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Arnold Press: analisi biomeccanica e riflessioni pratiche

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Il mitico Arnold Press è sicuramente uno degli esercizi più mistici e carichi di suggestione tra i devoti del body building vecchio stampo. Spesso e volentieri è un esercizio molto amato e richiesto, un po’ per il suo nome e un po’ perché “si sente un sacco la spalla che lavora”. Una rapida analisi biomeccanica ci permetterà di conoscere meglio questo esercizio e di giungere a importanti conclusioni da riportare nella pratica dei nostri allenamenti futuri.
Se analizziamo più nel dettaglio l’esercizio possiamo notare che si tratta di un movimento scomponibile in due fasi distinte che lo contraddistinguono:

  1. la prima fase è una Distensione con manubri sopra la testa classica (abduzione dell’omero; figura 1), per la quale valgono le medesime interpretazioni del ritmo scapolo-omerale in termini di reclutamento deltoide/trapezio;

Press seduto

2. conclusa la distensione e riportati i manubri al punto di partenza inizia la seconda fase, nella quale i manubri vengono portati davanti agli occhi e spinti ancora verso l’alto di pochi centimetri (figura 2).

Arnold press esercizio
Quest’ultima fase è quella che differenzia l’Arnold Press da una Distensione classica sopra la testa e per questo motivo è bene parlarne in maniera più approfondita. Da un punto di vista biomeccanico si compone di un’adduzione orizzontale (non contro gravità) e di una flessione di spalla di pochi gradi (manubri che superano gli occhi). Nel compiere questa combinazione di movimenti i muscoli interessati saranno i medesimi: il deltoide anteriore in particolare si contrarrà isometricamente per mantenere l’omero in flessione durante l’adduzione orizzontale e si contrarrà poi in concentrica per flettere l’omero di pochi gradi (figura 3).

deltoide anteriore arnold press

Risultato? Il mix delle due fasi produrrà un esercizio che, a parità di ripetizioni eseguite, manterrà il deltoide sotto tensione almeno il doppio del tempo rispetto a una Distensione classica: ecco spiegata la sensazione esagerata di lavoro muscolare percepita generalmente da chi la esegue. Non c’è trucco e non c’è inganno. È importante capire che ogni esercizio è un movimento, in questo caso è una somma di movimenti ripetuti che portano ad allungare la durata della serie e di conseguenza ad aumentare l’accumulo di lattato (con conseguenti sensazioni di lavoro e di pumping maggiori).

Nessuno ha nulla contro l’Arnold Press sia chiaro. Se vi piace e vi dà buone sensazioni potete continuare tranquillamente a eseguirlo all’interno dei vostri allenamenti (sempre con una seria programmazione) poiché oltretutto, da un punto di vista articolare, non vi è nessuna controindicazione e sono altri gli esercizi sui quali porre maggiore attenzione. Tuttavia c’è un concetto importante da capire per non essere presi in giro da nessuno. Non esistono segreti o esercizi magici e tantomeno un movimento acquisisce poteri miracolosi per l’ipertrofia muscolare se prende il nome di illustri personaggi del panorama del body building di ieri e di oggi. L’Arnold Press “si sente” di più semplicemente perché, per sua natura, tiene sotto tensione più a lungo i muscoli target dell’esercizio. Punto.

Potrei (e potete farlo anche voi) inventare un Lento Avanti con manubri con decine di pittoresche varianti allo scopo di aumentare il tempo sotto tensione muscolare e di conseguenza ottenere sensazioni di lavoro diverse e maggiori nell’inconsapevole utente medio di palestra. Sono sicuro però che, nonostante segua lo stesso principio dell’Arnold Press e provochi i medesimi effetti, non lo prenderebbe nessuno in considerazione almeno che io non sia un iscritto al Mr. Olympia o non mi chiami Coleman di cognome.

Riflettete sempre sul fatto che il nome di un esercizio è un codice convenzionale per catalogare i movimenti. L’effetto sui muscoli non cambia se l’esercizio si chiama Arnold o si chiama Gino, l’unica cosa che cambia è la vostra suggestione e la sudditanza nei suoi riguardi.

Differenze Arnold press con press

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