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Forza, controllo motorio ed implicazioni per l’ipertrofia

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forza controllo motorio ipertrofia

Del Dott Marco Testa

La correlazione tra forza e ipertrofia è un argomento molto dibattuto, e su di esso c’è spesso un confronto “feroce” tra sostenitori di teorie estreme ed opposte: chi si allenerebbe solo e soltanto con pesi elevati e basse ripetizioni (con protocolli che, nella percezione comune sono “da allenamento della forza”, anche se la forza non si allena solo così) e chi invece ritiene gli alti carichi assolutamente non indispensabili, vedendo come prioritaria invece la fantomatica “connessione mente-muscolo”.

Quest’ultima, però, spesso viene intesa in un modo errato e fuorviante.
Concentrati il più possibile sul muscolo target, sentilo, connetti la tua mente con il muscolo”, è quello che sostengono alcuni.

Addirittura sono stati fatti degli studi sulla questione, analizzati recentemente da Brad Schoenfeld ( Brad J. Schoenfeld. Attentional Focus for Maximizing Muscle Development: The Mind-Muscle Connection.  Strength and conditioning journal 38(1):1 · February 2016) che sembrerebbero dimostrare come concentrando la propria attenzione su un determinato muscolo, l’attivazione (misurata con l’emg, che già di per sé ha dei limiti nel misurare la vera e propria attivazione), l’attivazione di quest’ultima aumenterebbe.

Questi studi hanno però, a parer mio, un enorme limite: non misurano come il movimento cambia, in un caso (senza il focus sul muscolo) rispetto all’altro (con focus sul muscolo).

Se fossero stati confrontati gli angoli di movimento delle articolazioni interessate, le traiettorie del bilanciere, e tutti i vari aspetti del movimento, sono pronto a scommettere che si sarebbe riscontrato il fatto che non solo cambiava il segnale elettromiografico del muscolo interessato, ma che anche i movimenti stessi sarebbero risultati diversi.
Magari di poco, ma diversi.

traiettoria bilanciere

Quindi la domanda è: il muscolo si è attivato di più semplicemente perché ho messo focus su di esso, oppure si è attivato di più perché il movimento era diverso, e quindi abbiamo usato un angolo di lavoro che ha messo più in tensione quel muscolo?

Io qui proverò a dare una mia risposta, ma per poter fornire un’argomentazione sensata occorre fare qualche passo indietro e partire da più lontano.

Inizialmente occorre capire come il cervello esegue e controlla i movimenti del nostro corpo e poi, andando avanti nell’argomentare, come la capacità di esprimere forza sia legata a doppio filo proprio con questo controllo motorio.

Partiamo con una considerazione: quali sono gli aspetti che maggiormente influenzano la capacità di esprimere forza?

In ordine gerarchico direi:

  • capacità di reclutamento delle unità motorie,
  • coordinazione intramuscolare,
  • coordinazione intermuscolare
  •  sezione trasversa del muscolo.

I primi tre citati hanno attinenza più “neurale” e “neuromuscolare” che “muscolare” in se.
Quest’ultima affermazione ci mette già sulla strada giusta: la forza ha stretto legame con il sistema nervoso centrale, e con come esso gestisce il movimento.

Già, ma come viene appunto gestito il movimento?

Su questo argomento sono state elaborate varie teorie, che sostanzialmente concordano su alcuni punti:

  1. Ogni azione motoria parte da un input, che può essere interno o esterno (a proposito di input interno, anche un’idea è un input: “voglio sollevare quel bilanciere” è l’input che fa sì che parta l’azione del sollevarlo).
  2. C’è poi la fase di elaborazione dello stimolo a cui segue la programmazione della risposta e successivamente l’esecuzione di questa riposta, tramite l’esecuzione di un programma motorio, che porta all’output, che è il gesto vero e proprio.
  3. Durante l’esecuzione del gesto il cervello può poi elaborare in tempo reale i feedback che arrivano dai vari sistemi esterocettivi e propriocettivi e correggere il movimento stesso mentre viene eseguito, se ci troviamo in una condizione in cui il sistema di controllo “a circuito chiuso”, oppure il programma motorio una volta “lanciato” può seguire autonomamente il suo corso, se ci troviamo in una situazione di controllo “a circuito aperto”.

Questo ultimo argomento accennato necessiterebbe di una trattazione a parte e, non essendo indispensabile al fine di comprendere l’argomento di cui sto parlando qui, ne rimando la spiegazione approfondita ad un eventuale prossimo articolo.

Torniamo dunque a noi.

Ho accennato a un “programma motorio”, e su questo è necessario entrare nel dettaglio.
Il programma motorio, da definizione, è “una struttura astratta presente in memoria, che precede l’azione e contiene i patterns di contrazioni e decontrazioni muscolari che definiscono il movimento”.

controllo motorio

Può quindi essere considerato come una “rappresentazione astratta della sequenza di un’azione” e, secondo Schmidt, “contiene centralmente immagazzinato un set prestrutturato di comandi muscolari capaci di avviare il gesto determinando quali muscoli contrarre, in quale ordine, con quale forza, e per quanto tempo”.

In pratica, semplificando, tutti noi abbiamo memorizzato, a livello centrale, le sequenza degli impulsi che devono essere inviati per compiere un determinato movimento.

Quindi, secondo le teorie più accreditate, il cervello ragiona per movimenti, non per muscoli“.

Guardando la cosa da questo punto di vista, c’è qualcosa che stride nell’idea di “connessione mente-muscolo”.

Dunque cosa possiamo fare per far sì che un determinato movimento interessi maggiormente un muscolo specifico.

La risposta è assolutamente banale, ma penso che ripeterla non faccia male: semplicemente, analizzando la biomeccanica dell’articolazione interessata, capire in che modo il movimento può mettere maggior tensione su quel muscolo, e concentrarsi non sul muscolo stesso ma sull’eseguire il movimento esattamente in quel modo. Quindi, eseguire il movimento con la tecnica che meglio ci permette di avere tensione sul distretto muscolare target.

La “connessione mente-muscolo” è dunque più una connessione “mente-movimento” dove per movimento si intende il gesto che permette di mettere più tensione sul muscolo stesso.

Trattato questo punto, torniamo a uno degli argomenti citati nel titolo, la forza.

Ho detto sopra che la capacità di esprimere forza dipende, tra le altre cose, anche dalla coordinazione intra e intermuscolare.

Parlando di programma motorio ho usato frasi come “patterns di contrazioni e decontrazioni muscolari che definiscono il movimento”, o ancora “comandi muscolari capaci di avviare il gesto determinando quali muscoli contrarre, in quale ordine, con quale forza, e per quanto tempo”.

Non notate nessuna assonanza tra le frasi qui sopra riportate a la definizione di coordinazione intermuscolare?

Ebbene sì, c’è affinità tra la “precisione” di un programma motorio, e la capacità di esprimere forza in quel determinato movimento. Più sappiamo “applicare” quel determinato programma motorio, più efficienti saremo nel reclutamento delle unità motorio dei muscoli facenti parte della catena cinetica interessata da quel movimento.

Quindi più “controllo motorio” abbiamo, più recluteremo efficacemente (sia per quanto riguarda il numero di unità motorie che attiveremo, sia per il corretto timing della loro attivazione).
Abbiamo dunque stabilito la relazione tra controllo motorio e forza.

Ma tutto ciò cos’ha a che fare con l’ipertrofia?

Sappiamo che l’ipertrofia è un aumento delle dimensioni delle cellule muscolari. Possiamo distinguere un’ipertrofia sarcoplasmatica, caratterizzata da aumento delle componenti non contrattili della cellula, e un’ipertrofia miofibrillare, relativa appunto all’aumento delle mio fibrille.
In entrambi i casi, comunque, parliamo di fattori che modificano la cellula muscolare, la fibra.

ipertrofia sarcoplamatica

Abbiamo poi detto che avendo miglior controllo motorio, reclutiamo in maniera più efficace le unità motorie.
Come sappiamo, un’unità motoria è composta da un motoneurone e da tutte le fibre che esso innerva.

motoneurone

Quindi, unendo queste due informazioni, possiamo dire che “reclutare” un’unità motoria significa chiamare in causa le fibre muscolari che la compongono.

Bene, andiamo avanti. Sappiamo che l’ipertrofia è causata principalmente da tre fattori:

  • tensione meccanica,
  • stress metabolico,
  • danno muscolare.

Senza stare ad approfondire questi fattori (anche perché è già stato fatto altrove efficacemente su questo sito), sottolineiamo solo il fatto che una fibra va incontro ad ipertrofia solo se questi fattori sono applicati ad essa.

Quindi, se come detto prima, reclutare un’unità motoria significa chiamare in causa le fibre muscolari che la compongono, una fibra può andare incontro ad ipertrofia solo quando viene reclutata.

Quindi se una fibra non viene reclutata non viene allenata, e se non viene allenata non si può ipertrofizzare.

Da qui, dunque, con un passaggio logico arriviamo al ragionamento alla base di questo articolo:
miglior controllo motorio -> reclutamento più efficace di TUTTE le unità motorie -> possibilità di ipertrofia di TUTTE le fibre muscolari.

Se poi ci mettiamo anche in conto il fatto che le fibre maggiormente ipertrofizzabili solo quelle di tipo 2x, che sono quelle a più alta soglia di attivazione, quindi in un certo senso più “difficili” da reclutare efficacemente, capiamo ancor più l’importanza della cosa.

Ancora una piccola parentesi, e cito testualmente il libro “Essential of Strength Training and Conditioning” della NSCA: “A muscle does not requires as much neural activation to lift a give load after is size increased. (…) These result demontrate the importance of progressive overload during resistance training for allowing continual recruitment of an optimal amount of muscle tissue”. Questo è dimostrato da uno studio di Ploutz e colleghi del 1994 (Ploutz et al. Effect of resistance training on muscle use during exercise. J Appl Physiol 76: 1675-1681, 1994).

Sostanzialmente, un muscolo, una volta aumentato di volume (quindi dopo la sopraggiunta ipertrofia) avrà necessità di essere esposto ad un maggior carico rispetto a prima per poter reclutare lo stesso numero di unità motorie che reclutava prima di diventare ipertrofico.

Anche da qui, dunque, di evince l’importanza di cercare di aumentare la forza anche quando si lavora con l’ipertrofia come fine ultimo.

Per concludere, non voglio far passare il messaggio che ci si debba allenare come dei powerlifter, soltanto per la forza, se il vostro obiettivo è l’ipertrofia, ma voglio semplicemente fornire un diverso punto di vista sulla relazione tra controllo motorio (e di conseguenza forza) e riposta ipertrofica che è possibile ottenere, per far sì che ci si renda conto di come un determinato tipo di allenamento, votato al perfetto controllo del movimento, e dunque della tecnica, possa essere assolutamente produttivo nella ricerca della tanto agognata ipertrofia.

Note sull’autore.
Marco Testa, laureato in Scienze Motorie, è titolare del “Centro Chinesiologico Benessere in Movimento – Wellness e Performance Lab” a Savigliano (cn) e lavora con vivereinforma come personal trainer, docente e articolista.
Pagina facebook personale: https://www.facebook.com/MarcoTexWiller
Pagina facebook centro: https://www.facebook.com/benessereinmovimento/
Sito web: www.marcotestapt.it

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