuta per più serie, di solito 3. Il tempo di recupero tra una serie e l’altra è di circa 1′. In ogni caso, si tratta di una pratica sostanzialmente diversa dallo strength training o affini quindi non è necessaria una rigidità di questo tipo sui recuperi.
  • In alcuni casi (come per l’ultima serie che fate, oppure a fine di un allenamento) si possono tenere anche più minuti di posizione, spingendosi oltre i 2/3′.

Vi starete chiedendo, ma perché proprio 3 serie da 30/60”? La ragione che sta alla base della durata dello stretching è collegata all’intensità della posizione, vediamo perché.

  • Se una posizione si riesce a tenere per un tempo molto prolungato significa che l’intensità che ha sul corpo è bassa: non sarete in un range di allungamento profondo, altrimenti non riuscireste a restare in quella posizione per così tanto tempo.
  • Se una posizione la tenete meno di 30 secondi, significa viceversa che è troppo intensa.

Il discorso intensità è molto importante: nello stretching passivo (badate bene, questo discorso vale nel passivo) la posizione deve essere a cavallo tra l’essere estremamente impegnativa e l’essere confortevole. Troppo impegnativa ed il corpo non avrà il tempo e la capacità di adattarsi a questo stimolo eccessivo. Viceversa, troppo poco impegnativa ed il corpo non avrà bisogno di adattarsi alla posizione, quindi risulterà difficile incrementare il vostro livello di flessibilità.

Riguardo a quanto farlo durante la settimana, qui il discorso diventa ancora più vasto. Non c’è una misura certa, ma in linea generale per portare miglioramenti si consiglia una seduta full body dove si parte dai muscoli della parte superiore e si procede poi a quelli della parte inferiore, dove si svolgono 1 o 2 esercizi per parte corporea con le metodologie indicate sopra. Questo con una frequenza di 3 o 4 volte la settimana. Nulla vieta, nel caso di maggior comodità, di dividere tra parte sotto e parte sopra, dedicando una sessione da 1/2 esercizi a gruppo muscolare per la parte sopra e la stessa cosa per la parte sotto. 

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Stretching statico

Approfondimento sullo stretching

In maniera più nerd, l’allenamento della flessibilità ha come scopo quello di diminuire la sensibilità dei fusi neuromuscolari nei massimi range di allungamento. I fusi neuromuscolari sono degli organelli all’interno dei muscoli che mandano segnali (detti afferenti) al cervello ed al sistema nervoso centrale. Questi ultimi, dopo aver processato questo segnale ed aver constatato che il muscolo si sta allungando eccessivamente, rimandano un segnale (detto efferente) di pericolo, ordinando ai muscoli di contrarsi. In questo modo il corpo non sarà in pericolo.

Attraverso le sedute di stretching, i fusi neuromoscolari con il tempo diminuiscono la loro sensibilità in maniera tale da rispondere sempre più tardi rispetto alle sedute precedenti: ci si potrà quindi muovere più vicini ai massimi range prima che arrivi la tensione passiva da parte dei muscoli, ottenendo guadagni in termini di range muscolare.

Quanto deve fare male lo stretching?

Ho tenuto per ultimo un capitolo che funge da collante a tutti i concetti che abbiamo visto ed introdotto sopra. Perché sul lato pratico tutto si riduce a questo: quanto riesco a sopportare la posizione? Il dolore è innegabile che sia un fattore che a moltissime persone fa smettere una pratica di stretching: spaventa, disturba, intimorisce. Per questo va fatta una precisazione su come debba essere affrontato nel migliore dei modi.

È molto importante capire che andare in posizioni di stretching dove si sperimenta forte dolore non è vantaggioso. Questo input neurale produrrà a sua volta un output: segnali da parte del vostro sistema nervoso per contrarre i muscoli ancora di più non permettendovi di adattarvi a quella posizione e di capire come rilassarvi maggiormente. Trovate sempre un range dove sperimentate allungamento ed una medio/leggera scomodità e passateci tempo respirando profondamente. Quando permettete al vostro corpo di rilassarsi in uno stato dove prova questa sensazione di scomodità e non dolore, migliorerete progressivamente nel vostro stretching. Al contrario del forte dolore troviamo l’eccessiva comodità. Insomma, parliamoci chiaro, stare seduti sul divano è comodo ma non ci fa pensare ad una seduta di stretching, quindi, mi raccomando, il dolore non deve essere eccessivo ma nemmeno non essere presente, come abbiamo visto sopra, la sensazione è di una leggera scomodità. Parlando a numeri (perché i numeri piacciono!) in una scala da 1 a 10 durante lo stretching passivo dovete sperimentare una scomodità che va da 5 a 8.

Conclusioni sullo stretching passivo statico

Abbiamo scoperto assieme come funziona lo stretching passivo, assieme a delle linee guida per eseguirlo al meglio. Mettendo tutto assieme:

  • Il protocollo standard di allungamento passivo è di 3 serie per 30-60 secondi. In alcuni casi ci si può spingere in là ma per partire o in linea generale va benissimo questo.
  • Andare in un range dove si sperimenta eccessivo dolore non porta benefici, bisogna arrivare in un punto di scomodità non eccessiva e rimanerci utilizzando tecniche di respirazione profonda consentendo ai muscoli di rilassarsi quando espiriamo.

Molte persone fanno fatica a progredire nello stretching perché lo fanno male e troppo poco: innanzitutto una volta che iniziate una pratica cercate di essere costanti per un mese o due prima di cambiarla e cercare un altro metodo. Se notate stalli o eccessiva rigidità che non migliora su una posizione, ricordatevi che potete cambiare gli esercizi, quindi non è sempre necessario cercare il segreto ma semplicemente utilizzare un altro esercizio o un’altra metodica per andare avanti.

In conclusione, lo stretching è una pratica interna che avviene al di fuori come miglior allungamento, ma prima di tutto avviene all’interno come forte senso di rilassatezza e sicurezza.  Solo attraverso tale senso di rilassatezza potrete assicurarvi guadagni duraturi nel tempo: pensate si ai numeri, ai secondi, ai respiri, ma connettete sempre la mente a quello che state facendo, rilassatevi, ed abbracciate il dolore!

 

L’articolo è di Elia Bartolini

Elia segue diverse persone nella zona di PESARO – Tavullia – Cattolica e dintorni ma anche ONLINE
Mail: barto.elia@gmail.com
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L'articolo Stretching passivo: come farlo proviene da Project inVictus.


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