E se io vi dicessi che addurre e deprimere sia sbagliato e che prima si deprime e poi si adduce, voi pensereste che io sia uno schizzato o leggereste l’articolo?
Beh, ormai la mia provocazione è lanciata e spero che vi porti a leggere.
Questo è il mio primo articolo per il project, il primo di spero una lunga serie, dove colgo l’occasione di presentarmi. Questa presentazione sarà fondamentale per la lettura dei prossimi articoli in quanto coglierà la logica dietro la quale mi baso per scrivere tutto quello che verrà poi.
In questo articolo parlo di panca piana, uno dei 3 big del powerlifting e probabilmente l’esercizio più amato o odiato in palestra. La tratterò in maniera probabilmente nuova per come siamo abituati per cui, che siate voi powerlifter o bodybuilder o qualsiasi altra cosa che vi avvicina al mondo dei pesi, vi consiglio di dedicare un po’ del vostro tempo alla lettura.
Magari non scoprirete nulla che ritenete utile, magari penserete che siano solo cavolate, ma vi sfido a rileggere questo articolo fra 10anni e vi assicuro che quello che c’è scritto qua sarà diventato la prassi tanto quanto oggi lo sia dire “adduci e deprimi” e qui sarà sicuramene la prima volta che leggerete tutto quanto.
Queste affermazioni sono aggressive, ma scommetto tutto quello che ho per quanto sono sicuro di quello che scrivo.
Innanzitutto, mi presento, qualcuno di voi già mi conosce come “Un Pesista in Cina”, pagina nata dall’esperienza di allenamento di circa 1 anno maturata in Cina con allenatori quali un ex allenatore della nazionale olimpica cinese Xie Yong ed un ex campione mondiale Jin JiangTao, che ho ormai abbandonato perché la vita mi ha portato altrove e grazie alla quale ho conosciuto il caro Paolo che mi ha chiesto di scrivere questo articolo. Il mio nome è Marco Clementi, sono un signor nessuno nel mondo dei pesi, nemmeno particolarmente portato, ma con una caratteristica interessante, mi guardo attorno e non mi accontento.

Intanto vi faccio vedere 2 video:
i miei primi 100kg di panca, dopo 2 anni e mezzo di allenamenti. Come vedete non ho mobilità particolare e nemmeno leve interessanti.
I miei primi 150kg dopo circa 3 anni, con in mezzo due pause fin troppo lunghe per motivi lavorativi, dove si può notare un movimento tecnico di tutt’altro livello.
Guadagnare 20kg all’anno, senza doti particolari, con una pausa di 3 mesi e un’altra quasi di 5mesi, non è quanto di più comune ci sia, ma è proprio il fatto che se ci sono riuscito io, ragazzo comune, con problematiche comuni, impegni che lo portano via dagli allenamenti, senza archi estremi, ecc.. ecc…allora il risultato è replicabile se solamente si sapesse cosa e come fare.
Il mio percorso inizia con l’università dove apprendo le basi di anatomia e biomeccanica risultatemi indispensabili per poter poi sviluppare le conoscenze postume. Continua con l’inizio del powerlifting in una squadra allora conosciuta in italia con al suo interno un recordman di panca.
Segue un anno di pesistica in Cina dove la mobilità e la tecnica erano tasselli ripetuti fondamentali per qualsiasi cosa e che ha profondamente segnato la mia mentalità.
Continua a Rimini con il Gruppo Pesisti Riminese, chiamato da molti “la mecca della panca” dove c’è attualmente un atleta che è riuscito a sollevare la bellezza di 221kg in -83 (2,5kg sopra il record mondiale), dove la mia conoscenza della panca si è consolidata e dove ho trovato un ambiente molto aperto di mentalità per poter approfondire tutte le mie curiosità.

Sto ora continuando il mio percorso in autonomia, su di me e sui miei atleti, guardando con ammirazione in oriente. Questa volta non ai cinesi, ma ai giapponesi dove troviamo panche pazzesche a BW molto bassi. In Giappone i 200kg di panca sono ormai sdoganati ed è comune trovarli anche fra atleti di basse categorie. Se è comune vedere questi kg che da noi fino a pochi anni fa sembravano un miraggio c’è sicuramente qualcosa da imparare da loro.
Daiki kodama 240kg a 73kg di peso corporeo e 41 anni suonati
I giapponesi compiono un movimento particolare, chi più e chi meno, ognuno con la sua particolarità, ma tutti con dei dettagli in comune. Quel movimento viene chiamato da noi doppio incastro e in Italia abbiamo un grande espositore di questo movimento con attualmente il record in -93 e 215kg di panca sollevati in allenamento.
All’interno del gruppo pesisti non viene insegnato il doppio incastro ma un movimento basato sugli stessi principi e che a modo suo guarda tanto i giapponesi.
Ad oggi siamo tutti abituati a dire “adduci e deprimi”, ma non basta. I giapponesi sono andati oltre, i riminesi pure.
Il segreto
L’adduzione e la depressione scapolare sono la base per una buona panca, ma è il quanto che cambia tutto.
All’adduzione e depressione delle scapole è stato associato il termine “alza il petto”, ma anche qui è molto limitante.
Quando parliamo di panca piana dobbiamo capire un fattore fondamentale: tanto più le scapole sono addotte e depresse tanto più il pettorale (e in certi casi il dorsale) sarà in condizioni ottimali di spinta.
Le scapole sono il segreto di una panca efficace.
Spero che quanto detto sia una banalità da tutti riconosciuta
Quello che ritengo innovativo invece è come gestirle. Addurre e deprimere o il più banale “alzare il petto” è limitante e non permette il massimo grado di movimento delle scapole, ottimizzare il loro movimento porta ad ottimizzare la panca.
Non ho ancora parlato di arco e il tutto è voluto perché i miei discorsi prescindono da questo fattore. A parità di arco ci può essere una diversa gestione scapolare e quindi avere un setting molto più o meno performante. L’arco riduce il rom, ma sono le scapole a migliorare la spinta. I giapponesi non sono eccelsi in mobilità, hanno archi perfettamente nella norma eppure, grazie ad un controllo scapolare tendente alla perfezione, compensano egregiamente questa carenza.
È stata proprio l’ottimizzazione del movimento scapolare che ha portato il miglioramento della mia panca e che ha portato i giapponesi a risultati incredibili.
Un esempio lampante di quanto dico è il recordman italiano in -93 che a 38anni, dopo 20 anni di allenamenti in palestra, sta riuscendo a migliorare anno dopo anno e non di poco, proprio puntando tutto sulla gestione scapolare e sul doppio incastro (anche se lui odia chiamarlo così).
Cosa si può fare per migliorare la gestione scapolare? 2 fattori principali:
– Il già nominato DOPPIO INCASTRO
– E la appena accennata MOBILITÀ
Il doppio incastro
Il fine ultimo del doppio incastro è ricavare una maggiore depressione scapolare ottimizzando il gesto grazie a delle piccole accortezze biomeccaniche.
È quindi una tecnica rivolta a generare una maggiore efficienza del settaggio scapolare in ordine a creare una migliore condizione di spinta a discapito di molto lavoro in più della schiena (il che non significa meno lavoro dei muscoli di spinta, bensì la possibilità di generare maggiori tensioni). In alcuni casi, se la depressione è sufficiente, vediamo pure il dorsale, almeno per la prima fase di spinta, inserirsi come un muscolo agonista del movimento.
Viene distinta dalla tecnica classica dove si raggiunge il massimo grado di adduzione e depressione prima di partire (quindi con un incastro singolo) perché si parte molto “rilassati” per raggiungere il massimo grado di incastro solo successivamente.
Viene chiamato doppio incastro poiché si possono distinguere due fasi nell’eccentrica:
le due fasi del doppio incastro:
- Fase di depressione: in questa fase l’attenzione è posta tutta sulla depressione scapolare che viene eseguita con un bassissimo grado di adduzione. La traiettoria del bilanciere è fortemente inclinata verso i piedi. Al termine della fase si esegue comunemente un fermo poiché la discesa continuerà con un cambio di direzione e serve stabilizzare il bilanciere prima che ciò avvenga. Questo è tanto più vero quanto più peso c’è sul bilanciere. Quel fermo è quello che comunemente viene definito come secondo incastro. Effettivamente fra la partenza e questo momento si è solo ottimizzato “l’incastro” scapolare. In questa fase braccio e scapola “traslano” verso i piedi e avviene la famosa “strizzata di gomito” cioè la flessione, “chiusura” (adduzione) e rotazione di questi per via dell’attivazione del dorsale.
- Fase di raggiungimento al petto: qui la panca si comporta come una comunissima panca. Si adduce e si continua a deprimere, si cerca di alzare il petto e tutto il resto. Ci sono due sostanziali differenze però rispetto alla panca classica. Siamo ad un grado di depressione molto più marcato e a livello di pettorale ci ritroviamo con molta meno tensione inutile. Con la panca classica capita spesso di arrivare al petto sentendolo “tirare” troppo e rendendoci difficile il raggiungimento mantenendo il setting. Quella sensazione con il doppio incastro sparisce. Qui la traiettoria è praticamente verticale.
Ps. In alcuni atleti dal rom particolarmente corto la seconda fase potrebbe non essere visibile per il semplice fatto che il termine della possibilità di depressione scapolare coincide con il raggiungimento del petto.
Ma perché questo movimento spezzato in due ottimizza la depressione scapolare?
Parliamo un po’ di anatomia.

Innanzitutto, ho detto che nella prima fase ci si concentra molto sulla depressione e poco sull’ adduzione. Questo perché molti muscoli legati all’adduzione scapolare sono anche muscoli elevatori.
Il primo fra tutti è l’elevatore delle scapole, muscolo che adduce e ruota caudalmente la scapola. Se a noi serve deprime e ruotare medialmente la scapola, la sua attivazione gioco forza ci limita nel movimento.
Più o meno lo stesso si verifica anche col trapezio ed i romboidi.
Senza l’attivazione di questi muscoli le scapole sono molto più libere di muoversi. Molto semplicemente la scapola ha più libertà di movimento in abduzione che in adduzione. Noi non la possiamo mandare in abduzione, ma possiamo limitarne l’adduzione.
Questo però lo si potrebbe fare anche con un incastro classico prima del movimento (il che già ottimizza il gesto). Mi basterebbe concentrarmi solo a deprimere (che forza comunque un minimo grado di adduzione) prima di partire e poi scendere col bilanciere. Farlo però a gomito esteso ne limita l’efficacia.
Nel doppio incastro infatti la depressione avviene mentre si flette il gomito. Il dorsale è un muscolo che ha come funzioni dirette di addurre ed estendere l’omero e tramite il collegamento che questo ha con le scapole di deprimerle e di estendere il tronco. Permettere al dorsale di deprimere le scapole mentre fa anche le altre sue funzioni significa eliminare l’azione dei suoi antagonisti. Maggior accorciamento del dorsale significa maggior depressione scapolare. Per capire quanto detto basta deprimere una scapola mentre teniamo il braccio flesso per poi estenderlo (braccio su spalla) durante la massima depressione. Noterete come aumenta la contrazione del dorsale e di conseguenza la depressione scapolare.
Mobilità
Serve una veloce premessa per poter far capire quanto scriverò.
Quando si allena la mobilità in ottica pesi non basta semplicemente allungare un muscolo. Per essere più forti noi dobbiamo anche diventare più forti (ma guarda un po’…) e avere maggiore controllo.
Quando si fa mobilità dunque dobbiamo allenare 3 diversi parametri: la flessibilità, la forza e il controllo.
Ciò è fattibile attraverso l’attivazione, l’equilibrio e la coordinazione.
Ho inserito la flessibilità come una delle componenti della mobilità perché queste due non sono la stessa cosa. La mobilità è un’abilità che sfrutta più capacità fisiche, quelle precedentemente elencate fra cui rientra appunto la flessibilità.
La mobilità diventa un’abilità che ci porta ad eseguire determinati movimenti complessi ad escursioni articolari elevate e non la semplice capacità di allungare un muscolo.
La mobilità non è dunque un semplice allungarsi, ma un vero e proprio contrarsi.

Il classico stretching passivo a noi non serve quasi a nulla, noi dobbiamo sviluppare movimenti complessi.
È solo attraverso l’attivazione e il controllo che potremo dare transfert alla panca o ai pesi in generale.
Fare mobilità diventa un vero e proprio allenamento che però, più di tutti, ci da una capacità, e cioè quella di percepire e controllare il corpo, oltre a riuscire a muovere di più e meglio.
Se il movimento che ho descritto prima vi è sembrato facile da eseguire vi assicuro che non lo è e personalmente lo propongo ai miei atleti solo quando penso che abbiano raggiunto un livello di controllo del gesto abbastanza elevato per permettergli di capire ciò che fanno o sarebbe impossibile per loro riuscire ad impararlo.
Avete notato l’età dei due atleti menzionati? Nessuno dei due è giovincello e comunque stanno continuando inesorabilmente ad incrementare i loro risultati. Questo è principalmente perchè stanno migliorando con la pratica la loro gestione scapolare nonostante gli anni di pratica e se dopo tutti questi anni hanno ancora da migliorare significa che così facile non è.
La mobilità diventa dunque fondamentale per la nostra panca e in particolar modo per il doppio incastro perché ci da percezione delle scapole e del corpo e ci da controllo di questi. Quando possiamo muovere di più e meglio le nostre scapole il doppio incastro viene ottimizzato.
Se a tutto ciò riusciamo anche ad aggiungere un arco maggiore con una maggiore tenuta di schiena che altro devo dire per convincere a farla?
Voglio spiegarmi meglio usando un esercizio banalissimo come il cobra.
Cobra e attivazione
Questo è un esercizio che può venir svolto in maniera passiva spingendo semplicemente con le braccia e facendo estendere la lombare o in maniera attiva sfruttando gli erettori del rachide e il dorsale e solo secondariamente farsi aiutare dalle braccia.
Nel primo caso andiamo solo a lavorare su una compressione articolare insegnando nulla al nostro corpo e rischiando pure di farci male. Nel secondo caso insegniamo ai muscoli erettori ad attivarsi dando stabilità alla zona lombare e proteggendola da qualsiasi infortunio e soprattutto impariamo anche a connetterci il dorsale nell’estensione.
É la stessa cosa che facciamo in panca.
È questo quello di cui parlo quando dico che la mobilità va resa attiva e che si allena attraverso la contrazione. Fare le stesse cose che facciamo in panca, ma riuscire a farlo al limite dell’escursione articolare ci permette di sviluppare più coscienza dei nostri movimenti e di diventare forti anche nel massimo allungamento. Togliere il peso ci permette di focalizzarci sull’attivazione dei muscoli più profondi che normalmente non usiamo. Considerate che nello yoga si eseguono esercizi di mobilità fra le varie cose per ottenere come risultato finale un aumento della percezione e del controllo del nostro corpo. Noi andiamo a fare esattamente la stessa cosa ottenendo anche ulteriori risultati.
Attivazione e percezione ci permettono di ottimizzare quello che già facciamo, se poi riusciamo a farlo anche di più (grazie alla maggior mobilità) tanto di guadagnato.
Non mi è raro parlare con vari atleti e allenatori che mi chiedono indicazioni o spiegazioni legate alla mobilità e ritrovarmi a sentirgli dire che quando la fanno la gestione della panca migliora. È comune la sensazione di riuscire a percepire meglio il movimento e di capire meglio quello che stanno facendo.
Maggiore libertà di movimento delle scapole e maggiore arco non possono fare altro che farci guadagnare molti kg sul bilanciere.
All’inizio dell’articolo parlavo del modo di dire “alzare il petto” e dicevo che fosse limitante perché il petto non va solo portato verso l’alto, ma va anche inclinato verso la faccia. Più sarà inclinato verso la faccia (comunemente si dice “impennato”) e più il pettorale sarà avvantaggiato nella spinta.
Per impennare il petto però bisogna deprimere molto le scapole e riuscire ad estendere il rachide non solo a livello lombare, ma anche a livello dorsale (oltre che usare un corretto leg drive che porti a spingere orizzontalmente e non verticalmente).
Comunemente le persone sono molto più mobili a livello lombare e per riuscire a diventarlo a livello dorsale bisogna fare mobilità.
C’è poco da dire, per ottimizzare il setting in panca bisogna essere mobili. Bisogna riuscire a muovere le scapole per deprimerle, essere mobili a livello dorsale per impennare il petto e a livello lombare per alzarlo. Non basta avere la flessibilità per fare tutto ciò, ma bisogna anche saperlo fare e per impararlo a fare bisogna imparare ad attivarsi e avere percezione di ciò che si fa.
Conclusioni
Mobilità e doppio incastro sono dunque due metodi per ottimizzare il controllo e il movimento scapolare per creare un setting articolare in grado di migliorare la spinta. L’estremizzazione del movimento scapolare è il futuro della panca. Basta guardare i giapponesi per capirlo. Atleti che hanno portato nel mondo il doppio incastro (o versioni simili) e che al momento fanno numeri paurosi. La mobilità permette di ottimizzare il doppio incastro migliorando la gestione e la motilità delle scapole. Il doppio incastro permette di raggiungere il massimo grado di depressione scapolare. Delle scapole più depresse e addotte permettono una maggiore spinta.
Per quanto io creda che il futuro della panca sia legato al controllo scapolare e all’ottimizzazione del gesto bisogna anche porsi davanti all’ovvietà e dire che anche una buona componente muscolare sia fondamentale. Allenare sia la mobilità, che la tecnica e lasciare una buona dose di muscolazione sono fattori imprescindibili per raggiungere ottimi risultati in panca.
Se l’articolo vi è piaciuto spero che leggerete i prossimi articoli che tratteranno proprio di tutte e tre le componenti.
Autore: Marco Clementi
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