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Allenamento metabolico nel bodybuilding

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Allenamento metabolico nel bodybuilding
Che cos’è l’allenamento metabolico nel bodybuilding?

Una risposta netta non può essere data, o meglio servono delle premesse. Possiamo dire semplicemente che l’allenamento metabolico nel bodybuilding è quella tipologia di training che prevede un’enfasi sullo stress metabolico a scapito di quello meccanico, quindi alti TUT, bassi carichi, alte ripetizioni e tecniche ad alta intensità.
Tutto chiaro adesso? No, è normale.

Dobbiamo quindi partire con l’analisi di diversi fattori che intervengono nei processi di adattamento all’allenamento portando ai nostri cari ed amati incrementi di forza e di ipertrofia muscolare. Andiamo per gradi.

Modalità di adattamento

Scomodiamo il principio della GAS (general adaptation syndrome) ed andiamo ad introdurre un concetto semplice: perchè “cresciamo”? Perché ci adattiamo.

É un principio molto più “poetico” in realtà, posto alla base della sopravvivenza della specie. Il nostro corpo non fa altro che interagire con l’ambiente esterno e adattarsi ad esso. Così, ricevuto uno stress, ci sarà una reazione del nostro corpo che ci “attrezzerà” per poterlo sopportare meglio. Sono concetti semplici che tutti sappiamo ma vale la pena comprenderli. Dunque facciamo un altro passo. Che tipo di stress porta agli adattamenti che vogliamo noi per migliorare nel bodybuilding? Ebbene ne possiamo generalmente identificare due principali: stress meccanico e stress metabolico. [1]

Stress meccanico

Ci si riferisce a stress meccanico come a quello derivante dal reclutamento ed intervento delle fibre muscolari. [2] In sostanza lo stress meccanico è direttamente proporzionale all’intensità dell’allenamento (più sollevate più stress meccanico avrete). Questa tipologia di stress è classica e tipica dei sollevatori di pesi (powerlifter e weightlifter) e meno comune tra i Bodybuilder dove si propende per l’utilizzo di carichi nel femoso “range ipertrofia” di 6-15 ripetizioni senza arrivare ai massimali. Da qui la falsa teoria secondo la quale con i carichi pesanti si ottenessero minori margini di adattamento ipertrofico (i powerlifter sono meno ipertrofici del Bodybuilder). Questa ideologia si sta abbandonando viste le ultime evidenze che sembrano proporre come elemento determinante per l’ipertrofia muscolare in primis il volume totale di allenamento (che difatti è tipicamente maggiore nei Bodybuilder rispetto ai Powerlifter, parlando di pro ovviamente).

Ci soffermiamo su quest’ultimo punto. Noi siamo incentrati sull’esercizio, sulla serie se deve andare o meno a cedimento, ecc. La fisiologia ci insegna invece che è il volume dall’allenamento (tonnellaggio totale) e la sua qualità (densità) a portare al risultato. La nostra tendenza è sempre quella di soffermarci sul dito senza scorgere la luna.

Stress Metabolico

Mentre tradizionalmente è stato individuato come principale responsabile dei processi ipertrofici lo stress meccanico, ultimamente si sta ponendo più attenzione a quello che è lo stress metabolico, vale a dire la risultante dell’accumulo di metaboliti, in particolare il lattato, il piruvato e gli ioni H+ [4] [5]. Mentre lo stress meccanico è tipico di carichi alti, lo stress metabolico è normalmente conseguente a sessioni di bodybuilding più tradizionale con TUT compresi tra i 40’’ e i 60’’ e particolarmente incentivato da tecniche di intensità varie (BFR ed in generale quelle che portano ad un pompaggio elevato).

Meccanismi di azione dello stress metabolico

Dove sta il vantaggio? La domanda è sempre questa alla fine. Dunque, vi sono diverse teorie circa i meccanismi attraverso i quali lo stress metabolico porti ad una risposta di adattamento ipertrofico (e a diventare grossi).

  1. Reclutamento delle fibre. Il “size-principle” prevede che maggiore è l’intensità più c’è un coinvolgimento delle fibre muscolari di tipo II (bianche, FT che dir si voglia) che sono, come sappiamo, le principali soggette a processi di crescita. Dunque secondo questo principio lo stress metabolico dovrebbe essere abbandonato in favore di quello meccanico. Vi sono però evidenze circa un ampio reclutamento di fibre di tipo II anche ad intensità poco elevate. Ci sono controversie circa i meccanismi per cui questo avvenga.
    Vi è chi propone che l’accumulo di ioni H+, inibendo la contrattilità muscolare, porti al necessario intervento di fibre aggiuntive per fronteggiare lo sforzo; oppure che potrebbe essere dovuto allo stato di ipossia che porta ad un metabolismo tendenzialmente anaerobico e quindi all’attivazione delle fibre di tipo II. Ad ogni modo questo fenomeno (mi par logico) avviene quando si raggiungono le soglie del cedimento [6] [7]; insomma se fate due curl con manubri da 1kg di certo l’attivazione sarà ben diversa. Ricordiamoci sempre che con carichi dell’80% l’attivazione muscolare delle fibre IIx è già completa e non servono carichi massimali (legge di Henneman).
    Comunque forse c’era un fondamento di verità nella frase di Arnold secondo cui le ripetizioni che fanno crescere sono le ultime che facciamo.
  2. Produzione Ormonale. Una teoria tanto logica quanto discussa sta nell’attribuire un ruolo centrale alla maggior produzione di ormoni anabolici con esercizi che portino ad un maggior stress metabolico (Hormone hypothesis) . Difatti, in seguito all’allenamento, possiamo assistere ad un incremento della produzione di IGF-1, GH, testosterone e prostaglandine (attivate dai processi infiammatori). Questo avviene a maggior ragione quando si va a creare un maggiore stress metabolico dunque allenamenti fortemente lattacidi ecc.. Problema è se questo effettivo aumento della produzione ormonale sia rilevante per incentivare una maggiore crescita anabolica. C’è ampia letteratura in merito ed un’analisi completa andrebbe fatta in parte. Vi è da dire comunque che la tesi maggioritaria propende per la tesi opposta considerando soprattutto di dover scindere effetti acuti ed effetti cronici, dunque, rapportando il tutto alle “24h” gli ormoni non avrebbero poi tutta questa importanza.
  3. Miochine. Il tessuto muscolare è un organo endocrino, rilascia alcune citochine e peptidi (messaggeri noti come miochine es. Interleuchina-6) che, secondo le ultime evidenze, assumono un ruolo nei processi che portano all’ipertrofia [8] [9]. In sostanza la tesi vuole che lo stress metabolico porti ad un “up-regulation” delle miochine anaboliche ed ad una “down-regulation” delle miochine cataboliche (in verità sarebbe quest’ultima azione quella più influente [10]). Tuttavia vi sono ancora molte lacune nelle ricerche, pertanto non sembra possano ancora darsi conclusioni sul tema.
  4. ROS (Reactive Oxygen Species) indotti dallo stress ossidativo. Qui si va sul pesante per cui non mi soffermerò molto, anche perchè in letteratura sono più i dubbi e le tesi che le certezze. Si tratta di prodotti intermedi dei processi cellulari di riduzione dell’ossigeno. La letteratura ha analizzato per lo più le conseguenze cui porterebbe la loro produzione da un lato in cronico e dall’altro in acuto. La tesi circa l’influenza sui processi di ipertrofia del muscolo scheletrico si basano su osservazioni circa il medesimo effetto sul muscolo cardiaco e sulla musculatura liscia [11] [12].
  5. Cell Swelling. Si riferisce allo stato di idratazione cellulare che porta ad un perfetto ambiente anabolico per permettere la crescita. Questo porta ad un aumento della sintesi proteica in differenti tipi di cellule [13] il che potrebbe portare ad una proliferazione di cellule satellite e la loro fusione con le miofibrille [14]. Questa teoria sembra invece abbastanza solida ed è stata incentivata sull’onda della promozione del BFR come tecnica di intensità. Difatti la compressione della vene durante l’esercizio porta ad un cambio osmotico cui le fibre FT (veloci) sono particolarmente sensibili, il che faciliterebbe il flusso di fluidi all’interno delle cellule [15].
Esempi di allenamento metabolico

Gli esempi lasciano un po’ il tempo che trovano, in verità avete già capito il concetto, si tratta di allenamenti tendenzialmente voluminosi con cairchi di intensità nel range tipico del Bodybuilding o anche inferiori. Mossa saggia l’inserimento di tecniche di intensità e metodologie che permettano il raggiungimento rapido di stati di ipossia locale (BR, flex between sets, peack of contrattino, ecc). Seguiranno degli articoli che tratteranno di specifiche metodologie di allenamento in pieno stile metabolico, così come alcune riflessioni. Intanto posso dare come personale consiglio, quello di utilizzare questa metodologia allenante in maniera ciclica e al tempo stesso permanente.

Mi spiego

Giusto impostare un intero workout in stile metabolico ma si tratta di un qualcosa di difficilmente sostenibile a livello del SNC (Sistema Nervoso Centrale). Ad un certo punto non ci si riuscirà più a “spremere” così tanto andando dall’inizio alla fine del workout ad un reale cedimento. Spesso, soprattutto nel neofita, il cedimento vero, quello oltre il quale non si può continuare, non si raggiunge quasi mai, al massimo si fanno due o tre “botte” parziali dopo il cedimento tecnico.
Sostenere un allenamento metabolico però è un qualcosa che si apprende con il tempo, se si è abituati a lavorare a buffer e di punto in bianco si lavora in metabolico non si ha la capacità di protrarre correttamente il lavoro verso un reale sfinimento. Questo porta a non raggiungere mai reali risultati.

Quindi?

In verità dobbiamo partire dal presupposto che stress metabolico e meccanico spesso combaciano e son due facce della stessa medaglia. Non sono un fan di allenamenti in puro stile PL. Credo che sia opportuno per il Bodybuilder lavorare un gruppo muscolare quasi sempre spingendosi a cedimento, almeno all’ultimo set. Bisogna intensificare (nel senso improprio del termine) le proprie sedute ed imparare a spingersi ed andare oltre. Non vuole essere un discorso motivazionale, è una semplice constatazione pratica. La gestione del cedimento è un qualcosa che si apprende lentamente e che si perde facilmente, è una qualità che va mantenuta sempre.

Arrivo al punto, il mio consiglio è di alternare periodi in cui si lavora “solo” con allenamenti metabolici (magari 1-3 settimane) ad allenamenti in cui si lavora con intensità elevate, buffer, ma si chiude il gruppo muscolare con una o più serie ad intensità inferiori, lunghi TUT e cedimento muscolare. Il discorso meriterebbe una trattazione a parte, che probabilmente farò, ma per ora mi fermo qui.

Analisi Critica

Lo stress metabolico nel bodybuilding sembra essere un fattore importante nei processi di adattamento. Ha il suo ruolo e su questo non ci sono dubbi. Il problema è il rapporto che intercorre con lo stress meccanico. Difatti i due concorrono sempre come effetto dell’allenamento e sembra difficile poter distinguere gli effetti dell’uno piuttosto che dell’altro. Vi sono peraltro evidenze, come detto sopra [3], circa un altrettanto forte potenziale di crescita dato dall’allenamento ad alta intensità (Powerlifting piuttosto che Bodybuilding) ove il volume totale fosse pareggiato.

In sostanza l’allenamento metabolico sembra essere UNO dei modi attraverso cui poter ottenere i risultati, UNO dei modi attraverso cui uscire dallo stallo ed UNO dei modi attraverso cui potersi divertire di più in palestra.

Sarò monotono ma alla fine la solfa è sempre quella.. Mix it up!

Bibliografia

[1] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20847704

[2] Essentials of Strength Training and Conditioning – Thomas R. Baechle,Roger W. Earle

[3] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26605807

[4] Tesch PA, Colliander EB, Kaiser P. Muscle metabolism during intense, heavy-resistance exercise. Eur J Appl Physiol Occup Physiol. 1986;55(4):362–6.

[5] Suga T, Okita K, Morita N, et al. Intramuscular metabolism during low-intensity resistance exercise with blood flow restriction. J Appl Physiol. 2009;106(4):1119–24.

[6] Smith RC, Rutherford OM. The role of metabolites in strength training. I. A comparison of eccentric and concentric contractions. Eur J Appl Physiol Occup Physiol. 1995;71(4):332–6.

[7] Holm L, Reitelseder S, Pedersen TG, et al. Changes in muscle size and MHC composition in response to resistance exercise with heavy and light

[8] Nielsen AR, Pedersen BK. The biological roles of exerciseinduced cytokines: IL-6, IL-8, and IL-15. Appl Physiol Nutr Metab. 2007;32(5):833–9

[9] Serrano AL, Baeza-Raja B, Perdiguero E, et al. Interleukin-6 is an essential regulator of satellite cell-mediated skeletal muscle hypertrophy. Cell Metab. 2008;7(1):33–44.

[10] Roth SM, Walsh S. Myostatin: a therapeutic target for skeletal muscle wasting. Curr Opin Clin Nutr Metab Care. 2004;7(3): 259–63.

[11] Takarada Y, Takazawa H, Sato Y, et al. Effects of resistance exercise combined with moderate vascular occlusion on muscular function in humans. J Appl Physiol. 2000;88(6):2097–106.

[12] Suzuki YJ, Ford GD. Redox regulation of signal transduction in cardiac and smooth muscle. J Mol Cell Cardiol. 1999;31(2): 345–53.

[13] Lang F, Busch GL, Ritter M, et al. Functional significance of cell volume regulatory mechanisms. Physiol Rev. 1998;78(1): 247–306.

[14] Dangott B, Schultz E, Mozdziak PE. Dietary creatine monohydrate supplementation increases satellite cell mitotic activity during compensatory hypertrophy. Int J Sports Med. 2000;21(1): 13–6.

[15] Frigeri A, Nicchia GP, Verbavatz JM, et al. Expression of aquaporin-4 in fast-twitch fibers of mammalian skeletal muscle. J Clin Invest. 1998;102(4):695–703.

L’articolo l’allenamento metabolico nel bodybuilding è di  Ludovico Lemme

Personal Trainer certificato ISSA e studente SaNIS (scuola di nutrizione e integrazione sportiva). Segue diversi atleti, sia dal vivo che online nel campo del Bodybuilding e del fitness in generale. Nel 2015 avvia il progetto Rhinocoaching con il quale si propone di creare una piattaforma di riferimento per i suoi atleti e per gli appassionati in generale.
Contatti: rhinocoachingofficial@gmail.com
Pagina FB: https://www.facebook.com/ludovicolemmemygrowth/
Sito Web: www.rhinocoaching.it

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Ab Wheel: per addominali da superman

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Ormai dovremmo saper rispondere alla domanda se  gli addominali fanno dimagrire?.  Tuttavia per un loro completo sviluppo e per mettergli bene in vista, aumentare la loro ipertrofia muscolare di qualche mm può essere utile. Non esiste esercizio che sviluppi e rafforzi gli addominali come l’AB Whell, quindi se manca nel vostro arsenale procuratevelo.

La prima premessa che dobbiamo fare è quella d’avvicinarvi all’Ab Whell solo se avete gli addominali abbastanza allenati, altrimenti rischiate di farvi male alla schiena o proprio alla guaina addominale. Dovete riuscire a bloccare il bacino in retroversione e mantenere questo assetto per tutto il movimento. Se lo perdete durante l’esercizio, rischiate parecchio.

Breve fisiologia del CORE

Quello che noi chiamiamo addominali è un insieme di diversi muscoli: Retto addominale, Obliquo interno, Obliquo esterno, Trasverso. In una visione più olistica del corpo possiamo aggiungere nel CORE: anche il Quadrato dei lombi ed il Multifido. Per completare il tutto a livello funzionale gli addominali fanno parte della catena anteriore, pertanto una loro contrazione è supportata dalla contrazione dello: Sternocleidomastoideo, Fasci del Gran Pettorale, Ileopsoas, Retto del femore, Tibiale anteriore.
In quest’ottica l’AB Wheel è un esercizio per gli addominali completo perché richiama ad attivarsi tutta la catena cinetica anteriore.

Catena muscolare anteriore

Propedeutica per l’AB Whell

Riuscire ad eseguire fin da subito, in modo completo l’AB Whell è sia ottimistico che pericolo. Conviene utilizzare la propedeutica che vi proponiamo ed arrivarci gradualmente. Su internet potete trovare altre propedeutiche, quindi cercate quella più adatta a voi, l’importante è il risultato finale.

STEP I

Ab wheel ginocchia

Il primo traguardo da raggiungere è arrivare a fare 30 ripetizioni appoggiando le ginocchia. Il movimento apparentemente semplice in realtà già coinvolge bene il torchio addominale. Se è la prima volta che usate l’AB Wheel non cercate d’arrivare subito a 30 e ricordatevi di scaldavi bene.

STEP II

Ab Wheel camminata

Ora che abbiamo una buona base su cui lavorare iniziamo a ad imparare a stabilizzare il CORE in modo dinamico ed asimmetrico. L’obiettivo è arrivare a fare 20 passi con le mani in avanti, 20 passi indietro, utilizzando l’AB Wheel appoggiato sui piedi.

STEP III

Ab Wheel Ginocchia

Il prossimo step con l’Ab Wheel prevede d’allenare la flessione d’anca utilizzando in sinergia ileopsoas e addominali.  Molto spesso si ha paura d’allenare l’ileopsoas, valutate la sua lunghezza e la sua forza per vedere se questo muscolo è accorciato, debole o forte:

L’obiettivo è riuscire a fare 30 ripetizioni (flessioni d’anca)

IV STEP

Ab wheel addominali libro

Il passo successivo prevede d’allungare la leva e di avvicinare l’Ab Whell alle mani senza flettere le ginocchia. Questo fa intervenire meno l’ileopsoas. Anche qui l’alto numero di ripetizioni è essenziale ma vi potete fermare a 20.

V STEP

Ab Wheel piano inclinato

Fino ad ora abbiamo creato le basi, per approcciare correttamente l’Ab Wheel. Ora dobbiamo crearci un piano inclinato con la possibilità di regolarlo a seconda della forza dei nostri addominali e del nostro CORE. L’obiettivo è riuscire a fare 10 ripetizioni, ogni volta che raggiungete questo numero abbassate l’inclinazione del piano.

VI STEP

AB WHEEL gambe divaricate

Finalmente possiamo farlo sul terreno, il penultimo step prevede di tenere le gambe divaricate. Questo accorcerà la leva e vi darà più stabilità. Arrivate a fare 3-5 ripetizioni prima di passare all’ultimo livello.

VII STEP

AB wheel addominali

Ecco arrivati alla fine finalmente possiamo dire d’essere padroni dell’Ab Wheel,  possiamo affermare d’avere degli addominali d’acciaio. Arrivate a fare 3-5 ripetizioni e potrete definirvi “uomini”.

Conclusioni sull’Ab wheel ed gli addominali

L’AB Whell è un attrezzo utile per allenare il CORE, da risultati sia dal punto di vista funzionale, sia da quello estetico. Utilizzatelo un paio di volte a settimana e prendetevi il tempo necessario per arrivare a concludere la propedeutica. Più siete alti e più sarà impegnativo. Quando sarete arrivati alla fine vi renderete conto che tutta la forza del vostro corpo sarà migliorata, perché come ormai ben sappiamo, non possiamo sparare con un cannone da una canoa.

Rafforzate il vostro CORE!

 

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Omega 3 e 6 – Dite “Ciao Ciao” al burro di arachidi.

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Per parlare di rapporto omega 3 e 6 (ω3 e ω6) devo necessariamente fare una breve premessa.
Innanzitutto non tutti gli omega 3 e 6 sono essenziali. Sembra banale ma gli unici acidi grassi essenziali sono l’acido alfa linolenico (della serie ω3) e l’acido linoleico (della serie ω6), polinsaturi a catena lunga che il nostro corpo non può sintetizzare e che sono fondamentali per la sintesi di alcuni acidi grassi. Fatta questa doverosa precisazione (visto che leggo ovunque che EPA e DHA sono acidi grassi essenziali), bisogna conoscere qualcosa in più per capire perché è importante sapere gestire come si deve il rapporto tra queste due tipologie di acidi grassi.

Omega 3 e 6

Detta nel modo più schematicamente possibile accade che:
linoleico (ω6) → viene convertito in acido arachidonico (che a sua volta darà “vita” a prostaglandine, trombossani e leucotrieni della serie 4)
linolenico (ω3) →viene convertito in EPA (che produrrà anch’esso trombossani, prostaglandine e leucotrieni della serie 5) e DHA (vedi dopo)

Prostaglandine, Trombossani e Leucotrieni sono definiti genericamente EICOSANOIDI (letteralmente che derivano da un acido grasso a 20 atomi di carbonio). Sono prodotti in tutte le cellule (tramite ciclossigenasi e lipossigenasi) e modulano una serie di processi:

– Prostaglandine: regolano infiammazione, dolore e febbre
– Trombossani: regolano la costrizione di vasi sanguigni
– Leucotrieni: sono implicati nella risposta infiammatoria, nell’asma e nelle allergie

Gli eicosanoidi vengono prodotti a partire da entrambi gli acidi grassi (sia arachidonico che EPA), però sono di serie diversa e quindi hanno effetti diversi. Sono molti e sono molte le funzioni in cui sono coinvolti. Ovviamente, tralasciando i problemi che possono derivare da una carenza di acidi grassi essenziali (abbastanza rara sinceramente visto il fabbisogno infinitesimale), per quanto riguarda l’equilibrio tra i due tipi è importante sapere che possono dare peggioramenti/benefici in alcune condizioni particolari, ovvero:

Omega 3 e 6 e TROMBOSI

– Il trombossano A2 (sintetizzato a partire dell’arachidonico nelle piastrine) stimola vasocostrizione e aggregazione piastrinica;
– La Prostaciclina 12 (sintetizzata nella parete dei vasi a partire dall’arachidonico) stimola vasodilatazione e inibisce l’aggregazione piastrinica;
– La Prostaciclina 13 (sintetizzata a partire da EPA) ha le stesse funzioni della 12;

Quindi: aumentando il consumo di ω3 con conseguente aumento di conversione in EPA si avrà:

–  Sostituzione dell’arachidonico a favore dell’EPA nelle membrane piastriniche con conseguente diminuzione della produzione di Trombossano A2 (e dei suo effetti)
– La produzione di Prostaciclina 12 viene ridotta ma aumenta quella della Prostaciclina 13, che ha praticamente gli stessi effetti “positivi” sulla situazione.

Tutto ciò si traduce con una riduzione del rischio di trombosi ed ad un aumento della fluidità del sangue.

Omega 3 e 6 e INFIAMMAZIONI, ASMA, ECZEMA ecc

L’acido arachidonico porta a produrre i Leucotrieni di serie 4, che sono molto infiammatori (semplificando) mentre i Leucotrieni di serie 5, prodotti a partire dall’EPA sono molto meno attivi e non inducono un aumento importante nella risposta infiammatoria. Anzi pare la riducano.
Va da se che l’aumento di ω3 rispetto ad ω6 e l’aumento di EPA e Leucotrieni di serie 5 possa portare beneficio in tali patologie (questo spiegherebbe il miglioramento di alcuni sintomi clinici sperimentati da colori che soffrono di artrite reumatoide e che consumano quantità significative di pesce)

Omega 3 e 6 e SISTEMA IMMUNITARIO

Gli ω3 modulano anche la produzione di citochine, interleuchine incluse, e i fattori di necrosi tumorale che sono coinvolti nella regolazione del sistema immunitario.

A questo punto viene da chiedersi, ma il DHA?
Il DHA, o acido docosaesaenoico (se lo ripetete tre volte al buio davanti ad uno specchio ingrassate 30kg), è un acido grasso importante per la sintesi dello sperma e dei fosfolipidi cerebrali, in particolare nella retina. L’assunzione con la dieta di DHA pare possa ridurre il livello dei trigliceridi plasmatici (vi ricordate l’articolo sull’olio di cocco in cui si citava la differenza degli effetti di ω3 sui topi e sull’uomo? Riguardava gli ω3 e in particolare il DHA derivante). Però ha poco a che fare in relazione all’ω6 anche se è di fondamentale importanza per altri motivi.

Sapendo tutto questo non ci vuole un genio a capire che è importante quanto tralasciato, regolare opportunamente il bilancio tra questi due acidi grassi derivati dall’alimentazione.

Il fabbisogno raccomandato di acidi grassi essenziali è il seguente:
Omega 6: 1-2 % dell’energia/die Omega 3: 0.2-0.5 % dell’energia/die
Rapporto n6/n3 5:1 – 10:1

Rapporto omega 3 e 6

Attualmente nei paesi occidentali si aggira intorno a 15:1 (ma anche di più), questo perché:
1) sembra assurdo nell’ormai 2016 ma pare che un sacco di gente consumi olio di girasole e mais per condire e cucinare (colpa delle vecchie pubblicità dell’olio Cuore e raccomandazioni ormai “andate” ) che sono ricchi di ω6 e poveri di ω3
2) Basso consumo di pesce, sia per una questione di costi proibitivi, sia per la questione (a volte esagerata) sui metalli presenti nelle acque inquinate (cioè ovunque)
3) Basso consumo di verdure e alcuni semi ricchi di omega 3
4) Il boom della frutta secca (per non parlare del burro di arachidi che è na droga, almeno per me :) ) che ha molti benefici ma che prevalentemente è ricca di ω6

Va specificato che nei cibi si trovano ω6 e ω3 di vario tipo (non solo linoleico e alfa linolenico), quindi anche EPA, DHA e Arachidonico.

Come regolarsi col rapporto omega 3 e 6

Fonti omega 3 e 6

– Aumentate il consumo di pesce grasso, il salmone (ω6/ω3 1:10) è il re degli ω3, ma anche le più economiche alici (ω6/ω3 1:8) e lo sgombro (ω6/ω3 1:6) ne sono ricche, nonché tonno e pesce spada.
– Limitate la frutta secca. Questo sembra contro corrente lo so, la frutta secca fa bene e lo so, però va limitata. Tre noci al giorno sono sufficienti e sono quelle con il miglior rapporto (ω6/ω3 5:1) [sto già piangendo per il mio adorato burro di arachidi!]

– Ricordatevi di consumare verdure a foglie larghe, si, non mi sono confusa. Ad esempio gli spinaci (ω6/ω3 1:5) o broccoli e cavolo cappuccio verde (ω6/ω3 1:5)
– Per le carni in genere, che hanno una prevalenza di omega 6, non strafate con la quantità se non è supportata da un bilancio opportuno di cibi ricchi in ω3
– Olio (spremuto a freddo) e Semi di lino (ω6/ω3 1:4), sono ricchi di ω3 e poveri di ω6, il che se come scelta esclusiva non li rende ottimali, sono perfetti per controbilanciare un’alimentazione troppo a favore degli ω6.

Cottura e conservazione degli omega 3 e 6

In linea generale la cottura dei lipidi ha degli aspetti positivi (senza superare il punto di fumo) sulla digeribilità. Questi aspetti vanno a farsi benedire se parliamo di polinsaturi che sono molto sensibili dal punto di vista termico e infatti gli oli che ne sono ricchi non godono di un punto di fumo alto. Cuocendoli a temperatura non idonea avviene la formazione di perossidi (tramite interazioni con ossigeno molecolare). Questi ultimi, oltre a modificare i PUFA e di conseguenza alterarne le funzioni, comportano la produzione di stress ossidativo e radicali liberi, molecole instabili che interagendo facilmente con molecole prossime, ne compromettono la funzione (vedi danno cellulare).

Questo discorso vale ovviamente sia per gli omega 3 che per gli omega 6.

Bisogna quindi fare molta attenzione ai tipi di cottura. Le fritture e la cottura alla brace (“mi sparo un bel filetto di salmone arrostito” cit) sono da evitare. Sebbene uno studio (da verificare) abbia dimostrato che cuocere una torta, anche con olio di girasole (uno dei più delicati), per 40′ a 180° in forno, conservi il 95% dei polinsaturi, bisogna sempre considerare la torta come “composto”, non come singolo alimento. Quindi si alla cottura in forno, ma a basse temperature (65°), tanto il pesce si cuoce rapidamente. O si potrebbe optare per sushi e sashimi.

Ok la cottura a vapore, o la bollitura per pochi minuti e con riutilizzo dell’acqua di cottura (nel caso delle verdure). Anche il microonde sembra essere una buona tecnica.
Per noci, semi e olio di lino è molto più semplice non cuocerli e non tostarli, al naturale sono buoni lo stesso.

Il discorso conservazione riguarda lo stesso processo di perossidazione (che può avvenire sia per calore sia per esposizione alla luce/aria). Non è difficile far caso che anche nelle capsule di olio di pesce vi è una quota di vitamina E aggiunta. Questo accade per preservare l’olio dall’irrancidimento.
E’ bene quindi conservare pesce e verdure possibilmente sottovuoto o in contenitori adatti. Per i semi magari tenerli in buste alimentari o contenitori ben chiusi. Per quanto riguardo l’olio di lino, è molto sensibile e quindi va tenuto in contenitori scuri e magari nella parte meno fredda del frigo, anche se in caso di irrancidimento è facile accorgersene (puzza di cani morti).

Un consiglio che potrebbe essere utile quando assumete omega 3 e 6 è quello d’assicurarsi d’assumere la giusta dose di vitamina C ed E. La prima proteggerà i grassi polinsaturi nel flusso ematico (idrosolubile), la seconda all’interno della cellula (liposolubile).

L’angolo delle cazzate sugli omega 3 e 6

Come sempre sul web la vita è bianca o nera, così si leggono genialate del tipo:

Gli ω6 provocano le malattie infiammatorie!
Gli ω3 riducono l’infiammazione al 100%!
Gli ω6 sono tossici!
Lo squilibrio ω3/ω6 provoca malattie cardiovascolari, infiammazione quindi tumore, artrite reumatoide, allergie e chi più ne ha più ne metta.

Stiamo calmi. Il rapporto ottimale prevede in ogni caso una dose ω6 dalle 5 alle 10 volte superiore a quella degli ω3, esattamente come nel latte materno. Quindi meno stupidate e più pratica. NON BISOGNA ELIMINARE ω6, ma ridurli (o meglio aumentare ω3) SE nella nostra alimentazione sono eccessivi rispetto agli ω3. Non è il cucchiaino di burro di arachidi a farvi sballare il rapporto ma più verosimilmente tutto il contesto.

L’obiettivo generale è quello di informarsi e regolarsi, non di prendere posizioni a caso. Inoltre, in alcune scelte dietetiche che escludono tanti alimenti, c’è il rischio di avere il problema opposto, a botta di kg di salmone e semi di lino. Come sempre, attenzione e moderazione!

Bibliografia:

– Manuale di nutrizione applicata – Pacioni, Riccardi, Giacco, Rivellese – Sorbona – Introduction to Nutrition and Metabolism – D.A. Bender
– Mann – Essentials of Human Nutrition 2e (Oxford, 2002)
– Appunti e Slide lezioni di medicina interna , Rivellese
– Stability of essential fatty acids and formation of nutritionally undesirable compounds in baking and shallow frying. Journal of the American Oil Chemists – Hrncirik K & Zeelenberg M (2013)

Articolo sugli omega 3 e 6 è di Valeria Cangiano 
Laureanda in Dietistica alla Facoltà di Medicina e Chirurgia Federico II. Appassionata di nutrizione sportiva e powerlifting. Ha un suo blog sull’alimentazione e l’attività fisica.

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Come sviluppare i pettorali quando sono carenti

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Specializzare uno o più gruppi muscolari carenti è una necessità della quasi totalità degli atleti che si allenano con finalità estetiche, salvo pochissimi fortunati nati con proporzioni già perfette, ci sono sempre alcuni gruppi muscolari che stentano a crescere mentre altri sembrano svilupparsi anche con uno stimolo minimo. In questo caso si ricorre a protocolli di specializzazione, in cui si aumenta notevolmente la quantità, la varietà e la qualità dello stimolo su un determinato gruppo muscolare mentre viene alleggerito il carico di lavoro per gli altri gruppi. In questo articolo dopo una doverosa premessa vedremo come sviluppare i pettorali quando sono carenti.

Una doverosa premessa sui gruppi muscolari rimasti indietro

Petto carente

Vediamo che logica seguire e su quali parametri lavorare per strutturare un programma di specializzazione.

  • Aumento della frequenza di allenamento e del volume di lavoro totale settimanale

Il volume di lavoro totale sul lungo periodo (di solito viene presa in considerazione la settimana come intervallo temporale per comodità), è probabilmente la discriminante più imporante che influenza l’ipertrofia muscolare. Il metodo migliore per aumentare il volume di lavoro totale è quello di distribuirlo in sedute più frequenti con un volume di lavoro medio che apporta uno stimolo adeguato ma allo stesso tempo permette di recuperare abbastanza in fretta da poter stimolare nuovamente a distanza di poco tempo il gruppo muscolare.

  • Stimolazione di tutte le qualità che concorrono all’ipertrofia

Come sappiamo (ho trattato l’argomento in questo articolo ->) l’ipertrofia ha un adattamento multifattoriale, e cioè sono tante e diverse le capacità da allenare per massimizzarla.
Le principali sono : danno meccanico, tensione progressiva, accumulo di metaboliti come l’acido lattico e l’espansione della fascia muscolare tramite il cosidetto “pompaggio”.

In un programma di specializzazione, sfruttando l’alta frequenza con cui un gruppo muscolare viene allenato, saranno stimolate tutte e tre queste capacità all’interno della stessa settimana (o microciclo), modulando i parametri di allenamento (carichi utilizzati, volume di ripetizioni, tempi di recupero, tecniche di intensità, scelta del tipo di esercizio) a seconda del tipo di lavoro che si vuole svolgere e del tipo di stimolo che si cerca di apportare.

Modulazione del carico di lavoro sugli altri gruppi muscolari

La capacità del corpo di sintentizzare nuova massa muscolare è limitata, in tal senso quando si cerca di ottenere la massima crescita possibile nel minor tempo possibile, di un determinato gruppo muscolare, lo stimolo sugli altri gruppi va ridotto al minimo sufficiente a mantenere la massa e forza già ottenuti precedentementi e non stimolare crescita ulteriore.

Un errore comune è quello di aumentare il lavoro su un gruppo specifico ma non bilanciarlo abbassando abbastanza il lavoro sugli altri gruppi, penilizzando lo sviluppo del muscolo che si cerca di migliorare di più e allungando drasticamente i tempi di recupero, nei casi peggiori si arriva a fare una mole complessiva di lavoro superiore alle capacità di recupero dell’organismo sperimentando addirittura dei peggioramenti.

Modulazione dell’intensità durante la settimana

Tutti quelli che hanno una discreta esperienza in sala pesi sanno che non è possibile allenare allo stremo, al massimo delle possibilità e dell’intensità, un gruppo muscolare con una frequenza alta.

L’intensità dovrà essere modulata nelle varie sedute, abbastanza alta da essere allenante ma non eccessiva da inficiare il recupero e compromettere gli allenamenti successivi.

Accurata ed intelligente scelta degli esercizi

Esercizi pettorali

Gli esercizi sono strumenti, e come tali vanno utlizzati. Non andremo alla ricerca dell’esercizio “migliore” ma utilizzeremo un’ampia gamma di movimenti scegliendo di volta in volta quelli più adatti al lavoro che vogliamo svolgere. Più che forzare l’esecuzione di determinati esercizi poco adatti ad un determinato lavoro, utilizzeremo altri movimenti e strumenti che meglio si prestano ad apportare un determinato stimolo.

Durante un protocollo di specializzazione la dieta dovrà ovviamente essere ipercalorica, con un surplus tanto maggiore quanto è grande il muscolo da specializzare (allenare con grosso volume totale, 3 volte a settimana, le gambe comporta una certa spesa energetica, farlo con i bicipti ovviamente comporta un dispendio energetico molto differente), per approfondire leggi anche l’articolo su come accelerare il metabolismo,  ci dovrà essere adeguato riposo sistemico (sconsiglio più di quattro sedute di allenamento con i pesi settimanali, massimo cinque per i veri fenomeni con capacità di recupero straordinarie).

Prima di iniziare un programma di specializzazione è bene analizzare il perchè il gruppo che si vuole potenziare è carente, spesso le cause sono :

  • Errata tecnica di esecuzione e controllo del muscolo durante gli esercizi che lo interessano, più utilizziamo esercizi multiarticolari, più rischiamo di coinvolgere meno il nostro muscolo target. Ovviamente non stiamo sconsigliando i multiarticolari ma solo evidenziando che con loro è più facile sbagliare.
  • Struttura fisica soggettiva che fa si che nei classici esercizi per il dato gruppo muscolare, i sinergici svolgano gran parte del lavoro lasciando il gruppo target  stimolato poco e male (qui centra la struttura e non la tecnica d’esecuzione).
  • Non aver mai allenato il gruppo carente con la stessa intensità e volume degli altri gruppi (ad esempio allenarlo sempre dopo altri e mai da freschi ad inizio allenamento.)

Come sviluppare i pettorali quando sono carenti

Anatomia pettorale

Nel caso specifico del petto, un perfetto controllo scapolare, una buona propriocezione muscolare e l’adeguata tecnica di esecuzione sono fondamentali per evitare che in tutte le forme di spinte gran parte del lavoro non venga svolto dai deltoidi anteriori e dai tricipiti. Se non vengono prima curati questi aspetti fondamentali è inutile iniziare programmi di specializzazione.

Nel programma che proporremo non sono presenti distensioni su panca con il bilanciere ed il motivo è semplice: gia è stato trattato accuratamente in questo articolo di Marcello Delfitto sulla panca piana nel bodybuilding, il motivo per il quale la panca piana è sconsigliata (ed in modo analogo le distensioni con bilanciere in angoli simili) è quando ci troviamo di fronte soggetti con un certo tipo di struttura.

Se un atleta è interessato ad un programma di specializzazione del petto probabilmente non è uno di quelli strutturalmente fortunati per lo sviluppo di questo gruppo muscolare, e poichè le distensioni con bilanciere sono esercizi altamente sinergici, dove giocoforza deltoidi e tricipiti vengono pesantemente chiamati in causa, più che forzare l’esecuzioni per minimizzarne il lavoro sui sinergici, trovo più logico usare esercizi alternativi che meglio si sposano con il lavoro che si cerca di fare.

Nella pratica la specializzazione per i pettorali

Fatta questa doverosa introduzione, scendiamo nel pratico e vediamo come applicare questi concetti ad un programma di specializzazione per i pettorali:

Alleneremo il petto tre volte a settimana a giorni alterni (ad esempio lun-merc-ven o mart-giov-sab) puntando su una qualità ed un tipo di stimolo diverso in ogni seduta (danno meccanico, pump e lavoro metabolico, tensione progressiva) mentre il lavoro sui restanti gruppi muscolari sarà ridotto al minimo, e potrà essere suddiviso o in un volume medio con una bassa frequenza (una volta ogni 7-10 giorni) o in un volume basso con un frequenza media (una volta ogni 4-6 giorni).

Utilizzeremo molti esercizi e strumenti diversi :

  • Distensioni su panca in vari angoli con manubri
  • Piegamenti e Parallele agli anelli o analoghi supporti indipendenti convergenti (di cui ho spiegato i vantaggi nell’articolo degli esercizi alternativi per sviluppare il pettorale )
  • Distensioni e croci in vari angoli ai cavi
  • Esercizi posturali importanti per mantenere il corretto equilibrio a livello delle spalle come pullover con manubrio e facepull con corda.

Come sviluppare i pettorali

Giorno 1 – Danno meccanico muscolare

In questa seduta, punteremo ad apportare uno stimolo prettamente meccanico al muscolo in modo da danneggiarlo il giusto per stimolarne la successiva supercompesazione.
Per fare ciò utilizzeremo carichi medio alti (6-8RM) enfatizzando l’eccentrica e il fermo in allungo e tempi di recupero lunghi (2-3 minuti), poichè ci interessa mantenere i carichi alti durante le serie, e non produrre scorie metaboliche o esaurire il glicogeno, che sarà un lavoro dedicato ad un’altra seduta.

Per arrecare un buon danno meccanico è necessario scegliere esercizi che permettono di sovraccaricare molto il muscolo in eccentrica e presentino un forte allungo sotto carico.

La scelta migliore in questo caso sono le distensioni con manubri pesanti, o i piegamenti e le parallele agli anelli sovraccaricati.

Ne utilizzeremo due, uno che lavori più sul piano declinato (fasci sternali ed addominali) ed uno che lavori più sul piano inclinato (fasci sternali e clavicolari).

Un’ottima scelta potrebbe essere :

  • Distensioni su panca inclinata (20-30°) con manubri 5x6RM 3 min di recupero
  • Parallele con gomiti larghi (stile gironda) agli anelli con sovraccarico al collo (tramite catene, funi etc) 4x8RM  2’30’’ di recupero

Entrambi gli esercizi verrano eseguiti con una negativa enfatizzata di 3-4 secondi, un fermo in basso in massimo allungo di due secondi ed una concentrica esplosiva, con un rom completo (evitando solo il blocco articolare a fine concentrica)

Un’interessante tecnica da sperimentare in questa seduta è quella di utilizzare esercizi in cui la fase negativa sia sovraccaricabile di più della positiva. Sappiamo che è la fase eccentrica del movimento quella che arreca più danno muscolare, e che il muscolo è notevolmente più forte in questa fase (20% e più).

Esercizi che si prestano sono i piegamenti agli anelli larghi, in cui eseguiremo normalmente la concentrica, mentre l’eccentrica l’eseguiremo come una croce cercando di distendere le braccia ed aumentare così la leva e il carico effettivo sui pettorali, e le spinte con manubri che possono essere eseguite allo stesso modo con concentrica classica ed eccentrica simil-croce.

Questa tecnica può essere molto gravosa sulle articolazioni delle spalle dato gli alti carichi utilizzati quindi usatela con parsimonia e valutate se le vostre articolazioni ve lo permettono.

L’obiettivo sul lungo periodo sarà aumentare i carichi utilizzati a parità di ripetizioni (Progressione d’intensità di carico).

Nello schema proposto viene svolto prima l’esercizio che enfatizza il lavoro sulla parte clavicolare, e dopo quello che lo enfatizza sulla parte sterno-addominale. Nel caso si voglia dare la priorità alla fascia sterno-addominale del petto si può invertire l’ordine degli esercizi, però svolgendo sempre il primo con un %RM e un recupero maggiore rispetto al secondo.

Giorno 2 – Pump e lavoro metabolico

In questa seduta, diametralmente opposta alla prima, punteremo a produrre tanto acido lattico e scorie metaboliche per ottenere un buon pump e stirare così la fascia. Per fare ciò utilizzeremo carichi relativamente bassi (intorno il 15 RM) tempi di recupero brevi (60 secondi o inferiori), tecniche quali stripping e super serie ed esecuzioni in tensione continua, utilizzando esercizi che tengono la tensione costante su tutto il rom e permettono una forte contrazione di picco in massimo accorciamento.

Esercizi che si prestano ad un lavoro del genere sono:

– Piegamenti agli anelli larghi (se si è in grado di eseguirne almeno 12-15 con il proprio peso corporeo)
– Distensioni e croci ai cavi

Un ottimo schema può essere:

  • Piegamenti agli anelli larghi oppure distensioni su panca declinata con manubri oppure Chest Press se si dispone di modelli adeguati : 4x15RM 60’’ di recupero, con contrazione di picco di due secondi in massima concentrica (unendo le mani)
  • Crossover ai cavi alti : 3×12+max+max in stripping scalando ogni volta circa il 20% del carico, contrazione di picco di due secondi in massimo accorciamento
  • Croci in piedi dal basso in alto ai cavi + Pullover Man distesi su panca (piedi su panca) 3x15RM+15RM

Il Pullover con manubrio è un esercizio altamente sinergico dove il motore principale è il capo lungo del tricipte ma un enorme lavoro è svolto anche dai fasci addominali del petto e dai dorsali. Eseguendolo in superserie con il petto gia molto congestionato, lo renderemo il muscolo limitante del movimento e contemporaneamente aumenteremo il tempo sotto tensione. Il pullover enfatizza l’estensione del tratto dorsale della colonna vertebrale. Questa zona fisiologicamente non è fatta per estendersi. Se avete problemi articolari in questa zona evitatelo, altrimenti la vostra struttura assorbirà tutti gli insulti senza problemi.

I carichi in questa seduta sono di importanza secondaria, non ci interessa sviluppare un’alta tensione ne reclutare tutte le fibre muscolari o apportare danno muscolare, ma solo produrre scarti metabolici e stirare la fascia.

L’obiettivo sul lungo periodo sarà abbassare i tempi di recupero a parità di ripetizioni (Progressione di densità).

Giorno 3 – Tensione progressiva

In questa seduta l’obiettivo sarà sviluppare una tensione sufficientemente alta per un tempo sotto tensione sufficientemente alto, per far ciò utilizzeremo un range di ripetizioni medio (8-10RM) esercizi che mantengono la tensione costante durante tutto il movimento ma ci permettono anche di usare carichi adeguati, eseguiti con una velocità di esecuzione controllata ed una tensione continua con recuperi medi (90-120sec)

Un ottimo schema può essere:

  • Piegamenti o Parallele agli anelli zavorrati o distensioni su panca declinata con manubri : 5x8RM 2′ di recupero
  • Distensioni su panca piana con manubri : 4x10RM 90″ secondi di recupero
  • Chest Press Inclinata (se si dispone di un modello adeguato) o spinte ai cavi su panca inclinata : 3×10 90″  di recupero.

L’obiettivo sul lungo periodo sarà quello di aumentare il numero di serie per esercizio, a parità di carico e ripetizioni (progressione di volume).

Nel caso ripetere il giorno 1 dopo il giorno 3 risulti troppo stressante e non si riesca a recuperare si può inserire un ulteriore giorno di Pump leggero senza tecniche di intensità, in cui viene solo leggermente stimolato il muscolo e aumentato l’afflusso di sangue ad esso per velocizzare il recupero.

L’allenamento degli altri gruppi muscolari

Per quanto riguarda gli altri gruppi muscolari il volume di “mantenimento” è soggettivo e relativo al livello dell’atleta.

5-8 serie ogni 4-6 giorni oppure 10-12 serie ogni 7-10 giorni per i gruppi grandi (dorso, gambe) e un volume leggermente inferiore per i gruppi più piccoli (spalle, braccia, polpacci etc) potrebbe essere adeguato.

Consiglio durante la specializzazione del petto di allenare la parte alta della schiena e specialmente romboidi, fasci medi ed inferiori del trapezio e deltoidi posteriori almeno due volte a settimana per mantenere un giusto equilibrio a livello delle spalle ed una postura corretta.

Facepull con corda con extrarotazione, Rematori con manubri su panca a 30° con gomiti aperti e larghi sono ottimi esercizi per questo lavoro.

Conclusioni

Il ciclo di specializzazione può durare dalle 3 alle 8 settimane, poi è bene effettuare uno scarico generale ed aspettare almeno 6-8 settimane prima di riprendere eventualmente un altro periodo di specializzazione dello stesso gruppo muscolare. Come sempre ottonerete il risultato se riuscirete ad aumentare i parametri d’allenamento e se abbinerete il giusto mix di stimolo-alimentazione-recupero.

L’articolo: come sviluppare i pettorali quando sono carenti, è di Domenico Aversano
Domenico è un personal trainer certificato ISSA (CFT3), istruttore di Body Building certificato IFBB italia, studente di biologia generale ed applicata presso l’università degli studi di Napoli Federico II e grande appassionato di tutto ciò che concerne l’allenamento e l’alimentazione.

Guarda i nostri video sugli esercizi per il grande pettorale, sulla sua anatomia ed i relativi test

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Dieta per dimagrire: cosa non devi mai dimenticare

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Nella società dell’abbondanza tutti vogliamo essere più magri.  Da questo irrefrenabile desiderio ogni anno miliardi di euro vengono spesi per pastiglie, pomate o nuovi libri che vendo una miracolosa dieta per dimagrire. Purtroppo non è così facile trovare una soluzione, chi riesce a creare un prodotto o un regime alimentare efficace, diventa l’uomo più ricco del mondo. Caro lettore, sappi che qui non troverai rimedi miracolosi, segreti nascosti o trucchi magici, ma tanto buon senso, che associato all’impegno e alla costanza porterà a risultati insperati.

Questo approccio è estremamente semplice , estremamente efficace, ma quasi nessuno lo adotta, perché? Perché ci vuole perseveranza e quando vogliamo perdere peso il tempo svolge un ruolo determinante. Vuoi il tutto subito? Vai in farmacia e compra il nuovo incredibile integratore, la dieta per dimagrire in modo efficace segue un’altra strada.

Mettiti il cuore in pace, il segreto è che non esistono segreti. Non ci sono macronutrienti pericolosi, orari strani da rispettare,  abbinamenti da fare, alimenti da salvare o condannare. Esiste solo il tuo impegno associato ad una buona conoscenza della fisiologia, biochimica ed endocrinologia umana.
Conosci, applica, ottieni, sta tutto qui, ma senza perseveranza sappi che rimani senza risultato.

Prima di guadagnare devi investire

Abbiamo visto nell’articolo su come accelerare il metabolismo, che il primo passo che dobbiamo fare per perdere peso è non cercare di farlo fin da subito. La dieta per dimagrire in modo efficace si basa sul presupposto, che prima di pensare a cosa togliere devi pensare a cosa aggiungere. Prima impara a mangiare tanto senza ingrassare, prima alza il metabolismo, poi potrai iniziare a sottrarre.
Senza questo presupposto di base, salterai il fosso senza rincorsa. Magari il salto che devi fare è breve e ti basta partire da dove sei, ma se vuoi andare lontano devi fare svariati passi indietro, per poi avere il margine per prendere il volo.
Quindi prima cosa da fare è iniziare a mettersi a dieta partendo da un buon metabolismo, mangiando tanto ed allenandosi correttamente, più ti sei preparato durante gli allenamenti e meno soffrirai sul ring. Leggi l’articolo su come riavviare il metabolismo  se hai saltato questo pezzo.

Come accelerare il metabolismo

Per dimagrire devi creare un deficit calorico

Lo sappiamo oggi parlare di calorie è da sfigati. Non contano le calorie, conta l’energia del sole, la bontà di spirito e la qualità degli alimenti. Se mangi cibi sani, se ti nutri di cibi vivi, dimagrisci. Ecco queste sono cazzate, la dieta per dimagrire in modo efficace non si basa sulla broscience ma sulla fisiologia. E la fisiologia ci dice che le cellule non riconosco se il glucosio che le arriva è preso dal gelato, dall’insalata o dalla pasta, per loro è semplicemente C6 H12 O6.
Quando la cellula ha energia innesca processi anabolici, quando non ne ha innesca quelli catabolici. Quindi per dimagrire l’organismo deve prendere macro molecole, spezzettarle in micro molecole e consumarle per dare vita a qualcos’altro (nuove molecole, ATP, calore).
Per perdere peso il nostro flusso energetico deve essere in negativo, quindi meno calorie di quante ne servono per mantenere l’omeostasi (equilibrio).
La qualità degli alimenti è estremamente importante per la salute e per avere un miglior senso di sazietà durante la giornata, ma è la quantità il fattore principale che determina se ingrassiamo o dimagriamo.

Il partizionamento calorico

Se dico anabolismo cosa ti viene in mente? La sintesi proteica? Giusto, ma…
Anabolismo per il nostro corpo vuol dire prendere qualcosa di piccolo e dar vita a qualcosa di più grande. Gli aminoacidi costruiscono le proteine, il glucosio da vita al glicogeno e gli acidi grassi formano trigliceridi. Anabolismo vuol dire sia diventare più muscolosi, ma anche ingrassare.
Al contrario il catabolismo da qualcosa di grande, crea qualcosa di piccolo seguendo la stessa strada al contrario.
Quando mangiamo dobbiamo sempre pensare che stiamo mettendo in gioco due tessuti, quello muscolare e quello adiposo. Tutti e due competono per accaparrassi le stesse molecole.
Chi vince, chi le prende?
Lo stesso avviene quando l’organismo ha bisogno d’energia, chi la dona?
La dieta per dimagrire in modo efficace deve far si che sia sempre il tessuto muscolare a prevalere su quello adiposo. Finché questo succede dimagriamo correttamente, quando invece questo meccanismo smette di funzionare, la perdita di peso si fa improvvisamente più lenta ed alla fine stalla.

Perché non dimagrisco

Buttarsi col paracadute

Io soffro di vertigini, quindi neanche ci penso a buttarmi, ma il nostro organismo funziona come con un salto col paracadute. Quando ci gettiamo da molto in alto non abbiamo bisogno d’aprirlo e cadiamo a tutta velocità. Sei grasso? Le tue cellule adipose sono sature ed in superficie hanno pochi Glut-4 (i recettori cellulari che captano glucosio ed aminoacidi). Non gli interessa mangiare perché sono sazie, anzi prima vanno in bagno e si liberano un po’ e più sono contente. Le persone in sovrappeso ed obese hanno continuamente cellule adipose che immettono nel sangue acidi grassi. Il problema è che questi non vengono ossidati dal tessuto muscolare e vengono ri-inglobati creando così un continuo ciclo futile.

Mano a mano che dimagriamo tuttavia la storia cambia.
Quando vedi il terreno il paracadute lo apri eccome. Ora le cellule adipose hanno anche loro fame, non si liberano più con tanta facilità e per di più sono piene di Glut-4 in superficie. Quando arriva il cameriere a portare il cibo hanno già il coltello tra i denti.

Prima o poi il tuo corpo aprirà il paracadute, è fisiologico, e prima o poi i risultati rallenteranno e si bloccheranno. Per questo è importante seguire  tutti i passaggi che vedrai, per questo è importante aprirlo il più tardi possibile. La dieta per dimagrire in modo efficace è semplice ma segue precise leggi biologiche.

Avanzare, consolidare, avanzare, consolidare, avanzare…

Una delle prime volte che mi sono avvicinato allo studio dell’alimentazione è stato ascoltando Hatfield, un tizio che ha influenzato in modo importate 20-30 anni fa il fitness in America. Hatfield diceva più o meno questo:
Non puoi scendere sempre perché poi ti blocchi, l’organismo, la testa non ce la fanno a stare sempre in ipocalorica, se continui a togliere, togliere diventa la normalità. Ad uno stesso stimolo l’organismo risponde sempre in maniera decrescente. Ad un certo punto la tua ipocalorica diventa la tua normocalorica.
E allora come devi fare? Sei a dieta, uno due giorni a settimana smetti e torna a mangiare normalmente. Segui un regime da 6-8 settimane? Per un paio di settimane smetti e poi riprendi“.

Impostare una dieta per dimagrire in modo efficace sta tutto qui, nel ciclicizzare la discesa e la settimana.
5-6 giorni d’ipocalorica a settimana, 1-2 giorni di norcalorica
6-8 settimane di dieta, 1-2 settimane di un’alimentazione bilanciata sul tuo fabbisogno, ne ipo, ne ipercalorica, poi si riprende di nuovo la discesa.
In questo modo puoi spararti 5-6 mesi di regime dimagrante, in questo modo il deficit calorico può essere modesto 10-20% in modo che la perdita di peso sia graduale ed a carico quasi esclusivamente della massa grassa.

La dieta per dimagrire in modo efficace è tutta qui, è vecchia forse 30 anni, tuttavia nessuno la segue perché è lenta, impiega tanto tempo ed i risultati sono graduali (ma costanti).

Dieta per dimagrire in modo efficace

Gli errori da non fare

Quando imposti una dita per dimagrire devi evitare di:

1) Preoccuparti se smetti di perdere peso, i cambiamenti non sono lineari ma ad onde. Abbiamo già visto che l’adipocita tende a preservare la sua forma sferica, se perde grasso, si riempie in parte d’acqua. Abbi fiducia nel deficit calorico, in una settimana magari perderai quello che non avete perso in due. Più ti preoccupi e paradossalmente più sarà difficile perdere peso.

2) Seguire una dieta che tenga non conto delle calorie. Se mangi ad istinto inizialmente assumi troppe poche calorie. Lo fai inconsapevolmente perché vuoi vedere la bilancia scendere. Purtroppo tuttavia se questo succede successivamente la tua mente ti frega, senza accorgerti inizierai a sgarrare di più, ad abbondare, a lasciarti andare. Il senso della fame può attivarsi improvvisamente perché magari per 10-14 giorni hai mangiato troppo poco. Essere monitorati ti permette di capire se stai introducendo troppe ma anche troppo poche calorie. Se lasci che sia l’istinto a guidarti, sappi che l’istinto ti porta verso il tuo set point, non lontano da lui.

3) Non assumere abbastanza proteine. Questo macronutriente è essenziale per non cannibalizzare la massa contrattile e per mantenere alto il senso d’appetito. Se le proteine stanno sotto al 1,5-1,8g/kg la dieta non durerà per 5-6 mesi ed i risultati stalleranno prima. Non serve mantenere “alte” le proteine tutto l’anno, ma in questa fasi si.

4) Sbagliare ad abbassare i grassi o i carboidrati. Se sei fortemente in sovrappeso abbassare i carboidrati e preservare i grassi può funzionare. Ma se invece vuoi dimagrire sotto a 12% gli uomini 21% le donne, i glucidici vanno salvaguardati a sfavore dei grassi. Più la nostra massa adiposa si riduce e più i glucidi sono essenziali per preservare la massa contrattile. Ovviamente anche questi ad un certo punto dovranno calore ma in rapporto taglieremo sempre di più i grassi. Parti da quanti macronutrienti stai assumendo, sai che hai due contenitori a cui puoi attingere, i grassi ed i carboidrati.
Tagliando i primi avrai più fame, i risultati saranno più lenti ma costanti.
Tagliando i secondi il controllo dell’appetito sarà migliore, inizialmente vedrai più risultati, ma nel lungo periodo sarai meno premiato.

Scegli te che sentiero percorrere.

L’allenamento conta quanto la dieta

Per far vincere la guerra al tessuto muscolare e farla perdere a quello adiposo devi fare pesi. Perché?
Perché la fibra muscolare va allenata, altrimenti soccombe a quella grassa. Puoi andare a fare la tua corsetta, puoi fare spinning ed aerobica o zumba, ma l’unica cosa che hai fatto è consumare calorie, ma questo deficit chi lo sta pagando? Solo il tessuto adiposo?
Purtroppo no, più l’attività è blanda e protratta nel tempo, meno il tessuto muscolare è stressato ed allenato. Fai tanto lavoro per consumare tante calorie ma la cellula muscolare non ne guadagna. L’organismo tende ad andare in riserva e quando questo avviene vuol dire che deve aprire subito il paracadute.

L’uovo oggi ti ha negato la gallina domani, se pensi solo a sudare, perderai peso ma ti rimarrà comunque la pancia ed i fianchi.

I pesi invece fanno consumare meno, sono cazzate quelle sull’EPOC e sulle migliaia di calorie che consumi post allenamento, non pensare che basta sollevare ferro per essere magri. I sovraccarichi hanno il vantaggio d’allenare il metabolismo glicolitico delle cellule muscolari. Forti contrazioni attivano i Glut-4 del miotica anche senza insulina (grazie AMPK). Più l’allenamento è breve ed intenso (meglio l’HIIT o l’aerobica) migliore sarà la risposta metabolica. Nel tempo la strada più difficile è anche quella più efficace.

Ma non basta fare pesi, sarebbe troppo facile. Nella prima fase d’accumulo (quando aumenti il tuo metabolismo) devi aver aumentato la tua capacità di lavoro, il tuo tonnellaggio deve essere salito. Perché?
Perché ora che mangerai meno non potrai più allenarti come prima. Non avrai più le stesse energie. E se non potrai fare così tanto, dovrai fare meglio e puntare sulla qualità dell’allenamento, sull’intensità.

Non si può sprigionare una giusta intensità se non abbiamo creato prima una base voluminosa.

Durante la definizione non serve fare serie con 30 ripetizioni perché bruci di più. Cosi tante rep portano i carichi a crollare e le fibre IIx ne risentono. Meno recluti e meno alleni il miocita.
Non serve neanche fare allenamenti di forza di 2-3 ripetizioni, questo perché basta un carico dell’80% per reclutare TUTTE le fibre muscolari.

I tuoi allenamenti in questa fase devo essere incentrati su tecniche ad alta intensità, ma non ti dimenticare di fare anche serie con l’80% del tuo massimale, pena vedere il tessuto magro che si riduce.

Dieta per dimagrire ed attività fisica

Riassumendo come impostiamo la dieta per dimagrire in modo corretto

Visto che hai letto fino a qui ti meriti un premio, sintetizziamo quello che devi fare (se ti interessa approfondire ulteriormente puoi comprare il nostro libro Project Nutrition)

  1. Conta le calorie  (è palloso ma essenziale) ci sono tante app che aiutano a farlo.
  2. Le proteine vanno da 1,8g/kg a 2,5g/kg più il deficit calorico è alto e più in proporzione salgono
  3. Imposta il tuo metabolismo o sui grassi o sui carboidrati. Più sei magro e più punta sui glucidi
  4. Imposta un leggero deficit calorico intorno al 10-20% (15% in media)
  5. Mantienilo per 6-8 settimane, poi torna in normocalorica per 10-14 giorni e poi riprendi.
  6. Quello che conta è il conteggio calorico settimanale, puoi fare giorni di normocalorica ed altri dove tagli di più.
  7. Quando ti alleni assumi mediamente 50-100g di carboidrati in più
  8. Se fai uno sgarro contalo nel bilancio settimanale, non sarà più uno sgarro
  9. Durante le settimane inevitabilmente il metabolismo tenderà leggermente a scendere. Misurare ti permette d’aggiustare il tiro. Diventerai padrone del tuo metabolismo e non sarai preda di quello che ti succede
  10. Mantieni la dieta per 20-24 settimane, poi ricostruisci il tuo metabolismo per altri 5-6 mesi e poi ritorna a dieta. Più punti lontano e più devi munirti di pazienza, è questo il segreto.
Conclusioni

La dieta per dimagrire correttamente non è complessa, non devi mangiare solo determinati alimenti a certe ore del giorno. Puoi regolarla su di te come meglio preferisci, può essere una dieta Mediterranea, a Zona, Paoleo, Vegana o quello che vuoi, basta che rispetti i punti che abbiamo indicato.

Come hai visto non esistono segreti se non che per dimagrire correttamente non servono singoli atti eroici, non devi fare il talebano per 4 settimane, serve una costante coerenza con quello che ci siamo prefissati. Serve tempo e determinazione.

Per questo le persone si concentrano sugli integratori per dimagrire, sulle scorciatoie metaboliche e sulle novità. E’ più facile passare la vita alla ricerca dei segreti, che guardare in faccia la realtà e mettersi al lavoro (con costanza).

Se vuoi ulteriormente approfondire scopri anche il sito di Fran ed il suo Filetto fase 1

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Pullover manubrio: esecuzione e biomeccanica

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Il pullover manubrio è un esercizio particolare. Allena il pettorale? Oppure va eseguito con gli esercizi per la schiena? Perché quando lo facciamo sentiamo lavorare anche il tricipite? E’ pericoloso per la parte dorsale del rachide? In questo articolo risponderemo a queste domande e vedremo come eseguire in modo efficace il pullover col manubrio.

Pullover manubrio ed insulti articolari

Le nostre articolazioni hanno dei movimenti preferenziali, biomeccanicamente corretti. Quando eseguiamo altri gesti, che escono da questi range,  creiamo degli insulti articolari. Questi insulti nel tempo possono andare a ledere l’articolazione o i tessuti molli adiacenti. Oppure, semplicemente, vengono supercompensati e per paradosso rafforzano il nostro corpo.

Il pullover manubrio fa male e dove?

Sicuramente a livello delle vertebre dorsali non segue la biomeccanica vertebrale. Questo avviene perché in questo tratto è la cifosi a prevalere. Nella fase di allungamento, del pullover, andiamo invece ad estenderla.

Estensione rachide nel pullover manubrio

Le vertebra hanno delle protuberanze a dorsalmente finiscono con dei processi, chiamati processi spinosi. Quelli dorsali hanno una particolare forma allungata e caudale (rivolti verso il basso) che limita l’estensione della colonna in questo tratto .

Estensione tratto dorsale

Tutto questo cosa comporterà?

Niente.
Solo 2-3 volte al mese, in palestra, si sente un crack seguito da urla lancinanti perché qualcuno si è spezzato le vertebre facendo il pullover manubrio. Come sempre deve essere il buon senso a guidarvi. Avete dolori o problemi al tratto dorsale? Avete 30 anni o avete superato i 50? La vostra mobilità è ancora fisiologica o ci sono dei blocchi vertebrali o alle spalle?

Generalmente in una popolazione di giovani sani, gli insulti articolari del pullover sono più che compensati, diverso è il discorso se volte farlo fare alla signora Maria che ha 50 anni ed è la prima volta che mette piede in palestra.

Pullover manubrio che muscoli allena?

Tantissime persone mettono il pullover manubrio il giorno che allenano il petto, alcuni però sostengono che lavori la schiena, altri sentono le braccia. Ma cosa allena il pullover?

Iniziamo col dire che gran pettorale e gran dorsale sono spesso sinergici e tutte e due abbassano le braccia quando sono sollevate sopra la testa. Guardate questa immagine:

Fasci pettorale

Vedete come il pettorale sia composto da più fasci? Questo muscolo è un antagonista di se stesso, se fate le distensioni sopra la testa,  i fasci craniali portano l’omero in su. Se fate le trazioni alla sbarra, i fasci caudali lo portano giù.  Ovviamente nel pullover con manubrio sono i fasci sterno costali del pettorale ad attivarsi.

Il gran dorsale di suo è un estensore del braccio (porta il braccio in giù ed indietro), quindi possiamo dire che partecipa anche lui pienamente durante il pullover manubrio.

grande-dorsale

Se volete avere una visione completa ed interessante di come funzionano i muscoli del tronco guardate questo video, anche perché pure il grande rotondo è molto coinvolto nel pullover manubrio:

Ma non è finita qui, il motore primo del pullover manubrio è il capo lungo del tricipite, che viene stressato tantissimo in questo esercizio. Sembra assurdo ma il pullover manubrio è in primis un esercizio per il tricipite. Provate domani a dirlo in palestra e rischierete la lapidazione. O meglio se siete tra i più grossi della  sala avrete rivelato uno dei grandi segreti di Arnold. Se siete invece dei secchi di merda chiameranno il manicomio, ma solo dopo avervi lapidato. La biomeccanica nel bodybuilding cambia a seconda di quanto siete muscolosi.

Quando e come inserire il pullover manubrio nella scheda da palestra

Come abbiamo visto il pullover con manubrio coinvolge quasi tutti i muscoli del tronco. Per questo conviene inserirlo a fine seduta quando il muscolo target è già affaticato e diventerà l’anello debole della sinergia muscolare, allenandosi di più.

Non conviene utilizzare carichi eccessivi perché aumenteremo eccessivamente il carico sul tratto dorsale, quindi range da 8-15 ripetizioni possono andare benissimo.

Nel suo complesso rimane un buon esercizio sinergico, utile per fare dei richiami muscolari nelle schede in monofrequenza.

Esecuzione pullover manubrio

Se un’immagine vale più di mille parole un filmato ne vale un milione. Se volete cogliere come eseguire il pullover guardatevi il filmato ad inizio articolo di Cristian e Daniela. Tenete a mente che sono due atleti TOP a livello del bodybuilding natural in Italia. Quindi prima di stare a criticare come corre Bolt, cercatene di cogliere l’essenza, i piccoli particolari. Il percorso che negli anni un atleta ha fatto e come ha interiorizzato l’esercizio.

Buon pullover a tutti.

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Reidratazione durante l’allenamento

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Come possiamo migliorare la performance durante un allenamento di resistenza, sia essa generica o altamente specifica ? Dove posso far la differenza ? Un aspetto che in molti trascurano o che comunque non riesce ad essere sufficientemente sfruttato è la reidratazione, ovvero il procedimento mediante cui ripristiniamo il patrimonio idrico perso attraverso la sudorazione in primis. Tuttavia per poter comprendere meglio ciò che è la reidratazione stessa e cosa comporta, dobbiamo prima avere padronanza del concetto di sudorazione e capire meglio le dinamiche che comportano, più in generale, la perdita di fluidi corporei e come questa va ad influire sulla nostra idratazione.

Reidratazione durante l'allenamento

Il meccanismo su cui  si basa la sudorazione è la capacità di disperdere il calore in riposta all’aumento della temperatura basale. Basti pensare che, attraverso l’esercizio fisico ,l’energia sprigionata dai vari metabolismi energetici ,viene tradotto per circa l’80% sotto forma di calore : ciò determina un aumento della temperatura corporea di 1C° ogni 5-7 minuti, innescando nell’organismo una serie di meccanismi termo- disperdenti atti a ripristinare la temperatura ottimale. Tra questi figurano:

  • Perdita di calore dal tratto gastroenterico mediante riscaldamento di cibi e bevande freddi;
  • Quantità di calore liberata per ossidazione dai cibi ingeriti;
  • Calore maggiormente sprigionato dalle cellule metabolizzanti , in particolare quelle del fegato, delle ghiandole secernenti e dei muscoli. Questa quota calorica viene prontamente dispersa e trasferita dal sangue ai liquidi tissutali;
  • Perdita di liquidi tissutali attraverso la sudorazione (un piccola chicca: per ogni grammo di H2O impiega 0,58kcal per poter EVAPORARE!);
  • riscaldamento dell’aria inspirata e perdita di calore per evaporazione di H2O in aria espirata.

E’ per questo che con un clima particolarmente torrido ,una percentuale di umidità e temperature elevate, le quote idriche perdute nell’arco della sessione d’allenamento, tramite sudorazione, sono maggiori rispetto alle quote perdute in climi più miti.

In condizione estreme e particolarmente sfavorevoli si arriva persino a 30ml/min. ( 1,8L/ora). Tuttavia insieme alla quota idrica ,quella maggiormente depauperata è la quota elettrolitica, stiamo cioè facendo riferimento alla quantità di sali minerali che insieme alla sudorazione viene espulsa dall’organismo. Questo è generalmente motivo di deficit, che porta alla lunga insieme alla disidratazione ad una riduzione della qualità della sessione di lavoro, con riduzione delle prestazioni sino al 30% (si veda in tabella come in maniera direttamente proporzionale alla quantità di sudore generato le prestazioni diminuiscono!). Quindi, per poter rispondere esaustivamente alla domanda posta ad inizio articolo e quindi per poter alzare qualitativamente il regime d’allenamento, per far fronte alle esigenze del caso è opportuno che venga applicata una reintegrazione di liquidi ed elettroliti.

Motivo per cui è importante essere idratati

  • Motivazioni addotte per un’ottima idratazione nell’atleta di Taekwondo.

Rapporto prestazione idratazione

  • Al decremento ponderale in seguito alla perdita di liquidi , segue un calo di prestazione proporzionale.

Pensate che ciò possa essere sufficiente? Potrebbe esserlo ,qualora l’allenamento durasse per  60 minuti o meno.

E se decidessimo di allenarci più di 60 minuti, materialmente cosa potremmo dare in più al nostro corpo per poter sostenere un ritmo incalzante di attività fisica senza che le prestazioni calino drasticamente ?

A tal proposito rivolgiamo le nostre attenzioni verso un integratore alimentare molto conosciuto nel contesto sportivo, le maltodestrine. Questo carboidrato complesso idrosolubile si è dimostrato efficace negli sport di endurance nel fornire un plus per il suo carattere energetico, e considerando la velocità con cui viene assorbito a livello gastrointestinale e la quantità di acqua richiamata nel lume per osmosi pressoché trascurabile se non eccessivamente concentrato , può essere considerato a piè pari uno dei migliori integratori energetici non eccitanti in commercio .

Tenete presente tuttavia che soggettivamente le maltodestrine possono dare o non dare riflessi di ipoglicemia, per cui bisogna determinare la tolleranza soggettiva del caso. Da notare che introducendo una fonte di carboidrati di questo tipo, durante l’esercizio fisico forzeremmo l’organismo più in senso glucido-energetico che lipido-energetico (ciò non inficia in nessun modo il dimagrimento, bruciare più grassi durante l’allenamento non equivale a dimagrire di più nelle 24h).
Se il vostro pensiero sarà quello di avere una migliore resa in allenamento, potete in tutta tranquillità assumerlo senza che vi complichiate la vita più di quanto non lo sia già di suo.

La concentrazione delle maltodestrine in acqua non dovrebbe essere superiore al 5-8%, significa che in 1 litro di acqua dovrebbero essere aggiunti, se decidessimo di concentrare le maltodestrine al 5%, 50 grammi.

Consigli pratici per la reidratazione

Secondo quanto suggerito da alcuni dei più autorevoli manuali sull’integrazione sportiva , sia italiani che statunitensi tra cui il parere dell’American College Of Sport Medicine:<<POSITION STAND ON EXERCISE AND FLUID REPLACEMENT>>:

  • andrebbero consumate 150-300ml di acqua con maltodestrine al 5-8% ed elettroliti ad intervalli regolari durante l’allenamento quando il medesimo si protrae per più di 60 minuti;
  • inoltre subito prima dell’attività fisica andrebbero assunte  300 ml  della stessa bevanda;
  • per  concludere sarebbe opportuno bere 300 ml di acqua subito dopo la fine dell’allenamento accompagnando il tutto con un pasto a prevalenza glucidica  entro 30 minuti dal termine per favorire il ripristino del glicogeno post allenamento .

Preveniamo in tal senso : disidratazione, calo di prestazioni, la probabilità di infortuni strettamente correlati allo scarso impiego di acqua durante attività fisica.

Per quanto riguarda l’introduzione di sali minerali sarebbe opportuno che si facesse riferimento ai valori contenuti in tabella, estrapolati sempre dagli stessi manuali, per capire quali quantità di elettroliti sono andate perdute con la sudorazione e quali sono per tanto da reintrodurre.

In questo modo siamo sicuri che la risposta muscolare allo stimolo contrattile, reintroducendo gli elettroliti espulsi,  non sia inficiato da una riduzione della quota circolante di questi micronutrienti.

>Sintomi dovuti alla disidratazione e Ipotranemia >>>P.C. = Peso Corporeo

Deficit di acqua sintomi

Sarà necessario che le quantità di liquidi ed elettroliti vengano gestite intelligentemente per prevenire problemi di malassorbimento , che possono indurre a fastidi gastrointestinali come crampi, gonfiore e diarrea, così come è altrettanto importante che le quote di acqua , maltodestrine e sali minerali non risultino sottostimate.

Di seguito una tabella dove vengono illustrate come in maniera direttamente proporzionale alla quota di sudore espulso, le quote elettrolitiche vengono depauperate compromettendo di pari passo la risposta neuromotoria.

Quantità elettrolitica contenuta nel sudore

La corretta reidratazione pone anche da punto di vista estetico una minor probabilità d’andare incontro ad inestetismi come quello dovuto alla ritenzione idrica.

Bibliografia dell’articolo: Reidratazione durante l’allenamento
  1. ACSM( American College of Sport Medicine) Position Stand (1996). Exercise and fluid replacement. Med Sci Sports Exerc 28 (1): i-vii.
  2. Andreoli A, Melchiorri G, Brozzi M et al (2003). Effect of different sports on body cell mass in highly trained athletes. Acta Diabetol 40: S122-5.
  3. Berra B, Raaelli S (1991). Influenza degli oligoelementi sul metabolism;aspetti biochimici e nutrizionali. Atti del convegno l’equilibrio . L’equilibrio idrico-salino e le prestazioni atletiche. Milano, febbraio 1990. I quaderni Equipe-Enervit: Acqua e sport, anno VI, 6: 33-46.
  4. Brouns F (1992). Heat-Sweat-dehydratation-rehydratation: a praxis oriented approach. In : Williams C, Devil JT eds. Foods, nutrition and sports performance. London: E & FN Spon.
  5. Bucci LR (1998). Dietary supplements as ergogenic aids. In : wolinsky I ed. Nutrition in exercise and sport. 3rd edition. Boca Raton (FL) : CRC Press.
  6. Costill DL (1977): Sweating: its composition and effects on body fluids. Ann NY Acad Sci 301: 160-74
  7. Costill DL (1985): Carbohydrte nutrition before, during, and after exercise. Fed Proc 44 (2) : 364-8
  8. Costill DL, Cote R, Fink W (1976) . Muscle water and electrolytes following varied levels of dehydration in man. J Appl Physiol 40: 6-11
  9. Costill DL, Miller J (1980). Nutrtion for endurance sport: carbohydrate and fluid balance. Intern J sports med 1: 2-14-
  10. Dennis SC, Noakes TD Hawley JA (1997). Nutritional Strategies to minimize fatigue during prolonged excercise: fluid, electrolyte and energy replacement. J sports Sc 15: 305-13
  11. Gleeson M, Greenhaff Pl; LeiperJB et al (1996). Dehydration, rehydration and exercise in the heat. News on Sport Nutrition 4 (2) 1-6.
  12. Gisolfi CV, Summers Rw, Schedl HP, Bleiler TL (1995). Effects of sodium concentration in a carbohydrate-electrolyte solution on intestinal absorption. Med Sci Sports Exerc 27(10): 1414-20
  13. Latzka WA, Montain SJ ( 1999). Water and elecrolyte requirements for exercise. Clinics Sports Med 18 (3) : 513 – 24.
  14. Marzatico F (1989). L’equilibrio idrico-salino nello psport. Sds.Rivista di Cultura Sportiva VII (16): 63-73.
  15. Marzatico F, Benzi GM (1989). Il riequilibrio idrico salino nellpo sport. Atletica Studi 3; 169-83.
  16. Marzatico F, Negro F (2003). Interazioni e integrazioni 1.
  17. Owen MD, Kregel Kc, Wall PT, Gisolf CV (1986). Effects of ingestion of carbohydrate beverages during exercise in the heat. Med Sci Sports Exerc 18 : 568-75

Di Riccardo Pitarresi

per ulteriori domande la usa mail è: riccardo.pitarresi@gmail.com

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Carboidrati peri-workout

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L’articolo è estremamente tecnico e si rivolge ai professionisti del settore che lavorano con atleti di punta. Pertanto potrebbe risultare di difficile lettura per chi non ha già nozioni in merito. Eventualmente dopo aver letto l’introduzione passate direttamente alle conclusioni per avere un’idea pratica sul come comportarvi e perché.

Carboidrati intra workout

Uno degli ambiti più confusi nel mondo del fitness riguarda il comportamento dell’integrazione nel c.d. peri-workout. Ognuno ha le sue regole.Si è passati dalla finestra anabolica, al digiuno assoluto e, da qualche tempo, sta prendendo sempre più piede la pratica di integrare durante l’allenamento. Anche prendendo quest’ultimo approccio se ne sentono di tutti i colori, chi proteine, chi carboidrati, ma quali carboidrati, allora quelli “veloci” ti fanno andare in ipoglicemia-reattiva, quelli lenti non ristorano le riserve abbastanza velocemente, ma serve poi il picco insulinico? Bhò, buttiamocelo dentro che tanto è anabolico. A tutto questo ci si aggiunge il marketing, con tanti nuovi prodotti che avanzano composizioni chimiche dai nomi impronunciabili che la gente prende senza nemmeno sapere cosa sono in realtà, è tutto “brevettato per..”, “modificato per..” ma non ho capito bene per cosa.

Dunque analizzare l’integrazione del peri.workout è un qualcosa di molto complesso. Partiamo, in quest’articolo dalla parte più sostanziosa, i carboidrati.

Tutto partì da qui.

In verità non c’è un momento preciso nel quale prese piede la pratica. Fu un’attenzione che venne data dai preparatori prima e dai vari amatori dopo nel tempo. Il primo che iniziò a parlarne fu Sarcev [1] ma il boom si ebbe quando venne seguito da personalità come Meadows o Dugdale che, anche per fini di marketing, iniziarono a pubblicizzare l’uso di “bibitoni” durante l’allenamento. Ma siamo sicuri iniziò tutto così? Nel Bodybuilding sicuramente, ma nello sport in generale i carboidrati in polvere sono sempre stati utilizzati, tanto è vero che gran parte della letteratura in merito è antecedente al XXIsimo secolo.

Attualmente quindi uno dei più importanti sostenitori in proposito è, per l’appunto, il culturista e coach John Meadows [2] che suggerisce l’utilizzo di 10-20gr di PeptoPro (caseine idrolizzate) e 40-70gr di Ciclodestrine ramificate (Cluster Cextrin) o Vitargo nonchè elettroliti e amminoacidi vari.

Perchè Utile?

Ci sono evidenze circa i benefici della supplementazione di carboidrati durante gli allenamenti voluminosi con i pesi tipici del Bodybuilding [13]. Il concetto è quello di sfruttare il momento di iperemia locale (pump, sangue ai muscoli) per portare nutrienti. Lo stato di iperemia verrà, oltretutto, incentivato dallo spike insulinico dato dall’ingestione di glucidi e amminoacidi insulinogenici. Ma l’allenamento non doveva essere catabolico? Sicuramente, in effetti i processi di adattamento sono adattamento ad uno stress specifico. Però vi invito a ragionare. Come ho scritto nell’articolo sull’allenamento metabolico nel bodybuilding le tipologie di stress cui che avviano tali processi sono due:

  1. Stress meccanico, che sicuramente non viene impedito ma anzi incentivato dall’afflusso di nutrienti ed una maggiore iperemia locale. Difatti teniamo conto che il grande apporto e beneficio dell’integrazione del peri-workout, che nel Bodybuilding non viene menzionato, è un aumento della performance.
  2. Stress metabolico, dato dall’accumulo locale di diversi metaboliti. Anche questo non viene impedito, vero che molti di questi metaboliti sono conseguenti ad una condizione di blocco dell’aflusso di sangue (con conseguente ipossia) ma è un blocco circoscritto al momento di contrazione muscolare. Ragionate sul termine pompaggio, una pompa si “chiude” e si “apre”. Così noi avremo comunque situazioni di “blood flow restriction”, ma il conseguente stato di iperemia (effetto pompa) sarà in compenso amplificato.

Eventuali molecole, come per esmepio la beta alanina, volte a ritardare l’accumulo del lattato invece? Altro invito a ragionare. Cosa accadrà? Che per ottenere lo stesso livello di lattato dovremo subire un maggiore stress meccanico o un TUT leggermente più lungo, in sostanza questi composti permettono, a parità di stress metabolico sopportato, di causare maggior stress meccanico.

In questo senso mi sembra ci siano solo effetti utili nell’integrazione durante l’allenamento, ma vi è di più. Queste strategie nello sport nascono soprattutto per incentivare non solo la performance ma anche lo stato generale di idratazione e non devo essere io a ricordarvi che l’idratazione è uno dei presupposti per la creazione di uno stato anabolico della cellula.

.Lezioni di chimica..

Dunque entriamo un po’ nel tecnico in modo da capire il perchè di determinate scelte e proposte di marketing.

  1. Peso Molecolare. Si intende con PM (o massa molecolare) il rapporto tra la massa di una quantità della sostanza e il numero di moli (alcune volte si considerano altre unità come le molecole) della stessa quantità di sostanza.
  2. Osmolarità. E’ una grandezza che misura la concentrazione delle soluzioni. In particolare rappresenta il numero totale di molecole e ioni presenti in un litro di solvente (n. Osmoli soluto per lt soluzione)
  3. Osmolalità. Si distingue dalla precedente in quanto rappresenta in n. di osmoli di soluto per kg di soluzione. Viene utilizzata più di frequente in quanto non risente di variazioni in termini di temperatura ambientale e natura della soluzione. Va tuttavia detto che sebbene sia il numero di osmoli per Kg (osmolalità) e non quello per Litro (osmolarità) a determinare l’entità dell’osmosi, per soluzioni molto diluite – come quelle corporee – le differenze quantitative tra osmolarità ed osmolalità sono al di sotto dell’1% (perché solo una piccola parte del loro peso deriva dal soluto). Per questo i due termini sono spesso usati indifferentemente come sinonimi [3].

. ..e di fisiologia

Da cosa dipende però la velocità di assorbimento di un carboidrato? I fattori sono due: velocità di svuotamento gastrico e la velocità di assorbimento intestinale.

  1. Svuotamento gastrico. Essa viene condizionata, a sua volta, da diversi fattori [4] [5] [6]. In primis (nel senso proprio che è il più determinante)
  2. Il volume. Vediamo difatti che nei primi minuti dopo l’ingestione di liquidi lo svuotamento gastrico è più veloce e rallenta man mano che lo stomaco si svuota.
  3. Il Contenuto energetico. Maggiore sarà più lenti saranno i tempi di svuotamento gatrico.
  4. Osmolarità. Difatti una soluzione ipotonica tenderà a lasciare lo stomaco ad una velocità maggiore. Rispetto ad una soluzione al 5%, infatti, una soluzione isocalorica di polimeri del glucosio (maltodestrine al 5%) determina, nello stesso intervallo di tempo, un residuo gastrico inferiore; ciò è da attribuire alla minore osmolarità della soluzione contenente maltodestrine [7].
  5. Le bevande fresche (4-10 gradi) tenderanno a lasciare lo stomaco più velocemente
  6. L’intensità dell’esercizio fisico. Maggiore è l’intensità maggiori i tempi di svuotamento gastrico (da tener conto che l’allenamento intervallato, così come quello per i pesi è un discorso specifico in quanto sono presenti momenti di riposo e lo sforzo non è continuo n.d.r.)
  1. Assorbimento Intestinale. La velocità di assorbimento dei liquidi (che avviene in corrispondenza del tratto prossimale dell’intestino tenue) dipende dalla composizione e dall’osmolarità delle bevande ingerite. Dunque, l’assorbimento dell’acqua è un meccanismo passivo (determinante risulta l’instaurarsi di un gradiente osmotico favorevole). L’aggiunta di composti quali glucosio o sodio (quest’ultimo facilita l’assorbimento del primo), che hanno un meccanismo di assorbimento attivo, va ad accelerare l’assorbimento dell’acqua. Così anche la presenza di potassio ha la sua bella funzione in quanto, anche se assorbito per diffusione passiva, facilita l’assorbimento dell’acqua. Tuttavia, è comunque importante che le concentrazioni dei soluti non siano tali da rendere la soluzione ipertonica poiché in tal caso si verifica, in corrispondenza della membrana delle cellule intestinali, un’inversione del gradiente osmotico che favorisce un richiamo d’acqua nel lume intestinale. In sostanza la soluzione si bilancia “da sola”. I risultati non li descrivo per decenza ma li potete ben immaginare. Altro discorso che influisce sull’assorbimento intestinale è quello relativo ai trasportatori. Il glucosio difatti viene assorbito tramire un trasportatore sodio dipendente (SGLT1) mentre il fruttosio attraverso i GLUT-5. Una delle problematiche che possono riscontrarsi è quella relativa alla saturazione dei trasportatori. Ebbene si è visto che integrando con una soluzione composta da entrambi si riusciva ad avere un tasso di assorbimento maggiore (65%) rispetto ad una soluzione di solo glucosio [17] [18]. Da sottolineare come in letteratura quest’ultimo sia uno dei sistemi più incentivati per aumentare il tasso di assorbimento dei glucidi piuttosto che ricorrere a composti più “tecnici”, tuttavia questa strategia sembra essere più logica laddove si sia di fronte ad attività prolungate (>2,5h) che richiedono maggiori quantità di glucidi da assumere, difatti, anche utlizzando solamente del glucosio o delle maltodestrine il tasso di ossidazione ed assorbimento si mantiene sui 60gr/h [19] [22], più che sufficiente per gran parte dei contesti sportivi.

Dunque è vero che la presenza di carboidrati e/o elettroliti tende a diminuire la velocità di svuotamento gastrico della sola acqua (ma di quanto poi?) ma la velocità di assorbimento sarà comunque (se facciamo le cose per bene) tendenzialmente aumentata.

Di quali caratteristiche devo DAVVERO tener conto?

Il punto fondamentale è dunque ricercare un assorbimento più rapido possibile, per evitare un afflusso di sangue all’apparato digerente a discapito della muscolatura. Vediamo pertanto che i fattori, in ordine, sono:

  1. Densità calorica [4] [5] [6]. Questa è indifferente al tipo di carboidrato che andremo ad integrare, dunque il tecnicismo, in tal senso si fa da parte. Per dare dei numeri consideriamo che è stato visto un ritmo di efflusso calorico dallo stomaco (durante l’esercizio) di 2-2.5kcal/min su una soluzione di 400ml [5].
  2. L’osmolarità. In particolare la bevanda deve essere ipotonica quindi inferiore all’osmolarità del plasma (280-300 mOsm). Vediamo che però l’osmolarità non è un valore assoluto ma è dato dal rapporto con i lt. di soluzione (acqua). Pertanto i vantaggi dati da integratori più “tecnici” sono vantaggi relativi, possiamo definirli “risparmiatori di mOsm”. In parole semplici, se devo integrare ingenti quantità di carboidrati allora dovrò andare a risparmio, altrimenti sarà poco influente quel risparmio. Difatti bevande isotoniche o ipotoniche si ottengono con una soluzione di elttroliti e glucidi (di forme meno tecniche) al 5-8%. Alternativamente bevande più tecniche ci permettono di poter utilizzare percentuali maggiori di concentrazione. Se parificate invece hanno comunque una minima influenza sullo svuotamento gastrico e sulla velocità di assorbimento intestinale. Basti vedre come un prodotto tecnico come il Waxy Maize, dall’alto PM e la bassa osmolarità veda un picco di concentrazione posteriore alle semplici maltodestrine [8].
  3. Trasportatori. Come visto sopra, quella di utilizzare composti che utilizzino trasportatori diversi è una delle strategie più utili laddove la richiesta glucidica sia tendenzialmente alta.
  4. Temperatura. Lo abbiamo visto sopra, liquidi tendenzialmente freschi tra i 4 e i 10 gradi (celsius) hanno uno svuotamento più veloce
  5. Palpabilità. Non dimentichiamocelo, il gusto aiuta nell’assorbimento, l’utilizzo di aromi e dolcificanti deve essere incentivato, bisogna però al contempo tenerne conto in termini di osmolarità della soluzione.

Ma allora i prodotti tecnici? La faccio “breve” e vi riporto i tre studi che sono pubblicati sul sito ufficiale del Vitargo [9] [10] [11]. I primi due dimostrano tempi di svuotamento gastrico e assorbimento assai maggiori nel Vitargo. Non c’è da stupirsi, ma non tanto perchè stiamo sulla pagina del prodotto quanto piuttosto perchè la soluzione di Vitargo era ipotonica mentre quella di comparazione (glucosio) era ipertonica! Nel terzo studio invece si utilizzano come comparazione le maltodestrine. In questo caso entrambe le soluzioni erano ipotoniche (ovviamente quella con il Vitargo presentava un’osmolarità inferiore). Non stupisce che i risultati in termini di aumento del glucosio ematico e dell’insulina sono in favore del Vitargo, ma come si può vedere questa differenza è veramente esigua. Sembra dunque possiamo confermare, in linea di massima, quel che gli altri studi dicevano ossia che i fattori determinanti sono il volume (che ci interessa relativamente) e la densità calorica. L’osmolarità inizia ad essere un fattore influente quanto comporta un’ipertonicità della soluzione.

. Cosa ci offre il mercato?

Passiamo dunque all’analisi di quello che ci viene offerto dal mercato:

  1. Glucosio (Destrosio): il più classico e tradizionale, si tratta di glucosio in polvere, presenta un basso PM e un’alta osmolarità in soluzione. Utilizzandolo c’è effettivamente il rischio di creare bevande ipertoniche.
  2. Fruttosio: Non che abbia bisogno di presentazioni visto quanto è stato demonizzato. Come visto sopra può essere integrato con sapienza in un protocollo di peri-workout.
  3. Maltodestrine: si tratta di molecole di glucosio ordinate in catene di polimeri più o meno lunghe (l’indice che ne rappresenta la lunghezza è la DE, più alta, meno lunghe saranno le catene). Si distinguono dal glucosio per il PM maggiore e l’osmolarità in soluzione minore.
  4. Vitargo: un brevetto svedese. Si tratta di amido sottoposto ad idrolisi, cioè ad un processo che lo scompone in catene di glucosio di lunghezza variabile. Il peso molecolare di questi polimeri è tanto più elevato quanto maggiore è la complessità delle catene glucidiche che li costituiscono, e viceversa. Dunque il Vitargo si caratterizza per un PM ancor maggiore delle maltodestrine e una DE inferiore. Riporto qui la tabella relativa ai valori di osmolarità in una soluzione d’acqua al 5% (tabella che ci sarà utile dopo).
Acqua 5-15
Vitargo 11
Maltodestrine 48
Destrosio 300
  1. Waxy Maize: Si tratta di amido di mais ceroso. Ha la particolarità di essere composto per il 98-100% da amilopectina. Si caratterizza, anch’esso, per un PM piuttosto elevato. Si differenzia però per essere un carboidrato a basso indice glicemico. Seppur il suo assorbimento è veloce, grazie all’elevato PM, questo viene rilasciato nel torrente ematico lentamente [14]. Preciso che, al di là dei dati “sulla carta”, molti trovano più leggero l’utilizzo delle maltodestrine rispetto al Waxy Maize che può, pertanto, risultare pesante. Ricordiamo quindi che regna sovrana l’individualità.
  2. Ciclodestrine Altamente Ramificate (HBCD): l’ultima frontiera dei carboidrati, è il prodotto più tecnico attualmente in commercio che viene sponsorizzato da diversi coach e atleti internazionali. Dunque, il vantaggio di questo prodotto non è solo dato dall’alto PM e dalla bassa osmolarità ma anche dal fatto che, come il Waxy Maize, comporta un rilascio sostenuto di glucosio nel torrente ematico (in realtà si è visto che con un’integrazione a dosi minime -15gr- il comportamento della curva glucidica era analogo alle maltodestrine [21]). Al contrario dello stesso però il rilascio del glucosio è rapido, ovvero avviene subito grazie alla facilità con cui gli enzimi sono ingrado di idrolizzare un polimero così ramificato. Va comunque evidenziato che a parità di densità calorica sia sempre l’osmolarità in soluzione a determinare la velocità di svuotamento gastrico e di digestione [15]

. Conclusione e consigli pratici

Dunque tiriamo le somme da questa piccola lezione di chimica. Tutto può essere sintetizzato in questo schema [12]:

Carboidrati peri-workout

Nello stabilire il nostro approccio dovremo pertanto partire da quella che è la nostra attività fisica e la nostra richiesta glucidica. Collocatoci nello schema sapremo il quantitativo (teorico) ottimale per noi. A questo punto bisogna capire un concetto delicato. Gli integratori sopra menzionati non si pongono in una linea retta (crescente) di efficacia. Essi rappresentano molecole diverse con caratteristiche diverse che possono essere sfruttate in base alle comodità che abbiamo.

Così bisognerà dapprima valutare:

  1. Il rapporto tra i grammi di integratore che vorremo utilizzare e i lt. che vorremo bere. Se questo rapporto sale allora ci converrà scegliere integratori con osmolarità in soluzione più basse (ad esempio il Vitargo o le HBCD). Viceversa potremo anche utilizzare delle semplici Maltodestrine.
  2. Come dividere l’assunzione tra pre-workout (utilizzando integratori che vadano ad assicurare un rilascio di glucosio durante il workout, per esempio il Waxy-Maize o le HBCD) e intra-workout (utilizzando supplementi con un rilascio rapido sorseggiati durante tutto l’allenamento per evitare, nel caso di prodotti meno tecnici, stati di ipoglicemia reattiva)
  3. Se fare un pasto solido pre-workout (c.ca 2h prima) e quanto denso farlo. Questa è, a mio avviso, una soluzione poco consigliabile. Preferisco sempre che si arrivi tendenzialmente “vuoti” fino a poco prima del workout e che si utilizzino degli integratori per sgravare il più possibile l’apparato digerente.
  4. Se si è arrivati addirittura digiuni da diverse ore (es. allenamento “first thing in the morning”) e qual è il contesto alimentare nel quale ci troviamo (ipo- o iper-alimentazione)

 

Per rendere il tutto più pratico faccio degli esempi:

STRATEGIA 1. Target: 75gr Chos (soggetto con allenamento al mattino in contesto di ipo-alimentazione. Allenamento con i pesi, workout di 1.5h più warm-up e cool down)

Preworkout (10’ prima) 25gr HBCD
Intraworkout (2h) 50gr HBCD/Vitargo/Maltodestrine

 In questo caso, nel preworkout, avremo poco tempo per digerire glucidi più complessi, dovremo pertanto utilizzare molecole più leggere possibili. Durante il workout possiamo scegliere tra Vitargo, Maltodestrine e HBCD in quanto, stando a stomaco vuoto, difficilmente si avranno problemi di pesantezza con il primo (cosa che escluderei anche in altri contesti) ma anche con le seconde e, dal momento che li si sorseggia, il versamento di glucosio nel torrente ematico sarà costante.

STRATEGIA 2. Target: 30gr Chos (soggetto con allenamento nel pomeriggio dopo un pasto in contesto di iper-alimentazione. Allenamento con i pesi, workout di 1.5h più warm-up e cool down)

Preworkout (10’ prima) 10gr Vitargo
Intraworkout (2h) 20gr Vitargo

 In questo caso, avendo già del cibo nello stomaco, risulterà poco utile integrare molto prima del workout e converrà iniziare direttamente a ridosso dell’inizio del lavoro. Sarà utile l’utilizzo di molecole come il Vitargo che saranno più leggere sull’apparato digerente (che ha lavorato, e sta lavorando, nelle ultime ore). Questo caso è un esempio per capirci. Io personalmente non amo questo approccio e preferisco, come detto, puntare più su una ricca integrazione di glucidi durante l’allenamento a scapito dei pasti solidi che lo precedono.

STRATEGIA 3. Target: 55gr Chos (soggetto con allenamento in tarda mattinata dopo un pasto in contesto di normoalimentazione. Allenamento con i pesi, workout di 1.5h più warm-up e cool down)

Preworkout (30’ prima) 20gr Waxy-Maize
Intraworkout (2h) 35gr HBCD/Vitargo/Maltodestrine

 In questo caso si è fatto un leggero pasto al mattino o si è proprio digiuni. Il contesto è di normoalimentazione quindi difficilmente si soffrirà a livello di performance. Si integrerà con fonti lente come il Waxy-maize ma comunque di bassa osmolarità per stare più leggeri possibile. Durante l’allenamento si utilizzeranno 25gr di HBCD, Vitargo o Maltodestrine. Con grammature così basse difficilmente queste ultime causeranno problematiche varie.

Come ho detto, un consiglio è quello di evitare pasti nelle ore precedenti in quanto risulterà più conveniente arrivare semi-digiuni ed iniziare ad integrare <60’ prima dell’inizio del workout in modo da stare più leggeri e da ottimizzare la gestione dei livelli glicemini [16].

In secondo luogo, anche questo detto più sopra, si potrà scegliere di utilizzare in parte il fruttosio per velocizzare il tasso di assorbimento ed ossidazione, tecnica che assume rilevanza laddove vi siano quantità superiori di glucidi da assumere.

Terzo appunto. Il tutto può essere ottimizzato con l’aggiunta di sodio e citrati che aiutano nei meccanismi di assorbimento intestinale oltre a offrire un’integrazione dai substrati persi durante l’attività.

. Vera conclusione.. tutto questo tecnicismo serve?

Arriviamo ad un altro punto cruciale, tutti questi prodotti tecnci servono davvero?

Come abbiamo visto il tasso si assorbimento anche con delle semplici maltodestrine è rapido, ancor di più se combinate al fruttosio. Effettivamente la differenza rispetto agli integratori più avanzati è di minuti, se non di meno. Ma la differenza che interessa è in verità un’altra ossia il lavoro dell’apparato digerente. Mi spiego meglio.

Una Ferrari o una utilitaria possono entrambe arrivare ai 140km/h, la Ferrari però, o meglio il suo motore, lavorerà con più efficienza, sarà più “semplice” per lui mantenere quella velocità. Ecco il punto è questo, il vantaggio di questi prodotti più tecnici non è tanto nelle curve glicemiche o le velocità di raggiungimento del glucosio nel torrente ematico (che non subiscono sostanziali differenze [21]) ma sta nell’efficienza con la quale questi processi avvengono. Più sono efficenti meno sangue richiederà l’apparato digerente, più noi ci sentiremo leggeri e lavoreremo bene. Ok, da un punto di vista di composizione corporea cambia? Ne dubito, almeno non in maniera rilevante. E’ una finezza la cui importanza è proporzionale allo stato di allenamento dell’atleta e alla quantità di glucidi (i.e. calorie) che devono essere metabolizzate dallo stesso durante l’allenamento (quindi in questo caso imitare un pro pesantemente supportato non è una cosa intelligente). Quel che posso fare per darvi un ulteriore aiuto è sottoporvi il full text di questi studi [20] [21] che valutano bene tutti i benefici delle HBCD rispetto al glucosio e alle maltodestrine. Purortroppo di meglio non c’è ma è un buon modo per valutare la differenza tra i tre e soprattutto come l’abisso stia in verità tra il glucosio e gli altri composti. Per il resto sta a voi decidere come muovervi, sta a voi capire se il gioco valga davvero la candela, fatto sta che, in merito alle differenze tra i prodotti più o meno avanzati, c’è ben poca letteratura… forse alla fine non è così necessaria come scelta.

[1] http://cleanhealth.com.au/interview-former-ifbb-pro-milos-sarcev/

[2] http://www.muscleandfitness.com/nutrition/gain-mass/time-your-meals-muscle-growth?page=2

[3] http://www.my-personaltrainer.it/fisiologia/osmolarita.html

[4] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10198143

[5] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/3313617

[6] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1925187

[7]http://www.clubsportivourania.org/html/Link_menu_Canottaggio_Schede_IntegrazioneIdrica.html

[8] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19628104

[9] http://www.vitargo.com/static/media/studies/vitargo-gastric.pdf

[10] http://www.vitargo.com/static/media/studies/karin-piehl.pdf

[11] http://www.vitargo.com/static/media/studies/vitargo-malt-max-end-07.pdf

[12] http://link.springer.com/article/10.1007/s40279-014-0148-z

[13] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12580676

[14] https://it.wikipedia.org/wiki/Amido_di_mais_ceroso

[15] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15900642 dove, nello specifico, “A shorter GET was observed for the CHO solutions at 59 to 160 mOsm regardless of their concentration

[16] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4042570/

[17] http://www.gssiweb.org/Article/sse-108-multiple-transportable-carbohydrates-and-their-benefits

[18] http://www.gssiweb.org/en/Article/effect-of-graded-fructose-coingestion-with-maltodextrin-on-exogenous-14c-fructose-and-13c-glucose-oxidation-efficiency-and-high-intensity-cycling-performance-

[19] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15212750

[20] https://www.jstage.jst.go.jp/article/fstr/10/4/10_4_428/_pdf

[21] http://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/09168451.2014.943654

[22] Lyle McDonald – The Protein Book

 

L’articolo Carboidrati peri-workout è di Ludovico Lemme

Personal Trainer certificato ISSA e studente SaNIS (scuola di nutrizione e integrazione sportiva). Segue diversi atleti, sia dal vivo che online nel campo del Bodybuilding e del fitness in generale. Nel 2015 avvia il progetto Rhinocoaching con il quale si propone di creare una piattaforma di riferimento per i suoi atleti e per gli appassionati in generale.
Contatti: rhinocoachingofficial@gmail.com
Pagina FB: https://www.facebook.com/ludovicolemmemygrowth/
Sito Web: www.rhinocoaching.it

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Come si allenano gli atleti di MMA

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Sono da poco tornato da un’esperienza di tre mesi in California nell’area di Los Angeles, un viaggio intrapreso con il mio compagno di avventure nonché grande atleta Marvin Vettori. In California ho avuto l’opportunità di osservare come si allenano i migliori atleti UFC tra i quali Uriah Hall, Kelvin Gastelum, Rafael Dos Anjos e tanti altri. Il mio obbiettivo era quello di studiare lo svolgimento di un training camp e per farlo mi sono dovuto appunto ‘trasferire’ negli USA, poiché in Italia le MMA sono ancora uno ‘sport giovane’ e quindi poco conosciuto. Il camp era organizzato per allenamenti specifici alla palestra Kings MMA/ Gracie dojo, mentre la preparazione atletica si svolgeva alla Innovative Results. Nella mia testa avevo un’idea precisa di quello che doveva essere un certo tipo di allenamento ma ero pronto a nuove conoscenze proprio perché mi trovavo tra i migliori, dai quali volevo imparare il più possibile. Di fatto, dopo quei tre mesi, la mia idea di training è completamente cambiata.

mma-training-mistakes

Articolo di Lochner Emanuele

Vorrei cominciare riportando una domanda che mi è stata posta da Corey Beasley (proprietario della Innovative Results) un paio di giorni dopo il mio arrivo mentre si parlava di allenamenti: “Emanuele, quale pensi che sia la qualità più importante per un atleta di MMA?”. Io penso che questo sia il punto da cui cominciare a ragionare sulla preparazione nelle MMA. Una domanda semplice in apparenza, ma alla quale in quel momento non riuscii a rispondere in maniera convincente. Le MMA sono infatti uno sport complicato che richiede all’atleta un’alta capacità di combinazione di diversi stili di lotta e tecniche di combattimento. L’allenamento di un lottatore di MMA è vario e mira a una formazione completa che spazia da tecniche tipiche della lotta ad altre della kick boxing o del grappling. Va infine considerato che le MMA sono uno sport in crescita che sta evolvendo verso uno stile tutto proprio.

Ma tornando alla preparazione atletica, come si allenano gli atleti UFC?

Ho notato che negli USA, quando si progetta la preparazione di un atleta, ci si concentra sul continuo perfezionamento della sua capacità fisica e delle sue attitudini. Si lavora sul suo equilibrio, la sua forza, la sua resistenza. Oltre alla preparazione atletica, un atleta di MMA deve affrontare uno o due allenamenti specifici ogni giorno. Di conseguenza un bravo preparatore atletico deve essere in grado di coordinare i due tipi di sforzo fisico e di motivare il proprio lottatore nel raggiungimento di determinati obiettivi. Nel training camp il preparatore atletico svolge un ruolo fondamentale per quanto riguarda il potenziamento fisico dell’atleta, per questo deve saper organizzare un allenamento funzionale al combattimento ma allo stesso tempo prestare attenzione al benessere dell’atleta non solo dentro la palestra ma anche fuori. Un fighter deve poter essere al massimo delle sue capacità ogni giorno. La vita di un lottatore di MMA professionista non prevede altro se non duro allenamento e grande concentrazione.

Dal punto di vista tecnico, buona parte del condizionamento fisico osservato durante la mia permanenza, si basa su metodi scoperti grazie alle ricerche del Prof. Yuri Verkhoshansky, il padre della pliometria, che intorno al 1960 pubblicò i suoi primi studi. Questo tipo di allenamento mira a sviluppare la velocità del gesto del lottatore. Le ricerche di Verkhoshansky si basano sullo studio della contrazione muscolare (stretch reflex) applicato nell’allenamento in favore di uno sviluppo delle abilità dell’atleta. Nello sport questo tipo di contrazione avviene di continuo poiché i muscoli, nella maggior parte dei movimenti, eseguono una fase di contrazione eccentrica, ovvero di allungamento, seguita da una concentrica, dove il muscolo si accorcia ovvero si contrae. Migliorando dunque la capacità dello stretch migliorano anche i gesti atletici del lottatore, la sua velocità di reazione e la sua resa fisica.

Contrazione eccentrica concentrica

Un altro fattore da tenere in considerazione nella preparazione di un atleta è la sua capacità di equilibrio, della quale si occupa il sistema nervoso centrale. La velocità con la quale una persona contrae un muscolo e produce forza è anch’essa gestita dal SNC, quindi allenare e ottimizzare tale azione porta beneficio a tutti i movimenti eseguiti dall’atleta. Lavorando sull’equilibrio e sulla velocità di reazione svolgendo esercizi specifici, si può migliorare la velocità di risposta proprio perché il SNC è stato allenato ad attivarsi più rapidamente.

Per concludere, non esiste un metodo di lavoro completamente sbagliato o uno completamente giusto, ogni atleta richiede la pianificazione di un allenamento personalizzato nel quale vanno tenuti in considerazione molti fattori come ad esempio la categoria di peso in cui combatte (ci sono grosse differenze fisiche tra atleti che combattono nelle 135 libbre e atleti che combattono nelle 205) e i suoi punti di forza ma soprattutto di debolezza. Il training camp va costruito attorno al fighter, come un abito su misura, pertanto si deve essere disposti a modificare il corso di determinati allenamenti per esempio per degli improvvisi problemi fisici (contratture, affaticamento muscolare etc.) che possono insorgere prima del match.

Il tipo di approccio che ho potuto sperimentare in tale ambiente e la motivazione dei grandi atleti che ho conosciuto nel perseguire i loro obiettivi mi ha lasciato dentro tanta voglia di continuare a studiare le MMA e la loro preparazione atletica e senza dubbio di tornare, un giorno, a frequentare le palestre della California.

ring mma

ESEMPIO GENERICO DI PROGRAMMAZIONE DI CONDITIONING SU 3 ALLENAMENTI

Giorno 1

1. Esercizi di Mobilità articolare
2. Foam rolling

1. Esercizi di potenziamento SNC ( rapidità del gesto atletico, footwork ecc. )
2. Esercizi di pliometria ( soprattutto a corpo libero )
3. Sviluppo della potenza ( palle mediche, corde ecc.)

1. Stretching

Giorno 2

1. Esercizi di mobilità articolare
2. Foam rolling

1. Allenamento cardio ( utilizzo di molti metodi diversi in base alla distanza dal match, gli impegni settimanali quali sparring ecc.  HIIT, HICT, TEMPO METHOD)
2. Esercizi per il core
3. Esercizi per sviluppare l’ equilibrio

1. Stretching

Giorno 3

1. Esercizi di mobilità articolare
2. Foam rolling

1. Esercizi di pliometria ( soprattutto a corpo libero)
2. Allenamento della forza:   anche qui come per il cardio si usano diversi metodi in base alla distanza dal match, si utilizzano spesso esercizi in isometria che simulano le fasi di lotta alla gabbia oltre ai più classici “fondamentali” (panca, stacco e squat).
3. Esercizi per sviluppare l’ equilibrio

1. Stretching

NOTA BENE: questo è un ESEMPIO di programmazione generale! Bisogna poi valutare singolarmente ogni atleta facendosi delle domande (ha problemi a stare nella categoria di peso? Ha dei livelli di forza sufficienti? Ha delle carenze che si possono colmare con l’ allenamento in palestra?) .

Come si allenano gli atleti di MMA

L’articolo: come si preparano gli atleti di MMA è di Lochner Emanuele

Per informazioni e contatti lo trovi su Instagram/Facebook: Lochner Emanuele

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Biomeccanica del Front Lever

Aminoacidi: ABC di biochimica

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In questo articolo parleremo degli aminoacidi, creeremo dei ponti tra la chimica, la biochimica e la pratica. Saper costruire collegamenti tra le diverse materie è fondamentale per non cadere nel puro nozionismo e per saper sfruttare le nozioni apprese. Aminoacidi ABC di biochimica

Tutti i composti che conosciamo, sono costituiti da un insieme di particelle più piccole. Se scendiamo e ingrandiamo gli oggetti con la lente della chimica, vedremo che ogni cosa è composta da atomi. Gli atomi sono gli elementi che compongono la materia. Questi si associano tra di loro e possono formare legami veri e propri, oppure avere interazioni elettrostatiche.

Gli atomi uniti insieme, danno origine a delle strutture più complesse le molecole. Queste son caratterizzate da una serie di atomi. Siccome alcune molecole hanno atomi in comune, come per esempio l’azoto o lo zolfo, si classificano in gruppi funzionali, o strutture simili, i quali hanno comportamenti identici. Potremmo così creare e classificare famiglie di molecole.

Gli aminoacidi: le prime basi da sapere

Per quello che ci interessa possiamo incominciare ad imparare  partendo a studiare gli aminoacidi. Queste  molecole che hanno caratteristiche molto simili, in primis sono dotate tutte di due gruppi funzionali ricorrenti, il gruppo carbossilico e un’altro gruppo amminico.
La capacità di cedere o acquisire protoni con variazioni del pH è un altro fattore comune ed è molto importante negli amminoacidi.

Differenti tipi di aminoacidi

Qui si vede come nella prima figura ci siano due protoni H+. Nella seconda se ne va un protone. Nella terza  in verde se ne vanno due protoni. Questo comportamento dipende dal pH che è una misura della concentrazione degli ioni idronio in acqua, che tradotto in parole spartane vuol dire la misura dell’acidità o della basicità di una soluzione acquosa, come ad esempio un’aranciata, la candeggina, il sangue.

Un concetto semplice da capire è che se il pH è molto alto, cioè maggiore di 9, vuol dire che la soluzione è basica e allora prevarrà la struttura in verde, se il pH è invece minore di quello fisiologico vuol dire che la soluzione è molto acida e prevarra la struttura in rosa. Non fatevi trarre però in inganno dal fatto che sia sempre positiva una soluzione  basica, qui un esempio con la lisciva (pH 13,5)

Scherzi a parte la forma che prevale negli organismi animali come l’uomo è a pH 7-7,4 cioè il pH fisiologico,  in gergo scientifico si definisce la forma zwitterionica, per intenderci quella centrale nella figura di colore blu. Cioè una forma dove ci sono due cariche, una positiva localizzata sul gruppo amminico e una negativa localizzata sul gruppo carbossilico. L’alimentazione acida o basica influisce sulla nostra salute? In questo articolo abbiamo evidenziato se esistono correlazioni tra l’osteoporosi e la dieta alcalina.

Gli aminoacidi dell’essere umano

Esistono molte centinaia di aminoacidi in natura, alcuni sono stati ritrovati anche nei meteoriti. Però nell’uomo ce ne sono solamente 20. Questi 20 aminoacidi, che ricordiamo:
1) sono gruppi di atomi legati tra loro che formano molecole con due gruppi funzionali: amminico e carbossilico;
2) hanno una forma prevalente a pH fisiologico che è quella in blu (pH 6-7,4)
Sono in grado di combinarsi tra di loro e creare quindi delle catene, le proteine. Queste catene possono essere formate di soli due aminoacidi, un dipeptide, fino ad contenere molti molti aminoacidi, con una distribuzione statistica dei vari aminoacidi che lo compongono che varia a seconda del caso. Giusto per avere un’idea, le proteine che si possono formare teoricamente, sono di più di tutti gli atomi dell’universo.

catene di aminoacidi

Ad ogni modo queste catene lineari di aminoacidi, sono il primo tipo di struttura polipetidica o proteica. Ci sono altre due strutture che si possono avere: l’alfa-elica, e il beta-foglietto: sono entrambe strutture la cui forma o conformazione dipende dalle particolari interazioni. Ad ogni modo, la combinazione di catene lineari,
, unite anche da alcuni link di collegamenti chiamati loop, per farla semplice, danno via a strutture definite quaternarie. Per lo sportivo, è ben nota l’emoglobina, una struttura che ha la capacità di modificare la propria conformazione e di ospitare ossigeno. E’ un vero è proprio trasportatore. Un atleta che pratica sport di resistenza e che per natura ha molta emoglobina sarà avvantaggiato.

Struttura-proteine

Aminoacidi essenziali e non essenziali

I 20 aminoacidi di cui sopra, possono essere suddivisi in essenziali, e non essenziali. Quelli essenziali, si chiamano così perché è essenziale introdurli nel nostro organismo tramite il cibo e sono: triptofano, fenilalanina, lisina, metionina, treonina, valina, leucina, isoleucina.
Gli ultimi  tre, sono i famosi aminoacidi ramificati, o ancora meglio noti come BCAA= Branched Chain Ammino Acids=Amminoacidi a catena ramificata. Perché ramificati? Perché semplicemente se li osservate noterete delle ramificazioni e questo è tutto.

Aminoacidi essenziali

Noterete nella figura qui in basso delle L davanti al nome dell’aminoacidi. Ho aspettato fino a qui per spiegarlo. L sta per levogiro , D per destrogiro. Noi umani possiamo solo mangiare i Levogiri, trivialmente. Perché destrogiro e levogiro? Perché fa riferimento alla chiralità di una molecola. Una molecola chirale è una molecola che se la mettiamo davanti a uno specchio non possiamo sovrapporla alla sua immagine riflessa. Sembra complicato, ma basta guardarsi le mani. Le mani sono chirali e non sovrapponibili. Se mettete il dorso della mano destra sul palmo della mano sinistra, vedrete che un pollice sta destra e l’altro pollice sta a sinistra. Cioè non sono sovrapponibili. Invece, due mani sinistre e due mani destre, sono sovrapponibili.

Aminoacidi levogiri

Questa differenza tra destra e sinistra vale anche per le molecole. Sembra una differenza banale, e invece fa tutta la differenza del mondo nel nostro organismo. Non siete convinti ancora? Ok. Prendete un arancia e un limone. Tagliateli in due. Spremeteli in due bicchieri diversi. Ora odorateli. Che odore hanno? Uno avrà odore di limone. L’altro odore di arancia. Soltanto che è la stessa molecola, il limonene. Solo che nell’arancia è R-limonene, nel limone S-limonene. R e S sono altri modi per definire molecole che sono speculari tra loro ma non sovrapponibili come la mano. Cioè il limonene ha gli stessi atomi, però R-limonene non è sovrapobinibile a S-limonene. Questa semplice differenza vi sia da modello per capire che se questa volta riguardava l’odore, in realtà molte altre differenze, anche importanti, avvengono nel nostro organismo, tra un L e un D.

Poi ci sono gli amminoacidi non essenziali. Si dicono non essenziali perché il nostro organismo li produce da solo grazie ad alcuni enzimi, che sono in grado di sintetizzarli partendo dagli altri aminoacidi o da altre molecole ,  quindi non dobbiamo introdurli forzatamente con l’alimentazione.
I non essenziali sono: Arginina, Asparagina, Lisina, Aspartato, Cisteina, Treonina, Glicina, Glutammato, Glutammina,  Istidina, Prolina, Serina, Tirosina, Taurina.

Aminoacidi essenziali e non essenziali

Aminoacidi, proteine e turnover

Ogni alimento che noi mangiamo, ha la sua percentuale di proteine, che sono sono composte da diversi  amminoacidi. Quanti aminoacidi di un tipo o di un altro sono presenti? Siccome alla fine del processo digestivo al fegato arrivano direttamente aminoacidi sotto forma di dipeptidi (catene di due amminoacidi) e tripeptidi (catene di 3 amminoacidi), si capisce che se vogliamo introdurre più glutammina, ci conviene mangiare di più quei cibi che ne contengono in percentuale di più (salmone, latticini, frutta secca, spinaci, prezzemolo, ecc). Per questo a volte è inutile mangiare i BCAA dopo aver mangiato il petto di pollo, perché il pollo ci fornisce i BCAA di cui c’è bisogno. Il concetto quindi si può semplificare così: voi mangiate le proteine, e queste alla fine, vengono disassemblate e assorbite sotto forma di singoli aminoacidi. Se introducete già molti alimenti ricchi di amminoacidi ramificati conviene integrarli? La risposta la trovate in questo articolo: BCAA sempre e comunque utili?

Le proteine del nostro organismo, anche quelle che costituiscono i muscoli, hanno un ciclo vita. Come quello del tagliando della macchina, per esempio. Le proteine muscolari hanno un ciclo che si chiama turnover, proteico cioè un ricambio che per i muscoli si fa ogni 180 giorni circa. Ora nel caso si faccia uno sport di ipertrofia muscolare che è mirato al danneggiamento dei muscoli, questo processo serve proprio ad accelerare il turnover delle proteine danneggiate, che quindi accelererà. Per concludere, unendo alla teoria la pratica, se il nostro obiettivo è aumentare la massa muscolare, non dobbiamo solo guardare alla quantità dei mattoni, ma anche a tutto quello che regola il turnover ma questo lo scopriremo nell’articolo: quante proteine servono per mettere su muscolo?

Aminoacidi: ABC di biochimica, è del Dott Valerio Pasqua
Valerio è un chimico con la passione dello sport, in particolare del Ghirisport. Lotta per diventare Master Sport in questa disciplina. Il suo contatto mail è: valeriopasqua.unina@gmail.com

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La gestione dei liquidi nel taglio del peso dell’atleta

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Il periodo preparatorio che precede una gara è caratterizzato da una attenta preparazione fisica ma molto spesso,  negli sport da combattimento più giovani,  soprattutto in Italia, viene trascurata una preparazione nutrizionale adeguata. Trascurare la dieta comporta spesso nell’arrivare a pochi giorni dal controllo del peso, prima di una gara, fuori dalla propria categoria, questo porta l’atleta ad un repentino cambio di abitudini alimentari e di gestione dei liquidi che si va a sommare a quello accumulato durante il periodo preparatorio e all’avvicinarsi della competizione.

gestione-liquidi-nel-taglio-del-peso

In questo articolo ci soffermeremo soprattutto nella gestione dei liquidi applicando strategie che minimizzano lo stress e garantendo comunque il massimo risultato.

Il nostro corpo è composto per il 50-75% di acqua, quindi eliminare i liquidi è un modo molto veloce per scendere di peso, il problema è che ridurre troppo il contenuto di acqua può danneggiare gli organi e, nei casi più estremi, portare alla morte. Inoltre alcuni studi affermano che il conseguente calo di prestazioni dovuto a questa pratica è maggiore degli effetti positivi di diminuzione della taglia.

In uno di questi studi si definisce il rapporto tra disidratazione e calo nella performance: una disidratazione del 5% porta ad un calo della performance del 30%, già con una disidratazione del 2% inizia a manifestarsi il calo della prestazione atletica, e se la disidratazione supera il 6% il rischio di colpi di calore e altre cause  aumentano esponenzialmente mettendo perfino a rischio la vita. Per conoscere la relazione che intercorre tra disidratazione, plasma e sistema circolatorio leggi: arriva il caldo cosa bisogna sapere per allenarsi.

Naturalmente la perdita di liquidi ha effetti diversi su persone diverse, ma in linea di massima i vari gradi di ampiezza portano gli effetti sotto elencati:

  • Una disidratazione dell’1% riduce il VO2max e si hanno i primi sintomi di sete.
  • Al 2% la sete persiste e si inizia a perdere l’appetito e la resistenza.
  • Al 3% la bocca si asciuga e la performance globale inizia a peggiorare
  • Al 4% il senso di fatica aumenta accompagnato da senso di fastidio perenne
  • Al 5% aumento della frequenza cardiaca, difficoltà a concentrarsi e respirazione irregolare.
  • Al 6% forti mal di testa e scarsa propriocezione
  • Al 8-9% sensazione di vertigini, confusione e debolezza
  • Al 10% spasmi muscolari involontari e perdita di equilibrio
  • All’11% Colpo di calore, delirio e probabile morte.

Rapporto prestazione idratazione

Una volta che l’atleta si è gravemente disidratato è in grado di recuperare un livello di idratazione sufficiente prima dell’incontro? Ci sono un set di parametri che indicano lo stato idrico organico e sono:

  1. Colore dell’urina
  2. Osmoloarità dell’urina (tipi di particelle disciolte nelll’urina)
  3. Gravità specifica dell’urina (quantità di particelle disciolte nell’urina)

Ora, i primi due parametri, per essere verificati richiedono delle strumentazioni da laboratorio mentre per la terza è sufficiente comparare l’urina con una tabella di colori che indicano i vari stati di idratazione\disidratazione. Fortunatamente si è visto che il colore dell’urina è fortemente correlata agli altri due punti quindi più essere usato come parametro attendibile per valutare lo stato di concentrazione dei liquidi nell’atleta.

Idratazione e colore urine

La strategia corretta per un taglio dei liquidi efficace e più salutare

Il tipo di alimentazione e l’introito calorico da utilizzare durante il periodo preparatorio è fuori dalla portata di questo articolo ma possiamo dare dei suggerimenti su come gestire i liquidi prima del peso e capire il meccanismo che può portare un atleta a liberarsi dei fluidi in eccesso senza compromettere la prestazione o peggio, rischiare la vita.

Per esempio: bere tantissima acqua la settimana prima del taglio del peso e poi ridurre drasticamente la quantità di liquidi assunti vicino al momento del peso è molto più produttivo di ridurre l’apporto d’acqua lentamente.

Il ruolo della vasopressina: la vasopressina è un ormone definito “antidiuretico” e ha il compito di mantenere il livello di fluidi ideale nello spazio che separa le cellule. Un importante aspetto di questo ormone è il suo comportamento in stati di disidratazione, anche in presenza di una disidratazione lieve il nostro organismo aumenta la produzione di vasopressina attivando vari meccanismi che portano ad una maggiore ritenzione di liquidi. In opposto uno stato di iperidratazione porta il corpo ad espellere più acqua attraverso minzioni abbondanti e frequenti e a maggiore sudorazione.

Una strategia possibile da seguire per quello che riguarda il taglio del peso è quella di rimanere molto ben idratati fino a 24 ore prima del peso. Una tabella da seguire sulla gestione dei liquidi prima del peso è la seguente:

  • A 5 giorni dal peso: 6 litri d’acqua
  • A 4 giorni 6 litri d’acqua
  • A 3 giorni 3 litri d’acqua
  • A 2 giorni 2 litri d’acqua
  • A 24 ore prima 1 litro d’acqua
  • Prima del peso: solo piccoli sorsi quando sopraggiunge la sete

Durante i giorni che precedono la verifica del peso naturalmente si deve sudare molto, ma anche qui è importante usare il criterio e non vanno mai utilizzati diuretici o i sali da bagno Epsom, queste sostanze, tra i vari effetti collaterali anche gravi, eliminano l’acqua dalle articolazioni esponendo l’alteta ad infortuni. Invece è bene vestirsi pesante e allenarsi, in pratica perdere sudore praticando e raffinando le tecniche e le tattiche di combattimento.

Superato il peso come idratarsi

Una volta superato il peso l’alimentazione deve seguire un regime speciale per permettere il massimo reintegro dei liquidi, quindi nelle 24 ore che precedono l’incontro vanno eliminati i grassi e le fibre e assumere carboidrati e proteine liquide, assumendoli in piccole dosi distribuite lungo la giornata per evitare picchi insulinici. Un aumento del glicogeno muscolare richiamerà acqua nei muscoli, aumentando sia la capacità di disperdere calore dell’atleta, sia la sua performance.

Conclusioni sulla gestione dei liquidi nel taglio del peso dell’atleta

In questo articolo abbiamo affrontato un aspetto importate della preparazione dell’atleta: la gestione dei liquidi in vista del controllo del peso che precede un incontro. In questo altro invece abbiamo affrontato la reidratazione durante l’allenamento.

Naturalmente se non si segue un regime alimentare corretto e si arriva al peso fuori forma i consigli di questo articolo non aiutano più di tanto, è sempre importante valutare lo stato di fitness ed il peso ad intervalli regolari per evitare spiacevoli sorprese. E’ altrettanto importante acquisire esperienza e non testare nuovi metodi a ridosso degli incontri importanti. Ad ogni taglio del peso sia l’atleta che il suo preparatore acquisiranno nuova esperienza, vedranno soggettivamente come risponde. Se il tutto verrà monitorato l’esperienza farà si che questo processo diverrà sempre più raffinato ed ottimale, per portare il combattente, a  raggiungere il minor peso, nel massimo della condizione atletica possibile.

L’articolo: la gestione dei liquidi nel taglio del peso dell’atleta è del Dott Alessio Alfei
Dott. Alessio Alfei, ACE PT , laureato con lode in scienze motorie, preparatore atletico, titolare della palestra Fight Co. A Roma e responsabile del blog ministero della forza.
Su Facebook: Alfei Performance Systems
http://www.musclepower.it
http://ministerodellaforza.blogspot.it

 

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Project Nutrition

Bibliografia:

  • Urinary indices of hydration status.

Armstrong LE, Maresh CM, Castellani JW, Bergeron MF, Kenefick RW, LaGasse KE, Riebe D

University of Connecticut Human Performance Laboratory, Storrs 06269-1110.

International Journal of Sport Nutrition [1994, 4(3):265-279]

  • Sport nutrition: an introduction to energy production and performance.

Autori: Jeukendrup, A.; Gleeson, M.

Editori: Jeukendrup, A.;Gleeson, M.

Sport nutrition: an introduction to energy production and performance 2010 pp. 488 pp.

ISBN 9780736079624

  • The Significance of Water in Sport and Weight Control

M.R. Naghii*

Baghiyatollah (a.s.) University of Medical Sciences, Faculty of Health, Food Sciences & Nutrition Group, Tehran, IR of Iran

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Guida allo strappo olimpico: la posizione al ginocchio e la prima tirata

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Nella prima parte della guida allo strappo abbiamo visto come impostare la posizione di partenza. Ora non ci resta che aggiungere un ulteriore passaggio.

AL GINOCCHIO!

Come giustamente rimarcato nei video di Federico Fontana (che vi suggerisco di guardare e riguardare!), il sollevamento pesi è un sport di posizione: per la buona riuscita di un esercizio è importante che il nostro corpo assuma le giuste geometrie al momento giusto. Queste posizioni di base dovrebbero quindi essere imparate da subito e nella maniera più corretta possibile. Non smetterò mai di consigliarvi di affidarvi all’occhio di un bravo tecnico, lui vi potrà sicuramente aiutare più di quanto possa fare un semplice articolo.

Fatta questa doverosa premessa, continuiamo la nostra chiacchierata da bar e parliamo della posizione al ginocchio (o meglio, appena sopra il ginocchio) nello strappo.

Questa posizione è fondamentale, forse addirittura più importante di quella di partenza, tanto che spesso è la prima cosa che si insegna ad un principiante: un corretto posizionamento al ginocchio infatti ci consentirà di muovere il bilanciere lungo la coscia con una traiettoria adeguata e di accelerarlo al meglio. E, come immaginerete, la traiettoria e l’accelerazione, insieme all’incastro, di cui parleremo una delle prossime volte, sono i tasselli fondamentali per la riuscita dell’esercizio.

Impugniamo il bilanciere (come abbiamo imparato la volta scorsa), posizioniamo i piedi alla stessa apertura delle anche, leggermente extraruotati (esattamente come in partenza) e, flettendo il busto e piegando le ginocchia, facciamo sì che questo raggiunga la porzione inferiore della coscia, appena sopra la rotula. Anche in questo caso soffermiamoci ad esaminare i singoli elementi di questa posizione, una sorta di lista che deve essere mentalmente ripercorsa, più e più volte, fino ad essere interiorizzata. Siamo fortunati però, molti di questi dettagli sono gli stessi visti nell’articolo precedente.

Testa su!

Testa nello snatch

Figura 1 Testa rivolta troppo in basso,  troppo estesa, posizionata correttamente.

Come per la posizione di partenza, anche al ginocchio la testa è estesa e lo sguardo è fisso ad un punto appena sopra l’orizzonte, lo stesso che deve essere tenuto dall’inizio alla fine dell’esercizio.

Scapole chiuse!

Scapole nello snatch

Figura 2 Scapole perse, scapole addotte

Le scapole rimangono addotte e depresse, come in partenza. Diversamente dalla posizione iniziale però il peso è staccato da terra, lo teniamo in mano! Questo, ovviamente, è molto più tassante per i nostri muscoli (soprattutto all’aumentare del carico) e le spalle tenderanno naturalmente ad incurvarsi. La soluzione? Semplice, allenare la schiena!

Spalle avanti al bilanciere!

Spalle nello strappo olimpico

Figura 3 Spalle troppo indietro, un po’ troppo avanti, palle giuste!

Anche al ginocchio, le spalle, se viste di profilo, sono avanti rispetto al bilanciere. Quanto avanti? Dipende dal vostro somatotipo e dalla scuola tecnica di provenienza: nella scuola russa (e mi rifaccio al solito Aukhadov), che è quella che prendo come riferimento, le spalle parecchio in avanti, apparentemente troppo, tanto da determinare una posizione piuttosto scomoda. Non ci preoccupiamo, un poco dobbiamo pure soffrire per diventare bravi pesisti. Stiamo attenti però a non passare la barricata, esasperando questo avanzamento: rischiamo innanzitutto di perdere l’equilibrio, soprattutto quando avremo poi un bilanciere carico da maneggiare, e di raddrizzare troppo le gambe, perdendo in spinta. La virtù sta nel mezzo, ed un occhio esterno esperto può sicuramente aiutare.

Braccia rilassate e gomiti verso l’esterno!

Gomiti nello strappo

Figura 9 Gomiti indietro, gomiti giusti

Come dicevamo la volta scorsa, le braccia sono rilassate, anche al ginocchio. I gomiti puntano lateralmente, proprio come in partenza. Da qui a poco, verso la fine della tirata, il loro compito cambierà e… calma, ne parleremo più avanti. Anche i polsi sono rilassati, con le nocche che guardano verso il pavimento.

Addome contratto!

L’addome deve essere sempre roccioso. Ovvietà, ma è meglio ribadirlo.

Schiena dura!

Schiena nello strappo

Figura 11 Schiena persa… schiena iperestesa

I dorsali sono contratti per tenere il bilanciere vicino alla gamba. Inoltre, vista la posizione avanzata delle spalle, anche i lombari saranno piuttosto caricati. Sforziamoci di mantenere l’iperestensione! Vogliamo anche qui una soluzione semplice? Mi ripeto, alleniamo la schiena!

Ginocchia in fuori!

Ginocchia nello strappo

Figura 13 Ginocchia chiuse, ginocchia giustamente aperte

Spingiamo le ginocchia verso l’esterno. Questo ci consentirà di diminuire la distanza tra bacino e bilanciere, consentendo una posizione più verticale del busto. Anche in questo caso, la verticalità è un concetto relativo, che cambia da persona a persona in base alla lunghezza dei segmenti corporei. Stiamo quindi quanto più verticali le nostre leve ci consentono di essere, ma facendo attenzione a non arretrare troppo con le spalle!

Tibie perpendicolari al pavimento!

Tibie nello strappo

Figura 15 Tibie in avanti, tibie più o meno perpendicolari

Le tibie dovrebbero essere più o meno perpendicolari rispetto al pavimento. Non è una legge immutabile della pesistica, ma semplicemente la conseguenza di quello che abbiamo visto finora. Potrebbe, con una buona dose d’errore, servirci da metro per valutare quanto è buona la nostra posizione: le tibie sono circa verticali? Bene, siamo sulla giusta strada. Le tibie sono inclinate in avanti? Ahi, modifichiamo qualcosa a monte. Ripeto, è una valutazione un po’ approssimativa e può portare ad errori, quindi, come al solito, usiamo il buonsenso.

Equilibrio!

In questa posizione il baricentro dovrebbe essere spostato un po’ più sulla parte posteriore del piede. Se avete fatto per bene i compiti e avete imparato la posizione di partenza, avrete notato che, rispetto all’inizio, il baricentro si è spostato leggermente indietro. Da qui, proseguendo con l’alzata, il baricentro si sposterà ancora un po’ più indietro e poi in avanti, per arrivare infine sull’avanpiede.

Strappo passaggio al ginocchio

Ecco, questa è la posizione al ginocchio, una posizione apparentemente strana, in cui faticano i lombari e tirano i femorali. Una posizione che però è propedeutica al movimento che dovremo eseguire dopo e che ci fa capire uno dei fondamenti della pesistica: oltre ad avere gambe forti (e qui credo che nessuno abbia da ridire) un pesista deve avere anche una schiena forte. Schiena che quindi dobbiamo allenare con la stessa dignità con cui alleniamo le gambe. Come? Risposta secca: stacchi (esecuzione stile WL), tirate, rematore, trazioni e loro varianti.

Quindi, si diceva, siamo al ginocchio. È da questa posizione che incomincia il vero esercizio! Ma, portate pazienza, facciamo prima un passo indietro…

PRIMA TIRATA

Abbiamo visto la volta precedente la posizione di partenza, ora quella al ginocchio. Ma in mezzo cosa c’è? Cosa unisce questi due punti? La prima tirata (o first pull, se preferiamo gli inglesismi)!

Lo scopo della prima tirata è quello appunto di portare il bilanciere da terra al ginocchio. Può sembrare un’operazione banale, ma non sottovalutiamo le sfumature: non bisogna semplicemente  sollevare il peso, bisogna sollevarlo con precisione, in modo che arrivi, e noi con lui, al ginocchio nella maniera giusta.

A questo punto devo fare una precisazione terminologica. Per prima tirata in molti intendono quella porzione della tirata che va da terra a circa metà coscia, prima della fase di accelerazione (che viene definita seconda tirata). Io, per comodità di insegnamento, intendo invece quella parte della tirata che va da terra al ginocchio, appena sopra la rotula, mentre per seconda tirata intendo la parte dal ginocchio in su, che comprende anche la fase di accelerazione. Mi spiegherò meglio dopo, per ora prendiamo per buono questo: prima tirata = porzione della tirata che va da terra al ginocchio.

Mettiamoci nella posizione di partenza e ripassiamo mentalmente gli elementi visti nel precedente articolo. Una volta che abbiamo messo a fuoco la posizione e siamo compatti, iniziamo a muoverci.

Innanzitutto non partiamo strappando il bilanciere da terra, è inutile, ci fa solo sprecare energia. Vinciamo piuttosto l’inerzia del carico applicando la nostra forza in maniera progressiva e muovendoci, per tutta la prima tirata, in modo fluido e controllato. Il bilanciere deve seguire esattamente la traiettoria che noi gli diamo e accelerandolo troppo e troppo presto rischiamo invece di perderne il controllo. È anche vero però che non dobbiamo muoverci al rallenty, perché con un minimo di carico faremmo una fatica atroce. Come al solito giudizio: ci dobbiamo muovere alla massima velocità che ci consenta di controllare la traiettoria alla perfezione. Di più o di meno e scadiamo nell’errore.

Non pensiamo poi a tirare il bilanciere verso l’alto, quanto piuttosto a spingere le gambe verso il pavimento, quasi a volerlo allontanare da noi. È un piccolo trucchetto per imparare ad usare le gambe in modo più efficace. Il grande atleta infatti si riconosce non solo per la grandezza dei suoi muscoli ma anche (o forse, direi, soprattutto) per la capacità di usarli nel modo migliore. E qui apro una piccola parentesi, per la quale probabilmente mi attirerò le antipatie dei puristi: non disprezziamo, nei nostri allenamenti, il lavoro di muscolazione a la bodybuilder. Anzi, inseriamolo costantemente, per due motivi principali: il primo è che ci aiuta a costruire un corpo migliore anche dal punto di vista prestativo, colmando alcune lacune fisiche che con le sole alzate fondamentali non saremmo in grado di bersagliare in maniera adeguata; e poi, cosa ancora più fantascientifica (ma non troppo, visto che nel sistema di allenamento cinese è la norma) ci aiuta a sentire i muscoli, prenderne coscienza e, alla fine, ad imparare ad usarli in maniera adeguata. Sì, lo so, sento già del brusio, vedo facce sbigottite ed è appena volato qualche insulto. Vi capisco, magari avrò modo di spiegare meglio, secondo il mio modesto parere, come si deve allenare un pesista in un altro articolo.

Altra cosa che dobbiamo evitare è quella di sculare (cioè alzare il sedere troppo presto, non in maniera sincrona con le spalle) o, viceversa, raddrizzarci subito con la schiena. In effetti, questa, durante la prima tirata, praticamente non si muove: l’angolo che forma in partenza con il pavimento deve essere cioè mantenuto più o meno intatto fino al ginocchio. Questo vuol dire che la schiena lavora, in questa fase, in isometria. Ripeto per l’ennesima volta: alleniamo la schiena!

Spingendo per terra con le gambe, allarghiamo le ginocchia e muoviamole indietro, raddrizzando le tibie. In questo modo consentiremo al bilanciere di avere spazio per compiere la giusta traiettoria, idealmente verticale, più frequentemente concava verso l’avanti… insomma, a mo’ di C con la gobba rivolta verso di noi. Non esageriamo però drizzando troppo le gambe, rischiamo di trasformare una tirata in uno stacco a gambe tese, poco efficace.

Riassumendo, spingiamo le gambe per terra, apriamo le ginocchia, raddrizziamo le tibie, teniamo addome e schiena duri e tac! siamo arrivati al ginocchio nella posizione giusta. Una volta imparate la posizione di partenza e quella al ginocchio, dobbiamo solo unirle con un movimento controllato. Lo ripeto, controllato. Ancora una volta, se non si fosse capito: controllato!

Snatch passaggio al ginocchio

Esercitatevi e interiorizzate questo movimento, la prossima volta vedremo come muoverci dal ginocchio e concludere uno strappo. Preparatevi perché il difficile deve ancora venire!

Se avete dubbi o curiosità scriveteli pure nei commenti, non mancherò di rispondervi.

Per ora vi saluto e vi aspetto ai prossimi articoli!

Buon allenamento e ricordate: “practice does not make perfect. Only perfect practice makes perfect

Mezzo pesista

P.s Ringrazio Davide per essersi prestato come modello e Matteo che, oltre ad aver “posato” ha anche revisionato il testo. Grazie anche a Crossfit Piacenza che a breve compirà il suo primo anno di vita.

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Varianti delle trazioni

Frattura clavicola: il ritorno in palestra

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Per una funzionalità fisiologica della spalla sono necessari i movimenti coordinati delle articolazioni sterno claveare, acromio claveare e gleno omerale, nonché della scapolo toracica e dell’interfaccia tra la cuffia dei rotatori e il soprastante arco coraco acromiale.

Modificazioni patologiche di una qualsiasi parte di questa struttura anatomico funzionale, come ad esempio la frattura della clavicola, possono alterare la corretta biomeccanica della spalla; la sede della frattura alla clavicola è quasi sempre il suo corpo centrale (diafisi).

clavicola

La guarigione dalla frattura è più veloce se l’osso resta allineato, i tempi variano da un minimo di 3-4 settimane (frattura composta) fino a 9-10 settimane in caso di frattura scomposta, situazione in cui può essere necessario un intervento di riduzione chirurgica (riallineamento).

Mobilità, forza e stabilità sono le tre componenti fisiologico–funzionali della spalla che possono essere compromesse da una lesione acuta o cronica; tutte e tre possono essere efficacemente ripristinate con una adeguata terapia riabilitativa.

Passiamo in sala attrezzi

Gli obiettivi del trattamento iniziale sono essenzialmente due: recupero del tono/trofismo dei muscoli stabilizzatori primari e secondari della spalla e del braccio e riduzione delle forze compressive a carico della clavicola durante l’allenamento.

Quando il tutore viene rimosso, la stabilità è affidata alla muscolatura delle spalle ed in particolar modo ai muscoli romboidi, che si presentano “corti” sia per un atteggiamento di difesa (a livello inconscio vengono contratti simultaneamente per mantenere in scarico la clavicola), sia per la scarsa funzionalità causata dal periodo trascorso con il tutore.

Questi muscoli, salvo particolari condizioni, possono essere allenati e rieducati al movimento su di una comune macchina tipo “upper back” senza pericoli;

upper backmedL’inizio della seduta di allenamento, prevede un breve riscaldamento, ad esempio su di un classico Top XT, con l’accorgimento di mantenere la seduta leggermente più alta del normale e con una posizione delle mani sulle impugnature orientabili perpendicolare al suolo.

TOP_XT_PRO

Terminato il riscaldamento si procede con un classico esercizio di intra – extrarotazione ai cavi, al termine del quale si esegue il primo esercizio per il deltoide, ad un angolo di circa 45° dopo aver assunto una posizione di seduta laterale:

Alzata laterale su panca inclinata

Il torace va appoggiato lateralmente alla panca lasciando la spalla interessata all’esterno. Da questa posizione, si invita l’utente ad evitare la distensione completa del gomito e ad eseguire un movimento di abduzione con arrivo del braccio sul piano orizzontale; la limitata escursione articolare permette di evitare significative compressioni a carico della clavicola. Sono consigliati, inoltre, alcuni secondi di contrazione isometrica durante la contrazione concentrica massima, prima di iniziare la fase eccentrica.

Un secondo esercizio per l’allenamento del deltoide, soprattutto dei suoi fasci anteriori, è l’alzata frontale alterna.

Alzate frontali alternate

Per quanto concerne gli stabilizzatori secondari della spalla (muscoli pettorali e dorsali), inizialmente ci si atterrà all’accorgimento iniziale: posizione del braccio parallelo al torace; quindi si sceglierà una normale “Chest Press”, sulla quale si utilizzerà una seduta leggermente più alta del normale e un’impugnatura che permetta ai gomiti un passaggio parallelo ai fianchi; si chiederà infine di non staccare le spalle dallo schienale della macchina, per non causare una “interiorizzazione” delle spalle con conseguente compressione a carico della clavicola.

chest press

Per quanto concerne i muscoli dorsali, opteremo per la classica “Pulley” nella versione standard con impugnatura triangolare, o ancora meglio con l’asta effettuando una presa inversa. Quest’ultima variante garantisce una miglior stabilizzazione delle braccia. Come per la “Chest Press”, verrà consigliato di non “interiorizzare” le spalle, ma stavolta tale indicazione riguarda in prevalenza la fase eccentrica del movimento.

Pulley

Per concludere, dopo il defaticamento, verrà effettuata una breve routine di stretching per il distretto posteriore ed in particolare per i muscoli interessati nel periodo in cui è stato indossato il tutore (grande e piccolo romboide, elevatore della scapola, fascia alta del trapezio), i quali spesso presentano “contratture” ed affaticamento, che possono essere causa di dolore cervicale. Ottimi risultati sono stati ottenuti con sedute di “bioginnastica”, attività decontratturante che si avvale di un auto massaggio eseguito con sfere di varia forma e durezza, particolarmente indicata per  decontrarre i muscoli delle spalle.

Self-myofascial-release-teres-major

La ripresa dell’attività fisica specifica avverrà gradualmente e quando tutti i movimenti attivi e passivi dell’arto superiore nello spazio, iniziate con la fisioterapia, non causeranno, con un carico moderato, sintomatologia dolorosa.

BIBLIOGRAFIA

S.B. Brotzman: CLINICAL ORTHOPAEDIC REHABILITATION – Excerpta Medica Italia Srl
S. Busin, A. Gnemmi, N. Nicosia, C. Suardi, S. Zambelli, F. Hatfield: FITNESS LA GUIDA COMPLETA – International Sports Sciences Association – Edizioni Sporting Club Leonardo Da Vinci, Milano

Note sull’autore

L’articolo frattura clavicola: il ritorno in palestra è del Dott Dino Caprara
Dottore in Scienze Motorie, Osteopata
Perfezionato in Chinesiologia e Chinesiologia Rieducativa
Master in Scienze Podologiche.
Indirizzo Mail: dino.caprara@gmail.com

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FST-7 : cos’è e funziona veramente?

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Cos’è l’ FST-7? Qui il primo vero problema, perché molti tendono a pensare che sia l’ennesima trovata commerciale del bodybuilding, l’ennesimo metodo miracoloso (ed in effetti quel magico “7” fa sospettare sia così). No, l’ FST-7 è invece un principio, ed ora capiremo in cosa sta la differenza.

Il creatore è il coach Haney Rambod (the Pro Creator), noto per aver lavorato su atleti come Culter, Heath, Buendia. Il termine sta per Fascia Stretch Training ed il principio è proprio questo: stretching della fascia.

FST-7

Anatomia

Qualche cenno è doveroso, non entusiasma nemmeno me (so che questa è la parte che molti salteranno nel leggere), ma dobbiamo capire di cosa stiamo parlando.

Una fascia, in anatomia, è uno strato di tessuto fibroso. Una definizione quantomai generica, difatti possiamo identificarne tre tipologie: Superficiale, profonda e viscerale.

Quella che a noi interessa è la seconda.

Si tratta di una membrana fibrosa di tessuto connettivo denso che riveste la superficie dei muscoli e in alcuni casi vi offre inserzione. Essa fornisce protezione, sostegno trofico e sostegno meccanico al muscolo oltre a connettere i muscoli delle varie regioni del corpo tra loro.

Memebrana fibrosa

A differenza della fascia superficiale è avascolare ma è riccamente innervata con recettori sensoriali che riportano la presenza di dolore (nocicettori); cambiamento in movimento (propriocettori); cambiamenti di pressione e vibrazioni (meccanorecettori); recettori si stimoli chimici (chemocettori); e della fluttuazione di temperatura (termorecettori) [1], la fascia profonda è in grado di rispondere agli stimoli sensoriali prendendo o perdendo tensione o modificando la propria composizione attraverso il processo di rimodellamento fasciale. [2]

Se vuoi approfondire ulteriormente l’argomento fascia abbiamo scritto tre articoli a riguardo, uno sulla miofascia, uno sulla plasticità miofasciale ed infine uno sulle tre reti olistiche.

FST-7 : la teoria

Capito quindi generalmente di cosa stiamo parlando, andiamo a vedere su cosa si basa la proposta di Rambod. Come egli stesso scrive, vi sono delle differenze genetiche tra gli individui, ossia soggetti con fasce più o meno sottili. Nel primo caso vi sarà una maggiore facilità nell’espandere la massa muscolare che sarà meno costretta da una fascia “prepotente”. L’esempio che fa è quello del gonfiare un palloncino o una sacca d’acqua come faceva Columbu.

Think of it in terms of it being easier to blow up a balloon as opposed to one of those water bottles that strongmen like Franco Columbu used to.”

Lo scopo quindi è quello di portare ad un allungamento ed assottigliamento della fascia. Come? Nella maniera più logica: stretchandola.

Ora, lo stretch di fascia è in verità alla base di altre metodologie (vedi per esempio il DC di Trudel) ma qui Rambod da un contributo nuovo, ossia propone di stretchare la fascia attraverso una volumizzazione del muscolo (i.e. pump!).

Ma allora si tratta solo di questo? di semplice pump?

No, in verità alla base della filosofia di Rambod c’è dell’altro..

I also believe that a bigger muscle is a stronger muscle, and you absolutely must train with heavier weights in the 8-12 rep range”

In sostanza quindi la filosofia è semplice, un lavoro in pieno range ipertrofia muscolare concluso da un lavoro di endurance muscolare. Direi che questo può riassumere bene il concetto. Poi logicamente Rambod si trova a dover infarcire il tutto con una proposta più concreta. Da qui il numero 7, le 7 magiche serie che permetterebbero di pompare abbastanza da stretchare la fascia. Ovviamente nulla di effettivo, un numero che gli andava a genio, abbastanza lungo da risultare invitante e abbastanza corto da.. bhè, risultare invitante!

Sette serie dunque, tempi di recupero ovviamente bassi e rep medio alte. Rambod consiglia sempre le solite 8-12 ripetizioni, ovviamente un peso più leggero di un 8-12RM considerato il recupero incompleto.

Scelta degli esercizi

Qui Rambod parla solo degli esercizi per i “7-sets”. La scelta deve basarsi su due canoni:

  • esercizi che isolino il più possibile il muscolo target;
  • esercizi che non vedano la tecnica sporcarsi eccessivamente nel lavorare alla soglia del cedimento (i.e. non staccate in FST-7). Solito esercizio di pump insomma.
Quante volte utilizzarlo?

A detta di Rambod tale metodologia è troppo traumatica per i muscoli più grandi per essere utilizzata più di una volta a settimana, anche solo per una questione di DOMS (che teoricamente perdurerebbero per giorni). Personalmente dissento, i DOMS le prime volte possono essere effettivamente forti, soprattutto se utilizzata in determinate maniere che vedremo, però non per questo mi limiterei. Più che altro considererei che potrebbe essere più conveniente ricercare una variazione dello stimolo nei diversi giorni della settimana, che può voler dire non lavorare affatto con questi principi o anche utilizzarli in maniere differenti nelle due o più volte che alleniamo lo stesso muscolo (in caso di multifrequenza). Ma anche su questo ci ritorneremo.

Proposta su come applicare FST-7

Dunque, prendiamo come esempio il petto. Una scheda potrebbe essere:

  • Distensioni su panca inclinata 4×8-12
  • Croci panca Piana 3×8-12
  • Crossover ai cavi alti 3×8-12
  • Pec-deck 7×8-12 (20-45’’ di recupero)

Ovviamente è un esempio per capirci, si tratta di una scheda in verità abbastanza banale, difatti…

Varianti

… Rambod sicuramente non si ferma qua, o meglio, all’atto pratico lo vediamo lavorare in modi un po’ più “crudeli”.  L’ FST-7 come detto è un principio, quello di cercare di rendere la fascia più sottile e meno costrittiva nei confronti del muscolo in crescita (banalizzando). Una prima possibilità è quella di lavorare con 7 superserie o 7 triset, così per esempio:

7x: Estensioni al cavo alto 1×12 > superserie > Estensioni dietro la testa con manubrio 1×4 > superserie  > Flessioni presa stretta 1xmax

Oppure lavorare con specifiche tecniche di intensità nel recupero tra una serie e l’altra (flex between sets, stretch di fascia – quest’ultimo anche per completezza – lavori isometrici ecc..)

Insomma, come ho detto all’inizio si tratta di un principio, uno spunto su cui lavorare e creare allenamenti interessanti e divertenti.

FST-7 funziona?

Ecco finalmente il punto centrale. Personalmente sono scettico (non ve lo aspettavate?). Ma vediamo perché.

 La fascia profonda può andare in effetti incontro a cambiamenti di tensione che però sono dovuti al movimento di componenti attive (i.e. muscoli) e dunque temporalmente limitati possono essere conseguenze di situazioni fisiologiche o interventi chirurgici ma, affinché vi sia effettivamente una modifica strutturale della fascia, deve passare del tempo.

Un esempio pratico è la sindrome compartimentale. Si tratta di una patologia piuttosto grave che si sviluppa per esempio quando vi è un aumento del volume muscolare o in caso di sanguinamento; la pressione dovuta ad un aumento del volume all’interno della fascia determina una compressione dei vasi e dei nervi che, se protratta, può causare danni permanenti. Al di là del fenomeno acuto, vi è anche una sindrome compartimentale cronica che avviene nell’atleta (casi molto rari). In sostanza la fascia è si espandibile ed elastica, ma in misura molto ridotta proprio perché questa è la sua funzione.

Detto ciò nulla vuole essere tolto all’ FST-7 che sicuramente è un approccio interessante ma più per il tipo di lavoro che porta a compiere (endurance muscolare, alto volume allenante, supercompensazione del glicogeno e dei componenti sarcoplasmatici) che altro. Insomma, un ottimo modo per variare il proprio workout e per provare stimoli nuovi, ma niente di più. Per i natural ovviamente tutte queste metodiche sono  utili ma da usare con criterio all’interno di una periodizzazione, pena cuocersi per nulla.

Miofibrille sarcoplasma

[1] Schleip, Robert (2003). “Fascial plasticity – a new neurobiological explanation: Part 1″. Journal of Bodywork and Movement Therapies 7 (1): 11–9. doi:10.1016/S1360-8592(02)00067-0.

[2] Myers, Thomas W. (2002). Anatomy Trains. London, UK: Churchill Livingstone. p. 15.ISBN 0443063516.

L’articolo FST-7 è di Ludovico Lemme

Personal Trainer certificato ISSA e studente SaNIS (scuola di nutrizione e integrazione sportiva). Segue diversi atleti, sia dal vivo che online nel campo del Bodybuilding e del fitness in generale. Nel 2015 avvia il progetto Rhinocoaching con il quale si propone di creare una piattaforma di riferimento per i suoi atleti e per gli appassionati in generale.
Contatti: rhinocoachingofficial@gmail.com
Pagina FB: https://www.facebook.com/ludovicolemmemygrowth/
Sito Web: www.rhinocoaching.it

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Alimentazione ed evoluzione

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Su internet capita spesso di leggere che l’essere umano non è fatto per mangiare carne e proteine animali, oppure all’opposto che deve seguire una dieta specie specifica che escluda tutti gli alimenti “moderni” introdotti con l’agricoltura (cereali, legumi, latticini). Alla base di queste teorie c’è l’evidente peggioramento dello stato di salute dell’uomo occidentale ed un suo miglioramento escludendo determinate categorie di alimenti.
Vedremo alla fine dell’articolo che la nostra spiegazione a questo trend è un’altra, ma andiamo per gradi ed iniziamo questo viaggio alla scoperta dell’evoluzione alimentare dell’uomo.

Carnivori, erbivori, onnivori, frugivori, ecc.

Contrariamente a quanto possiamo pensare in natura non esiste una separazione netta tra erbivori o carnivori, almeno come la intendiamo noi. Per esempio la mucca che è un erbivoro quando mangia l’erba involontariamente introduce anche piccoli insetti, larve, vermi e lombrichi. Il leone di contro quando caccia una preda inizia a mangiarla dalle interiora e si nutre anche dei vegetali che l’animale aveva mangiato. La nostra visione degli alimenti è molto superficiale, spesso ci dimentichiamo che tutto è fatto da molecole e che queste sono composte da atomi. E’ la dose a fare il veleno, in natura per gli animali più evoluti non esistono assolutismi.

Da invisibili a primati

batteri-al-microscopio

Per poter comprendere a fondo il nostro metabolismo dovremmo partire dai nostri antenati più antichi, i primi batteri anaerobici che hanno popolato la terra e che si nutrivano solo di glucosio. Tuttavia la trattazione sarebbe troppo lunga e complessa pertanto facciamo un salto di milioni di anni e passiamo ad antenati più recenti: le scimmie antropomorfe.

La vita sugli alberi

I nostri predecessori passavano la loro esistenza al riparo sugli alberi. Erano frugivori (fruttariani), si nutrivano in prevalenza di frutta e semi. Tuttavia le scimmie antropomorfe saltuariamente, mangiano anche piccoli insetti, formiche e larve. Gli scimpanzé sono scimmie antropomorfe prevalentemente vegetariane. Il loro alimento preferito è la frutta ma non disdegnano anche la carne. Può capitare che caccino altre scimmie e che scambino la preda in cambio di sesso con le femmine.

Dal cielo alla terra

Cambiamenti atmosferici e climatici ci hanno obbligato a scendere dagli alberi e…  che fame! Ci siamo dovuti rinvientare cosa mangiare. La nostra prima scelta è stata cercare le bacche nei cespugli e i tuberi nel terreno. Per un po’ siamo andati avanti così, tuttavia, successivamente abbiamo scoperto un’altra fonte di cibo più nutritiva: le carcasse. Detta così può fare schifo ma nella nostra natura siamo degli scavanger. Ripulivamo la savana dai resti del pasto dei leoni. Lottavamo con le iene per accaparrarci gli ultimi resti di carne. Non abbiamo denti per squarciarla, quella che compriamo dal macellaio deve essere prima frollata. Non abbiamo intestini per inghiottirla intera come fa il leone. Dobbiamo lasciare il tempo che vada leggermente in decomposizione e che ritorni più morbida.

carcassa

Probabilmente difficilmente ci vediamo come mangiatori di carogne, ma i superstiti del disastro aereo delle Ande del 72, riuscirono a sopravvivere mangiando i propri compagni morti.

La caccia e l’idea che abbiamo dell’uomo preistorico arrivò dopo, inizialmente siamo stati avvantaggiati, questo perché la nostra corporatura non ci faceva riconoscere come predatori, potevamo avvicinarci agli altri animali senza farli scappare. Abbiamo, per fortuna, avuto il tempo di diventare abili cacciatori.

Per concludere questo paragrafo, col diffondersi dell’uomo sapiens sulla terra abbiamo visto che le popolazioni preistoriche avevano un’alimentazione molto differente a seconda della zona dove si trovavano, da prevalentemente vegetariana a prevalentemente carnivora. Insomma ci siamo sempre adattati a mangiare quello che trovavamo.

La storia dell’uomo attraverso al sua dentizione

crani-comparison

Il ritrovamento dei crani e dei denti dei nostri antenati hanno descritto come la nostra dentizione ha seguito le nostre abitudini alimentari. Da frugivori-vegetariani avevamo dentro molto grossi adatti a macerare tutto il giorno i vegetali. Quest’ultimi hanno un basso valore biologico, per fornire tutti i nutrienti devono essere finemente macerati ed assunti in grossi quantitativi (gli erbivori mangiano tutto il giorno). Più la nostra alimentazione ha incluso fonti animali e più la dentizione si è rimpicciolita. Oggi questa evoluzione (involuzione) continua ancora. Sempre più persone hanno i denti storti e hanno problemi con quelli del giudizio. Questo avviene perché non siamo più abituati a masticare alimenti duri (tuberi e carni crude), nel bambino lo sviluppo della mascella e della mandibola è pertanto limitato (legge dell’osso di Wolf) ed i denti non trovano il giusto spazio dove crescere.

Da cacciatori raccoglitori ad agricoltori allevatori

10.000-15.000 anni fa abbiamo iniziato a lasciare il nostro vecchio stile di vita per intraprendere il mestiere d’agricoltori. Perché questo è successo? Principalmente perché rispetto ai cacciatori gli agricoltori riescono a produrre più prole e questo ha un vantaggio nella sopravvivenza della specie. L’agricoltura ha portato anche molti altri vantaggi, oggi state leggendo questo articolo grazie a questa rivoluzione, ma inizialmente non è stato tutto rose e fiori. Passare da un’alimentazione di caccia e raccolta ad una agricola ha portato ad un abbassamento della vita media e della statura. Perché questo è successo?

  1. Siamo passati da un’alimentazione varia e stagionale ad una più monotematica
  2. Sono nate più malattie ed epidemia grazie al fatto che eravamo più numerosi e stanziali
  3. L’attività dell’agricoltura è ripetitiva, richiede molte ore ed è biomeccanicamente non naturale

Ma alla luce di tutto questo allora cereali, legumi e latticini fanno male?

Le popolazioni più longeve della terra

Popolazione Okinawa

Se guardiamo ai popoli che vivono di più al mondo seguendo uno stile di vita occidentale, vediamo che Giapponesi (Okinawa) e Sardi sono tra i ceppi di popolazione più longevi. Possiamo subito notare che si nutrono abitualmente di cereali, legumi ed i sardi anche di latte e formaggi.
Questo cosa ci insegna? Gli alimenti devono essere studiati in primis per la loro composizione chimica. Cosa contengono, le loro molecole come interagiscono con l’essere umano? Ci troviamo nell’anno dei legumi, quest’ultimi hanno sicuramente dei difetti (antinutrienti) ma anche moltissimi pregi. Escluderli perché l’uomo preistorico non li mangiava, perché per assimilarli siamo obbligati a cuocerli, per via delle lecite e saponine, vuol dire avere una visione limitata della nutrizione. I legumi sembrerebbero essere protettivi con alcuni tipi di cancro, hanno una composizione d’amilosio e amilopectina (amido) ottimale per insegnare all’organismo a metabolizzare correttamente i carboidrati e sono ricchi di fibre e micronutrienti. Li assaggiate e vi viene subito mal di pancia? Abituatevi con piccole dose, potete anche decidere di non inserirli nella vostra alimentazione, basta che poi non crediate che l’uomo non vive 120 anni perché li mangia.

Alimentazione, evoluzione e psicologia

L’evoluzione alimentare è sicuramente un aspetto affascinante ed interessante della nostra nutrizione. Proprio perché studiarla è importante non dobbiamo cadere in estremismi che hanno più a che fare con la psicologia che con la fisiologia.  Credete veramente che l’uomo oggi sta peggio perché mangia le proteine animali o i cereali o il latte?

La realtà è che la nostra condizione è peggiorata nel momento in cui stiamo diventando sempre più sedentari e mangiamo sempre più in eccesso. Sono gli “ingorghi metabolici” a peggiorare il nostro stato. Stiamo a preoccuparci di non introdurre intere categorie d’alimenti quando passiamo buona parte della giornata seduti o viviamo in città inquinate, fattori molti più importanti nell’abbassare la nostra aspettativa di vivere in salute.

Trovare dei nemici alimentari è un modo facile di vivere la vita, perché scarichiamo su alcuni alimenti tutte le colpe del mondo, tutte le nostre sfrustazioni. L’esempio è che indipendentemente da che alimenti togliete starete meglio. Questo succede a chi toglie il latte, la carne, i cereali, ecc. Per consolidare le vostre sicurezze cercherete gli studi scientifici che le avvalorano, senza tuttavia mai andare a controllare perché nelle linee guida (che sono la somma delle review e metanalisi) non troviamo esclusa nessuna categoria d’alimenti (ma tanto lo sappiamo sono gli interessi commerciali).

Insomma ogni gruppo cerca al suo interno la conferma alle proprie convinzioni e crea una selezione delle informazioni che le avvalori.

Seguite pure tutte la dieta che volete a patto che…

aborigeni

Per concludere vogliamo dare un consiglio. Seguite pure tutte le diete che desiderate (Vegane, Paleo, Gruppo sanguigno, ecc), basta che vi basiate sui numeri. La vostra composizione corporea è migliorata? Avete perso grasso e messo su muscolo? I vostri esami ematici e medici sono ottimali? Perfetto continuate come state facendo.

In questo caso l’evoluzione è sicuramente con voi.

Se non vuoi essere schiavo delle diete ma vuoi essere padrone dei concetti, scopri il nostro libro Project Nutrition.

Project Nutrition

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Project Nutrition Tour

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Project Nutrition Tour

“Perché solo chi conosce sceglie altrimenti crede di scegliere

Dopo il successo del libro Project Nutrition che ha visto nei primi 3 mesi oltre 6000 copie vendute, esce finalmente il suo tour. Il seminario percorrerà il sentiero tracciato dal libro ampliando alcuni argomenti trattati ed aggiungendone di nuovi.

Perché alcune persone sono geneticamente magre e muscolose, mentre altre faticano a raggiungere risultati soddisfacenti? Cosa cambia a livello fisiologico e biochimico?
Come l’alimentazione può supportare l’allenamento nel raggiungimento di un obiettivo?

Questa è la storia di un viaggio, un viaggio alla ricerca della comprensione di tutti quei processi che portano a raggiungere una miglior composizione corporea e una migliore performance sportiva. Il seminario ripercorre tutte le tappe teoriche che dobbiamo conoscere, collegandole nell’atto pratico a cosa dobbiamo fare.

Capire è il primo passo per poter agire correttamente.  Project Nutrition Tour si prefigge l’obiettivo di dissipare tutte le nozioni superflue, tutti i miti che girano ancora attorno all’alimentazione, mostrando l’essenziale.

Cosa fanno i migliori preparatori sul campo? Quali sono le nozioni accademiche che dobbiamo conoscere.
Dalla teoria alla pratica, dalla pratica alla teoria.

Un seminario unico per avere le basi per non perdersi, un seminario dedicato a chi:

  • Si allena e vuole ottenere il massimo
  • Vuole imparare a relazione l’alimentazione con l’attività fisica
  • Vuole una miglior composizione corporea
Programma del corso

Mattina: 10.00 – 13:30

  • Modificazioni fisiologiche ed ormonali indotte dall’alimentazione e dall’attività fisica.
  • Come differenti diete cercano d’interagire con questi fattori, quando ci riescono, quando falliscono.
  • I macronutrienti in relazione alla composizione corporea e performance
    – Ruolo dei carboidrati
    – Ruolo delle proteine
    – Ruolo dei grassi
    – Ruolo dell’acqua e degli elettroliti

Pomeriggio: 14.30 – 18:30

  • Le strategie dei migliori preparatori atletici e nutrizionisti sul campo
  • Approcci low carb e low carb cycling. Pro e contro
  • Approcci high carb e high carb cycling. Pro e contro
  • Strategie dall’allenamento in rapporto alla propria nutrizionale
  • Come elaborare una strategia vincente. La corretta programmazione.

Immagine Project Nutrition

Prima data del Tour: Pescara 2 Aprile

Presso dance Hall, via Raiale-  116 Pescara /asse attrezzato – uscita Pescara Est- Ovest (zona industriale)

Il seminario  si inserisce all’interno del percorso formativo d’altissimo livello di Training Lab (è compreso nel prezzo del corso) ma  rimane anche autonomo.

Costi

Prezzo scontato fino al 6 marzo 2016:

  • 79 euro (certificato di partecipazione)
  • 99 euro (Libro Project nutrition + certificato di partecipazione)

Per iscriversi scrivere a projectnutritionmail@gmail.com
L’iscrizione viene completata tramite bonifico bancario a:
Andrea Biasci
IBAN IT19M0306911205100000005303
Filiale Intesasanpaolo Brescia via Vender 98
Causale: Projet Nutrition Tour Pescara

 

Project Nutrition Tour Pescara

 

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Pulley: una variante interessante

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Il pulley è uno dei complementari più importanti per allenare la schiena. In questa versione vedremo degli accorgimenti complementari all’esecuzione classica che possono essere utilizzati per dare nuovi stimoli allenanti.

Breve anatomia dei muscoli della schiena.

Il nostro dorso è composto da diversi muscoli, ai fini estetici quelli più importanti sono sicuramente: il gran dorsale, i romboidi, il trapezio,il piccolo e grande rotondo.

Muscoli della schiena(Divertitevi a riconoscere quali sono i muscoli in rosso)

Principalmente possiamo inserirli in due grandi macro movimenti:

  • l’estensione dell’arto superiore
  • l’adduzione delle scapole

Ovviamente intervengono anche in altri movimenti ma questa semplificazione ci permette di capire a grandi linee cosa intendiamo quando parliamo dall’allenare l’ampiezza del dorso o lo spessore della schiena.

– I muscoli laterali del dorso (gran dorsale coi fasci caudali, piccolo e grande rotondo) contribuiscono a formare  l’ampiezza del dorso.
– I muscoli mediali della schiena (gran dorsale coi fasci craniali, trapezio e romboidi) contribuiranno a dare spessore.

Le trazioni alla sbarra classiche sono un esercizio che enfatizza l’estensione dell’omero e pone il focus sull’ampiezza dalla schiena. Poi a seconda di che presa facciamo l’intervento muscolare più modificarsi.

Il pulley è invece un esercizio principalmente per lo spessore perché ha una forte componente adduttoria delle scapole.
La tecnica che vedremo ha lo scopo d’accentuare principalmente questa funzione.

Pulley: la sua esecuzione

Contrariamente all’esecuzione del pulley classica dove per minimizzare le forza di taglio, bisogna rispettare e preservare il più possibile le curve fisiologiche:

Forze di taglio sulla colonna

con questa versione abbiamo un appiattimento del tratto lombare ed una accentuazione della cifosi dorsale (durante la fase eccentrica) pertanto se avete problemi al rachide evitatela.

Eccentrica pulley

Questo ci serve per abdurre il più possibile le scapole e preallungare i fasci dei romboidi e del trapezio.

abduzzione adduzione scapole

Ma la tecnica non si ferma qui, per richiamare maggiormente i fasci caudali del trapezio e per coinvolgere maggiormente piccolo e grande rotondo abbiamo anche un’elevazione delle scapole.

Allungamento nel pulley

elevazione depressione scapole

L’ultimo aspetto che possiamo enfatizzare riguarda i gomiti. Più rimarranno elevati e più la componente adduttoria sarà prevalente, al contrario, più li teniamo bassi e più enfatizzeremo l’estensione dell’arto superiore.

Gomiti nel pulley

La posizione flessa durante l’esecuzione del pulley oltre ad accentuare l’allungamento del gran dorsale, che ha parte dell’origine sulle creste iliache, evita l’utilizzo del cheating.

Questa variante del pulley è da eseguire quando abbiamo appreso quella standard. Una volta che controllate tutte e due potete variarle a seconda della vostra programmazione.

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Il rachide: quello che devi sapere

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Il rachide è una struttura complessa formata da: ossa (le vertebre) che si articolano tra di loro, legamenti, dischi, muscoli, vasi sanguinei, nervi e midollo spinale (da non confondere con quello osseo).

Il rachide ha un insieme di funzioni e caratteristiche fondamentali quali:

  • sostegno
  • movimento
  • protezione delle strutture nervose contenute nel canale vertebrale

E’ allo stesso tempo rigido e flessibile poiché è l’asse portante del corpo umano e permette ampi movimenti.

Il sostegno è facilmente intuibile considerando dove è situato, superiormente sostiene il capo, attraverso il cingolo scapolare gli arti superiori e inferiormente, attraverso il cingolo pelvico, crea la base per gli arti inferiori.

Il movimento è dato dal lavoro in sinergia delle singole vertebre e degli innumerevoli parti molli come muscoli intrinseci, estrinseci e legamenti.

La funzione di protezione è svolta dalle strutture posteriori delle vertebre: l’arco vertebrale infatti accoglie il midollo spinale e lo protegge essendo struttura delicata e preziosa (ricordo che il resto del sistema nervoso centrale è racchiuso nella teca cranica).

Le vertebre sono i segmenti ossei con duplice funzione in base alla loro composizione. Esse infatti sono composte anteriormente da un corpo osseo (forma cilindrica più larga che alta con una faccia posteriore smussata) e posteriormente da un arco (a forma di ferro di cavallo). Sull’arco posteriore si fissano le apofisi articolari a cui si fissano le apofisi trasverse e che delimitano i peduncoli dalle lamine e l’apofisi spinosa nel punto più posteriore. Tutte queste strutture ossee servono a far ancorare legamenti e tendini dei muscoli intrinseci ed estrinseci del rachide per dare sicurezza nei movimenti nei tre piani dello spazio.

Queste differenze strutturali corrispondo a differenze funzionali, anteriormente la vertebra con il suo corpo forma il pilastro anteriore con funzione di sostegno e posteriormente il pilastro posteriore ha una funzione dinamica.

Le vertebre si differenziano strutturalmente in base alla funzione che svolgono:

  • le vertebre cervicali sono piccole (portano meno peso) e molto mobili visto che devono indirizzare il nostro campo visivo;
  • le vertebre dorsali sono predisposte ad articolarsi con le coste per creare la nostra gabbia toracica, contenitore elastico capace di accogliere gli organi vitali e di espandersi e comprimersi per agevolare il lavoro dei polmoni nella respirazione;
  • le vertebre lombari infine sono le più grosse e meno mobili visto la loro funzione di sostegno di tutto il tronco, arti superiori e capo.

rachide e vertebre

Nonostante queste molteplici caratteristiche il rachide può muoversi in tutti e tre i piani dello spazio: flettendosi ed estendendosi, inclinandosi lateralmente e ruotando in un lavoro sinergico di muscoli, legamenti e attivazione neurologiche.

  • La flesso-estensione sul piano sagittale arriva complessivamente a 250° (110° di flessione e 140° di estensione)
  • L’inclinazione laterale sul piano frontale varia da 75° a 85°
  • La rotazione (secondo Greggersen e Lucas) raggiunge o supera di poco i 90° tra bacino e cranio.

Gradi fisiologici rachide

Un sistema così complicato e complesso spesso può andare incontro a delle disfunzioni: limitazioni articolari, dolori, patologie motorie..

Cercheremo di analizzare le patologie più frequenti:

  1. lombalgie
  2. sciatica
  3. spondilolisi-spondilolistesi
  4. scoliosi idiomatiche o posturali
  5. esagerazione delle curve fisiologiche
Rachide e lombalgia

E’ una sindrome (insieme di sintomi e segni clinici) lombare che colpisce specialmente in età adulta causata da alterazioni a livello dei dischi con sintomatologia limitata alla regione lombare.

La prevalenza nella popolazione generale è stimata tra il 12% e il 35%, mentre il 49-70% della popolazione generale presenta almeno un episodio di lombalgia nel corso della vita. Sebbene anche patologie importanti possano esserne la causa, in circa il 90% dei casi il dolore lombare è aspecifico, benigno e autolimitante.

La patologia si presenta con un dolore spontaneo al livello del rachide lombare che aumenta ai movimenti di pressione ed ai tentativi di mobilizzazione del tronco, contrattura della muscolatura paravertebrale e infine rigidità del tronco.

Le Linee Guida non sono concordi sulla distinzione tra lombalgia acuta e lombalgia subacuta. Alcune di queste differenziano la lombalgia acuta da quella subacuta per la durata inferiore o superiore alla 4 settimane, mentre altre definiscono come lombalgia subacuta, quella che si verifica dopo 6 settimane. Tutte sono invece concordi nel definire la lombalgia cronica come dolore lombare persistente oltre le 12 settimane (3 mesi).

Alcuni dati clinico-anamnestici, denominati “red flags” (cartellino rosso), devono indirizzare verso un rapido approfondimento diagnostico perché possono essere spia di una patologia organica importante che necessita di una diagnosi rapida. “Red Flags (segni di allarme) che impongono un approfondimento diagnostico in tempi brevi e che sono riportate da tutte le linee guida:

– Età di insorgenza maggiore di 55 anni – Storia di neoplasia
– Calo ponderale
– Febbre di origine ignota
– Deficit motori estesi (multimetamerici)
– Deficit motori progressivi o disabilitanti
– Ritenzione urinaria
– Incontinenza fecale
– Anestesia a sella
– Osteoporosi e/o fratture osteoporotiche
– Uso di steroidi
– Trauma maggiore

Red Flags riportate solo da alcune Linee Guida:

– Età di insorgenza <20 anni
– Infezioni recenti
– Rigidità mattutina
– Risveglio notturno per il dolore
– Dolore costante e/o progressivo (non sollievo a letto)
– Immunosoppressione/HIV
– Deformità strutturali
– Dolore da carico, accentuato dalle variazioni di posizione
– Sciatica uni/bilaterale
– Area di provenienza geografica (ad es. TBC ossea)
– Storia di entesiti, mono-oligoartriti, uveite anteriore

• La lombalgia acuta avviene all’improvviso senza una causa evidenziabile (colpo della strega), qui il dolore e la contrattura sono molto forti tanto che anche un leggero movimento come un colpo di tosse o uno starnuto provoca dolore. La sindrome si risolve in pochi giorni con riposo attivo e terapia medica (antinfiammatori etc.)

• Le lombalgie croniche possono essere tali sin dall’inizio oppure secondarie a lombalgie acute. Il trattamento delle lombalgie croniche trova risoluzione nella fisiokinesiterapia: terapie fisiche (tecar, laser, tens), ginnastica vetrebrale-posturale, ergonomia nella vita di tutti i giorni e soprattutto cura del gesto sportivo al momento della ripresa nelle varie attività sportive. (CM Peruzzini, G Rigon, L Scilanga. Dialogo sui farmaci)

Il rachide e la sciatica

La sciatalgia è il dolore riferito all’arto inferiore, lungo il decorso del nervo sciatico (gluteo e zona posteriore della coscia per poi passare internamente alla gamba fino all’alluce), che può accompagnare una lombalgia da ernia del disco (lombosciatalgia).

ernia

Molte affezioni possono essere la causa di insorgenza di una lombosciatalgia:

-l’ernia discale
– l’artrosi
– anomalie congenite del rachide
– tumor
– infiammazioni

In presenza di diagnosi certa di ernia discale, l’indicazione all’intervento chirurgico può essere posta nel caso in cui il deficit motorio sia progressivo e si evidenzi con piede cadente o ipotrofia della coscia. Per alcune linee guida, nei casi di sciatalgia iperalgica intrattabile, resistente a tutte le terapie antidolorifiche, anche la sola scelta informata del paziente può giustificare l’intervento prima del periodo di terapia conservativa. Altrimenti il trattamento consiste nel riposo, nella terapia medica (antinfiammatori, antidolorifici, miorilassanti, etc.), in una accurata fisiokinesiterapia e superata la fase acuta iniziale, nell’uso di un corsetto ortopedico.

Rachide e  spondilolisi-listesi

Con il termine spondilolisi si intende una frattura della parte posteriore della vertebra (istmo), per distesi si intende scivolamento, cioè una frattura della zona vertebrale tra corpo e processi e peduncoli che può anche scivolare in avanti.

Spondilolisi-spondilolistesi

Spesso è un difetto congenito e diventa un serio problema solo in presenza di dolore, rigidità e spasmi muscolari. Talvolta in presenza di compressione alle radici spinali si può avere una sciatica. La Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione (SIMFER), nella primavera del 2002 ha proposto delle Linee Guida sul ” Trattamento riabilitativo del paziente in  età evolutiva affetto da patologie del rachide”.

Le linee guida raccomandano di minimizzare il numero di radiografie durante il follow-up del paziente con spondilolistesi, anche se nel periodo di crescita rapida o all’inizio del trattamento può essere necessario effettuarle con cadenza semestrale. Inoltre, raccomandano, per ridurre l’irradiazione ai follow-up di effettuare unicamente la radiografia latero-laterale in ortostasi e di limitarla al solo rachide  lombare. Anche per gli adulti, in presenza di spondilolistesi, valgono le stesse indicazioni relativamente alle stesse percentuali di scivolamento. Naturalmente in età adulta, il controllo radiografico  deve essere ripetuto ad una distanza molto superiore, di 5 o, addirittura, di 10 anni.

Mal di schiena e sport

E’ stato provato che lo sport fa male se fatto troppo o se fatto troppo poco e male (in medio stat virtus).

Lo sport svolto a livello agonistico va interpretato come un vero e proprio lavoro: come sul lavoro si deve imparare come usare il proprio corpo, per un atleta è essenziale uno studio attento del corretto gesto tecnico, una buona preparazione fisica e l’adozione di tutte quelle misure di prevenzione che possano consentire di evitare da un lato l’infortunio acuto, dall’altro il sovraccarico.

Per quanto riguarda invece lo sport amatoriale, il mal di schiena è contraddistinto da proibizioni più che da permessi, secondo una serie di pregiudizi che non hanno nulla a che fare con la realtà. In generale un adulto fa quello che riesce a fare, che è compatibile con la sua vita familiare e professionale e, soprattutto, che continua a fare ciò che lo diverte.

Nell’attività fisica in palestra evitate di modificare le vostre curve fisiologiche, soprattutto se portano ad appiattire la schiena. Questo riduce la capacità del rachide d’assorbire le forze e vi predispone a problematiche articolari.

L’articolo Il rachide: quello che devi sapere è della Dottoressa Elisabetta Ton
Fisioterapista trimamma con la passione per il movimento
Mail: elisabetton@gmail


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