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Consumo energetico nel ciclismo

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Alla fine dell’articolo sul costo energetico della corsa, avevamo iniziato a riflettere su quello nel ciclismo. Ora finalmente vedremo tutte le risposte. Prima tuttavia vi consiglio, per chi non lo ha già fatto, di dare almeno uno sguardo al precedente articolo per facilitare la lettura di questo.

Quanto calorie si consumano nel ciclismo

Esattamente come nella corsa, anche in questo caso il costo energetico è dato da:

Formula costo energetico

Dove vi ricordo che Cna è la componente non aereodinamica e Ca la componente aereodinamica. A differenza della corsa il peso di queste due componenti è nettamente diverso e Cna risulta essere 10 volte più piccola rispetto alla corsa. Questo è dato dal fatto che, per esempio, le contrazioni muscolari per il mantenimento della postura durante il ciclismo sono molto meno di quelle necessarie al mantenere il giusto assetto nella corsa.

Di conseguenza la risposta alla mia domanda è: “La componente aereodinamica cresce perché cresce la velocità e quella non aereodinamica è più piccola?”

Andiamo avanti: entriamo nel mondo della biomeccanica, ma prima vi ricordo che il ciclismo è uno sport ciclico il quale obbiettivo è coprire una certa distanza nel più breve tempo possibile che può essere diviso in un STARTING TIME e un CYCLING TIME.

Starting time: il soggetto effettua lavoro meccanico per portare il suo corpo da V0 a Vmax (per accelerare se stesso e la bicicletta).

In piano

lavoro meccanico = ∆ energia cinetica

Ek Start = 1/2 m (Vmax – V0)2

Dove m è la massa del soggetto + bicicletta

Questo lavoro deve essere AGGIUNTO al lavoro effettuato (energia consumata) a velocità costante

Lavoro meccanico = Ek Start + Ek a Vcostante

Ovviamente per gare di lunga distanza Ek Start è trascurabile.

Tuttavia nel caso del ciclismo si studiano le forze “resistenti” che si oppongono al moto da cui si calcola la potenza meccanica “esterna” che è necessario erogare per procedere alla velocità desiderata e le forze esercitate ai pedali da cui si calcola la potenza meccanica “interna” necessaria per procedere sempre alla velocità desiderata.

Se vogliamo descrivere la prestazione del ciclista, possiamo dire che le gare vengono vinte da coloro che hanno una potenza metabolica elevata e un costo energetico basso.

Vmax = Emax / C

Dove Emax è la massima potenza metabolica e C è sempre il costo energetico.

Tuttavia, come detto prima bisogna comprendere bene il concetto di lavoro meccanico esterno e interno per capire la prestazione del ciclismo e le sue determinanti.

In questo sport il centro di massa non si sposta in alto e in basso (o molto poco, per via del movimento degli arti) e la maggior parte del lavoro serve a proiettarlo in avanti. Inoltre c’è da tenere in considerazione il “sistema uomo-bici”: le quali caratteristiche possono influenzare, di molto, il lavoro meccanico totale.

Dal punto di vista biomeccanico, il lavoro totale è dato dal lavoro esterno e quello interno:

Consumo calorico biclicletta

Non mi soffermo a descrivere tutte le componenti però queste sono le determinanti di SOLO il lavoro esterno. Già da cui capiamo come è complicata la situazione del ciclismo rispetto alla corsa. Pensate che per misurare la resistenza dell’aria si usano le gallerie del vento che consentono di determinare anche l’effetto del mal posizionamento di una bottiglia d’acqua, di cavi “sporgenti”, dell’equipaggiamento ecc. Chiaramente per coloro che non hanno una galleria del vento in cantina è possibile stimare tutto ciò con una fotocamera e applicando un paio di formule (se volete saperne di più scrivetemi per email).

Ci sarebbe da parlare anche dell’effetto che il terreno ha sul ruotismo e quindi sul coefficiente di attrito tra le ruote (e la loro pressione) e il terreno oppure dell’efficienza di trasmissione della catena (ad oggi vicina al 100%), ma non voglio diventare troppo palloso.

Test galleria vento(Test galleria del vento)

Il lavoro interno è:

Wint = q · CF3

dove q è la quantità di massa in movimento e cf è la frequenza del movimento degli arti. Wint è tanto maggiore quanto maggiore è la cadenza: se pedalo a 60 rpm ad un carico di 300 w il contributo di Wint è trascurabile se pedalo a 120 rpm a 100 w no.

Consumo calorico ciclismoDetto tutto questo otteniamo un altro modo per trovare il costo energetico nel ciclismo, dato da:

C = Wtot /  h

Dove  h è l’efficienza che nel ciclismo è prossima la 25%.

Mi rendo conto che è un articolo abbastanza complicato e non molto applicativo.

Oltretutto ciò che può fare l’allenatore o l’atleta per poter abbassare il costo energetico è davvero poco.

Si può ovviamente lavorare sulle variabili fisiologiche (pensate che a 46 km/h il 91% del VO2max è utilizzato solo per vincere le resistenze aereodinamiche), ma dal punto di vista biomeccanico si deve cercare di ridurre al minimo tutto gli spostamenti dell’atleta sopra la bicicletta e di ottimizzare la tecnica di pedalata cercando, inoltre, di lavorare molto bene con i sistemi di monitoraggio della potenza (es: SRM) per capire a quale frequenza di pedalata, in relazione al rapporto e al terreno, il nostro atleta ottimizza i parametri del lavoro interno e esterno.

Sistema SRM ciclismo

Del Dr: Andrea Monte
Studente al 1° anno magistrale in scienze delle attività motorie e della prestazione sportiva.
Personal trainer impegnato del territorio veronese e della provincia di Bolzano
Email: andrea.monte92@hotmail.com

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Vitamina D e Salute Cardiovascolare: Relazione tra Ipovitaminosi e Funzione Miocardica

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Vitamina D e salute cardiovascolare PDF

La Vitamina D, nell’epoca della sua scoperta, venne chiamata “vitamina della luce solare”in onore al fatto che in passato, prima dell’avvento degli antibiotici, la cura con il sole era l’unico metodo in grado di fronteggiare la tubercolosi. Anche se non era stato ben capito il meccanismo d’azione, a livello scientifico veniva già evidenziato che i pazienti che venivano internati in strutture ospedaliere localizzate in ambienti soleggiati, guarivano con maggiori probabilità.

Successivamente fu scoperto che il medesimo “trattamento solare” aveva effetti benefici non soltanto sulla tubercolosi, ma anche su un’altra grave malattia dell’epoca industriale denominata rachitismo, la quale è caratterizzata da notevoli deformità alle ossa dei bambini a causa della mancata trasformazione rigida dell’osso.

Dal secolo scorso ad oggi, le ricerche su questa “amina vitale” hanno individuato molti altri importanti benefici che la rendono la Vitamina D indispensabile non soltanto alla regolazione dei livelli di calcio e fosfato organici, ma anche riguardo altre particolari funzioni vitali, sconosciute fino a pochi anni fa, che spaziano dall’apparato endocrino a quello muscolare, dalla neurologia fino alla cardiologia(1).

In questo elaborato verranno trattati i benefici della Vitamina D riguardo alla salute dell’ultrastruttura miocardica e della sua corretta funzione.

Vitamina D e salute cardiovascolare

Cenni fisiologici sulla vitamina D

La Vitamina D è un seco-steroide conosciuto nelle sue due forme più note:

  • Vitamina D2 (Ergocalciferolo)
  • Vitamina D3 (Colecalciferolo)

Il Colecalciferolo, la forma che ha maggiore rilevanza clinica, pur essendo presente in alcuni alimenti, viene per la maggior parte sintetizzata livello cutaneo in seguito ad esposizione ai raggi UVB.

La reazione di fotolisi ha come substrato il 7-deidrocolesterolo dal quale si forma la pre- vitamina, genera la Pre-vitamina D3, la quale, si trasforma lentamente in circa 48 ore in Vitamina D3 (Colecalciferolo) attraverso un processo non enzimatico. Per quanto riguarda invece la Vitamina di provenienza alimentare, il suo assorbimento avviene a livello del duodeno, dove successivamente viene trasferita al sistema linfatico tramite l’intervento dei chilomicroni. Sia la vitamina sintetizzata che quella assorbita, una volta nel sangue, vengono trasportate da una specifica “proteina carrier” che rende la Vitamina D pronta ad essere metabolizzata oppure per essere stoccata a livello del tessuto adiposo.

E’ importante precisare che la Vitamina D, nella forma in cui è, non è in grado di funzionare, infatti necessita di essere sottoposta a due reazioni di idrossilazione per essere trasformata nella sua forma biologicamente attiva, il Calcitriolo.

Le tre funzioni “tradizionalmente” descritte come principali del Calcitriolo sono:

  • lo stimolo a livello intestinale dell’assorbimento di calcio e fosfato;
  • lo stimolo a livello osseo del riassorbimento osteoclasto;
  • lo stimolo a livello del tubulo renale per il riassorbimento del calcio.

Vitamina D

Nell’ultimo decennio però si è sviluppato un interessante filone di ricerca che attribuisce alla Vitamina D una lunga serie di altre funzioni piuttosto differenti dal semplice ruolo di controllore dell’omeostasi calcica e fosforica; tale molecola è infatti implicata in una serie di processi importanti, tra cui la funzione cardiovascolare.

Carenza di vitamina D: dati epidemiologici e fattori associati

Se si consultano i risultati delle più attendibili indagini epidemiologiche effettuate a livello internazionale, si può notare che nella maggioranza di queste è stata documentata una considerevole prevalenze di ipovitaminosi D, la quale risulta essere, per il mondo intero, “un rilevante problema di salute pubblica”. Se si considera nello specifico la situazione italiana, si può notare che l’alimentazione tipica fornisce in media un decimo del fabbisogno giornaliero, per cui quando l’esposizione solare risulta essere virtualmente assente, dovrebbero essere garantite supplementazioni per quasi l’intero fabbisogno. E’ inoltre importante precisare che, per il momento, la legge italiana non prevede l’utilizzo dei cosiddetti “alimenti potenziati” per sopperire a questa notevole mancanza (1–3).

Altro importante particolare è che tale deficit di Vitamina D risulta essere particolarmente frequente all’interno della popolazione geriatrica a causa della ridotta capacità della loro cute di effettuare la fisiologica reazione di fotolisi necessaria ad avviare la produzione endogena di quest’importante molecola. Poiché l’80% circa del fabbisogno di Vitamina D viene soddisfatto mediante l’irradiazione solare, si evince che la stagione invernale può diventare ancora più problematica, soprattutto per quelle categorie di persone che per vari motivi non sono in grado di poter passare molto tempo all’aria aperta durante le ore diurne (4-5).

Studi multicentrici europei hanno infine sorprendentemente documentato che la prevalenza di questa malattia è nettamente maggiore nelle popolazioni che vivono nei territori più meridionali del vecchio continente, le quali, malgrado le condizioni climatiche più favorevoli, praticano una dieta povera di Vitamina e, paradossalmente, hanno una più limitata esposizione ai raggi solari rispetto alle popolazioni nordiche (6).

Vitamina D e tessuto miocardio

Come precedentemente accentato, la Vitamina D svolge importanti funzioni a livello cardivascolare: i suoi effetti spaziano dall’attività contrattile vera e propria, fino alla regolazione di diverse funzioni a livello intracellulare.

Numerosi studi hanno dimostrato, sia in vivo che in vitro, uno stretto collegamento tra danno miofibrillare ed ipovitaminosi. Molte problematiche relative al mantenimento dell’ultrastruttura miocardica sembrano essere collegate allo stesso problema. Il fattore ancora più importante da sottolineare dal punto di vista clinico ai fini di questo approfondimento, è che tutte le condizioni sopradescritte, non sembrano essere collegate ad una risposta patologica legata all’ipocalcemia; infatti importanti evidenze sperimentali hanno chiaramente dimostrato che la normalizzazione della calcemia non produce miglioramenti sulla funzione delle cellule miocardiche in presenza di una persistente ipovitaminosi (7).

La carenza di Vitamina D sembra quindi che possa fermamente contribuire a tutti quei meccanismi fisiopatologici attraverso i quali risulterebbe possibile sviluppare un’ipertrofia miocardica; tra le varie azioni ascritte a questa particolare molecola ci possono essere:

  • Regolazione dell’attività immunitaria
  • Regolazione del metabolismo intracellulare appartenente al ferro
  • Notevole contributo nella regolazione di tutti quei processi cellulari che avvengono in situazioni di stress ossidativo e/o ischemia
  • Mantenimento delle proteine contrattili Actina e Miosina Controllo della sintesi di collagene
  • Regolazione “soppressiva” del sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone
  • Regolazione “soppressiva” del paratormone, le cui concentrazioni plasmatiche aumentano in maniera inversamente proporzionale (iperparatiroidismo secondario) a quelle della Vitamina D
  • Regolazione sul metabolismo del calcio miocardico, tramite l’interazione con specifici recettori espressi sul cuore stesso, responsabile della regolazione sull’attività sistolica e diastolica.
Carenza di vitamina D, arteriosclerosi e cardiopatia ischemica

In virtù di quanto detto, la Vitamina D può essere coinvolta nello sviluppo dell’arteriosclerosi e della malattia dell’albero coronarico dell’uomo. Studi clinici hanno documentato una stretta correlazione inversa tra livelli ematici di Vitamina D e calcificazioni arteriosclerotiche dei vasi coronarici, confermando quindi l’ipotesi che i processi che generano e sviluppano quest’ultime sono regolati da vie metaboliche comuni a quelle dell’osteogenesi scheletrica (12-13).

La carenza di Vitamina D può inoltre essere responsabile dei fenomeni di ischemia miocardica attraverso la sua fisiologica capacità di regolazione sul sistema renina-angiotensina- aldosterone. Il conseguente aumento della pressione arteriosa può infatti favorire la comparsa di possibili ipertrofie e/o fibrosi miocardiche, le quali vanno notevolmente ad aumentare la probabilità di manifestazioni ischemiche a causa delle forti pressioni che si vanno a creare sulla parete del cuore stesso (10).

Carenza di vitamina D e scompenso cardiaco

Gli effetti soppressivi sul sistema renina-angiotensina-aldosterone e gli effetti sul metabolismo del calcio imputabili alla Vitamina D, possono essere considerate delle vere e proprie proprietà antipertensive attraverso le quali è possibile preservare la geometria e la funzione ventricolare sinistra, nonché rallentare la progressione verso lo scompenso cardiaco (14-15).

Ad avallare l’attività antipertensiva appartenente alla vitamina D, vi sono le esperienze di Krause et al (16), hanno dimostrato la stretta associazione tra l’aumento dei livelli sierici di questa molecola, indotti rispettivamente dall’aumentata esposizione solare controllata e dalla somministrazione orale di Vitamina D2(100000UI), e la riduzione significativa dei valori pressori arteriosi sistolici e diastolici.

E’ inoltre importante prendere in considerazione, tra i vari fattori contribuenti alla situazione di scompenso cardiaco, anche la forte proprietà immunostimolante di questa “ammina vitale”; in situazioni di ipovitaminosi, l’immunodeficienza conseguente va a creare delle attivazioni appartenenti al sistema delle citochine infiammatorie collegate al sistema cardiovascolare (elevati livelli ematici di PCR e IL-10), che rischiano di andare conseguentemente ad aumentare la predisposizione al manifestarsi delle varie infezioni respiratorie stagionali (17-18).

Carenza di vitamina D e scompenso cardiaco cronico

E’ noto già da molti anni che tra i pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico vi sia un’elevata presenza di soggetti deficitari in Vitamina D, dove, all’interno di alcune casistiche, si parla di valori vicini al 90% delle persone esaminate (19–21).

Sia per cause ambientali che comportamentali ben definite (ridotta propensione all’esposizione ai raggi solari, vacanze molto corte o assenti, vita sedentaria, etc), le persone con scompenso cardiaco cronico sono particolarmente predisposte a sviluppare un deficit di questa molecola, con conseguenti valori sierici notevolmente inferiori rispetto agli standard richiesti. Inoltre, come precedentemente citato, l’iperparatiroidismo secondario che si verifica in risposta ai bassi livelli di Vitamina D, il quale va conseguentemente ad agire sui valori di pressione arteriosa media, va indirettamente ad aumentare il rischio mortalità e morbilità (11).

Fino ad oggi però non sono mai stati condotti degli studi clinici che abbiano verificato gli effetti della somministrazione di Vitamina D sulla funzione ventricolare sinistra in pazienti con scompenso cardiaco. Le evidenze di efficacia di tale approccio terapeutico sono limitate a casi aneddotici riportati in letteratura, all’interno dei quali è stata documentata una risoluzione della patologia cardiaca (cardiomiopatia dilatativa associata a carenza di Vitamina D ed ipocalcemia) sia in soggetti adulti che in bambini affetti da rachitismo (22-23).

Conclusioni sulla vitamina D e la salute cardiovascolare

Quanto descritto evidenzia la correlazione tra una corretta funzionalità miocardica e l’importanza del mantenimento di livelli sierici di Vitamina D all’interno degli standard previsti. Tuttavia, ad oggi, mancano le evidenze scientifiche sull’efficacia di un trattamento farmacologico con Vitamina D sulle popolazioni di pazienti con scompenso cardiaco. Esistono tuttavia una lunga serie di prove che descrivono i molteplici effetti positivi di questa molecola sul muscolo cardiaco, e che una sua carenza può essere di per se causa di disfunzione miocardica.

Dal punto di vista speculativo sarebbe inoltre interessante studiare gli effetti della supplementazione in soggetti con disfunzione cardiaca in fase asintomatica, oppure, addirittura, in pazienti ad alto rischio di sviluppo di disfunzione cardiaca ( obesi, diabetici, ipertesi con ipertrofia ventricolare sinistra) per comprendere meglio quali potrebbero essere i tempi e le modalità di sviluppo di tale danno.

Per il momento l’unica raccomandazione da farsi è quella di imparare ad assicurarsi e mantenere tutta una serie di regole alimentari e abitudinarie, atte a garantire il corretto fabbisogno di quest’importante molecola.

Supplementazione di vitamina D

Il fabbisogno di vitamina D varia da 1.500 UI/die (adulti sani) a 2.300 UI/die (anziani con basso apporto di calcio nella dieta). In Italia l’alimentazione fornisce mediamente 300UI/die. Quando l’esposizione al sole è carente o assente si consiglia (linee guida) d’integrare 1.200-2000 UI/die.

Articolo del Dottor Marrico Maurelli
Laureato con lode in Scienze motorie, lavora da anni nell’ambito delle attività di riabilitazione e riatletizzazione motoria e come Persona Trainer.
Mail: marrico.maurelli@gmail.com

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Bibliografia
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Doping e Bodybuilding natural: qualche spunto di riflessione

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In questo articolo cercheremo d’analizzare la questione Doping e Bodybuilding Natural due mondi che dovrebbero essere lontanissimi ma che spesso vengono associati assieme. Ovviamente l’argomento è vastissimo, ci limiteremo a dare solo qualche spunto di riflessione per superare la questione.

Esiste il bodybuilding natural?

La prima cosa che dobbiamo chiederci è se esiste il bodybuilding natural? Perché se la risposta che diamo è NO possiamo anche concludere qui la questione. Il bodybuilding è solo per dopati, la palestra è invece per secchi illusi. Fine della storia.

Se invece crediamo che esista dobbiamo capire se quello che funziona per un doped funziona anche per un natural. La risposta è no. Una delle prove più eclatanti dell’esistenza del bodybuilding natural è la sua evoluzione. Finché ha imitato quello doped ha prodotto principalmente secchi, nel momento che ha preso una sua strada i fisici sono nettamente migliorati. Insomma quello che facciamo, come lo facciamo, fa la differenza.

Natural Bodybuilding

In un prossimo articolo tecnico compareremo due preparazioni: natural e doped e vedremo che differenze le caratterizzano. Quando ad un atleta doped conviene un certo tipo d’approccio quando ad uno natural un altro.

I test antidoping funzionano?

Se pensiamo che Armstrong ha vinto diversi Tour senza venire mai beccato, capiamo quanto i test antidoping possano essere fallaci. Tuttavia è meglio una federazione che investe in dei test piuttosto che una che non ne fa neanche uno. Anche perché qualcuno viene beccato e squalificato, segno che comunque uno sforzo nella direzione giusta c’è. Da questo punto di vista non possiamo non apprezzare gli sforzi che sta facendo la NBFI.

Controlli antidoping

Non avendo la certezza della naturalità dell’atleta non ci resta che valutare il suo percorso, la sua storia, i suoi contenuti. L’essenziale è invisibile agli occhi, se cercate di capire chi è natural da una foto probabilmente siete il tipo di persona che sceglie se una ragazza è figa da 100m.

Ci sono natural più natural di altri

Secondo voi una persona che integra la sua alimentazione si dopa?
La risposta mi auguro sia no, tuttavia la stessa mentalità riguarda molti atleti dopati. Siccome Coleman si dopava di più loro si considerano natural. Ognuno si giustifica come meglio pensa ma una realtà diffusa è quella di credersi natural anche quando si assumono sostanza illegali: “in fondo non mi aiuto più di tanto ed i miei valori sono quasi fisiologici…“. La realtà è che a nessuno piace autoetichettarsi come dopato. Tanti atleti che assumono sostanze dopanti sinceramente dicono di essere natural.

ulisses doped

I guru e gli ammiratori

Il problema del natural bodybuilding e del doping è duplice. Da una parte falsi atleti natural si autocelebrano, vendendosi come guru ed esperti.
ATTENZIONE: non cadiamo nell’errore che uno perché si dopa non è preparato. Sono sempre i contenuti a decretare quanto la persona ha delle conoscenze.
Il problema sono gli atleti dopati che si autocelebrano natural vendendo informazioni false e di bassa qualità. Ma il vero problema in questo caso non è chi vende ma chi acquista. Ci sono un sacco d’ammiratori del nulla: della foto pompata, della frase motivazionale, insomma della sola apparenza senza nessuna sostanza. Perché diciamocelo, nel bodybuilding un sacco di persone amano farsi prendere per il culo. Una parte inconscia di loro li spinge ad idolatrare il nulla, un po’ come le ragazzine che strillano dietro al loro cantate pop preferito perché è troppo bello…

fan

Questo atteggiamento lo equipariamo alla sindrome dalla ragazza brutta che va in giro con l’amica figa, sperando di vivere di luce riflessa. Ci dispiace ma non funziona così, il vibratore in stanza rimarrà il vostro unico spasimante.

Allenatori da divano

Quando vi avvicinate ad uno sport avete subito un’evidenza sulla preparazione della persona. Questo è determinato dal suo risultato atletico. Ogni sport ha delle serie, dei rank, delle classifiche. Giocate a golf? Che punteggio avete? A tennis in che serie siete?

Insomma la preparazione è connessa ad un gesto atletico che da un risultato agonistico. Se fate le maratone la prima cosa che vi chiederanno è in quanto la chiudete.

In palestra tutto questo non c’è. Il fine è estetico e non prestazionale. Questo porta tutti a sentirsi degli esperti, perché anche quando rimaniamo dei secchi è perché gli altri sono solo geneticamente fortunati o dopati.
Gli amanti del fitness sono assetati della novità, incapaci di distinguere la realtà dalle supercazzole, ma soprattutto sono profondamente certi di sapere. In gergo, come nel calcio, possiamo definirli allenatori da divano.

allenatore da divano

Questo porta quello che si allena 3 volte in palestra, o che magari si allena da 10 anni ma di merda, a criticare l’atleta che sale sul palco. Ma prima di giudicare uno si è mai preparato per una gara di bodybuilding natural? Ha mai seguito una periodizzazione di 12 mesi? Oppure ogni mese si limita a cambiare scheda?

L’amatore non ha nessuna percezione della differenza che c’è tra allenarsi in palestra e seguire una preparazione “agonistica”. Pertanto si sente autorizzato a criticare, perché in fondo lui ne sa.
NON FUNZIONA COSI’, un ambiente per conoscerlo devi viverlo, altrimenti credi di sapere.

Bodybuilding natural e doping una semplice soluzione

Concludiamo dando una soluzione alla questione doping e bodybuilding natural. Per fortuna sul project inVictus è sempre la stessa ed è molto semplice:

PROVARE

Il problema delle persone è che si rinchiudono nelle proprie convinzioni, sposano un metodo, una dieta e tutto il resto diventa merda. Al contrario la prima cosa da fare è liberarsi delle proprie certezze e innamorarsi del piacere della scoperta, mantenere in vita la curiosità mentale.

Ovviamente non è che dobbiamo provare tutto, ci deve essere alla base una spiegazione fisiologica e biomeccanica, altrimenti perdiamo la capacità di distinguere le supercazzole dalla sostanza.

Tuttavia iI modello di  riferimento deve rimanere il mondo agonistico, questo non perché tutti debbano salire in pedana, ma semplicemente perché la gara è il test driver che ci permette di capire nel concreto, spinto al limite, cosa funziona e cosa no. Solo l’ambiente competitivo permette un vero confronto ed una crescita reale dei metodi e dei concetti.

La F1 è un altro mondo rispetto all’utilitaria, eppure l’esasperazione competitiva porta ad ottimizzare tutti i processi. Se la vostra macchina è sempre più efficiente, aerodinamica, leggera e sicura è anche grazie alle scoperte che sono state fatte 10 anni prima in pista.

L’invito che vogliamo dare a tutti è quello di leggere, studiare ma soprattutto provare.

Per poter dare un giudizio ci deve essere stata una verifica. Possiamo passare ore su Facebook a discute o litigare se un atleta è natural oppure no. Oppure possiamo concentrarci sui contenuti, provarli e farci un’idea concreta e reale.

Ricordatevi sempre che le discussioni si perdono come foglie al vento, i risultati rimangono.

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L'articolo Doping e Bodybuilding natural: qualche spunto di riflessione sembra essere il primo su Project inVictus.

Proteine vegetali: le devo contare oppure no?

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Ultimamente sui forum e gruppi FB vedo che ritorna sempre questa questione. Ma le proteine vegetali, si devono contare, oppure no?

Proteine vegetali biosgna contarle

Ora, che tra le proteine vegetali ed animali ci siano delle differenze comuni è evidente (in termine di composizione aminoacidica), ma arrivare a demonizzare le prime come se “non contassero” è sicuramente  un’esagerazione.
Sebbene molti vegetariani e vegani si riescano ad organizzare ed orientare, in termini pratici, mangiando anche solo da fonti vegetali tutti gli aminoacidi di cui hanno bisogno (vedi Dieta vegana e bodybuilding), ho notato che pochi hanno chiara la base teorica che c’è sotto. Dove sta la differenza nell’assumere un pool di amminoacidi incompleto o meno ma soprattutto cosa vuol dire che un pool di aminoacidi sia incompleto? Perchè le proteine animali son considerate migliori e lo sono veramente? Secondo quali criteri e metodologie viene calcolata la qualità delle proteine?

Bene, partendo dall’analisi di queste problematiche arriveremo (forse) a dare una risposta definitiva da poter linkare ogni volta che sorge un topic sulle proteine vegetali.

Come funziona con le proteine che ingeriamo

Questa parte è abbastanza banale, ma credo che per qualcuno possa essere necessaria quindi tanto vale fare un breve ripasso.

Dunque, noi parliamo di quantitativo proteico, ma non sono di fatto le proteine che ci interessano, almeno non direttamente. Quello che a noi (e al nostro organismo) interessa, sono gli amminoacidi che le compongono. Il giocheto è semplice, noi introduciamo degli amminoacidi legati in un determinato ordine, il corpo li slega e li ricompone nell’ordine che serve a lui (anticorpi, enzimi, ormoni, trasportatori o anche proteine con funzioni strutturali). Ho banalizzato ovviamente, e non ho considerato evenutali altre destinazioni degli aminoacidi (per esempio come fonte energetica che segue la separazione del gruppo amminico) però teniamoci per buono questo quadro.

Ora, che succede se manca uno degli amminoacidi che servono per una determinata proteina? Ebbene in questo caso la sintesi proteica si blocca e possono avverarsi due scenari:

  1. Si tratta di un amminoacido essenziale, il corpo quindi non può produrlo a partire da altri amminoacidi, la sintesi proteica non ha modo di avvenire (a meno di non pescarlo dal turnover proteico andando così a catalibolizzare alcune proteine del nostro corpo).
  2. Si tratta di un amminoacido non essenziale, il corpo può produrlo convertendo altri amminoacidi (transaminazione) e quindi continuare la sintesi proteica.

In tutto questo si inserisce un ulteriore problematica, ossia che il nostro organismo non è in grado di conservare gli amminoacidi in eccesso che verranno dunque convertiti in riserve o trasformati in glucosio per essere utilizzati a scopi energetici (a tal proposito si rimanda all’articolo su: le proteine fanno ingrassare?).

In termini pratici come comportarsi con le fonti proteiche

Ora, ovviamente chiariamo un primo punto che ci aiuterà nel prosieguo. Quello che a noi importa non è la composizione amminoacidica degli alimenti che mangiamo quanto piuttosto la composizione del nostro pasto o della sequenza dei pasti (gli aminoacidi hanno emivita ematica di diverse ore). Da qui, come vedremo, nascono delle linee guida di abbinamento di fonti incomplete (ovvero mancanti di uno o più amminoacidi essenziali) al fine di ottenere un pool  completo. L’esempio classico è quello dell’abbinamento legumi-cereali, i primi ricchi di lisina ma poveri degli amminoacidi solforilati (cisteina e metionina) e i secondi, viceversa, poveri di lisina ma ricchi di metionina e cisteina. Così, un’assunzione nello stesso pasto permetterà di avere un pool completo (n.b. la soia è un legume, ma ha un pool piuttosto bilanciato al punto che può essere considerata una fonte completa, la frutta secca invece è si piuttosto bilanciata ma manca un minimo di lisina analogamente ai cereali).

Va detto comunque che la nostra alimentazione è tendenzialmente ricca di proteine al punto che la quantità rende il discorso qualità relativamente importante (per la persona media). Motivo per il quale le linee guida non suggeriscono comportamenti alimentari specifici in proposito. Quando leggete in nutrizione del fabbisogno proteico è sempre considerato che parte delle proteine siano di provenienza vegetale.

Come si calcola la qualità proteica? – Indice Chimico

Dunque, fatto questo discorso sulla qualità si è posto subito il problema di poter stimare e calcolare in maniera comoda la qualità delle singole proteine, soprattutto al fine di poterla diffondere tra la popolazione in una maniera utile ad essere utilizzata. Vi sono a tal fine, diverse metodologie, ognuna con i propri pregi e difetti. L’analisi di queste è estremamente utile per poter arrivare a capire come potersi comportare nei singoli casi riguardo al conteggio proteico.

Primo problema è ovviamente quello di avere un punto di riferimento. La soluzione più logica sarebbe quella di utilizzare il pool amminoacidico del muscolo umano, vi sono anche tabelle tuttavia che utilizzano quella dell’uovo.

Vediamo quindi la prima metodologia, quella dell’Indice Chimico. Si tratta semplicemenete di calcolare la percentuale di un aminoacidi essenziali rispetto al valore di riferimento, così, prendendo l’esempio della pasta, il profilo amminoacidico sarà il seguente:

Valore aminoacidico pasta

A questo punto andiamo a compararlo al pool necessario per la sintesi proteica e seguiamo il calcolo sopra visto.

Aminoacidi pasta

Nulla di stupefacente, abbiamo i solforilati sopra il 100%, dunque in eccesso e la lisina al 35%, ponendosi dunque come aminoacido essenziale limitante.

Stesso discorso può farsi per le lenticchie:

Nulla di stupefacente, abbiamo i solforilati sopra il 100%, dunque in eccesso e la lisina al 35%, ponendosi dunque come AA limitante. Stesso discorso può farsi per le lenticchie:

Qui abbiamo invece la lisina abbondante e i solforilati come aminoacidi essenziali limitanti.

Ma vediamo cosa succede con l’uovo:

valore amonoacidico uova

Come vediamo abbiamo quasi tutti gli aminoacidi essenziali sopra il 100% dunque “in eccesso”. Ne consegue che le fonti vegetali  possono essere abbinate ad altre fonti vegetali o animali per completarne il pool.

Il valore biologico 

Posto così il discorso può risultare banale, perchè basterebbe (spero nessuno seriamente lo faccia) mettersi a calcolare i singoli amminoacidi di ogni pasto per poter ottenere le proporzioni degli alimenti scelti che raggiungano quel famoso 100% (o maggiore). Il discorso è però, come detto, più complesso, bisogna gettare uno sguardo infatti anche all’effettivo assorbimento delle proteine.

Seconda metodologia che andiamo ad analizzare è quindi quella del Valore Biologico.

L’idea di base è quella di dar da mangiare un determinato alimento e vedere quante delle sue proteine che vengono assorbite vengono effettivamente utilizzate dall’organismo:

                                   Valore Biologico = Proteine Utilizzate/Proteine Assorbite

Come abbiamo visto, laddove manchino degli amminoacidi essenziali, quelli in eccesso vengono scartati dunque le proteine utilizzate saranno poche rispetto a quelle assorbite (v.b. basso).

Per indicare il valore biologico delle fonti proteiche si verifica il rapporto del tra l’azoto trattenuto e quello assorbito.

Coefficiente di digeribilità delle proteine

Ultimo concetto che dobbiamo far nostro per poter arrivare a delle conclusioni precise è quello di coefficente di digeribilità. Qui non si parla più di variazioni interindividuali nell’assorbimento dei macronutrienti quanto piuttosto sulle differenze di digeribilità degli stessi nei vari alimenti.

Ora, mentre glucidi e lipidi hanno un coefficente di digeribilità vicino al 100% e praticamente costante, per le proteine è molto variabile e, nel caso di quelle dei vegetali, si aggira intorno all’80%. Le fonti animali hanno una migliore digeribilità, quelle dei vegetali (compresa ovviamente la frutta secca) ce l’hanno più bassa (questo è dato dalla presenza delle fibre, dei fitati ed antinutrienti).

Conclusione sulle proteine vegetali

Possiamo quindi tirare le fila del discorso e dare delle indicazioni generali su come comportarsi. Ovviamente la situazione dipenderà dai diversi casi:

  1. Soggetti Vegani. In questo caso bisogna anzitutto vedere se e quanti alimenti a base di soia si assumono. Se questo viene fatto in ciascun pasto allora il consiglio generale è quello di calcolare le proteine come “valessero” circa 0.8 (prendere il proprio fabbisogno, moltiplicarlo per 10, dividerlo per 8 ottenendo così il quantitativo da assumere). Questo perchè bene o male, essendo la soia una fonte completa, andrà a coprire le carenze di amminoacidi essenziali delle altre fonti. Ovviamente, visto che non si può viver di soia, stesso discorso deve essere fatto bilanciando i pasti con il famoso accoppiamento cereali-legumi.
    Nel caso in cui questo non avvenga, allora basti considerare questo esempio con le lenticchie: abbiamo visto che la lisina è pari al 35% del valore necessario per avviare la sintesi proteica, dunque solo il 35% delle proteine verrà utilizzato a tali fini. A questo ci si aggiunga una digeribilità di circa l’80%, otterremo che un 28-30% sono le proteine effettivamente utilizzate ai fini della sintesi proteica.
  2. Soggetti onnivori. In questo caso, di nuovo, il consiglio è quello di assumere ad ogni pasto una fonte “nobile”. Ora, teniamo in considerazione che questo avviene molto frequentemente nei Bodybuilder (se c’è ancora un’ossessione che tiene è quella delle proteine 6 volte al giorno, o quantomeno ad ogni pasto!) ma ad ogni modo vale anche qui la regola dell’accoppiamento cereali-legumi. Rimane quindi il discorso digeribilità, che logicamente varia in base alle quantità di proteine vegetali che si mangiano.
  3. La regola generale.  Più la nostra alimentazione è incentrata sulle proteine vegetali, meno teniamo conto dei corretti accoppiamenti tra alimenti,  e più per stare tranquilli basterà calibrare la quota proteica con dei dosaggi leggermente superiori (+0,2-0,3g/kg) rispetto a quelli previsti dalla propria programmazione, in modo da far fronte ad eventuali “perdite” o ad un assorbimento inferiore.

Se non vuoi essere schiavo delle diete e vuoi essere padrone dei concetti, scopri il nostro libro Project Nutrition

Project Nutrition

L’articolo Proteine vegetali: le devo contare oppure no? è di Ludovico Lemme
Personal Trainer certificato ISSA e studente SaNIS (scuola di nutrizione e integrazione sportiva). Segue diversi atleti, sia dal vivo che online nel campo del Bodybuilding e del fitness in generale. Nel 2015 avvia il progetto Rhinocoaching con il quale si propone di creare una piattaforma di riferimento per i suoi atleti e per gli appassionati in generale.
Contatti: rhinocoachingofficial@gmail.com
Pagina FB: https://www.facebook.com/ludovicolemmemygrowth/
Sito Web: www.rhinocoaching.it

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La cellula

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Difficilmente un campione sportivo, un atleta è anche un esperto di fisiologia umana, di citologia. Eppure, al project inVictus, crediamo fortemente che conoscere sia sempre meglio che non conoscere. In questo articolo studieremo le nozioni di base che riguardano la cellula. Scopriremo che apprenderle ci aprirà anche gli occhi su alcuni spunti pratici, perché la conoscenza è il mezzo per diventare padroni dei concetti, smettendo d’essere schivai delle mode.

La cellula del corpo umano

La fisiologia Cellulare studia i meccanismi associati al funzionamento delle cellule e le loro interazioni con l’ambiente. La cellula rappresenta l’unità fondamentale, strutturale e funzionale, degli organismi viventi. E’ un organismo completo formato da varie parti che costituiscono un insieme organizzato e coordinato e pertanto gioca per gli organismi viventi lo stesso ruolo dell’atomo per la materia.                                                                                                                                   Osservando una cellula animale possiamo identificare gli elementi costitutivi principali che accomunano tutte le cellule: la membrana plasmatica, il citoplasma, il nucleo e una serie di formazioni (mitocondri, il reticolo endoplasmatico e lisosomi).

Cellula

Il nucleo contiene il codice genetico di ognuno di noi. I geni, sono assemblati all’ interno dei cromosomi, che a loro volta detengono tutte le informazioni necessarie, per la riproduzione cellulare.
Allenamenti a basse ripetizioni stimolano il nucleo a produrre maggior quantità di m-RNA, essenziale per la  sintesi proteica. In quest’ottica l’allenamento della forza riveste un ruolo chiave nello sviluppo di una maggior ipertrofia muscolare.
I mitocondri costituiscono la centrale energetica, attraverso la respirazione cellulare. Essi  recuperano l‘energia contenuta negli alimenti (attraverso il ciclo di Krebs e la catena respiratoria), e mediante fosforilazione, la trasformano nel legame fosforico ad alta energia dell’ATP.
Allenamenti in cui la concentrazione d’acido lattico rimane tra le 3-6mmol risulta ottimale per la stimolazione mitocondriale. Nel pratico quindi ne allenamenti troppo blandi (corsa lunga e lenta), ne troppo intensi (scatti) sono ottimali per la proliferazione mitocondriale. Una via di mezzo che comprenda un’attività costante massimale protratta intorno ai 15-20′ risulta essere la soluzione migliore.
Il reticolo endoplasmatico (la centrale di fabbricazione) è costituito da una serie di tubuli situati all’ interno del citoplasma e può essere liscio o rugoso. L’aspetto rugoso è legato alla presenza dei ribosomi, deputati alla fabbricazione di proteine, utilizzando delle matrici (RNA messaggero) prodotte dal nucleo e gli aminoacidi liberi, presenti nel citoplasma.
Allenamenti lattacidi su medio-alte ripetizioni hanno un’influenza sulla sintesi proteica proprio grazie ad una maggior stimolazione ribosomale. In quest’ottica le tecniche ad alta intensità del bodybuilding, in cui la deplezione energetica e dei fosfati è esasperata, risultano essere un ottimo stimolo ipertrofico. 
Il complesso del Golgi (sede di imballaggio), dove al suo interno si ritrovano enzimi che sono responsabili del legame degli zuccheri con le proteine per la formazione delle glicoproteine.
I lisosomi (la centrale di degradazione) sono fabbricati dall’apparato del Golgi, essi contengono parecchi enzimi, capaci di degradare le proteine, i carboidrati, il DNA e RNA. Posti all’ interno della cellula, possono essere considerati come un sistema digestivo, che ha la funzione di distruggere gli elementi cellulari usurati e i batteri. I prodotti risultanti sono sia escreti all’esterno, che assorbiti nella cellula stessa.                                                                                                                                                        La membrana (la stazione che stabilisce il transito delle sostanze), che costituisce l’involucro più esterno, dove si trova la pompa sodio-potassio. La membrana delimita il liquido in intracellulare da quello extracellulare, preservando determinate caratteristiche (vedi sotto).
– L’allenamento ha un duplice effetto sulla membrana cellulare. Se correttamente dosato e calibrato aumenta i recettori Glut-4 sulla sua superficie, migliorando la sensibilità insulinica. Se invece lo stimolo è eccessivo e troppo ripetuto nel tempo, la cellula inverte questa tendenza sviluppa una insulino resistenza (spesso momentanea) per preservare il glucosio ematico.  Liquido extracellulare intracellulare

Per determinare la comparsa di un comportamento, ogni cellula nervosa, genera in successione quattro tipi diversi di segnale: un segnale d’ingresso, un segnale integrativo; un segnale di conduzione e un segnale d’uscita.

I neuroni mantengono una differenza di potenziale di circa 65 mV, ai capi della loro membrana esterna, questo potenziale è detto potenziale di membrana di riposo. Esso dipende da uno squilibrio nella distribuzione degli ioni sodio(Na), potassio(K), e cloro(Cl), nonché dalla permeabilità selettiva della membrana verso il K. Questi due fattori agiscono in modo tale da rendere negativa la superficie interna della membrana della cellula rispetto a quella esterna. Poiché il potenziale esterno della membrana viene assunto come potenziale zero, si definisce il potenziale di membrana di riposo a – 65 mV.
Questa distribuzione di ioni viene mantenuta dalla pompa sodio-potassio.

Potenziale di riposo

La pompa sodio-potassio, detta anche pompa Na+/K+  ATP dipendente (Na+/K+ ATPasi), è un enzima che si trova come detto nella membrana cellulare. Questo tipo di pompa ionica è il più chiaro esempio di trasporto attivo primario di sostanze attraverso la membrana plasmatica.
La pompa serve principalmente a livello fisiologico per controllare il volume cellulare, conferire alle cellule nervose e muscolari la proprietà di eccitabilità, ed è correlata al trasporto attivo di glucidi ed amminoacidi.

In generale, la pompa del sodio e del potassio pompa 3 ioni Na+ fuori dalla cellula e 2 ioni K+ all’ interno e mantiene i gradienti di concentrazione di Na+ e K+ a cavallo della membrana. Usa 1 ATP per ogni ciclo: 100 cicli/sec. Usa ¼ dell’energia per la maggior parte delle cellule, ¾ per i neuroni.

Pompa sodio potassio

Il fenomeno dell’osmosi che immediatamente si verificherebbe in conseguenza dell’asimmetria della distribuzione delle cariche. Il lavoro di pompa è indispensabile non solo per il mantenimento del potenziale di membrana, ma per la stessa conservazione del volume della cellula. Se infatti la pompa viene bloccata con veleni metabolici o bassi livelli di O2 la cellula si rigonfia a causa della diversa tonicità dentro e fuori perché l’acqua viene richiamata al suo interno fino alla rottura della membrana. La pompa è pertanto responsabile del mantenimento dell’ equilibrio osmotico cellulare.

Concludendo possiamo affermare che il potenziale di membrana è mantenuto costante per opera della pompa del sodio e del potassio che muove gli ioni contro gradiente ristabilendo continuamente i gradienti ionici. Per fare questo, la pompa utilizza continuamente energia. La costanza dei gradienti ionici, assicura che il potenziale di membrana mantenga un valore costante per l’ intera durata della vita della cellula. La pompa del sodio e del potassio fornisce un continuo, costante apporto di energia. Di conseguenza ogni cellula, e in particolare la cellula nervosa, in condizioni di riposo non si trova in uno stato di equilibrio, ma piuttosto in uno “stato stazionario” (Steady State), ovvero in uno stato di costante dis-equilibrio, mantenuto a spese di energia metabolica, che è fornita dalla molecola di ATP.
Per questo motivo il nostro dispendio calorico è influenzato principalmente (60-70%) dal metabolismo basale. Perché per quanta attività sportiva facciamo (a meno di non correre 4-5h), quest’ultima consuma comunque una parte minoritaria delle energie giornaliere (20-30%), rispetto a quelle che riserviamo costantemente 24h/24h, per portare avanti i processi interni.

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Project Nutrition

L’articolo: La cellula è di Gabriele Grassadonia
Laureando in Scienze delle Attività Motorie e Sportive Università San Raffaele
Studente nel Corso di Formazione “Metodologie Anti-Aging e Anti-Stress” Università la Sapienza
Personal Trainer NSCA, ISSA, FIPE e ELAV.

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L’ordine del pasto è importante?

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Una delle usanze più comuni nel nostro Paese, quando si tratta di sedersi a tavola, è di consumare prima il pasto glucidico (il nostro bel piatto di pasta) e successivamente il pasto proteico (carne o pesce). Rispettare questo ordine vale sempre? Vediamo di scoprirlo. Prima però qualche accenno necessario sui meccanismi fisiologici alla base del SN.

(L’audio del video si sente male per il primo minuto, sorry)

Il nostro cervello, per il suo corretto funzionamento, necessità di diverse sostanze come glucosio e aminoacidi vari tra cui Tirosina, BCAA (Leucina, Isoleucina, Valina) , Triptofano, Felinanina, Metionina. Queste sostanze non arrivano direttamente al cervello ma devono attraversare una barriera che prende il nome di Barriera Emato-Encefalica (detta semplicemente anche BEE). Questa rappresenta una barriera fisica tra il sangue ed il liquido cerebrospinale (LCS), ovvero il liquido interstiziale del SNC.

L’esistenza di tale barriera non è puramente casuale ma serve per impedimento ad alcune sostanze tossiche provenienti dal sangue di giungere al cervello in quanto potrebbero causare danni potenzialmente irreparabili. Mentre sostanze idrofobiche passano quasi senza problemi grazie alla presenza del doppio strato fosfolipidico (un esempio è dato dall’Etanolo, la componente alcolica presente nel vino), le sostanze idrosolubili come appunto aminoacidi e glucosio hanno bisogno di specifici trasportatori o carrier. Mentre il glucosio è molto piccolo e riesce a passare velocemente, gli aminoacidi, avendo dimensioni maggiori, faticano di più.

Perché gli aminoacidi sono fondamentali per il cervello?

Gli aminoacidi sono importanti precursori per la formazioni di numerosi neurotrasmettitori che una volta sintetizzati hanno poi il compito di mandare diversi segnali all’organismo per il suo corretto funzionamento, in base anche a stimoli interni o esterni, riuscendo a regolare anche i nostri stati emotivi.

Come già scritto in precedenza, sono diversi gli aminoacidi che concorrono ad attraversare la BEE. Tra questi, infatti, esiste una sorta di competizione avendo la BEE spazi molto ristretti per farli passare tutti contemporaneamente.

Passaggio aminoacidi cervello

Tra gli AA più importanti troviamo sicuramente la Tirosina ed il Triptofano che sono precursori rispettivamente di Catecolamine (Noradrenalina, Adrenalina, Dopamina) e Serotonina. Il primo AA è quindi responsabile dello stato di eccitazione del nostro SN, il secondo invece porta ad un miglior stato di rilassamento ma anche di stanchezza se risulta presente in quantità eccessive.

La Serotonina (5-idrossitriptamina o 5-HT) è una triptamina sintetizzata dai nuclei della parte mediana del tronco encefalico le cui fibre proiettano nelle corna posteriori del midollo spinale e all’ipotalamo. E’ presente in alte concentrazioni nel tessuto cromaffino dell’intestino e in altre strutture addominali e nelle piastrine. La Serotonina è conosciuta principalmente come neurotrasmettitore dell’umore, pare infatti che tra le cause della depressione vi sia un deficit delle ammine Serotonina e Noradrenalina. Agisce anche come inibitore delle afferenze dolorifiche nel midollo spinale e nei meccanismi del sonno. Per essere sintetizzata nel SNC è essenziale che il triptofano oltrepassi la BEE.

trasformazione triptofano serotonina

Perché quando mangiamo cibi ricchi di carboidrati abbiamo sonno?

Quando consumiamo carboidrati, soprattutto zuccheri, avviene un repentino aumento dell’insulina. Questo provoca un maggiore uptake dei BCAA da parte del muscolo scheletrico, togliendo in parte fuori dai giochi uno dei maggiori competitor del Triptofano. Quest’ultimo è ora libero di passare con maggiore facilità attraverso la BEE, causando un incremento di Serotonina e quindi sonnolenza.

Al contrario, un maggior consumo di Tirosina (contenuto soprattutto in cibi proteici) e di BCAA riduce il passaggio di Triptofano e induce un aumento di catecolamine.

I pasti proteici, anche se ricchi di Triptofano, aumentano il livello di competizione con gli altri aminoacidi, per questo motivo quando facciamo pasti esclusivamente proteici non abbiamo quel senso di abbiocco e riusciamo a stare lucidi. I pasti glucidici, invece, aumentano i livelli di Triptofano proprio attraverso l’aumento di Insulina, innescando una serie di meccanismi che portano ad un miglioramento dell’umore e dei disturbi legati al sonno.

Cosa fare quindi per ridurre quel fastidioso senso di abbiocco tipico delle ore successive al pranzo?

Iniziare con un pasto prettamente proteico, alla luce dei brevi processi fisiologici descritti poc’anzi, può essere una buona strategia per ovviare a tale problema. L’incremento di BCAA (che vengono metabolizzati velocemente) e di Tirosina mettono in parte fuori uso il Triptofano. Per assicurarsi che ciò accada è consigliabile aspettare circa 15-20 minuti prima di consumare un eventuale pasto glucidico in modo tale che Tirosina e BCAA anticipino l’azione del Triptofano.

Se invece abbiamo difficoltà a dormire, soprattutto se ci troviamo a cena, invertire l’ordine dei pasti (prima carboidrati e poi proteine) e consumare in maggior quantità glucidi può essere sicuramente d’aiuto per favorire il sonno.

Abbiamo quindi, riassumendo, questa situazione:

Proteine + Carboidrati = Effetto sveglia

Carboidrati (+ Proteine) = Effetto abbiocco

Un consiglio molto pratico che posso dare per restare il più attivi possibili durante la giornata e dormire sereni durante la notte è di ridurre l’introito glucidico nelle ore diurne e far precedere a questo il pasto proteico. Avvicinandoci invece alla sera possiamo invertire l’ordine, mangiando la maggior parte dei carboidrati a cena che verranno consumati prima o in concomitanza delle proteine. Se hai paura di ingrassare perché assumi i glucidi la sera leggi questo articolo: Carboidrati di giorno o di sera?

Per concludere, può essere interessante, per un miglior controllo dell’appetito dare questo ordine al pasto:

  1. Iniziare con la verdura ed insalata (ci riempiamo di acqua e di fibre)
  2. Continuiamo con un secondo proteico (le proteine sono il macronutriente col potere più saziante)
  3. Concludiamo con un primo glucidico (per raggiungere la quota di carboidrati che ci siamo prefissati)

Ai fini della composizione corporea l’ordine del pasto non da nessun vantaggio o svantaggio. Non è che ingrassate di più o di meno se mangiate la pasta prima o dopo. Sono la quantità e la qualità degli alimenti a contare non l’ordine con cui vengono assunti.

Alcuni di questi ragionamenti fanno anche parte dei principi sui quali si basa la Warrior Diet di Ori Hofmekler, una delle tante varianti del Digiuno Intermittente tanto in voga negli ultimi anni.

Se ti interessa l’alimentazione e vuoi approfondire gli argomenti, scopri il nostro libro Project Nutrition.

Project Nutrition

L’articolo L’ordine del pasto è importante è di Ivan Pitrulli
Classe ’92 laureato in scienze delle attività motorie e sportive presso l’università di Palermo, ha sviluppato durante gli studi la passione verso la letteratura scientifica attraverso la quale cerca di combattere i falsi miti che girano nelle palestre su allenamento e nutrizione.

Mail: ivan.pitrulli@gmail.com

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I body rows

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I body rows sono la variante del rematore col bilanciere a corpo libero. Rispetto al rematore il rachide deve sopportare meno forze di taglio, ma di contro non c’è la possibilità di regolare il carico, se non cambiando dove si appoggiano i piedi.

Body row

Per eseguire una contrazione efficace non bisogna pensare di tirarsi su, ma bisogna visualizzare la sbarra (o gli anelli) che vengono tirati verso il nostro busto.

Body rows

Questo permette d’attivare meglio gli adduttori delle scapole e di generare più forza.

L’ultimo consiglio riguarda il cingolo pelvico ed i muscoli che si inseriscono. Una corretta attivazione del CORE e dei glutei blocca il bacino, riducendo le forze di taglio sul rachide.

muscoli bacino

I body rows sono un buon esercizio a corpo libero, ideali per i principianti nel calisthenics o come complementare nel bodybuilding.

 

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Natural Bodybuilding: la dieta in definizione

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La preparazione ad una competizione di Natural Bodybuilding è un ambito molto complesso nel quale non c’è ampia letteratura. Ogni preparatore ha il suo approccio, ogni soggetto risponde diversamente, le tempistiche possono variare (anche se tutte sono calibrate in mesi se non anni di preparazione). Insomma, l’esperienza regna sovrana. Ma…

Natural Bodybuilding la dieta in definizione

vi sono tuttavia delle regole di base, delle dritte che si possono seguire su come impostare il periodo di definizione e dalle quali poter partire per sperimentare su se stessi (o sui propri atleti) per scoprire quale sia l’approccio migliore. Lo scopo è duplice:

  1. Diminuire drasticamente la percentuale di Body Fat (massa grassa).
  2. Mantenere una buona pienezza muscolare.

Generalmente questo viene raggiunto in un periodo più o meno lungo cui fà seguito il c.d. peaking (o peak week) ovvero la settimana o i giorni in cui si raggiunge, grazie ad una manipolazione dei nutrienti, la migliore condizione possibile, condizione che sarà, come vedremo, temporanea.

La crescita della massa muscolare (in soggetti ben predisposti) non è una delle fasi “critiche”. Perché già un eccesso calorico, se supportato correttamente da sufficienti proteine (non pensate a quote folli basta il 15-20% delle calorie) porta assieme ad un aumento della massa grassa, anche un aumento dell’ipertrofia muscolare. Nei natural bodybuilder, il difficile se mai è aumentare i volume senza ingrassare eccessivamente. Ma di questo ne parleremo in un altro articolo.

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Intake calorico nel natural bodybuilding

Primo passo sarà quello di valutare il proprio intake calorico. Generalmente si seguono periodi di ipo-alimentazione che vanno da 2 a 6 mesi (antecedenti alla gara) [1] [2].

Dunque bisognerà mantenere un determinato deficit energetico, il problema sarà quello di stabilire di quanto. In effetti bisognerà tener conto dell’adattamento metabolico che interviene in condizioni di ipo-alimentazione.
Gli adattamenti metabolici non sono stati studiati sui bodybuilder, utilizziamo pertanto altri spunti [3]. E’ stato visto che soggetti non obesi consumando il 50% del loro fabbisogno calorio per 24 settimane hanno perso ¼ della loro massa corporea e hanno ridotto il loro consumo calorico basale del 40% (di cui il 25% era dovuto al peso perso e il rimanente 15% a veri e propri adattamenti metabolici).
Dunque in soggetti allenati, bodybuilder, questo processo sarà verosimilmente meno accentuato potendo contare su una migliore efficienza metabolica e su un livello di attività fisica sempre presente. Entrare nello specifico nell’analisi sei processi fisiologici dell’adattamento metabolico è al di fuori dello scopo dell’articolo. Possiamo però dare delle indicazioni pratiche:

  1. Limitare il più possibile il GAP calorico (tra il 10 e 20% con una media del 15%)
  2. Limitare la perdita di peso corporea tra l’1% e lo 0,5%. Un soggetto di 80kg non dovrà perdere più di 800-400g a settimana
  3. Scendere con le calorie di nuovo solo davanti ad uno stallo di peso (che sarà indice di un adeguamento del metabolismo all’introito calorico)
  4. Programmare dei periodi di refeed [4] [5] (ricarica glucidica) in modo da dare un boost metabolico incrementando la leptina in circolo (mediamente ogni 6-8 settimane di ipocalorica si inserisce 1-2 settimane di normocalorica).

Oltre a tutto questo si deve considerare che, maggiore sarà il GAP calorico, maggiore sarà la perdita della performance e della resa negli allenamenti andando ad instaurare un circolo vizioso in termini di perdita di massa magra [6].

Dunque per stabilire l’intake calorico ci si può basare sul cercare una perdita dello 0.5-1% del nostro peso ogni settimana come abbiamo appena scritto. Risulterà logico che, man mano che diminuerà il peso corporeo, la perdita di peso settimanale sarà inferiore in termini assoluti. Peraltro, bisogna considerare che, minore sarà la massa grassa raggiunta, maggiore sarà la quantità di massa magra che verrà compromessa [7] [8]

Bodybuilding natural

Ripartizione tra i macronutrienti nel bodybuilding natural

Tabella macronutrienti natural bodybuilding
PROTEINE

In contesti di ipo-alimentazione diventa ancora più rilevante la scelta della ripartizione tra i macronutrienti per cercare di mantenere quanta più massa magra possibile. Iniziamo quindi con l’analisi dei livelli ottimali di proteine da assumere. Individuiamo fin da subito i “pilastri” su cui basarci:

  1. Atleti di sport di forza (resistance training) necessitano maggiori quantitativi proteici per massimizzare i processi di adattamento [9]
  2. Questo fabbisogno aumenta in contesti di ipo-alimentazione [10]
  3. Il fabbisogno aumenta in maniera inversamente proporzionale alla percentuale di massa grassa [11]

Vediamo già da questo che i bodybuilder in preparazione a una gara rientrano tra i soggetti con un fabbisogno (i.e. apporto ottimale) proteico maggiore in assoluto. Il problema principale è che, spulciando la letteratura, difficilmente vi sono studi che analizzano apporti proteici davvero alti (o quantomeno reali nelle diete dei bodybuilder). Le tradizionali linee guida degli 0.8g/kg di peso corporeo hanno difatti tendenzialmente spinto la ricerca a sottostimare i valori ottimale e a non considerare la pratica reale dove si è soliti arrivare ai 3g/kg di peso corporeo.
Vediamo però che ultimamente la soglia superiore utilizzata negli studi si sta alzando. Ad ogni modo dagli studi risulta evidente che il mantenimento della massa magra è direttamente proporzionale all’apporto proteico della dieta [12] [13] [14]. Da ultima vale la pena citare la review di Helms et. al su soggetti allenati in condizioni di ipo-alimentazione. E’ stato visto che un apporto tra 2,3 e 3,1gr/kg di LBM sia il più appropriato per il Bodybuilding Natural. Nello specifico l’autore sottolinea come minore sia la percentuale di massa grassa del soggetto, maggiore debba essere l’apporto proteico in questo range.

CARBOIDRATI

Posto che l’assunzione proteica deve essere aumentata, il gap calorico deriverà logicamente da una diminuzione dei carboidrati e/o dei grassi. Difatti le principali tipologie di diete sono quelle a basso contenuto di carboidrati (LCD) o a basso contenuto di grassi (LFD). Da un punto di vista di perdita di peso non sembrano esserci differenze tra i due approcci [16] [17] bisogna però tenere in considerazione che studi sugli obesi non tengono conto delle necessità cui deve far fronte l’atleta ed in particolare il Bodybuilder. Difatti si deve tener conto di due fattori:

  1. Un eccessivo deficit di carboidrati comporta una perdita in termini di performance [18].
  2. Un’assunzione di carboidrati a ridosso dell’allenamento comporta un miglioramento della performance e riduce la deplezione di glicogeno [19].

Va tenuto poi conto che, in contesti ipocalorici, una diminuzione dei livelli di testosterone data dai bassi livelli di grassi assunti, influisce meno, sulla composizione corporea, rispetto alla diminuzione dei livelli di IGF-1 che sarebbe causata dalla diminuzione dei carbidrati [20]. Pertanto conviene l’utilizzo di diete a basso contenuto di grassi cercando di mantenere i livelli glucidici più alti possibile in base all’apporto calorico.

Quando si raggiunge il livello di massa grassa desiderato converrà andare a diminuire il deficit calorico reintroducento 25-50gr di glucidi a settimana, in modo da mantenere la masa magra fino alla gara. Peraltro le ultime  settimane prima della gara (1-4) viene generalmente suggerito di aumentare ulteriormente i livelli di glucidi per dare un ulteriore boost metabolico e ripristinare le riserve glucidiche dando un ulteriore aspetto di pienezza muscolare [20]. Questo punto è di fondamentale importante e contraddistingue tutte le migliori preparazioni.

GRASSI

Come visto sopra, nell’atleta, conviene ottenere il deficit calorico da una riduzione dei livelli di grassi. Livelli bassi di grassi possono essere mantenuti in tranquillità durante il periodo di preparazione alla gara. Si assisterà ad una riduzione dei livelli di testosterone che tuttavia, visto anche questo sopra, influisce meno sul mantenimento della massa magra rispetto ai cambiamenti ormonali dati dalla diminuzione dei carboidrati. Per cercare di mantenere i livelli di testosterone ottimali si dovrebbero privilegiare fonti di grassi saturi [9]. Questo potrebbe si portare a problematiche a livello di parametri ematici ma si tratta di problematiche concrete e rilevanti nel sedentario, nello sportivo l’utilizzo di maggiori percentuali di grassi saturi (peraltro ristretto al periodo a ridosso della gara) non comporta di certo problematiche, tenendo soprattutto in considerazione che in termini assoluti, visto il basso contenuto di grassi della dieta, l’assunzione di grassi saturi sarà comunque bassa.

Dunque il taglio calorico dovrà inizialmente derivare principalmente dai grassi. Si potrà arrivare a livelli anche inferiori ai 30gr giornalieri [21] [22] (eventualmente supportati da dovute ricariche). In effetti, seppur il range ideale nell’atleta di forza, per ottimizzare i livelli di testosterone, sia del 20-30% di kcal derivanti dai grassi, nei periodi di gara si può anche scendere fino al 10-15% per massimizzare la condizione sul palco. Va ricordato che la soglia di 20-25g è raccomandata per veicolare le vitamine liposolubili.

Se vuoi conoscere di più questi ed altri argomenti, scopri il nostro libro Project Nutrition.

Project Nutrition

Nutrient Timing nel natural bodybuilding

Il timing dei nutrienti, in particolare a ridosso dell’allenamento è un altro ambito nel quale poter intervenire per una migliore efficacia del protocollo. Per quel che riguarda l’assunzione dei carboidrati durante l’allenamento rimando al mio precedente articolo.

Vedremo comunque che la cura dell’integrazione a ridosso dell’allenamento ha una rilevanza direttamente proporzionale alla durata dello stesso e allo stato di digiuno più o meno accentuato nel quale si arriva al momento dell’allenamento [34]. Pertanto si, integrare durante il workout carboidrati e proteine sarà tendenzialmente utile.

Andiamo pertanto a trattare circa l’utilità dell’integrazione delle proteine in questo frangente.
Due sono le evidenze di cui tener conto: da un lato è stato visto che l’utilizzo di proteine/aminoacidi a ridosso dell’allenamento ha un effetto acuto di stimolo della proteosintesi (MPS) e diminuzione del muscle protein breakdown (MPB) [25] [26]; dall’altro nel lungo periodo, salvo determinate eccezioni [27] [28] non si sono visti cambiamenti sulla composizione corporea [29] [30] [31] [32].

Questa differenza tra acuto e cronico può essere dovuta in realtà a diversi motivi:

  1. Una maggiore ampiezza della finestra anabolica che in realtà durerebbe diverse ore dopo l’esercizio fisico (i.e. contano più i grammi di proteine assunte nella giornata che quelle immediatamente dopo l’allenamento).
  2. Status dei soggetti che sono tendenzialmente sempre intermedi o neofiti, mai avanzati. Difatti mentre i primi tendono a rispondere bene quasi indipendentemente dal programma utilizzato, questi ultimi beneficiano concretamente dalle ulteriori finezze.
  3. Basso quantitativo di proteine assunte che è solitamente attestato sui 10-20gr, non ottimale per gli effetti anabolici ricercati. In effetti sembra che dosi di 40gr di proteine vanno a dare un ulteriore beneficio rispetto ai dosaggi “standard” di 20gr [33].

Dunque, come comportarsi a ridosso dell’allenamento? Ebbene, anche se curando l’assunzione di macros nel pasto precedente non sembra esserci la necessità di integrare con proteine/amminoacidi durante lo stesso, considerando l’intensità con la quale ci si allena ad alti livelli (come quelli di gara) nel Natural Bodybuilding, allenarsi con poco sullo stomaco e sfruttare l’integrazione durante l’allenamento sembra essere una strategia ottimale [34]. Possiamo generalmente dire di integrare con 0.8-1gr/kg di LBM di proteine tra pre-during e post workout [35]. Rimanderemo l’analisi specifica dei possibili protocolli in un seguente articolo.

Bodybuilding senza doping

Frequenza dei pasti nel bodybuilding natural

Discorso in parte analogo al precedente è quello che riguarda la frequenza dei pasti. In questo caso sembra che la scelta di convogliare tutti i nutrienti in meno pasti o dividerli in diverse assunzioni nel corso della giornata comporti differenze trascurabili nei soggetti attivi ed allenati. Sembra comunque essere ideale l’assunzione di 3-4 pasti giornalieri.

Va da subito detto che non vi sono studi che riguardino bodybuilder, ancor più in preparazione ad una gara. I motivi che suggerirebbero la divisione in diverse assunzioni sono due:

  1. Un maggiore effetto termogenico e di aumento del metabolismo con una maggiore frequenza dei pasti. Questo è falso, la frequenza dei pasti non comporta un diverso dispendio calorico che è piuttosto proporzionale alle kcal ingerite, indipendentemente dalle tempistiche in ingestione [42] [43].
  2. Un maggiore effetto anabolico generale dato dalla divisione dell’assunzione proteica ad intervalli regolari piuttosto che in un’unica assunzione. Effettivamente questo può esser correlato al c.d. “muscle full effect” [36] [37] secondo il quale superata una determinata soglia di proteine in un pasto non si avrebbero ulteriori stimoli alla proteosintesi derivanti dalle stesse. Va comunque chiarito che il corpo tende ad adattarsi, così, laddove vi sia una continua infusione di amminoacidi non si potrà contare su un perenne stimolo anabolico [36], allo stesso tempo concentrare l’assunzione proteica in un unico pasto porta ad’un amplificazione dell’effetto anabolico dato dal meccanismo omeostatico di rebound al precedente stato di privazione. Possiamo comunque dire, in generale, che un’assunzione sufficiente di proteine divisa in 3-4 pasti giornalieri sia l’ideale per massimizzare gli effetti di adattamento [38].
  3. Sazietà e livelli di glucosio ematico. In questo caso sembra che una distribuzione moderata (i 3-4 pasti visti precedentemente) sia migliore in termini di sazietà e stabilità dei livelli ematici di glucosio. Comunque  il senso di sazietà, dato da più o meno pasti, è molto individuale.
Supplementi utili nel natural bodybuilding

Per completare il discorso dieta non si può non fare un cenno alla supplementazione e integrazione utilizzabile. Premetto tuttavia che, in proposito, sarò veloce e superficiale in quanto l’analisi dei singoli integratori richiederebbe un articolo a parte per ciascuno di essi.

  1. Creatina. Anche nel periodo pre gara l’assunzione di creatina risulta utile ed essenziale. I benefici sono noti, la difficoltà starà piuttosto nel considerare l’aumento di peso e un leggero effetto di appannaggio che è ad essa conseguente. Andrà poi tagliata da una a due settimane prima della gara in modo da evitare stati di ritenzione idrica sul palco e poter valutare, con debito anticipo, il peso effettivo raggiunto dall’atleta.
  2. Beta-alanina. Anche di questa i benefici sono noti. In questo caso l’assunzione cronica fino anche all’immediato pre-gara può dare una mano in termini di performance ed indirettamente sulla composizione corporea. Gli studi in proposito sono promettenti ma non ancora del tutto chiari. Sembra però che ci siano concreti vantaggi dall’assunzione dello stesso in periodi tendenzialmente catabolici (come, per l’appunto, in definizione). Serviranno degli ulteriori studi, nello spefico in cronico su soggetti allenati in situazioni di ipo-alimentazione, per adesso però se ne può sicuramente consigliare l’utilizzo.
  3. Citrullina-malato. Si è visto che l’assunzione della stessa (8gr nel pre-workout) aiuta nell’aumento della performance [44]. Il suo intervento può avvenire attraverso tre meccanismi:
    La citrullina è parte importante del ciclo dell’urea e può partecipare alla riduzione della concentrazione di ammoniaca. L’acido malico può ridurre l’accumulo di acido lattico. La citrullina può essere convertita in arginina (che tuttavia non sembra avere effetti ergogenici).
  4. Caffeina. Ottimo supplemento in termini di dimagrimento ma soprattutto nell’incrementare la performance. Utilizzandola come pre-workout può andare indirettamente a favorire la ritenzione di massa magra in periodi di restrizione calorica.
  5. Micronutrienti. Non si ha la certezza, allo stato attuale, che i bodybuilder in preparazione ad una gara incorrano in deficienze di micronutrienti. Tuttavia, posta la forte riduzione calorica e le pratiche (spesso pericolose) in termini di drenaggio e diuresi, è verosimile che questo accada. L’assunzione di un buon multivitaminico può prevenire/risolvere la situazione.

Natural bodybuilding

Peak week

Ci siamo, ecco qui il tema caldo della peak week. Si tratta del raggiungere, nella settimana della gara, il “picco” a livello visivo tramite due interventi:

  1. Manipolazione dei fluidi (i.e. dei vari compartimenti corporei) tramite diversi protocolli di assunzione di acqua e sali (pratica tendenzialmente pericolosa) [46] [47].
  2. Manipolazione dei glucidi in modo da ripristinare le scorte di glicogeno muscolare [45].

Queste due pratiche sono volte a portare un aspetto di pienezza muscolare, vascolarizzazione e di sottigliezza della pelle.

Iniziamo dalla prima pratica. Tradizionalmente i bodybuilder si presentavano disidratati alla gara. Questa pratica sta venendo sempre più disincentivata dalle federazioni e dalle giurie di bodybuilding natural, come la NBFI. L’atleta dovrebbe essere in grado di fare la sua migliore prestazione in palestra e non presentarsi disidratato e provato sul palco.

MANIPOLAZIONE DEI FLUIDI E DEI SALI

Iniziamo con la manipolazione dei fluidi e dei sali. Il nostro corpo ha tre diversi compartimenti d’acqua: plasmatico, intracellulare ed extracellulare. Lo scopo è quello di portare quanta più acqua nei primi due a discapito dell’ultimo. Come fare? Il nostro corpo tende ad un equilibrio regolato da complessi fattori (ormonali, idraulici ecc.)

  1. Aldosterone. Ormone che interviene per assicurare la presenza di acqua extracellulare. Il suo rilascio è inversamente proporzionale alla concentrazione di sodio plasmatico e direttamente proporzionale alla concentrazione di potassio (attivazione del sistema renina-angiotestina-aldosterone).
  2. Pompa sodio-potassio. É un’enzima che si trova nelle membrane cellulari e svolge un ruolo di trasportatore attivo di sostanze nella cellula. Il meccanismo di trasporto è influenzato dalle concentrazioni di sodio e potassio in modo che, un’alta concentrazione del primo, porta ad un trasporto intra->extra mentre un’alta concentrazione del secondo attiva il meccanismo contrario.

Il nostro corpo ha una vera e propria gerarchia tra i compartimenti derivante da logiche di sopravvivenza. Al primo posto avremo il compartimento plasmatico che difficilmente varierà al di fuori del range di sicurezza (tuttavia risente di stati di disidratazione, il che può comportare la perdita di “pump” sul palco). Abbiamo poi il compartimento intracellulare in quanto l’acqua è essenziale alla vita delle cellule, infine il compartimento extracellulare che, seppur in stretta correlazione ed in un rapporto di interdipendenza con quello intracellulare, risulta più facilmente “sacrificabile” dal nostro corpo.

  1. In un primo periodo pre-gara si aumenta l’assunzione di sale (lievemente) e mantenere alto l’apporto di sale per fare in modo di ridurre i livelli di aldosterone circolante. In questo contesto l’alta assunzione di sodio ed acqua equilibreranno la situazione senza creare particolari squilibri.
  2. Poco prima della gara (tempistiche individuali) viene ridotta l’assunzione d’acqua (i folli la eliminano del tutto, gli stessi che svengono sul palco).
  3. Viene diminuita l’assunzione di sodio e aumentata quella di potassio. In questo modo si attiva un momentaneo squilibrio in favore dei compartimenti plasmatico ed intracellulare. Lo stato di SEMI-disidratazione porta ad attingere al compartimento extracellulare dando, per l’appunto, l’aspetto pieno e asciutto che si vuole ottenere.

CARBOIDRATI

Il meccanismo sopra descritto ben si sposa con le pratiche di “ricarica” di carboidrati prima della competizione. Queste pratiche sono ampiamente utilizzate negli sport di endurance. Vediamo che un aumento dell’apporto glucidico (tendenzialmente si ritorna in normo-calorica tramite aumento dei carboidrati) porterà a:

  1. Un ripristino delle scorte glucidiche
  2. Un ulteriore stimolo all’accumulo di acqua nel compartimento intra-cellulare
  3. Una maggiore vascolarizzazione grazie anche all’aumento dei livelli di insulina.

ALLENAMENTO

Per quel che riguarda il workout due sono gli obbiettivi:

  1. Mantenere uno stimolo all’afflusso di nutrienti, acqua e soprattutto glicogeno nel muscolo.
  2. Evitare situazioni eccessive di stress che portano inevitabilmente ad un aspetto piatto.
  3. Evitare di sovrallenarsi e non permettere il “refull” del glicogeno muscolare (qui in verità il pericolo viene evitato intervenendo con la dieta).

Dunque, nei giorni antecedenti alla gara conviene diminuire l’intensità di carico e lavorare con circuiti, full-body o splittate sulla base delle tempistiche individuali, con poco volume per ciascun gruppo muscolare.

Anche il cardio andrebbe limitato facendo un tapering durante l’ultima settimana. Ormai gli effetti in termini di consumo calorico non sono necessari, un eccesso potrebbe causare solamente un accumulo di liquidi (per es. nelle gambe) con relativo aspetto piatto.

Conclusioni sul natural bodybuilding: come impostare il periodo di definizione 

La problematica principale della preparazione ad una gara (e della peak week in particolare) riguarda le differenze soggettive di tempistiche. Difatti, da una parte ci sono protocolli che risultato migliori su determinati soggetti (per esempio un approccio in chetogenica), dall’altra la condizione di “picco” è assolutamente momentanea in quanto il corpo tornerà all’omeostasi tramite i meccanismi di feedback sopra visti. In sostanza, onde evitare di ritrovarsi piatti come una foca sul palco, converrà fare delle prove per maturare un’esperienza sufficiente e conoscere i meccanismi di azione-reazione del proprio corpo.

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NOTE SULL’AUTORE
L’articolo: Natural Bodybuilding la dieta in definizione è di  Ludovico Lemme
Personal Trainer certificato ISSA e studente SaNIS (scuola di nutrizione e integrazione sportiva). Segue diversi atleti, sia dal vivo che online nel campo del Bodybuilding e del fitness in generale. Nel 2015 avvia il progetto Rhinocoaching con il quale si propone di creare una piattaforma di riferimento per i suoi atleti e per gli appassionati in generale.
Contatti: rhinocoachingofficial@gmail.com
Pagina FB: https://www.facebook.com/ludovicolemmemygrowth/
Sito Web: www.rhinocoaching.it

BIBLIOGRAFIA

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[12] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20300017/ – qui non c’era un gruppo di controllo!

[13] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/3182156/

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Allenamento Spartan Race: come prepararla

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Tra le varie forme di attività competitive emergenti ce n’è una in particolare che ultimamente si sta diffondendo molto rapidamente: le corse ad ostacoli su sterrato. La più famosa di queste Mud Race è la Spartan Race. In questo articolo vedremo tutto quello che dobbiamo sapere su come impostare un allenamento per la Spartan Race.

Preparare una spartan race

Quello che attrae molto di questa disciplina è, in parte, il fatto che per completare ogni percorso è necessario avere livelli di capacità e abilità come: forza, resistenza, saper correre, saltare, arrampicarsi e strisciare abbastanza sviluppate.

Molte persone partecipano a questo tipo di eventi solo per puro divertimento senza una preparazione specifica, altre invece vedono queste competizioni come un’opportunità di mettersi alla prova in situazioni di forte stress psicofisico. L’impegno fisico richiesto da tali competizioni può oscillare dal medio all’estremo, a seconda di come vogliamo impostare il nostro ritmo di gara e se vogliamo incidere sulla graduatoria generale cercando di ottenere i posti più ambiti della classifica.

Già abbiamo già trattato, in un articolo precedentemente pubblicato, il condizionamento di diverse capacità motorie nello stesso mesociclo (Programmare un allenamento per migliorare più capacità contemporaneamente), in questo nuovo articolo andremo ad analizzare nel dettaglio le varie fasi dello sviluppo delle diverse capacità richieste per affrontare una mud race (o Spartan Race) e creare il telaio su cui ognuno di noi tesserà il proprio allenamento.

Correre nella Spartan Race

Corsa spartan race

Le mud races sono, per l’appunto, “races”, è quindi ovvio che la capacità più importante risulta essere la resistenza cardiovascolare applicata alla corsa, non improvvisate una di queste competizioni senza avere una buona biomeccanica della corsa ed un condizionamento specifico. La capacità del nostro corpo di estrarre ed utilizzare l’ossigeno è altamente correlato con il gesto tecnico, conoscere la corretta biomeccanica della corsa permette sia di economizzare le energie che di evitare infortuni dovuti ad una tecnica di corsa impropria.

Detto questo è quindi importante inserire la corsa nella nostra preparazione, fatevi dare consigli da chi compete e guardatevi i video tutorial, spesso la tecnica di corsa viene fortemente sottovalutata, tutti pensano di saper correre ma in realtà la corsa è uno schema motorio di base molto complesso, soprattutto la corsa ad alta velocità. Chi vuole competere non può trascurare nessun dettaglio. La vittoria ama la preparazione.

Una volta che si è sicuri della propria tecnica di corsa possiamo inserire almeno due sedute settimanali, una per allenare la resistenza a lunga distanza ed una composta da ripetute per allenare la resistenza alla fatica.

GIORNO 1:

Ripetute sui 400mt al 90% dello sforzo massimo con “90 di recupero tra le ripetute, controllate la frequenza cardiaca durante il riposo, se dopo “90 è scesa sotto i 120 – 110 bpm ripetere lo scatto, quando, invece, con l’accumularsi della fatica, la frequenza cardiaca non scende sotto quella soglia nei “90 allora interrompere l’allenamento e defaticare con una corsa dall’andatura blanda. Rispetto a molti protocolli HIIT qui i tempi di lavoro sono più specifici e lunghi.

GIORNO 2:

Impostare un’ora o due di corsa (a seconda della lunghezza della gara) ad una frequenza ed intensità di corsa medio-facile (120- 130 bpm) ed ogni 15 minuti fermarsi e fare:

  • 15 burpees
  • 20 affondi (10 per gamba)

Questa combinazione di corsa e movimenti a corpo libero insegnerà al corpo a gestire la fatica accumulata durante la corsa nel superamento degli ostacoli.

Allenamento contro resistenze per la Mud Race

Allenamento spartan race

Naturalmente tutto va programmato, non vi dico che dovrete periodizzare i vostri allenamenti come un pesista olimpico dell’ex blocco sovietico ma almeno impostare una progressione degli allenamenti con dei criteri standard, vediamo quali sono i punti cardine della programmazione di base per le mud race:

  1. Allenare la forza per prima. È vero, è una corsa, ma è anche una corsa ad ostacoli e per superare gli ostacoli è necessaria un livello di forza di base accettabile. Gli esercizi più utili per costruire la base sono, come sempre, i multiarticolari:
  • Affondi con una coppia di kettlebells (kettlebells tenuti in rack position, ovvero al petto)
  • Squat con bilanciere
  • Trazioni con sovraccarico, se non si ha ancora abbastanza forza per fare un numero sufficiente di trazioni (minimo 5) allora utilizzare il suspension traning (TRX)
  • Stacco da terra
  • Distensione su panca piana con bilanciere
  • Distensione su panca inclinata con manubri
  • Parallele

  1. Una volta raggiunto un livello di forza accettabile per questo tipo di competizione (almeno il 150% del proprio peso sollevato in squat e stacco per uomini e donne e il 100% nella distensione su panca per uomini e l’80% per le donne) è possibile iniziare ad aumentare la densità ed il volume degli allenamenti accorciando i recuperi fino a portarli non oltre il minuto.
  2. Al termine della seduta di allenamento con i sovraccarichi dedicare 20 / 30 minuti massimo al conditioning. Molte persone per conditioning intendono “fare circuiti a morte”, non è completamente sbagliato ma esistono metodi migliori e meno tassativi sul sistema neuromuscolare che permettono un allenamento più sicuro. Personalmente la mia “weapon of choice” è il kettlebell snatch o il doppio clean con kettlebell (da non inserire insieme nella stessa seduta) uniti ad i burpees utilizzando due metodi a scelta:
    • Il crescente decrescente: esempio: fare 10 burpees e subito un doppio clean con due kettlebell di peso medio, senza pause continuare facendo 9 burpees e 2 doppi clean, poi 8 burpees e 3 doppi clean , fino ad arrivare a 1 burpees e 9 doppi clean senza interrompere la sequenza. Naturalmente se siete alle prime armi è meglio scegliere kettlebell piccoli e dividere la sequenza in due, ovvero:2x ( clean 1 a 5, burpees 5 a 1). Riposare 3 minuti e rifare la sequenza fino al termine dei 20 \ 30 minuti che state dedicando al conditioning. Il peso dei kettlebell aumenta quando l’intensità decresce.
    • La scala: prendere un kettlebell medio e fare 10 snatch a destra, 10 snatch a sinistra, posare il kettlebell e fare 10 squat saltati, poi senza, recupero continuare con 15 snatch a destra, 15 a sinistra e 15 squat saltati, sempre senza fermarsi completare la prima scala con 20 + 20 + 20. Riposare 3 minuti e rifarla partendo dal 10 + 10 + 10 fino al termine dei 20 \ 30 minuti che state dedicando al conditioning.

Il kettlebell non è un mezzo magico, non da nessun vantaggio in questo tipo di allenamento, io l’ho inserito perché con esso è possibile aumentare di molto l’intensità continuando ad utilizzare dei sovraccarichi in ghisa (la ghisa sulle mani è come il napalm al mattino… inebriante). I due metodi illustrati si possono applicare a qualsiasi coppia di esercizi.

Allenamento Spartan Race: mettiamo insieme il tutto

Allenamento mud race

Quindi… abbiamo dai 3 ai 4 allenamenti a settimana: due di corsa, uno di resistence \ conditioning ed un quarto nel caso volessimo scindere il conditioning dal resistence ed allenarlo un giorno a parte dedicandogli magari anche più di 30 minuti (scelta consigliata) inserendo anche più serie di esercizi.

Per chi ancora non ha dei livelli di forza accettabili e si è ancora lontani dalla gara (almeno 4/5 mesi) è meglio portare a 2 gli allenamenti di resistence training a settimana.

La regola di base dell’allenamento con i sovraccarichi è sempre la stessa: curare la tecnica, diminuire l’intensità ed aumentare il volume nella progressione temporale.

Iniziare la programmazione con 5 o 6 serie da 5 o 6 ripetizioni con 2\3 minuti di riposo per gli esercizi più complessi (squat, stacco, panca) per passare poi, in modo graduale dopo alcune settimane a 6 / 7 serie da 8/10 ripetizioni con 1 minuto di recupero. Gli esercizi secondari (trazioni, affondi, spinte con manubri) rimangono fissi a 3 serie da 10 con 1’30” di recupero.

Ecco una settimana esempio per chi ha già un livello accettabile di forza:

  • Lunedì: corsa a lungo raggio
  • Martedì: resistence training
  • Mercoledì: recupero attivo (curare la mobilità articolare)
  • Giovedì: ripetute
  • Venerdì: recupero attivo
  • Sabato: conditioning
  • Domenica: riposo.

Mentre quella che segue è una settimana tipo per chi parte con livelli di forza non sufficienti:

  • Lunedì: corsa a lungo raggio
  • Martedì: resistence training
  • Mercoledì: recupero attivo (curare la mobilità articolare)
  • Giovedì: resistence training
  • Venerdì: recupero attivo
  • Sabato: resistence training / conditioning
  • Domenica: riposo.
Abbigliamento e attrezzatura per la Spartan Race

Abbigliamento spartan race

Il successo od il fallimento di una muda race (o Spartan Race) spesso è deciso anche dalla scelta dell’abbigliamento, anche qui le regole da seguire sono poche ma importantissime:

  • Le scarpe sono fondamentali, le più consigliate sono quelle da trail running, ogni marca ha le sue, io mi trovo benissimo con le Salomon Speed cross 3.
  • Indossare una maglia compression in tessuto tecnico. Correre con una maglietta di cotone è una pessima idea, primo perché assorbe molte acqua diventando pesante e fredda, secondo perché si potrebbe impigliare nei vari ostacoli, è meglio scegliere una maglia tecnica aderente che permette un isolamento termico minimo (inevitabilmente in queste competizioni si è costantemente a contatto con l’acqua) e non rischia di rimanere impigliata negli ostacoli con il filo spinato.
  • Indossare pantaloni aderenti, spessi e tecnici. Anche qui è importante l’aderenza ed ancor di più l’isolamento termico, è sempre buona regola tenere le gambe il più isolate possibile dal freddo, naturalmente se correte d’estate questa regola vale meno ma è sempre sconsigliato utilizzare il cotone come materiale per il vestiario.
Monitoraggio per la Mud Race

Monitoraggio

Ci sono strumenti che sono facoltativi ma possono migliorare tantissimo il rendimento monitorando sia l’attività in corso che i progressi.

  • Applicazioni per smartphone come Runtastic o simili, grazie al GPS e la fascia per leggere la frequenza cardiaca è possibile sviluppare protocolli di allenamento con le ripetute seguendo un criterio di progressione basato sul tempo impiegato e la capacità di abbassare i battiti al termine di una ripetuta
  • Orologi tattici evoluti come il Suunto, sono costosti ma bellissimi (per il sottoscitto, ovviamente) ed hanno funzioni di GPS e lettura dei battiti cardiaci e grazie a dei software dedicati è possibile estrapolare dati e leggere i progressi in forma grafica.
  • Cardiofrequenzimetro: indispensabile per monitorare l’intensità nelle sedute di corsa e conditioning.
Allenamento Spartan Race: conclusioni

Spartan race gara

Le Mud races (o Spartan Race) possono essere una grande occasione per mettere alla prova la propria mente ed il corpo, e, come tutte le competizioni, mettono alla prova anche i programmi che abbiamo sviluppato per essere al top prima dell’evento.

La particolarità delle mud race è che sono imprevedibili, spesso il numero complessivo ed il tipo di ostacoli sono sconosciti fino al momento della gara stessa e questo porta le persone a pensare che anche l’allenamento deve essere caotico e privo di una struttura di base, questo è un errore, per sviluppare in modo robusto le capacità di base è necessario un programma che rispetti i criteri base della programmazione, una volta ottenuti dei livelli accettabili di forza e resistenza allora si può “giocare” creando allenamenti sporadici dove l’imprevedibilità dell’impegno è la caratteristica principale.

Rimane comunque il fatto che il miglior modo per allenarsi nella Spartan Race è fare tante Spartan o Mud Race. Anche se ogni gara è diversa, l’adrenalina, la sfida, la competizione viene allenata facendo e vivendo la competizione.

Per concludere ricordiamoci sempre e comunque che “Amat Victoria Curam”: la vittoria ama la preparazione…

Le immagini dell’articolo sono prese dal sito: http://spartanrace.it

Note sull’autore dell’articolo: Allenamento Spartan Race: come prepararla
Dott. Alessio Alfei, ACE PT , laureato con lode in scienze motorie, preparatore atletico, titolare della palestra Muscle Power a Roma, responsabile della didattica della scuola ESC performance www.escperformance.eu
E blogger del Ministero della Forza.
Su Facebook: Alfei Performance Systems
http://www.musclepower.it
http://ministerodellaforza.blogspot.it

 

 

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Ritmi circadiani: comprenderli per non esserne schiavi

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In questo articolo partiremo dalla fine, vi spiegheremo come comportarvi coi ritmi circadiani e poi vi spiegheremo le logiche che ci stanno dietro. Ma… (mio zio diceva sempre che tutto quello che viene prima di un ma non conta), ma se vi fermerete solo all’inizio, alla pappa pronta, sbaglierete.
Perché?

Perché il nostro buon senso si basa sulle conoscenze attuali, cambiate le conoscenze e avrete cambiato il buon senso” (Paolo Evangelista).

I livelli dei nostri ormoni non sono sempre stabili, variano a seconda delle ore del giorno (ritmi circadiani) e delle stagioni (ritmi circannuali). Per questo l’alimentazione non può essere sempre la stessa. Se mangiamo la stessa % di macronutrienti sia al mattino, a mezzogiorno e la sera, non sfrutteremo mai questi cambi ormonali.
Nello stesso modo durante le stagioni i valori ormonali cambiano, il testosterone per esempio, cala d’inverno e si alza d’estate. Eppure in palestra si sbaglia facendo esattamente l’opposto, massa d’inverno e definizione d’estate.

Conoscere è potere se seguiamo la natura otterremo, a parità di sforzo, sicuramente di più.

Ma siamo sicuri di quello che abbiamo appena detto?

Ritmi cicrcadiani conoscerli

I ritmi circadiani sono governati principalmente della luce. La sua assenza stimola la ghiandola pineale a secernere la melatonina, questo simil-ormone indica al corpo che è venuto il momento di dormire. Da qui seguirà una cascata d’eventi con il picco notturno del GH e successivamente quello mattutino del cortisolo e del testosterone. Volete allenare la forza? Vi conviene farlo al mattino quando questi ormoni sono al massimo (o forse no?). Senza luce o stimoli esterni che ci indichino il passare del tempo, il nostro orologio biologico verrebbe settato sulle 36h e non più sulle 24h.

La visione, apparentemente logica che abbiamo visto fino adesso non risponde ad una domanda fondamentale. Quanto tutto questo è RILEVANTE? Quanto i nostri cicli circadiani potenziano l’espressione di forza o la lipolisi? Quanto cambia?

Primo di darvi la soluzione iniziamo a capire.

Perché esistono i cicli circadiani?

cicli circadiani uomini preistorici

Il nostro corpo vive in uno stato d’equilibrio precario, o per meglio dire un equilibrio dinamico. Internamente l’omeostasi è preservata, eppure esternamente gli stimoli continuano a cambiare. Così il nostro organismo deve far partire delle reazioni per rispondere adeguatamente agli stimoli (“Bisogna che tutto cambi, perché tutto resti com’è).

Per esempio perché abbiamo il picco del GH alle 2.00 di notte? Perché ormai abbiamo smesso di cenare da un po’, il corpo è entrato nel digiuno notturno ed ha bisogno di stabilizzare la glicemia. Il GH stimola il metabolismo lipidico per risparmiare gli zuccheri nel sangue e limitare la gluconeogenesi.

Nello stesso modo il cortisolo al risveglio a cosa serve? A permetterci d’attivarci più rapidamente fornendoci zuccheri utili al cervello per “accendersi”.

Insomma i ritmi circadiani esistono semplicemente perché sono utili, sono stati tarati dall’evoluzione umana esattamente per servire ai nostri bisogni fisiologici.

Ma cosa succede se non possiamo seguire i ritmi circadiani?

computer-notte-1

Dipende. Dipende per quanto non li possiamo seguire.

Se per esempio facciamo un lavoro notturno cosa succede? Che regolarmente andremo a dormire più tardi. Che regolarmente mangeremo ad orari diversi, ci allenamento ad orari diversi, ecc.
Come per magia i ritmi circadiani varieranno per seguire le nostre abitudini. Perché avremo sempre bisogno di stabilizzare e preservare la glicemia quando dormiamo, avremo sempre bisogno di riattivarci al risveglio, ecc.

Sono i ritmi circadiani che seguono noi, non noi loro.

E cosa succede invece se una sera facciamo tardi, quella dopo siamo regolari, quella ancora dopo abbiamo un altro orario, ecc. Che l’organismo non riesce a ritrovare il suo equilibrio e facciamo il botto.

La lezione da portarsi a casa è quindi la seguente. Non dobbiamo seguire i ritmi circadiani, dobbiamo seguire una vita regolare.

Ma se non seguo i ritmi circadiani che mi succede?

Orologio biologico

Niente, o meglio possiamo passare tutta la vita a fissare il dito dimenticandoci della luna.

Da dopo pranzo verso sera il cortisolo cala , questo permette all’organismo d’avere una miglior sensibilità insulinica (minor insulino resistenza) . Il cortisolo è un antagonista dell’insulina e ne abbassa l’affinità dei recettori. Ora che abbiamo conosciuto questo segreto che facciamo? Mangiamo i carboidrati prevalentemente la sera? Se lo facciamo ingrassiamo meno?

No, perché tutte queste variazioni contano, ma contano per l’1%.

E’ molto più importante, per esempio,  quando ci siamo allenati, perché la deplezione di glicogeno data dall’allenamento, la scarsità d’energia cellulare, ha un impatto molto più rilevanti con l’affinità col glucosio e sulla capacità dell’organismo di convertire i carboidrati che mangiamo in glicogeno.

Ma soprattutto conta il quantitativo calorico giornaliero, conta il rapporto dei macronutrienti, e non quando li mangiamo.

Il timing degli alimenti negli atleti natural (quelli veri) quanto conta? 5% (Leggi questo articolo sul natural bodybuilding per scoprire tutti i fattori importanti).

Quindi potete decidere benissimo di basare la vostra alimentazione in rapporto ai cicli circadiani ma solo dopo che tutti gli altri fattori (il 95%) sono perfettamente in ordine.

Il problema invece è che le persone si fanno ammagliare delle supercazzole, dalla cronodieta per esempio.
Si ma io con la cronodieta sono dimagrito!
Certo sei passato da uno stile di vita dove mangiavi quel razzo che volevi quando volevi, a mangiare cose scelte ad orari precisi. Incredibile come funzioni questa cronodieta.

Morale della favola sui cicli circadiani

ritmo circadiano testosterone

Imparatevi questi benedetti ritmi circadiani, ma soprattuto imparate perché seguono quell’andamento, che principi fisiologici ci stanno dietro.

Quando scoprite qualcosa chiedevi sempre quanto è rilevante? A parità degli altri fattori quanto cambia?
Ci sarà sempre chi vi venderà che il trucco è…
Nel dubbio provate, non c’è alternativa, monitoratevi e controllate se cambiando solo un fattore vi è cambiato il mondo.

Il nostro organismo è più intelligente delle diete, è più intelligente dei “segreti”. Non potete imbrogliarlo o batterlo, potete solo comprenderlo.

Se non vuoi essere schiavo delle diete e vuoi diventare padrone dei concetti, scopri il nostro libro Project Nutrition.

Project Nutrition

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Muscoli carenti: alcuni stimoli per allenarli

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Tutti abbiamo dei muscoli carenti: a livello genetico possono possedere meno recettori per gli ormoni, a livello neurale possono aver difficoltà ad attivarsi, oppure semplicemente possono possedere una componente tendinea/connettivale molto espansa rispetto al ventre muscolare.  Durante il periodo di definizione, per gli atleti di natural bodybuilding diventa ancora più difficile colmare il divario tra questi muscoli e gli altri.

Con Riccardo Grandi fondatore del progetto SustainableBB e Mirko Giambelli campione italiani NBFI nei minimosca, abbiamo girato questo video per mostrare alcuni esercizi che mirano a dare stimoli differenti ai gruppi muscolari che nei natural, solitamente, rimangono più indietro.

Perché un muscolo non cresce?

Perché un muscolo non cresce

Ovviamente non esiste una risposta univoca e certa e questa domanda, i fattori che abbiamo elencato all’inizio dell’articolo sono sicuramente tra i principali:

  • Basso numero di recettori ormonali
  • Basso livello di attivazione neurale
  • Alta componente connettivale

Per cercare di migliorare questi tre difetti il lavoro che dobbiamo cercare di fare è principalmente uno, aumentare il carico e lo stimolo interno sul muscolo target. In quest’ottica un lavoro sui multiarticolari (squat, panca e stacco) potrebbe non essere la scelta migliore. Se da una parte probabilmente se non riusciamo a sviluppare il gluteo nello squat o il petto nella panca, è perché abbiamo ancora dei margini tecnici di miglioramento, ricordiamo che contrariamente a quanto si crede è spesso il muscolo più forte a disattivarsi, dall’altra lavori di rifinitura e specifici (d’isolamento), vanno a stimolare di sicuro il muscolo target.

Fattori di crescita meccanico dipendenti e recettori ormonali

fattori di crescita

La fisiologia sportiva ha evidenziato due concetti fondamentali per l’ipertrofia muscolare nei natural. Non è solo la risposta sistemica, il livello ematico degli ormoni, a far crescere il muscolo. E’ invece soprattutto quello che avviene in loco, nei muscoli che lavorano, a decretare lo stimolo alla sintesi proteica.

I fattori paracrini ed autocrini contano di più di quelli umorali.

paracrino autocrino ormonaleD’altronde tutti i giorni possiamo verificare, in tutte le palestre, che chi non allega le gambe cresce sul busto ma non negli arti inferiori. Nello stesso modo non è che fare serie pesanti di squat (aumentando i livelli ematici di testosterone) porterà ad aumentare la massa muscolare sul tronco (purtroppo).

E’ il lavoro specifico che attraverso i fattori di crescita meccanico dipendenti (MGF) portano ad un aumento selettivo della sintesi proteica e nello stesso tempo, aumentano i recettori ormonali sulla membrana cellulare.

Differenziare lo stimolo

Muscoli carenti

Nei natural, durante il periodo di definizione sono principalmente questi muscoli a svuotarsi per primi:

  • Deltoide posteriore
  • Fasci claverari del gran pettorale
  • Romboidi e trapezio centrale
  • Ischiocrurali
  • Soleo

In questa fase possiamo limitarci a fare qualche serie in più dei classici esercizi che facciamo, per aggiungere un ulteriore lavoro e stimolo. Oppure possiamo introdurre delle varianti specifiche, che in questa fase hanno l’obiettivo di dare impulsi nuovi ed altamente stimolanti, ai muscoli carenti .

Note sugli autori del video:

RICCARDO GRANDI Pontevico (BS) Mail: sustainablebodybuilding@gmail.com
Classe 1969… Nato (culturisticamente parlando) all’età di 14 anni dove mi approccio alla palestra come preparazione atletica nel judo. Ma a 19 anni diventa la mia unica attività. A 21 anni iniziai ad insegnare come istruttore. Ho iniziato a preparare atleti agonisti all’età di 24 anni senza alcuna esperienza, ma con buoni risultati. Diventa il mio lavoro aprendo prima una palestra e poi un’altra. Come imprenditore del fitness perdo “la gioia” del lavoro di preparatore e per qualche anno esco dal mondo del BB. Nel 2011 rientro nel mondo del BB portando in gara 1 atleta… L’anno dopo fu ancora 1 più me stesso, poi 5, e via via sino ad oggi… Ora dirigo una squadra agonistica di 28 atleti TUTTI AGONISTI e soprattutto TUTTI DRUG FREE !!!! Altri 8 in preparazione per il 2017. Ho agonisti che partono dai 21 sino ai 69 anni. I miei atleti hanno vinto diversi titoli italiani e fatto gare internazionali. Il mio motto è CAMPIONI SI DIVENTA !!!

MIRKO GIAMBELLI Pavia
Su Mirko. 35 anni, appassionato di BB da almeno 12. Si prepara per la prima gara nel 2014, piazzandosi 7′. Arriva in gara esaurito e stanchissimo. Vuole lasciare l’agonismo. Si prepara nuovamente ma con i metodi SBB e nonostante le 1000 difficoltà riesce a vincere la categoria mini mosca ad NBFI 2015 e partecipa da PRO alla MULTIPOWER PRO CUP in svizzera. Ora in preparazione per i mondiali di Los Angeles di novembre 2016. Un ragazzo umile e forte… Ha saputo costruirsi il successo con le proprie mani passando dalle stalle alle stelle in solo 10 mesi.

sustainiblebb

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Come gestire lo stress negli sport da combattimento

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Negli sport da combattimento non conta solo la preparazione atletica o tattica. Anche quella psicologica svolge un ruolo fondamentale. In questo articolo vedremo la base teorica e pratica su come iniziare a condizionare la mente per gli sport da combattimento.

Gestire lo stress negli sport da combattimento

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Aspetti di neurofisiologia

Il sistema nervoso si divide in sistema nervoso centrale (SNC), costituito da encefalo e midollo spinale, e sistema nervoso periferico (SNP), fibre nervose deputate al trasporto di informazioni tra il SNC e le alte parti del corpo. Il SNP a sua volta viene suddiviso in afferente (tutto ciò che porta informazioni al SNC) ed efferente, vie con le quali il SNC impartisce gli ordini. La divisione efferente, in ultima, diventa Sistema nervoso somatico (che attraverso i motoneuroni controllano i muscoli scheletrici, quindi volontari) e Sistema nervoso autonomo (SNA), che controlla la muscolatura liscia viscerale, cardiaca e ghiandole.

Soffermiamoci, quindi, su ciò che non è direttamente controllabile in modo cosciente, se non in parte, andando ad analizzare alcune risposte fisiologiche. Il SNA comprende il sistema nervoso simpatico e il sistema nervoso parasimpatico essi operano in modo antagonista uno all’altro. Il primo predispone la nostra mente ed il nostro corpo a reagire ad un pericolo percepito, a grandi linee “risveglia” il sistema e lo prepara all’azione, aumenta la secrezione di epinefrina e norepinefrina, inibisce la digestione, dilata i bronchi, i vasi cardiaci e fa contrarre la muscolatura, in poche parole: prepara a combattere. Il parasimpatico, invece, riporta l’organismo vero il rilassamento.

sistema_nervoso_centrale_autonomo_e_periferico

Comprendere i modelli di risposta del SNA è importante per poter intervenire attivando o disattivando uno o più componenti del processo promuovendo cosi un cambiamento-adattamento. Dove nascono queste risposte? Le risposte che compongono questi processi sono schemi innati di comportamento elementare, schemi emotivi primitivi coordinati e disponibili ad essere attivati automaticamente in un contesto di pericolo. Vediamo quelli che possono interessarci.

Arousal (eccitazione)

Ogni schema comportamentale per essere prodotto necessita di una attivazione, questa permette di preparare tutto il corpo alla risposta, si avrà quindi un aumento del tono a livello generale, un adattamento alla situazione imminente.

Fight or Flight (lotta o fuga)

Questa risposta “attiva” comporta numerosi cambiamenti fisiologici come:

  • Visione a tunnel
  • Esclusione uditiva
  • Secchezza delle fauci
  • Contrazione, tensione muscolare (tremori)
  • Senso di oppressione toracica
  • Sudorazione
  • Nausea
  • Difficoltà di deglutizione/fonazione
  • Aumento della frequenza cardiaca e respiratoria
  • Evacuazione delle feci

Questi cambiamenti non richiedono un controllo cosciente, preparano all’esecuzione di uno dei due comportamenti. A seguito di meccanismi corticali superiori, che connettono il sistema limbico e l’ipotalamo all’ambiente, si eviterà o affronterà l’avversario. I livelli corticali superiori sono anche in grado di rinforzare, modificare o sopprimere queste risposte in favore di una reazione pianificata, strategica e basata sulla comprensione della situazione. Le aree associative parietale e limbica assolvono funzioni importanti per il controllo cosciente, lavorando parallelamente; la prima, più lenta, consente di sopprimere, grazie anche alle esperienze passate, la risposta assai più veloce, rapida ed istintiva della seconda.

Freeze (congelamento)

Il freeze è uno stato transitorio che si verifica proprio all’inizio dell’esperienza della minaccia e che coinvolge l’attenzione intensificata, una maggiore vigilanza per segnali di minaccia e una attivazione del corpo pronto per l’azione. Tipicamente un fenomeno di breve durata (spesso dura pochi secondi) è accessibile per l’elaborazione cosciente e la rappresentazione soggettiva.

Detto questo tutti noi tendiamo a rinforzare i comportamenti che risultano gratificanti ed a sopprimere quelli che ci risultano spiacevoli, meccanismo regolato dai centri della ricompensa/punizione del sistema limbico. Il comportamento quindi è influenzato dall’esperienza, apprendimento, ABITUDIDE.

Per avere una panoramica di più ampio respiro bisognerà tenere in considerazione sia il funzionamento della memoria, in questo caso di tipo procedurale, che dei riflessi, in questo caso condizionati.

La memoria procedurale c.d. memoria del “come”, è la memoria deputata all’abilità motoria, regolata dal cervelletto e regioni corticali pertinenti. Essa si fissa diventando traccia di memoria, quindi dopo il cambiamento nervoso responsabile dell’immagazzinamento, a seguito di un allenamento ripetuto, come il memorizzare una specifica sequenza di boxe. A differenza di altri tipi di memorie la procedurale non necessità di essere richiamata tramite sforzo cosciente detta in parole semplici: NON PENSARE COLPISCI.

Il riflesso, invece, è una risposta innata che si attiva automaticamente come portare le braccia a difesa della testa in caso di pericolo (riflesso semplice), ma, a noi, interessa quello condizionato, risultato di pratica e apprendimento come colpire il colpitore in modo automatico appena lo si vede alzare, ma questo avviene solo dopo un considerevole allenamento cosciente.

Considerato questo si può dedurre che la conformazione celebrale gode di una certa plasticità che grazie ad opportuni accorgimenti vi è la possibilità di sfruttarla a nostro vantaggio.

sistema nervoso rinforzo schemi motori

Fino adesso si è preso in considerazione l’aspetto fisiologico ma a complicare tutto ci si mette la psiche, intesa come il complesso delle funzioni e dei processi che danno all’individuo esperienza di sé e del mondo e, quindi, ne determinano il comportamento.

Quanto le emozioni influenzano il corpo e quanto il corpo influenza le emozioni? A questa domanda ci viene in aiuto la PNEI (psico-neuro-endocrino-immunologia). Questa nuova visione della struttura dell’organismo mette in rilievo la diretta e continua interazione tra sistema nervoso autonomo, neuroendocrino e sistema immunitario. Per la PNEI eventi, traumi, reazioni emotive percepite come stressanti influiscono innescando continui cambiamenti nei sistemi sopra elencati. Quindi pensieri negativi, esperienze negative, strategie di coping inefficaci possono minare il delicato equilibrio interno con conseguenze disastrose per il combattente. MINDSET

Come migliorare la performance

Ora come fare per poter migliorare performance? Chi è colui che combatte e non può permettersi il minimo errore? Giusto il soldato.
Vediamo come l’addestramento militare può tornarci utile. Ci sono due motivi fondamentalmente del perché si spendano così tante forze (energie, tempo, denaro) per preparare un soldato di una unità di èlite. La prima è la gestione della paura: fare la cosa giusta al momento giusto.  La seconda è ridurre il più possibile il PTSD (Posttraumatic Stress Disorder).

Addestramento psciologico militare

La paura è una emozione innata, essa ci difende, attiva la possibilità di entrare nella condizione di attacco/fuga ma se il livello supera una certa soglia come nelle situazioni di panico o di fobia essa anziché stimolare l’attività simpatica andrà a sollecitare il sistema parasimpatico attivando l’incapacità di reazione fino in casi estremi procurando svenimenti. Possiamo suddividerla in paura innata e paura appresa, determinata da stimoli di esperienze dirette e che si sono dimostrate pericolose per il soggetto. Ora capite bene che una giusta dose di paura per l’operatore può essere in un certo senso sana, al contrario se diventa   troppa è deleteria.

Il PTSD, invece, è una nevrosi che si presenta dopo che il soggetto è stato esposto ad un evento traumatico grave come una aggressione fisica reale o minacciata. Si caratterizza per un aumentato di flashback dell’evento, pensieri intrusivi che portano ad una aumentata reattività fisiologica, come se la minaccia fosse sempre presente.

L’adozione di tecniche comportamentali, volte alla eliminazione dei sintomi scatenanti della manifestazione, o di tecniche cognitive, che eliminano le cause delle paure, hanno dato la possibilità di ottenere buoni risultati aumentando le performance degli operatori.

Elencherò alcune delle tecniche che possono trovare impiego negli sport da combattimento durante la periodizzazione dell’allenamento con la possibilità di affiancarle ai vari periodi aspecifici/specifici pre match. Tecniche di visualizzazione, mindfulness, respirazione(tattica), stress inoculation training sono solo alcune ma costituiscono una buona base di partenza. Vediamole nel dettaglio.

visualizzazione mentale

Visualizzazione

Questa tecnica consiste nel visualizzare nella propria mente situazioni che accadranno nell’immediato futuro, il più spesso possibile, analizzando l’immagine nei minimi particolari non soffermandosi solo sugli aspetti generali ma curando attentamente i dettagli che portano all’esecuzione dell’intero processo tenendo in considerazione anche i possibili imprevisti. Quindi:

  • Obiettivo ben definito
  • Pianificazione del processo
  • Essere protagonista e non spettatore (immaginare in prima persona non solo i gesti ma anchele emozioni)
Mindfulness (consapevolezza)

Questa tecnica di meditazione tratta la capacità di portare l’attenzione al presente in modo intenzionale e acritico “ascoltando” le proprie emozioni, pensieri, sensazioni fisiche. Essere sempre presenti a se stessi disinserendo il pilota automatico. Uno degli esercizi fondamentali è basato sul controllo e ascolto della respirazione. Hic et nunc.

Respirazione (tattica)

Questo tipo di respirazione consente la possibilità di abbassare il rate cardiaco quando si è sotto stress. Illustrerò un ciclo completo da ripetere da 5 a 10 volte.

  1. Inspirare con il naso profondamente in 4 secondi
  2. Trattenere il respiro per 4 secondi
  3. Espirare con la bocca fino a svuotare il più possibile i polmoni in 4 secondi
  4. Apnea per 4 secondi

Ecco un possibile uso intenzionalmente diverso della Elevation Training Mask (simulazione iperventilazione e gestione)

Stress inoculation training (SIT)

Stress inoculation training

Questa tecnica consente di ottimizzare le prestazioni in condizione di stress andando a formare delle competenze comportamentali e cognitive specifiche. Le competenze possono includere la capacità di adattamento, la tolleranza allo stress, perseveranza/persistenza, concentrazione mediante esposizione a stress sia fisico che psicologico. Questo tipo di programmazione è analoga alla “inoculazione medica contro le malattie biologiche” in quanto gli individui sono esposti solo allo stress sufficiente ad attivare il sistema immunitario (vaccino).

L’esposizione, quindi, non deve essere tanto grande da travolgere la persona ma deve essere appropriata per consentire di sviluppare un adeguato livello di fiducia necessario per gestire lo stress futuro andando ad aumentare il carico in modo graduale.

Tipicamente il SIT si suddivide in 3 fasi:

1. Concettualizzazione
L’obiettivi di questa fase sono di aumentare la consapevolezza dei probabili fattori di stress, risposte psicologiche/fisiche e le gli effetti sulle prestazioni.

Si possono discutere una specifica situazione fallimentare, casi reali, oppure far svolgere degli esercizi ben interiorizzati sotto diversi livelli di stress (es. prima senza stress poi con diversi fattori di disturbo). Questa disponibilità di informazioni riduce la novità dei compiti stressanti e aumenta la probabilità di una aspettativa positiva quindi un senso di maggior prevedibilità e conseguente riduzione di arousal.

2. Acquisizione delle competenze

Compito di questa fase del processo è quella di sviluppare le capacità cognitive e comportamentali che migliorano o mantengono le performance sotto stress. Certe le abbiamo già viste, un’altra può essere l’overlearning, strategia che mira a mantenere elevate le prestazioni mediante la ripetizione di un determinato compito punto per punto per solidificare le conoscenze, competenze, abilità per aumentare l’automaticità.

3. Applicazione

Dopo aver acquisito con successo le competenze necessarie per svolgere un determinato compito in situazione di stress la persona comincia ad allenarsi in condizioni che simulano da vicino l’ambiente “operativo”, questo tipo di esposizione consente di praticare e rafforzare le competenze. L’efficacia è data da poter provare quanti più fattori di stress possibili.

In conclusione 3 concetti importanti
  1. Abitudini “positive” (ciò che farai/sarai in allenamento, salterà fuori in combattimento)
  2. Mindset “positivo”
  3. Respirare

e…ripetere, ripetere, ripetere.

L’articolo: Come gestire lo stress negli sport da combattimento è di Luca Panizza 

Note sull’autore:
Luca Panizza: ufficiale di stato maggiore della Marina militare italiana e appassionato di sport da combattimento. Attualmente studia infermieristica.

L'articolo Come gestire lo stress negli sport da combattimento sembra essere il primo su Project inVictus.

Il sistema muscolo-scheletrico come struttura di tensegrità

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Questa serie d’articoli è rivolta a darci una visione più olistica del corpo umano, dove riscopriamo l’importanza della globalità. Il viaggio alla scoperta dalla miofascia ci ha permesso di individuare i collegamenti tra i vari tessuti del nostro organismo, dando una visione globale ed un quadro d’insieme. In questo articolo parleremo del sistema muscolo-scheletrico e della tensegrità. Se non hai letto però gli articoli precedenti, qui puoi trovare i tasselli mancanti:

La miofascia: verso una visione olistica del corpo umano
La miofascia: plasticità del tessuto connettivo
Viaggio nella miofascia: le tre reti olistiche

Del Dottor Andrea Colarusso

“Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro.”  (José Saramago

Bentrovati, o cari viaggiatori, in questa esplorazione del corpo umano.  Vi avverto, per la vostra incolumità, che questo sarà lo scoglio più difficile, nonché l’articolo più lungo. Quindi iniziamo con una fondamentale premessa. Tutta la teoria dei Meridiani miofasciali di Myers non esisterebbe senza due pilatri teorici fondamentali: la Teoria del Doppio Involucro e la Macro e Micro Tensegrità.

Teoria del Doppio Involucro

Tantissime strutture nel nostro corpo, presentano un doppio involucro. Le cellule stesse presentano una doppia membrana di fosfolipidi, il cuore e i polmoni hanno un doppio involucro, il cervello persino triplo. Tutto ciò si presenta sin dall’inizio quando siamo ancora embrioni. Nel neo-embrione avviene un ripiegamento della blastofera su se stessa per formare un doppio involucro formando i cosìdetti foglietti embrionali: ectoderma, endoderma, mesoderma.

foglietti embrionali

Mentre l’embrione cresce comincia a svilupparsi anche la rete fasciale per la necessità di mantenere le disposizioni spaziali consentendo il movimento. Osservando da vicino il mesoderma si nota un ispessimento detto “notocorda” dalla quale si formerà la colonna vertebrale. Accanto vi è una speciale sezione del mesoderma detta mesenchima ricca di cellule mesenchimali (le staminali dei fibroblasti e altre cellule del connettivo) che secernono reticolina (una forma immatura di collagene).

Queste cellule mesenchimali pluripotenziali si trovano in tutti i tessuti del corpo pronte a essere trasformate a seconda della necessità (surplus energetico → adipociti, ferita → fibroblasti, infezione batterica → leucociti). Questo fa capire quanto la risposta del tessuto connettivo/fibroso sia addattabile e capace.

Solo per scopi didattici si parla di tante fasce ma la Fascia è un sistema unico che può essere separato solo con un coltello.

Torniamo a noi. Dopo il primo ripiegamento della blastofera vi è la fase di gastrulazione, un movimento di rovesciamento (tipo un calzino) che forma un disco trilaminare (ecto-meso-endoderma) tra i due grandi sacchi dell’amnios e del vitellino. Il doppio involucro diventa un tubo.

Tubo neurale

Da qui in poi avverranno altri ripiegamenti e dall’endoderma si formerà il tubo digerente, dal mesoderma costole, muscoli addominali e pelvi per sostenere il canale alimentare endodermico ma soprattutto l’arco neurale della colonna vertebrale e la volta cranica, e alla fine per ultimo, l’ectoderma che unisce le due metà del palato.

embriologia

Doppio involucro dei muscoli

Dopo la morfogenesi ritorniamo al sistema muscolo-scheletrico.

Si distinguono due involucri: interno (che avvolge le ossa) esterno (che avvolge i muscoli). Nell’involucro interno c’è una alternanza di tessuti duri (ossa-cartilagini) e tessuti fluidi (liquido sinoviale). Quando l’involucro fibroso avvolge le ossa parliamo di periostio quando si tratta del rivestimento intorno alle articolazioni parliamo di capsula articolare.

I legamenti e il periostio non sono strutture separate come mostrano molti libri di anatomia ma un continuo involucro interno intorno ai tessuti dell’osso e delle articolazioni. Persino i crociati del ginocchio, mostrati spesso come a sé stanti, fanno parte di questo tutt’uno .

L’involucro esterno è una gelatina fibrosa chimicamente sensibile che noi chiamiamo muscolo. In questo tessuto troviamo la fascia profonda, il setto intramuscolare e la miofascia. Nella concezione di Myers, giustissima a mio parere, i singoli muscoli sono solo semplici tasche che fanno parte dell’involucro esterno collegate a quello interno con le inserzioni. Attenzione: il muscolo non si attacca mai all’osso, le cellule muscolari sono impigliate all’interno della rete fasciale, il loro movimento tira la fascia che è attaccata al periostio, il periostio a sua volto tira l’osso.

Marchiatevelo a fuoco: esiste un solo muscolo appeso a 600 e più tasche fasciali. 

Lo studio dei muscoli come isolate unità ignora gli effetti longitudinali tramite l’involucro esterno e le ripercussioni regionali e globali.

La fascia distribuisce lateralmente lo sforzo alle strutture miofasciali vicine, cosicchè la tensione sul tendine a una estremità non è esclusivamente sostenuta dall’inserzione opposta.

Pensare al singolo muscolo ha oscurato tale fenomeno e ha fatto perdere la possibilità di vedere gli effetti sinergici lungo i meridiani e cinture fasciali.

In parole povere, i Treni miofasciali (meridiani miofasciali) sono delle linee di tensione molto lunghe che passano attraverso l’involucro esterno (miofasciale) che formano, deformano, stabilizzano e muovono le articolazioni e lo scheletro (involucro interno).

Parleremo di “binari” cioè le linee di miofascia continua all’interno dell’involucro esterno e “stazioni” i punti in cui l’involucro esterno si fissa a quello interno.

Arriviamo così all’ultimo pezzo del puzzle, grazie per la vostra pazienza :) .

La Tensegrità

Tale termine è stato coniato dall’espressione “integrità di tensione” del designer R.Buckminster Fuller.

tensegrità

Si riferisce a strutture che mantengono la loro integrità grazie a un bilanciamento di forze tensili intrecciate con continuità lungo la struttura, invece di usare forze di compressione come avviene in un muro di pietra. Inoltre, anche se ogni struttura sia tenuta insieme da un equilibrio di tensione e compressione, le strutture di tensegrità, secondo Fuller, sono caratterizzate da tensione continua intorno a compressione localizzata.

Tale concetto è applicabilissimo in qualsiasi sistema vivente in movimento. Ricordate cosa abbiamo detto nel primo articolo? Se rimuovessimo qualsiasi cosa come muscoli, pelle e legamenti lo scheletro che rimane crollerebbe a terra come un castello di carte.

corpo umano tensegrità

Avventurarsi a spiegare i meridiani miofasciali e le varie interconnessioni e giochi di forze compressive e tensive sarebbe un suicidio senza rendere questa visione della Tensegrità parte del nostro modo di vedere le cose.

Macrotensegrità: la gestione tra trazione e compressione

La miofascia fornisce una rete continua di tensione che si restringe modulandosi intorno alle singole ossa e alle cartilagini, mentre organi e muscoli tendono a premere verso l’esterno contro questa membrana tensile che restringe. Con questa concezione lo scheletro non è più la vecchia impalcatura inerte che era prima.

tensegrità tessuto muscolo-scheletrico

I tessuti più duri e gli involucri pressurizzati fluttuano in questa rete tensile, e ciò ci aiuta a capire come aggiustare gli elementi tensionali per modificare ogni disallineamento delle ossa.

forze dispersione tensegrità

Una struttura per essere stabile e flessibile allo stesso tempo, deve essere triangolare, poiché solo i triangoli sono stabili e flessibili allo stesso tempo. Nell’immagine presa come esempio abbiamo l’icosaedro, con 20 facce triangolari, 12 vertici, 30 lati. I bastoncini che vedete fluttuano in quelle posizioni a causa dei giochi di trazione-compressione all’interno della rete tensiva in cui si trovano. Come succede alle ossa che sono avvolte dalla fascia e ne fanno parte.

Nel modello della colonna vertebrale si capisce che le strutture di tensegrità sono meno rigide, ma più resilienti rispetto una struttura a compressione continua.

colonna vertebrale tensegrità

Ammiratene la bellezza simile a quella dei più bei ponti sospesi del mondo. Come potete vedere i processi delle vertebre sono sostenuti da “legamenti” elastici, in modo che i segmenti (corpi vertebrali) non si tocchino tra loro.

Caricate un solo angolo della struttura e tutta quanta (elastici ed elementi lignei) si assesterà in breve tempo per assecondare quel microcambiamento. Caricatela fino al punto di rottura e la struttura si romperà ma non necessariamente vicino a dove è applicato il carico. Per questo a volte le cause di molti infortuni sono da ricercare altrove e non solo nella sede di rottura.

Se desiderate cambiare la relazione tra le ossa (elementi di compressione, spaziatori) cambiate l’equilibrio della tensione attraverso i tessuti molli e le ossa si ridisporranno.

Questa è la forza della manipolazione dei tessuti molli applicata sequenzialmente, e implica una debolezza delle manipolazioni osteopatiche fondate su spinte ripetitive molto veloci alle ossa (infatti ogni tanto bisogna tornare per una sistematina, no?)

Nei vari individui, in diverse parti del corpo e in diversi movimenti in svariate situazioni, il corpo percorre lo spettro che va dalla sicurezza di una struttura a compressione continua fino all’equilibrio della pura auto-contenuta tensegrità.

Questo è lo spettro di tensione-dipendente → il corpo opera attraverso diversi sistemi meccanici in svariate situazioni e in diverse parti del corpo.

Quindi nell’attività quotidiana si usano tutti e due i modelli: tensegrità e semplice compressione continua. Una metafora di ciò può essere la barca a vela che ha elementi strutturali a compressione e elementi di tensione come i vari cordami.

Dopo quanto esposto, è evidente che il corpo distribuisce lo sforzo, soprattutto quello a lungo termine, all’interno di se stesso nel tentativo di equilibrare le forze sui tessuti. E’ clinicamente provato che il rilascio di una parte del corpo porti a cambiamenti anche a distanza dal punto d’intervento. E’ una unità inscindibile di sistemi, ecco perchè la ricerca del fantomatico “isolamento” è un non-sense.

Le strutture a tensegrità lenta sono vischiose, cioè mostrano facilmente deformazioni e cambiamenti della forma fluida. Se si tendono membrane o stringhe tensili le strutture aumentano la resilienza, disponendo gli elementi compressivi e tensionali lungo le linee dello sforzo, avvicinandosi alla rigidità.

Ingber diede una definizione di ciò: “Un aumento di tensione in una delle parti causa un aumento di tensione in tutte le parti della struttura, anche in quelle situate sul lato opposto”.

Se una struttura di tensegrità viene preparata allungando le parti in tensione (pre stress) la struttura risulterà in grado di sopportare un maggiore carico senza deformarsi.

Vi sono quindi 2 modi nei quali il sistema miofasciale si può rimodellare in risposta allo sforzo o in anticipo dello stesso:

  1. il tessuto muscolare può contrarsi molto velocemente su richiesta del SNC, all’interno del tessuto fasciale per preparare allo sforzo un’area, una lineao o una fascia
  2. sforzi a lungo termine posso essere assorbiti rimodellando la MEC attorno ai contorni di carica piezoelettrica, aggiungendo matrice dove richiesto.
  3. Ma vi è anche un terzo modo: contrazione attiva dei fibroblasti sulla stessa MEC.

Il terzo punto è importante poiché si è sempre considerata la fascia plastica/viscoelastica e non contrattile. Alla luce delle nuove ricerche, la scoperta che la fascia può contrarsi autonomamente e quindi avere un ruolo più attivo, può avere grandissime implicazioni terapeutiche.

La contrazione cronica dei Miofibroblasti (cellule a metà tra cellule del muscolo liscio e classico fibroblasto) gioca un ruolo significativo nelle contratture croniche (contratture di depuytren della fascia palmare o nella capsulite adesiva della spalla).

Sono molto attivi nella guarigione di una ferita e nella sua cicatrizzazione e sono necessari per la salute della fascia, si trovano anche nei legamenti, menischi, tendini e capsule degli organi. La loro densità aumenta in risposta all’attività fisica.

Molti sono i fattori che inducono la contrazione a lungo termine e a bassa energia di queste cellule:

  • la tensione meccanica che attraversa i tessuti
  • citochine e agenti farmacologici come ossido nitrico, istamina, mepiramina e l’ossitocina.

La contrazione è molto molto lenta (20-30 minuti) e dura più di un’ora decrescendo man mano. Non è, come abbiamo ribadito molte volte, un sistema a reazione veloce ma agisce lentamente grazie a una stimolazione chimica fluida piuttosto che neurale.

Tale ambiente fluido ha un Ph basso che tende a migliorare la contrattilità dei Miofibroblasti.

Quindi molte attività che squilibrano il Ph, disordini respiratori, stress emotivi, o elementi esterni che inducono acidità portano a un irrigidimento della fascia.

Microtensegrità

Fino adesso abbiamo parlato a livello macroscopico. Come la fascia è l’impalcatura di tutto il corpo, il citoscheletro delle cellule assume lo stesso ruolo. Sappiamo che la membrana fosfolipidica delle cellule comprende anche proteine con ruolo di recettori o canali per gli scambi chimici. Ma vi è una classe di proteine (integrine) che hanno funzioni di meccanoricettori, cioè comunicano alla cellula la tensione e la compressione che subisce.

micro tensegrità

L’importanza di questa meccano-trasduzione ha un certo ruolo in affezioni come asma, osteoporosi, scompensi cardiaci, arteriosclerosi ed ictus.

Tale informazioni meccaniche scatenano una cascata di risposte da parte della cellula per far fronte a tali richieste modificando la propria struttura. Quindi tutte le cellula sono connesse, comunicano e si organizzano grazie alle integrine che hanno questo effetto Velcro di adesione tra le cellule.

L’informazione meccanica si combina con quella chimica per far capire alla cellula che cosa fare. Cellule poste in allungamento e appiattite avevano probabilità di dividersi, cellule tondeggianti a cui era impedito di propagarsi attuavano un programma di apoptosi (un suicidio cellulare).

Capire come avvengono questi meccanismi potrebbe portare a nuovi approcci nella terapia dei tumori e nella riparazione dei tessuti.

Se ogni cellula ha un’ambiente meccanico ideale (una postura ideale) ciò si riflette a livello macroscopico sull’intenzione di creare un tono uniforme in tutti i Meridiani Miofasciali e tutta la rete fasciale, con grandi ripercussioni positive in termini di salute, cellulare e generale, e performance.

Quindi anche approccio basato su interventi su involucro interno (osteopata, chiropratico) su quello esterno (rilascio/massaggio miofasciale, trigger point therapy) e il movimento biomeccanicamente corretto e salutare (scienze motorie, personal trainer) porteranno al massimo risultato col massimo equilibrio. Questo dovrebbe essere l’approccio olistico ideale.

Qui di seguito un piccolo esempio pratico che potete usare da subito.

Una applicazione pratica: Low back pain dovuto a pelvic tilt

Qui di seguito potete vedere un modellino secondo i principi della tensegrità delle pelvi. Qui troviamo tantissimi muscoli che sono i tiranti che mantengono questo ponte sospeso.

tensegrità pelvi

Se un tirante (muscolo) è troppo teso si avrà una modificazione delle ossa. Ma anche una modificazione della posizione delle ossa può rendere un muscolo più teso e predisporlo a traumi.

In sostanza quando il mio atleta/cliente dice di sentire dolore alla schiena, oppure una grande tensione sui femorali, o anche solo su un femorale, o pubalgia la prima cosa che faccio è andare, con i pollici a trovare i punti di repere della SIAS (Spina Iliaca Antero-Superiore). Anche se il cliente non sente dolore ma notate movimenti strani del bacino in alcuni esercizi (soprattutto nello stacco da terra) con una parte delle pelvi che sale prima dell’altra. Vi consiglio di verificare.

Presi tali punti di repere vi accorgerete subito se un pollice è  più “alto” dell’altro. Potete verificare anche con le Spine Iliache Postero Superiori (SIPS).  Mettiamo ad esempio che la SIAS a destra sia più “alta”. Non dipende da dismetria dei femori ma quasi sicuramente da una rotazione posteriore dell’Ischio (l’osso del bacino a forma di ala) che porta in alto la SIAS.

Perchè affermo che non dipende dalla dismetria? Perchè La falsa dismetria degli arti inferiori è il caso più comune. Esistono varie condizioni che possono essere causa di una falsa dismetria; tra queste si ricordano:

  • anormale ossificazione del bacino
  • basculamento dell’osso iliaco
  • fissazione viscerale
  • retrazione muscolare dello psoas
  • rotazione del bacino
  • scoliosi lombare
  • sindrome del piriforme
  • valgismo del calcagno
  • valgismo del ginocchio.

Alla luce di quanto sopra esposto si comprende quanto sia necessaria un’attenta valutazione della situazione del soggetto prima di avventurarsi nella prescrizione di un rialzo, pratica spesso abusata anche con ragazzi giovanissimi creando una serie di problemi tipo effetto domino con una continua ricerca del plantare perfetto ogni volta che si presenta un problema. Stessa cosa per quanto riguarda bite o apparecchi correttivi dell’occlusione. Poichè la mandibola è al vertice di una importante catena posturale. Ricorderò sempre una massima del professor Claudio Gallozzi, direttore dell’istituto di medicina dello sport, fisiologo biomeccanico e osteopata, durante un corso sulla postura: “Noi camminiamo con i piedi, ma poggiamo sui denti”. Data l’importanza che questi hanno come recettori posturali. Ma ne parleremo magari un’altra volta.

Se il cliente sente una grande tensione sul femorale a sx invece possiamo presupporre (supportati dalla valutazione prima esposta) che l’Ischio sia più ruotato avanti, portandosi dietro (tirando) gli ischiocrurali in maniera esagerata. Questa tilt pelvico è molto comune ed evidente in atleti di sport asimmetrici, come la scherma, con cui lavoro.

Hamstring_tendons

Passiamo quindi allo sblocco articolare, al riallineamento delle creste iliache per ripristinare una situazione normale. Tale manovra può essere fatta anche da soli, ma con un compagno che ci aiuta è molto più efficace.

VI consiglio caldamente di farlo prima della vostra sessione di squat, stacchi, per lavorare allineati senza tensioni.  Qui di seguito Kelly Starrett ci mostra come sbloccare.

fino 4’50” pre workout. Da 5:30” in poi post workout poiché il lavoro di rilascio dell’addome e psoas se fatto prima degli esercizi può farci perdere compattezza.

Spingendo e tirando le ginocchia per versi opposti si creano forze rotazionali che vanno a sbloccare gli ischi che tornano in una posizione normale, lavoriamo quindi sull’involucro interno (ossa e articolazioni). Il successivo lavoro con la palla tra le ginocchia serve per ricalibrare la tensione dei tiranti. Il lavoro da proni con la palla schiacciata a terra contro l’addome, serve per rilasciare oltre agli strati profondi dell’addome anche l’ileo-psoas che è collegato alle vertebre lombari e quindi causa di dolore lombare, quando contratto. Questo è l’involucro esterno che come capite può essere trattato con vari metodi, rilascio miofasciale, trigger point therapy, esercizi neuromuscolari.

Sapendo che i femorali fanno parte della Linea Superficiale Posteriore andremo a rilasciare con varie tecniche anche gli altri anelli della catena per avere un effetto benefico a cascata.

Se avete notato abbiamo agito su tutte le probabili cause della falsa dismetria, esposti sopra.

Capirete che funziona quando, quando lavorate con la palla medica tra le ginocchia, sentire un “clock” muscolare od osseo. Ci vorranno più applicazioni per sortire tale effetto. Ah se vi estirpate i femori o dislocate l’anca probabilmente AVETE SBAGLIATO QUALCOSA. :)

Nella serie di prossimi articoli descriverò i vari meridiani miofasciali e troverete una parte di applicazioni pratiche, in modo da mettere subito in campo le nuove conoscenze acquisite e sperimentare su voi stessi.

Grazie a tutti per l’attenzione

Il corpo è un veicolo meraviglioso, molto misterioso e complesso. Usalo, non lottarci contro; aiutalo. Nell’istante in cui vai contro di lui, vai contro te stesso.

(Osho Rajneesh)

Pagina dell’autore: Satori Training 

Bibliografia:

Anatomy Trains, Thomas W. Myers.
Becoming a Supple Leopard, Kelly Starrett
The Trigger Point Therapy Workbook: Your Self -Treatment Guide for Pain Relief, Clair Davis
Anatomia Clinica, Marinozzi.

Fascia: The Tensional Network of the Human Body; Schleip et al.

Curriculum di Andrea Colarusso:

Laurea Triennale in Scienze Motorie e Sportive
Laurea Specialistica in Scienza e Tecnica dello Sport- Sport di combattimento
Canali Postural Method 1° livello
Personal Trainer FIPE 3° livello
Specialista in Kettlebell FIPE
Istruttore FIPL 1° livello
Tirocinio presso Nazionale Olimpica Italiana Taekwondo.
Preparatore Atletico Club Scherma di Roma, settore Spada.
Istruttore Thai Boxe/ K1 FIGHT1
Creatore Satori Training PT .

L'articolo Il sistema muscolo-scheletrico come struttura di tensegrità sembra essere il primo su Project inVictus.

Il Ginocchio: legamenti, biomeccanica e test

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Anatomia del ginocchio

Il ginocchio è una delle articolazioni più complesse dell’organismo. E’ l’articolazione intermedia dell’arto inferiore e modula l’altezza del nostro baricentro con il terreno (la distanza del corpo dal suolo), ha una duplice caratteristica: è stabile in estensione completa, quando il ginocchio è sottoposto a importanti forze dovute al peso del corpo, ed è mobile a partire da un determinato angolo di flessione, mobilità necessaria per la corsa ad esempio e per poter avere un appoggio sicuro del piede su qualsiasi terreno.

Ginocchio teso e flesso

(Tutte le immagini sono tratte dal sito di Paolo Evangelista http://smartlifting.org)

Per questo il ginocchio è eccezionalmente forte e nello stesso tempo molto delicato: basti pensare al lavoro svolto tutti i giorni ed ai disagi derivati da una sua, anche minima, disfunzione. La stabilità e la mobilità sono due caratteristiche molto diverse e solo l’anatomia e l’importante struttura legamentosa che frena i movimenti, soprattutto in rotazione, permettono questo straordinario meccanismo.

L’articolazione del ginocchio connette il femore alla tibia, ed è protetta anteriormente dalla rotula che facilita il lavoro muscolare durante i movimenti di flessione ed estensione (aumenta il braccio di leva). E’ un’articolazione che lavora soprattutto in compressione, sotto l’azione della gravità ed una troclea. Le superfici ossee sono ricoperte da uno strato di cartilagine che le rende più lisce, facilitandone il reciproco scorrimento.

Rotula nel ginocchio

Anche i menischi sono strutture cartilaginee, hanno forma di semiluna e servono sia ad aumentare la stabilità, rendendo congrue le superfici di appoggio, sia ad assorbire gli urti e le forze di carico, agendo come dei veri e propri ammortizzatori. I menischi sono due: uno mediale e uno laterale.

Menischi ginocchio

L’articolazione è stabilizzata da quattro robusti legamenti: il legamento crociato anteriore (LCA), il legamento crociato posteriore (LCP), il legamento collaterale mediale (LCM) e il legamento collaterale laterale (LCL). Sono aiutati, in questo compito di stabilizzatori, dalla capsula e dai muscoli.

legamento crociato anteriore e posteriore

In particolare la cartilagine articolare è un tessuto elastico dotato di notevole resistenza alla pressione e alla trazione (è un connettivo specializzato con funzione di sostegno). Ha un colorito bianco perlaceo e riveste il piatto tibiale, la superficie interna della rotula e i condili femorali proteggendoli dall’attrito.

La sua funzione è simile a quella di un cuscinetto ammortizzatore che con la sua azione salvaguardia i normali rapporti articolari e permette il movimento. Il tutto è permesso dalla sua particolare costituzione chimica. All’interno della cartilagine esistono infatti delle cellule, chiamate condrociti, che – specie quando sono giovani (condroblasti) – hanno il compito di produrre la cartilagine stessa. Tale sostanza è costituita prevalentemente da acqua, da fibre collageniche, da proteoglicani, da acido ialuronico e da glicoproteine. Al di là dei nomi ciò che è importante ricordare è che la cartilagine è composta da una parte fluida (che le dona la capacità di assorbire i traumi) e da una parte solida (che aumenta la resistenza).

Le cartilagini e i menischi non hanno recettori sensoriali, questo è importante ricordarlo in caso di patologie o disfunzioni.

I movimenti del ginocchio

La flesso-estensione è il movimento principale del ginocchio.

L’estensione è la posizione così detta “cadaverica” o di partenza, si può comunque effettuare un movimento di estensione, soprattutto passivamente, dalla posizione di partenza di 5°-10° definita erroneamente iperestensione (se patologica si parla di ginocchio recurvato).

La flessione è il movimento che avvicina la parte posteriore della gamba alla coscia e varia in base alla posizione dell’anca:

  • flessione attiva: si può eseguire una flessione di 140° se l’anca è flessa, 120° se l’anca è estesa e questo dipende dall’azione dei muscoli ischio-crurali;
  • flessione passiva: si può raggiungere la flessione di 160° passivamente portando il tallone al gluteo, questo è un buon test per vedere se ci sono limitazioni dell’apparato estensore come una detrazione del quadricipite o delle reazioni capsula dell’articolazione del ginocchio.

Movimenti ginocchio

Flettere il ginocchio con anca estesa o flessa cambia a causa dei muscoli biarticolari come il quadricipite e l’ileo-psoas.

La rotazione della gamba attorno al suo asse longitudinale può avvenire solo a ginocchio flesso (l’eminenza intercondiloidea si sblocca dalla fossa intercondiloidea), per misurare si pone il ginocchio convenzionalmente a 90°:

  • la rotazione interna è di 30° (secondo Fick) e da seduto si porta la punta del piede in dentro;
  • la rotazione esterna è di 40° (secondo Fick) e da seduto si porta la punta del piede in fuori;

con altri gradi di flessione del ginocchio i gradi cambiano.

Esiste anche una rotazione assiale automatica collegata ai movimenti di flesso-estensione, infatti al termine dell’estensione del ginocchio c’è una rotazione esterna (come tenete le punte dei piedi nella posizione di partenza dello squat?) e in flessione una rotazione interna (lo si vede quando ci sediamo sui talloni e le punte dei piedi vanno naturalmente in dentro).

Questa è la fisiologia, ma se gli equilibri si perdono si può andare incontro a dolore e patologie ovvero si può instaurare una gonalgia.

Definizione di Gonalgia

Gonalgia

Il dolore al ginocchio, tecnicamente la “gonalgia”, può essere causato da molteplici fattori, che vanno studiati in primo luogo con l’anamnesi (storia del paziente) e clinicamente (segni e sintomi).

Sono di fondamentale importanza l’età del paziente, la tempistica della sintomatologia (acuto, cronico, acuto in un quadro di dolore cronico) e il tipo di dolore (sede, intensità, episodico o continuo). In termini generali escluse le reumopatie infiammatorie, la gonalgia è dovuta ad una alterazione della normale biomeccanica delle due articolazioni (femoro-tibiale e femoro-rotulea) che compongono il ginocchio; tale alterazione provoca un segnale nocicettivo (dolore) che origina dall’osso sub-condrale o, solo in acuto, dalla lesione dei legamenti. Va ricordato che menischi e cartilagini non presentano terminazioni nervose, come ho scritto sopra, per cui il dolore scaturito dalla loro lesione è dovuto allo squilibrio che esse provocano su altre componenti strutturali; le lesioni croniche legamentose provocano gonalgia per le secondarie lesioni cartilaginee e/o meniscali provocate dall’instabilità. E’ molto frequente, ad esempio, trovare il menisco mediale lesionato in ginocchia con una lesione pregressa del legamento crociato anteriore, perché l’instabilità data dall’assenza del legamento crea dei micromovimenti che lesionano il medico mediale.

Capitolo a parte è la sindrome dolorosa rotulea dove non c’è evidenza clinica né strumentale di un alterato tracking femoro-rotuleo e la causa del dolore non è ancora stata ben definita se non per una quota di componente psico-somatica (colpisce soprattutto ragazze in età adolescenziale).

Patologia e sintomi al ginocchio

Manifestazioni cliniche dovute a lesioni acute o croniche di una o più delle strutture ossee, cartilaginee, meniscali e legamentose che caratterizzano le articolazioni del ginocchio (articolazione femoro-rotulea e femoro-tibiale):

• Artrosi mono-bi- o tri-compartimentale

• Lesione cartilaginea localizzata post-traumatica

• Lesioni osteo-necrotiche (morbo di König)

• Lesione meniscale (degenerativa-traumatica dell’adulto anziano o traumatica del giovane)

• Lesioni legamentose (legamento crociato anteriore, legamento crociato posteriore,

legamento collaterale mediale, legamento collaterale laterale)

• Instabilità rotulea oggettiva e potenziale

• Sindrome rotulea dolorosa

• Tendiniti (tendine rotuleo o quadricipitale o bendelletta ileo-tibiale o zampa d’oca)

• Osteocondrosi giovanile (morbo di Osgood-Schlatter)

Diagnosi

La diagnosi è anamnestico-clinica e strumentale: l’anamnesi e la clinica devono essere precise ed accurate per indirizzare verso un adeguato studio strumentale specialistico. Tradotto è importante rivolgersi ad uno specialista (medico chirurgo ortopedico specializzato in ginocchia) che con una visita approfondita saprà già ipotizzare una diagnosi e, se serve, prescrivere delle indagini strumentali adeguate.

Anamnesi

In primo luogo va considerata l’età del paziente, distinguendo pazienti anziani (>60 aa), adulti (40- 60 aa), giovani (20-40) e bambini-adolescenti (<20 aa).

In secondo luogo si prende in considerazione dove c’è il dolore (mediale, laterale, anteriore, posteriore) e come è insorto (acuto, lento e progressivo, con o senza relazione ad un evento traumatico, aumentato da quali attività, episodiche o continue); vanno anche valutate le eventuali instabilità.

Esame obiettivo

Il quadro anamnestico propone già una ipotesi diagnostica alla quale riferirsi nella valutazione clinica che deve sempre essere eseguita in modo completo:

• analisi della cammino (libera, zoppia)

• analisi del morfotipo: se è varo o valgo (cioè se ci sono delle modificazioni dell’asse dell’arto inferiore)

• temperature del ginocchio (fresco, caldo)

• ballottamento rotuleo

• escursione articolare (R.O.M.)

• punti algici alla digitopressione

• stabilità legamentose

• test specifici (Lachman, Jerk, McMurray, Appley)

• eventuali deficit periferici (sensitivi, motori, vascolari)

Esami strumentali

Esistono due ordini di accertamenti strumentali e sono quelli standard, da eseguire SEMPRE, e quelli specialistici, da richiedere caso per caso.

Accertamenti standard

• RX in proiezione antero-posteriore sempre in carico

• RX in proiezione latero-laterale (non in carico) a 30° di flessione a “profilo stretto” (cioè a condili femorali esattamente sovrapposti)

• RX assiali bilaterali di rotule (non in carico) a ginocchia flesse a 30° (proiezione “Merchant”)

Accertamenti specialistici

• RX arti inferiori “in toto” sotto carico (per “in toto” si intende con visualizzazione nitida della testa femorale e della caviglia)

• Risonanza magnetica nucleare (RMN)

• TAC

Terapia al ginocchio

La terapia delle patologie del ginocchio può essere conservativa (cure mediche, di terapia fisica strumentale, riabilitativa, infiltrazioni, tutorizzazioni) o chirurgica a seconda del tipo di patologia e delle richieste funzionali del paziente.

Percorsi diagnostico-terapeutici consigliati

Come detto la diagnosi è sempre anamnestico-clinica e strumentale standard, validata da opportuni esami strumentali.

  • Gonartrosi femoro-tibiale interna ed esterna in pazienti >65 aa

Accertamenti: Rx arti inferiori in toto in carico

Terapia conservativa: calo ponderale (quasi sempre necessario), ghiaccio, FANS per brevi periodi, scarico assoluto o relativo (due stampelle) nelle fasi algiche acute, moderata attività fisica isometrica ed in scarico.

Terapia chirurgica: sostituzione protesica totale se la terapia conservativa è inefficace

  • Lesioni meniscali:

Accertamenti: RMN

Terapia conservativa: ghiaccio, FANS 5-6 gg, immobilizzazione con tutore e scarico assoluto per 15 gg

Terapia chirurgica: meniscectomia selettiva in artroscopia.

  • Lesioni legamenti crociati:

legamento crociato anteriore (LCA)

Accertamenti: RMN

Terapia conservativa in acuto: ghiaccio, FANS 5-6 gg, immobilizzazione con tutore

Terapia chirurgica (va sempre ricostruito in pazienti <50 aa, possibilmente entro 1 aa dalla lesione): ricostruzione artroscopica con trapianto autologo (gracile e semitendinioso quadruplicati, tendine rotuleo).

  • Legamento crociato posteriore

Accertamenti: RMN

Terapia conservativa in acuto: ghiaccio, FANS 5-6 gg, immobilizzazione con tutore in estensione completa

Terapia chirurgica: ricostruzione con trapianto autologo o eterologo in artroscopia.

  • Lesioni legamenti collaterali:

legamento collaterale mediale

Accertamenti: essenzialmente clinico, RMN

Terapia conservativa in acuto (entro 48h dal trauma): ginocchiera a 20 gradi di flessione per 10 gg, in scarico assoluto, poi tutore per ulteriori 10 gg (in scarico se dolore) con ginnastica attiva e passiva in scarico, FANS per 4-5 gg

Terapia chirurgica (solo nelle instabilità croniche mediali di III grado): ritensionamento prossimale; plastica mediale con semitendinoso

  • Lesioni cartilaginee

Accertamenti: RMN; Artroscopia diagnostica

Terapia conservativa: ghiaccio, FANS 5-6 gg, infiltrazioni intra-articolari;

Terapia chirurgica: artroscopia per riportare le superfici più congrue possibili ed eventualmente aiutare la rivascolarizzazzione.

  • Sindrome dolorosa rotulea

Accertamenti: TAC

Terapia: solo ed esclusivamente conservativa: fisiokinesiterapia.

  • Instabilità rotulea

Accertamenti: TAC

Terapia conservativa: protocollo riabilitativo di terapia a lungo termine, FANS e ghiaccio al bisogno; in caso di lussazione acuta, tutore gessato in estensione per 20 gg, poi 15 gg in tutore flesso a 20° e articolarità passiva (poi riabilitazione come sopra). Terapia chirurgica: in caso di insuccesso del trattamento conservativo, correzione chirurgica del più possibile dei fattori primari di instabilità (lateral release, trasposizione della tuberosità tibiale anteriore, plastica mediale prossimale).

  • Tendinopatie

tendine rotuleo (“jumper’s knee”) e tendine quadricipitale

Accertamenti: essenzialmente clinico

Terapia conservativa: in acuto, tutorizzazione per 10-15 gg in scarico assoluto, FANS o cortisonici per per 5-10 gg, ghiaccio.

  • Osteocondrosi della tuberosità tibiale anteriore (morbo do Osgood-Schlatter)

Accertamenti: essenzialmente clinico e Rx grafico standard in latero-laterale

Terapia conservativa: in acuto, tutorizzazione per 10-15 gg in scarico assoluto, FANS per 5-10 gg, ghiaccio.

Dopo questa lunga lista di patologie e trattamenti ci tengo a precisare che la PREVENZIONE è sempre la cura migliore. Ricordo che le cartilagini e i menischi non hanno recettori sensoriali, quindi quando iniziamo a sentire dolore potremmo già avere delle lesioni.

Se il ginocchio inizia a farti male la prima cosa da fare è sempre fare un passo indietro (non letteralmente), diminuire i carichi e controllare tutte le esecuzioni degli esercizi che lo coinvolgono.

Squat e ginocchio

Quando hai controllato la corretta esecuzione degli esercizi facendoli davanti allo specchio o, ancora meglio, filmandoti e rivedendoti, se sei sicuro di mantenere i corretti angoli articolari, se usi le regole del buon senso che negli allenamenti sono: riscaldarsi, eseguire gli esercizi solo in condizioni fisiche ottimali e concentrati e mai dimenticarsi dello streching finale e hai male al ginocchio…

….allora fermati, vai dal medico specialista ed eventualmente esegui le indagini strumentali adeguate, gli allenamenti devono tirare fuori il meglio di noi stessi, non devono mai portarci a dolori (doms a parte). Senza allarmarti cerca di capire quando hai male, in che posizioni e se ci sono delle attività che aumentano il dolore (come fare le scale, stare molte ore in macchina ecc…). Più preciso sarai nella descrizione del problema e più facilmente il medico specialista saprà indirizzarti. Riposo e ghiaccio sono sempre consigliati.

L’articolo Il Ginocchio: legamenti, biomeccanica e test è della Dottoressa Elisabetta Toniolo
Fisioterapista trimamma con la passione per il movimento
Mail: elisabetton@gmail

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Ormoni, macronutrienti e calorie

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Ti ricordi quando da bambino ti chiedevano se pesa di più un kg di piume o un kg di ferro? Quando si è piccoli, se non si conosce la risposta, è quasi impossibile azzeccarla, le piume sono troppo più leggere del ferro. Ok, ora che siamo grandi rispondiamo a questa domanda: fa ingrassare di più un eccesso di 1000kcal di grassi o 1000kcal di carboidrati o proteine?
In questo articolo risponderemo a questa domanda e scopriremo che la risposta non è affatto banale.

Oggi parlare di calorie è poco di moda, siamo passati da una impostazione dove per dimagrire dovevi  semplicemente creare un deficit calorico, ad una visione dove non contano le calorie ma solo le molecole. Dove l’interazione genica (nutrigenomica) degli alimenti prevale sul mero bilancio calorico. Purtroppo (o per fortuna) nessuno di queste due visioni è corretta, perché sono false e vere nello stesso tempo. L’essere umano per comprendere i fenomeni tende a semplificarli, quindi sposiamo sempre una corrente di pensiero escludendo l’altra. Questo succede perché tutto diventa più semplice e risparmiamo energie mentali. Per fortuna la fisiologia e la biochimica non ragionano così.

La composizione corporea è governata dagli ormoni ma gli ormoni sono governati dalle calorie.

L’insulina

L'insulina

Tutti sappiamo che l’insulina è un ormone anticatabolico ed anabolico. Ingrassiamo perché abbiamo eccessi d’insulina. Ma sarà vero? La risposta è in realtà NI, l’insulina aiuta anche a dimagrire ma di questo ne parleremo in un altro articolo. Ora facciamo finta che ingrassiamo perché l’insulina si alza.

Cosa succede quando impostiamo un regime ipocalorico? Che l’energia nelle cellule scende, i mitocondri non sono più saturi di ATP, non producono più citrato. L’organismo, i tessuti, la cellula hanno un deficit energetico, da questo stato le reazioni che scaturiscono portano sulla superficie cellulare i recettori Glut-4 con un processo insulino indipendente. La nostra insulino resistenza cala, mentre la sensibilità insulinica è migliorata. Tutto questo avviene grazie all’AMPK generato da un semplice deficit calorico.

L’inghippo qual è? Che questo processo non è selettivo sui tessuti. Traduciamo possiamo dimagrire anche semplicemente mangiando zucchero puro, purché il nostro introito calorico sai negativo. Il problema è che TUTTI i tessuti verranno coinvolti e a soffrire sarà principalmente il tessuto contrattile. Il turnover proteico non avrà più ricambi, perderemo peso sia dal tessuto grasso ma soprattutto dal muscolo.

L’attività fisica ed una buona quota proteica, in un regime ipocalorico, invece, aiutano a preservare la massa magra e indirizzano il catabolismo a discapito prevalentemente dell’adipocita. Per approfondire leggi come impostare una dieta per dimagrire.

La Leptina

Leptina

Ormai la leptina è diventata un ormone molto popolare, questa citochina è uno dei mastri regolatori del nostro metabolismo, quando scende il metabolismo cala, quando sale invece si alza. Come con l’insulina un suo costante eccesso porta ad una resistenza recettoriale, pertanto gli obesi pur avendola alta non possono godere dei suoi benefici.

Quando la cellula segnala un deficit energetico indovinate cosa succede alla leptina? Cala. Sembra banale eppure c’è chi sostiene ancora che le calorie non contano… Potete mangiare quello che volete ma se l’organismo nel medio lungo-periodo non mantiene il suo equilibrio energetico la leptina scende sempre. D’altronde se non fosse così ci saremmo già estinti…
La leptina regola anche gli ormoni tiroidei e gonadici, per cui il vostro benamato testosterone dopo mesi di deficit calorico sarà alto o basso? Possiamo mangiare tutti gli acidi grassi saturi che vogliamo ma in una dieta ipocalorica, nel tempo, il testosterone ne risente sempre.

La soluzione per limitare tutto questo qual è? Impostando una dieta dimagrante dove i carboidrati non siano sacrificati. I livelli di glicogeno epatico ed il metabolismo glucidico adipocitario hanno un’influenza diretta sulla produzione di leptina. Per tenerla attiva quindi regolarmente dobbiamo mangiare carboidrati e dedicare intere giornate a vere e proprie ricariche glucidiche. In questo modo possiamo mantenere una dieta ipocalorica per mesi, senza vedere il nostro metabolismo dopo 3-5 settimane, sprofondare per terra e bloccare il dimagrimento. Leggi per approfondire l’articolo su come accelerare il metabolismo.

Le proteine

Le proteine

Fino adesso abbiamo parlato di ormoni ma proviamo a vedere cosa succede se prendiamo in considerazione i macronutrienti. I detrattori della teoria che una caloria è una caloria citano sempre l’azione dinamica specifica (ASD) delle proteine. Tutti gli alimenti per essere digeriti ed assimilati richiedono una spesa energetica , in una dieta bilanciata si fa una media del 10% del nostro dispendio giornaliero. Le proteine rispetto agli altri macronutrienti hanno una ASD del 20-30%. Quindi teoricamente 100kcal di carboidrati non hanno lo stesso impatti di 100kcal di protidi.

Ora facciamo finta di fare una dieta a Zona (40-30-30) e di raggiungere il nostro bilancio calorico. Decidiamo d’aumentare la nostra quota proteica, sforando il nostri equilibrio energetico di 500kcal. Cosa pensate che succederà? Abbiamo tutti i giorni degli esempi in palestra. Durante il periodo di massa chi eccede con le proteine, oltre il proprio fabbisogno, semplicemente ingrassa di più. E’ vero che la conversione dei protidi in glucosio e successivamente di quest’ultimo in acidi grassi è un processo metabolicamente molto costoso, tant’è che l’organismo preferisce disperdere in calore piuttosto che convertire. Tuttavia se l’eccesso calorico è costante nel tempo si ingrassa senza scelta, anche se l’aumento calorico è dato da più proteine. Per approfondire leggi l’articolo: Le proteine fanno ingrassare?

Bomba calirometrica ed il metabolismo umano

Bomba calorimetrica

Visto che abbiamo appena parlato dei protidi proviamo a rispondere anche a questa domanda: un grammo di proteine quante calorie sono? 4kcal
Sbagliato, sono 5,65kcal. Noi ne assorbiamo solo 4kcal perché gran parte dell’azoto non è metabolizzato e per essere espulso si lega ad atomi d’idrogeno formando l’urea. Perdiamo così parte del contenuto calorico dei protidi che da 5,65kcal passano a 4kcal.

Questo è un chiaro esempio che il nostro metabolismo non può essere equiparato ad una bomba calorimetrica: una macchina che brucia letteralmente gli alimenti per sapere quante calorie contengono.

Un altro classico esempio è quello della fibra o della cellulosa. Chimicamente parliamo sempre di polimeri di glucosio esattamente come l’amido , tuttavia la loro forma chimica non permette agli enzimi la corretta idrolisi dei legami ß-glicosidici.

Pertanto è vero che l’uomo non è una macchina metabolica e che il conteggio calorico che facciamo non è mai esatto ma sempre approssimativo. Tuttavia questo non esclude il concetto di caloria e di equilibrio energetico. Leggi anche: una caloria è una caloria?

Cosa dobbiamo portarci a casa

calorie ed ormoni

La nostra composizione corporea è il risultato di 1000 fattori noti e non; calorie, ormoni, sono solo alcuni di questi macrofattori. Non possiamo esimerci dal dire conta solo questo o solo quello, perché nel lungo periodo è la somma dei fattori a fare la differenza.

Ma soprattutto il nostro stato metabolico è frutto di un equilibrio dinamico che si è costruito nel tempo. Se oggi pur assumendo poche calorie non riusciamo a dimagrire è perché nei mesi o anni passati abbiamo sicuramente sbagliato qualcosa. Per questo conoscere è potere!

Se non vuoi essere schiavo delle diete e vuoi diventare padrone dei concetti, scopri il nostro libro Project Nutrition

Project Nutrition

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Kaatsu Training: cos’è e funziona veramente?

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Avete mai visto qualcuno in palestra mettersi dei lacci emostatici al braccio prima di fare un curl bicipiti? No? Nel magico mondo del Bodybuilding esiste anche questo. Si chiama Kaatsu Training o  Blood Flow Restriction training. E’ una metodologia che da un paio di anni sta facendo parlare molto (è di moda) e che presenta degli interessanti spunti nonchè modalità applicative. Prima di giudicarla conosciamola meglio.

Kaastu training bodybuilding

Origini del Kaatsu Training

L’inventore del Kaatsu Training fu lo studente giapponese Yoshiaki Sato che ideò il metodo nell’ambito di una serie di studi sull’allenamento in carenza di ossigeno (che vedremo essere un punto caratteristico della metodologia) da applicare in campo aerospaziale. Questa metodologia venne presto recepita in ambito sportivo e sostenuta in particolare dal fisiologo Masahiko Tanaka.

occlusion kaatsu bicipiti

Come Funziona il Blood Flow Restriction training?

Il concetto del BFR è molto semplice: andare ad occludere le vene grazie ad un laccio (tendenzialmente utilizzando dei knee wraps) in modo da impedire il ritorno venoso e portare ad un accumulo di sangue nel muscolo. Ovviamente si tratta di una metodologia utilizzata da molto tempo anche solo per il semplice fatto che permetteva quell’“insane pump!”. E’ una metodologia che si applica tendenzialmente agli arti, ma portebbe a mio avviso avere delle potenzialità indirette anche per altri muscoli e vedremo come.

Chiariamo però fin da subito una cosa: il BFR non è l’occlusion training. O meglio si, viene chiamato così, ma non andiamo ad occludere il flusso sanguigno come molti pensano quanto piuttosto si blocca il solo ritorno venoso lasciando comunque libero il flusso arterioso (in parole semplici il sangue deve arrivare e non andarsene).

Come si esegue il Kaatsu Training?

Per eseguire il Kaastu Training , si deve avvolgere la parte superiore del muscolo target – parte superiore del vostro bicipite o superiore coscia – con un laccio, ve ne sono di appositi ma si possono utilizzare anche gli knee wraps (e diciamolo, fanno più fico). Si fanno diversi giri e si fa passare l’estremità sotto l’ultimo giro. Insomma si trovano diversi “tutorial” in rete ma credo sia una cosa piuttosto intuitiva.

Il vero problema è quanto stringere, nel senso che logicamente ci si trova fin da subito davanti alla difficoltà di dover stringere abbastanza da occludere le vene ma non troppo in modo da non incidere sul flusso arterioso.

C’è solo da provare, in generale è difficile riusciate  ad ostruire davvero l’arteria, dovreste stringere come dannati, ad ogni modo i sintomi di un ridotto flusso arterioso sono solitamente: intorpidimento dell’arto, sensazione di freschezza, difficoltà di contrazione e movimento muscolare (di cui non vi accorgerete perchè scambiere il tutto per affaticamento e lattato), diminuzione delle pulsazioni (ve ne accorgerete anche meno), dolore muscolare, colore pallido. In poche parole non dovete sentire formicolii o interpidimenti vari, nel caso avete stretto troppo. Nel dubbio è meglio meno che di più

Allenamento kaatstu training

Benefici del Blood Flow Restriction training

Il Blood Flow Restriction training vuole agire grazie a tre principali vie:

  1. Si tratta di un allenamento in ipossia, ossia in scarsa presenza di ossigeno. Questa metodologia di allenamento causa un forte stress metabolico che porta ad un miglioramento della risposta ipertrofica.
  2. Un altro meccanismo di azione è dato sempre dalla carenza di ossigeno. Vi è un’altra importante conseguenza da tenere in considerazione, ossia il fatto che si forza un metabolismo di tipo anaerobico indipendentemente dal carico utilizzato, dunque ci sarà un intervento prevalente delle fibre muscolari IIb anche a carichi relativamente bassi.
  3. Terzo meccanismo di azione (ma direttamente collegato al primo) è la forte produzione di lattato che deriva da tale contesto. La produzione di lattato ha un forte impatto sul profilo ormonale (la cui influenza sull’ipertrofia è stata però ormai ridimensionata) ma soprattutto ci porta sempre al discorso di un aumento dello stress metabolico (l’influenza di questo la vedremo tra poco).
Quale allenamento farci?

Il  Kaastu Training è una metodologia che funziona necessariamente a bassi carichi, difatti, lo vedrete provandola, il recupero ritarda molto ad arrivare, il lattato viene smaltito più lentamente, dunque carichi alti vengono mantenuti difficilmente, e sono in verità inutili (si veda sopra).

Le ripetizioni dovrebbero essere tenute quindi relativamente alte, una tecnica che funziona molto bene è il diminishing set, o anche stripping o rest pause, in serie portate quindi ad esaurimento completo. E’ in sostanza una metodologia da utilizzare in esercizi e serie “all out”. Nel natural bodybuilding va programmato all’interno di periodi specifici nella periodizzazione.

Quali gruppi muscolari per il Kaastu Training?

Come scrivevo sopra è una metodologia che si applica per lo più per allenare gli arti. Questo è sensato, in quanto è proprio sugli arti che si può riuscire nel ridurre il ritorno venoso. Però questo non vuol dire che con questa tecnica si possano allenare solo gli arti. C’è una potenzialità difatti anche nell’utilizzazione di tale metodologia per allenare altri gruppi come il petto e il dorso.Una delle problematiche che si riscontra di solito è quello di non riuscirli ad isolare, per esempio del rematore si ha un itervento più o meno “prepotente” del bicipite, nelle distensioni su panca o nel pushdown a braccia tese del tricipite. Si propose a questo fine la tecnica del preaffaticamento di un gruppo sinergico a quello bersaglio. Ebbene utilizzare il BFR sugli arti superiori va ad intervenire nelle stesse modalità. Si faccia l’esempio delle Distensioni su panca con manubri, avremo un rapido affaticamento degli arti che porterà ad un intervento sempre più isolato del gran pettorale. Ovviamente questo ha un senso anche per allenare gli arti, questa volta però non con esercizi di isolamento. Così, per esempio, nella panca piana presa stretta, i tricipiti arriveranno prima al cedimento senza che il petto subisca un eccessivo affaticamento (teoria alla base del preaffaticamento del gruppo muscolare bersaglio). Insomma il BFR si presta a molto di più di quel che sembra, come mi piace pensare, si tratta di principi più che di tecniche, sta a noi farle diventare tali in base alle necessita e soprattutto alla fantasia.

Chi non deve eseguire l’occlusione training?

Questa metodica d’allenamento pone un forte stress sulle vene e le relative valvole. Persone soggette a varicose o con familiarità dovrebbero evitarlo. A tutti gli alti consigliamo un approccio graduale, molto soggetti potrebbero essere latenti e subire effetti negativi se lo stress venoso è troppo elevato.

Davvero utile il Kaastu Training?

A mio avviso si. Le evidenze circa i benefici di un allenamento in ipossia ci sono [1]. Di nuovo torniamo al discorso dello stress metabolico. Il punto è che si è vista, in generale, una buona risposta sia in metodologie a carichi bassi (endurance muscolare) sia in altre a carichi alti (forza), insomma il “range dell’ipertrofia muscolare” è ormai cosa superata (è però, a mio avviso, quello che porta indirettamente i migliori benefici, ma caso mai se ne parlerà in un altro articolo). Questo per dire cosa? Che lo stress o allenamento metabolico anche gioca il suo bel ruolo (qui un articolo molto completo di Schoenfeld al riguardo [2]). Il punto è sempre lo stesso. Periodizzare. Non credo debba essere utilizzata permanentemente come metodologia, ma va alternata ad allenamento in normossia (i.e. più tradizionali) tenendo ben presente che l’ipossia viene raggiunta anche con molte tecniche di intensità, si pensi ad uno stripping all out seguito da un flex between sets di 20’’, ipossia bella e buona. Quindi il discorso da portare a casa è sempre lo stesso, RELATIVAMENTE e NON ASSOLUTAMENTE efficace. Mix it up!

[1] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4195285/
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21266734

[2] http://www.lookgreatnaked.com/articles/potential_mechanisms_for_%20a_role_of_metabolic_stress_in_hypertrophic_adaptations_to_resistance_training.pdf

NOTE SULL’AUTORE
L’articolo:  Kaatsu Training: cos’è e funziona veramente? è di  Ludovico Lemme
Personal Trainer certificato ISSA e studente SaNIS (scuola di nutrizione e integrazione sportiva). Segue diversi atleti, sia dal vivo che online nel campo del Bodybuilding e del fitness in generale. Nel 2015 avvia il progetto Rhinocoaching con il quale si propone di creare una piattaforma di riferimento per i suoi atleti e per gli appassionati in generale.
Contatti: rhinocoachingofficial@gmail.com
Pagina FB: https://www.facebook.com/ludovicolemmemygrowth/
Sito Web: www.rhinocoaching.it

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Trazioni: alternativa alle zavorre

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Arriva sempre, prima o poi, con il giusto e corretto allenamento, il momento in cui le normali trazioni diventano facili e cerchiamo qualcosa in più per aumentare la difficoltà dei nostri allenamenti, cambiando esercizio o aggiungendo, quando abbiamo la possibilità, alle trazioni la zavorra.

Nel natural bodybuilding questo processo avviene sempre spontaneamente quando siamo in grado di eseguire un certo numero di ripetizioni con un determinato carico. Lo gestiamo, lo controlliamo così passiamo a pesi più “impegnativi”.

Cosa succede nel corpo libero quando non abbiamo la possibilità d’aggiungere la zavorra? Siamo destinati a concentrarci esclusivamente sull’aumentare il numero delle ripetizioni? La risposta è NO.

Esistono tantissimi metodi per incrementare la difficoltà delle trazioni e condizionare in maniera superiore i muscoli di tirata, in particolar modo il gran dorsale.

I diversi piani di tirata

Immaginiamo di dividere i vari movimenti di tirata in 3 diversi piani:

– VERTICALE: Questi tipi di movimenti prevedono che il corpo si muova restando perpendicolare al suolo, in una posizione quindi verticale. Esempio classico sono le trazioni alla sbarra.

– ORIZZONTALE, a differenza del piano verticale, qui il corpo è posto in una posizione orizzontale, ovvero parallela al suolo. Esempio classico sono i body rows o australian pullup.

– MULTIPIANO in questo tipo di movimenti c’è sia una componente orizzontale sia una componente verticale di tirata. Sono esercizi complessi per via della loro elevata richiesta di attivazione muscolare e neurale. Esempio classico il bilancino nella ginnastica.

Per ogni piano verranno illustrati 2 o 3 esercizi in ordine di di coltà. Dal più semplice al più difficile.

Tirata verticale

Per quanto riguarda la tirata verticale, una valida alternativa è già stata descritta nell’articolo: trazioni con l’asciugamano. Tuttavia, in questo articolo verranno descritte e illustrate altre varianti! Per procedere verso gli step più difficili delle trazioni sul piano verticale utilizzeremo due metodi, il primo sarà quello di cambiare il nostro baricentro, portando le gambe in squadra. Il secondo sarà quello di allargare la presa sull’attrezzo. Lo step finale sarà unire le due cose dando vita ad un esercizio molto interessante.

1) L-Sit Pullups 

Questo tipo di esercizio prevede di portare le gambe a squadra, mantenendole sempre in tale posizione, eseguire una trazione completa. Non è un esercizio semplice per tre motivi:

  1. Una scarsa mobilità dei muscoli ischiocrurali e lombari non ci consentirà di tenere con comodità la posizione di L-sit.
  2. Una scarsa mobilità dei cingolo scapolo–omerale sposterà il baricentro troppo indietro, andando quindi troppo lontano dalla sbarra.
  3. Una scarsa forza nell’addome non ci consentirà di mantenere le gambe a squadra.

Prima di affrontare il movimento in L-sit completa quindi dovremo superare diversi esercizi di preparazione, sia di allungamento passivo del gran dorsale e dei muscoli ischio-crurali, sia di rafforzo del core. Tali esercizi ovviamente dovranno eseguirli quelli che non riescono ad effettuare le trazioni in squadra. Chi possiede una buona mobilità e forza nell’addome e riesce ad eseguire le trazioni in squadra può allenarle direttamente, il mio consiglio è di essere autocritici e oggettivi a valutarvi, ad esempio se le gambe restano piegate, lavorate sulla mobilità. Ricordatevi che quasi tese non significa tese, ma piegate.

ALLUNGAMENTO PASSIVO DEL GRAN DORSALE ALLA SPALLIERA E A TERRA

Stretching schiena

Nella versione a terra, posizionatevi in posizione raccolta, seduti sui talloni (glutei ben a contatto con i talloni). A questo punto allungate le mani avanti mantenendo le braccia dritte, poi spostatele di lato, cercando di mantenere sempre talloni a contatto coi glutei e le braccia tese che cercano immaginariamente un punto davanti a voi. Lasciate le spalle rilassate e cercate di percepire l’allungamento dei dorsali. Ripetete su entrambi i lati per almeno 10 respiri.

Stretching dorsale

Nella versione alla spalliera ci posizioneremo perpendicolari alla spalliera (di lato). Afferreremo un piolo in alto, metteremo il piede (opposto al braccio posto sul piolo) su un altro piolo, la mano che resta sotto afferrerà comodamente il piolo che ritenete più comodo, il piede che rimane sospeso immagineremo di doverlo spingere verso il basso, lasceremo così ”scivolare” la spalla posta sopra verso il basso entrando in uno stretching profondo del gran dorsale.

ALLUNGAMENTO DEI MUSCOLI ISCHIO-CRURALI

Stretching ischiocrurali

Pike a terra: posizionarsi seduti a terra con le gambe distese di fronte a voi, flettere il busto verso i piedi. In questo esercizio è consigliato tenere la schiena tesa per favorire l’allungamento del bicipite femorale ed il petto va tenuto aperto, quindi ”all’infuori”. Piegatevi in avanti mantenendo questo assetto posturale, l’obbiettivo finale è quello di superare la linea dei piedi con i polsi. Successivamente, toccare le ginocchia con il petto.

Errori comuni: curvare la schiena, non mantenere il petto aperto, piegare le gambe.
Allenare questo esercizio con 2/4 serie da 15 respiri.

Stretching bicipite femorale

Chiusura gamba-busto su rialzo: il secondo esercizio che vediamo è molto più intenso del primo, a patto che lo si esegua con tecnica corretta: posizionare una gamba su un supporto di altezza variabile (l’ideale è che arrivi ad altezza del bacino) tenendo il piede dietro, quello in appoggio, puntato verso l’avanti o al massimo girato di 45°. Mantenendo la schiena tesa e il petto aperto, flettersi in avanti spingendo la schiena e il tronco verso il ginocchio.

Errori comuni: curvare la schiena, non mantenere il petto aperto, piegare la gamba tesa.
Allenare questo esercizio: 2/4 serie da 15/20 respiri.

Molte altre posizioni sono efficaci per l’allungamento dei muscoli ischio-crurali, ma non è scopo di questo articolo illustrarle una ad una, altrimenti perderemmo il filo del discorso! Le due illustrate sono semplici, e efficaci e non richiedono nessun tipo di attrezzatura!

RINFORZO DEL CORE

Nell’articolo ”addominali ed assetto posturale della ginnastica” è stato trattato il rinforzo dei muscoli del core. Ovviamente tali esercizi sono fondamentali per ottenere un addome forte e pronto a questo tipo di lavoro. L’esercizio che tratteremo ora è la posizione di squadra in sospensione con presa prona. Afferriamo la sbarra in presa prona, solleviamo le gambe mantenendole distese, punte tirate a livello con il bacino ed eseguiamo una contrazione isometrica. L’obbiettivo è arrivare a 5 serie da 30” (Se non riuscite a stare in posizione di squadra in sospensione, continuate con il lavoro di stretching sui bicipiti femorali, dorsali e lavoro base di rinforzo dell’addome).

Gambe in squadra

FINALMENTE, POSSO INIZIARE?

Una volta che saremo in grado di tenere una buona squadra ed eseguire correttamente le trazioni in L-sit, il nostro obbiettivo sarà arrivare a completare 5 serie da 5/6 ripetizioni con 1′- 1,30′ di recupero tra le serie.

NOTA BENE: Inizialmente eseguiremo le trazioni in squadra con la presa supina (palmi rivolti verso di noi); quando completerete lo step 5×6, potrete allenare quelle presa prona. Le seconde sono notevolmente più difficili per via da una posizione di svantaggio assunta in parte dal gran dorsale ed in altra parte dal bicipite bracchiale. In particolar modo chi è particolarmente rigido nella catena di tirata sentirà di dover eseguire uno ”sblocco” all’inizio del movimento. Tale sblocco altro non è che un active hang con le gambe in squadra. State davvero molto attenti a questo passaggio, eseguitelo piano e con estremo controllo, soprattutto nella fase di discesa. Farsi male in questo caso in assenza di tecnica e controllo è davvero facile.

Trazione in squadra

2) Trazioni a presa larga

In questo caso renderemo le trazioni più difficili per via di una presa più larga. Dove è la difficoltà in questo caso? L’omero non dovrà estendersi sul piano sagittale, ma dovrà addursi su quello frontale, trovandosi esattamente sotto la sbarra e non davanti. Così facendo avremo una maggior attivazione di muscoli come il piccolo rotondo e il grande rotondo della cuffia dei rotatori ed una maggiore attivazione degli adduttori della scapola. Il bicipite potrà esercitare meno forza lasciando quindi il lavoro agli altri muscoli protagonisti di questo movimento.

La presa, per essere considerata sufficientemente larga dovrà essere circa 2.5 volte la larghezza delle spalle. Quando eseguiremo il movimento, dovremo concentrarci sul cercare di non andare dietro con le spalle ma stare il più possibile sotto la sbarra, tirando verticalmente.

Anche in questo caso, se non godiamo di una buona mobilità dorsale l’esercizio sarà svolto in maniera scorretta.

Trazione larga

3) Trazioni a presa larga in squadra

Uniamo i due esercizi prima illustrati ed ecco quello finale. Trazioni a presa larga in squadra. Questo esercizio è un vero e proprio metro valutativo di mobilità e forza della parte superiore ed inferiore del corpo:
– L’omero, trovandosi idealmente (con una buon mobilità) sotto la sbarra, si addurrà sul piano frontale (adduzione laterale al posto di frontale). Questa adduzione  stimolerà muscoli della cuffia dei rotatori come il piccolo e grande rotondo sottoponendoli a un ottimo condizionamento.

– La presa larga porterà ad una minor attivazione del muscolo bicipite, sottoponendo gli altri muscoli protagonisti del movimento ad una maggior attivazione.
– La posizione di squadra sarà un metro valutativo di forza addominale in compressione e di lunghezza dei muscoli ischio-crurali.

Questo è uno degli esercizi più difficili (a due braccia) di tirata verticale.

Trazione in squadra completa

Tirata orizzontale

Per la tirata orizzontale inizieremo con un esercizio molto semplice per poi passare ad un esercizio in sospensione ed uno monobraccio.

1) Body rows

I rows, comunemente noti con i nomi di Australian pullup, Body rows o trazioni orizzontali, sono un esercizio di tirata orizzontale. Si possono eseguire sia agli anelli che alla sbarra e in base all’altezza del supporto cambieremo la difficoltà dell’esercizio. Più il supporto è basso più l’esercizio sarà difficile e viceversa. L’esercizio può essere reso più semplice anche dalla variazione dell’inclinazione del nostro corpo. Meno saremo ”sotto” gli anelli, quindi più lontani, più l’esercizio sarà semplice.

I rows si eseguono partendo con i piedi appoggiati a terra e il corpo teso, braccia completamente tese in lockout. Le scapole sono inizialmente protratte. L’omero inizierà ad addursi sul piano sagittale, quindi frontalmente (movimento reso possibile prevalentemente dal muscolo gran dorsale). Il braccio si fletterà portando all’attivazione dei muscoli flessori dell’avambraccio (bicipite, brachioradiale, principalmente). In parole povere tiriamo il supporto verso di noi fino a toccare il petto con il supporto o le spalle con gli anelli. Durante questo movimento le scapole passeranno da protrazione a retrazione attivando i muscoli adduttori delle scapole (trapezio, romboidi).

Abbiamo dunque visto che i rows possono essere variati mediante:

  • Altezza del supporto
  • Inclinazione del nostro corpo

L’esercizio potrà essere reso più difficile posizionando un supporto sotto i nostri piedi.

Un buon risultato in questo esercizio per passare alle versioni successive è quello di completare 5 serie da 15 ripetizioni con 1-1,30′ di recupero tra le serie.

Body rows

2) One arm rows

L’esercizio di row (o rematore) a una mano rispetta tutti i concetti finora esposti per i rows, con l’unica differenza che viene eseguito ad un solo braccio. Quindi sappiamo già come renderlo più semplice o difficile.
Non è affatto un esercizio banale, anzi è molto più difficile di un classico row.

Partiremo dalla variante più semplice, ovvero eseguendo questo esercizio quasi in piedi, successivamente varieremo l’inclinazione del busto fino ad arrivare con le gambe tese quasi parallele al terreno.
In questo caso, essendo un esercizio per chi mira prevalentemente alla costruzione della forza, l’obiettivo sarà quello di completare 5 serie da 5 ripetizioni di ogni variante e passare alla successiva (variando l’inclinazione del corpo, quindi portando i piedi più avanti) rendendo l’esercizio più difficile.

Trazione orizzontale ad un braccio

3) Front lever pulls

Questo esercizio è strettamente collegato con il front lever. Quindi non è accessibile a chi non sappia già padroneggiare questa skill. Per eseguire movimenti dinamici in una posizione isometrica è necessario prima padroneggiare la versione isometrica.

L’esercizio di trazione in front lever attiva tantissimo il muscolo gran dorsale facendogli svolgere un’estensione frontale dell’omero. I muscoli retrattori come romboidi e trapezio saranno ugualmente ingaggiati per mantenere le scapole retroattive e addurle durante la trazione. A questo si unisce la tenuta del core che dovrà essere salda.

Partiamo in una posizione di front lever (che potrà essere tuck, advanced tuck, straddle, one leg o come vogliamo noi, l’importante è dominare la versione isometrica!). Braccia in lockout e corpo parallelo al suolo. Iniziamo l’estensione dell’omero cercando di portare il supporto verso il bacino, completiamo il movimento e torniamo nella posizione iniziale. Inizialmente noterete che il ROM (Range Of Motion) sarà ridotto. L’obbiettivo è quello di cercare di massimizzarlo, ovvero portare il bacino a diretto contatto con il supporto (nel caso di una sbarra) o allo stesso livello (nel caso di anelli).

trazione orizzontale

COME ALLENARE IL MOVIMENTO: In questo caso non posso dare una progressione che funzioni sicuramente, in quanto questo movimento è molto influenzato dalle versioni isometriche dello stesso. Dovremo quindi essere bravi nelle versioni isometriche per padroneggiare quelle dinamiche. Fino agli advanced tuck front lever pullups la progressione è abbastanza facile, mentre per quelli successivi le cose si complicano e di molto. Non potendo scendere nello specifico per non andare fuori tema, anche qui la progressione che consiglio è quella di completare 5 serie da 5 ripetizioni FULL ROM, ovvero portando il bacino allo stesso livello con il supporto.

Le trazioni in front lever completo sono l’esercizio più difficile di tirata orizzontale a due braccia.

Tirata multipiano

Qui inizia il vero e proprio divertimento e si vedrà quanto tempo un atleta ha speso sul:

  • Condizionamento del core
  • Progressioni precedenti
  • Rinforzo a corpo libero dei muscoli di tirata

Questi movimenti sono complessi, da un punto di vista fisico ma anche coordinativo.

1) Giro addominale (Pullover)

Capovolta alla sbarra

Il primo movimento che vediamo è principalmente introduttivo all’altro. Serve a insegnare al corpo a come muoversi su due diversi piani di tirata, inizialmente uno verticale, poi orizzontale.
L’esercizio si eseguirà eseguendo una trazione alla sbarra. Dalla posizione di sospensione a braccia flesse con il mento sopra la sbarra, si spingeranno i piedi in avanti – alto, cercando di portarli sopra la sbarra. Una volta raggiunta la sbarra con i piedi, si trazionerà con le braccia cercando di portare il bacino sopra la sbarra e le gambe dietro. Spingendo le gambe in basso, eseguiremo una rotazione sul bacino ritrovandoci in una posizione di supporto a braccia flesse, a questo punto ci basterà spingere fino a trovarci a braccia tese. Da qui invertiremo il movimento tornando ad una posizione di sospensione con mento sopra la sbarra, e scenderemo dalla trazione.

Ora, non è facile descrivere a parole un movimento che sembra molto complesso, quindi con una foto e un video rappresentativo cercheremo di risolvere tale inconveniente.

Questo esercizio va allenato fino a completare 5 serie da 5 ripetizioni con 1-2′ di recupero.
Il fattore limitante sarà la paura di eseguire una giranvolta, per questo consiglio, se lo fate da soli in palestra o nella vostra home gym, di farvi assistere da una persona esperta, di eseguirlo con sotto un bel materasso e in totale sicurezza. Va evidenziato che tale step non è obbligatorio per apprendere quello successivo, ma è introduttivo al movimento che verrà successivamente. Quindi se non avete sufficiente attrezzatura e non ve la sentite di eseguire tale movimento, potrete saltarlo passando al successivo.

2) Ice cream maker (o Front lever pulls)

L’ice cream maker è l’esercizio che più rappresenta il movimento di tirata multipiano. Esso combina una trazione, un row ed una isometria tutto in un unico esercizio. Per eseguirlo effettueremo una trazione alla sbarra fino ad arrivare con il mento sopra la sbarra e braccia completamente flesse. Da questa posizione, mantenendo il corpo perfettamente teso dalle spalle alle punte dei piedi (in posizione di hollow) stenderemo le braccia lentamente fino a posizionarci in una posizione momentanea di front lever, con le braccia in lock out (gomiti in blocco articolare) e il corpo parallelo al suolo. Da questa posizione invertiremo il movimento: fletteremo le braccia e mantenendo il corpo teso torneremo con il mento sopra la sbarra, in questa fase la difficoltà sarà quella di eseguire il movimento in maniera controllata, senza oscillazioni o perdere la posizione tesa del corpo.
Un movimento del genere è in grado di reclutare tutti muscoli di tirata della parte superiore del corpo: Il gran dorsale verrà sollecitato per l’estensione frontale, la cuffia dei rotatori si dovrà dimostrare sufficientemente flessibile per permettere il range di movimento, i muscoli retrattori delle scapole quali romboide (minore e maggiore) e trapezio saranno coinvolti in tutto il movimento per stabilizzare le scapole. Il muscolo bicipite e brachioradiale saranno i principali attori nella flessione del gomito, che sarà resa più difficile per via del baricentro posto avanti a noi. Ovviamente, non dimentichiamoci del core che sarà il vero protagonista del movimento e che consentirà al nostro corpo di stare in posizione perfettamente tesa!

Questo esercizio può essere reso più semplice eseguendolo con le gambe raccolte oppure divaricate.

Anche qui, essendo questo esercizio prevalentemente di forza, l’obbiettivo sarà completare 5 serie da 5 ripetizioni con 1-2′ di riposo. Una volta che diventeremo bravi potremo aggiungere delle cavigliere e riniziare la progressione fino a completare di nuovo il 5×5.

Trazione multipiano

Come organizzare un piano di lavoro

Ora che conosciamo i vari piani di tirata e i relativi esercizi, possiamo inserirli in un contesto di allenamento. Il mio consiglio è quello di variare tra i vari piani in modo tale da costruire un corpo bilanciato e dare più varietà alla routine.
Se nel vostro allenamento rientrano già propedeutiche alle skill isometriche calisteniche, allora qui va fatto un discorso leggermente diverso. Tuttavia, se intendete inserire questi esercizi nella vostra normale routine come alternativa ad esercizi con i pesi o semplicemente per aumentare la difficoltà di quelli a corpo libero, inserirete 2 esercizi ad allenamento, 1 per ogni piano. In questa maniera, ad esempio:

  • GIORNO A: TIRATA VERTICALE, TIRATA ORIZZONTALE
  • GIORNO B: TIRATA ORIZZONTALE, TIRATA VERTICALE (nulla vi impedisce di fare sempre prima tirata verticale e dopo tirata orizzontale. Dipende dall’intensità dell’esercizio che andrete ad allenare. Allenate sempre prima l’esercizio che vi riesce più difficile e in cui volete concentrarvi maggiormente).

Gli esercizi di tirata multipiano non sono stati inseriti volutamente, in quanto rappresentano un livello di forza più avanzato. Quando vi sarete condizionati in maniera sufficiente con gli esercizi precedenti (cioè avrete completato gli step descritti, che vi daranno una forza sufficiente ad affrrontare gli esercizi multipiano) e avrete una buona dimestichezza con la hollow position, allora inserirete gli esercizi di tirata multipiano. Anche in questo caso non consiglio di superare i 2/3 esercizi di tirata a seduta allenante. Rifacendomi all’esempio di prima:

  • GIORNO A: TIRATA MULTIPIANO, TIRATA ORIZZONTALE
  • GIORNO B: TIRATA ORIZZONTALE, TIRATA VERTICALE
  • GIORNO C: TIRATA MULTIPIANO, TIRATA VERTICALE
    Tali split rimangono un esempio che può essere tranquillamente variato.
Bilanciati, sempre e comunque!

Mantenere un fisico bilanciato e una tonicità dei muscoli extrarotatori è sempre una cosa importantissima per prevenire infortuni e fastidi articolari. Per questo ci rifacciamo ad esercizi come:

Per mantenere una cuffia dei rotatori bilanciata e flessibile e per rafforzare i muscoli extrarotatori dell’omero e retrattori delle scapole.

Ultime considerazioni e consigli pratici

Dopo questo lungo viaggio nel mondo della tirata, ricordiamo che avere un core solido è fondamentale per esprimere i massimi livelli di forza in tutti gli esercizi che sono stati elencati finora. Per questo è importantissimo aver imparato e sapere padroneggiare la posizione di hollow e gli esercizi base di rafforzo del core

Prendetevi il tempo che vi serve per imparare gli esercizi finora descritti, divertitevi durante i vostri allenamenti e procedete a piccoli passi, scoprirete che saranno proprio questi piccoli passi a farvi scalare montagne.

A presto, Elia

Note su Elia Bartolini
Sono un ragazzo di 22 anni che si allena da anni nella ginnastica e nel corpo libero. Credo in un allenamento graduale, sensato e sicuro, volto alla riscoperta delle vere potenzialità e movimenti del corpo umano. Amo muovermi, scoprire movimenti nuovi e allenare la forza del mio corpo. Seguo un discreto numero di atleti. Allenarmi ed allenare sono due costanti nella mia vita.
Elia segue diverse persone nella zona di PESARO – Tavullia – Cattolica e dintorni ma anche ONLINE
Mail: barto.elia@gmail.com
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Cosa è il MovNat

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MovNat (Movimento Naturale), è una disciplina che sviluppa una serie di abilità innate (primordiali) quali correre, saltare, arrampicarsi, sollevare e lanciare oggetti, difendersi, interagire con l’ambiente.. migliorando forza, coordinazione e adattabilità ad ogni circostanza.

Cos'è il Movnat

Viene fondato da Erwan Le Corre ufficialmente nel 2008, ispiratosi alla methode naturelle francese usata da pompieri e militari per essere più efficienti e d’aiuto. Il motto di MovNat difatti è: “Be strong to be helpful”.

Il programma d’allenamento prevede una serie di movimenti funzionali alle azioni quotidiane, allenati in palestra con massima gradualità a scopo preventivo, e grazie anche a modalità d’apprendimento ludiche e divertenti, occasionalmente può essere messo in pratica all’aperto. Pertanto il corso si presenta estremamente versatile, soddisfacendo le esigenze di tutte le categorie di praticanti, da chi vuole tenersi in forma partendo da zero, sino a tutti quegli atleti che desiderino sviluppare le proprie skills sottoponendosi a nuovi stimoli. Più genericamente possiamo dire che MovNat si pone come obiettivo principale il ritrovamento di schemi motori che ci caratterizzano come specie animale, andati perduti in età adulta, nonché il raggiungimento di uno stato di benessere a 360°.

Da cosa è composta una lezione di MovNat

Lezione MovNat

  • Riscaldamento: La base su cui costruire un allenamento.
  1. Stability: E’ la parte riservata ai drills propriocettivi, dalle respirazioni e stratagemmi per attivare il sistema nervoso alle posizioni isometriche e di equilibrio. Per qualunque disciplina è fondamentale avere una struttura stabile, e avere consapevolezza di come si distribuisce il proprio peso, come si imposta il corretto allineamento e come si attivano i muscoli strutturali. Un corpo stabile richiede un equilibrio tra le lunghezze di muscoli agonisti e antagonisti e tra le tensioni che sono capaci di generare.
  2. Mobility: Dopo aver educato la postura, si enfatizza la mobilizzazione articolare con movimenti fluidi, in modo da lubrificare le articolazioni prevenendo infortuni ed allo stesso tempo acquisire i principali schemi motori grezzi necessari per una disciplina dinamica come il MovNat. Un corpo mobile richiede la capacità di muovere le articolazioni nel massimo range possibile fisiologico e di mantenere una tensione costante in tal movimento.
  3. Soft cardio: Da movimenti lenti e continui si passa ad azioni più rapide per attivare il sistema cardio-vascolare, riscaldare il corpo e preparare la muscolatura a gesti più esplosivi.
  4. Forza rapida: A questo punto si passa ad una serie di esercizi soft preparatori per la forza rapida, ovvero la capacità di compiere gesti esplosivi, reattivi ed elastici, fondamentali nel MovNat per compiere salti precisi e senza sforzo, per combattere, per essere capaci di ammortizzare l’impatto di una caduta e così via. Un corpo capace di compiere gesti rapidi richiede delle ottime basi di stabilità e mobilità, allineamento e coordinazione, nonché un allenamento della forza estremamente progressivo.
  • Skills e potenziamento: Lo scheletro dell’allenamento.
  1. Prima fase: Si studiano tecnicamente una o due skills, a cosa servono, quali sono le potenziali applicazioni, come vanno effettuate per essere efficaci e quali sono le progressioni e regressioni necessarie per svilupparle.
  2. Seconda fase: Si lavora su esercizi di condizionamento specifico per le skills svolte, atti a potenziare il gesto atletico. Essendoci nel MovNat skills che impegnano l’utilizzo di tutto il corpo, ne consegue che anche il conditioning sarà programmato per sviluppare tutta la muscolatura, rispettando l’equilibrio posturale (salvo disfunzioni personali) che intercorre tra agonisti ed antagonisti e sviluppando in media sia fibre muscolari rosse che fibre bianche. A seconda dell’obiettivo questa fase può passare da allenamenti di forza massimali ed esplosivi ad allenamenti di resistenza al gesto stesso, a circuiti metabolici utilissimi per una preparazione generica e condensata di base. Questi circuiti talvolta possono essere combinati con la fase successiva descritta.
  • Fase ludica\Percorso: Il cuore del MovNat.A questo punto viene svolto un percorso a circuito occasionalmente combinato con il conditioning, o     un gioco a squadre differenti ad ogni lezione. Lo scopo è combinare e fissare le abilità sino ad ora acquisite in modo divertente e stimolante. Questa fase è fondamentale per simulare tutte le potenziali applicazioni del MovNat nella quotidianità in modo da trovarsi pronti in qualunque situazione, ad esempio rendere una semplice corsa all’aperto più variegata, preservare la salute durante lavori manuali o, per gli amanti del trekking e delle gite campestri, sapersi destreggiare nella natura, e per tante altre applicazioni.
  • Defaticamento e stretchingUltima fase di una lezione di MovNat è il defaticamento attraverso le tecniche di respirazione per disattivare e distendere il sistema nervoso dopo aver lavorato con intensità,e attraverso l’allungamento muscolare e i massaggi, per vascolarizzare e dunque rinforzare meglio il corpo, oltre che  detensionarlo.

Tecniche del MovNat

Movnat-Workshop

Le principali abilità sviluppate si possono a mio avviso racchiudere in 4 grandi categorie: Flow, Spostamenti, Sollevamenti e Combattimento.

  • I Flow sono combinazioni di posizioni il cui principale scopo è quello di esplorare il corpo in tutte le sue possibilità, da semplici drills propriocettivi alle skills acrobatiche, di forza a corpo libero e di allungamento. Vi sono molte affinità con lo yoga e il calisthenics.
  • Gli spostamenti sono tutte le tecniche necessarie per muoversi in un certo ambiente in maniera semplice ed efficace.
  • I Sollevamenti sono le tecniche per prendere un carico in modo fisiologico, ad esempio il deadlift o stacco, ed eventualmente trasportarlo (combinandosi con le tecniche di spostamento) o lanciarlo.
  • Il Combattimento prevede l’allenamento dei riflessi e del condizionamento fisico, nonchè lo studio del grappling in piedi e poi a terra, dello sparring con braccia e gambe e quanto necessario per potersi difendere e/o eventualmente scappare da una aggressione
  1. Corsa
  2. Salti (broad jump, depth jump, swing jump..)
  3. Volteggi (superare ostacoli in modo efficiente: tripod vault, side vault..)
  4. Arrampicata (front swing traverse, power traverse, side swing traverse, hook traverse)
  5. Sollevamento pesi (dead lift, push press..)
  6. Lancio e trasporto di oggetti
  7. Spostamenti tattici (feet-hand crawl, inverted crawl, duck crawl, rolling..)
  8. Camminata in equilibrio
  9. Nuoto
  10. Combattimento
Benefici del MovNat

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– Stimola l’ipertrofia funzionale attraverso il conditioning. Ne conseguono anche i benefici estetici di un maggiore tono muscolare, una riduzione del tessuto adiposo (perdita di grasso visibile grazie alla richiesta sempre più alta dei muscoli di bruciare calorie) e di un corpo sciolto e disteso.

– Varia sempre gli esercizi offrendo molti input al sistema nervoso, fondamentale per tenere giovane la mente e stimolare lo sviluppo muscolare.

– Sviluppa capacità motorie perse con l’avanzare dell’età. Da non sottovalutare il beneficio di sentirsi più giovani e dinamici.

– Porta enfasi sui lavori di mobilità articolare, necessaria per ottimizzare l’incremento della forza nel massimo range di movimento possibile, e per prevenire traumi articolari.

– Non richiede particolari macchinari ed è praticabile ovunque e con attrezzi semplici. È importantissimo tenere in considerazione che alcune macchine di palestra sono nate a scopo riabilitativo ed essendo vincolanti ad un movimento guidato sono accessorie e non necessarie. Fino a pochi decenni fa non erano neanche contemplate. Va ricordato che allenarsi significa rendere comode delle situazioni scomode e non viceversa (vedere i danni che provoca lo stare seduti su sedie e divani a lungo ed in generale la sedentarietà). L’essere umano è fatto e progettato per muoversi.

– Il programma è graduale, incentrandosi sulla propriocettività e sulla prevenzione dagli infortuni, aspetto sottovalutato in fin troppe discipline.

– Può essere applicato tenendo in considerazione il discorso posturale. Va ricordato tuttavia che affidarsi ad uno specialista è sempre l’investimento migliore per la salute.

– Attraverso la componente ludica è stimolante e adatto a tutti e i benefici psicologici che ne derivano sono molteplici in particolare per l’autostima e per il divertimento, nonché ottimi antidepressivi. Il gioco di gruppo offre anche il vantaggio, specie per i praticanti più giovani, di sviluppare una sana competitività e lavoro di squadra.

Conclusioni sul MovNat

MovNat

Il Movimento Naturale dunque è una disciplina che può sviluppare su più livelli i praticanti, ed offre una crescita omogenea a 360°. Ogni specializzazione nel campo dell’allenamento porta a delle conseguenze, dei deficit da altre parti, e se considerassimo un individuo come una grande catena, perché essa sia solida e mobile andrebbero rinforzati gli anelli deboli e non gli altri. Tuttavia specializzarsi ha come pregio lo sviluppo immediato di certe abilità e qualità, senza considerare che una lezione di gruppo non può sostituire una lezione personalizzata alle esigenze del singolo individuo. Va anche aggiunto che progredire in più abilità contemporaneamente porta ad una crescita non solo omogenea, ma anche più lenta, aspetto che a discapito delle apparenze risulta essere un vantaggio, offrendo tempo all’organismo di adattarsi ai cambiamenti e assestamenti ottenuti, consentendo così un transfer ottimale di ciò che si è acquisito nella vita di tutti i giorni.

Sono due possibili strade, focalizzarsi sul proprio obiettivo o focalizzarsi sul proprio benessere. A voi la scelta.

L’articolo: Cos’è il MovNat è di Silvano Semisa,
Istruttore di Bari certificato di MovNat
Mail: semisawellness@gmail.com
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Gara Natural Bodybuilding: il percorso di Fran (Ironmanager)

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Mi chiamo Fran (a.k.a. IronManager) e sono un Lifetime Drug-free Bodybuilder (Bodybuilder Natural dalla nascita), vivo a Londra da 10 anni, dove lavoro per una grande multinazionale come Strategy & Innovation Manager.

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Il nickname Iron-Manager nasce 5 anni fa con il corrispettivo canale YouTube (ironmanager82) dal desiderio di dimostrare a tutti coloro che sostengono di non avere tempo per un po’ di sana attività fisica che tutto è possibile con la giusta pianificazione, passione e forza di volontà.

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Nel corso degli ultimi 17 anni di percorso nella Cultura Fisica ho conseguito diversi successi ed insuccessi, commesso tanti errori ed imparato da questi per continuare a migliorare il mio percorso e stile di vita. Chi mi segue da un po’ di tempo molto probabilmente conoscerà già la mia Body Transformation da Tortello a Torello :) . Dopo alcuni anni di powerbodybuilding, nel Febbraio del 2010 decisi di provare a prepararmi per la prima volta ad una gara di Natural Bodybuilding. Ricordo ancora che guardando le foto degli atleti in gara nelle edizioni precedenti, ero convinto che me la sarei cavata alla grande: mi sentivo grosso, forte, sicuro di me stesso… ero inesperto, quasi all’inizio del mio percorso e non sapevo ancora cosa volesse dire prepararsi per una gara, qual era la vera condizione da raggiungere per salire su un palco. Allora non avevo grandi punti di riferimento nel mio  piccolo paese della Bassa Modenese e non esisteva ancora Project Invictus! Seguivo alla lettera quello che si tramandava negli spogliatoi della palestra su tecniche di allenamento e protocolli alimentari…vivevo il bodybuilding come un pretesto per sentirmi grosso, diventare un Alpha Male (Maschio Dominante), il più forte fra i miei coetanei…la filosofia era quella del “magna e spigni” senza ritegno e senza controllo.

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Cosi’ da 101Kg nel Febbraio del 2010 arrivai a 80Kg in gara ad Ottobre dello stesso anno. 9 mesi regime alimentare ipocalorico, un vero e proprio parto! Ma al di là del mio risultato finale di miglioramento della composizione corporea, quei 9 mesi di Body-Building mi aiutarono a comprendere meglio come affrontare tanti altri aspetti della mia vita quotidiana, ad affrontare tutti gli altri miei impegni in modo nuovo, a conoscermi più a fondo, a mettere tutto sotto una nuova luce, più chiara ed obiettiva.

VIDEO PRIMI 2 ANNI DI BODY TRANSFORMATION 2010-2012 – DA TORTELLO A TORELLO

Cosi’ dal semplice desiderio di togliersi uno sfizio, il desiderio di provare almeno una volta nella vita a prepararsi per una gara di Bodybuilding, è nato in realtà un vero e proprio amore per la Cultura Fisica. Devo molto al Natural Bodybuilding e a quello che ha saputo trasmettermi negli ultimi anni… mi ha insegnato la disciplina, la determinazione, la costanza, la soddisfazione che scaturisce dal raggiungere i propri obiettivi attraverso il sacrificio e la perseveranza, l’umiltà, la modestia ed il rispetto del prossimo.

Da qui l’idea di aprire inizialmente il mio canale di YouTube (@ironmanager82) e poi tutti i miei canali social per condividere il mio percorso con altri appassionati cercando di aiutarli a non commettere tanti dei miei errori del passato (vedi i video Cosa direi al Giovane Fran per esempio). E’ stato forse questo un mio tentativo di “ripagare” la Cultura Fisica per quello che mi aveva insegnato e una forma moderna di “dedica d’amore” a questa disciplina e stile di vita.

Il mio canale YouTube rimane il mio Diario di Bordo, un archivio del mio percorso nella Cultura Fisica. Non ho mai cancellato nessuno dei miei vecchi video (tipo quello sui 1000 integratori che prendevo agli inizi! LOL!) perché’ mi piace tornare ogni tanto indietro a riascoltare quello che pensavo e credevo alcuni anni fa. La Cultura Fisica è un percorso di self- discovery (conoscenza di se stessi) e possiamo solo imparare dai nostri errori del passato. E’ fondamentale rimanere sempre di larghe vedute, mantenere uno spirito critico nei confronti di tutti e tutto e mai dar nulla per scontato o certo.

Mens Sana in Corpore Sano

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Nel corso degli anni ho imparato a vivere la Cultura Fisica come stile di vita, nella continua ricerca di un equilibrio salutare fra mente e corpo (Mens Sana in Corpore Sano).

Nel Natural Bodybuilding la Testa (mente) è davvero la componente più importante, quella che fa il 90% del lavoro. Se non siamo sicuri di quello che facciamo, manchiamo di autostima e siamo assaliti da continue paure faremo decisamente fatica a salire su un palco.

Il Natural Bodybuilding è fondato sulla pazienza, dedizione, costanza e resilienza. Questa è uno dei take-aways più importanti che ho appreso dal mio percorso di Cultura Fisica degli ultimi anni. Non si può sperare nei miracoli o prentendere di mettere sul proprio frame 5 Kg di muscolo in 12 mesi dopo i primi anni di allenamento. Rome wasn’t built in a Day e la differenza ancora una volta la fa il continuo ed inesorabile lavoro di anni ed anni di lavoro in palestra.

1923775_1634080123520124_8313087941916426791_n(foto con Francesco Pacelli)

2016 – Ritorno sul Palco 

Quest’anno, dopo 24 mesi di offseason,  ho deciso che tornerò sul palco di gara. Terrò qui su Project Invictus il mio Diario di Bordo per offrire updates regolari a chi fosse interessato a seguire la mia preparazione nei prossimi mesi.

Split Allenamento Marzo 2016

Questa sarà la suddivisione dei miei allenamenti nelle prossime settimane. Ho appena completato una “settimana di rodaggio” e presto pubblicherò in settimana i dettagli di ogni routine sul mio blog www.ironmanager.it

 In soldoni:

🔸Gli allenamenti sono strutturati secondo i principi che ho descritto nel mio ultimo programma per l’aumento della massa muscolare muscolare (Filetto) che potete scaricare direttamente sul blog. Anche questo sarà un programma in multifrequenza strutturato secondo una periodizzazione ondulata giornaliera dove ci sarà una sistematica variazione dello stimolo allenante durante l’arco settimanale al fine di migliorare e sviluppare 2 o più qualità muscolari dei muscoli target come ad esempio la forza, l’ipertrofia muscolare o la resistenza.

🔸Per mantenere un discreto livello di Intensità ad ogni sessione ho aumentato la Frequenza degli allenamenti durante la settimana. Breve Intenso ma…non proprio Infrequente…

🔸Ho previsto un discreto livello di Volume per tutti i vari distretti muscolari dando priorità come sempre ai gruppi più grandi, quelli che godono di più con un allenamento ad alto volume e ai gruppi carenti (nel mio caso il dorso). Quando si persegue l’obiettivo ipertrofico il volume di allenamento è direttamente proporzionale agli anni di esperienza e maturità muscolare (Eric Helms docet)…

🔸Visto la frequenza e il volume di allenamento per il momento mi limiterò ad un’unica sessione di cardio fatta in stile protocollo Stubborn Fat Loss 2.0 di Lyle McDonald o di circuito tarata o HIIT.

MONDAY (am) – Upper Back – Bench press – Shoulders
MONDAY (pm) – Rear Delts – Biceps – Triceps
TUESDAY – Upper Back – Squat – Quads – Hams – Abs
WEDNESDAY (am) – Upper Back – Bench press – Shoulders
WEDNESDAY (pm) –  Rear Delts – Biceps – Triceps
THURSDAY – Upper Back – Squat – Hams, Quads – Abs
FRIDAY – Upper Back – Lower Back – Chest – Shoulders
SATURDAY – OFF
SUNDAY – Rear Delts – Lower Back – Weight Cardio – Abs

WEEKLY VOLUME 1st Block

UPPER BACK (28 working sets) —> 32 —> 35 —> Deload
CHEST (15 working sets) —> 18 —> 20 —> Deload
SHOULDERS  (12 working sets) —> 14 —> 16 —> Deload
BICEPS (13 working sets) —> 15 —> 18 —> Deload
TRICEPS (12 working sets) —> 15 —> 18 —> Deload
LEGS (29 working sets) —> 32 —> 35 —> Deload
LOWER BACK (10 working sets) —> 15 —> 18 —> Deload

Alimentazione Marzo 2016

Per il momento non farò grosse modifiche alla dieta rispetto agli ultimi mesi. Introito calorico costante intorno alle 3500-4000Kcal con scarico di carboidrati una tantum in base a sensazioni ed effetto visivo (i.e. pienezza muscolare, ritenzione, vascolarizzazione, etc)… Per il momento infatti ho scelto di aumentare l’OUTPUT (aumentando il volume e frequenza degli allenamenti) piuttosto che sacrificare subito l’INPUT calorico dalla dieta.

Playlist A Day of Full-Eating:

Proteine: 160g al giorno (circa 2g x Kg di massa magra)
Grassi: 40-50g al giorno
Carboidrati: 600-700g

Integrazione Marzo 2016

Anche l’integrazione sarà essenziale nei prossimi mesi con:

Creatina: 5g al giorno tutte le mattine (www.ironmanager.it/creatina)
K-Rala: 300mg + 300mg mattina e sera
Vitamina D3: 2500ui + 2500ui mattina e sera
Enzimi pancreatici: con i pasti più abbondanti
Magnesio: 540mg al giorno

————————

FIRMA

Blog e Schede Allenamento Palestra Gratis ► http://ironmanager.it

Nuova edizione del Programma Gratuito Filetto ► http://ironmanager.it/programma-per-lo-sviluppo-della-massa-muscolare/ 

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Gruppo Facebook (ITA) ► http://j.mp/GruppoIronManager

Instagram/Twitter ► @ironmanager82

I Miei Traguardi nel Bodybuilding 

Luglio 2014
NPA Midlands – 2nd Middleweight Class – qualified for the British Finals

Luglio 2014
UKBFF English Grand Prix

Ottobre 2012
Italians NBFI – 4th Middleweight Class LugLio 2012
NPA South West – 1st Novice Class – qualified for the British Finals

Giugno 2012
Italians AINBB – 3rd Middleweight Class
AINBB Perugia – 1st Mid-heavyweights Class

Maggio 2012
NPA Yorkshire – 3rd Novice Class – qualified for the British Finals
Musclemania North of Italy – 4th Heavyweights

Ottobre 2011
Italians NBFI – 4th Mid-heavyweights Class

Settembre 2011
NPA South East – 6th Novice Class

Ottobre 2010
Italians NBFI – 4th Middleweight Class

Decalogo-2

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Hip Thrust: tecnica ed accorgimenti

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Hip Thrust e coinvolgimento muscolare

Avete presente quando vi dicono che nello  squat  è a partire dal parallelo che lavorano di più i glutei? Cerchiamo di capire perché e come questo si relaziona con  uno degli esercizi per i glutei più famoso: l’Hip Thrust.

L’estensione d’anca (portare indietro la coscia) è data da due gruppi muscolari: il compartimento dei glutei e gli ischiocrurali (muscoli posteriori della coscia). Tutte e due cooperano per estendere il femore.
Estensori d'ancaNello squat tutte e due questi gruppi muscolari agiscono sinergicamente, ma mano a mano che l’esercizio si fa sempre più profondo, mentre il gluteo si allunga (potendo così generare più forza), gli ischiocrurali si accorciano (potendone generarne meno). Ecco perché lo squat profondo attiva di più i glutei del mezzo squat.

Rapporto femorali glutei

L’Hip Thrust è un ottimo allenamento per i glutei perché sfrutta proprio questo principio.  La flessione del ginocchio disattiva l’intervento degli ischiocrurali e fa si che l’estensione d’anca avvenga principalmente a carico del compartimento dei glutei.

Hip Thrust allenamento glutei

Errore da evitare nell’Hip Thrust

Quando si esegue l’Hip Thrust dobbiamo sempre evitare di coinvolgere il quadricipite. Avendo il ginocchio flesso più alziamo il sedere e più si distende. Questo movimento coinvolge anche gli estensori del ginocchio. Per questo la spinta nell’hip thrust non deve avvenire all’indietro ma sempre verso l’alto, come se ci fosse un filo che ci tira il bacino verso il soffitto. Se la panca dove siamo appoggiati scivola indietro, o all’opposto i piedi in avanti, allora stiamo coinvolgendo eccessivamente il quadricipite.

Hip Thrust e forze di taglio sul rachide

L’Hip Thrust è un ottimo esercizio per rassodare i glutei a patto che usiamo un alto carico, altrimenti il gluteo non si attiva correttamente (essendo il secondo muscolo più forte del nostro corpo). Per far questo dobbiamo caricare molti kg sul bilanciere. Questo purtroppo aumenta  le forza trasversali (di taglio) sul rachide. Per chi ha problemi alla schiena una variante interessante potrebbe essere quella di eseguire l’hip thrust monolaterale.

Hip Thrust monolaterale

Note sugli autori del video sull’Hip Thrust:

RICCARDO GRANDI Pontevico (BS) Mail: sustainablebodybuilding@gmail.com
Sito: http://www.sustainablebb.com
Classe 1969… Nato (culturisticamente parlando) all’età di 14 anni dove mi approccio alla palestra come preparazione atletica nel judo. Ma a 19 anni diventa la mia unica attività. A 21 anni iniziai ad insegnare come istruttore. Ho iniziato a preparare atleti agonisti all’età di 24 anni senza alcuna esperienza, ma con buoni risultati. Diventa il mio lavoro aprendo prima una palestra e poi un’altra. Come imprenditore del fitness perdo “la gioia” del lavoro di preparatore e per qualche anno esco dal mondo del BB. Nel 2011 rientro nel mondo del BB portando in gara 1 atleta… L’anno dopo fu ancora 1 più me stesso, poi 5, e via via sino ad oggi… Ora dirigo una squadra agonistica di 28 atleti TUTTI AGONISTI e soprattutto TUTTI DRUG FREE !!!! Altri 8 in preparazione per il 2017. Ho agonisti che partono dai 21 sino ai 69 anni. I miei atleti hanno vinto diversi titoli italiani e fatto gare internazionali. Il mio motto è CAMPIONI SI DIVENTA !!!

VIRGINIA MATISEEK (Milano) Professionista WNBF e vincitrice del titolo assoluto NBFI 2015
Atleta AIF (http://www.accademiaitalianaforza.it)

 

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