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Come superare il test per le forze speciali

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Come superare la selezione per le forze speciali

Il test per le forze speciali è un argomento che possiede sempre un certo fascino. Chissà che livello atletico bisogna raggiungere? In che prove bisogna cimentarsi?
Ogni 3-4 mesi riceviamo un messaggio da parte di qualche ragazzo che ci chiede come si deve preparare fisicamente per superare qualche prova speciale.
La risposta è molto semplice, prendi il test di riferimento (cambia a seconda dei corpi speciali e sono pubblicati tramite bandi di concorso) e specializzati in quello. E’ inutile che ti alleni a nuotare se non viene richiesto, ed è poco proficuo che ti alleni nelle trazioni se poi devi salire la corda o hai un percorso ad ostacoli da superare.
Oltre a questo è importante ricordarsi che devi superare anche il test scritto e psicologico, quindi non basta superare solo la selezione fisica.

Sempre più spesso ci chiedono se il crossfit è sufficiente per passare le prove atletiche. La risposta è molto semplice. Se sei un atleta avanzato vai tranquillo, probabilmente indipendentemente dalla prova ce la farai. Ma se il tuo livello è amatoriale potrebbe non essere la strada migliore. Perché?
Perché probabilmente fai schifo in tutto, non hai ancora un grado tecnico che ti permette di usare il tuo potenziale. Fare lo strappo olimpico con 40kg è un gesto che ha poco a che fare con allenare l’esplosività.
In più, se pensate di fare crossfit in casa da autodidatti, sappiate che a meno che non abbiate un garage super attrezzato e che abbiate un ottimo bagaglio tecnico (requisito ancora più importante), quello che fate non è crossfit, ma probabilmente è un’accozzaglia d’esercizi fatti male.

Preparazione crossfit forze speciali

Le persone confondono la fatica con l’allenamento. Sono i numeri che parlano non le sensazioni. Voi quanto fate?

Girovagando su internet e sui forum si possono leggere i vari “esperti” delle preparazioni dei militari. Chiariamo subito una cosa, non esistono esperti specifici, esistono buoni preparatori atletici. Nei paesi dell’est chi si occupa della preparazione fisica dell’esercito ha un passato ed una cultura sportiva e la trasporta nel suo contesto.
L’atletica leggera e pesante sono le madri di tutte le preparazioni, perchè sono quelle che si basano sulla tecnica e sui numeri, due requisiti fondamentali per raggiungere il proprio potenziale fisico.

Molti militari si allenano male, fanno mezze trazioni e mezzi piegamenti, questi non sono i modelli a cui dovete ambire. Non fatevi attirare dal fascino della divisa, una tecnica di merda è sempre una tecnica di merda. Il militare non deve essere un campione olimpico, perchè ha tutta un’altra serie di abilità che deve sviluppare. Se mirate alla massima espressione prestazionale guardate allo sport, vi farà sognare meno ma è più concreto e da più risultati.

Una proposta di preparazione atletica per i corpi speciali

Test forze speciali

Mettiamo ora una nostra proposta generale che vi porterà ad avere un livello atletico eccelso. Trasferire questo potenziale nelle prove per ogni corpo speciale non sarà difficile e con un mese di preparazione adeguata dovreste riuscire a superarle praticamente tutte (non richiedono livelli impossibili).

Abbiamo deciso d’inserire tutti gli attrezzi più popolari ed utili nella preparazione atletica (corpo libero, bilancieri, kettlebell), ma vi diciamo subito che in realtà non servono. Molto spesso le prove vertono più sulla resistenza piuttosto che sulla forza massimale. Raggiungere questi livelli farà di voi degli atleti migliori, non degli incursori! Ricordiamoci sempre che a meno che non abbiate niente da fare tutto il giorno, è sempre meglio spendere il tempo nell’imparare la tecnica specifica delle prove, per esempio del salto (in alto o in lungo), piuttosto che ricercare il transfer dato dallo squat nei salti.

Le prove che vi presenteremo sfruttano a pieno il metabolismo anaerobico allattacido, lattacido ed aerobico, i tre sistemi energetici del nostro organismo.

Divideremo le prove in diverse categorie:

  1. lavoro muscolare metabolico (a corpo libero, col kettlebell)
  2. lavoro muscolare neurale (col bilanciere)
  3. lavoro di potenziamento del core e della catena flessoria
  4. lavoro aerobico misto/intervallato (corsa/burpees)

Il lavoro muscolare metabolico

Selezione forze speciali

Iniziamo dal sistema energetico che si pone in mezzo tra quello anaerobico allattacido e quello aerobico. Essere prestati in questo metabolismo permette d’avere un buon livello anche negli altri due. Ovviamente dovrete allenarvi nello specifico per fare il salto di qualità, ma queste prove vi permettono sia d’avere una buona resistenza aerobica, sia una buona forza senza allenarle direttamente.

Il corpo libero

Questa prova prevede d’allenare quasi tutto il corpo: arti inferiori, spinta, trazione con i tre esercizi di base per questi distretti: air squat, piegamenti sulle braccia, trazioni alla sbarra. Con solo tre esercizi, alternati in un circuito, avrete coinvolto tutti i muscoli impegnando anche il sistema cardiovascolare.

Mettiamo qui di seguito i tutorial dei movimenti per imparare a farli correttamente:



Dedicate del tempo per apprendere correttamente ogni singola alzata.
Un punto di partenza può essere quello di arrivare a fare:

– 15 trazioni alla sbarra (mento sopra la sbarra)
– 25 piegamenti sulle braccia (petto tocca per terra – gomiti si distendono)
– 100 air squat in meno di 2′ (discesa sotto al parallelo)

Una volta che avete raggiunto un livello sufficiente è ora di iniziare a mischiarli in un circuito metabolico (preparatevi ad allenare il cuore).

La prova consiste nel riuscire a fare 12 giri in meno di 12′ di:

  • 5 trazioni (mento sopra la sbarra)
  • 10 piegamenti sulle braccia (petto tocca per terra – gomiti si distendono)
  • 20 air squat (discesa sotto al parallelo)

La tecnica degli esercizi deve rimanere perfetta, non dovete fare mezze ripetizioni, darvi lo slancio, o sporcare lo schema motorio corretto. Non contate le ripetizioni che non sono perfette. Le vostre articolazioni ringrazieranno. E’ meglio fare meno ma fatto bene, una cosa che tutti dicono ma poi quasi nessuno fa.

Avrete così completato in 12′: 60 trazioni, 120 piegamenti, 240 air squat. Un allenamento completo in soli 12’!

Qui trovate degli spunti ulteriori per programmare e migliorare in questo circuito: 1000 trazioni, 2000 piegamenti, 4000 squat

Il kettlebell

Questo strumento ha aperto le porte all’allenamento funzionale ed ha dato il via ad un nuovo modo d’allenarsi in palestra. Spenti i riflettori, passata la moda, ormai l’attrezzo russo ha sempre meno attenzione. Non tutti sanno tuttavia, che la sua introduzione nell’esercito sovietico è legata ad uno sport: il Girevoy Sport. I militari russi si allenano in questa disciplina che prevede due competizioni sui 10′, una di slancio e l’altra di strappo, con due ghirie (kettlebell) da 32kg l’una.

Visto che lo slancio è un’alzata tecnica ci concentreremo solo sullo snatch, dimenticandoci cosa fanno i russi e cercando di raggiungere il livello minimo dello snatch test.

Cercate d’imparare la tecnica corretta, iniziando dallo Swing. Questo vi permetterà di passare dai kettlebell della chicco a quelli dei veri uomini (32kg). Qui di seguito due tutorial essenziali:


La versione dello snatch test che vi proponiamo è quella originale dei primi anni dell’RKC:

100 ripetizioni di snatch (24kg) in meno di 5′ (cambi di mano liberi).

Non è una prova particolarmente impegnativa, la ripetizione è valida se il braccio si blocca sopra la testa all’altezza dell’orecchio, evitate di fare mezze ripetizioni.
Se il kettlebell vi piace particolarmente come attrezzo cercate di superarla con solo un cambio mano. Poi passate ad usare una ghiria da 28kg e ripetete la sequenza fino ad arrivare a farlo con quella da 32kg.

Giusto per informazione; i russi in 10′ fanno anche più di 200 snatch con la ghiria da 32kg e solo un cambio mano, un altro mondo.

Qui un altro programma per migliorare nello strappo: Kettlebell Snatch da dove cominciare

Il lavoro muscolare neurale

superare la prova delle forze speciali

Anche se per i test delle forze speciali la forza massimale non viene richiesta, un suo livello minimo è un buon requisito per avere un bagaglio motorio completo, delle articolazioni forti e sane, e dei nervi pronti e scattanti.

L’uso del bilanciere è praticamente d’obbligo se vogliamo allenare la forza neurale. Ovviamente possiamo allenarla anche con il sovraccarico a corpo libero o in altri modi, ma il bilanciere rimane l’attrezzo di sicuro più semplice ed efficace.

Abbiamo scelto le prossime due alzate perchè richiedono un grado tecnico non troppo elevato e perchè assieme allenano tutto il corpo. Quindi dimenticatevi le alzate olimpiche se non avete i pesi gommati ed un maestro che ve le spieghi  e dedicatevi allo stacco da terra ed al lento in piedi.

Assieme allenano praticamente tutti i muscoli del corpo e non avete bisogno di panche o rack , qui di seguito trovate i tutorial per imparare ad eseguirli:


L’obiettivo da raggiungere è riuscire a fare:

Stacco da terra: 2,5 del proprio BW (se peso 80kg devo alzare: 80×2,5=200kg)
Lento in piedi: 1 del proprio BW (se peso 80kg devo alzare 80kg)

Ovviamente state attenti a non spaccarvi la schiena, filmatevi, aggiungete peso in modo graduale e non perdete l’assetto solo per chiudere l’alzata. E’ meglio fallirla oggi che farsi male e non potersi allenare domani.

Questi sono i livelli minimi per avere transfer dalla forza massimale. In un ambito fitness sono sicuramente dei traguardi ambizioni, ma in chi si allena seriamente coi pesi dovrebbero essere, se non un punto di partenza, un livello intermedio.

Qui alcuni programmi per allenare il volume nello stacco da terra: 21′ per migliorare lo stacco da terra

E qui uno schema di base utile per il lento in piedi: 5×5 la nostra versione

Allenare il CORE

Nei test per le forze speciali sicuramente i Sit-up sono uno degli esercizi che più frequentemente vi ritroverete a dover eseguire. Abbiamo tuttavia deciso di presentarvi un altro esercizio, perchè più completo, impegnativo e fisiologico.
Lo chiamiamo superman plank ed è una versione avanzata del plank.

superman plank

Spalle in asse con il bacino, braccia distese sopra la testa. Il gomito deve arrivare all’altezza della fronte con l’attaccatura dei capelli.
L’esercizio coinvolge molto di più gli addominali, rispetto al classico Plank, ma anche tutta la catena flessoria (pettorale, ileopsoas), le braccia (tricipite capo lungo) ed il trapezio.

L’obiettivo che dovete raggiungere è:

2′ di Superman Plank in isometria

Se raggiungete questo obiettivo potete dire che avete degli addominali d’acciaio.
Qui mettiamo degli articoli relativi al Plank ma che si adattano anche a questo esercizio: Sfida plank

Il lavoro aerobico-intervallato
Corsa reparti speciali

Questo è sicuramente il sistema energetico più importate per superare le selezioni dei corpi speciali. La corsa rimane la madre dello sport. Visto che praticamente tutti non possono disporre di ostacoli con cui intervallarla, abbiamo decidono di spezzare il ritmo con dei burpees. Questo esercizio a corpo libero nella sua semplicità richiede un forte sforzo cardiovascolare. Corsa più burpees diventa così una prova molto impegnativa.

Vi mettiamo qui di seguito un tutorial sui burpees, in modo da evitare mezze ripetizioni come si vede in giro:

L’obiettivo da raggiungere è:

Completare 5km e 100 burpees (ogni km dovete fermarvi e fare 20 burpees), in meno di 30′.

Non imbrogliate quando fate i burpees, ricordatevi di distendere il busto portandolo in linea con le anche e ginocchia, senza rimanere piegati in avanti.
Iniziate ad allenare sia la corsa da sola che i burpees. L’obiettivo è quello di esercitarsi nelle andature:

Tabella andature corsa

E di riuscire a chiudere 100 burpees in meno di 7′-7’30”. Inizialmente provate a fare del lavoro HIIT magari con dei Tabata.

Raggiunti questi livelli nelle singole prove, provate a mischiarli ed a cimentarvi nella sfida completa.

Conclusioni su come superare le prove per i corpi speciali

Superare il test per le forze speciali

I test che vi abbiamo messo sono molto più impegnativi rispetto alla media delle prove per entrare nei vari reparti militari. Tuttavia hanno una caratteristica in comune. La capacità mentale di resistere alla fatica ed al dolore. Ecco questa è la vera qualità che da transfer a 360°. Se avete una mente tenace ed indomita affronterete tutte le prove a viso aperto senza paura di soffrire e cadere.

Indipendente dal livello atletico, raggiungerete i vostri limiti solo quando possederete una mente d’acciaio. Ricordatevi che:

Più il corpo è debole, più comanda, più è forte, meglio obbedisce”
Jean-Jacques Rousseau:

Qui trovate il sito della marina con una proposta di preparazione per superare il test degli incursori.

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Dieta vegana e bodybuilding

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E’ possibile seguendo una dieta vegana fare natural bodybuilding?
Sempre più persone si avvicinano ad una alimentazione vegana. Sempre più sportivi si chiedono se manterranno gli stessi risultati, o addirittura li miglioreranno, seguendo questo stile alimentare. Tutti sembrano in grado di dare risposte certe. In realtà, come spesso accade, il marketing è più forte della fisiologia. Ma facciamo un passo indietro, prima di parlare di dieta vegana e bodybuilding, parliamo di etica (non quella alimentare).

Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire
Voltaire. In realtà la frase non è sua ma poco importa.

La dieta vegana ha sempre creato grosse spaccature. O sei pro o sei contro. O la ami o la odi. Purtroppo questo modo di vedere le cose: bianche o nere, molto spesso appanna la vista e ci fa perdere l’opportunità di scorgere quello che c’è di buono in chi è diverso.

Ognuno di noi si crea un’immagine di sé. Per poter vivere serenamente questa immagine deve essere positiva, altrimenti stiamo male. L’idea che abbiamo di noi stessi la creiamo molto spesso per contrapposizioni (il tutto avviene inconsciamente). Io sono così (e sono il meglio), mentre l’altro è cosà (ed è peggio). Purtroppo questo lo trasportiamo anche nelle diete, se siamo vegani sappiamo che solo noi mangiamo sano, se non lo siamo sappiamo che chi è vegano è carente d’importanti nutrienti. Non lo negate, indipendentemente da come la pensate siete sicuri di avere ragione.

Le nostre convinzioni devono essere rafforzate, altrimenti rischiano di essere polverizzate. Così frequentiamo amici e conoscenti che spesso la pensano come noi. Ci iscriviamo su gruppi, pagine Facebook che sono di nostro interesse. Chi è di Destra non compra la Repubblica ma il Giornale e legge notizie che rafforzano la sua opinione da elettore di centrodestra. Ovviamente funziona nello stesso modo all’opposto. Alla fine inconsapevolmente creiamo quello che si chiama: selezione delle informazioni. Siamo circondati da persone, notizie che rafforzano le nostre convinzioni ed in buona fede crediamo che ormai gli studi scientifici dimostrano inequivocabilmente che la carne fa male, oppure che la dieta vegana è carente.

Anche ora che state leggendo l’articolo se siete vegani volete che risponda SI, si può fare bodybuilding con una dieta vegana, se invece siete onnivori volete che la risposta sia invece assolutamente NO.

L’invito che oggi vi facciamo è quello di credere negli altri, di vedere nella diversità una ricchezza. Indipendentemente da che dieta seguite, siate aperti anche con le altre. Il mondo non deve per forza essere una contrapposizione, anzi due visioni differenti arricchiscono incredibilmente chi le sa scorgere.

Conoscete il detto: “L’uomo saggio impara dalle proprie esperienze, il genio da quelle degli altri“. Bene imparate ad arricchirvi dalle diete degli altri, dalle loro esperienze. Solo gli idioti pensano di avere sempre ragione.

Dieta vegana e bodybuilding

Palestra e dieta vegana

Finita questa doverosa premessa, iniziamo a parlare di dieta vegana e bodybuilding e partiamo subito dicendo che per l’organismo le diete non esistono. Noi diamo un nome ai nostri comportamenti alimentari ma il nostro corpo conosce solo i nutrienti che gli forniamo. Perché noi introduciamo barbabiotole, pasta, carne, ecc ma il nostro organismo legge soltanto le molecole che assorbe. Il glucosio che passa i villi intestinali è glucosio punto. La sua origine può essere il saccarosio della carota, l’amido della pasta o il glicogeno della carne, ma il corpo non lo sa e neanche gli interessa.

Quindi la domanda è in realtà posta male. Noi dovremmo chiederci di cosa ha bisogno l’organismo per massimizzare la sintesi proteica nel muscolo e la lipolisi nell’adipocita. Una volta che ci siamo risposti possiamo guardare se l’alimentazione vegana fornisce quello di cui abbiamo bisogno per massimizzare i risultati della palestra.

Dobbiamo partire da noi, dalla biochimica e dalla fisiologia, non dalle diete.

Purtroppo servirebbero centinaia di pagine per rispondere correttamente alla domanda su cosa abbiamo bisogno, ma vediamo di fornirvi qualche spunto di riflessione utile ed originale.

Il gorilla e le proteine

dieta vegana e palestra

Chi segue la dieta vegana spesso porta l’esempio del gorilla, animale grosso e muscoloso che si nutre prevalentemente di vegetali. L’esempio è molto azzeccato ma vedremo a breve che chi lo porta per dimostrare che le proteine non servono cade in un grosso errore. Purtroppo c’è una corrente vegan/vegetariana che sostiene che le proteine non servono, anzi fanno male (tutto in eccesso fa male).

Le origini di questa opinione sono antiche e ben radicate nell’università italiana. Io non presi trenta all’esame di biochimica perchè quando il professore mi chiese quant’è il fabbisogno proteico risposti 0,9g/kg. Il docente mi guardò negli occhi e mi disse: “0,75 Biasci, 0,75g/kg. 0,9 sono troppe!”.

Ora la questione è controversa e non ci interessa fare un articolo sul fabbisogno proteico, piuttosto torniamo al nostro gorilla. Si perchè è interessante conoscere quante proteine mangia questo primate. Però non vogliamo dirvelo noi, desideriamo che diventiate dei lettori attivi. Andate a cercarvelo voi il dato, quando leggete qualcosa imparate a verificarlo, soprattutto se è qualcosa in cui credete.

1.Cercate quanto pesa mediamente un gorilla.
2.Cercate mediamente che cibi mangia ed in che quantitativi.
3.Cercate il valore nutrizionale degli alimenti, nello specifico le proteine, e moltiplicatelo per i kg che assume
4.Dividete il quantitativo proteico assunto per i kg dell’animale e ottenete i g/kg.

Se non avete voglia di fare i precisi fate finta che mangi solo bambù. Finito?

Bene! Vi sarete accorti che il gorilla mangia un sacco di proteine, perchè è vero che 100g di bambù hanno solo 2,6g di protidi ma moltiplicati per tutti i kg assunti fanno quantitativi ben oltre il doppio di quelli raccomandati per l’uomo.

E’ un grossolano errore pensare che i carnivori mangiano un sacco di proteine mentre gli erbivori poche, perchè non è affatto così. I vegetali ne hanno poche ma gli erbivori passano la giornata a mangiare e ne assumono buoni quantitativi.

Alla fine il gorilla come mangia? Alti quantitativi di carboidrati, alti quantitativi di protidi, bassi grassi. Una dieta che ricorda molto l’alimentazione di molti bodybuilder natural.

A questo punto sentiamo di già qualcuno che afferma: “si ma le proteine animali fanno male, mentre quelle vegetali fanno bene, lo dice anche il China Study“.  Peccato che l’organismo non assorbe proteine ma di-tripeptidi (aminoacidi) ed è incapace di distinguere da che fonte arrivano.
La grossa differenza tra le proteine sta nella composizione degli aminoacidi che le formano.

Tipi di aminoacidi ed influenze sulle cellule

Aminoacidi e danni mitocondriali

Esistono tre grosse famiglie di amminoacidi, quelle glucogenetiche da cui il corpo può ricavare glucosio, quelle chetogenetiche da cui non può ricavarlo e quelle miste.
A seconda del rapporto stechiometrico delle proteine queste hanno un’influenza sull’ossidazione, la glicolisi e la sintesi proteica della cellula.
Quelle di origine animale hanno un’influenza maggiore sulla sintesi delle proteine muscolari, per cui chi segue una dieta vegana e vuole fare bodybuilding dovrà essere ben sicuro di non essere carente in alcuni aminoacidi come la lisina, la metionina, la leucina, ecc.
Inseriamo qui sotto una tabella con le principali fonti vegetali di amminoacidi essenziali:

Amminoacidi essenziali e fonti vegetali

Purtroppo molto spesso non basta mangiare i cereali coi legumi per avere una massima stimolazione anabolica, a volte sarà necessario (per massimizzare i benefici) integrare con proteine in polvere di origine vegetale (soia, piselli, ecc).

Quindi l’integrazione con la dieta vegana diventa molto utile. Va comunque detto che anche tutti i bodybuilder onnivori integrano, quindi non c’è molta differenza.

Per completezza va ricordato che le proteine animali di contro, per via dell’alta presenza di amminoacidi ramificati e per il loro rapporto tra metionina e cisteina, sembrerebbero aumentare l’ossidazione mitocondriale portando a processi d’invecchiamento precoce.
Come vedete in fisiologia non esiste mai niente di completamente positivo o negativo, bianco o nero.

Conclusioni sulla dieta vegana e la palestra

Palestra e vegani

Concludendo rispondiamo alla domanda iniziale. E’ possibile con una dieta vegana fare natural bodybuilding? Assolutamente si, come è possibile farlo con qualsiasi dieta purché si rispetti l’introduzione di tutti quei nutrienti che stimolino l’m-Tor (anabolismo) e la beta-ossidazione (dimagrimento).

Vi lasciamo con due realtà Vegan, la prima che ci piace, la seconda che purtroppo fa falsa informazione (ovviamente verificate da voi, basta prendere un libro di biochimica).

Il gruppo Facebook: Vegan Bodybuilding & Fitness Italia

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Tutorial muscle up agli anelli

Dieta alcalina e osteoporosi. Facciamo chiarezza

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La dieta alcalina è sempre più popolare. Sembrerebbe che gli alimenti, a seconda se sono acidi o basici, possono influenzare la salute del corpo, in primis il metabolismo dell’osso, causando o prevenendo l’osteoporosi. Diversi “esperti” si sono espressi a riguardo. In questo articolo cercheremo di vedere cosa dice la Scienza, non partendo dalle affermazioni di un medico o un professore rinomato, ma mostrando le evidenze scientifiche. Perché tutti possiamo dare un nostro parere personale, ma poi a livello scientifico sono gli studi, le metanalisi e le review che parlano. C’è davvero confusione sulla dieta alcalina e l’osteoporosi oppure gli studi sono concordi su una posizione?

Scopriamolo in questo articolo, perchè solo chi conosce sceglie, altrimenti crede di scegliere.

La dieta alcalina e l’osteoporosi

Del Dott. Angelo Fassio

Affermare che la dieta abbia un ruolo importante in tutti gli aspetti della vita dell’individuo è scontato; il metabolismo dell’osso non fa eccezione. Sfortunatamente è sempre più facile imbattersi, più o meno ovunque, in informazioni non del tutto corrette oppure in vere e proprie cialtronerie.

Mi rendo conto che questo articolo genererà qualche scompenso in alcuni, vorrei tuttavia sottolineare che non sto esponendo la mia personale opinione, o il mio metodo: riporterò alla fine una bibliografia essenziale che come vedrete sarà composta in gran parte da linee guida, da review sistematiche e metanalisi. Perché anche se spesso accade che su PubMed si possa trovare uno studio che afferma una cosa ed uno l’esatto opposto, è anche vero che non tutti hanno lo stesso valore.

Diffidante da chi opera la “scienza al rovescio”, ovvero da chi parte già con una opinione per partito preso e inizia a vagare su PubMed per selezionare quegli unici due studi che confermano la loro tesi ignorando il quadro generale (e generalmente limitandosi a scorrere velocemente gli abstract, visto che solo chi fa ricerca in abito universitario o è studente ha le credenziali di accesso per i full-text delle riviste… a meno di non pagare ogni volta per ogni articolo). Questo procedimento è profondamente scorretto e fazioso, ed è il tipico esempio di come NON si dovrebbe discutere in ambito scientifico.

Piramide evidenze scientifiche

Questo qui sopra è giusto un ripassino su cosa siano i livelli di evidenza (more at: www.google.it “levels of evidence”, ad esempio: http://researchguides.ebling.library.wisc.edu/content.php?pid=325126&sid=2940230). Confrontate dunque i dati riportati in questo articolo e le vostre fonti alla luce di tutto questo, e traete le vostre conclusioni. Come vedete l’esperienza personale è relegata all’ultimo livello (e anche qui, non l’esperienza personale del Sig. Rossi, ma solo quella di coloro che vengono considerati le “autorità riconosciute in materia”, ovvero gente che ha pubblicato su riviste internazionali e ha contribuito ad ampliare la conoscenza sull’argomento con dati e ricerche originali).

Quando ascoltate un video di un esperto su youtube, quando leggete un libro sull’alimentazione comprato alla Feltrinelli, vi state informando sul più basso scalino delle evidenze scientifiche (nel caso più ottimistico!). Credete magari di studiare cosa dice la “scienza” quando in realtà sono, probabilmente, pareri personali.

Considerate inoltre che nell’ambiente del fitness e dell’alimentazione la componente “marketing” è piuttosto pervasiva e non sempre ricavata da evidenza scientifiche di buona qualità.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza, prima di parlare di dieta alcalina, partendo da una veloce occhiata alle linee guida per l’osteoporosi, alla sezione “alimentazione” ([1] SIOMMS 2012 – potete recuperare nella bibliografia la versione completa e gratuita).

1) Introito di calcio:

Fabbisogno di calcio

2) Vitamina D3: (leggi l’articolo completo su come comportarsi con la vitamina D3)

Fabbisogno di vitamina D3

3) Proteine:

L’aumento dell’apporto proteico in soggetti con inadeguato introito riduce il rischio di fratture del femore in entrambi i sessi. Un adeguato apporto proteico è necessario per mantenere la funzione del sistema muscolo-scheletrico, ma anche per ridurre il rischio di complicanze dopo una frattura osteoporotica. “

Ma come? Le proteine non determinano un importante carico acidificante che costringe l’osso a “sciogliersi” per tamponare l’eccesso acido? Lo dice la dieta alcalina…

Abbandoniamo le linee guida per proseguire il discorso.

Il sospetto iniziale non era un’idea campata per aria: qualcuno, in passato, aveva infatti notato che un incremento della quantità delle proteine nella dieta induceva un aumento della calciuria (quantità giornaliera complessiva di calcio escreto con le urine). Ripeto, in passato. Parliamo infatti del 1973 [2]. Dal ’73 (ovvero, in medicina, praticamente la preistoria) cosa è stato in seguito messo in evidenza?

Riassumendo:

  • Una dieta ad alto “potential renal acid load” determina un aumento della frazione di assorbimento intestinale del calcio, che compensa l’ipercalciuria [3]. Il risultato è che il bilancio totale del calcio non cambia ovvero nessun cambiamento a livello di massa ossea totale).
  • Tale alimentazione non solo non modifica i marker di turnover osseo (per chi sa che cosa siano) ma addirittura aumenterebbe i livelli di IGF-1 e ridurrebbe quelli del paratormone (addirittura suggerendo un ruolo favorevole nei confronti della massa ossea) [3]
  • Nessuna relazione causale nei confronti del bilancio fosfo-calcico complessivo o variazioni del dato densitometrico (valore di densità minerale ossea valutato dalla DEXA ovvero la metodica gold standard) né tantomeno nei confronti del il rischio di frattura [4]
  • Non vi è nessuna evidenza a supportare l’ipotesi che una dieta ad elevato PRAL determini osteoporosi e nemmeno che una alcalinizzante la prevenga. Allo stesso modo non vi sono evidenze a supportare il consumo di integratori alcalinizzanti (attenzione, non è uno studietto da quattro soldi: è una metanalisi-review sistematica di trial randomizzati di elevata qualità statistica e di studi longitudinali a basso rischio di bias) [4].

Quindi una dieta iperproteica “cura” l’osteoporosi? In realtà, sebbene vi siano sono studi epidemiologici che individuerebbero una certa correlazione positiva tra massa ossea e intake proteico [5], questo aspetto va contestualizzato (ricordate: correlation doesn’t imply causation!). L’osteoporosi primaria (quindi postemenopausale-senile) è una malattia tendenzialmente dell’anziano. Tale popolazione è esposta, ad esempio, ad un elevato rischio di sarcopenia e malnutrizione (interessante è, a questo proposito, la cosiddetta “obesità sarcopenica”). Una dieta con un buon contenuto proteico è un fattore protettivo nei confronti di tale problematica e tendenzialmente si accompagna anche ad un decente apporto calorico. Prevenire la sarcopenia permette di mantenere dei migliori livelli di funzionalità muscloscheletrica che a loro volta sono protettivi nei confronti dell’osso, così come un introito calorico adeguato. Va da sé che il nesso causa-effetto non è così automatico (NB: come spesso accade in medicina).

[In definitiva non solo le basi su cui si fonda la dieta alcalina sono fisiologicamente scorrette, bisognerebbe riscrivere tutti i libri di fisiologia e l’inventore della dieta alcalina vincerebbe il premio Nobel per la medicina. Ma sia in ambito della ricerca scientifica, sia sul pratico attraverso le misurazione ospedaliere tramite DEXA, si è visto che non c’è nessuna correlazione tra aumento dell’introito proteico e osteoporosi. L’introito proteico alimentare non è uno dei fattori di rischio per l’osteoporosi, punto! Nd Andrea Biasci]

E frutta e verdura?

Potenzialmente tali alimenti sono ricchi di nutrienti favorevoli per la salute dell’osso. Antiossidanti, vitamine C e K (implicate nella sintesi della matrice ossea), minerali (potassio, magnesio, calcio). Ad oggi gli studi hanno tuttavia portato a risultati non concordanti, molto probabilmente a causa di una elevata eterogeneità dei campioni esaminati ed ad un elevato rischio di bias degli studi.

Alcol

L’abuso alcolico è un fattore di rischio assolutamente ben conosciuto. Troverete montagne di letteratura in merito.

Altri alimenti

L’eccessivo consumo di caffeina, bibite e sodio sembrerebbe avere un effetto negativo nei confronti del bilancio del calcio, ma le evidenze complessive sono limitate.

Introito calorico complessivo

Sebbene le persone obese abbiano dei valori di massa ossea mediamente più elevati (attenzione: ciò non significa un ridotto rischio di frattura, ovvero il vero risvolto applicabile alla clinica quando si parla di osteoporosi, anzi!), da uno studio emergerebbe come il grasso viscerale possa avere un effetto sfavorevole nei confronti della densità minerale ossea [6]. D’altro canto, una restrizione calorica potrebbe comunque determinare una perdita di massa ossea, in particolare se di entità importante (nello studio in questione ciò si evidenzia per percentuali inferiori al 55% della RDA) [7].

Bibliografia essenziale

  • Linee guida SIOMMS 2012 http://www.siommms.it/index.php?option=com_content&view=article&id=93&Itemid=71
  • Allen LH, Oddoye EA, Margen S. Protein-induced hypercalciuria: a longer term study. Am J Clin Nutr. 1979;32(4):741–9. Epub 1979/04/01.
  • Cao JJ, Johnson LK, Hunt JR. A diet high in meat protein and potential renal acid load increases fractional calcium absorption and urinary calcium excretion without affecting markers of bone resorption or formation in postmenopausal women. J Nutr. 2011;141 (3):391–7. Epub 2011/01/21.
  • Fenton TR, Tough SC, Lyon AW, Eliasziw M, Hanley DA. Causal assessment of dietary acid load and bone disease: a systematic review & meta-analysis applying Hill’s epidemiologic criteria for causality. Nutr J. 2011;10:41. Epub 2011/05/03
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FAQ sulla dieta alcalina, il latte e l’osteoporosi

(ovvero le aggiunte dell’ultimo minuto per non lasciare adito a dubbi…)

Dieta alcalina e osteoporosi

Q: il latte è acidificante?

A: NO. Svariati studi hanno dimostrato che il latte non è un cibo “acidificante”(1,2). Addirittura uno studio sul NAE (neat acid excretion) ha dimostrato come il carico del latte sia sovrapponibile a quello…dell’acqua (1)!

Q: il latte causa osteoporosi?

A: NO. Questa è davvero l’ennesima trovata commerciale. Una tesi ad effetto, che carpisce l’attenzione proprio per il paradosso che porta con sé e per il fatto soddisfa quella vena complottista che ultimamente sta andando piuttosto di moda (il che va a braccetto con le altre eresie del tipo: l’HIV non causa l’AIDS, le conseguenze della malattia neoplastica sono in realtà dovute alla terapia, i vaccini sono il flagello dell’umanità, ecc). Una review sistematica (pubblicata sul Lancet) ha confermato il ruolo del calcio nel supportare la salute dell’osso (3), ed un recentissimo studio pubblicato su Osteoporosis Int. (5) (impact factor 4 tanto per dire) conclude così: “Greater milk intake was associated with lower bone turnover, higher aBMD, and higher TBS in community-dwelling elderly Japanese men”.

Q: allora il latte cura l’osteoporosi?

A: NO. Il latte è un alimento ricco di calcio. Il calcio non cura l’osteoporosi, sarebbe come pensare che frutta e verdura possano curare una coronaria occlusa. Un adeguato apporto di calcio e vitamina D rappresenta una corretta abitudine nutrizionale per la salute dell’osso. Le persone intolleranti al lattosio o che non consumano latticini per i motivi più svariati possono senz’altro recuperare il fabbisogno giornaliero di calcio da altre fonti alimentari (o eventualmente da supplementi, che vengono tuttavia ritenuti di seconda scelta per vari motivi).

Q: le diete alcalinizzanti alcalinizzano?

A: NO, né il sangue né l’interstizio. Il discorso è lungo e complesso. Non è scopo di questo articolo spiegare l’equilibrio acido base perché è davvero un argomento molto articolato. Se siete interessati potete leggere questo breve articolo pubblicato su MedBunker. Se siete molto interessati dovete allora prenderla larga e fare un investimento di tempo, energie e denaro, iniziando a studiare l’argomento sui testi adeguati. Vi posso dare qualche indicazione:

  • Un testo universitario qualsiasi di chimica generale
  • Un testo di biochimica (es. principi di biochimica di Lehninger)
  • Un testo di fisiologia (es. Berne e Levy – Fisiologia, sebbene la parte di fisiologia renale non sia chiarissima, io ho trovato molto più chiaro il Vander – Fisiologia renale
  • Un libro di medicina di laboratorio
  • Un libro che tratti in maniera specifica l’argomento (che sia di anestesia-rianimazione, medicina interna, oppure –consigliato- anche lo Schiraldi-Guiotto, Equilibrio acido base, ossigeno, fluidi ed elettroliti; McGraw Hill edizioni)

Detto questo, una dieta alcalina NON cambia il pH sistemico, se non minimamente; anzi, così minimamente che il cambiamento è più piccolo dell’errore di misurazione possibile (4). Una dieta alcalina, altera semplicemente il pH urinario (il che è normale, anzi, banale, visto che ciò significa semplicemente che il rene compie il suo lavoro).

Bibliografia

  • Heaney RP, Rafferty K. Carbonated beverages and urinary calcium excretion. Am J Clin Nutr. 2001 Sep;74(3):343–7.
  • Spence LA, Lipscomb ER, Cadogan J, Martin B, Wastney ME, Peacock M, et al. The effect of soy protein and soy isoflavones on calcium metabolism in postmenopausal women: a randomized crossover study. Am J Clin Nutr. 2005 Apr;81(4):916–22.
  • Tang BMP, Eslick GD, Nowson C, Smith C, Bensoussan A. Use of calcium or calcium in combination with vitamin D supplementation to prevent fractures and bone loss in people aged 50 years and older: a meta-analysis. Lancet Lond Engl. 2007 Aug 25;370(9588):657–66.
  • Buclin T, Cosma M, Appenzeller M, Jacquet AF, Décosterd LA, Biollaz J, et al. Diet acids and alkalis influence calcium retention in bone. Osteoporos Int J Establ Result Coop Eur Found Osteoporos Natl Osteoporos Found USA. 2001;12(6):493–9.
  • Sato Y, Iki M, Fujita Y, Tamaki J, Kouda K, Yura A, et al. Greater milk intake is associated with lower bone turnover, higher bone density, and higher bone microarchitecture index in a population of elderly Japanese men with relatively low dietary calcium intake: Fujiwara-kyo Osteoporosis Risk in Men (FORMEN) Study. Osteoporos Int J Establ Result Coop Eur Found Osteoporos Natl Osteoporos Found USA. maggio 2015;26(5):1585–94.

Per concludere guardate questo video del Dott. Berrino (poi leggete il nostro commento).

Il Dott. Berrino (che non mi permetto assolutamente di giudicare come ricercatore, ci mancherebbe), ha pubblicato una serie di libri. Questi libri, per definizione, non sono pubblicazioni scientifiche e non seguono il consueto processo di revisione tra pari (ovvero il processo fondamentale che sta alla base della scienza basata sull’evidenza; inviterei chiunque non abbia del tutto chiaro l’argomento ad approfondire la questione). Chiunque, su un libro destinato al pubblico generico, può scrivere ciò che vuole. Il fatto che un libro, una dichiarazione, un video siano firmate da una persona rinomata, da un ricercatore, perfino da un premio Nobel, non è assolutamente garanzia di imparzialità (qualcuno forse ricorderà Watson, premio Nobel per aver scoperto insieme a Crick il DNA, dichiarare apertamente posizioni razziste nel senso più basso della parola).

La demonizzazione delle proteine della famosa dieta “Diana” effettivamente farebbe parte di un progetto di ricerca multicentrico. Eppure, se si cercano dati in merito su PubMed cosa troviamo? Poco o nulla (vedi: ‪http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=%22diana-5%22). Dove sono i dati che dimostrano che la dieta ridurrebbe drammaticamente l’incidenza e le recidive di malattia? (Per correttezza, ammetto che il trial è stato presentato nel 2012 quindi magari il periodo potrebbe essere considerato troppo breve. Eppure sono sempre 3 anni, che non sono pochi).

Per curiosità, cosa troviamo se andiamo a spulciare tra le pubblicazioni che portano il nome (anche) del Dott. Berrino? Beh, ne troviamo una recentissima del 2015: European Code against Cancer 4th edition: 12 ways to reduce your cancer risk. (disponibile per tutti, qui). Cosa c’è scritto riguardo all’introito proteico? Niente! Ma come? Infatti leggiamo:

Dichiarazioni studio berrino

Tutto qui!

La mia opinione: il Dott. Berrino ha delle convinzioni personali. Tali convinzioni possono essere supportate da una moltitudine di fattori ma al momento non sono assolutamente confermate dai dati complessivi della letteratura. Ecco perché sui libri liberamente editi troviamo scritti una serie di concetti che lui stesso non può permettersi di riportare quando pubblica su riviste scientifiche (le quali peraltro riportano raccomandazioni assolutamente condivisibili). Credo che queste precisazioni siano doverose ed aiutino ad inquadrare meglio ciò che leggiamo nel contesto corretto.

 

Articolo del Dott. Angelo Fassio.
Lavora presso il reparto di reumatologia a Verona. Centro studi e punto di riferimento per l’osteoporosi.

Vi inseriamo anche un video del Dott. Mozzi. Se volete una completa disinformazione sulla dieta alcalina e l’osteoporosi non c’è nulla di meglio:

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Esercizio fisico ed Attività fisica nella donna

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Esercizio fisico ed Attività fisica nella donna
Introduzione

Nel precedente articolo abbiamo messo in luce come meccanismi fisiologici si manifestino con azioni comportamentali differenti nella donna e nell’uomo in base al numero di sedute di allenamento settimanale. Soprattutto nell’assunzione di cibi ricchi di grassi, la donna si è contraddistinta negativamente shiftando la propria alimentazione in modo scorretto ed inoltre, diminuendo quella che è la sua attività spontanea quotidiana. Questo evidenzia che prescrivere l’esercizio fisico non tendendo conto dell’attività fisica o delle abitudini alimentari di un soggetto, portino inesorabilmente ad alimentare problematiche microfisiologiche che si manifesteranno sfociando in patologie più o meno specifiche. Nonostante siano presenti questi meccanismi è facile intuire che, con un adeguato approccio scientifico, si possano evitare e soprattutto comprendere a pieno, fino a che punto le “compensazioni” del nostro organismo siano problematiche o no.

Da risultato derivato dal primo studio nacque l’idea del secondo, capendo più di ogni altra cosa, che non potevo solo basarmi su una raccolta dati basati su un questionario ma, dovevo sperimentare! Avevo bisogno di trattare un gruppo di persone in modo standardizzato, cosi da poter decidere caratteristiche dell’esercizio, l’intensità, la stagione, l’orario, e soprattutto dare il focus… una specificità! Avendo già indagato un target di popolazione dai 20 ai 35 anni, fu quello di valutare un età più avanzata ove meccanismi fisiologici come la menopausa, influiscono su aspetti comportamentali e, vedere nello stesso momento se i risultati coincidevano con il primo studio cosi da dare tra loro, un supporto scientifico chiaro e convincente reciproco.

Le forme corporee sono infatti legate al rapporto tra ormoni sessuali maschili (androgeni) e femminili (estrogeni). Tale fenomeno diventa evidente nel periodo post-menopausale, nel quale, a causa del calo dei livelli estrogenici, si assiste ad una redistribuzione del grasso corporeo. In condizioni patologiche tali differenze possono esacerbarsi, dando luogo ai due principali tipi di obesità: quella Androide (detta anche centrale, viscerale “a mela”) che si associa ad una maggiore distribuzione di tessuto adiposo nella regione addominale toracica e dorsale; quella Ginoide (detta anche periferica, sottocutanea, “a pera”) che si caratterizza per una distribuzione delle masse adipose nella metà inferiore dell’addome, nelle regioni glutee ed in quelle femorali.

Questo concetto è essenziale poichè la distribuzione di tipo androide e ginoide forniscono un diverso Rischio CardioVascolare (CVR). Le più recenti raccomandazioni provenienti dagli USA suggeriscono periodi regolari di attività con un moderato livello di intensità. Si ritiene che, una camminata a passo sostenuto, sia praticabile per una percentuale molto più elevata della popolazione, poiché può essere ragionevolmente inserito nelle abitudini quotidiane e richiede un minor sforzo fisico ed infatti le attuali raccomandazioni consigliano di camminare di buon passo per 30 minuti almeno 5 volte a settimana.

Se da un lato con l’esercizio fisico si cerca di modificare il bilancio energetico affinché la spesa energetica superi l’introito calorico, dall’altro lato quando si parla di obesità o sovrappeso, uno dei primi concetti che ci viene richiamato alla mente è la somministrazione delle diete a restrizione calorica cosi che un ridotto introito calorico giornaliero possa portare vantaggi sia a livello cardiovascolare che a livello della composizione corporea. Inoltre la spesa energetica che è formata sia dall’attività fisica, definita come l’insieme di tutti i movimenti corporei generati dalle contrazioni volontarie dei muscoli scheletrici che determinano un incremento al di sopra del metabolismo basale[i]sia dall’esercizio fisico che è contenuto nell’attività fisica e racchiude tutta quella serie di movimenti pianificati, strutturati e ripetitivi che hanno lo scopo di mantenere ed incrementare il livello di fitness se da un lato il ruolo protettivo dell’esercizio fisico nei confronti dell’insorgenza di fattori di rischio cardiovascolare si associa ad una buona composizione corporea addirittura con un ruolo maggiormente protettivo rispetto all’attività fisica, dall’altro lato non vi è un’evidenza scientifica concreta che avere uno stile di vita attivo, in assenza di esercizio fisico, possa rappresentare un elemento di vantaggio per tutte le componenti fisiologiche legate al CVR come ad esempio il profilo lipo-plasmatico. Questo avviene in parte perchè un approccio terapeutico integrato, non può far leva solamente su singoli parametri cardiovascolari in quanto bisogna tener conto delle innumerevoli variabili che influiscono su ciascuno di questi. Lo scopo dello studio è stato indagare come l’attività fisica si modifica in presenza di esercizio fisico, come questa agisce sui parametri fisiologici legati al CVR e al profilo lipo-plasmatico e di contro, vedere se e come la pratica di un programma di esercizio fisico influenzi lo stile di vita.

Materiali e Metodi.

Sono state reclutate 40 donne dopo uno screening accurato, di età compresa tra i 50 e i 60 anni sedentarie e in post-menopausa. Le partecipanti sono stati sottoposti ad un controllo iniziale ed un trattamento non farmacologico, consistente nell’introduzione di un regime di esercizio fisico per un periodo di 13 settimane, . Il programma di walking-training a cui sono stati sottoposti i soggetti ha avuto una durata complessiva di 13 settimane. La somministrazione della scala RPE (ratings of perceived exertion) di Borg è stata utilizzata per monitorare l’intensità dell’esercizio. Prelievi ematici e altre valutazioni che illustreremo nella discussione dei risultati sono stati effettuati prima del trattamento e dopo il trattamento con l’esercizio fisico controllato. Inoltre per comprendere meglio alcuni parametri all’interno dei risultati, vengono messi in mostra in questa sezione delle tabelle di riferimento:

Schermata 2015-09-28 alle 08.06.32

Schermata 2015-09-28 alle 08.06.49

Schermata 2015-09-28 alle 08.07.01

 

Rischio cardiovascolare colesterolo

Schermata 2015-09-28 alle 08.07.19

Il bilancio energetico è l’indicatore più accurato delle modificazioni a breve termine dello stato nutrizionale nella quotidianità. Quando un soggetto presenta una composizione corporea con valori di tessuto adiposo al di furoi dei range di normalità vi è la credenza che, sottoporre il soggetto ad una dieta a restrizione calorica limitando esclusivamente l’introito calorico o lipidico, possa migliorare il bilancio energetico negativizzandolo. Il bilancio energetico nel nostro campione è inversamente correlato alle variabili indagate dimostrando che un bilancio energetico negativo è associato ad una cattiva composizione corporea in tutte le variabili dell’adiposità prese in considerazione sia nella quantità di tessuto adiposo che nella distribuzione.

Il Physical Activity Level (PAL), di contro, misura lo stile di vita e viene fuori dall’equazione Energy Expenditure (spesa energetica totale del nostro organismo)/Basal Metabolic Rate (metabolismo di base) e viene calcolato come il rapporto tra il dispendio di energia totale e di energia a riposo nel corso delle 24 ore. La spesa energetica è definita dalla somma di attività fisica ed esercizio fisico, l’inserimento di un programma fisico che consideri anche l’attività fisica quotidiana è determinante per migliorare la condizione di salute individuale e nel nostro campione è emerso che ad un livello attivo è associato una buona qualità delle variabili adipose sia nella quantità che nella distribuzione, un ridotto rischio di sviluppare patologie cardiovascolari ed un ridotto livello di colesterolo totale indipendentemente dal bilancio energetico. Questo significa che se da un lato il bilancio energetico sbilanciato verso un maggior introito calorico favorisce l’accumulo di tessuto adiposo con tutti i rischi che ne conseguono, dall’altro il livello di attività fisica gioca un ruolo protettivo sulla salute cardiovascolare e metabolico. Ovviamente, nel nostro caso la sedentarietà delle donne in studio induce ad articolare l’incremento di intensità e frequenza dell’esercizio fisico nell’arco di molti mesi. E’ ormai noto che l’attività fisica protegge l’insorgenza o ritarda la progressione di patologie cardiovascolari è stato proposto che esso possa giocare un ruolo centrale in modo positivo sul profilo lipo-plasmatico. L’effetto dell’attività fisica sulle HDL è clinicamente rilevante, anche se è minore rispetto all’uso di ipolipemizzanti come ad esempio le statine. Si stima che con un aumento del 0.025 mmol/L di HDL , il rischio cardiovascolare diminuisca del 2% per gli uomini e almeno il 3% per le donne. Uno dei possibili meccanismi proposti per spiegare l’effetto dell’esercizio fisico sul profilo lipidico plasmatico è il suo effetto di incrementare la capacità muscolare di bruciare grassi in quantità maggiore al glicogeno attraverso l’attivazione di un numero superiori di enzimi muscolari deputati al catabolismo dei lipidi[i] inoltre, l’aumento della spesa energetica fa si che quest’ultima modifichi il bilancio energetico.

Dai nostri dati preliminari emerge che un esercizio fisico ad intensità e durata crescente di breve durata (13 settimane) non sembra essere sufficiente a modificare significativamente l’adiposità; in compenso, agisce positivamente sui valori di pressione arteriosa sistolica e riduce il rischio cardiovascolare come confermato dalla letteratura scientifica. Nel nostro lavoro abbiamo voluto verificare il differente effetto del PAL e del bilancio energetico sui valori considerati. Le significatività borderline della riduzione di tessuto adiposo viscerale e dell’incremento de tessuto muscolare tenendo presente che il peso non è cambiato significativamente fanno pensare che ci sia stato un rimodellamento dimostrando che la qualità del peso è importante anche se è alto e che la pratica di esercizio costante modifichi le variabili sopra citate. Inoltre, dato che che sia il bilancio energetico che il PAL hanno effetto sui parametri indagati e vengono influenzati entrambi dall’esercizio fisico ed attività fisica, siamo andati a vedere cosa è accaduto a loro nel post-trattamento.

L’analisi CLUSTER ha distinto due differenti gruppi: GRUPPO 1 (linea blu, BUONI) e GRUPPO 2 (linea verde, CATTIVI) caratterizzati da diversi andamenti della variazione del bilancio energetico e PAL; Di contro, diverso è stato l’andamento relativo al colesterolo totale e alla quota delle LDL (Low Density Lipoprotein). Infatti, il Gruppo 1 che ha presentato un incremento del PAL ed una riduzione del bilancio energetico ha riportato un miglioramento dei parametri emato-chimici appena citati a differenza del gruppo in cui, al termine dello studio, si è assistito ad una diminuzione del PAL ed un incremento del bilancio energetico. Il dato da sottolineare, a nostro avviso, è che, in entrambi i gruppi si sia assistito ad una riduzione del rischio cardiovascolare verosimilmente legato alla diminuzione dei valori della pressione arteriosa e ad una riduzione doppio prodotto (DP) espressione di efficienza cardiaca specificando il consumo di ossigeno del cuore dimostrato nella prova da sforzo post-trattamento. In tale popolazione, infatti, abbiamo potuto verificare un peggioramento dei parametri espressione dell’assetto lipidico. Visto che in entrambi i gruppi il programma di esercizio fisico è stato uguale come confermato dall’aderenza e nessuno dei due ha modificato l’introito calorico, significa che in un gruppo la variazione del bilancio energetico è dovuta alla quota di esercizio fisico, mentre nell’altro la variazione del bilancio energetico è dovuta all’attività fisica. L’inserimento di un programma di esercizio fisico probabilmente ha fatto si che nel Gruppo 2 in cui la variazione del bilancio energetico si positivizza, si riduce il PAL e i valori di LDL sono peggiorati, si sia modificata, riducendosi, l’attività fisica spontanea confermando cosi che è la quantità di attività fisica che influisce positivamente sul profilo lipo-plasmatico.

Quindi la pratica dell’esercizio fisico in soggetti sedentari assicura una modificazione del rischio cardiovascolare e del doppio prodotto indipendentemente dallo stile di vita adottato nelle restanti ore della giornata. Le modificazioni del profilo lipo-plasmatico invece sembrano essere legate alla modificazione dello stile di vita generale ed, al volume totale di movimento. Se, le linee guida internazionali sulla prescrizione dell’esercizio fisico atto a modificare il profilo lipoplasmatico dimostrano che le modificazioni di quest’ultimo non sono legate tanto all’intensità ma soprattutto al volume totale di movimento, un alto volume totale di movimento può essere raggiunto, oltre che con l’esercizio fisico, con un cambiamento dello stile di vita passando da una condizione di “sedentarietà” ad una “attiva” beneficiando delle modificazioni positive fin qua descritte.

Conclusioni

La comprensione dei meccanismi fisiologici e comportamentali che l’esercizio fisico attiva nell’uomo è al centro di numerosi dibattiti scientifici. Con questo studio si è tentato di rispondere alle ipotesi formulate nel razionale del lavoro: nelle donne in post-menopausa la quantità e l’intensità dell’esercizio fisico anche di breve durata, influiscono in modo significativo sul rischio cardiovascolare e la pressione arteriosa sistolica, sebbene, non siano in grado di ridurre e/o modificare l’assetto lipidico. Il volume totale di movimento gioca un ruolo fondamentale e questo può essere incrementato sia con l’esercizio fisico che con un aumento dell’attività fisica. L’inserimento di un programma di esercizio fisico può, come si è visto nel nostro campione, portare ad una riduzione dell’attività fisica spontanea. Questo potrebbe essere spiegato dal fatto che un’ora circa di esercizio fisico al giorno possa in qualche modo giustificare nelle restanti ore della giornata uno stile di vita sedentario o poco attivo. Alla luce di ciò sembra indispensabile monitorare l’attività fisica giornaliera come le faccende di casa, il lavoro e sensibilmente lo stile di vita visto e considerato il loro effetto benefico sul profilo lipo-plasmatico. Questo beneficio sembra accentuarsi con il volume di movimento totale che si svolge. Il programma di esercizio, la programmazione dello studio e la sua realizzazione con diverse figure professionali, è stato senz’altro il punto cardine e la chiave di lettura adeguata a questo progetto di ricerca. Le diverse competenze messe a disposizione da tutti i fautori del progetto ha reso possibile un approccio multidisciplinare alla metodologia della ricerca, dell’intervento ed analisi. La scelta di rilevamento dell’intensità dell’esercizio attraverso la somministrazione della scala RPE di Borg, ha portato vantaggi in due principali necessità, una di origine metodologica ed una di origine pratica. Partendo da quella metodologica annoveriamo il fatto che durante il programma di esercizio fisico, se fosse stato usato un comune cardio-frequenzimetro, la visione da parte dei soggetti dell’alterata frequenza cardiaca sul display dovuta allo sforzo, sarebbe potuto essere un fattore limitante alla prestazione delle partecipanti in questione. In seconda istanza, durante il test da sforzo massimale iniziale su cicloergometro, l’interruzione della prova, era determinata proprio dal raggiungimento del punteggio Borg di 19 passando attraverso tutte le sensazioni soggettive di fatica che servivano a raggiungerlo così che la presa di coscienza della scala di Borg, in cui ogni punteggio è correlato alla frequenza cardiaca e validato scientificamente, avvenisse in modo del tutto automatico in modo da istruirle per quella che poi sarebbe stata l’intensità del trattamento. Inoltre la scala di Borg risulta essere più accurata ed efficace in caso di soggetti beta-bloccati, derivante dal fatto che in questi ultimi la frequenza cardiaca sarebbe tenuta bassa proprio dai farmaci. La ragione invece di origine pratica risiede nel fatto che la strumentazione più economica per determinare l’intensità durante l’esercizio è proprio la scala di Borg che ha il solo costo delle stampe cartacee per la visualizzazione della scala. Essendo un campione di 37 partecipanti, il rapporto costo/efficacia della scala di Borg ha fatto si che la scelta cadesse su quest’ultima. Inoltre durante la progressione e la periodizzazione dell’esercizio la scala di Borg ha permesso in tempi brevissimi, praticamente nulli, un processo di auto-setting dello step successivo della progressione senza ri-calcolare eventuali parametri numerici che, in caso di utilizzo di cardio-frequenzimetro, sarebbero stati fondamentali ed indispensabili.

L’utilizzo di apparecchiature come il Senswear Armband (per la misurazione dell’attività fisica quotidiana) ha fatto si che si avesse una corretta determinazione della spesa energetica giornaliera (EE), che confrontata con i risultati dell’Energy Intake ricavati dall’anamnesi alimentare ha reso possibile avere un quadro ben definito del bilancio energetico e del programma motorio da impostare. Inoltre nell’età adulta, le donne spendono meno energia rispetto agli uomini, pur essendo comunque impegnate in attività domestiche o lavorative che richiedono uno sforzo intenso. Le cause possono essere molteplici, ossia l’età, il ruolo sociale ed i numerosi schemi ambientali. Gli studi epidemiologici evidenziano che è maggiormente colpita la popolazione con la condizione socioeconomica e culturale più bassa. Molto probabilmente, la consapevolezza del beneficio insostituibile apportato da una costante attività fisica, inteso come parte attiva di una terapia non farmacologica nella prevenzione primaria e secondaria delle patologie cardiovascolari non è stata ancora completamente capita e recepita dallo stesso mondo femminile.

Dott. Emanuele D’Angelo PhD in Scienze Biomediche, Citomorfogiche e Motorie, Chieti (Abruzzo)

emanuele.dangelo82@gmail.com +393286779567

 

Bibliografia:

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Presentazione del libro Project Nutrition

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Attenzione il seguente video dura 36′. E’ quindi solo per i fan. All’interno troverete i capitoli del libro, qual è l’idea con cui l’abbiamo costruito, più diversi spunti di riflessione. La vendita del libro, avverrà sul nostro sito, speriamo per il mese di ottobre. A breve nuove news.

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Amido: conosciamo i diversi tipi

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L’amido è un polissacaride (poli: molto – saccaride: zucchero), formato da polimeri di glucosio. Tanti mattoncini danno vita ad una struttura più complessa. Tuttavia nel nostro organismo possono penetrare solo sostanze semplici (glucosio-fruttosio-galattosio). Pertanto tutti gli alimenti amidacei devono prima essere scissi in glucosio per essere introdotti nel circolo ematico. Ma allora, perché la pasta ha un indice glicemico differente dal pane se sono entrambi costituiti da farina di grano (amido)? E perché la banana (frutto amidaceo) se acerba ha un certo indice glicemico mentre se matura questo diventa più alto?

L’amido può essere classificato in assimilabile e resistente: la banana, quando è acerba, è costituita prevalentemente da amido resistente, che ne impedisce l’idrolisi nell’intestino tenue. La sua digestione/assorbimento prosegue fino all’intestino crasso dove fermenta grazie ai batteri della flora intestinale.amido banana

Questa è la ragione per cui l’amido resistente viene considerato a tutti gli effetti una fibra alimentare (solubile).  I frutti amidacei cambiano il loro tipo di amido da resistente ad assimilabile con la maturazione e per questo motivo si modifica anche il loro indice glicemico

L’amido è costituito da due differenti polimeri di glucosio: amilosio e amilopectina. Il primo ha una forma chimica lineare poco attaccabile dagli enzimi digestivi, mentre il secondo è molto più digeribile. I farinacei sono costituti da entrambi, ma a seconda di quale prevale, l’indice glicemico risulta più o meno alto; ecco spiegata la differenza tra il pane (ricco di amilopectina) e la pasta (più ricca di amilosio).

  Amilosio Amilopecinta
Patata 21% 79%
Frumento 28% 72%
Riso 17% 83%

Il riso basmati che si compra al supermercato è raffinato, tuttavia viene considerato un riso integrale perché l’alto quantitativo di amilosio ne conferisce caratteristiche chimiche simili al riso integrale (leggi anche l’articolo sui cereali integrali e raffinati).Cottura amido pasta

La cottura aumenta l’indice glicemico perché porta alla gelatinizzazione dell’amido rendendolo più facilmente assimilabile; al contrario il raffreddamento lo riporta alla cristallizzazione, fenomeno che lo conduce verso l’amido resistente. Mediamente i farinacei che compriamo mantengono un 10% d’amido resistente anche dopo la cottura. Questa % può variare a seconda della durata del tempo di cottura. La pasta al dente ha meno calorie della pasta ben cotta perché una porzione maggiore di amido rimane non assimilabile. Nello stesso modo la pasta fredda da frigo (anche se fa schifo) ha ancora meno calorie perché il polisaccaride tende a retrogradarsi tornando alla sua forma originale cristallizzata. La stessa cosa succede per il pane secco.

Composizione degli alimenti amidacei, maturazione, cottura e conservazione, sono tutti fattori che influiscono in modo considerevole sulla velocità e sulla quantità di assorbimento del polisaccaride.

A livello nutrizionale il fattore più importante rimane comunque il quantitativo. Indipendentemente dal tipo di amido, cottura, ecc se il quantitativo di zucchero che introduciamo è consono alla nostra capacità metabolica, il corpo risponderà adeguatamente. Al contrario, se introduciamo troppi glucidi, anche da fonti a medio-basso carico glicemico (frutta, legumi, pasta) , avremo un peggioramento della composizione corporea.

Ovviamente l’ideale rimane unire la quantità corretta con la qualità dell’alimento. Questo soprattutto se il nostro stato metabolico non è ancora performante. Iniziare ad assumere i carboidrati da legumi e tuberi permette di tenere sotto controllo la glicemia, migliorando l’insulino resistenza.

Tipi di amido (resistente assimilabile)

Nell’articolo su come accelerare il metabolismo, abbiamo visto che a poco a poco dobbiamo abituare il nostro organismo a sopportare quote sempre maggiori di carboidrati. Inserire l’aggiunta glucidica da fonti a medio-basso carico glicemico, ci permetterà ulteriormente di reagire positivamente a questo stimolo. Senza lasciarci sopraffare (metabolicamente) dagli zuccheri.

L'articolo Amido: conosciamo i diversi tipi sembra essere il primo su Project inVictus.

Squat: la guida completa

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Guida allo squat
Introduzione allo squat

Lo squat è uno dei movimenti principali per il miglioramento della performance sportiva, per allenare cosce/glutei e se fatto correttamente ha una basso rischio di infortunio. E’ uno degli esercizi più comuni in palestra (almeno in quelle vere), ma è anche utilizzato per la forza e il condizionamento fisico in diverse discipline e come test per gli arti inferiori. I benefici di questo esercizio non sono evidenti solo per gli atleti ma anche nel normale svolgimento delle attività quotidiane in quanto riesce a reclutare un gran numero di gruppi muscolari con un singolo movimento.

Lo squat viene anche utilizzato in ambito clinico e riabilitativo per il rafforzamento dei muscoli degli arti inferiori e dei tessuti connettivi in seguito ad infortuni. E’ usato soprattutto come trattamento terapeutico per lesioni ai legamenti, disfunzioni patellofemorali, instabilità della caviglia. Inoltre gli esercizi a catena cinetica chiusa come lo squat riducono lo stress sull’ACL (l’azione di co-contrazione degli ischiocrurali e dei quadricipiti tende a neutralizzare la traslazione tibiale anteriore, in inglese “tibial translation anterior” o TTA, alleviando lo stress sull’ACL), rendendo questo esercizio superiore ad altri a cinetica aperta (come la leg-extension) per il trattamento riabilitativo in seguito ad infortuni al crociato anteriore.

In ogni caso una scorretta esecuzione di questo esercizio può portare a diverse problematiche soprattutto con l’uso di alti carichi. Gli infortuni più comuni riguardano le distorsioni di muscoli e legamenti, fratture dei dischi intervertebrali, spondilolisi e spondilolistesi (B. Schoenfeld, 2014)

Pur mostrando numerosi benefici sia ipertrofici che riabilitativi NON è un esercizio adatto a tutti, nessuno esercizio in fondo lo è. Problemi come artriti degenerativi o malattie varie dei tessuti connettivi sarebbero di controindicazione per l’esecuzione di tale esercizio.

Del Dott Ivan Pitrulli

La guida è molto lunga. Qui hai la possibilità di scaricarla in PDF per leggertela comodamente dove preferisci
Scarica la guida sullo Squat

Immagine tratta dal NSCA Jounarl 

ESECUZIONE DELLO SQUAT

Posizione iniziale

– eretti con ginocchia estese;
– piedi distanziati quanto la larghezza delle anche e ben poggiati a terra e peso sul meso e retro piede
– punte rivolte in avanti e leggermente verso l’esterno
– testa e sguardo rivolti in avanti
– bilanciere appoggiato sulle spine delle scapole (o sotto il C7)
– mani in posizione prona e palmi rivolte verso l’alto e in avanti
– presa delle mani sul bilanciere leggermente più ampia rispetto alla larghezza delle spalle (la larghezza può comunque essere variata in base alla mobilità scapolo-omerale)
– spalle addotte
– bilanciere in equilibrio

Movimento e posizione finale

– piegare ginocchia anche e caviglia in maniera controllata fino a che la parte superiore della coscia non è parallela al pavimento e all’altezza dei glutei
– le ginocchia non dovrebbero superare eccessivamente le punte dei piedi
– mantenere le normali curve fisiologiche del rachide durante tutto l’arco del movimento
– scapole sempre addotte e depresse
– testa rivolta sempre in avanti o eventualmente in avanti/alto (senza iperestendere il collo)
– ritornare nella posizione di partenza estendendo ginocchia, anche e caviglia simultaneamente

Lo squat solitamente viene eseguito in un rack. Gli appoggi del bilanciere devono essere sistemati in modo tale che il bilanciere si trovi ad un’altezza di poco inferiore a quella delle spalle. La tecnica dello squat inizia quando si solleva il bilanciere dagli appoggi e termina quando viene nuovamente riposizionato su di essi. Il bilanciere va posizionato sui trapezi, più precisamente a livello della spina scapolare e NON sul rachide cervicale (da “Principi di metodologia del fitness” Paoli, Neri, Bianco.2013 pagg 388-389).

La posizione iniziale dello squat prevede i piedi ben piantati a terra, ginocchia e anche completamente estesi e schiena che mantiene le sue normali curve fisiologiche. Il movimento inizia con una fase di discesa con la flessione contemporanea di tre complessi articolari: anca, ginocchia e caviglia. Per uno squat completo è consigliabile utilizzare una profondità tale che i glutei si trovino ad una altezza uguale o poco inferiore a quella delle ginocchia. Il movimento di risalita segue lo stesso percorso di quello di discesa con l’estensione delle tre articolazioni.

Qui un esempio grafico della corretta posizione nella fase più profonda dello squat vista in 3 diverse angolazioni.

Profondità dello squat

Lo squat recluta diversi muscoli tra cui i quadricipiti femorali, gli estensori, adduttori, abduttori dell’anca e il tricipite surale. Inoltre è richiesto un buon lavoro isometrico di altri muscoli inclusi gli addominali, gli erettori spinali, trapezio, romboide e altri muscoli per facilitare la stabilizzazione posturale del tronco. E’ stato dimostrato che sono circa 200 i muscoli che vengono più o meno attivati durante l’esecuzione dello squat.

Lo squat comprende diversi tipi di profondità, generalmente viene suddiviso in 3 categorie in base al livello di flessione del ginocchio: squat parziale (flessione di 40°), mezzo squat (flessione tra 70°- 100°) e squat profondo (flessione maggiore di 100°)

Mezzo squat, squat completo, squat profondo

Prima dell’esecuzione è consigliato inalare circa l’80% di aria della massima capacità di inspirazione e bloccare il respiro durante la discesa per aumentare le forze intra-addominali e migliorare quindi la stabilità della colonna vertebrale (manovra di Valsalva). La manovra di Valsalva provoca l’aumento della pressione intra-addominale e intra-toracica in questo modo le forze all’interno possono essere distribuite in varie direzioni diminuendo la tensione sui dischi vertebrali e distribuendola sui muscoli, aumentando così la forza e la velocità del movimento(Findley,2003).

La respirazione compressiva negli esercizi di forza massimale permette un maggiore incremento della forza pari a circa il 10 per cento, mentre andrebbe evitata negli esercizi con più ripetizioni.

Essendo non priva di rischi, soprattutto cardiovascolari, è consigliato usare questa tecnica solo negli esercizi di forza massimale (E.R.Ikeda et al., 2009). Incrementi della pressione intratoracica provocano infatti bruschi aumenti della pressione arteriosa bloccando il ritorno venoso al cuore. Questi fenomeni possono avere conseguenze pericolose per coloro che sono affetti da malattie coronariche latenti, dunque trattenere il respiro troppo a lungo durante attività dinamiche di sollevamento innalza i valori di pressione a livelli elevati (Paoli et al., 2010).

Di per se la respirazione compressiva non presenta un problema per i soggetti giovani, diverso è invece il discorso per i soggetti più adulti o anziani. In tali soggetti, che spesso presentano problemi cardiocircolatori, la respirazione compressiva associata ad un esercizio di forza come lo squat potrebbe portare ad alterazioni del ritmo cardiaco e danni vascolari (da “L’allenamento ottimale” J.Weineck.2009).

ERRORI COMUNI ED ESERCIZI PER LA CORRETTA ESECUZIONE DELLO SQUAT

Mayer et al. hanno ritenuto opportuno suddividere l’esecuzione dello squat in 3 parti, per focalizzare meglio l’attenzione sui singoli errori per ognuna di queste sezioni.

Gli errori dello squat possono avere origine diversa: neuromuscolari, di stabilità e forza, di mobilità.

SUDDIVISIONE:

1.PARTE SUPERIORE -Posizione della testa -Posizione del torace -Posizione del tronco 2.PARTE INFERIORE -Posizione dell’anca -Posizione del ginocchio -Posizione della tibia -Posizione dei piedi 3.MOVIMENTO -Discesa -Profondità -Risalita

Errori squat parte superioreErrori squat parte inferioreErrori squat movimento

1.PARTE SUPERIORE

Dove posizionare il bilanciere nello squat

Secondo alcuni autori ed esperti la posizione ideale dove poggiare il bilanciere sarebbe sulla spina scapolare. Schoenfeld et al consigliano di prendere come punto di riferimento la vertebra C7 posizionandolo poco più sotto di quest’ultima. La posizione degli avambracci invece dovrebbe essere tenuta parallela a quella del busto mantenendo i polsi dritti e non flessi cercando di piegare il bilanciere spingendolo verso il trapezio facilitando così sia l’estensione della schiena sia la retrazione delle spalle. Tenere le mani ad una larghezza poco superiore a quella delle spalle e con una posizione prona.

Il posizionamento del bilanciere influenzerebbe anche l’inclinazione del busto, più si posiziona il bilanciere indietro più il busto tende a flettersi in avanti come movimento compensatorio.

Posizione bilanciere squat

Nella prima figura  a sinistra possiamo notare l’esecuzione di uno squat frontale dove il bilanciere è posizionato sulla clavicola permettendo al busto di rimanere in posizione eretta. Nella figura al centro il bilanciere è posizionato poco più in basso della C7 facendo flettere leggermente il busto in avanti. Nella figura a destra il bilanciere è posizionato sul deltoide posteriore e possiamo notare come il busto tenda ulteriormente a flettersi in avanti. Ovviamente il carico sulla bassa schiena e sul ginocchio tende a variare nelle tre diverse impostazioni dello squat. Posizionare il bilanciere in basso (tipico dei powerlifter) porterebbe ad un maggior momento meccanico sugli estensori dell’anca (glutei) e minore sugli estensori delle ginocchia (quadricipiti) rispetto a quando si posiziona il bilanciere sulla parte alta della schiena (tipico invece dei weightlifter). Ciò porterebbe a ridurre le compressioni patellofemorali e le forze sull’ACL nella versione “powerlifter”. In ogni caso nessuno delle due versioni risulterebbe controindicato (a meno di presenze di particolari infortuni) in quanto le strutture legamentose sarebbero capaci di sopportare le forze generate da gli esercizi.

Gullet et al hanno studiato le differenze cinetiche tra il front squat e il back squat. Il primo, secondo i risultati dello studio, porterebbe a produrre minori forze di compressione sulle ginocchia e a ridurre lo stress sulla zona lombare della schiena, con piccole differenze per quanto riguarda le forze di taglio. Da ciò si potrebbe dedurre che il front squat potrebbe essere più opportuno rispetto al back squat per soggetti con problemi al menisco, legamenti e/o alla bassa schiena. È opinione comune, sostenuta da poche evidenze scientifiche, che il front squat sia preferibile per isolare maggiormente il quadricipite. Questi risultati dovrebbero essere però supportati da maggiori ricerche in quanto altri studi come quelli condotti da Contreras, Gullett e Stuart non sembrerebbero sostenere l’ipotesi di un diverso sviluppo e di attivazione muscolare tra front e back squat mentre Yavuz ha notato solo una maggiore attività del vasto mediale nel front squat.

Dove guardare nello squat?

Donnelly et al. in uno studio condotto nel 2006 non hanno evidenziato differenze sull’esecuzione o sulla performance durante lo squat quando si posiziona lo sguardo in avanti o verso l’alto. Al contrario, guardare in basso mentre si esegue uno squat aumenterebbe i gradi di flessione del tronco e dell’anca aumentando le forze che gravano su di essi e quindi anche i rischi di infortunio. Secondo Francouer sarebbe opportuno guardare un punto ben preciso durante l’intero movimento, questo aiuterebbe a tenere la testa su senza abbassare lo sguardo.

Posizione della testa

La stabilità del collo è importante per dare supporto alle vertebre cervicali. Durante l’esecuzione dello squat bisogna assicurarsi che il soggetto abbia una posizione neutrale della testa. Una posizione scorretta del collo e della testa potrebbe avere effetti negativi sulla posizione della colonna e compromettere il range di movimento. Il cambiamento infatti in una singola porzione della colonna potrebbe portare ad una compensazione in altre sezioni della colonna stessa. Inoltre, una scorretta posizione della testa aumenterebbe i rischi di infortunio soprattutto durante l’utilizzo di carichi elevati.

Gli atleti dovrebbe mantenere una posizione della testa neutrale o leggermente estesa e il collo dovrebbe essere tenuto in linea con il busto senza né fletterlo né estenderlo eccessivamente.

Posizione corretta

Posizione corretta testa squat

È bene evitare movimenti eccessivi sia in estensione sia in flessione della testa, un eccessiva estensione cervicale potrebbe essere causato da un deficit di estensione toracica.

Un’eccessiva flessione, invece, causerebbe un aumento di forze di compressione lombare. Se la posizione della testa è troppo bassa, portando quindi ad un movimento di iperflessione cervicale, porterebbe ad un aumento della flessione dell’anca e del tronco come movimento compensatorio. Sul lato posteriore bisogna assicurarsi che il collo dell’atleta sia perpendicolare alla linea delle spalle e che non vi siano sbilanciamenti da un lato o dall’altro. Se il soggetto ha difficoltà a mantenere la corretta posizione della testa e del collo probabilmente sarà causato da un indebolimento dei muscoli del collo, in particolar modo del trapezio, o da problemi posturali.

La flessione in avanti della testa sarebbe comunque usata da alcuni atleti come metodo per portare in rilassamento il trapezio.

Posizione potenzialmente scorretta.

Posizione scorretta testa squat

ESERCIZI PER MIGLIORARE LA POSIZIONE DELLA TESTA E DELLO SGUARDO NELLO SQUAT
1.Esercizi neuromuscolari

-INCLINAZIONE DELLA TESTA

Esercizi per il collo

Inclinare la testa lateralmente avvicinando le orecchie lungo la spalla dello stesso lato approssimativamente a metà altezza e ritornare nella posizione iniziale. Mantenere il resto del corpo rigido e immobile. Ripetere anche nella parte opposta. Utilizzare lo stesso procedimento in flessione ed estensione cervicale compiendo movimenti della testa verso il basso e verso l’alto

-BEAN BAG HEAD DRILLS

Esercizi collo squat

Eseguire uno squat tenendo un bastone dietro la schiena con entrambe le mani. Poggiare un oggetto sopra la testa cercando di mantenere la posizione della testa più neutrale possibile evitando di far cadere l’oggetto. OBIETTIVO: ricercare una costante posizione neutrale della testa durante l’esecuzione dello squat

-GAZE TARGET DRILLS

Esercizi collo squat 2

Posizionare un bersaglio su un muro ad una distanza di circa 2-3 metri e collocarsi di fronte ad esso. Mantenere lo sguardo fisso sull’obiettivo senza deviare la posizione della testa durante l’esecuzione dello squat.
OBIETTIVO: Dissociare la posizione della testa dallo sguardo

2.Esercizi di forza/stabilità

-LATERAL ISOMETRIC HEAD PRESS

Esercizi collo 2

Posizionare la mano aperta lateralmente alla testa. Pressare la testa contro la mano e contrastare il movimento con la mano stessa. Mantenere questa posizione per 10 secondi e ripetere nell’altro lato e con l’altra mano. Mantenere il resto del corpo rigido.
OBIETTIVO: migliorare la forza di flessione laterale cervicale

-FORWARD AND BACKFORWARD ISOMETRIC HEAD PRESS

Esercizi collo 3

Posizionare le mani sulla fronte e premere fortemente, contrastare il movimento spingendo allo stesso tempo la testa verso le mani per eguagliare la forza impressa dalle mani. Rimanere in questa posizione per 10 secondi (foto in basso a sinistra). Variante: posizionare una mano sull’altra dietro la testa premendo su quest’ultima e contrastare il movimento premendo allo stesso tempo la testa all’indietro contro le mani, rimanere in questa posizione sempre per 10 secondi (foto in basso a destra).
OBIETTIVO: migliorare la forza isometrica cervicale.

-TRAPEZIUS SHRUG

Elevazione spalle

Posizionarsi in stazione eretta con le braccia rilassate lungo i fianchi (foto in basso a sinistra). Alzare le spalle e portarle verso le orecchie senza piegare i gomiti (foto in basso a destra). Rimanere in questa posizione per qualche secondo per poi ritornare nella posizione di partenza. Il resto del corpo deve rimanere rigido durante l’esecuzione del movimento.
OBIETTIVO: potenziare la forza cervicale e scapolare

3. Esercizi di mobilità

-FLESSIONE/ESTENSIONE CERVICALE

Flessione estensione collo

Portare la testa verso il petto cercando di toccare quest’ultimo o avvicinarsi il più possibile senza avere dolori o fastidi particolari (foto in basso a destra). Dopodiché effettuare un movimento opposto portando la testa indietro (foto in basso a sinistra). Muovere la testa in maniera controllata e lenta. Mantenere il resto del corpo in una posizione rigida.
OBIETTIVO: migliorare la flessibilità cervicale sul piano sagittale

-FLESSIONE LATERALE

Flessione laterale collo

Flettere la testa lateralmente verso la spalla con un movimento di circa 45° o poco più evitando di sentire dolori o fastidi particolari. Mantenere il resto del corpo rigido ripetendo l’esercizio dall’altro lato.
OBIETTIVO: migliorare la mobilità cervicale sul piano frontale.

-ROTAZIONE DEL COLLO

Rotazione collo

Ruotare lentamente la testa di circa 90° o fino ad una angolazione tale da non sentire dolori. Mantenere il corpo rigido durante il movimento. Dopo una breve pausa ritornare nella posizione iniziale e effettuare il movimento anche nell’altro lato.
OBIETTIVO: migliorare la mobilità cervicale sul piano trasversale.

La posizione del torace nello squat

Il tratto toracico dovrebbe essere tenuto leggermente esteso e rigido. Il petto “aperto” e spinto verso l’esterno in modo tale che il busto si trovi in una posizione più verticale. Questa posizione dovrebbe essere tenuta durante tutto l’arco del movimento.

La posizione delle scapole è altresì importante e dovrebbero essere tenute addotte e depresse, di conseguenza le spalle verranno ruotate indietro. La posizione degli avambracci, invece, deve seguire la stessa direzione parallela al busto. A fornire supporto nel mantenere questa posizione interverranno diversi muscoli posteriori della schiena, trapezi, romboidi, erettori spinali ecc… Mantenere questa posizione, soprattutto durante lo squat aiuterebbe a prevenire infortuni e salvaguardare la schiena.

Posizione corretta

Posizione corretta busto squat

Uno degli errori principali che viene commesso durante l’esecuzione dello squat è proprio quello di non mantenere il petto “aperto” così come flettere o estendere eccessivamente il busto e lasciare le scapole rilassate portando di conseguenza le spalle in avanti. Di sicuro le posizioni assunte durante la giornate soprattutto dietro ad una scrivania di certo non giovano.

Posizione scorretta

Posizione scorretta busto squat

ESERCIZI PER MIGLIORARE LA POSIZIONE DEL TORACE

1.Esercizi neuromuscolari

SCAPULAR PINCH

Adduzzione scapole squat

Con l’aiuto di un assistente questa tecnica consiste nel posizionare le dita fra le scapole durante l’esecuzione di uno squat premendo su di esse in modo tale che il soggetto venga aiutato a mantenere le spalle retratte e il petto spinto verso l’alto

GOOD MORNING

Good morning

Assumere la posizione iniziale dello squat con un bastone poggiato dietro la schiena e flettere il tronco in avanti mantenendo il petto “aperto”. Mantenere rigida la schiena durante l’esercizio e piegare leggermente le ginocchia durante la discesa ed estenderle durante la risalita.
OBIETTIVO: Aiutare a mantenere il petto “aperto”.

OVERHEAD PRESS

Overhead squat

Effettuare uno squat impugnando un bastone e portandolo verso l’alto con le braccia estese. Mantenere la posizione delle braccia invariata durante la discesa e la risalita.
OBIETTIVO: migliorare il mantenimento della posizione del petto durante la fase più bassa dello squat.

2. Esercizi di forza/stabilità

BAND PULL APART

Rafforzo estensori schiena

Impugnare una corda con entrambe le braccia che vanno tenute frontali e con il palmo della mano rivolto verso il basso come a sinistra nella figura in basso. Allargare le braccia di circa 90° fino a che non si trovino sul piano frontale in linea col il busto come nella figura in basso a destra. Lentamente e in maniera controllata ritornare nella posizione di partenza.
OBIETTIVO: rinforzare i muscoli parascapolari (trapezio e romboidi)

HIGH PULL

High pull

Posizione di partenza in semi-squat con gambe leggermente flesse , petto spinto in fuori e braccia distese dritte in basso (figura in basso a sinistra). Tenere con entrambe le mani un bastone e tirarlo in alto fino all’altezza delle clavicole (figura in basso a destra). Possibilità di aumentare il carico a secondo le esigenze. OBIETTIVO: migliorare la forza nella parte superiore del corpo soprattutto il trapezio.

FRONT SQUAT

Front squat

In stazione eretta, tenere un oggetto (disco, Kettlebell o palla medica) sul petto (foto in basso a sinistra). Eseguire quindi uno squat cercando di mantenere il busto più verticale possibile (foto in basso a destra). Aumentare, se opportuno, il peso dell’oggetto.
OBIETTIVO: migliorare la muscolatura posteriore del corpo e migliorare la stabilità e il controllo della postura durante lo squat.

3.Esercizi di mobilità

BACKWARD ARM CIRCLES

Mobilità spalle

In stazione eretta con le braccia estese leggermente verso l’alto effettuare delle rotazioni inverse (circa 10) con un movimento controllato. Iniziare creando dei cerchi più piccoli per poi progressivamente formare dei cerchi più grandi.
OBIETTIVO: migliorare la mobilità della spalla

WALL SLIDES

Mobilità spalle 2

Posizionarsi in stazione eretta con le spalle e la testa appoggiate al muro. Nella posizione di partenza formare un angolo di 90° coi gomiti tenendo le braccia appoggiate al muro(foto in basso a sinistra). Estendere le braccia portandole verso l’alto mantenendo sempre il contatto del corpo con il muro(foto in basso a destra) . Mantenere la posizione per circa 10-15 secondi per poi ritornare nella posizione iniziale. OBIETTIVO: Migliorare la mobilità delle spalle

Posizione del busto nello squat

Nella stabilità e nel controllo del tronco durante l’esecuzione dello squat intervengono diversi gruppi muscolari (quadricipiti,addome, lombari ecc…). La stabilità del “core” risulta fondamentale per ridurre al minimo i rischi di infortunio. Diversi studi infatti hanno dimostrato che una ridotta stabilità del core, soprattutto nelle donne, aumenterebbe i rischi di infortunio (Leetun et al.,2004). L’addome ha l’importante funzione di aumentare la stabilità della colonna attraverso la co-contrazione coi muscoli lombari. La stabilità quindi nello squat è garantita dall’utilizzo della muscolatura intorno alla zona lombare. Una debolezza dei muscoli della porzione inferiore della schiena provocherebbe un maggior carico sulla colonna. Una posizione più verticale e rigida della zona lombare porterebbe, invece, ad una riduzione del carico nella zona bassa della schiena. Risulta importante quindi il mantenimento della rigidità del busto ed una normale posizione della curva lombare.

Sarebbe corretto mantenere la curva lordotica nella regione lombare mantenendo l’addome rigido e verticale in modo tale da fornire stabilità al busto il quale dovrebbe essere tenuto parallelo alle tibie sul piano laterale.

Posizione corretta

Posizione corretta anche squat

Bisogna evitare di rilassare i muscoli del tronco. Il rilassamento muscolare porterebbe a flettere in avanti il busto, e ciò sarebbe causato soprattutto da una debolezza degli erettori spinali. Lo squat richiede una sufficiente mobilità della colonna per assumere e mantenere una leggera lordosi lombare. Anche un insufficiente mobilità dell’anca causa difficoltà a mantenere la corretta curvatura lombare. Diversi studi hanno dimostrato che una flessione del tronco aumenterebbe i rischi di comparsa di ernie soprattutto con alti carichi a causa della pressione sui dischi intervertebrali.

Posizione scorretta

Posizione scorretta anche squat

Esercizi per migliorare la posizione del busto nello squat

1.Esercizi neuromuscolari

LORDOTIZZARE/CIFOTIZZARE

Mobilità colonna

In posizione quadrupedica, cifotizzare (foto in basso a sinistra) e lordotizzare(foto in basso a destra) alternativamente la schiena.
OBIETTIVO: identificare le differenze tra una posizione lordotica e cifotica

BALL WALL SQUAT

Squat al muro

Posizionare una palla tra la bassa schiena ed il muro (immagine in basso a destra). Partendo da una posizione eretta effettuare uno squat facendo quindi trascinare la palla lungo la schiena fino alle scapole (immagine in basso a sinistra). Ritornare nella posizione di partenza e ripetere.
OBIETTIVO: facilitare il mantenimento della posizione verticale del tronco, l’utilizzo della palla permette il corretto mantenimento delle curve della colonna vertebrale.

POLE SQUAT

Squat al palo

Eseguire uno squat di fronte ad un palo. Utilizzare il palo come sostegno per mantenere il busto nella corretta posizione durante la massima accosciata, mantenere quindi questa posizione assicurandosi che i talloni rimangano poggiati a terra.
OBIETTIVO: Imparare a mantenere la corretta posizione del tronco nella fase di massima accosciata

2.Esercizi di forza/stabilità

PLANK

Plank

Eseguire un plank cercando di mantenere una leggera curva lordotica durante l’esercizio.
OBIETTIVO: Migliorare la forza isometrica dei muscoli posteriori e promuovere la corretta posizione della colonna nel tratto lombare

SUPERMAN

Superman

In decubito prono con le braccia distese verso l’alto e le gambe distese verso il basso alzare contemporaneamente le braccia e le gambe verso l’alto con un movimento lento e controllato.
OBIETTIVO: migliorare la forza dei muscoli lombari

OVERHEAD BOX SQUAT

Overhead squat box
Eseguire un overhead squat o come variazione un box squat come in figura.
OBIETTIVO: migliorare la forza dei muscoli posteriori e promuovere la posizione eretta del tronco durante lo squat

3.Esercizi per la mobilità

STANDING BACK ARCH

Estensioni schiena

 

In stazione eretta con le mani sui fianchi e il pollice sulla bassa schiena. Estendere i fianchi e spingere l’addome in avanti mantenendo un leggero arco posteriore. Rimanere in questa posizione per circa 10 secondi.
OBIETTIVO: migliorare la mobilità dell’anca

COBRA

Cobra

Posizionarsi distesi a terra a pancia in giù con le mani poggiate a terra ad una larghezza poco superiore a quella delle spalle. Estendere i gomiti sollevando il busto. Formare quindi un piccolo arco sulla schiena tenendo le scapole addotte e le spalle ruotate indietro. Tenere le anche poggiate al suolo e mantenere la posizione per circa 10 secondi.
OBIETTIVO: migliorare la mobilità del tronco.

 

2.PARTE INFERIORE

Posizione corretta dell’anca

Lo scheletro dell’anca è formato dalle due ossa dell’anca, o ossa coxali, che articolate tra di loro anteriormente costituiscono la cintura pelvica. La cintura pelvica insieme al sacro e al coccige costituisce la pelvi o il bacino.


L’anca può compiere movimenti in tutti e tre i piani: flessione/estensione su quello sagittale, adduzione/abduzione su quello frontale e rotazione interna/esterna sul piano trasversale. Occorre una buona mobilità dell’anca per eseguire uno squat completo sotto il parallelo.

I muscoli principali dell’anca che vengono coinvolti durante lo squat sono il grande gluteo e i femorali. In particolar modo i glutei sono potenti estensori dell’anca che si attivano eccentricamente durante la discesa e concentricamente durante la fase di risalita.

Alcuni ricercatori hanno notato in uno studio che mantenere un’inclinazione del bacino neutrale o leggermente inclinato in avanti durante lo squat incrementerebbe l’attività degli erettori spinali e dei muscoli addominali obliqui dando quindi supporto alla colonna e riducendone il rischio di infortunio.

Secondo Caterisano et al. l’attivazione dei glutei cambierebbe in base al livello della profondità dello squat, attivandosi maggiormente durante una discesa completa, mentre non risultano cambiamenti di attivazione tra uno squat eseguito al parallelo e uno parziale. I recenti studi condotti da Contreras escluderebbero però questa ipotesi, non mostrando differenze particolari di attivazione dei glutei nelle varie modalità di squat.

Per i femorali, invece, la profondità della discesa nello squat sembrerebbe non influenzare la loro attivazione in maniera particolare, si possono notare solo leggere variazioni.
La profondità dello squat dovrebbe essere scelta in base alla posizione del bacino cercando di non perdere eccessivamente la curva fisiologica lombare, mentre la posizione dei femorali dovrebbe rimanere simmetrica durante tutto l’arco del movimento .

La linea passante per il bacino, sul piano frontale, dovrebbe essere tenuta parallela al terreno. Il soggetto, inoltre, dovrebbe mantenere l’inclinazione del bacino normale/neutrale soprattutto durante la fase finale della discesa anche se non è raro trovare atleti di livello perdere la neutralità della posizione del bacino eseguendo una retroversione nella fase di massima accosciata.

Posizione corretta

Posizione corretta anca squat

Uno degli errori che più si riscontra durante l’esecuzione dello squat è quello di effettuare un movimento asimmetrico del bacino che è evidente quando la linea passante per le anche non è parallela al terreno sul piano frontale. Questa asimmetria può essere dovuta all’indebolimento o a squilibri muscolari dei glutei o ad asimmetrie articolari tra la capsula e il labbro. Inoltre, si può notare spesso un’ asimmetria di forza e una ridotta mobilità dell’anca che possono compromettere la corretta esecuzione dell’esercizio.

Posizione scorretta

Posizione scorretta anca squat

ESERCIZI PER MIGLIORARE LA POSIZIONE DELL’ANCA NELLO SQUAT
1.Esercizi neuromuscolari

SINGLE LEG HIP TILTS

Rinforzo medio gluteo

Rimanere in stazione eretta su un’unica gamba. Flettere il tronco e l’anca da un lato per poi ritornare nella posizione di partenza e ripetere dall’altro lato.
OBIETTIVO: identificare la posizione dell’anca.

SINGLE LEG SQUAT (Pistol)

pistol

Stare in posizione eretta su un’unica gamba con il bacino in posizione neutra. Effettuare uno squat fino al parallelo mantenendo la linea passante per le anche parallela al terreno sul piano frontale. Ritornare quindi in posizione di partenza spingendo sulle caviglie. E’ consigliato iniziare l’esercizio utilizzando un box allo scopo di facilitare il movimento.
OBIETTIVO: Mantenere la corretta posizione del bacino anche in condizioni difficili.

BOSU/BALANCE BOARD SQUAT

Propriocezione

Eseguire uno squat su una superficie instabile (BOSU, AIREX Pad ecc…). Si può aumentare la difficoltà dell’esercizio eseguendo un single leg squat.
OBIETTIVO: Mantenere la corretta posizione del bacino anche in condizioni difficili.

2.Esercizi di forza/stabilità

SIDE PLANK

Plank laterale

Posizionarsi sdraiati lateralmente con l’avambraccio sul pavimento e un piede davanti all’altro. Sollevare l’anca dal suolo e rimanere in posizione lavorando isometricamente con i muscoli dell’anca.
OBIETTIVO: Aumentare il reclutamento delle unità motorie del gluteo medio.

SPLIT SQUAT

Affondi

Eseguire un affondo frontale. Lasciare che il ginocchio della gamba dietro sia a pochi centimetri dal terreno. Nella fase apicale del movimento il piede che sta anteriormente deve essere tenuto interamente poggiato al suolo mentre quello che sta dietro si solleva posteriormente alzando la caviglia. Il busto e la tibia della gamba anteriore sono perpendicolari al terreno.
OBIETTIVO: Aumentare la capacità di attivazione dalla muscolatura unilaterale dell’anca.

DUCK WALKS

Camminata laterale

Posizionarsi con le mani sulle anche e piedi distanziati alla larghezza del bacino. Eseguire uno squat rimanendo col busto in posizione verticale. Avanzare con il piede destro con la punta delle dita rivolte leggermente verso l’esterno. Fermarsi. Ripetere con il piede sinistro e ritornare nella posizione iniziale con i piedi alla larghezza delle anche.
OBIETTIVO: Allenare il medio e grande gluteo e facilitare la posizione verticale del busto.

3.Mobilità

CROSSOVER STRETCH

Allungamento gluteo

Sdraiarsi sulla schiena con le gambe estese e portare il ginocchio sul petto pressando con la mano del lato opposto (figura in basso a sinistra). Portare la gamba sinistra oltre la parte destra del corpo e pressare la gamba sinistra verso il pavimento con la mano destra (figura in basso a destra).
OBIETTIVO: Allungare la muscolatura dell’anca.

FIRE HYDRANT

Cane gluteo 2

In posizione quadrupedica. Sollevare un ginocchio lateralmente (come in figura in basso a destra). Mantenere costante l’angolo del ginocchio e la schiena piatta.
OBIETTIVO: Migliorare la mobilita’ laterale dell’anca.

HIP CIRCLES

Cane gluteo

Stazione quadrupedica. Alzare lateralmente un ginocchio di circa 90° verso l’esterno mentre si mantiene piegato il ginocchio di 90° circa. Tracciare un largo cerchio con il ginocchio mantenendo la schiena sempre piatta con una leggera lordosi lombare. Effettuare 10 ripetizioni in senso orario e 10 ripetizioni in senso antiorario. Ripetere quindi con l’altra gamba.
OBIETTIVO: Migliorare la mobilità dell’anca.

Posizione frontale nello squat del ginocchio

L’articolazione del ginocchio è la più grande e strutturalmente più complessa dell’organismo. Essa comprende l’articolazione tibio-femorale che, sul piano sagittale, permette un movimento da 0° a circa 160°. Essa comprende sia l’osso della tibia che del femore. Durante il movimento è visibile una rotazione assiale, con il femore che tende a ruotare lateralmente durante la flessione e medialmente durante l’estensione rispetto alla tibia. All’articolazione tibio-femorale assiste anche l’articolazione patello-femorale (o femoro-rotulea) nella quale la rotula scivola oltre la superficie trocleare del femore durante la flessione e l’estensione del ginocchio.

Il ginocchio è anche supportato da diversi legamenti e cartilagini. Tra queste strutture troviamo l’ACL (legamento crociato anteriore) considerato il più grande stabilizzatore del ginocchio. Il suo compito è quello di impedire lo scivolamento anteriore della tibia sul ginocchio soprattutto nel grado massimo di flessione. Esso inoltre gioca un ruolo importante nel limitare la rotazione interna ed esterna del ginocchio ed impedire movimenti di varismo/valgismo. Il legamento crociato posteriore (PCL) può essere considerato la controparte dell’ACL . La sua funzione infatti è quella di impedire lo scivolamento posteriore della tibia.

I legamenti collaterali laterali e mediali aiutano invece la stabilizzazione del ginocchio sul piano frontale, impedendo movimenti di varismo/valgismo.

Durante lo squat il muscolo principale ad essere attivato è il quadricipite femorale (vasto laterale, vasto intermedio, vasto mediale e retto femorale). Nello lo squat l’attività del quadricipite raggiunge il suo picco massimo tra gli 80° e i 90° di flessione per poi rimanere costante durante la successiva fase di discesa. Questo suggerirebbe che una flessione oltre i 90° sarebbe inutile per un maggiore sviluppo del quadricipite. A supporto di tale affermazione sono stati condotti alcuni studi sia da Escamilla sia da Schoenfield confermando che l’attività del quadricipite rimarrebbe costante sotto i 90° escludendo quindi dei miglioramenti dal punto di vista dell’ipertrofia.

Gli ischio crurali (semitendinoso, semimembranoso, bicipite femorale) sono gli antagonisti del quadricipite opponendosi ai movimenti di estensione del ginocchio. Negli esercizi a catena cinetica chiusa comunque, come lo squat, essi svolgono paradossalmente una co-contrazione coi quadricipiti. Questa sinergia è fondamentale per mantenere l’integrità del ginocchio durante lo squat e ridurre le forze che gravano su di esso.

Lo squat sotto al parallelo fa bene o fa male?

Alcuni atleti tendono a porre qualche cautela nell’eseguire uno squat sotto il parallelo (in massima accosciata) in quanto sostengono una maggiore possibilità di andare incontro ad infortuni al ginocchio.
Questo problema risulta però abbastanza ingiustificato. Questa teoria in realtà era stata supportata dagli studi di Klein all’università del Texas nel 1961 e probabilmente diffusasi successivamente. Egli aveva notato che i Weightlifter che erano abituati ad eseguire uno squat profondo presentavano un maggior rilassamento dei legamenti crociati anteriori e collaterali, arrivando alla conclusione che uno squat eseguito sotto il parallelo potesse essere dannoso per la stabilità dei legamenti. Questa ipotesi è stata poi smentita da successive ricerche in cui non sono state trovate correlazioni tra uno squat profondo e un maggior rischio di incorrere in infortuni.

Infatti, sebbene è vero che le forze di taglio tendono ad incrementare aumentando la flessione del ginocchio (in particolare le forze di taglio posteriori si manifesterebbero a partire dai 30° di flessione raggiungendo il picco massimo nel punto più basso dello squat), le forze sull’ACL e sul PCL tendono a diminuire aumentando i gradi di flessione. Il picco massimo di forza sull’ACL avverrebbe ad un grado di flessione tra i 15°-30° riducendosi invece oltre i 60°. Le forze sul PCL aumenterebbero oltre i 30° riducendosi invece oltre i 90° (oltre i 120° diventerebbero minime). Queste riduzione di forze sull’ACL e sul PCL sarebbe dovuta ad un “impigement” tra la parte posteriore della porzione superiore della tibia con i condili femorali posteriori oltre che alla compressione di varie strutture tissutali come il menisco, la capsula posteriore, muscoli, grasso e pelle. Ciò aiuterebbe a ridurre la traslazione tibiale anteriore e posteriore e la rotazione tibiale rispetto ad una flessione minore.

Sarebbe, invece, fonte di dibattito il fatto che i maggiori rischi di infortunio ai legamenti avverrebbero in uno squat eseguito al parallelo in quanto le forze sul PCL in quel grado di flessione risultano essere massime.
Non esistono quindi evidenze scientifiche che supportano l’idea che uno squat oltre il parallelo aumenterebbe i rischi di infortunio al crociato e ai legamenti collaterali né problemi di condromalacia, ostoartrite e osteocondrite. Anzi, secondo alcuni studi, lo squat potrebbe sviluppare una maggiore stabilità e dinamicità del ginocchio nella posizione di massima flessione, quindi sotto il parallelo.
A patto che l’esecuzione dell’esercizio sia più corretto possibile, uno squat profondo, secondo gli studi condotti da Escamilla, porterebbe ad aumentare la distribuzione del peso e il trasferimento di forze con una riduzione delle forze di compressione retropatellare.
Il più grande rischio di infortunio durante uno squat profondo graverebbe, invece, teoricamente, sul menisco e sulla articolazione cartilaginea in quanto sottoposti ad un maggiore stress durante una maggiore flessione del ginocchio. Infatti le maggiori forze di compressione tibiofemorale raggiungono il massimo picco a 130° di flessione, posizione in cui sia il menisco che l’articolazione cartilaginea devono sopportare una maggior quantità di stress. In uno squat profondo potrebbe anche aumentare la degenerazione patellofemorale per l’aumento dello stress su quest’ultimo per il contatto tra la parte inferiore della rotula con il femore. Esistono però scarse evidenze scientifiche che mostrerebbero un aumento dei rischi di infortunio in soggetti sani in queste strutture aumentando i gradi di flessione.
Sarebbe opportuno determinare la fisiologia e le condizioni patologiche dell’individuo per scegliere la profondità ottimale dello squat anche in base al grado di mobilità del soggetto.

Non tutti i soggetti infatti sarebbero adatti ad eseguire uno squat completo. Le persone che presentano problemi al Legamento Crociato Posteriore dovrebbe porre maggiore cautela ed evitare di eseguire flessioni oltre i 50°-60° almeno fino a che il problema non risulta essere risolto. Anche soggetti con problemi come condromalacia, osteoartrite e osteocondrite dovrebbero fare attenzione ad eseguire squat profondi.

Posizione delle ginocchia nello squat

Le ginocchia dovrebbero seguire la direzione delle dita dei piedi, durante lo squat, nell’arco dell’intero movimento. La parte laterale (esterna) del ginocchio non dovrebbe superare la linea verticale passante per il malleolo mediale (foto in basso) cosi come anche la parte mediana (interna) del ginocchio non dovrebbe superare la linea verticale passante per il malleolo laterale. La posizione ideale sarebbe quella di avere la tibia in posizione più verticale possibile rispetto al pavimento.

Posizione corretta ginocchia

Gli errori più comuni che si possono individuare nella posizione delle ginocchia è quello di effettuare dei movimenti di valgismo/varismo che spesso sono attribuiti ad uno scarso controllo neuromuscolare o ad una scarsa forza e funzionalità dei muscoli degli arti inferiori, specialmente della catena cinetica posteriore. Il valgismo delle ginocchia potrebbe essere influenzato da una diminuzione di forza degli abduttori dell’anca o un incremento eccessivo di forza degli adduttori. Spesso la posizione di valgismo è osservabile in quegli atleti che soffrono di piedi piatti.
Per evitare o limitare il valgismo delle ginocchia durante lo squat occorrerebbe dare enfasi al rafforzamento dei glutei. Un indebolimento del grande e medio gluteo causerebbe sia una rotazione interna che una adduzione del femore aumentando quindi la condizione di valgismo durante lo squat.
La posizione di valgismo, inoltre, potrebbe essere anche indotta da una predominanza dei quadricipiti rispetto ai femorali. Sono quindi consigliati esercizi per il rafforzamento dei femorali per gli individui che presentano questo squilibrio di forze.

Posizione scorretta delle ginocchia

Posizione scorretta squat ginocchia

 

ESERCIZI PER MIGLIORARE LA POSIZIONE DELLE GINOCCHIA NELLO SQUAT

1.Esercizi neuromuscolari

WIDE STANCE SQUAT

Squat laterale

Eseguire uno squat posizionando i piedi ad una larghezza di circa 1,5-2 volte quella delle spalle.
OBIETTIVO: Una larghezza maggiore induce il ginocchio a seguire la punta dei piedi e ad evitare la posizione di valgismo.

BAND SQUAT

Squat con elastico

Usare una fascia intorno alle gambe per incoraggiare il soggetto a spingere esternamente durante l’esecuzione dello squat.
OBIETTIVO: fornire un segnale fisico per spingere le ginocchia verso l’esterno.

SQUAT JUMP

Jump squat

Eseguire un salto in contro movimento dopo aver effettuato uno squat. Atterrare delicatamente mantenendo il petto “aperto”.

2. Esercizi di forza stabilità

SINLGE LEG ROMANIAN DEADLIFT

Stacco ad una gamba

Posizionarsi con i piedi alla larghezza delle spalle e con le braccia distese in basso ad una larghezza poco superiore a quella delle spalle. Muovere lentamente una gamba dietro. Con la schiena piatta abbassare lentamente il busto verso i piedi e portare la gamba libera in posizione orizzontale in linea con il busto. Spingere quindi sui talloni per ritornare in posizione eretta e ripetere con l’altra gamba.
OBIETTIVO: migliorare la stabilità del ginocchio.

RUSSIAN HAMSTRING CURLS

Esercizio femorali

Inginocchiarsi sul pavimento con i piedi indietro e il busto eretto. Metter i piedi sotto una panca o chiedere a qualcuno di bloccare le caviglie. Portare le braccia al petto e mantenere le anche estese. Lentamente abbassare il busto verso il pavimento per poi risalire su.
OBIETTIVO: migliorare la forza eccentrica dei femorali

SINLGE LEG ISOMETRIC SQUAT

Pistol isometrico

In posizione eretta su una gamba con la linea delle anche parallela la terreno. Eseguire uno squat su un piede fino al parallelo. Fermarsi per qualche secondo per poi ritornare nella posizione iniziale. Incrementare l’intensità dell’esercizio eseguendo lo squat su una superficie instabile.
OBIETTIVO: migliorare la forza e la stabilità del ginocchio

3.Esercizi di mobilità

STANDING LEG SWINGS

Esercizi adduttori abduttori

 

In posizione eretta oscillare una gamba da una parte all’altra e ripetere con l’altra gamba.
OBIETTIVO: migliorare la mobilità degli adduttori dell’anca

SIDE LUNGE

Affondo laterale

In posizione eretta flettere una gamba portando in allungamento l’altra. Ripetere sull’altro lato.
OBIETTIVO: migliorare la mobilità degli adduttori dell’anca

Posizione della tibia nello squat

In genere lo spostamento della tibia anteriormente (portando quindi le ginocchia oltre la punta dei piedi) porterebbe ad uno aumento di forze sull’articolazione del ginocchio. Ciò porta spesso alcuni a porre cautela nell’eseguire lo squat con le ginocchia oltre la punta dei piedi. Non esistono però evidenze scientifiche a supporto dell’esistenza di un eventuale punto oltre il quale i rischi di infortunio aumenterebbero rispetto ai benefici nello squat.

Al contrario, il tentativo di limitare lo spostamento in avanti della tibia ha dimostrato aumentare l’inclinazione in avanti del busto con un aumento di conseguenza delle forze sul bacino e sulla colonna con un maggior rischio di infortunio.

In particolare, in uno studio condotto da Andy Fry et al nel 2003 sette atleti avevano eseguito 3 alzate di squat senza restrizioni e 3 con restrizione con una tavola di legno posizionata davanti per evitare di portare le ginocchia oltre la punta dei piedi. Le forze sul ginocchio erano maggiori quando queste oltrepassavano le dita dei piedi (150 N vs 117 N). Nello squat eseguito con la tavoletta però le forze sull’anca erano di gran lunga più alte (302N vs 28N). Queste forze andrebbero poi a trasferirsi sulla zona lombare ed essendo quest’ultima una zona più soggetta ad infortuni sarebbe alquanto superficiale focalizzare la propria attenzione solo su una singola articolazione (in questo caso quella del ginocchio).

Posizione ginocchia squat

Le ginocchia dovrebbe quindi passare leggermente oltre la punta dei piedi, senza comunque esagerare, tenendo attenzione ad avere i piedi costantemente in contatto col suolo.

Le ginocchia dovrebbero muoversi in conformità con il range di movimento dell’anca. L’entità dello spostamento in avanti della tibia varierà a secondo delle caratteristiche antropometriche del soggetto, in particolar modo dal rapporto tra busto e lunghezza delle gambe. In linea generale, comunque, il soggetto dovrebbe cercare di far combaciare l’angolo tibiale, mantenendolo parallelo con il busto tenendo il tallone sempre in contatto col suolo.

Posizione corretta

Tibie corrette squat

Gli atleti a volte possono mostrare un eccessivo spostamento o restringimento dell’angolo tibiale. Un eccessivo spostamento in avanti del ginocchio rispetto alla punta dei piedi come già detto aumenterebbe le forze di taglio sul ginocchio. Altresì una restrizione nello spostamento della tibia porterebbe ad incrementare l’inclinazione del busto in avanti con un aumento delle forze di taglio lombari e delle forze sull’anca. Un eccessivo spostamento anteriore della tibia potrebbe essere causato da una debolezza dei femorali o dei polpacci o da uno sviluppo eccessivo dei quadricipiti. La difficoltà, invece, nello spostamento in avanti della tibia potrebbe essere causato da scarsa mobilità della caviglia, dell’anca e dei piedi.

Posizione scorretta

Tibie scorrette squat

ESERCIZI PER MIGLIORARE LA POSIZIONE DELLA TIBIA NELLO SQUAT
1. Esercizi neuromuscolari

LUNGE AND HOLD

Affondo

Effettuare un affondo, se necessario anche con l’uso di bande elastiche.
OBIETTIVO: identificare la corretta posizione della tibia.

WALKING LUNGES

Affondo overhead

Eseguire degli affondi in camminata alterando l’avanzamento prima con un piede e poi con l’altro. OBIETTIVO: evitare l’eccessivo spostamento in avanti della tibia quando ci si sposta in avanti.

WALL SQUAT

wall squat

Eseguire uno squat posizionandosi di fronte ad un muro in modo tale da evitare un eccessivo spostamento della tibia. Fare in modo di evitare che il ginocchio pressi eccessivamente contro il muro.
OBIETTIVO: evitare un eccessivo spostamento della tibia.

2. Esercizi di forza/stabilità

STEP UP

Affondo su gradino

Usare uno step/box dell’altezza di circa 30 cm. Poggiare un piede su quest’ultimo e l’altro dietro sul pavimento. Spingendo con il piede sullo step portare il piede posteriore sopra il box/step flettendo il ginocchio per poi riportare il piede nuovamente fuori. Fare attenzione a mantenere il peso sulla gamba poggiata sullo step e ripetere l’esercizio per circa 10 volte per ogni gamba. Usare, se opportuno, delle resistenze per incrementare l’intensità.
OBIETTIVO: assicurarsi che il ginocchio sia in linea con il piede ed evitare l’eccessivo spostamento della tibia.

HEEL TOUCHES

Affondo su gradino laterale

Posizionarsi sopra un box/step di circa 30 cm. Portare una gamba fuori ed eseguire un single leg squat abbasando la gamba opposta fino a toccare il pavimento.
OBIETTIVO: assicurarsi che il ginocchio sul box non subisca un eccessivo spostamento della tibia e sviluppare una buona forza

1 AND 1⁄4 SQUAT

Squat indietro

Eseguire uno squat per 5 s fino a che la coscia non si trova parallela al terreno. Risalire per un quarto del movimento lentamente per poi scendere nuovamente. Risalire poi fino alla posizione iniziale.
OBIETTIVO: reclutare e rinforzare il vasto mediale nella fase profonda dello squat.

3. Esercizi di mobilità

TOE TOUCHES

Stretching catena posteriore

In stazione eretta. Mantenendo le gambe estese toccare con le dita della mano la punta dei piedi. OBIETTIVO: migliorare la mobilità muscolare dell’anca e del ginocchio

STRAIGHT LEG MARCH

Flessione anca

 

Avanzare frontalmente con la gamba estesa e il braccio del lato opposto in avanti fino a cercare di toccare la punta del piede.
OBIETTIVO: Migliorare la mobilità della muscolatura dell’anca e del ginocchio.

LEG KIKS: FOWARD AND BACKWARD

Flessione estensione anca

In stazione eretta oscillare una gamba sul piano sagittale (in avanti e indietro).
OBIETTIVO: migliorare la mobilità dei femorali e dei glutei.

POSIZIONE DEI PIEDI

L’atleta dovrebbe assumere una posizione iniziale dei piedi con il tallone all’altezza delle spalle e la punta dei piedi rivolta a circa 10° verso l’esterno . Non è molto raccomandabile assumere, almeno inizialmente, una distanza maggiore.

Il soggetto dovrebbe cercare di mantenere l’intero piede sul suolo cercando di pressare sulla parte laterale e sul tallone. La capacità di mantenere un piede stabile durante lo squat dipende molto da un’adeguata flessione dorsale del piede.

Il centro di pressione si sposta dal mesopiede, durante la fase iniziale, fino al tallone e alla parte laterale durante la fase di discesa. Il peso del corpo è distribuito sulla parte laterale del piede e sul tallone fino a che il soggetto non completa la fase di risalita. Posizionare la maggior parte del peso del corpo sulla parte posteriore del piede facilita le strategie di movimento dell’anca durante tutta la durata dello squat. Posizionare maggiormente il peso del corpo sulla parte laterale del piede aumenterebbe l’attivazione dei glutei.

Fra gli errori più comuni si osserva una supinazione o pronazione dei piedi o una loro rotazione interna o esterna, cosi come alzare i talloni o le dita dal suolo. Anche un’eversione/inversione della caviglia potrebbe essere indice di un deficit biomeccanico.

Una scarsa mobilità di dorsiflessione del piede è evidente se il tallone tende a sollevarsi da terra a causa dell’accorciamento del tendine d’Achille e/o della rigidità del soleo e gastrocnemio

Posizione corretta /scorretta dei piedi

Posizione piedi squat

QUANTO E COME LA LARGHEZZA DEI PIEDI PUO’ INFLUIRE NELL’ATTIVATA’ MUSCOLARE?

La diversa distanza dei piedi sembrerebbe portare cambiamenti sulle forze di compressione e di taglio. Secondo gli studi di Escamilla sarebbe preferibile una posizione dei piedi stretta se l’obiettivo è quello di minimizzare le forze di compressione sul ginocchio. Quest’ultima posizione però porterebbe a spostare eccessivamente il ginocchio oltre la punta dei piedi (più di 4-6 cm rispetto ad una posizione più larga) aumentando le forze di taglio. Di conseguenza, una posizione più distante sarebbe invece preferibile per ridurre le forze di taglio oltre che per limitare lo spostamento eccessivo in avanti delle ginocchia.

Le differenti posizioni dei piedi influirebbero pure nell’attivazione muscolare. Sempre Escamilla insieme ad altri ricercatori hanno evidenziato come l’attivazione del gastrocnemio sarebbe maggiore del 21% con una posizione stretta dei piedi rispetto ad una più ampia. In quest’ultima posizione però, secondo McCaw e Melrose, aumenterebbe l’attivazione dei glutei e degli adduttori, in particolar modo ad una distanza dei piedi pari al 140% di quella delle spalle l’attivazione dei glutei sarebbe massima. Le ricerche di Paoli, Ninos ed Escamilla hanno riportato maggiori momenti meccanici degli estensori dell’anca e degli adduttori ad una larghezza più ampia. Le diverse posizioni dei piedi invece non sembrerebbero influire sull’attivazione dei quadricipiti e dei femorali.

Gli studi di Antonio Paoli hanno mostrato cambiamenti significativi solo per quanto riguarda il GM (grande gluteo) soprattutto ad un ampiezza dei piedi molto grande (passo largo il doppio della larghezza del bacino) con un carico pari a 0% (a corpo libero senza bilanciere) e 70% dell’1RM. Non ci sono stati invece cambiamenti per quanto riguarda l’attività elettromiografica degli altri muscoli analizzati (vasto mediale, vasto laterale, retto femorale, semitendinoso, semimembranoso, bicipite femorale).

Degli stessi risultati, o quasi, gli studi condotti nel 1999 da McCaw dove non sono stati evidenziati differenze nell’attivazione EMG (a qualsiasi distanza dei piedi) in alcun muscolo ad un carico pari al 60% dell1RM. Mentre l’attivazione dei glutei aumenterebbe solo con un carico pari o superiore al 75% dell’1RM.

Gli studi di McCaw e Melrose hanno inoltre dimostrato l’impossibilità di isolare i quattro diversi capi del quadricipite.
Infine, sia gli studi di Paoli che quelli di McCaw e Melrose hanno evidenziato, in generale, una maggiore attivazione del quadricipite rispetto agli ischio crurali (hamstring) e ai glutei.

Anche la modificazione dell’angolazione del piede (punte all’esterno, interno o neutre) non sembra avere particolari influenze sull’attivazione muscolare secondo gli studi condotti da Signorile nel 1995.

Da tutto ciò si può arrivare alla conclusione che variare la distanza dei piedi non sarebbe un metodo efficace per sviluppare le diverse parti del quadricipite, per questo obiettivo sarebbe opportuno scegliere altri esercizi.
Usare una larghezza abbastanza ampia dei piedi, secondo alcuni studi, attiverebbe maggiormente i glutei e il gastrocnemio ma non varierebbe l’attività dei muscoli posteriori della coscia né quella dei quadricipiti.

I risultati dello studio di Antonio Paoli del 2009 con un carico pari al 70% 1RM nelle tre diverse posizioni dei piedi. L’attività dei glutei sembrerebbe incrementare notevolmente allargando la distanza dei piedi

 Attivazione muscoli squat
ESERCIZI PER CORREGGERE LA POSIZIONE DEL PIEDE NELLO SQUAT
1.Esercizi neuromuscolari

SINGLE LEG BALANCE

Propriocezione una gamba

Stare su una gamba su di una superficie stabile con il ginocchio leggermente piegato e flettere il ginocchio dell’altra gamba. Utilizzare una superficie instabile come variante.
OBIETTIVO: migliorare la stabilità e l’equilibrio del piede.

Y BALANCE

Propocezione su una gamba

Stare in equilibrio sulla gamba sinistra col ginocchio leggermente piegato e con il piede della gamba destra toccare tre diversi punti. Il tocco del piede deve essere più leggero possibile senza che avvengano trasferimenti di forza. Il piede su cui si mantiene l’appoggio deve rimanere sempre in contatto con il terreno. Prima toccare un punto posto di fronte al soggetto, poi a 125° a destra e infine a 215°. Ritornare nella posizione di partenza e ripetere con l’altro piede.
OBIETTIVO: mantenere l’appoggio completo del piede sul pavimento quando avviene lo spostamento del peso su una singola gamba.

TOES-UP SQUAT

Postura squat

Eseguire uno squat sollevando la punta dei piedi da terra e mantenendo l’appoggio coi talloni.
OBIETTIVO: migliorare l’appoggio e la spinta del tallone.

2. Esercizi di forza/stabilità

ANKLE AND STRENGTHENING

Stretcing caviglia

Utilizzare una fascia o elastico attorno all’avampiede e tenendo ferma la parte terminale dell’elastico con le mani portare il piede in flessione plantare (spingendo verso il basso) per circa 10 secondi per poi rilasciare. Svolgere la stessa esecuzione da seduto spingendo prima verso l’esterno e poi nel senso opposto, eseguendo movimenti di eversione/inversione.
OBIETTIVO: rinforzare la flessione plantare, l’eversione e l’inversione.

CALF RAISES

Propriocezione punta dei piedi

Iniziare il movimento trasferendo il peso del corpo sulla parte anteriore del piede. Contrarre i polpacci e sollevare il tallone da terra senza ruotare la caviglia. Abbassarsi lentamente mantenendo il peso sulle dita del piede. Per aumentare la difficoltà dell’esercizio eseguirlo su di una sola gamba.
OBIETTIVO: rafforzare i flessori plantari

SINGLE LEG HOPS

Salto per lo squat

Stare su di una gamba ed eseguire un salto cercando di atterrare sempre nella stessa posizione. Ripetere con l’altra gamba.
OBIETTIVO: migliorare il controllo eccentrico.

3.Esercizi di mobilità

ANKLE ROLLS

Addutori straiato

In decubito supino con le mani in fuori-basso, sollevare una gamba per una ventina di cm. Ruotare la caviglia in senso orario e poi in senso anti-orario per circa 10 volte. Durante tutto l’arco del movimento mantenere il ginocchio leggermente flesso. Per aumentare la difficoltà provare a disegnare con l’alluce le lettere dell’alfabeto.
OBIETTIVO: migliorare la mobilità della caviglia su tutti e tre i piani.

HEELS WALKS

Allungamento tendine di Achille

Camminare sui talloni tenendo le punte dei piedi sollevate da terra. Non continuare se si avverte dolore. OBIETTIVO: migliorare la mobilità del soleo e gastrocnemio.

3.Meccanica del movimento. La fase di discesa

Durante la discesa il soggetto dovrebbe mantenere il pieno controllo della propria velocità e della posizione. La discesa dovrebbe avvenire con la flessione contemporanea di anche, ginocchio e caviglia con un movimento fluido e controllato.

Il movimento inizia quindi con quello che in inglese viene chiamato “Hip hinging”, cioè un movimento di spinta indietro col bacino portando in leggero inarcamento il busto mantenendo la schiena rigida e in estensione. Ciò permette di spostare il peso sulla catena posteriore, un ottima strategia per salvaguardare sia il ginocchio sia le vertebre lombari.

Il soggetto dovrebbe considerare il movimento come se dovesse sedersi su di una sedia. L’obiettivo è quello di portare il sedere lontano dalla caviglia riuscendo comunque a mantenere il busto rigido. La distanza verticale tra le spalle e le anche dovrebbe essere mantenuta costante durante l’intera discesa. Il peso del corpo dovrebbe essere trasferito e supportato dalla catena posteriore soprattutto gli ischio crurali e i glutei e non sul ginocchio.

È importante controllare il tempo di discesa che non dovrebbe aver un rapporto inferiori di 2:1 con il tempo di risalita fino a raggiungere un rapporto massimo di 4:1.

Posizione corretta

Posizione corertta discesa squat

Uno degli errori comuni che si osservano nella fase eccentrica dello squat è quello di effettuare un movimento rapido o instabile oppure di non riuscire a mantenere una velocità costante durante la fase eccentrica, errore tipico soprattutto nei novizi. Un errore meccanico frequente è quello di posizionare il peso sulla parte anteriore del ginocchio invece che sulla schiena. Questa scorretta posizione si può osservare soprattutto durante un eccessivo spostamento della tibia e/o nei soggetti che tendono a sollevare i talloni. Ciò porterebbe ad aumentare le forze di taglio sulla parte anteriore del ginocchio e diminuire il carico sulla catena posteriore. Inoltre, una velocità di discesa eccessiva può essere pericolosa se i muscoli sono forzati ad allungarsi eccessivamente in un tempo troppo breve. È consigliato quindi eseguire una discesa lenta e controllata.

Posizione scorretta

Posizione scorretta discesa squat

ESERCIZI PER LA CORREZIONE DEGLI ERRORI NELLA FASE DI DISCESA

1.Esercizi neuromuscolari

WALL TAPS

Squat al muro discesa

Posizionarsi in stazione eretta coi piedi distanziati a circa 60-90cm da una parete (foto in basso a sinistra). Abbassarsi, come se si stesse eseguendo uno squat, fino a toccare col fondoschiena la parete estendendo il busto (figura in basso a destra).
OBIETTIVO: Facilitare la spinta indietro del bacino.

TEMPO SQUATTING

Box squat

Effettuare una discesa lenta e controllata durante lo squat con un rapporto pari a 5:1 rispetto alla fase di risalita.
OBIETTIVO: abituarsi ad una fase di discesa lenta

ASSISTED SQUATTING

Squat assistito

L’allenatore fornisce assistenza al soggetto (con una banda elastica o un bastone) per facilitare e migliorare il controllo nella fase di discesa

2.Esercizi di forza stabilità

ECCENTRIC FOCUSED KNEELING FALL

Allenamento femorali

Posizionarsi in ginocchio con un assistente dietro a bloccare le caviglie. Con un aiuto di un elastico tenuto dall’assistente l’atleta flette in avanti il busto più avanti possibile fino a portare le braccia in posizione di push-up.
OBIETTIVO: rafforzare la muscolatura della catena posteriore.

BOX DROP DEEP HOLD
Salto in basso

Scendere da un box toccando terra simultaneamente con entrambi i piedi simulando uno squat profondo. Iniziare su un box dell’altezza di una trentina di cm per poi progressivamente aumentare l’altezza. OBIETTIVO: migliorare la forza dinamica della catena posteriore durante la fase eccentrica dello squat

PAUSE AT DESCENDING LEVELS

Box squat 2

Suddividere la fase di discesa in 5 segmenti. Abbassarsi ad ogni segmento e fermarsi fino a completare la discesa.
OBIETTIVO: aumentare la forza isometrica ed eccentrica della catena posteriore.

3. Esercizi di mobilità

HURDLER STRETCH

Stretching ischio-crurali

Sedersi a terra ed estendere frontalmente una gamba tenendo le dita verso l’alto e flettere l’altra gamba portandola medialmente rispetto alla gamba estesa. Flettere il busto in avanti fino a toccare con entrambe le mani la punta del piede della gamba estesa fino ad allungare gli estensori dell’anca.
OBIETTIVO: allungare i muscoli della catena posteriore.

HAMSTRING STRETCH

Allungamento attivo

 

Posizionarsi con i piedi sulla linea verticale delle spalle. Eseguire uno squat e toccare la punta dei piedi. Portare indietro le ginocchia estendendo le gambe lentamente fino a sentire allungare i muscoli posteriori della gamba. Scendere nuovamente ripetendo l’esercizio.
OBIETTIVO: allungare i muscoli della catena posteriore.

PIGEON POSE

Allungamento piriforme

Sedendosi a terra portare una gamba sotto il corpo mantenendo il ginocchio flesso. Portare in avanti il corpo sulla gamba piegata mentre la gamba opposta rimane dietro in posizione di allungamento.
OBIETTIVO: aumentare l’intensità dell’allungamento della catena posteriore

PROFONDITA’ NELLO SQUAT

Scegliere la corretta profondità durante l’esecuzione dello squat può essere importante per l’attivazione di determinati muscoli. Effettuare una discesa troppo corta porterebbe ad una prevalenza dell’attivazione dei quadricipiti limitando la performance e aumentando il rischio di infortunio.

Al contrario, eseguire uno squat profondo migliorerebbe il controllo motorio. L’aumento di forza e delle skill che avviene durante una maggiore flessione del ginocchio e del bacino porterebbe a ridurre la prevalenza del quadricipite che, come detto precedentemente, è motivo di aumento del rischio di infortunio.

Non esistono studi che confermerebbero che uno squat eseguito sotto il parallelo sarebbe pericoloso per l’integrità dei legamenti collaterali o del crociato. Lo squat se eseguito bene potrebbe migliorare la stabilità del ginocchio e ridurne i rischi di infortunio.

Una buona profondità sarebbe quella di scendere fino a portare la coscia in posizione parallela al terreno senza subire deviazioni o alterazioni sul ginocchio, anca o caviglia. Alla massima profondità il femore è portato leggermente oltre il parallelo, il bacino è indietro, le tibie sono posizionate verticalmente e i piedi interamente poggiati a terra.

Posizione corretta

Esecuzione profondità corretta

Uno degli errori più frequenti è quello di eseguire uno squat poco profondo (figura in basso). Sebbene possa succedere di eseguire uno squat eccessivamente sotto il parallelo, ciò, al contrario, non è spesso dannoso eccetto particolari patologie del soggetto. Una debolezza dei muscoli della catena posteriore e degli adduttori dell’anca può essere la causa dei problemi nella difficoltà ad eseguire una discesa completa.

Posizione scorretta

Profondità scorretta squat

Squat profondo ed attività muscolare

Gli studi di Caterisano et al. (2002) avevano mostrato una certa correlazione tra l’attivazione dei glutei e la profondità dello squat. L’attività muscolare del GM sembrava non mostrare particolari differenze tra uno squat parziale e uno squat al parallelo mentre aumentava notevolmente durante uno squat eseguito sotto il parallelo.

Il medesimo studio è stato oggetto però di recenti critiche, in particolar modo lo studio condotto da Contreras e Schoenfeld (2015) non confermerebbero le ipotesi avanzate dal team di Caterisano.

Nello studio di Contreras non sono stati evidenziate differenze di attivazione dei glutei né di altri muscoli (bicipite femorale e vasto laterale) in nessun tipo di profondità. Come detto già in precedenza l’attivazione del quadricipite risulterebbe massima fino a 80°-90° di flessione, oltre risulterebbe invece costante.

L’attivazione degli ischio crurali risulterebbe massima tra i 10° e 70°. Mentre la profondità dello squat non sembrerebbe portare a variazioni significative di questo distretto muscolare.

Eseguire uno squat profondo in ogni caso, a meno che non si soffra di particolari patologie, porterebbe maggiori benefici per quanto riguarda la dinamica del movimento.

ESERCIZI PER MIGLIORE LA PROFONDITA’ DELLO SQUAT 1.
Esercizi neuromuscolari

BOX SIT

Squat al box

Eseguire uno squat su un box fino all’altezza desiderata.
OBIETTIVO: Identificare la corretta profondità dello squat

TACTILE/VERBALE CUEING

Profondità squat

L’atleta esegue la discesa dello squat mentre l’istruttore provvede a mandare dei segnali riguardo la profondità raggiunta.
OBIETTIVO: identificare la corretta profondità dello squat.

EYES CLOSED DEPTH

Squat bendati

 

Il soggetto esegue uno squat con gli occhi chiusi o bendati per migliorare la propriocezione per assumere una corretta profondità nello squat.

2.Esercizi di forza/stabilità

ASSISTED SQUAT AND HOLD

Squat assistito

L’istruttore provvede a dare assistenza dell’atleta nella fase di massima discesa che deve essere mantenuta in isometria per qualche secondo.
OBIETTIVO: Allenare l’azione isometrica muscolare.

POLE HOLD

Squat al palo

L’atleta utilizza una colonna o un palo per assumere e mantenere per più tempo possibile la posizione di massima accosciata.
OBIETTIVO: allenare l’azione isometrica muscolare.

DEEP HOLD

Squat con bastone

Il soggetto tiene la posizione di massima profondità mantenendo la coscia parallela al terreno e il busto parallelo alle tibie.
OBIETTIVO: allenare l’azione isometrica muscolare senza l’aiuto di alcuna assistenza.

3. Esercizi di mobilità

V STRETCH

Stretching adduttori sdraiato

Sdraiarsi a terra posizionando le gambe estese e poggiate al muro. Allargare le gambe fino a sentire allungare l’inguine.
OBIETTIVO: allungare gli adduttori dell’anca.

SUMO STRETCH

Stretching adduttori

Eseguire uno squat con i piedi ad una distanza molto ampia e scendere con i glutei sotto le ginocchia. Pressare con i gomiti nella parte interna delle ginocchia fino a sentire allungare l’inguine.
OBIETTIVO: allungare gli adduttori dell’anca.

FIGURE 4 STRETCH

Stretching piriforme 2

Sdraiarsi sul lato della schiena sul pavimento piegando le ginocchia e sollevando i piedi da terra. Posizionare la gamba sinistra sopra la gamba destra. Afferrare con le mani la coscia destra e spingere la gamba verso il petto fino a sentire allungare il gluteo e l’anca nella parte destra. Ripetere con la gamba opposta.
OBIETTIVO: allungare il piriforme

FASE DI RISALITA NELLO SQUAT

La risalita nello squat dovrebbe seguire la stessa dinamica della fase discesa nella direzione opposta. Il principale “driver” nella fase concentrica dovrebbe essere il bacino, e il peso del corpo dovrebbe essere portato sui talloni e sulla parte laterale del piede. Il busto dovrebbe rimanere rigido, le spalle e il bacino dovrebbero risalire allo stesso passo mantenendo costante la loro distanza verticale. L’inspirazione dovrebbe avvenire una volta conclusa l’alzata.

Posizione corretta

Fase corretta di risalita nello squat

Uno degli errori più comuni è quello di salire troppo velocemente con il bacino rispetto alle spalle , portando ad una flessione del tronco. Se il bacino risale troppo velocemente la distanza con le spalle si riduce.

La posizione del ginocchio è fondamentale. Se risulta troppo indietro rispetto al busto il soggetto è costretto a compensare portando il busto in avanti. Se invece è troppo in avanti porterebbe a caricare maggiormente il peso del corpo sull’avampiede invece che sui talloni.

Posizione scorretta

Fase scorretta di risalita nello squat

ESERCIZI PER MIGLIORARE LA RISALITA NELLO SQUAT
1.Esercizi neuromuscolari

GLUTE BRIDGE

Esercizio Glutei

In decubito supino con i piedi poggiati a terra e gambe semipiegate e braccia in fuori basso. Posizionare il palmo delle mani a terra. Spingere il bacino sollevandolo da terra mantenendo le spalle in contatto col suolo. Mantenere la posizione per qualche secondo e quindi riscendere.
OBIETTIVO: enfatizzare il movimento del bacino

HIP THRUSTS

Esercizio glutei

Eseguire una serie di “Glute bridge” in maniera controllata. Enfatizzare il movimento verso l’alto del bacino. OBIETTIVO: enfatizzare il movimento del bacino.

BALL LEAD SQUAT

Box squat con palla

Tenere una palla all’altezza del petto. Eseguire uno squat portando la palla in avanti estendendo le braccia.

2. Esercizi di forza/stabilità

BOX SIT TO STAND

Box squat 3

Posizionare un box o una sedia dietro l’atleta. L’altezza deve essere di poco superiore rispetto al punto in cui si evidenziano dei difetti nello squat. L’altezza verrà poi ridotta fino alla massima profondità raggiungibile. OBIETTIVO: migliorare il “drive” del bacino e la spinta coi talloni.

VERTICAL COUNTERMOVEMENT JUMP

Squat jump 2

L’atleta esegue uno squat seguito immediatamente da un salto verticale. OBIETTIVO: migliorare la forza esplosiva dei muscoli della catena posteriore.

SUMO DEADLIFT

Sumo squat 2

Eseguire un corretto stacco sumo utilizzando un kettlebell o un qualsiasi altro peso. OBIETTIVO: rafforzare i muscoli della catena posteriore e migliorare il controllo posturale.

3. Esercizi di mobilità

LUNGE HIP FLEXOR STRETCH

Affondo 3

Eseguire un affondo con il ginocchio della gamba dietro poggiata a terra. Estendere indietro il busto. Ripetere nel lato opposto.
OBIETTIVO: allungare i flessori dell’anca e la spina toracica per migliorare la mobilità.

DONKEY KIKS

Glutei quadrupedia

In stazione di quadrupedia, simulare un calcio all’indietro con la pianta del piede rivolta verso l’alto. Mantenere l’angolo di flessione del ginocchio.
OBIETTIVO: migliorare la mobilità dei flessori dell’anca e la posizione posturale dello squat.

SCORPION

Stretching scorpione

In decubito prono con le gambe estese verso il basso e le braccia estese perpendicolari al busto (foto in basso a sinistra). Flettere la gamba sinistra e alzarla verso l’alto. Ruotare il bacino portando il piede sinistro oltre la parte destra del corpo. Fare attenzione a mantenere le braccia ed il petto poggiati a terra. Quando il piede sinistro si trova nel punto più vicino possibile alla mano destra (foto in basso a destra) ritornare nella posizione iniziale e ripetere con l’altra gamba.
OBIETTIVO: allungare la bassa schiena, i glutei e gli ischio crurali.

Qual è la corretta velocità d’esecuzione?

Alcuni studi hanno trovato una correlazione tra la velocità dell’alzata e le forze articolari. Hattin et al., ad esempio, hanno fatto seguire in uno studio condotto su 10 studenti universitari, una serie di ripetizioni di mezzo squat ad una velocità di 1 e 2 secondi usando un carico esterno tra i 15% e 30% dell’1RM. Il gruppo di ricercatori ha evidenziato maggiori forze di tagli antero-posteriori e forze di compressione al ginocchio pari rispettivamente al 50% e al 28% in più quando si esegue più velocemente il movimento. Anche gli studi di Dahlkvist et al. riportano un incremento delle forze tibio-femorali ad una velocità maggiore. Tra l’altro, anche il picco di forze compressive sulla colonna raddoppiano se il peso viene spostato rapidamente (Vakos et al.1994). Gli studi di Manabe confermano che eseguire lentamente lo squat ridurrebbe il rischio di infortuni. Quindi, nonostante un rapido movimento possa essere utile per alcune attività sportive, un’ esecuzione più lenta potrebbe essere maggiormente consigliata per ridurre le forze di taglio e di compressione sulle articolazioni.

La velocità d’esecuzione del movimento sembrerebbe però condizionare anche l’attività muscolare. Secondo gli studi di Manabe eseguire uno squat ad una velocità maggiore porterebbe ad attivare maggiormente gran parte dei muscoli coinvolti durante l’esercizio tra cui glutei, erettori spinali, retto e bicipite femorale (gastrocnemio e soleo non sarebbero invece influenzati dal tipo di velocità). Al contrario uno squat eseguito ad una velocità normale o più lenta ridurrebbe l’attività di questi gruppi muscolari.

Quanto può incidere la fatica

La fatica può avere degli effetti sia sull’aspetto cinetico che cinematico dello squat. Uno studio condotto da Lattanzio et al. ha evidenziato che la fatica può causare una riduzione della funzione propriocettiva del ginocchio a causa di una riduzione dell’attività propriocettiva di muscoli e legamenti, di conseguenza eseguire lo squat in condizioni di esaurimento porterebbe a ridurre la funzione meccano recettrice dei legamenti portando ad una instabilità del ginocchio.

Anche la spina è soggetta agli effetti della fatica. Le vertebre della colonna tenderebbero a ridurre la propria forza anche fino al 30%.

Sasaki et al. hanno poi riportato che un affaticamento dei quadricipiti tenderebbe a portare il soggetto a flettere in avanti il busto aumentando il carico sulla bassa schiena e quindi il rischio di incorrere in infortuni. Sarebbe quindi opportuno valutare l’1RM prima di eseguire lo squat per scegliere il corretto carico da usare evitando di protrarre la serie oltre il punto in cui la tecnica risulterebbe compromessa.

Back squat Vs Front squat

Questa guida riguarda esclusivamente l’esecuzione del back squat ma un accenno al front squat è doveroso farlo, quantomeno per sottolinearne le differenze sia meccaniche che di attivazione muscolare.

Il front squat è una variante del back squat con la differenza che il bilanciere viene posizionato sul deltoide anteriore e sulle clavicole anziché sulla spina clavicolare (o eventualmente più in basso). Questa variante comporterebbe un maggior impiego dei quadricipiti rispetto alla versione classica e un minore impiego degli erettori spinali e ischio crurali. Ciò, in teoria, avverrebbe per il fatto che mentre nel back squat il busto tende a flettersi in avanti nella fase di discesa nel front squat il busto rimane praticamente in posizione eretta riducendo quindi l’aiuto dei muscoli lombari e lavorando maggiormente coi quadricipiti e i glutei (da “principi di metodologia del fitness. Paoli, Neri , Bianco.2013 Pagg 390-391)

Già nelle prime pagine dell’articolo si era fatto qualche cenno comparando le due versione per quanto riguarda le forze di taglio e di compressione, risultando preferibile il front squat rispetto al back soprattutto per soggetti con problemi alle ginocchia o alla bassa schiena.

Nello studio condotto da Gullett sono stati fatti eseguire da soggetti con esperienze già alle spalle di allenamento (quindi già ben allenati e non i soliti “untrained subject” che si trovano spesso in studi simili) le due versioni . Nello studio sono stati valutati in particolar modo sia l’attività muscolare che le forze sul ginocchio. L’attività muscolare è stata valutata attraverso l’ECG del quadricipite (retto femorale, vasto mediale e laterale), ischio crurali (semitendinoso e bicipite femorale) ed erettori spinali.

Back squat Front squat

Dallo studio, pur evidenziando lievissime variazioni elettromiografiche, quest’ultime non risulterebbero così evidenti e marcate da poter affermare che ci possano essere sostanziali differenze di attivazione muscolare tra quadricipite, ischio crurali o erettori spinali (questi ultimi risulterebbero però leggermente più attivati nel front squat rispetto al back a differenza di quanto comunemente si pensi).

Invece, per quanto riguarda l’analisi biomeccanica nel back squat sono stati notati maggiori forze di compressione sugli estensori del ginocchio, mentre le forze di taglio erano quasi identiche rispetto alla versione frontale. Le minori forze di compressioni probabilmente sarebbero anche dovute al minor carico con il quale si è soliti eseguire il front squat.

Anche le ricerche di Contreras e Stuart non hanno mostrato significativi cambiamenti nell’attività muscolare tra il front squat ed il back. Mentre gli studi di Yavuz hanno mostrato solo una variazione del vasto mediale che risulterebbe maggiore nel front squat.

Equipaggiamento

CINTURA

Spesso si sente dire all’interno delle palestre che l’uso della cintura renderebbe debole l’addome. Se a questo ci aggiungiamo le fanta-teorie su quanto esse possano servire per “salvaguardare” la zona lombare della schiena (in realtà in qualche modo contribuisce a dare sostegno alla schiena ma non direttamente, o quantomeno non da dietro) ci accorgiamo di quanta confusione ci sia attorno all’utilizzo di questo oggetto.

La cintura, soprattutto se usata correttamente, può dare grossi vantaggi in termini di forza e linearità del movimento, la sua utilità principale è proprio questa. La cintura infatti, secondo alcune ricerche, porterebbe ad incrementare l’attivazione del “core” (aumenterebbe anche fino al 50% l’attivazione del retto dell’addome e dell’obliquo esterno) e la velocità del movimento, rendendo l’alzata più esplosiva senza comprometterne la tecnica. Essa inoltre contribuisce a migliorare la stabilità del busto incrementando le pressioni intra-addominale ed è in questo modo che agisce nel dare supporto alla schiena.

L’effetto deallenante dell’addome provocato dall’uso della cintura sarebbe altamente improbabile secondo Lee (2002), mentre la diminuzione dell’attività dei lombari come effetto de-allenante causato dall’uso della cintura è una controversia che non è ancora stata risolta.
Sarebbe consigliabile, per un sicuro effetto, usare la cintura esclusivamente durante sollevamenti pesanti (80% o più del massimale) se gli atleti hanno alle spalle una storia di mal di schiena o di precedenti infortuni. Non è consigliabile, invece, diventarne troppo dipendenti, specialmente se l’uso della cintura non è funzionale all’attività che il soggetto sta svolgendo (Paoli et al, 2010).

La cintura non mostrerebbe portare cambiamenti dell’attività mioelettrica dei muscoli della gamba (quadricipite, ischiocrurali, glutei) (Zink et al, 2001).

Gli effetti della cintura secondo Kingma et al (2006) sarebbero amplificati se a questa viene anche associata una corretta respirazione. Inspirare prima dello sforzo ridurrebbe il carico sulla colonna del 10% circa.

L’ errore che si commette spesso è quello di usare le classiche cintura da palestra (larghe dietro e strette davanti) oppure di indossarle troppo basse (attorno al girovita). Esse dovrebbe essere indossate in modo tale che aderiscano completamente alla parete addominale al fine di poter usufruire al meglio dei vantaggi descritti precedentemente.

E’ consigliabile l’uso di una cintura con spessore di 10-13 mm e altezza di 10 cm.

Cintura squat

 

*ringrazio sia Layne Norton sia Michele Fresiello per i loro articoli a riguardo

FASCE PER LE GINOCCHIA

L’uso delle fasce aiuterebbe a riscaldare il ginocchio oltre a dare un supporto in più, non tutte le fasce risulterebbero però innocue. Sono due quelle comunemente usate: le knee wraps e le knee slevees. Le prime sono largamente usate tra powerlifter e bodybuilder. Uno dei vantaggi di questo accessorio e di aiutare a rendere l’alzata più veloce e ad incrementare il carico. Durante la fase di discesa la resistenza fornita dalla fascia porterebbe ad immagazzinare energia elastica che verrà poi utilizzata nella fase concentrica del movimento, inoltre dovrebbe aiutare a ridurre lo stress e le forze che agiscono sul tendine quadricipitale. Ci sono alcuni studi però che confermerebbero che l’uso di questi elastici incrementerebbe lo stress a carico della rotula portando quindi problemi al ginocchio come artriti. Alcuni studi come quelli di Gomes (2015) riportano una maggior attivazione muscolare dei glutei con l’uso delle knee wraps. Lo stesso studio ha dimostrato anche variazioni per quanto riguarda l’attività del quadricipite che non sarebbe comunque ben chiara in quanto varierebbe in base al carico utilizzato.

Le knee sleeves sono maggiormente utilizzate dai crossfitter in quanto più comode e di facile utilizzo. Il loro scopo è quello di ridurre il rischio di eventuali infortuni. La leggera compressione che creano permette di incrementare l’afflusso di sangue e ridurre il dolore dopo o durante l’allenamento. In ogni caso la corretta esecuzione del movimento risulta imprescindibile e fondamentale.

Fasce squat

GESSO

L’uso del gesso non è essenziale visto che il bilanciere va posizionato sulle spalle. In ogni caso, soprattutto se il bilanciere viene posizionato in basso, può essere d’aiuto cospargere un po’ di gesso sulle spalle per facilitare il mantenimento del bilanciere sulla schiena specialmente con l’uso alti carichi.

POLSINI

I polsini non sono un oggetto necessario per eseguire lo squat, però i soggetti abituati a posizionare il bilanciere più in basso lungo la schiena l’uso di questo accessorio può dare qualche beneficio nel rendere più forti i polsi e prevenire dolori a quest’ultimi o ai gomiti. In ogni caso andrebbero indossati attorno all’articolazione del polso per fornire maggior supporto.

CONSIGLI FINALI

Le indicazioni riportate nell’articolo rimangono comunque considerazioni generali riguardo l’esecuzione dello squat. Esistono numerose variabili, soprattutto anatomiche, che possono modificare l’esecuzione dello squat, tra queste l’anatomia dell’anca e il rapporto tra la lunghezza del busto e delle gambe. Sta quindi nella bravura dell’allenatore/istruttore, attraverso un attenta analisi, comprendere le cause di eventuali errori e applicare le dovute correzioni.

BIBLIOGRAFIA

1) Bryanton et al. (2012). Effect of squat depth and barbell load on relative muscular effort in squatting

2) Contreras B, et al. (2015). A Comparison of Gluteus Maximus, Biceps Femoris, and Vastus Lateralis EMG Amplitude in the Parallel, Full, and Front Squat Variations in Resistance Trained Females.

3) Donnelly et al. (2006). The effect of the direction of gaze on the kinematics of the squat exercise

4) Escamilla et al. (2001). Effects of technique variations on knee biomechanics during the squat and leg press.

5) Escamilla et al. (2001). Knee biomechanics of the dynamic squat exercise

6) F. Farina – Anatomia dell’apparato locomotore

7) Findley, (2003). Is the valsalva maneuver a proper breathing technique?

8) Fry AC, Smith JC, Schilling BK. (2003). Effect of knee position on hip and knee torques during the barbell squat

9) Gomes WA, et al. (2015). KINEMATIC AND sEMG ANALYSIS OF THE BACK SQUAT AT DIFFERENT INTENSITIES WITH AND WITHOUT KNEE

10) Gullett JC, et al. (2009). A biomechanical comparison of back and front squats in healthy trained individuals

11) Hartmann et al. (2013). Analysis of the Load on the Knee Joint and Vertebral Column with Changes in Squatting Depth and Weight Load

12) Hattin et al. (1989). Effect of load, cadence, and fatigue on tibio-femoral joint force during a half squat.

13) http://www.strengthandconditioningresearch.com/2013/05/08/stance-width-squats/ 14) http://www.strengthandconditioningresearch.com/exercises/squat/
15) http://www.bodybuilding.com/fun/how-to-squat-tutorial.html
16) http://boxlifemagazine.com/training/knee-wraps-vs-knee-sleeves-whats-the-difference 17) http://www.lookgreatnaked.com/blog/knees-past-toes-during-the-squat/

18) http://www.lookgreatnaked.com/blog/squats-bad-for-your-knees/

19) Kushner et al. (2015). The Back Squat: Targeted Training Techniques to Correct Functional Deficits and Technical Factors That Limit Performance

20) Ikeda, (2009). The Valsalva Maneuver Revisited: the Influence of Voluntary Breathing on Isometric Muscle Strength

21) Lake JP, Carden PJ, Shorter KA (2012).Wearing knee wraps affects mechanical output and performance characteristics of back squat exercise

22) Lander JE et al. (1990). The effectiveness of weight-belts during the squat exercise.

23) Lander JE et al. (1992). The effectiveness of weight-belts during multiple repetitions of the squat exercise.

24) Leetun, (2004). Core Stability Measures as Risk Factors for Lower Extremity Injury in Athletes

25) Manabe et al. (2007). Effect of slow movement and stretch-shortening cycle on lower extremity muscle activity and joint moments during squat.

26) Mayer et al. (2015). The Back Squat: A Proposed Assessment of Functional Deficits and Technical Factors That Limit Performance

27) McCaw S, Melrose D (1999). Stance width and bar load effects on leg muscle activity during the parallel squat.

28) Paoli, M.Neri, A.Bianco, (2013). Principi di metodologia del fitness

29) Paoli A. et al(2009). The effect of stance width on the electromyographical activity of eight superficial thigh muscles during back squat with different bar loads.

30) Paoli A, et al. (2010) – Meccanismi fisiologici e strumentali di protezione del rachide durante la pratica del fitness

31) Schoenfeld Brad (2014). Squatting kinematics and kinetics and their application to exercise performance

32) Schoenfeld Brad – The biomechanics of squat depth

33) Yavuz et al. (2015). Kinematic and EMG activities during front and back squat variations in maximum loads

34) Zink AJ et al.(2001). The effects of a weight belt on trunk and leg muscle activity and joint kinematics during the squat exercise..

35) Weineck J (2009) – L’allenamento ottimale

Di Ivan Pitrulli
Note sull’autore
Classe ’92 laureato in scienze delle attività motorie e sportive presso l’università di Palermo, ha sviluppato durante gli studi la passione verso la letteratura scientifica attraverso la quale cerca di combattere i falsi miti che girano nelle palestre su allenamento e nutrizione.

Mail: ivan.pitrulli@gmail.com

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Alimentazione e tumori: cosa dicono le linee guida (veramente)

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Dopo le dichiarazione dell’OMS sulla pericolosità della carne processata, su internet è scoppiato il solito putiferio. Chi è pro, chi contro, chi cita l’esperto di turno, chi la nonna che è campata 100 anni. Insomma ognuno si sente legittimato a dire la sua su quello che è un problema complesso ma con delle evidenze abbastanza inopinabili.  In realtà il WCRF (Word Cancer Research Fund) aveva dato le stesse linee guida (rapporto tra alimentazione e tumori) già 8 anni fa (2007) , quindi colpisce come una notizia vecchia possa fare ancora tanto rumore.

Crediamo che il punto fondamentale della questione sia il giudizio che noi diamo alle notizie. Alla fine il nostro parere prevarica le linee guida, le grandi organizzazioni di ricerca, ecc. Magari nella vita facciamo l’avvocato, l’imbianchino, il gelataio ma di sicuro sull’alimentazione sappiamo già tutto.

Questo articolo è dedicato a chi prova a farsi un bagno d’umiltà e cerca d’ascoltare, senza preconcetti o pregiudizi. La scienza, la medicina, sono in continua evoluzione, possono anche sbagliare. Ma se leggiamo attentamente le linee guida sull’alimentazione e tumori, se ascoltiamo senza mettere prima la nostra personale opinione, vedremo che danno delle indicazioni di buon senso, rivolte alla persona comune che ha un budget per la spesa limitato, che cerca al supermercato tutti i prodotti di cui ha bisogno, senza dovere andare a rivolgersi al contadino o all’allevatore in montagna.

Su internet purtroppo c’è più disinformazione che informazione, quando leggete una notizia tipo: “La causa primaria del cancro fu scoperta nel 1931”, “Grazie a questo alimento il tumore è regredito”, “Scoperto cosa provoca il cancro negli alimenti ma nessuno ve lo dice”, ecc, siete sicuri di leggere cazzate. Guardate sempre alle grandi organizzazioni mondiali e nazionali cosa dicono, perché prendono in considerazione tutti gli studi, non uno che dimostra che le ciliegie sono cancerogene.

Potete credere che tutte le linee guida su cancro ed alimentazione si basano solo sugli interessi delle multinazionali, ma a questo punto non citate nessuno studio, perché tutte le ricerche seguono lo stesso percorso scientifico e sono sottoposte alle stesse analisi. O nessuna pubblicazione è valida, o sono le review e le meta-analisi degli studi a dare le linee guida!

Non c’è bisogno di nessuna congiura o complotto delle multinazionali a discapito del cittadino. Milioni di persone al mondo prendono statine, farmaci per il diabete o l’osteoporosi, ma potrebbero evitarli semplicemente migliorando il loro stile di vita. Non lo fanno perchè costa fatica. Questa è la realtà!

Alimentazione e tumori, cosa dicono le linee guida WCRF

I tumori sono la seconda causa di morte in Europa e in Italia. I numeri sono costantemente in crescita. Le forme tumorali che causano il maggior numero di decessi a livello mondiale sono il tumore al polmone, allo stomaco, al colon retto, al fegato e alla mammella.

Le evidenze scientifiche vengono espresse su tre livelli: convincente, probabile, limitata evidenza, più un quarto livello per cui l’associazione col tumore è altamente improbabile.

Quando leggete che un fattore aumenta del 100% il rischio di contrarre un tumore non vuol dire che vi ammalerete sicuramente ma semplicemente che la probabilità di base è raddoppiata. Quindi se in partenza tutti ci possiamo ammalare con un rischio dello 0,003% , raddoppiare la possibilità vuol dire passare a 0,006%. I tumori hanno sempre delle cause multifattoriali, non ci si ammala perchè si mangia un alimento (a meno che non sia fortemente contaminato) ma perchè si sommano tutta una serie di fattori.

Le prime linee guida vedono nel sovrappeso il primo fattore di rischio e raccomandano di basare la propria alimentazione principalmente su alimenti di origine vegetale, di limitare le carni rosse e di evitare quelle processate.

Negli ultimi cinquant’anni il consumo di cereali si è dimezzato, mentre il tumore al colon-retto è quintuplicato.

  • Si ritiene che gli alimenti ricchi di fibre (ortaggi, frutta, legumi, cereali integrali, radici e tuberi), riducano il rischio d’ammalarsi di malattie croniche e cardiovascolari e probabilmente proteggano contro il cancro.
  • Si ritiene convincente che i cibi contaminati da aflatossine (metaboliti secondari di funghi e muffe) siano causa del cancro al fegato. I principali alimenti contaminati sono: frumento, riso, mais, avena, orzo e le arachidi. Anche i mangimi per animali possono essere contaminati e le aflatossine possono essere secrete nel latte o accumulate nei tessuti. Un altro fattore di rischio molto importante correlato al fegato è l’epatopatia alcolica.
  • Vi è una correlazione positiva che la carne rossa e quelle processate rappresentino una causa del cancro al colon-retto. Per carni rosse si intende quelle di vitello, manzo, maiale, agnello, cavallo e capra. Per carni conservate invece quelle sottoposte ad affumicatura, essicazione, salatura, o aggiunta di conservanti chimici. La carne conservata per refrigerio non è ritenuta processata, mentre la carne tritata come gli hamburger si.
    Tra le cause del cancro correlate alla carne, c’è la produzione batterica nell’intestino di N-nitroso conseguente a una sua assunzione. I nitrati utilizzati per conservala si convertono in nitriti e in N-nitroso. La cottura ad alte temperature crea amine enteriche ed idrocarburi che aumentano il rischio di tumori.
    La cottura alla griglia e la caduta di grassi, determina la produzione di PAHs che aderiscono alla superficie dell’alimento. Anche la presenza di ferro eme nelle carni promuove la formazione di N-nitrosi, oltre quella di ferro libero che crea invece danni ossidativi, cellulari e la formazione di citochine pro-infiammatorie.
  • Si ritiene il latte abbia un’azione probabilmente di protezione dal rischio al cancro del colon-retto. Questo grazie al contenuto di calcio che contiene. Al contrario una sua eccessiva assunzione sembrerebbe incrementare il rischio di cancro alla prostata (giudicato probabile).
  • Si ritiene il sale come causa probabile del cancro allo stomaco. Si raccomanda una assunzione massima di 5g al giorno.
  • Si ritiene esista una probabile evidenza tra bevande molto calde e l’insorgenza del tumore all’esofago.
  • Si ritiene che le bevande alcoliche abbiano un livello convincente di evidenza come causa di cancro alla bocca, faringe, laringe, esofago, colon-retto (uomini) e mammella.
    Risulta come livello probabile per il cancro al fegato e colon-retto (donna). L’alcol agisce come carcinogeno sinergico col tabacco per indurre mutazioni nel DNA.
  • Si ritiene ci siano evidenze probabili tra l’assunzione di vegetali non amidacei e l’effetto protettivo contro tumori alla bocca, laringe, faringe, esofago e stomaco.
  • Si ritiene che gli alimenti della famiglia delle liliacee (aglio, cipolla, porri, ecc.) presentino una probabile azione protettiva per i tumori allo stomaco e al colon-retto.
  • Si ritiene probabile che la frutta in generale possa abbassare il rischio di cancro alla bocca, laringe, faringe, esofago, stomaco e polmone.
  • Si ritiene che i cibi che contengono carotenoidi (spinaci, cavoli, zucca, peperoni, carote, pomodori, melone, patate dolci, ecc.) abbiano una probabile azione protettiva contro i tumori alla bocca, laringe, faringe e polmone.
  • Si ritiene probabile che i cibi contenenti folati (vegetali, frutta, fagioli, fegato) proteggano dal tumore al pancreas. Nello stesso modo quelli contenenti selenio (pesce, cereali integrali, germe di grano, semi di girasole, noci brasiliane), proteggano dal cancro alla prostata.
  • I cibi contenenti vitamina C (peperoni rossi e gialli, kiwi, broccoli, papaya, agrumi, fragole, pomodori), probabilmente hanno un’azione protettiva contro il tumore all’esofago.

Le raccomandazioni finali del WCRF sono:

  1. mantenersi snelli tutta la vita;
  2. muoversi attivamente tutti i giorni;
  3. evitare gli alimenti ad alta densità calorica e le bevande zuccherate;
  4. basare la propria alimentazione prevalentemente su cibi di provenienza vegetale, con cereali non raffinati e legumi in ogni pasto, assumendo un’ampia varietà di frutta e verdura;
  5. limitare il consumo di carni rosse ed evitare quelle processate;
  6. limitare il consumo di bevande alcoliche;
  7. limitare il consumo di sale e cibi conservati;
  8. assicurarsi un apporto sufficiente di tutti i nutrimenti attraverso il cibo;
  9. allattare i bambini al seno almeno per 6 mesi;
  10. le raccomandazioni per la prevenzione alimentare al cancro valgono anche per chi è già ammalato.

Non abbiamo finora mai citato il fumo come causa primaria del cancro perché non è un alimento. Tuttavia rimane una concausa evidente che peggiora e aumenta, in modo sinergico, gli effetti dati da una cattiva alimentazione

Quando si manipolano le ricerche per dimostrare che si ha ragione

Alimentazione e tumori

Diamo di seguito alcuni strumenti per non essere preda di chi vi cita gli studi su cancro e alimentazione per sostenere la sua tesi.

  1. Paragonare studi epidemiologici dei paesi più poveri con quelli della popolazione occidentale è sprofondamene scorretto, perché non tiene conto dello stile di vita. La stessa cosa avviene se paragoniamo la popolazione benestante a quella povera o se guardiamo i dati relativi ai nostri nonni rispetto a noi. Tutte le persone che si nutrono di meno (senza carestie) e si muovono di più sono soggette a meno malattie croniche per via di un migliore BMI.
  2. Paragonare uno stile alimentare in cui si tiene conto della qualità del cibo con l’alimentazione dell’americano medio ha poco senso. I paragoni devono essere fatti tra campioni della popolazione che prestano la stessa attenzione alla qualità degli alimenti.
  3. Il fattore primario per molte malattie (compresi alcuni tipi di cancro) è il grasso viscerale. Alcune diete sono considerate protettive nei confronti dei tumori perché portano a dimagrire. Si associano così diversi fattori per trovare una correlazione diretta, quando in realtà è indiretta.
  4. Gli studi osservazionali (epidemiologici) hanno un grado d’evidenza più basso rispetto a quelli causali. Questo perché trovano correlazioni quando i fattori in gioco possono essere molteplici e forvianti. Per esempio a livello statistico chi mangia all’ospedale ha un’aspettativa di vita più bassa. Ma questo succede perché mangia li o perché si trova ricoverato per problemi di salute? Studi causali sono invece più attendibili perché dimostrano un nesso diretto (di cause-effetto), replicabile e verificabile da qualsiasi ricercatore.
Uno sguardo anche al pianeta

Produzione biosostenibile

Concludiamo con una riflessione più di tipo etico che va al di là della relazione tra alimentazione e tumori. Premesso che tutti abbiamo il diritto alla salute, che la carne non è il male ma è un alimento (quando è sana) che può portare benefici, dobbiamo tutti essere consci che il modello produttivo ed economico che ci siamo imposti è poco biosostenibile.

Per questo uno sguardo alla sostenibilità del pianeta, alle condizioni dall’allevamento degli animali, è una battaglia che non riguarda solo i vegetariani o i vegani ma tutti gli essere umani.

Il cittadino deve imparare a fare delle scelte consapevoli, per lui stesso, per i suoi figli, per il pianeta. Per questo saremo sempre con chi si schiera per la qualità del cibo, con chi coltiva o alleva nel rispetto della natura.

Alimentazione e tumori i siti da seguire

Se volete ulteriormente approfondire, non leggete (se non per ascoltare dei pareri soggettivi come il nostro) altri siti di parte (pro o contro che siano).
Ma ascoltate chi lavora in equipe a livello mondiale per studiare le relazioni tra alimentazione e tumori.

WCRF

AIRC

 

L'articolo Alimentazione e tumori: cosa dicono le linee guida (veramente) sembra essere il primo su Project inVictus.

Come sopravvivere all’apocalisse dell’informazione alimentare

V-sit: la guida completa

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Guida al V-sit

Ecco la guida al V-sit che vi permetterà di conoscere, imparare e governare questa skill. Il V-sit è una figura del calisthenics (e della ginnastica) che racchiude forza e flessibilità. Ottima per riuscire a raggiungere una padronanza eccezionale del proprio corpo.

Di Paolo Di Napoli

Che cos’è la V-sit?

La V Sit è un esercizio in cui è richiesta molta flessibilità e un discreto livello di forza. E’ meglio avere una buona base prima di avvicinarsi a questo esercizio, magari partendo da una L Sit solida (20/30″).

Addominali 3

La skill consiste nell’alzare le gambe fino ad arrivare perpendicolare al suolo. Questo avviene attivamente grazie alla forza del retto addominale e del retto del femore, ma anche grazie  all’elasticità di bicipite femorale, glutei e lombari.

Per questo tipo di esercizio è necessaria molta flessibilità dei muscoli ischiocrurali (in particolar modo del bicipite femorale- semimuscoli), grande gluteo, lombari, spalle e dorsali.
Come possiamo allungarli quindi?

STRETCHING PER RAGGIUNGE IL V-SIT

Stretching Passivo

Consiste nell’assumere una posizione di allungamento di un muscolo con l’aiuto di una forza esterna, che può essere il vostro corpo, il pavimento e la forza di gravità o ancora altro come alcuni macchinari.

Tempistiche e Serie:

Una volta raggiunta la posizione d’allungamento, mantenere in tensione il muscolo per 40″ / 1′ e al termine lasciare la posizione molto lentamente.

Eseguire dalle 4 alle 6 Serie con qualche minuto di pausa tra una e l’altra.

Bicipite Femorale

Il bicipite femorale (ma tutto il compartimento degli ischiocrurali) è il muscolo più importante da allungare, fondamentale per una buona V Sit. Per allungarlo possiamo usare molti tipi di Stretching e posizioni, e personalmente vi elenco quelle con cui io mi son trovato meglio.

Pike

Il Pike consiste nel sedersi a terra a gambe tese, senza accentuare la curva dorsale*1, e rivolgendo lo sguardo alla tibia e non al ginocchio, in modo tale da aiutarvi nel non accentuare la curva dorsale. Inizialmente cercherete di toccarvi la punta dei piedi con le mani, in seguito invece proverete a toccare con il viso le tibie.

*1Un errore che molti fanno è quello di accentuare la curva dorsale per arrivare magari a toccarsi i piedi o scendere di più, ed è sbagliato. Ecco il modo corretto a confronto di quello sbagliato:

Stretching pe il V-sit

Oltre al classico Pike qui sopra riportato, ho usato anche delle varianti come queste:

Stretching V-sit

Con questa variante ci si va a concentrare su un solo arto. Lo si può usare per colmare squilibri tra i due arti, o anche come complementare al Pike a due gambe.

Personalmente, ho usato per un breve periodo anche la variante qui sotto, ma non cambia molto da quella sopra riportata, cambia semplicemente che con il tronco si sta eretti e quindi è più simile a come ci si ritroverà in V Sit.

Stretching 2

Glutei

Per allungare il grande gluteo ho utilizzato questo tipo di Stretching:

Stretching gluitei

Bisogna spingere all’indietro con il gomito poggiato alla gamba piegata cercando di non far spostare la gamba distesa. Quando sentirete tensione sul grande gluteo, vorrà dire che lo starete eseguendo correttamente.

Molto più semplice invece abbiamo anche questo:

Stretching schiena

Personalmente essendo molto elastico non sento tensione, ma per chi è davvero molto legato può essere utile. Coinvolge anche i Lombari.

Infine questo:

Addominali Vsit

Poggiate la caviglia destra al quadricipite sinistro e spingete indietro fin quando sentite tensione senza assolutamente arrivare a sentire dolore. Invertite per allungare l’altro arto.

Se non riuscite in questo modo, cosa molto probabile, provate tirando indietro la gamba (La sinistra nella foto) con entrambe le braccia.

Lombari

Fondamentale allungare i Lombari spesso soggetti a rigidità muscolare. Eccone degli esempi:

Schiena V-sit

Come dico sempre, per lavorare bene con questa posizione, immaginatevi di dover ancorare le mani al suolo il più avanti che potete ma senza staccare i glutei dai talloni.

Infine questa posizione:

Schiena 2 V-sit

I lombari qua si allungano in torsione. Attenzione a non esagerare perché comunque sia manda in torsione la colonna vertebrale e le vertebre potrebbero risentirne.

Spalle

Spalle V-sit

Per le spalle ho usato solo e unicamente questo. Sedetevi e posizionate le mani in linea con i fianchi, alzate il bacino e portatelo in avanti piegando le gambe. Non esagerate perché potreste farvi male ai gomiti.

Stretching attivo

Molto importante eseguire anche lo Stretching attivo e non solo quello passivo. Cosa cambia tra i due? Spieghiamolo in breve.

Stretching Attivo

Consiste nell’assumere una posizione di allungamento contraendo il muscolo antagonista.

Per esempio, per allungare il Bicipite femorale, contraggo il quadricipite femorale assumendo la stessa posizione di allungamento che utilizzo nello Stretching passivo.

Esempio:

Esercizi addominali V-sit

In questa posizione è il Quadricipite che contraendosi alza le gambe, unito al cercare di avvicinare Tibia e Viso come nello Stretching Passivo, otteniamo un allungamento attivo del Bicipite femorale.

In questo caso mi sto aiutando poggiando le mani al suolo, ma si può eseguire anche senza poggiarle ed alzando di più le gambe rendendolo molto più difficile.

Questo tipo di Stretching è molto utile, in particolar modo nel nostro caso, visto che quando sarete in V Sit, il lavoro che svolgeranno i quadricipiti sarà lo stesso che avete eseguito nello Stretching Attivo.

Dunque, arrivati a questo punto come Stretching Attivo avete alcune posizioni, io personalmente ho usato solamente questa:

Esercizi Addominali 2

Ma questo non vuol dire che non ce ne siano altre.

THE L SIT

La L Sit è l’esercizio base da avere per poter approcciare la V Sit.

Addominali 3

Per arrivare a eseguire un L Sit nel modo corretto potete eseguire delle Leg Raises alla spalliera, o provarla su parallele che è più semplice che a terra.

Alcune persone spesso mi chiedono come mai alle parallele gli viene e a terra no. I motivi sono due:

1 – Non mandano in depressione il cingolo scapolo-omerale.

2 – Non hanno le gambe in linea con l’orizzonte per mancanza di forza nell’addome e/o nei quadricipiti (Nel 95% dei casi manca forza nell’addome).

Come risolvere?

Migliorate la salute delle vostre spalle attraverso le scrollate inverse.

Per quanto riguarda la forza addominale potete aumentarne la forza facendo Leg Raises alla spalliera, alla sbarra o alle parallele.

Addominali per il v-sit

Quando diventa semplice, potete provare ad aumentarne l’intensità mettendo delle cavigliere.

Se nonostante tutto vi trovate male potete usare dei manubri:

Addominali 4

Una volta raggiunti i 20/30 Secondi di tenuta potete iniziare con l’approccio alla V Sit.

THE V SIT

Una volta raggiunta una componente di forza e flessibilità sufficiente potete iniziare con una V Sit a 45°

Addominali 5

Fare delle tenute sui 10 secondi cercando di andare sempre più in alto.

In concomitanza potete usare la Pseudo V Sit:

Propedeutica V-sit

Una volta in questa posizione cercate di toccarvi con le tibie il viso (E non viceversa). Tenete questa posizione per un 20/30 Secondi (Dipende poi dal vostro livello).

Infine abbiamo la V Sit con schiena al muro:

Propedeutica 2 V-sit

Più semplice della normale V Sit ma molto vicina ad essa.

Un ultimo accorgimento è la posizione delle mani:

Mani nel V-sit

Tenetele ruotate a 45° inizialmente, sia per sicurezza e sia perché è più semplice. Se poi in futuro vorrete approcciare il Manna, iniziate a puntare le dita all’indietro, mantenendo però l’angolo di 45° verso l’esterno.

Proseguite con questi esercizi e piano piano arriverete alla V Sit. Non correte e non cercate di saltare le tappe perché l’infortunio è dietro l’angolo.

Il V sit è un bel mix d’abilità, raggiungerlo vi permetterà d’avere, forza nel torchio addominale e elasticità nella catena posteriore, da vendere.

Buon allenamento a tutti voi e spero che quest’ articolo vi possa esser d’aiuto in qualche modo! J

 

Articolo di Paolo Di Napoli

Paolo è un atleta di Calisthenics e lavori a Milano e limitrofi come Personal Trainer

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Olio di cocco: quanto sappiamo e quanto crediamo di sapere?

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Periodicamente balzano all’occhio, di chi frequenta forum, blog e gruppi di fitness, delle notizie bomba che sembrano aver trovato il Sacro Graal della nutrizione. Una delle ultime mode in fatto alimentare riguarda l’Olio di Cocco (Virgin, mi raccomando!).
Quanto c’è di vero? Non peggiora il colesterolo cattivo? Migliora il metabolismo lipidico? E’ un grasso che elimina gli altri grassi? E’ il segreto di Belen?
Scopriamo assieme cosa c’è di scientifico dietro all’olio di cocco e dove incomincia il marketing.

Olio di cocco
Articolo di Valeria Cangiano 

A detta del web i benefici di quest’olio sono molteplici:
Proprietà antimicrobiche (vedi chi pratica l’Oil Pulling)
Rafforza il sistema immunitario
Aiuta a dimagrire aumentando il metabolismo
Protegge dalle malattie cardiovascolari
E’ ottimo per friggere
ecc ecc
E tra una cucchiaiata e l’altra puoi anche spalmartelo tra i capelli o farti un meraviglioso scrub alla faccia.
[confermato dalla sottoscritta]

Tutto questo pare supportato da studi scientifici recenti, presi da pubmed (ovviamente).
Ma come mai, se provate a consultare le linee guida della comunità scientifica, questo è inserito nella “lista nera”, insieme a burro e olio di palma? Sarà perchè è saturo? Sarà perchè il cocco fa schifo ai medici e volevano punirlo?
Partiamo dal principio.

L’olio di cocco è un olio vegetale ottenuto a partire dalla polpa essiccata noce di cocco.

E’ così composto(1):
86,80% da acidi grassi saturi
– 44,80% Laurico (12:0)
– 17% Miristico (14:0)
– 8,4% Palmitico (16:0)
– 2,6% Stearico (18:0)
– 14% (Butirrico 4:0, Caproico 6:0, Caprilico 8:0 e Caprico 10:0)
6,25% da acidi grassi monoinsaturi:
– 6,25% Oleico (18:1)
1,6% da acidi grassi polinsaturi
– 1.6% linoleico (18:2ω6)

Ha un punto di fumo relativamente basso 177° (anche se c’è la credenza che essendo saturo lo abbia alto) per questo non è adatto per la frittura.
[Olio di Palma: 240° / Olio extravergine di oliva: 210°]

La prima considerazione che viene fatta sull’olio di cocco è dovuta al suo buon contenuto di acidi grassi saturi a catena media. Questi particolari acidi grassi (in questo caso il Laurico) pur essendo saturi, non entrano, esattamente come quelli a catena corta, nella stessa modalità digestiva e di assorbimento di quelli a catena lunga. Brevemente, non necessitano di essere solubilizzati dai sali biliari, diffondono direttamente nell’enterocita e non vengono riesterificati a trigliceridi e inglobati nei chilomicroni, ma vengono direttamente immessi nel circolo ematico. Per questo motivo sono particolarmente utili quando si hanno problemi digestivi, patologie legate alla bile (ostruzione dei dotti biliari, deficit produttivi ecc) e della lipasi pancreatica.

Tuttavia il Laurico pare avere un effetto di aumentare sia le LDL che le HDL, anche se in modo “modesto” rispetto al Palmitico e al Miristico

Olio di cocco e colesterolo

Una cosa che non viene quasi mai considerata (in rete) è il totale della composizione di un olio. Il fatto che il Laurico non sia particolarmente importante a livello aterogenico non significa che la grossa percentuale presente nell’olio di cocco riesca a compensare la quantità, sebbene inferiore, di Miristico e Palmitico.

Infatti, nel 1998, uno studio (prego notare fatto su umani, non su criceti, topi, polli, etc) comparando gli effetti di una dieta con il 21% di grassi dati da grasso di bue, olio di cartamo e olio di cocco ha evidenziato, rispetto quest’ultimo, un aumento di LDL (il volgarmente detto “colesterolo cattivo”) abbastanza consistente. Questo potrebbe essere dovuto alla presenza di acido Miristico, piuttosto che all’effetto dell’acido Laurico.

Olio di cocco variazioni ematiche

Di recente gli studi legati ai grassi hanno spostato l’attenzione maggiormente sugli effetti dell’olio di palma (che necessiterebbe di una discussione a parte), questo perchè è molto più presente nei prodotti a libero consumo in occidente. Mentre l’olio di cocco, almeno per quanto riguarda la nostra realtà, resta un consumo di “nicchia”.

Se cerchiamo studi vari se ne trovano a bizzeffe sugli effetti dell’olio di cocco , positivi o meno, sugli animali. Perfetto, ma finchè non vengono testati sugli esseri umani non possiamo altro che fare ipotesi su ipotesi. Non dico che non siano interessanti, ma si può facilmente incorrere in diversità dovute alla specie (un esempio lo è l’effetto positivo degli ω3 sull’insulino resistenza fortemente riscontrabile in studi su ratti, invece totalmente assente o molto blanda negli esseri umani, patologici e non (11) ) che possono far trarre conclusioni inesatte a chi è “profano” della ricerca.

Alcune considerazioni di articoli vari poi traggono conclusioni errate. Ad esempio, ho letto in più blog (copiati e ricopiati) la seguente frase: “A review of cooking fats used in India suggests that the increased incidence of both cardiovascular disease and type 2 diabetes is concurrent with the replacement of traditional fats such as ghee, coconut oil, and mustard oil with polyunsaturated fats such as corn, sunflower, or safflower oils.” con il magico numeretto che richiama ad uno studio scientifico.

Lo studio in questione (4) dice (dal riassunto): “In contrast to earlier epidemiologic studies showing a low prevalence of atherosclerotic heart disease (AHD) and type-2 dependent diabetes mellitus (Type-2 DM) in the Indian subcontinent, over the recent years, there has been an alarming increase in the prevalence of these diseases in Indians–both abroad and at home, attributable to increased dietary fat intake. Replacing the traditional cooking fats condemned to be atherogenic, with refined vegetable oils promoted as “heart-friendly” because of their polyunsaturated fatty acid (PUFA) content, unfortunately, has not been able to curtail this trend. Current data on dietary fats indicate that it is not just the presence of PUFA but the type of PUFA that is important–a high PUFA n-6 content and high n-6/n-3 ratio in dietary fats being atherogenic and diabetogenic. The newer “heart-friendly” oils like sunflower or safflower oils possess this undesirable PUFA content and there are numerous research data now available to indicate that the sole use or excess intake of these newer vegetable oils are actually detrimental to health and switching to a combination of different types of fats including the traditional cooking fats like ghee, coconut oil and mustard oil would actually reduce the risk of dyslipidaemias, AHD and Type-2 DM

Ovvero hanno preso una considerazione intelligente che poneva l’accento sulla composizione degli oli in diversi PUFA, sul loro rapporto in ω3 e ω6 e sul consumare fonti vaste di grassi a quantità moderate e l’hanno tradotta semplicemente con:
“L’aumento di malattie cardiovascolari e diabete 2 è in aumento in India in concomitanza della sostituzione dei grassi saturi tradizionali (olio di cocco, burro di ghee etc) con quelli polinsaturi di mais, girasole e cartamo” ERGO “I grassi saturi del cocco non fanno male”. Un pò troppo semplicistico il ragionamento.

Altri studi interessanti sono spesso travisati o ne viene considerata solo la parte “comoda” al fine di ottenere un articolo alla moda e figo.

Le popolazioni (indigene) che consumano cocco a vagonate non soffrono di malattie cardiovascolari.
Ci sono alcuni studi epidemiologici (5)(6) . Tutto molto bello. Ma a nessuno è mai venuto in mente, tralasciando che queste popolazioni non si scolano olio di cocco come fanno i russi con la Vodka, ma mangiano molto anche la noce di cocco (che non a caso è ricca di fibre, minerali e vitamine), fanno uno stile di vita lontano da smog, ricco di attività fisica più naturale possibile, stress pari a zero…no eh? è tutto merito dell’olio di cocco.

E cosa possiamo dire sugli acidi grassi a catena media aumentano l’energia (a parità di kcal) e fanno bruciare più grasso?
Ecco alcuni studi:
(7) (8) (9) Tutti molto interessanti, potrebbero dare il via su studi a larga scala (visto l’esiguo numero di partecipanti) magari nel futuro.
Al momento non hanno dimostrato nessuna panacea contro l’obesità o effetto dimagrante. Non è che se mangi olio di cocco non ingrassi. Hai una maggior termogenesi in pasti con MTC (tipo il 4% in più). Punto.

Uno studio del 2004 pubblicato sulla rivista Clinical Biochemistry ha evidenziato che l’olio di cocco può far diminuire il colesterolo cattivo LDL e aumentare il colesterolo buono HDL.
Ma io dico, li leggete mai gli studi che vengono citati negli articoli a casaccio, perlomeno gli abstract? no? O vi basate su quello che scrivono le Erboristerie online per vendervi prodotti (e poi accusate la ricerca scientifica di “complotto” con le case farmaceutiche)? Perchè questo studio confronta il Copra Oil (olio di cocco standard) con il più nobile Virgin Coconut Oil…nei topi e in vitro. (10)

Conclusioni sull’olio di cocco

Basta fare un giro sul web per trovare miliardi di opinioni riguardanti l’olio di cocco che prendono studi senza nemmeno capire di che si sta parlando. E come al solito ci sono parecchie opinioni contrastanti.
Sugli esseri umani dei presunti benefici dell’olio di cocco praticamente si trova poco o nulla, anzi piuttosto se ne trovano contro. I pochi studi positivi sono sul consumo di noce di cocco e non di solo olio. In tutti i casi non è minimamente paragonabile ai benefici dell’Olio Extravergine di Oliva.
Inoltre non si può considerare un alimento solo per la presenza di UNA cosa teoricamente positiva (MCFA nel cocco) e non di tutte le restanti.

Usate la vostra materia grigia. Perchè fidarsi del signor X sul sito Y sconosciuto, che magari prende riferimenti da studi recenti e che creano “grandi titoloni” (vedi Time)

Il burro fa male?

e non dare credito a linee che la comunità scientifica mette a disposizione confrontando ogni anno centinaia di studi in tutto il mondo? Si fa bene a non fidarsi di nessuno ok, ma perlomeno leggeteli questi studi citati, fatevene un’opinione e magari prima informatevi sulla valenza di uno studio rispetto ad un’altro. Altrimenti alla fine della storia sarete voi i “polli” delle case farmaceutiche, delle industrie e del marketing (che poi chi più, chi meno, lo siamo tutti).

Soprattutto, perchè preferirlo ad un olio che è migliore dal punto di vista degli acidi grassi, che è ed è stato oggetto di tantissimi studi sulla salute e che praticamente fa parte della nostra cucina tradizionale da tempi immemori (oltre che avere un sapore migliore)?
In Italia abbiamo cose riconosciute da tutto il mondo e abbiamo questa meravigliosa tendenza a sputarci sopra.

Certamente consumare olio di cocco moderatamente non farà del male a nessuno, figuriamoci a degli sportivi, ma da qui a consigliarlo come grasso primario di una dieta sana ci passa un mare.

Biografia

1
– Banca Dati Istituto Europeo Oncologico 2015
http://www.bda-ieo.it/wordpress/?page_id=14
– Tabelle INRAN
http://nut.entecra.it/646/tabelle_di_composizione_degli_alimenti.html?idalimento=009620&quant=100

2
– Essentials of Human Nutrition – J. Mann e S. Truswell – Secondo Edition – Tabella 3.6 – pag.45
– Dietary influences on serum lipids and lipoproteinss.
Scott M. Grundy and Margo A. Drake – 1990
http://www.jlr.org/content/31/7/1149.long

3
– Plasma lipid and lipoprotein response of humans to beef fat, coconut oil and safflower oil.
Reiser, Probstfield, Silver etc – 1985
http://ajcn.nutrition.org/content/42/2/190.long

4
– Choice of cooking oil, myths and realities.
Sircar S, Kansra U. – 1998
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10063298

5
– Cholesterol, coconuts, and diet on Polynesian atolls: a natural experiment: the Pukapuka and Tokelau island studies.
I A Prior, F Davidson, C E Salmond, and Z Czochanska – 1981
http://ajcn.nutrition.org/content/34/8/1552.short

6
– Apparent absence of stroke and ischaemic heart disease in a traditional Melanesian island: a clinical study in Kitava.
Lindeberg S1, Lundh B. – 1993
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8450295

7
-Postprandial thermogenesis in lean and obese subjects after meals supplemented with medium-chain and long-chain triglycerides.
Scalfi L1, Coltorti A, Contaldo F. – 1991
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2021124

8
– Twenty-four-hour energy expenditure and urinary catecholamines of humans consuming low-to-moderate amounts of medium-chain triglycerides: a dose-response study in a human respiratory chamber.
Dulloo AG1, Fathi M, Mensi N, Girardier L. – 1996
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8654328

9
– Thermic effect of medium-chain and long-chain triglycerides in man.
Seaton TB, Welle SL, Warenko MK, Campbell RG. – 1986
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/3532757

10
– Beneficial effects of virgin coconut oil on lipid parameters and in vitro LDL oxidation.
Nevin KG1, Rajamohan T. – 2004
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15329324

11
– Substituting dietary saturated for monounsaturated fat impairs insulin sensitivity in healthy men and women: The KANWU Study.
Vessby B1, Uusitupa M, Hermansen K, Riccardi G, Rivellese AA, Tapsell LC, Nälsén C, Berglund L, Louheranta A, Rasmussen BM, Calvert GD, Maffetone A, Pedersen E, Gustafsson IB, Storlien LH; KANWU Study. – 2001
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11317662

Articolo di Valeria Cangiano 
Laureanda in Dietistica alla Facoltà di Medicina e Chirurgia Federico II. Appassionata di nutrizione sportiva e powerlifting. Ha un suo blog sull’alimentazione e l’attività fisica.

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CrossFit e Sport da Combattimento: abbinamento vantaggioso?

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Il Crossfit e gli sport da combattimento si possono abbinare correttamente, sono un buon binomio?
La risposta è: SI.
Il CrossFit (CF) è una ottima integrazione per gli Sport da Combattimento (SDC).
– Ottimo completamento negli sport di percussione (striking sports) tra cui Pugilato, Kick Boxing, K-1, Full Contact, Kyokushinkai.
– Ottimo completamento negli sport di lotta (grappling sports), come Lotta Libera o Greco Romana, Judo, Jujitsu Brasiliano, Grappling- e
– Ottimo completamento anche negli sport ibridi formati da parti, più o meno variabili, tra le due peculiarità (hybrid sports) come MMA, Muay Thai, Sanda.

Tipologie sport da combattimento

Nell’articolo cercheremo di fornire diverse argomentazioni per sostenere questa tesi, non mancando tuttavia di evidenziare, accanto ai pregi, anche i difetti di questa accoppiata. E poiché anche la divulgazione sportiva cresce attraverso il confronto e la sintesi in maniera molto hegeliana, sono partito dagli ottimi spunti di Lenny Bottai e Alain Riccaldi, con cui ho avuto il piacere di relazionarmi e di cui troverete riferimenti ad alcuni loro scritti.

Se riteniamo di affrontare in maniera organica questo tema, è perché in Italia negli ultimi anni sta crescendo esponenzialmente il fenomeno CrossFit. Uno sport oramai a tutti gli effetti, con migliaia di praticanti nel mondo ed una schiera sempre più numerosa ed agguerritissima di veri e propri professionisti che gareggiano ogni anno nei CrossFit Games. Fenomeno in crescita che, nonostante da un certo punto di vista non abbia “inventato” praticamente nulla, sta divenendo sempre più attività di riferimento da parte degli appassionati ma anche, ed anche questo fatto è alquanto indicativo, da parte dei detrattori. Oramai sembra quasi che tutti, volenti o nolenti, debbano fare i conti con questo sport.

Prima di entrare nel merito delle reazioni all’interno degli SDC, non possiamo esimerci, anche per coloro che ancora non hanno idea di cosa sia, dal descrivere questo nuovo sport.

Cosa non è il CrossFit?

Non sembrerebbe ma questa può essere davvero una di quelle questioni a cui risulta davvero difficile rispondere in maniera chiara, soprattutto ad un neofita, cosicché possiamo tranquillamente affiancarla alle domande esistenziali del tipo: “chi siamo?” “cosa facciamo?” “dove andiamo?”.

Anche perché la definizione scolastica “Allenamento funzionale ad alta intensità costantemente variato” (Constantly varied, functional movements, high intensity) che ci fornire Greg Glassman, l’ideatore del metodo CF nel 1974, è tecnicamente corretta ma non di immediata comprensione. Provate a rispondere con questa definizione a qualcuno che non abbia la minima idea sull’argomento e gustatevi la sua faccia. Quando avrete vissuto questo esperimento sociale potrete andare avanti nella lettura. Se volete farvi un idea più specifica del CF rimandiamo comunque al testo del Level 1 in italiano.

Partiamo invece da ciò che non è il CF. Il CF non è (solo) allenamento a circuiti. Quindi se abbiate mai il dispiacere di trovarvi ad assistere ad alcune lezioni, dagli intriganti nomi rigorosamente anglofoni e immancabilmente rimarcati dalla parola “bruciagrassi”, dove a poveri utenti vengono somministrati decine di esercizi diversi con fantasmagorici attrezzi, sappiate anzitempo che quello non è CF.

Il CrossFit non è (solo) pesistica. Il sollevamento pesi, sia quello olimpico che quello non olimpico, sono senza ombra di dubbio degli ottimi sport ma sono solo una parte, seppure importante, rispetto al CF nella sua completezza. Ergo se volete solo ed esclusivamente sollevare pesi il CF non è quello che cercate.

Il CrossFit non è (solo) allenamento per la massa. Il rapporto tra CF ed aumento di massa, ossia ipertrofia, è lo stesso che intercorre tra cibarsi di nutella e mettere la pancia. Nel CF l’ipertrofia avviene per un “effetto collaterale” dell’allenamento, non come obiettivo. Nel culturismo invece l’ipertrofia è l’obiettivo, mentre l’aumento prestativo è solo l’effetto secondario. Ergo se il vostro obiettivo è diventare esclusivamente grandi e grossi, il CF non fa per voi.

Cos’è il CrossFit?

Ancora però non abbiamo risposto a questa domanda. Ma cos’è il CF? E’ un programma di allenamento il cui obiettivo è il miglioramento generale in molte capacità organico muscolari e coordinative. Per essere ancora più stringenti possiamo definirlo come lo sport della preparazione atletica.

Parafrasando una celebre poesia “c’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria, anzi d’antico”, il CF non inventa nessun nuovo fantasmagorico movimento, nessun mirabolante attrezzo, nessun elettrizzante nomignolo. Il suo programma raccoglie da ambiti diversi e miscela per ottenere il proprio risultato. Le tre macroaree da cui attinge sono la ginnastica, intesa come tutto ciò si possa fare con il proprio corpo e l’interazione con la forza di gravità, la pesistica, in cui sono inglobati tutti quei movimenti in cui ci si rapporta con un sovraccarico esterno al proprio corpo, e i movimenti ciclici, definiti anche come monostrutturali, in cui grandi masse muscolari compiono movimenti semplici e ripetuti lungamente. Ginnastica, pesistica e monostrutturale rappresentano il “cosa” del CF.

Il “come” è invece rappresentato dal WOD, acronimo di “workout of the day” (lavoro del giorno). Rappresenta quindi il programma di allenamento giornaliero. Può essere composto da una sola macroarea, ad esempio un lavoro solo di ginnastica, oppure miscelarne due, ad esempio pesistica e monostrutturale, infine può essere formato da movimenti presi da tutte le aree. Dal punto di vista della quantità dei movimenti vi sono WOD composti da un solo movimento, oppure da coppie o triplette di movimenti, oppure ancora si possono presentare lavori con quattro o più movimenti, chiamati “chipper”. Ecco perché è altamente improprio associare il CF al “circuito”.

Il “quando” invece sintetizza il concetto di programmazione. Rimanendo ben saldo che l’obiettivo è sempre quello del miglioramento generale e globale, esistono numerose programmazioni, che si differenziano tra di loro in base alle metodologie di lavoro utilizzate, sia per coloro a cui sono rivolte, dagli amatori fino agli agonisti più avanzati.

Perché gli Sport da Combattimento dovrebbero praticare CrossFit?
Ma cosa c’entrano bilancieri, sbarre ed anelli, vogatori con gli SDC?
Sul ring non si deve sollevare pesi, tirarmi su dalla sbarra e vogare. Non sarebbe molto più utile fare tecnica, sacco, colpitori?

No. Come un grande pensatore diceva “Questa mano può essere ferro e può essere piuma”, così c’è il momento in cui si deve fare sacco ed il momento in cui si deve correre e sollevare bilancieri. Gli SDC sono un mondo meraviglioso. Un mondo in cui, come pochi altri, si raggiunge uno spirito di gruppo, i politicamente scorretti parlerebbero di cameratismo, che in pochi altri ambiti si raggiunge, considerando anche che sono “solo” degli sport singoli, ma in cui anche l’ultimo degli amatori si fa il classico mazzo quadro, mentre assorbe per osmosi l’esempio e la fatica del primo dei professionisti.
I praticanti di queste discipline acquisiscono una notevole resilienza, ossia la capacità di resistere agli sforzi. Tuttavia riteniamo che queste discipline soffrano di importanti problemi. Uno di essi è la mancanza di logica e di scientificità. Sottomesse ineluttabilmente alla “tradizione” e alla “moda”. Ragion per cui, con la motivazione “si è sempre fatto così” oppure “ho sempre fatto così”, vi sono ancora atleti a cui è proibito bere durante gli allenamenti oppure vengono ancora portati pugni con i manubri in mano. Oppure ancora, come prima il combattente era associato fare corsa, corda sacco e guanti, in stile Rocky, adesso sistematicamente circuiti come se non vi fosse un domani, in stile film sulle MMA. Sulla corsa negli SDC rimandiamo ad altro articolo di Alain Riccaldi.
Questa situazione si manifesta anche nella preparazione fisica, generando situazioni opposte ma egualmente deleterie. Negli SDC o la preparazione fisica generale è praticamente assente, sostituita solo da quella specifica, oppure è affidata a mode, tradizioni e leggende metropolitane. Su questo argomento può essere interessante leggere due articoli di Lenny Bottai.

Tuttavia anche gli SDC non posso prescindere dal sottostare ad alcune regole di ogni sport, prima tra tutte che il generale precede sempre lo specifico. Avete mai visto qualcuno che prima si laurei o poi faccia il liceo? Esattamente lo stesso percorso deve avvenire nelle discipline sportive. Ed è proprio qui che il CF potrebbe essere un buon compromesso. Laddove negli SDC la preparazione atletica è lasciato al caso, il CF invece si basa sul numero, sulla quantificazione scientifica di progressi e miglioramenti. Mentre negli SDC ci si basa su sensazioni, figlie di stato d’animo psicologici o peggio di autoconvincimenti “effetto placebo”, nel CF la fanno da padrone scale di rilevazione scientifiche, siano esse tempi, carichi e ripetizioni.

Il CrossFit può rappresentare dunque una ottima preparazione atletica generale per gli Sport da Combattimento.

Cos'è il crossfit

CrossFit e Sport da Combattimento: i vantaggi

Notevoli possono essere i vantaggi di associare il CF agli SDC. Li analizzeremo uno per uno.

Aumento preparazione atletica generale. Proprio perché ne descrive l’essenza, il CF rappresenta una eccellente metodologia per migliorare i valori atletici generali, aspetti in cui deficitano molti atleti anche di buon livello. I miglioramenti nella forza, nella potenza, nelle varie forme di resistenza, così come la padronanza di tutte e tre le vie metaboliche, sono inestimabili negli SDC, in cui è necessario padroneggiare tutte le capacità organico muscolari contemporaneamente.

Nonostante sia vero che esistono attività in cui si massimizzano i risultati in termini di aumento di questa o quella capacità, basti pensare al powerlifting per la forza, al weightlifting per la potenza, o all’atletica leggera per la capacità e potenza aerobica, il CF può rappresentare un ottimo compromesso per realizzare miglioramenti globali e generali. Sia in termini di condizionamento contemporaneo di più capacità e sistemi energetici sia anche in termini di logistica. Infatti, escluso atleti di altissimo livello, pochi hanno tempo e modo di allenarsi in luoghi o con allenatori diversi. In questa situazione allenarsi in un box CF può essere una soluzione.

Risolvere squilibri. Come tutti gli sport, anche la pratica continua e costante di uno SDC può provare adattamenti eccessivi e squilibri vistosi. Due tra i classici esempi per un sportivo “striking” sono l’eccessiva anteriorizzazione e asimmetria tra parte destra e sinistra. Il primo scompenso, che a livello estetico si manifesta in una più o meno vistosa gobba, provoca un cambiamento di postura ed una modificazione delle curve fisiologiche. Anche se potrebbe sembrare utile nella posizione di difesa dalla guardia, è uno aspetto da mitigare e risolvere il più possibile, sia per questioni estetiche ed ancora di più dal punto di vista funzionale. Stesso discorso va fatto per l’asimmetria fisiologica, dovuta alle ore ed ore passate sul ring in una posizione di guardia in cui un lato si trova sistematicamente davanti rispetto all’altro. Fermo restando che alcuni accorgimenti specifici, come forzare per alcuni periodi a cambiare guardia, od anche un percorso osteopatico possono aiutare, anche il CF potrebbe venire in nostro aiuto. La sua componente di sollevamento pesi, caratterizzata da movimenti simmetrici e spinte posteriori, pur se dopo un necessario ed anche lungo periodo di riconfigurazione, possono rivelarsi come un buon antidoto agli effetti collaterali degli SDC.

Energia dal centro alle estremità. Il CF può insegnare e migliorare il principio di creazione energetica dal centro del corpo agli arti. Proprio come avviene per molte tecniche o colpi degli SDC. Il sollevamento pesi olimpico in primis, ma anche alcuni movimenti della ginnastica, così come tutti quei movimenti in cui è fondamentale creare e trasferire energia nel più breve tempo possibile, si fondano sempre su una progressione e attivazione sequenziale che dal centro si irradia verso l’esterno. Se pensiamo ad uno swing, ad un push press, ad un wall ball, ad un kipping pull up, per ottenere efficienza ed efficacia nel movimento è necessario produrre contrazioni esplosive al centro a traslocarle verso gli arti. Una abilità motoria che non può non essere sottovalutata negli SDC.

Miglioramento mobilità organica. L’attenzione costante e maniacale per gli aspetti di mobilità articolare, stabilità muscolare e coordinazione fanno del CF uno sport che sviluppa quei prerequisiti fondamentali per ogni attività motoria. Fondendo in uno stesso programma idee e metodi provenienti da diverse scuole sportive, l’impulso al miglioramento sarà ottenuto con strade e stimoli diversi e complementari. Questa innegabile “sintesi”, tra sport che mai prima di oggi si sono trovati a lavorare sincronizzati, è un altro degli aspetti evidenti del CF, che può essere brillantemente utilizzato anche in ambito SDC.

CrossFit e Sport da Combattimento: gli svantaggi

“Non è tutto oro quello che luccica” dicevano gli antichi. Praticare CF e SDC può portare ad inconvenienti e svantaggi che sarebbe meglio conoscere prima di praticare questa strada.

Non adatto a novizi ed amatori. Vuoi essere lottatore? Lotta. Vuoi essere kickboxer? Tira calci e pugni. Teniamo sempre fermo il principio che l’attività principale rimane sempre lo SDC. Ragion per cui, sia per uno che inizia a praticare, sia anche per chi può dedicare allo sport solo poche ore a settimana, è altamente sconsigliato imbarcarsi anche nel CF. Senza aver raggiunto un adeguata padronanza in un determinato sport, una eccessiva pluralità di stimoli, sia fisici che mentali, non solo non produrrà miglioramenti sostanziali, ma anzi sarà altamente deleteria. Non si migliorerà come si dovrebbe in nessuno dei due ambiti esponendosi contemporaneamente ad infortuni. Ergo prima pratica per un po’ il tuo sport. Quando avrai ottenuto un discreto livello ed una discreta esperienza anche agonistica, sarebbe il caso di lavorare in maniera più organica sulla preparazione fisica generale.

Curva apprendimento lunga. Come tutti gli sport complessi, anche il CF prevede un periodo di apprendimento di certo non breve. Innanzitutto per il raggiungimento di livello minimi di mobilità articolare necessaria. Poi per ottenere comprensione e padronanza delle tecniche utilizzate. Mobilità e tecnica come prerequisiti fondamentali senza i quali non si va avanti, come del resto accade negli SDC. Avete mai avuto la velleità di mettere al sacco a tirare colpi qualcuno al primo giorno di allenamento? Stesso principio sottintende il CF. Prima si impara come si fanno le cose, poi si fanno. Solo successivamente inicierà un lungo processo di continui adattamenti organici e cognitivi in base agli stimoli forniti dagli allenamenti. Processo fisiologico disseminato di alti e bassi, si spera più i primi che i secondi, che progressivamente aumenterà tutti i livelli atletici. Ergo, lavorare sodo e nessuna fretta con allenatori competenti.

CrossFit e Sport da Combattimento: gli accorgimenti

Massimizzare gli effetti positivi del connubio CF e SDC è un altro importante tema da trattare. Pena il rischio concreto non solo di non migliorare la preparazione atletica generale, ma addirittura di abbassare la perizia negli SDC. Il rischio di correre dietro a due prede contemporaneamente e di rimanere doppiamente a bocca vuota è dietro l’angolo. Per evitare ciò consigliamo alcuni utili accorgimenti.

Non dimenticare la preparazione specifica. Ribadiamolo ancora una volta: il CF svolge il suo ruolo nella preparazione atletica generale, ma non sostituisce gli aspetti specifici. Rimangono perciò importanti tutte quelle esercitazioni che si avvicinano alla prestazione di gara, dal punto di vista dei tempi di lavoro e riposo, catene cinetiche coinvolte, piani di movimento utilizzati e abilità motorie specifiche della disciplina praticata. Il CF non sostituisce il sacco, il lavoro a terra, i guanti da maestro, i pao, lo sparring condizionato, ecc.

Armonizzare CF e SDC. La modulazione di obiettivi: volume, densità, intensità e frequenza tra CF e SDC rappresenta quel “tocco magico” attraverso il quale si possono raggiungere alti livelli di forma in vista delle gare. Lasciare in maniera eccessiva questi aspetti al caso potrebbe fare la differenza tra un metodico percorso di crescita ed una mediocre preparazione. La molteplicità dei movimenti nel CF può favorire anche una personalizzazione dei lavori. Nel caso si voglia lavorare separando le varie capacità o i sistemi energetici, magari in una fase più lontana dagli impegni agonistici (off season), oppure quando più le varie competenze iniziano a combinarsi (pre season). Per farsi un idea sommaria di questa possibilità rimandiamo ad un altro articolo di Riccaldi. Più ci si avvicina al combattimento, più la parte specifica deve comunque prendere il sopravvento sulla parte generale, e quindi sul CF (competitive season). Su ciò rimandiamo ad un altro articolo sull’aspetto specifico/aspecifico delle discipline da combattimento. Se ci troviamo a due settimane dal combattimento gli allenamenti dovranno avvicinarsi il più possibile a quella che dovrà essere la mia prestazione di gara, quindi lavori sui tempi di lavoro e di recupero specifici e tanti guanti. Ottenere questo equilibrio non sarà affatto semplice e si dovrà passare anche attraverso fallimenti e cambi di rotta. Ma non è forse vero che un buon allenatore non è colui che sbaglia meno ma colui che impara dai propri errori?

Crossfit e sport da combattimento

Conclusioni: non tirare un pugno a metà

Oramai anche negli SDC, soprattutto a medi-alti livelli, nulla non può essere lasciato al caso. Non essendo sport di massa, in cui al netto di ogni metodologia di allenamento i talenti usciranno comunque, quando ci si trova a confrontarsi con un numero pur sempre abbastanza limitato di atleti, preoccuparsi di ogni aspetto può diventare il discrimine tra vittoria e sconfitta. In questa ottica, dove al primo posto rimangono sempre gli aspetti tecnici e tattici della propria disciplina, e dove non sono assolutamente secondari quelli psicologici che sul ring fanno la differenza, deve trovare spazio anche ciò che una volta era lasciato al caso o all’approssimazione, quali alimentazione e preparazione atletica, specifica e generale. Il CF può essere un ottimo modo per colmare quest’ultima richiesta. Non esiste, e non credo mai esisterà, la relazione causa effetto tra praticare CF e vincere in gabbia, sul ring o sulla materassina. Gli SDC sono troppo complessi, ed anche per questo meravigliosi, per prestarsi a fredde schematizzazioni o causalità. Riteniamo tuttavia che il pugno sia formato dall’unione di tutte le dita. Il CF è una di queste dita, anche se non la più grande. Vogliamo forse tirare un pugno a metà?

Note sull’autore:

Lorenzo Mosca, ex atleta Pro negli sport da combattimento, K-1 Rules e Kick Boxing, proveniente dalla Pro Fighting Roma. Negli ultimi anni si è specializzato anche nel CrossFit (Level 2) e nelle preparazioni atletiche. Lavora tra Roma e Ciampino.

Sito: www.manipulusmosca.com
Mail: manipulusmosca@gmail.com

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Fruttosio: quello che dobbiamo sapere

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Negli anni Novanta l’industria alimentare, dopo la divulgazione al pubblico dell’indice glicemico, scoprì il fruttosio. Sui banchi dei supermercati apparvero, accanto ai sacchetti dello zucchero classico (saccarosio), vasetti di fruttosio.

Questa notorietà, tuttavia, è negli anni giustamente diminuita, perché non è tutto oro quello che zucchera. Il fruttosio è un monosaccaride con la stessa formula chimica del glucosio (C6H12O6) ma con una differente forma. Questo gli conferisce delle particolarità uniche.

Cosa dobbiamo sapere sul fruttosio

Questo glucide non è captato dai recettori GLUT-4 (delle cellule muscolari e grasse), pertanto spetta unicamente al fegato il compito di metabolizzarlo e convertirlo in glucosio.  Questo è il motivo per cui ha un indice glicemico tanto basso (da 19 a 23), perché non stimola l’insulina in quanto non entra nelle cellule muscolari grazie ad essa. Oltre a questo non stimola, ma anzi ostacola la produzione di leptina (uno degli ormoni principali che regolano il metabolismo).

Grazie alla sua forma, il fruttosio ha un potere dolcificante doppio rispetto al glucosio. Il miele è così dolce non perché è esageratamente zuccherato ma perché i glucidi che lo compongono sono in buona parte composti dal fruttosio.

Rapporto miele pasta riso

Se ingerito in eccesso (oltre i 30 g a pasto) va incontro a fermentazione nell’intestino portando a dolori di pancia, crampi, flatulenze e diarrea. Se volete fare una sfida di scoregge con gli amici, un’integrazione di fruttosio può farvi diventare dei campioni, ma attenti a non cagarvi addosso.

Quota raccomandata di fruttosio

Il fegato mediamente riesce a stoccare 80-100 grammi di glicogeno. Il fruttosio avendo questo organo come unico tessuto bersaglio, non crea nessun problema finché non viene assunto in eccesso. Mediamente la quota massima consigliata è di 40-50 g al giorno, ma alcuni soggetti con sindromi da malassorbimento (soprattutto chi ha il colon irritabile), devono ridurre ulteriormente la quantità a 20 g.

Grossi quantitativi di fruttosio possono portare al fegato grasso e a displipidemie, in quanto una volta raggiunta la saturazione di glicogeno epatico, l’eccesso dev’essere convertito in triglieceridi. E’ un problema che si pone in chi beve molte bevande gasate, mangia molti dolci e non fa una vita attiva. Non in chi ama mangiare la frutta di stagione. 

Per questo motivo nei diabetici è uno zucchero che se da un lato può aiutare (basso indice glicemico) dall’altro se non gestito correttamente peggiora ed aggrava il quadro metabolico. La moderazione è la strada più semplice da perseguire, anche se è quella che nessuno vuole intraprendere.

Il fruttosio è uno zucchero più “instabile” rispetto al glucosio e si lega, molto più facilmente, alle proteine del corpo per formare prodotti di glicazione avanzata, gli AGE. Non tratteremo questo tema in questo articolo ma al momento basta sapere che gli zuccheri quando si legano ai tessuti provocano disastri. 

Insomma l’eccesso è alquanto dannoso per la salute, per fortuna tuttavia se togliamo dalla cucina lo zucchero e seguiamo un’alimentazione sana (senza eccedere coi dolci) raggiungere la quota massima solo con la frutta è alquanto improbabile. Se mangiate 2-3 frutti al giorno potete stare tranquilli. 

Fruttosio e frutta

Tre cose da sapere sul fruttosio

1) Purtroppo il fruttosio non ha un potere saziante perché non stimola l’insulina e non reprime la grelina. È più facile accorgersi di un suo eccesso perché ci fa male la pancia, piuttosto che per l’essere sazi. Il momento ideale in cui assumerlo è dopo il digiuno o l’attività fisica. In questi momenti le scorte epatiche e muscolari di glicogeno saranno depauperate, pertanto il fegato sarà ben disposto ad assorbirlo.

2) Si è visto che il glicogeno epatico si ricarica più rapidamente se introduciamo piccoli quantitativi di fruttosio o galattosio post allenamento.

3) Il fruttosio non interagendo  con l’adipocita non stimola la produzione di leptina, pertanto rispetto all’amido o al glucosio risulta uno zucchero meno interessante sia dal punto di vista della stimolazione del metabolismo sia per migliorare la composizione corporea. 

Non abbiate paura di mangiare 2-3 frutti al giorno perchè contengono fruttosio, ma dall’altra non pensate di sostituire all’amido frutta e verdura , perchè nel medio e lungo periodo vi calerà il metabolismo.

Se vuoi approfondire questo ed altri temi sulla nutrizione ricordati che è uscito il nostro libro sull’alimentazione.

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Trazioni con l’asciugamano. Binomio perfetto

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Ora, pensiamo che l’immagine dell’asciugamano rimandi la mente alla solita ramanzina che in palestra bisogna portarlo perché altrimenti puzziamo e sporchiamo le macchine… No. E’ giusto che abbiate un asciugamano ma non parleremo di questo.

Trazioni con asciugamano

Questo articolo ha lo scopo di farvi conoscere un esercizio molto semplice, adatto a tutti coloro che vogliono aumentare la loro forza nei muscoli di tirata, variare l’allenamento delle classiche trazioni ed ottenere grandissimi benefici fisici.
Una delle cose essenziali in qualunque allenamento a corpo libero dovrebbe essere una FUNE DA ARRAMPICATA. Purtroppo, nei ”moderni” centri Fitness o nelle comuni palestre spesso non è accessibile, inoltre non è nemmeno facilmente utilizzabile da chi si allena in casa e, causa soffitto troppo basso o mancanza di spazio, non riesce ad installare una fune. Come possiamo quindi fronteggiare la mancanza di questo fantastico attrezzo?

Dobbiamo prima di tutto sapere che la salita alla fune completa, senza l’ausilio delle gambe, per essere affrontata in maniera sicura, si compone prima di diversi step preparatori in cui si simula il movimento, senza salirla. Veniamo dunque al titolo: tali step, in assenza di una fune possono essere effettuati con l’ausilio di un ASCIUGAMANO, oggetto comune che tutti in palestra o in casa dovrebbero avere.

Prima di tutto, vi servirà un posto in cui avvolgere l’asciugamano in maniera tale da poterlo utilizzare. Non c’è da preoccuparsi, ci sono infiniti posti dove poterlo posizionare: su una sbarra; su una trave alta; sul ramo di un albero… Quì si può usare la fantasia. Basta passare un’estremità dell’asciugamano dall’altra parte e assicurarsi che il supporto sia stabile. Ricordatevi che l’asciugamano dovrà possibilmente essere molto resistente e nel contempo non troppo spesso per poterlo afferrare con forza, inoltre, abbastanza lungo per poter consentirvi di avvolgerlo al supporto (l’ideale è un classico telo da mare, non troppo spesso).

Asciugamano per trazioni
I vantaggi della “salita all’asciugamano”. Perché scegliere questo esercizio?

I vantaggi di questo tipo di esercizio, così come quelli per la salita alla fune sono molteplici, retti dall’instabilità del supporto e dalla presa molto più difficile da tenere. Inoltre, la particolare posizione dell’avambraccio renderà l’esercizio assolutamente inimitabile come efficacia e difficoltà. Vediamo ora i principali benefici:

Maggiore attivazione dei muscoli stabilizzatori delle scapole rispetto alle normali trazioni alla sbarra.
Condizionamento superiore per la muscolatura della schiena: il movimento di arrampicata ci permetterà di attivare tutti i muscoli della schiena, dai romboidi, al trapezio e al gran dorsale; inoltre saranno attivati anche i muscoli facenti parte dell’articolazione della spalla e della cuffia dei rotatori, quindi deltoide posteriore, piccolo e grande rotondo. L’instabilità e peculiarità della presa oltre alla difficoltà nel tenere salda l’impugnatura sull’asciugamano, comporteranno anche un’attivazione superiore delle braccia, sviluppando in maniera unica i muscoli: bicipite brachiale, brachioradiale e flessori ed estensori del polso. – Anche l’attivazione neuromuscolare sarà superiore, attiveremo infatti molti muscoli in più rispetto alle normali trazioni alla sbarra.

La salita all’asciugamano può essere utilizzata per diversi scopi: sia come condizionamento alternativo alle trazioni alla sbarra (quando esse risulteranno semplici, ovvero riusciremo a macinare almeno 5 serie da 8/10 ripetizioni); sia come lavoro specifico per le trazioni monobraccio, ritengo infatti che tale metodo è uno dei più efficaci e sicuri nell’apprendimento di questa skill. Sono quindi uno strumento davvero unico per costruire forza in tutta la parte superiore del corpo, una presa molto solida e, non per ultimo, per stimolare intensamente i muscoli di tirata.

Gli step per le trazioni con l’asciugamano

Addentrandoci nel mondo delle salite all’asciugamano conosceremo 4 diversi steps, dal più semplice al più difficile, che qui di seguito verranno trattati ed elencati:

STEP 1

Nel primo step, posizioneremo le mani sulle due estremità dell’asciugamano, stringendo con forza, ed inizieremo a macinare trazioni: la tecnica rimane quasi la medesima delle trazioni alla sbarra, partite con una presa simile a quella prona (palmi rivolti avanti) e quando chiudete la trazione girate la presa in supina (palmi rivolti verso di voi) cercando di portare le mani al petto. Questo step è preparatorio, utile soprattutto per chi non possiede ancora la forza nella presa necessaria ad affrontare gli step successivi, non va quindi sottovalutato. Un buon obbiettivo da completare prima di passare allo step successivo è quello di riuscire ad eseguire 5 serie da 8 ripetizioni di questo esercizio con un minuto, un minuto e mezzo di riposo tra le serie.

Trazioni con attrezzo

STEP 2 (MANO – POLSO)

Nel secondo step inizierà il lavoro specifico per le salite all’asciugamano. Posizionate le mani una immediatamente sotto l’altra, su una singola estremità dell’asciugamano (o unite le due estremità e impugnatele insieme). A questo punto eseguite una trazione, cercando di utilizzare maggiormente l’arto che ha la mano posta sopra l’altra. Ad ogni ripetizione cercate di utilizzare il maggior range articolare possibile: ciò significa che la ripetizione ideale sarà quella in cui il braccio su cui andremo a concentrare maggiormente il lavoro si flette fino alla sua massima chiusura, ovvero quando la spalla è allo stesso livello della mano posta sopra. In foto riusciamo a notare bene questo concetto. Ricordatevi che questa regola del massimo range possibile vale per tutti gli step.

In questo esercizio un buon obbiettivo è quello di completare 5 serie da 5 ripetizioni per braccio con 2′ di riposo (ancora meglio 1/1,30′). Da evidenziare è che una volta finite le ripetizioni con il braccio posto sopra, si cambiano le mani (quella posta sopra viene posta sotto e viceversa) ed immediatamente si ripete l’esercizio eseguendo lo stesso identico numero di reps eseguite con l’altro arto.

Step uno trazioni asciugamano

STEP 3 (MANO – GOMITO)

Il terzo step che vediamo è identico al secondo step, si differenzia solo per la posizione delle mani. Questa volta impugneremo l’asciugamano con la mano posta sotto, all’altezza del gomito dell’arto posto sopra. Ricordatevi sempre della regola del massimo range possibile: il braccio su cui andremo a concentrare maggiormente il lavoro dovrà flettersi fino alla massima chiusura, quindi spalla che arriva a livello della mano posta sopra! Anche in questo esercizio l’obbiettivo sarà arrivare a completare 5 serie da 5 ripetizioni per braccio con 2′ di riposo, con le stesse regole del secondo step.

La foto può chiarirci le idee sul posizionamento delle mani.

Step due trazioni asciugamano

STEP 4 (MANO – SPALLA)

Per il quarto step valgono oramai le stesse regole, ma la mano in ”assistenza”, ovvero quella posta al di sotto, viene posizionata all’altezza dell’ascella del braccio posto sopra. Questo renderà l’esercizio molto simile ad una trazione monobraccio, l’intensità infatti è molto alta. Anche qui l’obbiettivo sarà quello di completare 5 serie da 5 ripetizioni per braccio, con 2′ di riposo tra le serie inizialmente, poi potremo ridurre a piacimento fino ad 1′ o 30”.

 

Step tre trazioni asciugamano

Molti atleti potrebbero trovarsi in difficoltà con la presa. A tal proposito è stato previsto lo step 1, e nell’articolo sulla presa nelle trazioni  viene trattato l’esercizio di passive hang che sviluppa una buonissima resistenza, funzionale anche per affrontare questo tipo di lavoro.

Passare dall’asciugamano alla fune

Una volta completati i 4 step fondamentali si procederà al lavoro di salita completa, non all’asciugamano chiaramente ma sulla fune. Altrimenti, per chi si innamorerà di questo esercizio o non abbia una fune su cui arrampicarsi, si continuerà il lavoro oltre il 5×5 raggiungendo mete sempre più difficili, come aumentare le reps e diminuire i tempi di recupero.

Bilanciati con i movimenti primordiali

L’esercizio di salite all’asciugamano, come altri esercizi di trazione, è un movimento che sviluppa maggiormente i muscoli intrarotatori a discapito di quelli extrarotatori. A lungo andare tale atteggiamento può creare un’eccessiva ”chiusura” del corpo, portando a cattiva postura e squilibri muscolari. Per fronteggiare questo problema possiamo compensare tale lavoro con esercizi di ”apertura”, ovvero che vanno ad agire sui muscoli extrarotatori ed erettori della colonna vertebrale riequilibrando la nostra postura. Per questo ci rifacciamo agli articoli sull’active hang:  , sul ponte:  e sulle dislocazionI.  Tuttavia siamo al lavoro per portare alla luce nuovi esercizi di apertura e di più avanzati per l’hanging.

Esempio di allenamenti consigliati con le trazioni e l’asciugamano

Essendo un esercizio a corpo libero, non sarà possibile agire sulla variazione del peso nell’esercizio. Andremo quindi ad agire sul volume (ovvero il numero totale di ripetizioni che eseguiremo, dato da sets x reps), ipotizzando di partire dallo step 2 con 3 ripetizioni per braccio.

  1. Nella prima settimana andremo ad eseguire 5 serie da 3 ripetizioni per braccio.
  2. Nella seconda 4 serie da 4 ripetizioni per braccio.
  3. Nella terza 5 serie da 4 ripetizioni. Così avremo portato il volume da 15 ripetizioni (5×3) a 20 ripetizioni (5×4).

In mezzo ad ogni serie inseriremo un esercizio di compensazione e apertura come il ponte, creando un allenamento del tipo:
– 3 trazioni all’asciugamano braccio dx sopra, 3 trazioni all’asciugamano braccio sx sopra, 45” Ponte (la propedeutica adatta a voi) Rest
– 3 trazioni all’asciugamano braccio dx sopra 3 trazioni all’asciugamano braccio sx sopra 45” Ponte (la propedeutica adatta a voi) Rest
…. Per 5 serie!

Avete ora un grandissimo strumento per costruire braccia d’acciaio e condizionare al meglio il vostro corpo in vista di movimenti più complessi. Continuate a lavorare e non saltate gli step, anche se vi sembreranno difficili da completare. Proprio perché sono difficili saranno utili!
Buon divertimento e buon allenamento!

Elia

Articolo di Elia Bartolini
Note sull’autore:
Sono un ragazzo di 20 anni che si allena da anni nella ginnastica e nel corpo libero. Credo in un allenamento graduale, sensato e sicuro, volto alla riscoperta delle vere potenzialità e movimenti del corpo umano. Amo muovermi, scoprire movimenti nuovi e allenare la forza del mio corpo. Seguo un discreto numero di atleti. Allenarmi ed allenare sono due costanti nella mia vita.
Elia segue diverse persone nella zona di PESARO – Tavullia – Cattolica e dintorni ma anche ONLINE
Mail: barto.elia@gmail.com
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Aspettando Godot (o Project Nutrition)

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“L’attesa attenua le passioni mediocri ed aumenta le grandi”

Negli ultimi giorni molte persone ci stanno scrivendo preoccupate perchè sono state avvisate, da tempo, da PayPal dell’elaborazione del loro ordine ma dopo diversi giorni non l’hanno ancora ricevuto.
Non preoccupatevi, purtroppo in questa fase di preordine abbiamo riscontrato degli intoppi, i libri sono pronti ed imbustati ma il nostro contratto con la posta non ci permette di poterli inviare tutti contemporaneamente.

La colpa non è della posta ma mia (Andrea Biasci) che mi sarei dovuto documentare prima sulla possibilità di spedire più pacchi al giorno (abbiamo un tetto di 100 raccomandate/die).  In ogni caso chi ha fatto l’ordine il 5 novembre dovrebbe riceverlo settimana prossima. L’invio è tramite raccomandata quindi il pacco non può essere perso e verrà tracciato. Per chi ha ordinato il libro da poco, o lo ordina ora, non avrà problemi con la data prevista di consegna.

Vi preghiamo solo di non scriverci in massa e di avere ancora un attimo di pazienza, rispondiamo comunque a tutti e possiamo rimborsare chiunque lo desideri qual ora sia stufo d’aspettare e non voglia più ricevere il libro.

Rimango a disposizione alla mail andreabiascigw80@libero.it per qualsiasi domanda e mi prendo la piena responsabilità dell’accaduto.

Andrea Biasci

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Presentazione del libro Project Nutrition

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Attenzione il seguente video dura 36′. E’ quindi solo per i fan. All’interno troverete i capitoli del libro, qual è l’idea con cui l’abbiamo costruito, più diversi spunti di riflessione. La vendita del libro, avverrà sul nostro sito, speriamo per il mese di ottobre. A breve nuove news.

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Programmare l’allenamento della forza

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Guida alla programmazione dell'allenamento della forza

Questa guida si prefigge un arduo compito,  quello d’insegnarvi a programmare l’allenamento della forza. Volete migliorare il vostro massimale di panca, stacco, press o altro? Attraverso questo articoli i vostri massimali sicuramente miglioreranno.

Vi avviso che non sarà una guida facile,  se lo fosse tutti saremmo grandi allenatori! Perciò prendetevi un po’ di tempo per capire bene i concetti che tratteremo.

L’idea di fondo è questa:
Per migliorare la tua forza non puoi ogni volta cercare d’aumentare il tuo massimale perchè inevitabilmente ti schianti contro un muro. Per chiudere la ripetizioni incominci a sporcare il gesto, cerchi in tutti i modi di concludere l’alzata. Lo schema motorio si sporca, rischi di farti male e s’innesca una cascata d’eventi che ti porterà inevitabilmente a non raggiungere mai il tuo vero potenziale.
Il segreto è semplicemente quello di fermarsi prima, non arrivare al limite ma lasciare un po’ di margine (quanto? bella domanda), l’alzata deve essere impegnativa, ma sotto il tuo controllo. Visto che non spingi come se non ci fosse un domani ha bisogno del volume corretto (quanto? bella domanda), altrimenti di dealleni, questo ti permette di creare un buon lavoro per i tuoi muscoli e per il tuo sistema nervoso.
L’organismo percepisce lo stimolo ed adatta la corretta risposta, la conseguenza è che diventi più forte.
L’allenamento deve essere: ne troppo intenso, ne troppo poco, ne troppo voluminoso, ne troppo poco.
L’arte della programmazione è l’arte degli equilibri, costruire un castello senza farlo crollare.

Quello che esporrò oggi è il metodo di quella che a conti fatti possiamo definire la vera nuova scuola americana di powerlifting, quella del Team Juggernaut di Chad Smith, Mike Israetel e Mike Tuchscherer. Io mi alleno così da quasi un anno e nell’arco di nemmeno 6 mesi ho preso 10kg di panca in gara (passando da 130 di marzo a 140 di Luglio), con questo approccio ci abbiamo vinto un argento agli italiani classic di powerlifting FIPL con schede fatte Tuchscherer stesso e con questo metodo ci stiamo preparando per gli Europei Raw che si terranno a Marzo a Tartu, Estonia. Insomma, questo metodo di allenamento lo ritengo più che valido e lo consiglio a scatola chiusa.

Il reactive training system

Dare un programma di allenamento che possa andare a bene a tutti è un’impresa impossibile, proprio per questo oggi voglio presentare un modello che tutti possono tranquillamente adattare su di sé, con una minima dose di conoscenza del RTS System, il metodo di allenamento inventato da Mike Tuchscherer, l’unico metodo di allenamento che fornisce dei canoni definibili quando si parla di autoregolazione. Se infatti parliamo semplicemente di velocità e tecnica abbiamo davanti parametri non oggettivi, bensì soggettivi. Quella che per me è un’alzata veloce per un altro è lenta, quello che per me è un errore tecnico per altri è un qualcosa di poco rilevante, l’RPE invece è il primo metodo che fornisce criteri oggettivi di autoregolazione.

Se volete, potete leggervi l’articolo sul mio sito linkato qui sopra, altrimenti vi faccio un estratto per la parte fondamentale che vi interessa sapere, ovvero l’RPE. Ecco la tabella che lo rappresenta, di seguito la spiegazione:

Tabella allenamento massimali forza

Sulla verticale abbiamo gli RPE, mentre sull’orizzontale le ripetizione. Ad ogni ripetizione che scegliamo, troviamo le rispettive %, cui corrisponde un determinato RPE (in linea di massima, altrimenti che autoregolazione sarebbe??).

Un RPE di 10 indica che le ripetizioni assegnate vanno effettuate senza lasciare nessuna ripetizione da parte, quindi zero buffer (margine).

Guardate la tabella. Una ripetizione con RPE 10 è il massimale, il 100%.
Tre ripetizioni con RPE 10 corrispondono al 92%, che è quindi il massimo carico con cui si possono fare 3 ripetizioni, cinque ripetizioni a RPE 10 sono l’86% e così via. Fino a qui nulla di difficile. In pratica se leggiamo la tabella sotto l’ottica RPE 10 stiamo leggendo la classica tabella peso/ripetizioni possibili.

Spostiamoci in giù di 2 colonne e troviamo RPE di 9, che significa che dobbiamo lasciare una ripetizione da parte, quindi un buffer di 1. Guardiamo la tabella, fare 2 ripetizioni con RPE 9 significa utilizzare un carico con cui potremmo fare 3 ripetizioni, siamo quindi al 92%. Vi quadra? Tre ripetizioni a RPE 10 si fanno al 92%, due ripetizione a RPE 9 si fanno con il 92%, proprio perché una ne lasciamo da parte! Capito il giochino?

RPE di 8 vuol dire che qualsiasi siano le ripetizioni che dobbiamo fare, da parte dobbiamo lasciare un buffer di 2. Qual è il carico con cui facciamo una ripetizione a RPE 8? Sempre il 92% (vedi tabella).

Ci vuole un attimo per prendere confidenza, ma poi tutto diventa semplice.

Abbiamo quindi:
x3 RPE(@ da ora in poi) 10 = 92%. Massimo carico con cui si fanno 3 ripitizioni
x2 @9 = 92%. Massimo carico con cui si fanno 2 ripetizioni, con 1 di buffer
x1 @8 = 92%. Massimo carico con cui si fa 1 ripetizione, con 2 di buffer

Se vi dicessi di fare 5 ripetizioni con RPE 8 dovete cercare un carico con cui potete fare 7 ripetizioni, ma di cui ne fate poi solamente 5.

Il back off

A seconda della giornata e della fase, una volta raggiunto l’RPE di riferimento abbiamo due possibilità: repeat e load drop. L’allenamento infatti non può concludersi con il semplice raggiungimento di una serie target.

Il repeat viene tendelziamente utilizzato quando si è a RPE 8, mentre il load drop a RPE 9.

Il repeat consiste nel ripetere il carico raggiunto, mantenendo le stesse ripetizioni e calandolo solo se il buffer diminuisce nei vari set.

Nel load drop invece caliamo di una determinata % di carico e continuiamo con le ripetizioni indicate.

UN ESEMPIO PRATICO

Vediamo come si svolge un allenamento. Esempio x8@8.

Ci riscaldiamo fino al 50-60% circa, poi cominciamo a fare un x8@6, 8 ripetizioni con un carico con cui abbiamo un buffer 4 (aiutetevi con la tabella di riferimento per vedere da che % specifica partire, poi basatevi sulle vostre sensazioni, la tabella è una via, sta a voi percorrerla).

Poi facciamo un x8@7. Infine, troviamo il carico di riferimento, x8@8. Tra un set e l’altro aumentato in base alla facilità di esecuzione, non a caso nella tabella esistono anche RPE di mezzo tra un set e l’altro.

Abbiamo fatto x8@8. Finito? Assolutamente no, ora facciamo il back off. Quando utilizziamo un RPE@8, facciamo da 2 a 4 set sempre a x8@8. Se necessario diminuite il peso per fare sempre 8 ripetizioni.

A scanso di qualsiasi equivoco, vediamolo ancora più nel dettaglio con un esempio numerico.

Abbiamo 100kg di massimale. Cioè significa che la tabella ci dice che il nostro x8@8 è il 74%, quindi 74kg. Ci scaldiamo e facciamo x8 al 68%. Poi aumentiamo e facciamo x8 a @7, ovvero 71%. Infine, x8 @74%.
Quindi altri 2/4 set (a seconda di come ci sentiamo in forma) al 74% o diminuendo il carico. L’allenamento quindi è stato:

Riscaldamento
1x8x68%
1x8x71%
1x8x74%
Repeat: 3x8x74%

Fine. Non è niente di complicato nella pratica. Leggere “x8@8 + 3 repeat” è come leggere 3x 8 x 74%.

Questa ovviamente è un’idea base, potete anche tranquillamente fare 8×60, 8×70, 8×74. Insomma, ok le regole, ma ancora più importanti sono i principi, l’importante è fare un po’ di lavoro anche durante la ricerca del carico per trovare il peso target della giornata.

Bene, questo è tutto quello che c’è da sapere sulle ripetizioni. Se vi sta fumando il cervello fermatevi qui e cercate di capire come si gestisce il carico con questo metodo e poi riprendete. Per quanto possa sembrarvi complicato, con un po’ di pratica vedrete che è estremamente più facile di quello che sembra. I primi tempi basatevi sulla tabella, quando avrete imparato a sentire i buffer autogestitevi.

Dalla teoria alla pratica: la scheda per l’allenamento della forza

Veniamo dunque al modello che voglio proporvi oggi. La split di riferimento è una delle favorite del mio precedente articolo (Allenamento in multifrequenza: cosa dovete sapere), cioè la full body alla russa.

Diviamo le sedute in questo modo:

ALLENAMENTO A ALLENAMENTO B ALLENAMENTO C ALLENAMENTO D
Squat Stacco Squat variante Stacco variante
Panca variante Spinte sopra la testa Panca Panca variante
Complementare panca Dorsali Complementari squat Dorsali
Tricipiti Bicipiti Addominali Bicipiti

Se vi state chiedendo che esercizi fare e come, non preoccupatevi, vi guiderò passo passo per ognuna delle 3 fasi della programmazione, ovvero la fase d’ipertrofia, quella di forza e infine il peaking finale in vista del test massimale.

Alessio Ferlito corso sulla forza

Settimana 1-4: blocco ipertrofia

L’obiettivo di questa fase è lavorare con carichi intorno al 60-75% ad alte ripetizioni per cercare di dare un maggior stimolo ipertrofico. Prima cerchiamo di aumentare i muscoli, poi nella fase successiva gli insegniamo a spingere nel modo corretto.

Cercate di utilizzare varianti che abbiamo un maggiore risvolto ipertrofico, come ad esempio:
– Squat: front squat, squat bilanciere alto
– Panca: panca media, panca stretta, panca touch&go
– Stacco: stacco rumeno, stacco deficit, stacco presa snatch

Ripetizioni target: 5-8

RPE: state sempre su @8, utilizzate un @9 solo su una variante! Questo vi permette di rimanere ben attivi a livello di sistema nervoso, senza però affatticare il gesto principale.

Vediamo nel dettaglio il primo mese, scriverò 2 blocchi, un allenamento da tenere la settimana 1 e la settimana 3 e un allenamento da tenere la settimana 2 e 4. Alternare così le schede è un approccio molto valido, anche se si va semplicemente a cambiare le ripetizioni permette di non affossarsi troppo facendo sempre gli stessi carichi.

SETTIMANE 1 – 3

ALLENAMENTO A
1. SQUAT x6@8; 2/4 repeat
2. PANCA TOUCH & GO x8 @8; 2/4 repeat
3. complementari panca: panca manubri/dip 4/8 x 8/12
4. tricipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO B
1. STACCO DA TERRA x5 @8; 2/4 repeat
2. LENTO AVANTI x6 @9; 1/2 load drop (-15%)
3. Complementari schiena: trazioni/lat machine 3/4 x 8/12
4. Bicipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO C
1. SQUAT BILANCIERE ALTO x8 @8 2/4 repeat
2. PANCA GARA x6 @8; 2/4 repeat
3. complementari gambe leg press/affondi 4/8 x 8/12
4. Addominali 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO D
1. STACCO DAI RIALZI x6 @8 2/4 repeat
2. PANCA INCLINATA x7 @9; 1/3 load drop (-15%)
3. REMATORE BILANCIERE x6 @8; 2/4 repeat
4. Bicipiti 4/5 x 10/12

SETTIMANE 2-4

ALLENAMENTO A
1. SQUAT x8 @8; 2/4 repeat
2. PANCA STRETTA x6 @8; 2/4 repeat
3. complementari panca: panca manubri/dip 4/8 x 8/12
4. tricipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO B
1. STACCO DA TERRA x6 @8; 2/4 repeat
2. LENTO AVANTI x8 @9; 1/2 load drop (-15%)
3. Complementari schiena: trazioni/lat machine 3/4 x 8/12
4. Bicipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO C
1. FRONT SQUAT x6 @8 2/4 repeat
2. PANCA GARA x8 @8; 2/4 repeat
3. complementari gambe leg press/affondi 4/8 x 8/12
4. Addominali 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO D
1. STACCO PRESA SNATCH x5 @8 2/4 repeat
2. PANCA INCLINATA x9 @9; 1/3 load drop (-15%)
3. PENDLAY ROW x5 @8; 2/4 repeat
4. Bicipiti 4/5 x 10/12

Settimana 5-8: blocco forza

In questa fase cerchiamo di migliorare la nostra capacità di spingere pesi elevati, perciò le % si alzano e staranno intorno ad un più consono 75%-90%. Questa è la fase in cui è meglio prediligere complementari che vanno ad utilizzare maggiormente carichi elevati in movimenti parziali per non stressare troppo, così come quelli che vanno a potenziarvi nei vostri punti più deboli. Eccovi quindi una lista di esercizi da favorire:

Squat: pin squat, box squat, squat fermo in basso
Panca: pin press, floor press, board press, panca fermo lungo
Stacco: stacco dai blocchi, stacco con fermo al ginocchio, stacco lento al ginocchio.

Ripetizioni target: 3-5

RPE: utilizzate un RPE @8 sui fondamentali e sulle varianti che mirano a correggere i vostri punti deboli, RPE @9 invece sugli esercizi che hanno lo scopo di andare a farmi mettere in mano o sulla schiena carichi più pesanti.

SETTIMANE 5 – 7

ALLENAMENTO A
1. SQUAT x3 @8; 2/4 repeat
2. PANCA FERMO 3” x2 @8; 2/4 repeat
3. complementari panca: panca manubri/dip 4/8 x 8/12
4. tricipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO B
1. STACCO DA TERRA x3 @8; 2/4 repeat
2. PUSH PRESS x5 @9; 1/2 load drop (-15%)
3. Complementari schiena: trazioni/lat machine 3/4 x 8/12
4. Bicipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO C
1. SQUAT FERMO IN BASSO 2” x3 @8 2/4 repeat
2. PANCA GARA x5 @8; 2/4 repeat
3. complementari gambe leg press/affondi 4/8 x 8/12
4. Addominali 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO D
1. STACCO DAI BLOCCHI x3 @9 ; 1/3 load drop (-15%)
2. PANCA PIN ALTI x2 @9; 1/3 load drop (-15%)
3. STACCO RUMENO x5 @8; 2/4 repeat
4. Bicipiti 4/5 x 10/12

SETTIMANE 6 – 8

ALLENAMENTO A
1. SQUAT x3 @8; 2/4 repeat
2. PANCA FERMO 2” x3 @8; 2/4 repeat
3. complementari panca: panca manubri/dip 4/8 x 8/12
4. tricipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO B
1. STACCO DA TERRA x2 @8; 2/4 repeat
2. LENTO AVANTI x5 @9; 1/2 load drop (-15%)
3. Complementari schiena: trazioni/lat machine 3/4 x 8/12
4. Bicipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO C
1. PIN SQUAT’ x3 @8 2/4 repeat
2. PANCA GARA x5 @8; 2/4 repeat
3. complementari gambe leg press/affondi 4/8 x 8/12
4. Addominali 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO D
1. STACCO LENTO AL GINOCCHIO 3” CON CHIUSURA* x3 @8 ; 2/4 repeat
2. FLOOR PRESS x3 @9; 1/3 load drop (-15%)
3. PENDLAY ROW x5 @8; 2/4 repeat
4. Bicipiti 4/5 x 10/12
*fate l’alzata lenta con il tempo indicato, poi chiudete in modo esplosivo

Programma per allenamento della forza

Settimana 9-11: peaking 

La fase finale. In questa parte varianti e complementari vanno ridotti al minimo, favorendo maggiormente gli esercizi fondamentali: se avevate dei punti deboli, questa non è la fase in cui cercare di sistemarli. Favorite gli esercizi che nella fase precedente vi permettevano di andare a caricare oltre il 90%, senza andare a stressarvi eccessivamente, ovvero:

– Squat: pin squat, box squat
– Panca: pin press, floor press, board press
– Stacco: stacco dai blocchi

Ripetizioni target: 1-3

RPE: la prima settimana (settimana 9) di questa fase cercate un x1 @9 nelle alzate fondamentali, state invece a ripetizioni più alte nelle varianti, alternando @8/@9 nei vari esercizi.

Nella seconda settimana (settimana 10) tornate a ripetizioni intorno alle 2-3 e continuate a giocare con i vari RPE, mentre nella terza (settimana 11), mantenendo sempre le stesse ripetizioni, rimanete sempre a @8 e fate back off ridotti al minimo, aumentando anche le % di scarico nei set a @9, scaricando il volume in vista del massimale della settimana finale (settimana 12). Eccolo nel dettaglio:

SETTIMANE 9

ALLENAMENTO A
1. SQUAT x1 @9; 1/2 load drop (-15%)
2. FLOOR PRESS x3 @8; 2/4 repeat
3. complementari panca: panca manubri/dip 4/8 x 8/12
4. tricipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO B
1. STACCO DA TERRA x1 @9; 1/2 load drop (-15%)
2. LENTO AVANTI x3 @9; 1/2 load drop (-15%)
3. Complementari schiena: trazioni/lat machine 3/4 x 8/12
4. Bicipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO C
1. PIN SQUAT (pin alto, altezza sticking point) x3 @8 2/4 repeat
2. PANCA GARA x1 @9; 1/2 load drop (-15%)
3. complementari gambe leg press/affondi 4/8 x 8/12
4. Addominali 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO D
1. STACCO DAI BLOCCHI x3 @9 ; 1/3 load drop (-15%)
2. PIN PRESS (pin a metà alzata) x3 @9; 1/3 load drop (-15%)
3. STACCO GAMBE TESE x5 @8; 2/4 repeat
4. Bicipiti 4/5 x 10/12

SETTIMANA 10

ALLENAMENTO A
1. SQUAT x2 @9; 1/2 load drop (-15%)
2. PANCA BOARD PRESA STRETTA x3 @8; 2/4 repeat
3. complementari panca: panca manubri/dip 4/8 x 8/12
4. tricipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO B
1. STACCO DA TERRA x2 @9; 1/2 load drop (-15%)
2. LENTO AVANTI x3 @9; 1/2 load drop (-15%)
3. Complementari schiena: trazioni/lat machine 3/4 x 8/12
4. Bicipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO C
1. PIN SQUAT (pin alto, altezza sticking point) x3 @8 2/4 repeat
2. PANCA GARA x3 @9; 1/2 load drop (-15%)
3. complementari gambe leg press/affondi 4/8 x 8/12
4. Addominali 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO D
1. STACCO RUMENO x4 @9 ; 1/3 load drop (-15%)
2. PANCA TOUCH & GO x3 @9; 1/3 load drop (-15%)
3. PENDLAY ROW x6 @8; 2/4 repeat
4. Bicipiti 4/5 x 10/12

SETTIMANA 11

ALLENAMENTO A
1. SQUAT x3 @8; 2/4 repeat
2. FLOOR PRESS x3 @8; 1/2 repeat
3. complementari panca: panca manubri/dip 4/8 x 8/12

ALLENAMENTO B
1. STACCO DA TERRA x3 @8; 1/2 repeat
2. LENTO AVANTI x3 @9; 1/2 load drop (-20%)
3. Complementari schiena: trazioni/lat machine 3/4 x 8/12
4. Bicipiti 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO C
1. PIN SQUAT (pin alto, altezza sticking point) x3 @8 1/2 repeat
2. PANCA GARA x3 @8; 1/2 repeat
3. complementari gambe leg press/affondi 4/8 x 8/12
4. Addominali 4/5 x 10/12

ALLENAMENTO D
1. STACCO DAI BLOCCHI x3 @9 ; 1/2 load drop (-20%)
2. PIN PRESS (pin a metà alzata) x3 @9; 1/3 1/2 load drop (-20%)
3. REMATORE BILANCIERE x6 @8; 1/2 repeat

Settimana 12: Test!!!

Ci siamo, questa settimana rimerremo solamente con i fondamentali. Ipotizziando un test fatto di venerdì/sabato, facciamo come suggerisce Tuchscherer stesso.

Al lunedì proviamo un’entrata di un’ipotetica gara (a meno che non la abbiate veramente), quindi un carico con cui potete fare una tripla più o meno. Quindi x1 @8 su squat/panca/stacco. Al mercoledì fate solo il riscaldamento che fareste per fare le entrate, quindi fermatevi a x1 @7.  Al venerdì… sotto col test!!

ALLENAMENTO A
Squat x1 @8 no back off
Panca x1 @8 no back off
Stacco x1 @8 no back off

ALLENAMENTO B
Squat x1 @7 no back off
Panca x1 @7 no back off
Stacco x1 @7 no back off

Squat x1 @7, x1 @8, x1 @9, x1 @10
Panca x1 @7, x1 @8, x1 @9, x1 @10
Stacco x1 @7, x1 @8, x1 @9, x1 @10

Conclusioni sulla programmazione dell’allenamento della forza

Il metodo appena esposto a prima vista può sembrare complicato, ma vi garantisco se spendete tempo a cercare di leggere questa nuova nomenclatura passerete a tutto un altro modo di allenarvi, poiché sarete totalmente voi a regolare il carico sul bilanciere. Molti magari non hanno capito la scheda nell’insieme, perciò vi suggerisco di stamparla e di provare allenamento dopo allenamento in cosa consiste questo nuovo metodo. Ricordo bene lo spiazzamento cui ci si trova davanti con un nuovo modo di leggere serie e ripetizioni. Senza % tutto è molto più complicato!

Per quanto riguarda la scheda, questa è solo un modello. Provatela, modificatela, sperimentate. Se all’inizio entrate in confusione per quanto riguarda il cercare il carico target non preoccupatevi, è normale! Basatevi sulla tabella i primi allenamenti, se trovate un x4 @8 andate a cercare sulla tabella a quanto corrisponde (84%) e cercate di raggiungere quel carico. Se lo sentite leggero, tanto da poter fare 3 ripetizioni invece che 2, allora aumentate il peso. Al contrario, se siete a quello che sulla tabella è un @7, ma siete certi di non poter fare più di 2 ripetizioni, fermatevi!

Quello di cui sono convinto è che se troverete la voglia di applicarvi nel capire come funziona questo metodo, anche solo basandovi sul modello che ho proposto, cambiato qualche esercizio o numero di ripetizioni, potrete avere praticamente almeno 3-4 schede, il che significa che se vi impegnate avete già tutte le schede di cui avete bisogno per un anno intero.

Buon allenamento!

Articolo di di Alessio Ferlito seguilo sul suo Blog.

L'articolo Programmare l’allenamento della forza sembra essere il primo su Project inVictus.

La plicometria: come farla e come utilizzarla

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Questa breve ma esauriente guida sulla plicometria è divisa in due parti (plicomentria e casi studio) e si pone come obiettivo principe quello di far comprendere, approfondire, interiorizzare uno dei concetti più importanti e anche più ignorati del mondo del personal training e della palestra, ovvero quello della composizione corporea e del fondamentale principio intrinseco ad esso chiamato “misurare”. La plicometria è il primo passo per conoscere dove siamo e dove vogliamo andare.

Del Dr Andrea Roncari

Perché ci si allena in palestra?

Cominciamo dal basso, e vediamo di rammentare quelli che sono gli obiettivi espressi mediamente dalla clientela (verranno tralasciati volontariamente e per ovvi motivi le richieste metafisiche del tipo “Voglio levare la ciccia da qui a qui” oppure “Voglio allargare le spalle e la forma a V”). All’approccio col professionista in palestra si sente dire:

I quattro obiettivi principali appena esposti raggruppano sicuramente il 95% degli utenti che frequentano una palestra e che vi si sono iscritti con tali intenti, e tutti e quattro si riferiscono a quello che è e sarà il loro stato di composizione corporea. Il vocabolario femminile dirà “Voglio tonificare”, “Voglio dimagrire”, quello maschile “Voglio diventare grosso”, “Voglio definirmi”, ma tutti in fin dei conti stanno chiedendo la stessa cosa: cambiare la propria composizione corporea.

Solo introducendo in modo un po’ più razionale tale scenario ci è ora più chiaro che il focus degli allenamenti e dello stile di vita richiesto al cliente è rivolto a modificare la composizione corporea, ricercando un aumento della componente magra dell’organismo e una diminuzione della componente grassa, ricostruendo per semplicità un modello di tipo bicompartimentale del corpo umano, semplice ma sufficientemente utile a comprendere ed evitare alcuni disguidi che continuano a creare confusione sull’argomento.

Mass media e marketing: cosa è importante sapere

Tendenzialmente il marketing e i suoi canali comunicativi prediligono la non conoscenza e soprattutto la non misurazione oggettiva dei risultati. Molto spesso, non si capisce quanto volontariamente, parlano di dimagrimento in termini di “perdita di peso” basando i parametri numerici su dati e misurazioni esclusivamente quantitative, come la bilancia, che poco ci dicono sul reale stato di composizione corporea. Consigliano creme che “asciugano” l’addome dormendo, pillole da prendere di giorno e di notte, fasce che ti fanno sudare la pancia, fantasmagorici attrezzi per fare milioni di addominali al giorno. Ma chi valuta i risultati ottenuti?

Guardate le due immagini qui sotto, chi dei due è più magro? Sicuramente, bilancia alla mano, il soggetto di sinistra pesa meno ma, ragionando per composizione corporea (valori percentuali di tessuto magro e tessuto grasso sul peso totale), il soggetto a destra è sicuramente più magro.

Differenza composizione corporea

E’ possibile aumentare il proprio peso corporeo nel tempo dimagrendo e per converso è possibile diminuire il proprio peso corporeo ingrassando. Basta analizzare la composizione corporea e non solo il peso totale, valutando nel tempo i risultati attraverso misurazioni attendibili evitando le prese in giro.

Perché misurare attraverso la plicometria

Sempre troppo spesso, purtroppo, mi capita di imbattermi in pseudo professionisti che allenano improvvisando schede di allenamento basate sulla propria esperienza (e non sul cliente) e che, come fossero catapultati sulla Terra da un pianeta sconosciuto, ignorano l’esistenza del concetto di composizione corporea, di misurazione dello stato iniziale del proprio cliente, di verifica e di controllo dei risultati ottenuti.

Spesso, in questi casi, è solo ed esclusivamente lo specchio e la bilancia a decidere se il programma e i consigli alimentari somministrati siano corretti per lui o, peggio ancora, sono il carisma e la capacità persuasiva del trainer che convince il proprio cliente a suon di pacche sulle spalle e frasi del tipo “Guarda che braccio ti è venuto!” oppure ” Ti vedo molto più asciutto!”.

Importanza di misurare

Ecco, tutto questo non può e non deve accadere se si vuole portare avanti un lavoro serio, con dati oggettivi e confrontabili.

Il concetto di misurazione è di primaria importanza in un ambiente scientifico come quello dell’allenamento in palestra. Ma perché è importante misurare?

  1. Per quantificare l’efficacia del programma di allenamento e dei consigli alimentari somministrati al cliente. L’analisi della composizione corporea iniziale in sede di fit-check pone un riferimento con il quale possiamo effettuare confronti nelle successive misurazioni durante il periodo di training. Solo quantificando i risultati in termini numerici e confrontandoli tra loro, possiamo capire se stiamo procedendo nella direzione giusta o in caso contrario porre i relativi aggiustamenti.
  2. Per poter comunicare al cliente informazioni chiare e oggettive riguardo il suo stato di forma e sui suoi miglioramenti, basandosi su misurazioni e non sui sofismi del trainer di turno o su impressioni puramente soggettive basate sullo specchio dello spogliatoio.
Come misurare in palestra: la plicometria e le circonferenze

 

Plicometro e metro

Appurato cosa misurare e l’importanza di una misurazione attendibile, veniamo ora a una metodica semplice, pratica ed economica di valutazione indiretta delle variazioni di composizione corporea secondo un modello bicompartimentale, basato come detto sulla divisione in due compartimenti del corpo umano, una componente grassa (FM) e una magra (FFM). Nella prima raggrupperemo il tessuto adiposo sottocutaneo e non verranno presi in considerazione il grasso viscerale e intramuscolare, nella seconda verranno considerati gli organi interni, l’acqua e le componenti muscolo-scheletriche.

Composizione corporea modello bicompartimentale

La plicometria consiste nella rilevazione e nella misurazione di alcune pliche corporee di grasso sottocutaneo attraverso uno strumento simile ad un calibro chiamato appunto plicometro. La misurazione della plica si esegue essenzialmente staccando, attraverso una presa a pinza di pollice e indice, lo spessore adiposo di sottocute nel punto di repere precedentemente rilevato e marcato, misurando con l’altra mano lo spessore stesso (in millimetri) servendosi del plicometro. I protocolli generalmente utilizzati prevedono la rilevazione di 7 o 3 punti di repere.

Protocollo a 3 pliche uomo (Jackson & Pollock) : Addome, Pettorale, Coscia.

Protocollo a 3 pliche donna (Jackson & Pollock): Tricipite, Soprailiaca, Coscia.

Protocollo a 7 pliche (Jackson & Pollock): Tricipite, Addome, Soprailiaca, Sottoscapolare, Ascellare, Pettorale, Coscia.

Plica tricipite

plica addominalePlica soprailiacaPlica sottoscapolarePlica ascellarePlica pettoralePlica coscia

Per alcuni soggetti tornerà utile anche la misurazione della plica “Polpaccio”, la quale non rientrerà nell’equazione per il calcolo della stima del grasso corporeo non essendo racchiusa nei protocolli sopra citati, ma potrà comunque fornire un ulteriore dato utile da confrontare nel tempo.

Plica polpaccio

La metodica sfrutta la stretta correlazione tra grasso sottocutaneo, grasso totale e densità corporea per ricostruire, tramite grafici o equazioni specifiche per la popolazione, la percentuale di massa grassa e per differenza quella di massa magra.

Calcolo della % di massa grassa: 7 pliche uomo (Jackson & Pollock).

Densità corporea = 1.112 – (0.00043499 x somma 7 pliche) + (0.00000055 x (somma 7 pliche2)) – (0.00028826 x età)

%FM = (495/Densità corporea) – 450

Calcolo della % di massa grassa: 7 pliche donna (Jackson & Pollock).

Densità corporea= 1.097 – (0.00046971 x somma 7 pliche) + (0.00000056 x (somma 7 pliche2)) – (0.00012828 x età)

%FM = (495/Densità corporea) – 450

Calcolo della % di massa grassa: 3 pliche uomo (Jackson & Pollock).

Densità corporea = 1.10938 – (0.0008267 x somma 3 pliche) + (0.0000016 x (somma 3 pliche2)) – (0.0002574 x età)

%FM = (495/Densità corporea) – 450

Calcolo della % di massa grassa: 3 pliche donna (Jackson & Pollock) .

Densità corporea= 1.0994921 – (0.0009929 x somma 3 pliche) + (0.0000023 x (somma 3 pliche2)) – (0.0001392 x età)

%FM = (495/Densità corporea) – 450

Grafico stima massa magrassa tre pliche

Attenzione però, il dato ottenuto, che tanto incuriosisce il cliente, costituirà solo una stima (soggetta ad una percentuale di errore rilevante) e non un valore reale assoluto del grasso corporeo. Per il professionista, il dato fondamentale rilevato con la plicometria è la somma delle pliche, un valore che confrontato nel tempo può realmente indicarci l’andamento dei risultati.

Non è utilizzabile con persone obese o fortemente sovrappeso (BMI oltre 27-28, in quanto la misurazione delle pliche risulterebbe poco attendibile) ma è tuttavia un buonissimo metodo pratico ed economico per effettuare un buon lavoro con quella grossa fetta di clientela composta da persone molto allenate, mediamente in forma o in lieve sovrappeso. Ricordo inoltre che la plicometria è una metodica operatore-dipendente, per cui per una maggiore attendibilità dei dati nel tempo sono consigliate misurazioni eseguite sempre dallo stesso operatore.

Ulteriori importanti informazioni da integrare con gli spessori rilevati in sede di plicometria possono essere tratte dalla misurazione delle circonferenze corporee con uno strumento semplicissimo come un metro da sarto. E’ possibile misurare numerose circonferenze ma il mio consiglio è di non esagerare per non far sentire il cliente una cavia da laboratorio procedendo con la rilevazione di dati che si riveleranno poi inutili. Generalmente consiglio la misurazione di 5 circonferenze corporee, utilissime poi per effettuare una corretta analisi dei risultati integrandole con le pliche corrispondenti.

Circonferenza torace braccio

Circonferenza vita-fianchi

Circonferenza coscia

Riassumendo, un buon trainer potrà effettuare una buona valutazione dello stato di composizione corporea del proprio cliente procedendo in questo senso:

  1. scelta del protocollo da utilizzare (7 o 3 pliche);
  2. rilevazione dei punti di repere corporei secondo protocollo e marcatura con matita dermografica;
  3. rilevazione delle pliche di grasso sottocutaneo con plicometro nei punti marcati, effettuando tre giri di misurazioni per ridurre l’errore di misura;
  4. rilevazione delle circonferenze corporee con metro da sarto;
  5. elaborazione dei dati: somma delle pliche, valori si massa magra, massa grassa, valutazione in base a età-sesso e riassunto in apposita tabella di confronto;
  6. definizione degli obiettivi a breve-medio-lungo termine;
  7. analisi dei dati integrando i valori delle pliche, delle circonferenze e del peso corporeo;
  8. valutazione finale del risultato.
Analisi dei dati: alcune considerazioni importanti

Come precedentemente detto il valore di percentuale di grasso corporeo è un valore che interessa maggiormente il cliente e meno il professionista. Ciò che più conta è la somma totale delle pliche, il suo andamento nel tempo e le singole pliche integrate con il valore di circonferenza corrispondente.

Quando si parla di circonferenze corporee fine a se stesse si è portati spesso a ragionare erroneamente, come per il peso corporeo, in termini quantitativi e mai qualitativi. Troviamo così spesso donne entusiaste per la riduzione della circonferenza della coscia e per analogia maschietti in estasi per l’aumento della circonferenza del braccio, non sapendo esattamente chi si è preso carico di quella diminuzione e di quell’aumento.

La variazione di una circonferenza di un arto può essere data dalla modificazione di due componenti: muscolatura e tessuto adiposo sottocutaneo. Anche qui la parola d’ordine è misurare!

Composizione sezione trasversa arto, osso-muscolo-grasso

Una circonferenza, rispetto alla precedente misurazione, può essere:

  • uguale, ma nascondere o un miglioramento in termini di composizione corporea, essendo diminuito il grasso sottocutaneo e aumentato la muscolatura sottostante o un peggioramento essendo invece diminuita la componente magra e aumentata la grassa;
  • aumentata, per un aumento della componente magra o/e di quella grassa o per una combinazione di eventi inversi (l’aumento del magro è maggiore della diminuzione grasso o viceversa);
  • diminuita, per una diminuzione della componente magra o/e di quella grassa o per una combinazione di eventi inversi (la diminuzione del grasso è maggiore dell’aumento del magro o viceversa).

Il valore in centimetri può subire numerosi combinazioni diverse, ma ciò che conta è la variazione del valore in rapporto alla variazione della plica sottocutanea di grasso locale: solo in questo modo sapremo esattamente in che direzione stiamo andando attraverso un ragionamento di tipo qualitativo.

Non è detto che una diminuzione della circonferenza “Coscia” di una signorina palesi sicuramente un miglioramento anzi, potrebbe palesare un peggioramento in termini di composizione corporea qualora la plica “Coscia” fosse rimasta invariata o addirittura aumentata nel tempo. Viceversa, non creiamo false speranze in un ragazzo che vede aumentare la sua circonferenza “Braccio” se quell’aumento è dato solo da un concomitante cospicuo aumento della plica “Tricipite”.

Analogo ragionamento sarà fatto con un’integrazione con il peso corporeo per capire a cosa saranno imputabili eventuali variazioni di peso rilevate.

Per il momento è tutto. Nel proseguo di questo articolo vi proporrò due esempi di casi reali di analisi bicompartimentale con plicometria e del confronto dei risultati durante tutto il periodo di personal training e, in associazione ai dati ottenuti, per i fanatici del “prima/dopo” il risultato visivo dello stesso caso analizzato. Perché “la pratica senza teoria è cieca, ma la teoria senza la pratica è muta”.

 

Composizione Corporea, Plicometria, 2 casi studio

Plicometria punti di repere

Con la collaborazione di Marco Cibinetto, Personal Trainer Invictus (cbmtrainer@gmail.com)

Nella prima parte abbiamo visto l’importanza di misurare in un lavoro di personal training serio e accurato. Ora entriamo nel profondo della pratica lavorativa, portando due casi studio reali di clienti sottoposti al servizio personal training valutati e monitorati dal punto di vista della composizione corporea tramite plicometria. 

Caso studio 1 – Protocollo a 3 pliche
Anamnesi

Nome: Fabio C.

Età: 30 anni

Peso: 83 kg

Altezza: 1.82 m


Obbiettivo:
 fisico molto “asciutto” e muscolarmente sviluppato (miglioramento della composizione corporea, aumento della massa magra e diminuzione della massa grassa).

Fabio è un imprenditore e svolge principalmente lavoro di ufficio classificabile come “sedentario”. Fin da quando era piccolo pratica sport in modo costante. Sin dai 16 anni frequenta palestre e negli ultimi 4-5 anni va anche in piscina 1/2 volte a settimana, inserendo ogni tanto partite di calcetto e, con la bella stagione, uscite in bicicletta di 40-50 km.

Non ha mai seguito un’alimentazione corretta o una dieta. Non fuma e beve pochi alcolici. Ha due esperienze passate con personal trainer non andate a buon fine, in cui si prestava a sedute di allenamento massacranti con 30 set per allenamento e un’alimentazione poco varia con enormi quantità di carne e latticini.

La valutazione iniziale

Durante il fit-check iniziale in data 17/6/2012 è stato sottoposto a una plicometria seguendo il protocollo a tre pliche.

  1. Addominale: 22 mm;
  2. Pettorale: 11 mm
  3. Coscia: 15 mm

Somma: 48 mm

E’ stato anche sottoposto alla misurazione di quattro circonferenze corporee.

  1. Vita: 90.3 cm
  2. Braccio: 32 cm
  3. Coscia (radice): 61.7 cm
  4. Coscia (media): 60 cm

Per completezza di informazioni è stato estrapolato il dato puramente indicativo della percentuale di massa grassa utilizzando il nomogramma dell’equazione generalizzata a 3 pliche di Jackson & Pollock.

Tuttavia ribadiamo che il dato importante in questo tipo di analisi è la somma delle singole pliche e il loro andamento nel tempo, piuttosto che la stima della percentuale di grasso che rimane un dato molto approssimato che stimola solo la curiosità del cliente.

Ecco il grafico che determina tale stima servendosi dei valori “età del soggetto” e “somma delle 3 pliche”.

 

Grafico plicometria prima

Fabio ha ottenuto una stima di massa grassa che si aggira intorno al 15% sul totale del peso corporeo. Ciò significa che, secondo un modello bicompartimentale:

  • 12,5 kg sono a carico della massa grassa (83 kg x 0,15);
  • 70,5 kg sono a carico della massa magra (83 kg – 12,5 kg).

Utilizzando un’apposita tabella lo collochiamo in una fascia “Buono” in rapporto alla media per un uomo della sua età.

Tabella composizione corporea

Una volta raccolto i dati in merito alla sua composizione corporea è stato sottoposto a dei test di mobilità per le principali articolazioni (spalla, colonna, anca, caviglia) e quindi gli è stata preparata una scheda personalizzata, basata su una programmazione annuale di allenamento con sovraccarichi che ha visto l’alternanza di periodi di “ipertrofia”, “ibrido forza/pertrofia”, “forza” e “recupero attivo”.

Gli è stato consegnato inoltre una dettagliata dispensa con una lunga serie di consigli teorici e pratici per una sana e corretta alimentazione in assenza di cibi industriali e un apporto proteico commisurato al livello di attività.

Gli è stata infine ridotta la quantità di attività fisica settimanale giudicata esagerata, troppo stressante per l’organismo e non funzionale all’obbiettivo prefissato in sede di fit-check.

Il controllo dei risultati

Fabio è stato monitorato a distanza di tempo con altre cinque rilevazioni e tramite tabella sono stati confrontati i dati con le rilevazioni precedenti, calcolando millimetri di cambiamento e % di cambiamento.

Tabella risultati 1

Tabella risultati 2

Allo stesso modo sono stati raccolti anche i dati delle circonferenze antropometriche confrontati nelle cinque rilevazioni come segue:

Tabella circonferenze

La percentuale di massa grassa in tutte le sei rilevazioni ha dato risultati come da grafico sottostante portando Fabio da una % di massa grassa del 15% a una del 4.5 % con:

3,5 kg a carico della massa grassa (77,5 kg x 0,045)

74 kg a carico della massa magra (77,5 kg – 3,5 kg)

Grafico plicometria dopo

Riflessioni e discussione sui dati

Osservando i dati raccolti del percorso di Fabio si nota palesemente il crollo del valore della somma delle 3 pliche, che è passata in circa un anno da 48 mm a 15 mm e ciò ci fa dire con certezza che c’è stato un dimagrimento effettivo a prescindere dal valore del peso corporeo.

Si palesa un altro drastico calo del valore della circonferenza vita (-12.8 cm) e del valore della stima in % della massa grassa (15% – 4.5%).

Il passato sportivo di Fabio fa ipotizzare a una massa muscolare attiva e ben nutrita già presente ancor prima del periodo di training a cui è stato sottoposto e lascia intuire che il suo era principalmente un problema di tipo alimentare e di sovrallenamento.

Analizzando i valori iniziali e finali di % della massa grassa e della massa magra sul peso osserviamo che:

  • alla prima rilevazione Fabio presentava come visto 12.5 kg di massa grassa e 70,5 kg di massa magra
  • all’ultima rilevazione presentava 3.5 kg di massa grassa e 74 kg di massa magra

Ciò significa che Fabio ha incrementato la sua massa magra di 3,5 kg perdendo 9 kg di massa grassa, rivoluzionando positivamente la sua composizione corporea e il suo aspetto fisico.

Primo caso studio plicometria composizione corporea

Caso studio 2 – Protocollo a 7 pliche
Anamnesi

Nome: Luca D.

Età: 20 anni

Peso: 89 kg

Altezza: 1.83 m

Obbiettivo: aumento della massa muscolare.

Luca è uno studente di scienze motorie. Passa gran parte della sua giornata in università, dove quotidianamente si reca per seguire le lezioni. Vista la cospicua quantità di ore di pratica sportiva che caratterizza il suo corso di laurea possiamo classificare il suo stile di vita come “attivo” e con un discreto dispendio calorico settimanale. Ha sempre giocato a basket fin da quando era piccolo, interrompendo l’attività agonistica nel luglio del 2014. Si iscrive per la prima volta in palestra nel settembre del 2014 alla ricerca di nuove motivazioni e di un fisico migliore.

Non ha mai seguito diete particolari. Non fuma e non beve alcolici.

La valutazione iniziale

Durante il fit-check iniziale in data 11/10/2014 è stato sottoposto a una plicometria seguendo il protocollo a sette pliche.

  • Tricipite: 13 mm
  • addome: 11 mm
  • soprailiaca: 19 mm
  • sottoscapolare: 12 mm
  • ascellare: 7 mm
  • pettorale: 6 mm
  • coscia: 12 mm

Somma: 80 mm

E’ stato anche sottoposto alla misurazione di cinque circonferenze corporee.

  • Vita: 84,5 cm
  • Fianchi: 101 cm
  • Torace: 103,5 cm
  • Braccio disteso: 33 cm
  • Coscia: 64,5 cm

Tramite la specifica equazione è stato calcolato il dato puramente informativo di percentuale di massa grassa rispetto al peso totale. Da questo dato, per differenza, è stata ricavato il corrispondente dato per la massa magra.

Luca ha ottenuto una stima di massa grassa dell’11%. Ciò significa che, secondo un modello bicompartimentale:

  • 9,2 kg sono a carico della massa grassa (89 kg x 0,11);
  • 79,8 kg sono a carico della massa magra (89 kg – 9,2 kg).

Utilizzando un’apposita tabella lo collochiamo in una fascia “Buono” in rapporto alla media per un uomo della sua età.

Tabella composizione corporea

Una volta raccolto i dati in merito alla sua composizione corporea è stato sottoposto a dei test di mobilità per le principali articolazioni (spalla, colonna, anca, caviglia) e quindi gli è stata preparata una prima scheda personalizzata di una programmazione annuale di allenamento con sovraccarichi che ha visto l’alternanza di periodi di “ipertrofia”, “ibrido forza/pertrofia”, “forza” e “recupero attivo”.

Gli è stato consegnato inoltre una dettagliata dispensa con una lunga serie di consigli teorici e pratici per una sana alimentazione e un piano con indicazioni funzionali al suo obiettivo in termini di distribuzione giornaliera dei macronutrienti e calorie settimanali assunte.

Il controllo dei risultati

Luca è stato rivalutato a distanza di sette mesi e tramite tabella sono stati confrontati i dati con la rilevazione precedente, calcolando millimetri di cambiamento e % di cambiamento.

Pliche caso 2 (1)

Allo stesso modo sono stati raccolti anche i dati delle circonferenze antropometriche confrontati nelle due rilevazioni come segue:

 

Pliche caso 2 (2)

Riflessioni e discussione sui dati

Osservando i dati raccolti si registra un notevole incremento di peso tra una rilevazione e l’altra (+7,4 kg). La cosa interessante da notare è che a questo aumento di peso si accompagna anche un dato della somma delle pliche che è rimasto sostanzialmente invariato durante i sette mesi di training (+3 mm, un valore comunque accettabile e prevedibile tenendo conto del regime ipercalorico somministrato). Ciò ci permette di affermare con certezza che, la variazione di peso è attribuibile ad un effettivo aumento del tessuto magro in risposta all’allenamento e all’alimentazione proposti.

I drastici aumenti delle circonferenze non devono assolutamente preoccupare: se adeguatamente integrati con le corrispettive pliche locali confermano come tale variazione non sia imputabile ad un aumento di grasso bensì ad un aumento di tessuto magro.

In particolare, analizzando per semplicità i valori di circonferenza “Braccio” e “Coscia”, si osserva come nel primo caso il +4 cm di circonferenza si associa ad una plica “Tricipite” senza variazioni, mentre nel secondo caso il +1,5 cm si associa addirittura ad una lieve diminuzione della plica “Coscia” (-1).

Analizzando infine i valori iniziali e finali di % della massa grassa e della massa magra sul peso totale osserviamo che:

  • alla prima rilevazione Luca presentava come visto 9,2 kg di massa grassa e 79,8 kg di massa magra
  • all’ultima rilevazione presentava 10 kg di massa grassa e 86,4 kg di massa magra

Ciò significa che Luca in sette mesi ha incrementato la sua massa magra di 6,6 kg aumentando solo di 0,8 kg quella grassa il che, vista la sua prima esperienza in palestra, può rappresentare per lui un grande risultato. Raggiunto (dati alla mano) l’obiettivo prefissato, ha potuto affacciarsi all’estate con un nuovo obiettivo: mantenere i chili di muscolo guadagnati e diminuire quelli di grasso.

Prima e dopo secondo caso

Conclusioni

Con questi esempi abbiamo dimostrato come analizzare, monitorare e verificare i risultati del lavoro svolto ( anche attraverso la plicometria) rappresenti un dovere nei confronti del cliente, un servizio fondamentale e imprescindibile che aumenta la consapevolezza e la padronanza di ciò che stiamo facendo. 

Piantiamola di brancolare nel buio e procedere per sensazioni. Misurare è come possedere una torcia in un bosco di notte, ci illumina la strada, ci fa evitare gli ostacoli e ci guida più velocemente nella strada giusta verso la meta. Misurate, gente, misurate….. Soprattutto se come per la plicometria ed il metro, non costi praticamente niente.

Articolo del Dr Andrea Roncari

L'articolo La plicometria: come farla e come utilizzarla sembra essere il primo su Project inVictus.

Viaggio nella miofascia: le tre reti olistiche

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Ricominciamo il nostro viaggio alla scoperta della Fascia. Negli articoli precedenti abbiamo introdotto questo argomento con la parte più anatomica/fisiologica che per molti sarà stata un supplizio.
1.La miofascia: verso una visione olistica del corpo umano
2.La miofascia: plasticità del tessuto connettivo

Ora cominciamo ad entrare nel vivo dell’argomento ma prima di iniziare a parlare dei vari meridiani miofasciali, è necessario capire alcuni concetti, per non scadere in una mera descrizione del genere “La linea frontale comincia da….e passando di qua…arriva là”.

Iniziamo con questa semplice domanda: “quali sistemi fisiologici del corpo, se potessimo estrarli o eliminare tutto ciò che gli fa da contorno, ci mostrerebbero l’esatta forma corporea interna ed esterna? Quali sono veramente i sistemi olistici?” Quali sistemi collegano tutto il corpo?

Vesalio tentò di rispondere a tale domanda disegnando uno scheletro in contemplazione. Tale immagine fu sconvolgente per l’epoca e di grande impatto visivo.

Vesalio

Oppure senza andare troppo indietro, vi ricordate la canzone dei Chemical Brothers – Hey boy, hey girl?             In questo video a un certo punto in una discoteca si vede una massa di scheletri che ballano. Tuttavia riceveremo poche informazioni; ad esempio sulle espressioni facciali o sul vissuto della persona. Potremmo distinguere una maschio da una femmina grazie alla forma delle pelvi, questo sì, ma non avremmo informazioni su chi è grasso, magro, sedentario o sportivo, ecc.

Quindi, il sistema scheletrico non è il candidato ideale come sistema olistico.

L’apparato digerente e gli organi associati ci potrebbero dare delle indicazioni sugli stati emozionali grazie ai ritmi peristaltici ma anche lui risulta troppo incompleto come sistema olistico.
Il tessuto epiteliale, la pelle? Togliendo tutto e lasciando solo quella avremmo un’idea molto precisa del corpo, ma solo della sua parte esterna.

Quindi rimangono solo tre candidati: il sistema nervoso, circolatorio e fibroso.

La rete neurale

Sistema nervoso

Se togliessimo tutto ciò che è intorno al sistema nervoso questo mostrerebbe l’esatta forma del corpo. Vedremmo le innervazioni di ogni organo, sistema, apparato. Alcune aree, le più sensibili, saranno più dense. Direi quindi che il sistema nervoso è un candidato ottimo come prima rete olistica.

La rete fluida

Sistema fluido

Se rimuovessimo tutto lasciando solo il sistema circolatorio avremmo un’altra bella istantanea globale del corpo. Al centro il cuore, con arterie e vene principali e poi tutto il resto di questa fitta rete di tubicini. Questa rete vanta qualcosa come 100.000 km di canali. E se si includesse anche la circolazione linfatica e cerebrospinale questa istantanea del corpo sarebbe completissima. Tuttavia alcune zone come le cartilagini e i legamenti sarebbero poco o per nulla visibili poiché poco raggiunti da questo mare interno….per questo le lesioni in tali sedi sono più lente a guarire.

La rete fibrosa

Questa è il sistema fasciale, la terza linea di comunicazione lungo tutto il corpo. Rendendo visibili solo gli elementi fibrillari del tessuto connettivo, (collagene, reticolina, elastina) vedremmo tutto il corpo come nella rete neurale e vascolare ma in maniera molto più completa, con le cartilagini, legamenti, tutti i foglietti attorno ai muscoli e agli organi. Il centro di questa rete sarebbe il nostro centro di gravità nel mezzo della parte inferiore del nostro ventre, il cosidetto “hara” così caro e importante nelle arti marziali giapponesi e affini.

 La rete fasciale permea il corpo al punto di essere parte dell’ambiente vicino a ciascuna cellula.

Una teoria ancora da verificare vede questa rete come un’antenna biologica poiché il lattice molecolare che la compone può qualificarsi come cristallo liquido, ci sono ricerche in corso riguardo le proprietà elettriche della fascia.

Non vi sono molte raffigurazioni di questa rete poiché considerata qualcosa che copre, uno scarto che nascondeva i muscoli così cari agli anatomisti. Ma diciamo che tale rete è più o meno la stessa cosa della scorza di un’arancia che dalla superficie và in profondità separando i vari spicchi esternamente ed internamente.

Sistema fibroso

Sempre parlando di agrumi, spesso nei programmi di cucina si dice di far rotolare sotto la mano, schiacciandolo leggermente un Lime, per “spremerlo meglio”. Il lavoro di rilascio miofasciale funziona più o meno allo stesso modo, diminuendo o eliminando alcune tensioni strutturali in modo che i nostri “succhi” siano liberi di fluire in zone più “asciutte”.

Arteria, nervo, filo supremi

Ogni cellula è attorniata da un capillare, ma ciò che la nutre non sono gli eritrociti, ma il plasma che porta ossigeno, nutrimento e messaggeri chimici. Se il sangue è la fonte della vita, il nervo è il controllore, perché riporta i feedback al sistema centrale, senza una comunicazione costante perdiamo contatto con la periferia. Tra cellula capillare e nervi vi è una matrice di tessuto connettivo, una sorta di “filtro”. Più le maglie di tale filtro sono fitte e più l’olio (il plasma ) è denso, più tale compito diventa difficile.

Il nutrimento delle cellule è influenzato da:

  • densità della matrice fibrosa
  • viscosità della sostanza fondamentale.

Quindi sostanzialmente molti metodi manuali e di movimento agiscono su questi due aspetti per facilitare questo flusso.

Osteopatia

A livello Macroscopico ciò avviene nelle due principali cavità corporee dorsale e ventrale.

La dura madre, lo strato aracnoide e la pia madre sono involucri di tessuto connettivo che circondano e proteggono il cervello e sono a loro volta circondati e immersi nel liquido cerebrospinale (LCS). Queste membrane interagiscono col sistema nervoso e il LCS producendo una serie di pulsazioni palpabili all’interno della cavità dorsale e quindi nell’intera rete fasciale. Tali pulsazioni son note agli osteopati craniali che usano tale meccanismo, viene definito “respiro craniale”, teoria ancora da verificare con deboli evidenze scientifiche.

Sistema craniosacrale

Riassumendo il nostro viaggio sulla fascia e le reti olistiche
  • Tutte e tre le reti (Neurale, Liquida, Fibrosa), sono interconnesse e mischiate l’una all’altra.
  • Tutte e tre hanno una forma tubulare (neurone, fibre di collagene, capillare) con diametri diversi.
  • Tutte e tre trasmettono informazione (neurale: acceso spento, frequenza e ampiezza di segnale; fluida: informazioni chimiche tramite un mezzo fluido; fasciale: informazioni meccaniche, tensioni/compressioni)
  • Il sistema nervoso è il più veloce a comunicare, seguito dal circolatorio e infine dal fasciale che impiega anche mesi /anni.

Per concludere, un completo approccio al corpo fibroso, un approccio della medicina spaziale può essere ottenuto al meglio da un terapista che conosca e abbia esperienza in quattro aree interconnesse:

  • Le meningi e il perinevrio che circondano e pervadono i tessuti della cavità dorsale con metodi di osteopatia craniale e craniosacrale e sacro occipitale che lavorano sulle tensioni nervose avverse.
  • La sacca peritoneale e le inserzioni legamentose correlate della cavità ventrale con la manipolazione viscerale.
  • “L’involucro esterno” di miofascia che comprende tutti i meridiani miofasciali con metodi come terapia dei trigger points, rilascio miofasciale e integrazione strutturale.
  • “L’involucro interno” del periostio, capsule articolari, legamenti inspessiti, cartilagine e ossa con mobilizzazioni articolari, le tecniche di thrust dei chiropratici e osteopati e le tecniche di rilascio profondo dei tessuti molli.
  • Un quinto approccio è quello del movimento corretto biomeccanicamente e sano quindi con competenze di fisioterapisti, laureati in scienze motorie.

Grazie per l’attenzione e al prossimo articolo.

 

Bibliografia:

Anatomy Trains, Thomas W. Myers.
Becoming a Supple Leopard, Kelly Starrett
The Trigger Point Therapy Workbook: Your Self -Treatment Guide for Pain Relief, Clair Davis
Anatomia Clinica, Marinozzi.
Fascia, the tensional network of human body, Schleip et al.
The Roll Model, Jill Miller

 

Note sull’autore Andrea Colarusso
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Laurea Triennale in Scienze Motorie e Sportive
Laurea Specialistica in Scienza e Tecnica dello Sport- Sport di combattimento
Canali Postural Method 1° livello
Personal Trainer FIPE 3° livello
Specialista in Kettlebell FIPE
Istruttore FIPL 1° livello
Tirocinio di un anno presso Nazionale Olimpica Italiana Taekwondo.
Preparatore Atletico Club Scherma di Roma, settore Spada.
Istruttore Thai Boxe/ K1 FIGHT1
Creatore Satori Training PT .

 

 

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