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MMA Intervista e tesi

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In questo articolo vi presenteremo l’intervista fatta a Macias uno dei maggiori preparatori atletici di MMA. All’intervista seguirà l’opportunità d’essere seguiti nella preparazione delle MMA per una tesi sperimentale, un’occasione da non perdere per chi vuole fare il salto di qualità in questo sport.

MMA intervista e tesi

Intervista con Chad Macias (preparatore di atleti UFC)

Ho conosciuto Chad negli anni scorsi in quanto entrambi partecipanti alle discussioni della International Society of Sport Nutrition. Il suo background é altamente teorico: é un fisiologo molecolare ed ora sta dedicando i propri studi anche all’oncologia. Al momento opera nella zona della California del Sud lavorando con atleti della UFC e del Bellator del calibro di Alexander Gustaffson, Phil Davies, Kelvin Gastelum, Luke Barnatt con il suo Institue for Human Kinetics.

Nell’articolo vi proporrò alcune delle parti salienti delle nostre discussioni.

L’intervista completa (in inglese) la potete trovare qui:

Ciao Chad.

Cosa pensi della vittoria di Kelvin Gastelum a Città del Messico (UFC 188) e puoi dirci in cosa consista l’allenamento in altitudine ed i suoi risvolti fisiologici come sul profilo dell’ EPO?

Sono stato molto felice per il risultato soprattutto perché l’evento si svolgeva a circa 2400m sopra il livello del mare e Kelvin combatteva contro un ex campione. Per quanto riguarda l’allenamento abbiamo usato la tenda ipossica che simula l’altitudine, questo perché un vero e proprio allenamento in altitudine potrebbe essere una cattiva scelta per la performance, ad esempio sulla VO2 max danneggiando alcune fibre con la soglia più alta.

I miei atleti stanno nella tenda per circa 8-10 ore al giorno minino, di solito mentre dormono, e questo aumenta la sintesi dell’EPO e l’ematocrito. Questo tipo di esercizio é combinato con la camera iperbarica e ci permette di avere risultati davvero significativi.

Che differenza c’è tra i tuoi protocolli ed altri che spesso si vedono correlati ad un ipotetico aumento  nella conta dei globuli rossi?

In realtà non c’è davvero altro modo per migliorare questo profilo se non come facciamo noi o con l’allenamento in altitudine vero e proprio. Ogni altro modo é solo una monetizzazione su dei concetti collegati all’allenamento in altitudine. La training mask ad esempio serve solo a rinforzare i muscoli diaframmatici. Non crea differenza in termini di pressione ed nemmeno in termini di percentuali di ossigeno, senza alterare queste due variabili non abbiamo nessun adattamento riscontrabile ( vedi legge di Henry). E’ solo un modo per rendere più faticoso l’allenamento. Potrebbe anche peggiorare la performance. L’altitude training é qualcosa che comunque facciamo a prescindere dalla finale elevazione del luogo del match, lo usiamo anche con atleti di football americano, con wrestler e con i corridori.

Parliamo ora di pliometria.

Certo, con pliometria si intendono esercizi che solitamente si eseguono con il solo carico del peso corporeo. Gli esercizi sono salti, balzi etc. Io di solito chiamo questo tipo di esercizio potenziamento mioelettrico che é più corretto. Non uso nessun metodo convenzionale nei miei protocolli. Alcuni esercizi sono quelli sull’esplosività con 130° di flessione, molti esercizi che coinvolgono movimenti laterali e flessioni profonde, questo perché mi piace l’idea di sviluppare muscoli che altrimenti sarebbero poco coinvolti in normali protocolli di allenamento.

Le tue sessioni di pliometria comunque non superano i 30′ o l’ora.

Esatto, sai, molti preparatori mischiano tutte le sessioni di allenamento in una sola ma non credo che una così copiosa varietà di stimoli al corpo umano sia la chiave per aumentare la performance se non quella nei circuiti. Io isolo i vari compartimenti. Gli atleti inoltre hanno 2-3 sessioni di allenamento al giorno ed hanno bisogno di essere riposati per ognuna di esse: non si tratta di massacrarli, il tempo di recupero dopo una sessione di potenziamento mioelettrico é simile a quello di una sessione di forza o sprint, ad un certo punto il sistema nervoso non sarà più in grado di supportare il tutto se viene stressato oltre il limite. Il fatto é che molti preparatori atletici non abbiano una conoscenza formale degli argomenti e ciò li porta a non essere aggiornati e sbagliare da questo punto di vista.

Quando invece abbiamo un atleta non professionista che deve per forza condensare le sessioni di allenamento come pensi sia il caso di comportarsi?

Una sessione di condizionamento fisico può coesistere con un lavoro di tipo tecnico perché non stressa eccessivamente il corpo. Molti atleti, soprattutto negli SDC, hanno la concezione che il risultato passi per forza per l’esaurimento e lo sfinimento. Questa é una concezione piuttosto sbagliata stando alle pubblicazioni presenti al momento. Provo sempre a far capire la cosa ai miei atleti.

Parliamo ora dei mesocicli in un training camp: c’è una linea netta di divisione tra loro oppure no?

In realtà no, coesistono. La parte aerobica così come quella dell’esplosività va sempre curata e ciò é davvero una sfida in relazione alle altre sessioni di allenamento per un atleta. Senza esperienza sarebbe difficile gestire tutto ciò, ci sono un sacco di variabili da tenere sotto controllo, la MMA penso siano lo sport più difficile con il quale mi sia mai confrontato.

Ci sono differenze tra protocolli per uomini e donne?

No. Sono uguali. Mi aspetto lo stesso da loro, alle volte le donne sono meglio degli uomini. Si dimenticano del fatto di avere dei limiti!

Ci sono differenze nei protocolli di taglio del peso tra uomini e donne?

No. Sono uguali se non per il fatto che il ciclo mestruale possa essere un problema per la ritenzione idrica. Tuttavia non amo che i miei atleti taglino molto peso, non amo la disidratazione, preferisco arrivino al peso gradualmente. Phil Davies alle volte non mangia soltanto la mattina nel peso per raggiungerlo. La disidratazione porta ad una progressiva perdita della performance, per questo é importante anche pensare a validi protocolli di reidratazione.

Uno dei tuoi atleti, Phil Davies, era campione NCAA prima che di MMA. Parlaci delle differenze tra i due mondi.

Nel wrestling così come nelle MMA il concetto di “spingere” resta inalterato. Sono piuttosto differenti come sport, c’è poco in comune. Un wrestler combatte molto e quindi é praticamente sempre in forma. Nelle MMA invece lo si fa più raramente e quindi i protocolli di allenamento sono diversi. Da tenere in considerazione poi che ci sia un giro di affari molto vasto nelle MMA, cosa non presente nel wrestling.

In uno dei video che hai pubblicato nella tua pagina , si vede Alexander  Gustaffson nuotare. Spiegaci l’uso nel nuoto nei tuoi protocolli di allenamento.

I miei protocolli consistono essenzialmente in sessioni di sprint, ma in un training camp di MMA ci sono un sacco di traumi ed acciacchi, il nuoto quindi é una valida alternativa agli sprint sollecitando meno la parte inferiore del corpo e le articolazioni.

Parlando dell’atleta medio che entra nella tua palestra: di cosa é più deficiente dal punto di vista della performance?

Ci sono davvero i più disparati profili, di solito iniziamo a studiare dei protocolli in base allo sport ed allo stato di forma di partenza.

Per ciò che riguarda la nutrizione la prima domanda é relativa ai BCAA: il loro uso é davvero limitato spesso al body building, possono però avere delle applicazione nelle MMA? Preferisci vengano assunti come supplemento a parte, come cibo ad alta qualità proteica, come proteine del siero del latte o come aminoacidi essenziali?

Trovo i BCAA siano importantissimi per la crescita muscolare, soprattutto dopo le sessioni ad hoc in palestra. Non sto dicendo che si debbano assumere i BCAA in maniera isolata e pura ma la fonte proteica deve contenerli, é inoltre importante anche il timing (Si riferisce ai protocolli sui professionisti. Ndr.) per attivare la cascata dell’ Tor. Le fonti naturali vanno sicuramente bene ma non hanno quella velocità di assimilazione tipica dei supplementi. Tutto dipende dall’atleta di cui si parla: ad un body builder professionista consiglierei i le whey ricche di BCAA e le cascine. Nelle MMA la supplementazione con BCAA non credo sia sufficiente per coprire i reali bisogni di un atleta.

Per ciò che riguarda la creatina invece?

La usiamo molto nei protocolli di reidratazione post weigh in e negli atleti che subiscono dei traumi cerebrali. E’ un ottimo supplemento che tutti dovrebbero utilizzare, mi riferisco alla forma monoidrata che ha diverse pubblicazioni che ne giustifichino l’efficacia. Molte delle altre forme non sono stabili nel torrente circolatorio quindi il costo elevato non é giustificato.

chad

Tesi Sperimentale: Strength & Conditioning e dieta nelle MMA

Matteo Conversi, laureando in SM presso l’università Statale di Milano realizzerà come coronamento del proprio percorso di studi una tesi volta allo studio delle dinamiche e dei protocolli relativi al condizionamento fisico nelle MMA, per far ciò si avvarrà dell’aiuto del dott. Matteo Capodaglio che supervisionerà lo studio dal punto di vista dei protocolli alimentari.

L’idea è quella di sviluppare un programma di allenamento per un atleta di MMA simulando un match. Tutto avrà inizio con una settimana di test, nella quale si evidenzieranno i bisogni del nostro atleta in relazione allo sport di riferimento. Partendo da quest’ultimi, struttureremo una programmazione della durata di dodici settimane, divisa principalmente in una parte legata allo sviluppo della forza ed una legata al conditioning.

Per quanto riguarda la programmazione della forza, utilizzeremo una metodologia che prevede uno stretto legame tra tecnica di esecuzione degli esercizi e il programma di allenamento stesso. Lavoreremo per massimizzare l’efficienza del SNC, cercando di migliorare le capacità coordinative dell’atleta, tanto quanto quelle condizionali. La convinzione é che la capacità di esprimere forza in maniera ottimale sia un’abilità e, in quanto tale, vada appresa attraverso un corretto percorso didattico. In quest’ottica, il programma inizierà con una prima fase legata allo sviluppo del controllo motorio, alla quale seguirà una seconda fase intensiva, caratterizzata da un aumento di intensità e di volume. Infine, termineremo con una fase di taper, per portare l’atleta nel miglior stato di forma possibile in vista del test finale. Verranno utilizzati i principali esercizi multi articolari (squat, panca e stacco), diverse loro varianti e svariati esercizi complementari.

In parallelo alleneremo la parte legata al conditioning, partendo da un lavoro generale di capacità aerobica, per arrivare ad utilizzare, verso il termine del nostro ciclo, circuiti specifici che rispetteranno sempre più i tempi e le modalità di un incontro di MMA pro (3x 5′). Il programma verrà svolto garantendo una logica continuità fra un lavoro aspecifico e uno specifico, sia per quanto riguarda i metodi, sia per i mezzi utilizzati.

L’obbiettivo ultimo sarà portare l’atleta nella miglior condizione fisica possibile al termine dei tre mesi di lavoro. Valuteremo lo stato di forma fisica tramite test di forza e resistenza aspecifica e specifica.

Parallelamente gli atleti coinvolti nello studio seguiranno un protocollo alimentare e di integrazione con lo scopo di simulare quello che nell’ambiente viene identificato come “taglio del peso”, atto a diminuire la percentuale di massa grassa a favore della magra.

Cerchiamo volontari con le seguenti caratteristiche:

-Disponibilità nell’ essere seguiti nell’allenamento una volta a settimana nella zona di Milano (la palestra é ancora da concordare)

-Conoscenza delle MMA, almeno un match dilettantistico

-Disponibilità a seguire un protocollo alimentare

-Nessun match in programma tra aprile e giugno

Articolo di Matteo Conversi

Per saperne di più vai su FB

Instagram: matt_capodaglio

L’autore

L’autore:

Matteo Capodaglio Pharm. D., é laureato all’università “La Sapienza” con una tesi sperimentali alla World Anti Doping Agency dove ha studiato il metabolismo di fase I dei cannabinoidi sintetici. Ora studia per la seconda laurea magistrale in Alimentazione e Nutrizione Umana presso la Statale di Milano ed é iscritto alla International Society of Sport Nutrition. L’interesse principale é quello dell’applicazione della scienza al campo sportivo, in particolare nelle MMA.

Insieme al dott. Andrea Fusi ha dato vita ad uno studio case report sul taglio del peso dove é stato analizzato uno di questi protocolli con parametri di performance, della composizione corporea ed esami ematici. E’ consulente della nutrizione e del taglio del peso di atleti come Mattia Schiavolin, Daniele Scatizzi, Alessandro Botti, Andrea Fusi ed Alessandro Borgonovo.Si divide tra Italia ed estero (California, Inghilterra, Irlanda) per cercare di evolvere le proprie conoscenze nell’ambito scientifico.

E’ membro del team Vivereinforma dove principalmente si occupa di nutrizione.

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Rottura del Legamento Crociato Anteriore: riabilitazione e ritorno allo sport

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Prima di trattare questo argomento, è doveroso ricordare come questo articolo abbia uno scopo esclusivamente divulgativo e non intenda in alcun modo sostituire il parere del medico o del personale sanitario. La riabilitazione dopo la rottura del legamento crociato anteriore va svolta unicamente dal fisioterapista, in accordo con le indicazioni del medico.

Le lesioni al Legamento Crociato Anteriore sono uno degli infortuni più frequenti nel mondo dello sport, basti pensare che, negli stati Uniti, se ne registrano dai 100.000 ai 200.000 ogni anno, e di queste il 65% è risolto tramite intervento chirurgico. Le modalità di intervento non rientrano nella competenza di questo articolo, per cui non le vedremo nel dettaglio, tuttavia possiamo dire che l’intervento chirurgico risulta indicato quando l’infortunato è un soggetto relativamente giovane e con esigenti richieste funzionali. Entra quindi in questo campo principalmente chi pratica sport, specialmente a livello agonistico. Un approccio di tipo conservativo, invece, è proposto a chi non ha particolari esigenze funzionali che richiedano una grande stabilità a livello del ginocchio. Attività ordinarie, lavori sedentari o cammino non richiedono un controllo tale da giustificare un intervento chirurgico, poiché la stabilità conferita dal LCA può essere vicariata da un buon controllo muscolare e dagli altri legamenti che stabilizzano il ginocchio.

Noi parleremo del trattamento conseguente alla chirurgia, tuttavia la tipologia di esercizi non varia moltissimo per quanto concerne l’approccio conservativo.
Rottura legamento crociato anteriore

Cenni anatomici del Legamento Crociato Anteriore

Il LCA (Legamento Crociato Anteriore) è probabilmente uno dei legamenti più conosciuti di tutto il corpo umano, in particolare esso è tristemente noto a causa della frequenza con la quale si lesiona.

Il LCA è uno stabilizzatore roto-traslazionale dell’articolazione femoro-tibiale. In particolare, esso è il principale freno alla traslazione in direzione postero-anteriore della tibia sul femore (svolge l’85% del freno totale in questa direzione), mentre in maniera secondaria limita la torsione della tibia, attorcigliandosi attorno al Legamento Crociato Posteriore (LCP).

Il LCA è un legamento intra-articolare ma extra-sinoviale. Origina dall’angolo postero-mediale dell’aspetto mediale del condilo laterale del femore, nella gola intercondiloidea. Dirigendosi in direzione inferiore, anteriore e mediale, è possibile distinguerlo in due fasci: il fascio anteromediale, più piccolo, e il fascio posterolaterale, più grande. Si inserisce sull’eminenza intercondiloidea della tibia, dove si fonde con il corno anteriore del menisco mediale.

Il legamento è composto di fibre collagene (soprattutto fibre collagene di tipo 1) e da una matrice di elastina, glicoproteinee glicosaminoglicani. È irrorato principalmente da rami provenienti dall’arteria genicolata mediale e dall’arteria genicolata laterale, mentre della sua innervazione (essenzialmente composta da recettori di tipo propriocettivo) si occupa un ramo del nervo tibiale.

Il meccanismo lesivo tipico, come intuibile dalle funzioni svolte dal legamento, è un trauma che porta la tibia in direzione postero-anteriore, ma sono molto comuni anche rotture causate tra traumi in varo e rotazione interna, oppure in valgo e rotazione esterna. Meno frequenti, ma talvolta osservabili, sono le rotture date da un trauma in iperestensione oppure da una brusca contrazione massimale del quadricipite, soprattutto partendo da una posizione in flessione marcata del ginocchio.

Riabilitazione preparatoria del Legamento Crociato Anteriore

Quando l’ortopedico ha concordato con il paziente di procedere alla ricostruzione del legamento tramite intervento chirurgico, si attua una fase di riabilitazione preparatoria, che dura in genere almeno un mese. In seguito ad una lesione del LCA, infatti, si riscontra un decremento della forza muscolare del quadricipide che si aggira tra il 15% e il 40%, a seconda dei casi. Obiettivo primario è quindi quello di arrivare in condizioni migliori possibili all’intervento, in modo da poter affrontare la fase riabilitativa seguente nel miglior modo, e massimizzare, quindi, le possibilità di recupero totale e di velocizzare il ritorno alle attività precedenti all’infortunio, possibilmente agli stessi livelli prestativi precedenti.

Immobilizzazione post-chirurgica

Quello che caratterizza le prime due settimane post-operatorie è senz’altro l’immobilizzazione del ginocchio tramite un tutore.

Tutore ginocchio

Ecco, questo è uno dei più grandi errori che sono fatti nel momento delle prescrizioni che seguono l’intervento. Nei decenni passati l’utilizzo di tutori post-chirurgici nelle ricostruzioni del LCA era molto sviluppato (in realtà essi sono utilizzati frequentemente anche adesso, nonostante le nuove evidenze scientifiche) per limitare o migliorare, secondo i diversi casi, il range di movimento, per tutelare il ginocchio verso gli stress in varo o valgo, o in generale per proteggere l’innesto legamentoso.

Nonostante il recupero del ROM sia di fondamentale importanza, poiché è stato evidenziato come circa il 24% dei soggetti operati presentano un deficit di più di 5° in estensione del ginocchio a 4 settimane  dall’intervento, è stato dimostrato come non sia utile porre il ginocchio in flessione tramite un tutore, oppure porlo in movimento passivo continuo tramite macchinari automatici. Diverse revisioni sistematiche hanno evidenziato come l’utilizzo di un’ortesi (cioè un tutore esterno di vario tipo) non abbia alcun beneficio nella guarigione del LCA, né riguardo alla riabilitazione o al ritorno allo sport. Anzi, è ormai verificato che più è il tempo nel quale il tutore è utilizzato, più lungo sarà il periodo di guarigione, a causa dei danni propriocettivi e alla forza muscolare causati dal suo utilizzo.

Riabilitazione precoce del Legamento Crociato Anteriore

Una delle critiche che spesso sono avanzate alle società sportive professionistiche è la velocità con la quale gli atleti ritornano all’attività sportiva in seguito ad un infortunio. Per la rottura del LCA, le linee guide impongono una tempistica che non scenda sotto i sei mesi dall’intervento chirurgico. A oggi, non ci sono abbastanza studi che analizzano l’efficacia o la pericolosità di un ridotto timing riabilitativo, e quelli che ci sono non sono di qualità sufficientemente elevata. Nonostante ciò, i tempi possono essere accelerati senza problemi per quanto concerne il precoce intervento riabilitativo. Beyonn et al. Hanno dimostrato con un trial clinico randomizzato a doppio cieco, e quindi a ridotto rischio di bias (livello di evidenza 1), come non vi siano differenze sostanziali tra una riabilitazione precoce e aggressiva rispetto a una più cauta e avanzata nel tempo, in termini di lassità legamentosa, soddisfazione del paziente, performance funzionale, e biomarkers del metabolismo della cartilagine articolare. Un altro studio ha dimostrato come un inizio degli esercizi di rinforzo muscolare dopo tre settimane dall’intervento, comparato con un’attesa di 12 settimane si sia dimostrato efficace nell’aumento della sezione trasversale dei muscoli quadricipite e grande gluteo di più del doppio nel gruppo che ha eseguito una riabilitazione precoce. Altri studi hanno dimostrato come un programma di esercizi in carico, a catena cinetica chiusa, svolti in un range di flessione del ginocchio tra gli 0° e i 90°, iniziati nell’immediato post-operatorio, non comporta alcun rischio per l’innesto legamentoso. Inoltre, iniziare esercizi di rinforzo in eccentrica per i quadricipiti e in isocinetica per gli ischiocrurali già tre settimane dopo l’intervento, migliora e accelera il recupero della forza muscolare.

Controllo neuromotorio

Un’altra questione di fondamentale importanza riguarda l’esercizio di tipo propriocettivo. Sono stati valutati diversi tipi di esercizio, tra cui lavori riguardanti l’equilibrio statico, dinamico e disturbato da perturbazioni esterne, oltre che stimolazioni sensoriali di tipo vibratorio dell’arto inferiore. È stato dimostrato in svariati studi come gli esercizi di tipo neuromuscolare assumano un valore chiave nel recupero da questo tipo d’infortuni. Non solo: una corretta preparazione neuromuscolare sta alla base della prevenzione delle lesioni del LCA, come del resto un’adeguata forza muscolare dell’intero comparto muscolare dell’arto inferiore. Non va mai dimenticato, infatti, che un corretto controllo dell’articolazione del ginocchio non può prescindere da un buon controllo a livello dell’articolazione coxo-femorale (e quindi di tutta la muscolatura glutea), della tibio-tarsica e del rachide lombare. Per il rinforzo muscolare rimandiamo all’articolo: Legamento crociato anteriore: il ritorno in palestra 

NOTE SULL’ AUTORE
L’articolo Rottura del Legamento Crociato Anteriore è di Federico Brunelli, laureando di fisioterapia presso l’Università degli studi di Milano. Appassionato per lo sport, la biologia e l’alimentazione.
Mail: federico.brunelli.vr@gmail.com

Bibliografia Rottura del Legamento Crociato Anteriore
  1. Adams, D. Longerstedt, A. Hunter-Giordano, M.J. Axe L. Sneyder-Mackler, Current Concepts for Anterior Cruciate Ligament Reconstruction: A Criterion–Based Rehabilitation Progression, J Orthop Sports Phys Ther. 2012; 42(7): 601–614.
  2. Revenas A, Johansson A, Leppert J. A randomized study of two physiotherapeutic approaches after knee ligament reconstruction. Adv Physiother. 2009;11:30-41
  3. Beynnon BD, Uh BS, Johnson RJ, Abate JA, Nichols CE, Fleming BC, Poole AR, Roos H.Rehabilitation after anterior cruciate ligament reconstruction: a prospective, randomized, double-blind comparison of programs administered over 2 different time intervals. Am J Sports Med. 2005 Mar;33(3):347-59
  4. Ito Y, Deie M, Adachi N, Kobayashi K, Kanaya A, Miyamoto A, Nakasa T, Ochi M. A prospective study of 3-day versus 2-week immobilization period after anterior cruciate ligament reconstruction. Knee.2007 Jan;14(1):34-8
  5. Shaw T, Williams MT, Chipchase LS. Do early quadriceps exercises affect the outcome of ACL reconstruction? A randomised controlled trial. Aust J Physiother. 2005;51(1):9-17
  6. Gerber JP, Marcus RL, Dibble LE, Greis PE, Burks RT, LaStayo PC. Effects of early progressive eccentric exercise on muscle structure after anterior cruciate ligament reconstruction. J Bone Joint Surg Am. 2007 Mar;89(3):559-70
  7. Grant JA, Mohtadi NG. Two- to 4-year follow-up to a comparison of home versus physical therapy-supervised rehabilitation programs after anterior cruciate ligament reconstruction. Am J Sports Med. 2010 Jul;38(7):1389-94

 

 

 

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Mal di schiena? Ottimizziamo l’allenamento in palestra

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Mal di schina ottimizzare l'allenamento

Infortuni, debolezze e problematiche varie alla schiena possono essere dovuti a numerose e diverse cause e vanno valutate ed eventualmente trattate consultando i professionisti adeguati (medici ortopedici, fisioterapisti, etc), in questo articolo non tratterò ne di possibili cause ne di possibili cure ma esporrò dei semplici consigli pratici di immediato utilizzo su come ottimizzare l’allenamento cercando di minimizzare il più possibile lo stress sul rachide cercando di ottenere ugualmente un ottimo stimolo a livello muscolare.

E’ fondamentale tenere a mente che il dolore va sempre rispettato. Insistere su un movimento che arreca fastidi , porterà ad eseguirlo male e con compensazioni, nel tempo questo porterà invetibailmente a peggiorare la situazione.

Ci tengo a precisare che questo è un articolo che si concentra sull’ottimizzare il rapporto “costi\benefici” di un allenamento, è rivolto quindi a coloro che hanno delle limitazioni dovute a problemi fisici ma che non vogliono rinunciare ad allenarsi ed a sviluppare al meglio possibile il proprio fisico lavorando “intorno” agli infortuni.

Inoltre sottolineo che di seguito esporrò tutta una serie di possibili problemi, esercizi che possono risultare proibitivi e fastidiosi e le susseguenti alternative possibili ma non è detto che tutti quelli che abbiano problematiche alla schiena siano limitati allo stesso modo e\o debbano mettere in pratica tutto quello che esporrò, i consigli sono generali  e poi vanno applicati in base al soggetto, al tipo di problemi e limitazioni che esso presenta e agli obiettivi che si pone.

Tipi di stress ed insulti sul rachide

Il cosidetto “mal di schiena” cronico (con cui purtroppo devo personalmente convivere) che può essere dovuto ai più diversi problemi, può diventare fortemente limitante dal punto di vista dell’allenamento rendendo praticamente impossibili molti degli esercizi “classici”, da qui la necessità di studiare ed implementare dei movimenti sostitutivi per stimolare in modo analogo i vari gruppi muscolari limitando lo stress sul rachide.

In generale possiamo riassumere gli insulti poco tollerati dal rachide in quei soggetti con  problematiche alla schiena nelle seguenti categorie :

  • Forze di compressione (ad esempio un carico tenuto sulle spalle o sopra la testa in posizione eretta, sia in piedi che seduti su una panca : squat, military press, distensioni in alto da seduto etc)
  • Forze di taglio : sono date dall’inclinazione del busto e dalla resistenza\carico utilizzate. A parità di carico le forze di taglio sono massimizzate da un’inclinazione del busto di 90° e la linea della resistenza perpendicolare ad esso come accade per esempio nei rematori in piedi senza appoggio a busto inclinato, o nel punto di massimo allungamento degli stacchi rumeni o a gambe tese.

La posizione del carico influenza l’entità dello stress sulla colonna poichè varia la lunghezza della leva: maggiore sarà la distanza tra il carico e la bassa schiena maggiori saranno le forze di taglio, ad esempio a parità di carico ed inclinazione del busto mantenere il peso sopra la testa con le braccia distese comporta maggiore stress sulla colonna che mantenerlo al livello del torace che a sua volta comporta più stress che tenerlo a livello della pancia. Inoltre va ricordato che un’inclinazione del busto da seduti aumenta ulteriormente lo stress sul rachide poichè la posizione seduta mette fuorigioco muscoli come glutei e ischiocrurali che quando ben attivati contribuiscono a scaricare lo stress dalla schiena.

  • Iperestensione lombare che porta ad una posizione di eccessiva lordosi (un esempio comune è un’eccessiva iperestensione durante i sollevamenti sopra la testa)

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  • Flessione del rachide (ad esempio il classico crunch per gli addominali, ma soprattutto un atteggiamento cifotico quando si preparano i manubri per i vari esercizi ad esempio portarli in posizione per le distensioni su panca)

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Si dovrà quindi cercare di strutturare l’allenamento in modo da minimizzare questi tipo di movimenti, di seguito analizzerò gli esercizi più stressanti e le loro principali alternative.

Rematori a busto inclinato.

Come abbiamo visto i rematori liberi in piedi a busto flesso sono tra gli esercizi che più tassano la colonna vertebrale, matenendo la schiena con un’inclinazione di circa 90° e la resistenza perpendicolare ad essa sotto carichi alti e per tutto il tempo della serie. Seppur è presente un grosso lavoro di glutei e femorali a stabilizzare la schiena le forze di taglio su di essa persistono, e se ciò può non rappresentare un problema per chi non ha mai avuto problematiche al rachide diventa praticamente un suicidio per chi ne soffre.

La soluzione qui è molto semplice, possiamo eseguire lo stesso movimento appoggiando il petto ad un supporto (l’ideale è avere l’apposita panchetta da rematore su cui ci si può distendere proni) scaricando così il peso. Inizialmente questa posizione poichè porta un’invetabile compressione del torace può dare molto fastidio finchè non ci si abitua. Se disponibili le varie rowing machine con supporto per il petto rappresentano un’ulteriore ottima alternativa.

Un’altra soluzione è rappresenta dagli inverted row o rematori inversi. Sono una variante di rematori a corpo libero (ovviamente zavorrabili ad esempio ponendo un disco sul petto o usando uno zainetto zavorrato) in cui si riesce ad ottenere un movimento analogo ai classici rematori ai pesi liberi, e senza nessun tipo di compressione toracica. Come in tutti gli esercizi la cura tecnica è fondamentale, contraendo addome e glutei bisogna mantenere il busto completamente dritto evitando sia un’iperestensione lombare sia una flessione del rachide o un’anteroversione del bacino. Analogamente a tutte le forme di rematori, si può variare la presa, si possono utilizzare sbarre\bilancieri o supporti in sospensione indipendenti come Trx o Anelli.

Distensioni sopra la testa

Le distensioni sopra la testa possono essere problematiche soprattutto per chi tollera molto poco le forze di compressione sul rachide specialmente quando i carichi iniziano a diventare considerevoli.

Una soluzione molto semplice è passare alla versione unilaterale ad esempio con un manubrio o un kettlebell. Il motivo è molto semplice : utilizzeremo la metà del carico totale e quindi metà carico sul rachide (dato che alleniamo un lato alla volta) ma non perdiamo intensità a livello locale (muscoli agonisti del movimento).

Ad esempio se si eseguono solitamente le distensioni in alto con due manubri da 30kg, il carico totale sulla schiena sarà di 60kg, quello sui muscoli agonisti di spalle e braccia di 30kg. Eseguendo l’esercizio un lato per volta, il carico sui muscoli agonisti rimane di 30kg ma quello sul rachide si dimezza passando da 60kg a 30kg. Attenzione però che data la natura unilaterale del movimento si deve essere sempre molto attenti alla tecnica e soprattutto a stabilizzare attraverso il core la schiena mantendendola più dritta possibile.


Curl con Bilanciere

Probabilmente vi starete chiedendo cosa centri un esercizio per i bicipiti con la schiena. Molto spesso si vede durante l’esecuzione dei curl con bilanciere un’eccessiva iperlordosi, spesso dovuta all’utilizzo di carichi eccessivi, ma fondamentalmente è un movimento compensatorio “naturale”. E’ fondamentale tramite la contrazione di addome e glutei mantenere la schiena nella posizione più neutrale possibile ed evitare “slanci” vari per minimizzare gli insulti al rachide (oltre che per allenare correttamente le braccia e non trasformare l’esercizio in una sorta di swing o clean). Può aiutare eventualmente prediligere i curl con manubri su panca leggermente inclinata poichè questo è un esercizio che riesce a massimizzare lo stress sulle braccia utilizzando un carico esterno minore e rende molto più difficile e meno naturale “barare” cioè ricercare il cheating.

Squat e Stacchi

Gli esercizi che più vengono influenzati dai problemi di schiena sono probabilmente gli Squat e Stacchi con bilanciere in molte varianti ed alcune forme di leg press, con la conseguenza di rendere molto difficile l’allenamento degli arti inferiori.

La prima cosa da fare è considerare di abbandonare il classico Back Squat a favore di un Front Squat, poichè in quest’ultimo è molto più naturale e facile mantenere un busto più dritto grazie alla diversa posizione del bilanciere e si riesce ad ottenere un analogo effetto allenante utilizzando un carico esterno minore poichè le leve dell’eserizio sono diverse.

In generale però un alto volume di lavoro su un qualsiasi tipo di squat bilaterale può risultare molto tassante per chi ha di base una fragilità della colonna.

La soluzione migliore per eseguire alti volumi di lavoro minimizzando lo stress sulla schiena in questo caso è data dall’utilizzo degli esercizi unilaterali : Squat Bulgaro, Step Up, Affondi, Leg Press unilaterale etc. Utilizzando dei manubri tenuti lungo i fianchi come sovraccarico evitando invece bilancieri piazzati direttamente sulle spalle.

La posizione “in split” di molti di questi esercizi diminuisce enormemente lo stress sulla schiena e soprattutto la natura unilaterale del movimento e le leve diverse fanno si che si ottengano effetti allenanti molti forti utilizzando carichi esterni irrisori se paragati a quelli di un back o front squat.

In particolare lo squat bulgaro è un esercizio veramente duro anche se a prima vista potrebbe non sembrare, in grado una volta padroneggiato  il movimento di  stimolare veramente bene glutei ed arti inferiori. L’equlibrio può essere un problema in alcuni casi, una semplice soluzione è effettuarli con un solo manubrio pesante (consigliato l’utilizzo delle fasce per la presa) utilizzando la mano libera in appoggio su un supporto per massimizzare l’equilibrio (facendo attenzione a non tirarsi su anche con il braccio ma utilizzarlo solo per stabilizzarsi meglio).

bulgarian squat

Per quanto riguarda la Leg Press unilaterale, il discorso è molto simile a quello fatto per le distensioni : si utilizza lo stesso carico sui muscoli agonisti dimezzando il carico totale e quindi lo stress sulla colonna, fondamentale non anterovertere mai il bacino cosa che può accadere soprattutto sulle leg press inclinate quando si esaspera il rom nei punti di massimo allungamento.

Gli stacchi bilaterali con bilanciere abbiamo visto come possono essere tra gli esercizi più tassanti per la schiena soprattutto se eseguiti con un ROM completo. Questi sono spesso utilizzati come la base per l’allenamento dei femorali  soprattutto nelle varianti rumene o a gambe tese che risultano essere proprio quelle più pericolose per chi ha problematiche alla colonna. Un’alternativa spesso consigliata sono gli stacchi con la trap bar che oggettivamente rispetto alle varianti sopra citate risultano meno stressanti sulla schiena ma qui va fatta una doverosa precisazione. Gli stacchi con la trap bar sono meno tassanti sulla colonna in virtù di una minor inclinazione del busto ed una diversa posizione del carico (più vicino alla bassa schiena, con quindi una leva più favorevole) ma questi fattori causando anche un minor coinvolgimento e stimolo dei femorali e dei glutei poichè questi muscoli che vedono tra le loro funzioni quelli dell’estensione dell’anca si vedono poco allungati (e quindi meno attivati) quando l’inclinazione del busto (e ciò flessione dell’anca) è minore. Se quindi il vostro obiettivo è l’allenamento di questi muscoli gli stacchi con trap bar risultano essere una scelta poco adatta.

Le alternative più efficaci per allenare glutei e ischiocrurali minimizzando lo stress sulla schiena sono rappresentate da : stacchi rumeni unilaterali con manubri, glute ham raise e varianti (nordic ham curl etc) e varie forme di hyperextension per i femorali (e quindi cioè con blocco posto non al livello della pancia ma sotto le anche)

Stacchi rumeni unilaterali : esercizio sottovalutato ma estremamente efficace per i femorali.

Analogamente agli squat bulgari può essere eseguito con due manubri o con un manubrio e il braccio libero in appoggio per un maggior equilibrio. La natura dell’esercizio permette di utilizzare tutto il rom allungando per bene i femorali senza un eccessivo stress sulla schiena. E’ fondamentale mantenere la lordosi naturale e contrarre tutti i miscoli della schiena ed in generale della catena cinetica posteriore per farsi che il carico e lo stress venga distribuito sui muscoli e non sulle strutture articolari, evitare assolutamente (come fareste nei classici stacchi) l’anteroversione del bacino e la cifotizzazione dorsale.

GluteHamRaise: esercizio solitamente poco noto nella palestre commerciali ma davvero effiace. Solitamente eseguito alla panca apposita, in mancanza di essa può essere esguito in altre varianti (come il nordic ham curl) utilizzando il supporto della lat machine o alcune panchette per gli addominali che dispongono del giusto blocco per le caviglie. Come per tutti gli esercizi della catena posteriore, mantenere le curve naturali e contrarre i muscoli della catena posteriore è fondamentale per ottimizare lo stimolo muscolare e minimizzare i rischi articolari. L’utilizzo di bande elastiche può essere molto utile sia per aumentare o diminuire la difficoltà di base data dal proprio perso corporeo sia per variare la curva della resistenza e così lo stimolo.


Hyperextension: Altro esercizio sottovalutato ma molto efficace per glutei e femorali. Possiamo distinguere due varianti che lavorano in modo abbastanza diverso : quella che utilizza dei pesi fissi (manubri, dischi) come sovraccarico, e la variante con le bande elastiche. Mentre quest’ultima (a patto di utilizzare delle bande con una resistenza abbastanza alta) enfatizzano molto il massimo accorciamento muscolare dato che la resistenza degli elastici e progressiva e direttamente proprozionale al loro allungamento, la versione a carico fisso dipende molto dall’inclinazione della panca. Nel caso di una panca che permette al busto di essere parallelo al pavimento in massima concentrica anche qui avremmo la massima resistenza nel punto di massima contrazione, ma se la panca è più verticale e ad esempio il busto in massima concentrica è a circa 45° dal pavimento la massima resistenza non sarà più coincidente con la massima contrazione ma avverà a cirà metà ROM.

Altenare quindi l’utilizzo di carico fisso e bande elastiche e l’inclinazione della panca (ad esempio mettendo dei rialzi sotto di essa) cambierà notevolmente lo stimolo muscolare anche se dall’esterno il movimento appare molto simile.

Video di Bret Contreras che spiega in modo approfondito le varianti possibili con

Allenamento del Core

Allenare il core è fondamentale per la salute della schiena, ma esercizi classici come sit up, crunch, crunch inverso, leg raise etc spesso possono risultare fastidiosi per chi ha problemi di schiena (oltra a non essere ottimali, molte volta si finisce con l’allenare più i flessori dell’anca che non gli addominali).

Una scelta intelligente qui è rappresentata dai tutti quegli esercizi definiti “anti” cioè che si oppongono all’iperestensione della colonna. I più noti sono i vari Plank (stabilizzazioni prone), i Dragonflag (esercizio fantastico ma solo a patto di essere già molto forti ed eseguirli in maniera perfetta senza iperestendere la schiena, grazie anche ad una forte contrazione dei glutei) ma anche esercizi meno noti come gli AB wheel roll out ed i simili push up fallout dagli anelli, ed il palloff press o le varianti asimetriche dei rollout e fallout per gli obliqui (anti rotazione).



Distensioni con Manubri su panca

Le distensioni con manubri su panca, non hanno solitamente un’influenza diretta sulla schiena, possono dare fastidio a chi tollera poco l’iper estensione della zona lombare ma ciò si risolve facilmente poggiando i piedi su un rialzo. Spesso però la cosa fastidiosa è portare i manubri in posizione se non c’è un compagno che ci può assistere. In questo caso propongo due semplici alternative : si possono utilizzare i power hooks in modo da staccare i manubri come fossero il bilanciere e rimetterli a posto a fine serie senza alcun problema di posizionamento, oppure

Si possono provare ad eseguire piegamenti agli anelli che hanno un movimento molto simile ma non presentano il problema di posizionare i manubri.

Riflessioni sulla gestione delle variabili dell’allenamento

I lettori più fedeli del project sapranno ormai che lo sviluppo muscolare è promosso da molte combinazione delle variabili quali volume, densità, intensità, carico, frequenza.

Una soluzione per stimolare bene i muscoli minimizzando lo stress articolare, oltre la selezione più ideonea degli esercizi in base alle proprie limitazioni individuali come esposto fino ad adesso, è quella di manipolare le variabili dell’allenamento in modo da minimizzare il lavoro con carichi alti sugli esercizi più stressanti per la colonna prediligendo lavori di densità e volume.

In quest’ottica, protocolli con lavori a tempo, recuperi brevi, superset, giantset, preaffaticamento ed ordine degli esercizi sono di grande aiuta.

Ad esempio se una persona tollera un back o front squat con basso carico, potrebbe eseguirlo come ultimo esercizio di allenamento per la parte inferiore del corpo, ad alte ripetizioni e bassi recuperi dopo aver fatto già gran parte del lavoro con altri esercizi meno tassanti ed in questo modo anche carichi bassi che da freschi ad inizio allenamento risulterebbero poco allenanti possono apportare uno stimolo sufficiente.

Un discorso analogo può essere fatto per le distensioni sopra la testa in un ipotetica allenamento per le spalle.

Conclusione sul mal di schiena e come ottimizziamo l’allenamento

In definitiva, chi soffre di problematiche di schiena deve assolutamente rimanere attivo ed allenarsi ma lo deve fare con estrema intelligenza, limitando movimenti e carichi che possono risultare fastidiosi e programmando l’allenamento in modo da avere il miglior rapporto “costi/benefici” in termini di stimolo muscolare/stress articolare, nel rispetto del dolore (mai insistere su un movimento che arreca dolore) e delle proprie limitazioni. In particolar modo l’allenamento del core, dei glutei e degli erettori spinali è fondamentale per garantire una corretta postura e un forte supporto al rachide.

Note sull’autore: Domenico Aversano
Domenico è un personal trainer certificato ISSA (CFT3), istruttore di Body Building certificato IFBB italia, studente di biologia generale ed applicata presso l’università degli studi di Napoli Federico II e grande appassionato di tutto ciò che concerne l’allenamento e l’alimentazione.
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Le basi della programmazione nel CrossFit: il nanociclo

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Le persone che si avvicinano al Crossfit possono perseguire due strade:
1) Allenarsi con passione, divertendosi a scoprire ogni giorno un WOD nuovo
2) Mettersi a programmare per cercare d’ottenere il meglio dal proprio potenziale.

Ma come possiamo programmare nel Crossfit? Come possiamo dare una logica a quello che facciamo in una disciplina dove ci sono infinite variati? Questo articolo è solo uno scorcio del prossimo nostro libro dedicato a tutti i Cross Athletes che vogliono ottenere il meglio dai loro allenamenti e che vogliono imparare le basi per una programmazione personalizzata, efficace e realistica (che non richieda l’uso di sostanze dopanti per poter essere completata).

PERIODIZATION & PROGRAMMING For Cross Athletes

Programmazione nel crossfit

Nel corso della mia attività di preparatore atletico e di atleta (mediocre…) ho quasi quotidianamente avuto a che fare con coach, allenatori ed atleti stessi che mi hanno sempre domandato come fosse possibile programmare ed allenarsi al meglio per risultare completi e competitivi in uno sport come il CrossFit.
Se inizialmente il CrossFit era a tutti gli effetti soltanto una forma di allenamento funzionale visto come una preparazione atletica generale aspecifica idonea per lo sport, per le attività lavorative più diverse e per il benessere quotidiano, ora a distanza di anni e di numerosissimi eventi competitivi, si può affermare che ha raggiunto l’apice della sua naturale evoluzione, ovvero uno sport agonistico che affascina e coinvolge migliaia di atleti.
Rappresenta certamente lo sport della non specializzazione per eccellenza, ma come ogni disciplina agonistica, al salire di livello dello sport stesso e degli atleti che lo praticano, subentra una naturale richiesta di specializzazione.

Le domande sono:
Ma come ottenere buoni livelli in tutte queste abilità fisiche? Come ci si può specializzare nello sport della non specializzazione? Come è possibile migliorare e/o mantenere a buon livello un’abilità senza sacrificarne una o altre?

Il modello originale CrossFit in ambito sportivo agonistico è rapidamente e completamente risultato fallimentare, se da un lato permetteva di raggiungere livelli onesti e sufficienti in diverse abilità, dall’altro lato non permetteva di andare oltre, non garantiva miglioramenti progressivi superata una certa soglia. Quello che accadeva alla stragrande maggioranza dei soggetti era quello di rimanere in ottica Fitness.  Oggi si allenava la Forza con un po’ di Squat, domani la Endurance con 5Km al Row, dopodomani la Forza Resistente con un circuito di trazioni e Dips…Il tutto senza una vera programmazione che tenesse conto di periodizzare carichi, volumi, e intensità. Senza una logica di incremento e/o mantenimento delle varie abilità. Senza un punto di partenza e un punto di arrivo studiato nei dettagli e costruito attorno al singolo atleta.

Altrettanto rapidamente molti crossfitters iniziarono ad inserire sessioni di Forza e Potenza da affiancare al classico WOD metabolico del giorno, alcuni in maniera completamente casuale, altri in modo più scientifico e programmato con la necessità di specializzarsi nell’abilità più carente.
Ecco che si iniziava ad intraprendere quel processo di specializzazione nella non specializzazione… Contorto? Non proprio….
Con il tempo si sa l’evoluzione fa il suo corso, dal Fitness amatoriale si è passati allo sport agonistico e quindi da un modello di allenamento random si è sentita la necessità e l’obbligo di passare a modelli più completi e sofisticati che tenessero davvero conto di tutto quello che c’era da allenare in uno sport così vasto e complesso come il CrossFit.
Ok, ma come fare ad allenarsi in maniera così completa? Come programmare e periodizzare al meglio così tante abilità? Come imparare le varie skill? Quando fare Forza piuttosto che Endurance? Prima oppure meglio dopo? E i WOD?

Nel libro vedrò quindi di affrontare davvero nel dettaglio tutto quello che occorre conoscere per programmare e periodizzare scientificamente allo scopo unico e supremo di migliorare le prestazioni sportive dell’atleta. Perchè le leggi della programmazione sono universali indipendentemente dal tipo di sport.

The Nanocycle

Crossfit programmazione

Il primo step da affrontare per comprendere come strutturare al meglio una programmazione è la comprensione del nanociclo. Il nanociclo viene definito come il periodo di tempo pari a 24 ore nel quale viene inserita una o più sessioni di allenamento. Ha dunque tipicamente la durata di un giorno, all’interno del quale si possono succedere una o più sessioni allenanti.

Nello sport del CrossFit uno degli elementi più difficili della programmazione è il bilanciamento delle varie abilità fisiche contrastanti ed opposte tra loro. Questo è vero non solo a livello di programmazione a lungo termine ma soprattutto a livello di programmazione a breve termine come appunto un nanociclo. Nella strutturazione del nanociclo bisogna quindi tenere in considerazione per prima cosa il Principio di Minima Interferenza: cioè la capacità di accoppiare elementi diversi tra loro che determino il minor effetto negativo l’uno sull’altro sia nel breve termine sia nel lungo termine.
A tal proposito ci sono fondamentalmente due aree di interferenza che occorre tenere in considerazione nella stesura del nanociclo giornaliero.

La prima aerea di interferenza è di tipo prestazionale. Cioè, gli elementi che hanno notevole impatto negativo l’uno sull’altro nel immediato, cioè nel breve termine. Ad esempio, una sessione di Forza su Deadlifts molto pesante può interferire negativamente sull’intensità di un lavoro di Work Capacity che coinvolge movimenti come Pull Ups e Row o altri movimenti simili di tirata.

La seconda aerea di interferenza è di tipo adattativo. Cioè, gli elementi che hanno notevole impatto negativo l’uno sull’altro a lungo termine. Adattamenti fisiologici contrastanti tra loro determinati per esempio da lavori di Forza (sistema energetico alattacido) simultanei a lavori di Capacità Aerobica (sistema energetico aerobico).

Sulla base di questi concetti l’organizzazione del nanociclo può avvenire tenendo in considerazione le seguenti suddivisioni di allenamento definite in gergo come Training Split.

Scheda crossfit

Load Split (suddivisione in base all’intensità di carico).

  • Accoppiare lavori di Forza, Weightlifting e Gymnastic leggeri e/o esplosivi, insieme a lavori ad alta intensità di Work Capacity, Aerobic Power e Anaerobic Power Endurance (Lactic Power & Lactic Capacity) che sfruttano prevalentemente il sistema energetico anaerobico lattacido.
  • Accoppiare lavori di Forza pesanti e/o lenti insieme a lavori a moderata intensità di Work Capacity e Aerobic Capacity che sfruttano prevalentemente il sistema energetico aerobico.

Questa suddivisione permette all’atleta di spingere bene sui lavori ad alta intensità di Work Capacity, Aerobic Power ecc., perché la fatica sistemica e locale sarà inferiore a causa della minore intensità (in senso assoluto) dei lavori di Forza, Gymnastic e Weightlifitng.

Body Part Split (suddivisione in base alle parti corporee)

  • Accoppiare lavori di Forza, Weightlifting e Gymnastic concentrati sulla parte superiore del corpo come: Bench Press, Push Press, Jerk, Handstand Push Ups ecc. insieme a lavori ad alta intensità di Work Capacity, Aerobic Power e Anaerobic Power Endurance (Lactic Power & Lactic Capacity) che sfruttano prevalentemente il sistema energetico anaerobico lattacido.
  • Accoppiare lavori di Forza e Weightlifting concentrati sull parte inferiore del corpo come Back/Front Squat, Deadlifts, Squat Clean ecc. insieme a lavori a moderata intensità di Work Capacity e Aerobic Capacity che sfruttano prevalentemente il sistema energetico aerobico.

In pratica, la suddivisione in base alle parti corporee è una variante della suddivisione in base all’intensità di carico, poiché i lavori di Forza e Weightlifting della parte superiore del corpo utilizzano necessariamente carichi sostanzialmente inferiori rispetto ai lavori di Forza e Weightlifting della parte inferiore del corpo. Dato che i lavori di Forza e Weightlifting del tronco sono meno tassanti a livello neurale, anche per i motivi visti sopra, rispetto alla controparte relativa alla parte inferiore del corpo, l’atleta è in grado di avere sufficiente energia per intraprendere poi lavori di Work Capacity ecc. ad alta intensità.

L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal fatto che questi lavori sulla parte superiore del corpo sono però più tassanti a livello muscolare locale, dato che i muscoli di spalle, petto e braccia sono di dimensioni inferiori rispetto a muscoli quali: glutei, femorali e quadricipiti, quindi un eccessivo affaticamento può determinare un effetto negativo sul mantenimento di un’elevata intensità nei lavori di Work Capacity che prevedano movimenti direttamente relazionati con i muscoli coinvolti nei precedenti lavori di Forza e Weightlifting.

Quello che bisogna ricercare è quindi un compromesso logico tra tutti questi fattori, al fine di garantire il progressivo miglioramento dell’atleta nel pieno rispetto del Principio di Minima Interferenza.

A livello di strutturazione, un nanociclo classico dovrebbe iniziare poi con l’allenamento di abilità fisiche di tipo neurale, quindi legate al sistema energetico anaerobico alattacido. Qualità ed elementi appartenenti quindi ai domini del Weightlifting e dello Strength, come Potenza e Forza. Successivamente poi proseguire nel rispetto della gerarchia ottimale dei sistemi energetici, con lavori legati al sistema energetico anaerobico lattacido. Lavori di Strength Endurance e/o Power Endurance anche di tipo submassimale, appartenenti quindi non solo ancora ai domini di Weightlifting e Strength, ma anche al dominio della Gymnastic. In successione poi  lavori sport specifici di Work Capacity. Ed infine,  se eventualmente in programma, lavori sul dominio della Endurance come Capacità Aerobica oppure Potenza Aerobica tipicamente legati al sistema energetico aerobico.

Un nanociclo può essere impostato generalmente in mono sessione o in doppia sessione. Questo sulla base del tempo a disposizione dell’atleta, delle abitudini e della tolleranza ai volumi e alle intensità di lavoro. Una volta compreso l’ordine ottimale di sviluppo delle varie abilità fisiche, a seconda del nanociclo, si determineranno le combinazioni più idonee di queste nell’arco settimanale così da delineare un preciso microciclo.

La strutturazione gerarchica generale di un nanociclo può essere impostata come segue:

Crossfit programmazione giornaliera

Le basi della programmazione nel CrossFit: Strutturare il nanociclo è tratto dal libro di prossima pubblicazione:

“ADVANCED PROGRAMMING For CROSS ATHLETES”
Di Alain Riccaldi

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La dieta per la massa nel Bodybuilding Natural

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In quest’ultimo periodo (apparentemente perchè in verità è da sempre così) nell’ambito del bodybuilding, ancora di più in quello del bodybuilding natural, si parla di “lean bulk” o “massa pulita”. Sostanzialmente si avanza il concetto che in una dieta per la massa non devi spanzare. Nulla di nuovo, in verità abbastanza logico direte voi. In verità no, perlomeno non nell’ambiente amatoriale dove, per imitare la i cugini “pro” e incentivare i modelli sterotipati del Bodybuilder, si arrivava a fare OFF season indecenti con pance da bove. Il modello del lean bulk nasce per far fronte a questo scopo.

Ma esiste davvero una dieta per la massa pulita? No. Esiste però un periodo di massa pulita. In altre parole la dieta può essere impostata in un modo “corretto” (anche qui un minimo di soggettività) ma deve essere circondata da tutta un’altra serie di fattori coadiuvanti.

Obbiettivi – Da dove partire

Un punto di partenza serve sempre, vista l’ampiezza e la generalità del tema dobbiamo ragionare prima di tutto sugli obbiettivi.
Nel Bodybuilding si ragiona sempre troppo su singoli aspetti. Quell’ormone che è alto, quell’enzima che funziona così, la stimolazione di determinate vie metaboliche etc.. Questo è sbagliato. Il quadro è troppo complesso, ci converrà pertanto ragionare in termini diversi.

Il Bodybuilding è uno sport. Come tale va inteso.
Il Bodybuilder è un’atleta, come tale va trattato.

Cosa vuol dire questo? Che bisognerà partire dagli obbiettivi della disciplina e muoversi in modo da raggiungerli.
Vediamo quali sono quindi i nostri obbiettivi.

  1. Il primo fine del Bodybuilding (i.e. dell’allenamento del Bodybuilding) è quello di accrescere la massa muscolare. Il nostro regime dietetico deve dunque essere funzionale allo scopo ma in via indiretta, deve prima di tutto essere funzionale all’allenamento. Se otteniamo un beneficio per l’allenamento, otterremo un beneficio anche in termini di crescita muscolare
  2. Collateralmente abbiamo un secondo scopo: quello di mantenere la massa grassa attorno a percentuali ridotte. Nell’aumentare la massa muscolare dovremo dunque tener conto del rischio di accumulo di adipe. Se considerassimo solo il beneficio dell’allenamento il surplus calorico dovrebbe essere molto alto. La necessità di limitare l’accumulo di adipe porta a dover bilanciare con precisione il surplus calorico.

Benissimo, posto questo e ragionando come atleti andiamo ad impostare la dieta per gradi.

Dieta massa bodybuilding natural

(Ricordati di leggere anche la dieta per la definizione nel bodybuilding natural)

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Bilancio calorico nella dieta in massa
Iniziale 10% – Aumento del 3-5% sulla base di peso e condizione 

Il primo step è il bilancio calorico. Sicuramente il punto di partenza è quello di raggiungere un surplus. Questo perchè?

  1. Serve materiale strutturale per il “nuovo” tessuto muscolare. Questo motivo è relativo. Se poniamo come traguardo 1kg di muscolo in 3 mesi (che è TANTO per un soggetto allenato), di questo kg il 20% (200gr) sono proteine. Dunque 200gr di proteine in 3 mesi (90gg) equivale a 2,22gr di proteine in più al giorno. Capiamo bene che, in questi termini, non serve un grande surplus.
  2. Serve un quantitativo energetico per avviare e mantenere i processi di adattamento. La proteosintesi è un processo dispendioso. In generale un quantitativo calorico extra è necessario laddove il corpo sia in “trasformazione”, proprio per dare l’energia necessaria a questa trasformazione.
  3. Alte percentuali caloriche portano ad un miglioramento della prestazione. Di nuovo, dobbiamo comportarci anzitutto in un’ottica atletica. La dieta deve essere funzionale all’allenamento (non solo per quanto riguarda il bilancio calorico ma anche per tutti gli altri parametri che andremo ad impostare).

Dunque come comportarci? Partendo da una dieta isocalorica aumentiamo l’introito calorico di un 10%. A questo punto, le successive variazioni andranno fatte sulla base dell’andamento del peso e della condizione.

  1. Il surplus deve essere minimo ma deve esserci. Il problema è che durante periodi di iper (ma anche ipo) alimentazione ci renderemo difficilmente conto di qual è la nostra richiesta energetica. In questo caso, man mano che aumenteremo l’introito calorico il corpo raggiungerà una successiva omeostasi aumentando il dispendio (fino ad un certo limite). Se faremo le cose per bene questo avverrà principalmente grazie ad un miglioramento della performance e ad una maggiore funzionalità metabolica. Quindi, nel momento in cui vedremo uno stallo del peso (più o meno lungo) andremo ad aumentare l’introito di un 3-5%.
  2. Eventuali stalli di peso possono essere tuttavia indice di fenomeni di resistenza anabolica. Come distinguerli? Basta contestualizzare sulla base della condizione. Bassi livelli di massa grassa e scorte di glicogeno non del tutto sature (e sovracompensate), tipiche di periodi successivi a restrizioni caloriche, lasciano prevedere rapidi aumenti di peso. In questo caso stalli di 2-3 giorni richiedono subito un aumento calorico. Viceversa nel momento in cui saremo più “avanti”, a quote caloriche più alte, con scorte di glicogeno belle sature, gli aumenti di peso saranno più lenti. Uno stallo di 2-3 settimane è, in questo caso, sicuramente accettabile.

Questo “giochetto” vale fino ad un certo livello, difatti, raggiunto un determinato quantitativo calorico, non saremo più in grado di gestire bene i macronutrienti assunti. Quanto? Dipende. Il livello di massa muscolare e di attività fisica quotidiana sono fattori determinanti. Anche qui entra in gioco la condizione. Finchè saremo asciutti con una percentuale di massa grassa bassa, tendenzialmente avremo margine di aumento. Anche le sensazioni giocano un ruolo fondamentale. Se ci si sente letargici, pieni, ingolfati, allora sarà il caso di scendere leggermente di kcal e rivedere alcuni parametri.

Ripartizione dei macronutrienti nella dieta per la massa muscolare

Quanti macronutrienti dieta per la massa

Il livello i macronutrienti deve essere impostato al fine di sostenere l’aumento del peso corporeo, di ripristinare le scorte di glicogeno e di fornire i substrati strutturali per la riparazione e formazione del tessuto muscolare [3].

  1. Il discorso è forse il più controverso ma anche il più semplice da gestire. Abbiamo visto che non serve un eccessivo “extra” di proteine a fini strutturali dunque da questo punto di vista il gioco al rialzo non è necessario. Vero però che le proteine rappresentano un forte stimolo alla proteosintesi e, sul lungo periodo, a variazioni sulla composizione corporea. Quante dunque? La letteratura si sta via via assestando su quote maggiori. Partita da 0.8gr/kg indipendentemente del soggetto ha rialzato a 1-1.4-2-2.2gr/kg di peso corporeo.

Il problema di base è che si ragiona su termini sbagliati. Il discorso dovrebbe piuttosto essere quello del “right aminoacid intake” ovvero il giusto intake amminoacidico e non proteico. Alla luce di questo sicuramente potremmo andare a definire un corretto apporto amminoacidico sulla base delle varie esigenze. I ragionamenti e calcoli richiesti sono però eccessivi, pertanto dovremo approssimare e giocare un minimo al rialzo. In questo senso un quantitativo di 2,2gr/kg di proteine per peso corporeo (ma anche leggermente superiore) può essere un’ottima soluzione.

  1. I grassi assolvono a molte funzioni. Tra di esse vi è la funzione energetica, fondamentale per l’uomo preistorico, parzialmente necessaria per il sedentario che ha perso il lavoro, molto meno per l’atleta. Perchè?

L’atleta è un soggetto con un’alta funzionalità metabolica, come una macchina che consuma parecchio. Finita l’attività fisica vi sarà un EPOC, dunque il metabolismo risulterà accelerato. La proteosintesi sarà aumentata per 24-48h dopo il workout. Se siamo furbi avremo sessioni di cardio tra un allenamento e l’altro.. insomma il corpo sarà in continua attività, contesto, questo, dove il substrato più funzionale (vedremo poi, anche per altri motivi) è il glucosio. Dunque tenere i grassi ad un livello tale per cui possano assolvere alle loro funzioni (assorbimento delle vitamine, funzioni strutturali, ormonali etc..) ma, anche questo lo vedremo, per cui ci permettano di tenere più alti possibile i livelli di glucidi. In letteratura non sono state fatte verifiche circa la soglia minima. Quello che sappiamo è che livelli troppo bassi portano a problematiche di diverso tipo, anche immunologiche [5].   Generalmente, in ambito atletico, si parla di livelli inferiori al 25% dell’introito calorico [3] ma, capiamo da soli, l’introito calorico è dire tutto e dire nulla (si suppone siano intese le solite 2500kcal nell’uomo e 2000kcal nella donna). E’ stato visto che almeno 35gr sono necessari per l’assorbimento vitaminico [4]. Inizialmente quindi, proprio per favorire una maggiore assunzione glucidica, ci dovremo assestare su questo livello (inseriremo poi, come vedremo, dovute ciclizzazioni etc..).

  1. I Carboidrtati rappresentano il substrato energetico più funzionale in ambito atletico. Questo perchè promuovono l’instaurarsi di un ambiente fortemente anabolico e catabolico. Che vuol dire?

Alti livelli glucidici si riflettono su un’alta funzionalità metabolica (su un soggetto allenante). I processi metabolici sono quindi più “rapidi”. Questo uno dei motivi per cui un atleta consuma molto ed è un bene. Processi metabolici più rapidi si riflettono in una maggiore rapidità di adattamento allo stimolo allenante ed in una migliore performance (ricordate il discorso della funzionalità della dieta all’allenamento?). Avendo dunque impostato le proteine e i grassi ad un livello “minimo” possiamo contare già su una fonte abbastanza ampia di glucidi. Benissimo. Il nostro obbiettivo sarà quello di incentivare tutti questi processi metabolici per rientrare in un assetto, passatemi il termine, da atleta. In questo senso 7-10gr/kg di carboidrati [2] (fino ad 800gr/die per un soggetto di 80kg) sono il nostro obbiettivo (raggiungibile in anni di esperienza, non da un giorno all’altro).

“Ma le kcal non sono poi così esagerate”. Vero, ma non dobbiamo raggiungere quei livelli per farci i fighi su FB. Il concetto è quello di mantenere un surplus calorico corretto, senza eccedere minimamente. Il quantitativo glucidico, proprio perchè funzionale ad un miglioramento della performance e all’adattamento in generale, dovrà essere il più alto possibile (ceteris paribus). Pensate a questo processo come ciclico negli anni. Per arrivare a 7-10g/kg posso volerci anche 3-4 anni di preparazione (in cui alterniamo fasi di massa e definizione).

Timing

Timing dieta in massa

Stiamo iniziando pian piano a curare sempre maggiori finezze. Siamo arrivati ora al timing. Posto che su un soggetto in fisiologia è il bilancio calorico che fa da padrone, la scelta di un determinato timing presenta dei vantaggi:

  1. Un miglioramento della prestazione e della rapidità di adattamento
  2. Un ritardo dell’insorgenza di fenomeni quali la resistenza insulinica e la c.d. “resistenza anabolica”
  3. L’attenuazione (entro certi limiti) dell’accumulo di massa grassa

Dunque, andiamo a vedere i singoli macronutrienti nel dettaglio.

  1. Circa il timing delle proteine c’è un grande dibattito in dottrina. Vi sono studi in supporto di assunzioni frequenti durante la giornata. Questi studi si basano sul c.d. “muscle-full effect” secondo il quale, raggiunto un determinato quantitativo di amminoacidi essenziali, ulteriori quote proteiche sono targetizzate per l’ossidazione [6] [7] [8] [9]. Le limitazioni sono duplici: gli studi non valutano le possibili interazioni con altri macronutrienti e soprattutto non le somministrano sotto forma di cibo solido (con relative facilitazioni a livello digestivo. Per quanto riguarda poi l’assunzione prima di coricarsi vi sono evidenze favorevoli basate su una stimolazione della proteosintesi e del bilancio proteico netto durante il sonno [11] [12] [13]. Anche in questo caso gli studi presentano diverse limitazioni, tuttavia vi sono suggerimenti circa un possbile beneficio e la letteratura sembra indirizzata in tal senso [10]). Dunque in sostanza, partendo dal presupposto che la quota giornaliera è il fattore che più influisce: dividere l’assunzione proteica tra i vari pasti della giornata; circoscrivere c.ca 0.8-1gr/kg di peso corporeo tra pre- intra – post workout; eventualmente lasciare una quota per un ultimo pasto prima di coricarsi.
  2. Il timing d’assunzione dei grassi non pone troppe problematiche. Come abbiamo visto le quantità saranno tendenzialmente ridotte, possiamo pertanto dividere l’assunzione durante la giornata in maniera più o meno libera (considerando anche che molti li asumeremo per via indiretta). Una mossa sensata sarebbe quella di evitarne l’assunzione nel peri-workout quando i carboidrati meglio si prestano ad essere assunti a fini energetici. Dunque la grande questione che realmente si pone è se assumere carboidrati e grassi assieme. A tal proposito rimando al relativo articolo dedicato (I grassi e carboidrati vanno mangiati assieme?). Posso dire che, personalmente, finchè le quantità sono poche, non trovo ci sia un male. Anche perchè, come vedremo parlando del timing dei glucidi, il rischio di “far danni” è tendenzialmente basso. In poche parole se volete aggiungere un po’ d’olio o burro d’arachidi per insaporire i kg di riso che buttate giù a forza (ho visto scene raccapriccianti in proposito) fatelo! 
  3. Il Timing dei carboidrati si presenta come l’argomento più interessante. Dunque, prendiamo il discorso da un’angolazione diversa. Invece di ragionare sul singolo ormone o sull’enzima miracoloso accettiamo di non poter prevedere tutte le cose. Il quadro è troppo complesso. Quello che possiamo fare è capire che tutto quanto è posto per far fronte ad una necessità. In questo caso i carboidrati sono una fonte energetica “preferenziale” nel senso che si prestano motlo bene ad essere utilizzati dal nostro corpo in maniera rapida e poco “dispendiosa”. Sarà quindi un’ottima mossa quella di inserire il 50-70% di questa quota a ridosso dell’allenamento (peri-workout). Questo tema lo avevo già affrontato dell’articolo sul post-workout (di prossima pubblicazione). Logicamente dovremo considerare anche l’attività cardiovascolare. Per esempio, se abbiamo un workout la mattina e una seduta di cardio il pomeriggio, allora potremo circoscrivere un 60% di chos a ridosso del workout della mattina, un 20% dopo l’attività cardiovascolare e il restentate 20% diviso lungo la giornata (questo tema lo vedremo meglio parlando di ciclizzazione).
Che alimenti scegliere in massa

Un’altra problematiche che si pone riguarda la scelta degli alimenti. Clean food vs Junk food e, con l’avvento dell’IIFYM, troviamo due fazioni agguerrite e ben distinte. La prima questione da considerare in questo caso è la tolleranza soggettiva all’alimento. Così la fonte scelta deve dipendere anzitutto da eventuali intolleranze o difficoltà digestive e solo in secundis da “quello che la scienza dice”. Posto questo vi sono determinati casi in cui la scelta degli alimenti è indifferente ed altri in cui una differenza sostanziale c’è. Il fruttosio ha una via metabolica diversa rispetto al glucosio. L’olio di cocco contiente acidi grassi diversi dall’olio di palma o di oliva. L’avena ha un contenuto diverso di fibra rispetto al mais o alla farina di grano tenero. Capiamo quindi che non si può fare un discorso astratto del tipo “buono – cattivo”, così come non si può fare un discorso del tipo “tutto buono”.

Esempio pratico. Nel momento in cui dovremo assumere alte quantità di glucidi sarà una mossa più intelligente utilizzare delle fonti facilmente digeribili e poco fibrose come il riso. Non si tratta di IG o velocità di assorbimento ma proprio di impegno gastrointestinale nella digestione. Consideriamo che, soprattutto in periodi di iper-alimentazione, uno squilibrio della flora batterica può portare a complicazioni non da poco a livello gastrointestinale (senza considerare le chiare problematiche a livello sociale).

Un consiglio generale che si può dare è di ridurre l’assunzione di fruttosio. Il fegato infatti (dove lo stesso viene metabolizzato) sarà verosimilmente saturo di glicogeno. Questo porta ad una via metabolica per il grasso tendenzialmente ridotta per il fruttosio (anche qui rimando al relativo articolo).

Ricariche (?)

Ricarica “de che”? In effetti parlare di ricarica in contesti di iper-alimentazione non ha molto senso. Però una logica c’è. Ebbene tenendo un determinato bilancio calorico settimanale, può essere una buona mossa quella di ciclizzare l’assunzione di glucidi durante la settimana ponendo un giorno di ricarica. Questo perché:

  1. Miglioriamo la capacità del muscolo di sovracompensare le proprie riserve di glicogeno tramite un lavoro di scarica-carica delle stesse.
  2. Possiamo modulare i glucidi rispetto all’allenamento in modo da migliorare il lavoro sui gruppi muscolari carenti e sfruttare quello sui gruppi muscolari forti.

Per esempio potremo andare ad inserire la ricarica (di fatto stiamo parlando di carb-cycling ma anche il concetto di ricarica rende bene l’idea) il giorno prima dell’allenamento di un gruppo muscolare carente e, il giorno in cui alleniamo un gruppo muscolare particolarmente avanti, terremo i glucidi più bassi per cercare di evitare un recupero completo delle scorte energetiche e far si che la ricarica glucidica successiva porti a processi di supercompensazione del glicogeno muscolare.

Facciamo un esempio pratico di come potremmo ragionare:

Atleta X (fa molto esperimento della Marvel).
Gruppi carenti: Spalle – Petto
Gruppi forti: Braccia – Dorso – Femorali
Allenamento al mattino e cardio pomeridiano

Ricarica dieta per la massa

Dunque il martedì l’allenamento sarà intenso sul dorso, gruppo particolarmente grande e dispendioso. Dopo l’allenamento si assumeranno pochi glucidi quindi il ripristino delle scorte energetiche non sarà totale.

Il mercoledì mattina alleneremo un altro gruppo forte (femorali) e grande. Di nuovo, ulteriore deplezione. A questo si aggiungono le sedute di cardio pomeridiane.

Il mercoledì sera ricaricheremo così che le scorte si sovracompenseranno. Il workout del giovedì sarà pertanto molto proficuo e, avendo tolto il cardio fino a domenica e contando comunque su carboidrati medi durante le giornate, vedremo il peso scendere pian piano e riadattarsi, dando comunque tempo ai processi di adattamento sui gruppi muscolari carenti di “cibarsi” delle scorte particolarmente abbondanti.

Logicamente è solo una delle impostazioni possibili, troppe se ne possono fare e soprattutto si dovrebbe parlare un mondo circa il come organizzare gli allenamenti nei rispettivi giorni (volume, intensità etc..). Credo però di aver dato l’idea di quanto davvero si possa arrivare a nerdeggiare su cose del genere.. alla faccia del “magna e spigni” insomma.

Se vuoi conoscere di più questi ed altri argomenti, scopri il nostro libro Project Nutrition.

Project Nutrition

Conclusioni per la dieta per la massa nel Bodybuilding Natural

Il periodo di iper-alimentazione è più delicato di quel che sembra. É una finestra d’opportunità che abbiamo per massimizzare l’efficacia della nostra stagione agonistica. Bisogna prestare particolare attenzione al protocollo d’allenamento (sia in palestra che cardiovsascolare) per far si che ad esso si risponda. Ci sono anche altre strategie da poter utilizzare laddove non si risponda a dovere al protocollo. Logicamente in questo caso si entrerebbe troppo nella soggettività e c’è anche l’eventualità di approfondire con le dovute analisi.

Ora vorrei concludere con un punto importante. Tutto questo “tecnicismo” nell’impostare un programma dietetico non prescinde dall’allenamento. Non dobbiamo perdere il filo, dobbiamo rimanere con i piedi piantati per terra e capire che il lavoro compiuto in palestra è la nostra vera “massa”, li noi determiniamo i risultati, apriamo i rubinetti. La dieta ci da solo la possibilità di migliorare, l’allenamento ha l’effettiva capacità di farlo.

NOTE SULL’AUTORE
L’articolo:  La dieta in massa nel bodybuilding natural, è di  Ludovico Lemme
Personal Trainer certificato ISSA e studente SaNIS (scuola di nutrizione e integrazione sportiva). Segue diversi atleti, sia dal vivo che online nel campo del Bodybuilding e del fitness in generale. Nel 2015 avvia il progetto Rhinocoaching con il quale si propone di creare una piattaforma di riferimento per i suoi atleti e per gli appassionati in generale.
Contatti: rhinocoachingofficial@gmail.com
Pagina FB: https://www.facebook.com/ludovicolemmemygrowth/
Sito Web: www.rhinocoaching.it

Bibliografia

[1] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8303140

[2] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11310548

[3] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19225360

 [4] http://suppversity.blogspot.de/2014/05/vitamin-d-e-k-how-much-and-what-type-of.html

[5] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10910295

[6] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23459753/

[7] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19056590/

[8] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20844073/

[9] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24257722/

[10] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4558471/

[11] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22330017/

[12] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25926415/

[13] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23134885/

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Toes to bar: tutorial ed esecuzione

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Ci sono molti modi per allenare gli addominali, i Toes to bar uniscono ad un lavoro muscolare, uno propriocettivo in catena per il CORE. Quest’ultimo diventa il vero motore primo del movimento. Scopriamo assieme questo esercizio del crossfit per capinere propedeutica, rischi e benefici.

Chi deve evitare i Toes to bar?

Dolori articolari toes to bar

Tutti i soggetti che non abbiano una buona mobilità di spalle e che presentino problemi al rachide, soprattutto la zona lombare, dovrebbero prima sistemare i loro “acciacchi” e poi approcciarsi all’esercizio.  La dinamicità dei toes to bar, fa si che le articolazioni sia sottoposte a stress. Questo in un soggetto mobile e sano aumenta nel tempo il livello di fitness, in chi invece ha problematiche pregresse, gli insulti articolari non verrano supercompensati.

Parte tutto dagli addominali

toes to bar propedeutica

Anche se nei toes to bar sono principalmente gli arti inferiori a muoversi, sono le spalle ed gli addominali (CORE) i motori primi del movimento,  per questo è importante imparare prima a terra e poi alla sbarra le posizioni della hollow position e di superman. Il movimento nascerà da qui. Imparare a muoversi con la kipping è essenziale nei toes to bar.

toes to bar hollow

Toes to bar: propedeutica alla sbarra

Una volta che abbiamo appreso a controllare il nostro CORE alla sbarra non ci resta che iniziare ad ampliare il  movimento prima portando le ginocchia alla pancia, poi portando alla spalle ed infine andremo a toccare coi piedi la sbarra.

imparare i Toes to bar

Conclusioni

I toes to bar sono un eccellente esercizio per gli addominali, per imparare l’assetto corretto alla sbarra e per prepararsi ad imparare le kipping pull up. Per chi fa Crossfit sono un esercizio fondamentale che va appreso ed interiorizzato. Dopo aver appresso il corretto movimento è importante per l’atleta imparare anche la versione “hard” da competizione, per riuscire ad eseguirli nel più breve lasso di tempo possibile. Ma per questo rimandiamo al video iniziale.

Grazie ai ragazzi di Crossfit Sevenstars per questo tutorial.

crossfit sevenstars

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Correre a digiuno

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Conoscete la storiella che bisogna corre per più di 20′, altrimenti consumi solo zuccheri? Anche per correre a digiuno è la stessa cosa. Si cerca di bruciare più grassi possibile con l’allenamento. Ma veramente ne consumiamo di più e veramente allenarsi a digiuno è meglio per dimagrire?

Diamo subito la risposta: allenarsi a digiuno brucia più grassi ma non fa dimagrire di più.
Scopriamo perché.

Quanti grassi si bruciano a correre (non a digiuno)

Sicuramente correre è un’attiva che permette di consumare (in 1h) un buon quantitativo di calorie. Ma quanto grasso realmente abbiamo consumato in una seduta di un’ora? Vediamo.

Anche adesso mentre state leggendo state consumando un mix di grassi e carboidrati. Più l’attività fisica che svolgete diventa impegnativa e più i grassi vengono preservati a sfavore dei carboidrati. Da qui nasce il mito del correre nella fascia lipolitica. Più corri piano e più grassi consumi, quindi è meglio andare lentamente…
Una persona che corre piano intorno al 70% del sua FCM (frequenza cardiaca massima) consuma in media 70% carboidrati, 30% grassi (QR). Quindi anche a correre lentamente sono sempre gli zuccheri a prevalere.

Ammettiamo che Lucia corra per un’ora e pesi 65kg. In quel tempo percorre 8km. Ha bruciato 520kcal. Il calcolo è stato fatto con la formula d’Arcelli, leggi l’articolo dimagrire correndo, per approfondire.

Se solo il 30% di queste 520kcal sono prese dai grassi abbiamo 156kcal dai lipidi.
1g di grasso sono 9kacl ma nell’uomo (visto che abbiamo una componente d’acqua) sono “solo” 7kcal. Quindi in definitiva abbiamo consuma 156/7=22g di grasso corporeo. Un risultatone.

Lucia se basa il suo dimagrimento unicamente su quanti grassi consuma con la corsa ha bisogno di sole 454 sedute da un’ora. Forza Lucia. 

Allenarsi a digiuno

Correre a digiuno

Ma allora perché è nato il mito dell’allenarsi o correre a digiuno per dimagrire? Perché in effetti si consumano più grassi. Cerchiamo di capire perché. Il nostro corpo ha bisogno di preservare la glicemia 70-99mg/dl. Per farlo crea delle riserve nei muscoli e nel fegato. Le prime non possono liberare il loro contenuto glucidico nel sangue, solo il fegato può supportare la glicemia sacrificando la sua riserva di glicogeno. Più quest’ultima è depletata e più l’organismo avverte il bisogno di preservare il glucosio e cosa fa? Aumenta il metabolismo lipidico. Quindi aumenta la % di calorie che viene spesa dai grassi.

Due persone a parità di attività fisica leggera, a seconda delle proprie riserve di glicogeno epatico, consumeranno più o meno grasso. In tal senso allenarsi o correre a digiuno fa consumare più grasso, ma…

Mio Zio diceva sempre che tutto quello che viene prima di un ma non conta. MA…

Bruciare più grassi non fa dimagrire

attività brucia grassi

Purtroppo la pubblicità ci prende il culo, ma questo lo sappiamo. Eppure, a volte, spesso non ce ne accorgiamo. Tutta l’azienda del fitness e del dimagrimento è incentrata sulla parola brucia grassi. Questo sarebbe forse anche corretto se gli effetti nell’acuto rimanessero anche nel cronico. Cosa vuol dire?

Che un’attività che fa consumare più calorie nell’allenamento, che fa bruciare più grassi, che aumenta il testosterone, ecc ha quell’effetto solo per una finestra limitata di tempo. Bruciare più grassi in un’ora non vuol dire che a fine della giornata ne hai consumati di più. Perché?

Perché il corpo non è scemo e si autoregola. Nello specifico si è visto che chi consuma più grassi durante l’attività fisica ne brucerà di meno a riposo. Viceversa chi ha consumato più zuccheri dopo sposterà il suo metabolismo sui grassi pareggiando il bilancio. Quindi che consumiate più o meno grassi, durante l’allenamento, E’ INDIFFERENTE.

Quello che conta è il bilancio calorico TOTALE delle 24h o ancora meglio della settimana. 

Le attività bruciagrassi sono una cagata pazzesca.

Anzi, i grassi durante l’allenamento è quasi meglio non consumarli proprio. Perché più alleniamo l’organismo a consumare zuccheri, grazie ad attività fisiche intense, e più riusciamo a migliorare il nostro stato metabolico (è il metabolismo glucidico che governa quello lipidico e non viceversa).

Se vuoi conoscere di più scopri il nostro libro:  Project Nutrition.

Project Nutrition

Correre a digiuno: conclusioni

Allenarsi a digiuno

La morale della favola qual è? Che potete scegliere se allenarvi o correre a digiuno oppure no, è indifferente. Quello che conta è quanto lavoro fate. Più vi allenate e più otterrete risultati. Quindi se allenarvi a digiuno vi permette, grazie alle maggior produzione di catecolamine e GH, d’essere concentrati e aggressivi sull’allenamento, fatelo.
Al contrario se vi sentite energici solo con le scorte piene, mangiate, aspettate almeno 3-5 ore per svuotare lo stomaco e poi correte/allenatevi.

Per chi non l’avesse ancora capito ripetiamo: non cambia un razzo. Purtroppo l’organismo è stato concepito troppo bene per lasciarsi fregare da queste strategie. E’ inutile che perdete ancora tempo alla ricerca del trucco, del vantaggio metabolico.

L’unica cosa che conta è farsi il culo. Potete pensare che se non avete ottenuto quello che volete è perché non avete ancora scoperto il “segreto”. Oppure semplicemente state cercando solo delle scuse.

Perché l’unica cosa importante è quanto siete disposti a dare quando vi allenate, quanto siete ligi quando mangiate. Tutto il resto serve solo per riempire le pagine di questo blog.

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Gestire le energie negli sport da combattimento

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Per un atleta che pratica sport da combattimento (SDC), una componente fondamentale per il raggiungimento di un obiettivo agonistico, è quello del saper gestire le proprie forze ed energie ed essere quindi efficiente, ancor prima che efficace, lungo tutta la durata dell’incontro. Questo aspetto ha una finalità di estrema importanza; il poter arrivare al termine del match il più lucido possibile ed ancora in grado di esprimere gesti atletici (pugni, calci, proiezioni, finalizzazioni, etc..) di qualità.

Il “saper gestire le proprie forze” è ovviamente un concetto molto vago e generico che va capito, approfondito e quindi migliorato lì dove possibile. La finalità di questo articolo è proprio la disamina di questo aspetto ed il suggerimento di alcune metodologie allenanti per migliorarlo se e quando dovesse essere carente.

energie sport da combattimento

Partiamo da un principio; ogni prestazione atletica è il frutto di una combinazione tra “Capacità coordinative” e “Capacità condizionali”.

Le prime rappresentano il livello di Qualità del gesto atletico, le seconde ci forniscono il livello di Quantità.

Le capacità coordinative sono:
  • Capacità di accoppiamento dei movimenti: è la capacità che permette ai muscoli di contrarsi al momento giusto quando la loro leva è più vantaggiosa.
  • Capacità di differenziazione: è la capacità di dosare la forza muscolare soprattutto negli sport dove la attivazione non massimale è fondamentale (pensiamo ad esempio alle specialità Light Contact).
  • Capacità di equilibrio : è la capacità di far cadere il centro di massa sul poligono di appoggio.
  • Capacità di orientamento: permette di valutare la distanza, la velocità, la durata e la traiettoria di un determinato gesto (ad esempio: colpire un soggetto in movimento)
  • Capacità di ritmo: alternare contrazioni e decontrazioni fondamentali per gestire il movimento umano (fondamentale ad esempio negli sport ciclici: ciclismo,nuoto, canottaggio, etc…).
  • Capacità di reazione: è la capacità di rispondere agli stimoli con l’azione motoria più rapida e meglio adeguata alle circostanze (ad esempio schivare, colpire e rientrare per uno Striker)
  • Capacità di trasformazione:è la capacità di combinare i movimenti in una soluzione continua.
Le capacità condizionali relative alla forza sono:
  • Forza massimale:  è la forza più elevata che il sistema neuromuscolare è in grado di esprimere con una contrazione muscolare volontaria (takedown, strangolamenti, immobilizzazioni nella lotta ne sono una tipica manifestazione)
  • Forza esplosiva: è la capacità di esprimere elevati gradienti di forza nel minor tempo possibile, per imprimere al carico da spostare la maggiore velocità (componente fondamentale nella esecuzione di pugni, calci, gomitate).
  • Forza resistente: è la capacità dell’organismo di resistere ad un certo di lavoro protratto nell’arco di tempo.
    Forza veloce: è la capacità di superare resistenze moderate con un’elevata velocità di contrazione.
  • Capacità metaboliche generali: capacità aerobica, VO2max, capacità di resistenza al lattato, etc…

Le capacità coordinative rappresentano in sintesi la “tecnica esecutiva” e quindi la “efficienza del gesto atletico”.
Le capacità condizionali, rappresentano invece la “la propulsione applicata alla tecnica” quindi la cilindrata del motore “l’efficacia del gesto atletico”.

Per le finalità di questo articolo ci concentreremo su una capacità generale che l’atleta deve possedere, quella del “saper gestire in modo efficiente le proprie energie lungo tutta la durata della competizione”; è questo l’aspetto che cercheremo di migliorare attraverso le metodologie proposte.

Appare evidente che qualsiasi strategia di gara, o qualsiasi metodologia di preparazione atletica risulteranno essere state inutili se l’atleta non è poi in grado di avere il “fiato” per portare a termine la propria sfida agonistica. Ve lo immaginate un pugile che esaurisce completamente le sue energie al quarto di dieci round?O anche un maratoneta che “scoppia” al quindicesimo chilometro?
Da cosa deriva quindi la capacità di avere le giuste scorte energetiche e la sufficiente resistenza per portare a termine egregiamente la propria competizione?

Le componenti di tutto questo sono ovviamente tantissime ma cerchiamo di riassumerle nei seguenti tre punti:

  • Una buona strategia/politica di gara: ad esempio, negli SDC, definire come si vuole approcciare l’incontro tenendo conto della tipologia di avversario che si affronterà: si farà un match di attacco o di difesa? Si vuol cercare subito di mettere KO l’ avversario o lo si vuole portare allo sfinimento?
  • Una buona preparazione atletica di base: migliorare quindi i sistemi energetici e le capacità condizionali necessarie. Questa componente è legata quindi al miglioramento atletico programmato nelle fasi preparatorie aspecifiche e semispecifiche.
  • Buona capacità di gestire le proprie energie: essere quindi efficienti ancor più che efficaci.

Troppo spesso, si vedono Fighters (questo accade soprattutto nel dilettantismo e tra gli amatori) a volte anche ben condizionati e preparati fisicamente, non riuscire stranamente a portare a termine il proprio combattimento (e quindi perderlo) per un esaurimento totale di fiato a metà match. Si dice in gergo tecnico che l’ atleta è “scoppiato”. Magari sono combattenti, questi, che hanno anche dedicato tempo ed energie ad eseguire buoni programmi di footing, scatti, HIIT e che molto probabilmente hanno davvero una ottima base atletica.

Fiato sport da combattimento

A cosa può essere allora dovuto questo grave inconveniente?

Il motivo potrebbe risiedere, a volte, anche in una cattiva, se non pessima, propriocezione delle proprie riserve energetiche ed in una sopravvalutazione del proprio potenziale. Mi spiego meglio.
Immaginiamo un pugile che, al suonare del gong, si scaglia contro il suo avversario sferrando una tempesta pugni alla rinfusa.  Molto probabilmente un atleta così disorganizzato, per quanto possa essere atleticamente allenato, è destinato a non arrivare nemmeno alla fine del primo round.

anaerobico-alattacido-sport-combattimentoI livelli di lattato con cui un pugile finisce l’incontro si aggirano intorno ai 10mmol/l.  Avere una sovrapproduzione di lattato superiore alle 12mmol/l fin dal primo round significa non portarsi a casa l’incontro.

Supponendo pertanto che la competizione in questione sia stata ben pianificata in termini di strategia ed ipotizzando che l’ atleta abbia affrontato un periodo di condizionamento efficace, non resta che insegnare allo stesso a migliorare la capacità di gestione delle proprie riserve energetiche correttamente. Questo aspetto, pertanto, concerne più la sfera psicofisica di approccio alla gara ed allo sforzo,  che il solo aspetto condizionale e coordinativo.

Fondamentalmente dovremo insegnare all’atleta ad avere una buona propriocezione della sua potenziale endurance e dovremo fargli capire come  gestire intelligentemente ed in modo efficiente la stessa per tutta la durata della sua gara.

Molto spesso ciò che manca negli atleti inesperti o alle prime armi è soprattutto questa componente che viene troppe volte gravemente sottovalutata o non considerata proprio in fase preparatoria. Ed a volte, paradossalmente, l’ aver fatto una buona preparazione atletica di base, conferisce all’atleta inesperto una sensazione di “onnipotenza” che lo pone nelle condizioni di iniziare la competizione esagerando il proprio ritmo/forza/velocità ed esaurendosi, quindi, prima del tempo.

Vale la pena di ricordare che non esiste preparazione atletica che possa fornire riserve infinite di “fiato”!

Come si può allora migliorare tutto questo e dare all’ atleta una migliore percezione di sé?

Suggerisco, fra le tante possibili, due metodologie di allenamento, che oltre ad avere degli effetti migliorativi a livello metabolico e condizionale (se ovviamente ben tarate e strutturate sia nel “come” che nel “quando”), hanno anche transfer positivo proprio sul grado di propriocezione atletica del soggetto da allenare.

Le due metodologie di allenamento (di diretta derivazione dal mondo del Crossfit) sono l’ AMRAP ed il FOR TIME.

In cosa consistono e perché utilizzarle?

AMRAP

La metodologia AMRAP (acronimo che sta per As Many Round As Possible) consiste nel avere un tempo limite a disposizione nel quale cercare di eseguire più ripetizioni/cicli possibile di un certo movimento/esercizio.  Il vincolo tecnico è pertanto il Tempo limite assegnato!

La metodologia AMRAP può essere applicata e settata (vale anche per il For Time) su esercizi di forza resistente, forza veloce, power endurance o esercizi aerobici classici (sulla breve, media o lunga durata)

Facciamo due esempi di allenamento strutturato in metodologia AMRAP.

Esempio 1

Chiedo all’ atleta di eseguire in 5 minuti il numero massimo di Push Up possibili.

In questo specifico caso stiamo allenando la forza resistente locale di breve durata, utile per esempio proprio ad uno striker. Per quanto l’ atleta possa essere fisicamente preparato, se non ha percezione della sua soglia limite di fatica, si lancerà con foga assoluta nel cercare di fare nel tempo prefissato (in questo caso 5 minuti) il numero massimo per lui possibile di piegamenti sulle braccia.

Partendo come un razzo, molto probabilmente esaurirà le sue scorte di energia già nel primo minuto, non riuscendo poi, nei restanti 4 minuti, a sviluppare un volume sufficiente di lavoro.

Programmando questo esercizio all’ interno di un mesociclo di allenamento, si noterà come l’ atleta, di volta in volta, riuscirà ad aumentare il volume di lavoro all’interno del tempo stabilito; questo avverrà non tanto per un miglioramento delle capacità condizionali, quanto per l’ aumento di efficienza ed organizzazione del gesto e aumento della propriocezione dei propri limiti (incontrando ogni volta un muro di fatica, l’ atleta impara a riconoscerlo ed a prevenirlo). In questa maniera, quindi, imparerà ad ottimizzare il dosaggio delle proprie energie nel tempo.

L’ atleta così allenato capirà come  settarsi su tante e brevi ripetizioni distribuite nel tempo  e acquisirà coscienza di quali sono per lui i tempi di recupero necessari tra un set e l’ altro.

Giusto per avere dei numeri di riferimento e magari potersi divertire a casa: in 5 minuti di tempo, un numero sufficiente di push up da eseguire è 100!

Esempio 2

Chiedo all’ atleta di percorrere correndo in 12 minuti (si può lavorare ovviamente anche su altre tempistiche in base alle necessità!), la distanza più ampia possibile. Con la corsa su media e lunga distanza andiamo a stimolare certamente il sistema aerobico.

Anche in questo caso, la ripetizione ciclicizzata di questo allenamento porterà il Fighter ad una migliore percezione della propria soglia di fatica ed a percorrere quindi nel tempo stabilito sempre una maggiore distanza.

In 12 minuti, un atleta mediamente allenato dovrebbe riuscire a percorrere almeno 2,5km! Superare i 3km vuol dire avere un metabolismo aerobico ormai ottimale. Migliorarlo non porterà ulteriori vantaggi sul ring.

Test su campioni regionali, nazionali o olimpici nel Judo, mostrano che la loro Vo2max, non differisce significativamente, il che vuol dire che la capacità aerobica non è un fattore predominante negli sport da combattimento. Raggiunto un grado di sufficienza ulteriori miglioramenti non portano a maggiori risultati.

capacita-aerobica-sport-combattimento

FOR TIME

La metodologia FOR TIME, è diametralmente opposta a livello concettuale, ma per la finalità del presente articolo ha la stessa funzione allenante.

Nel FOR TIME, io propongo all’atleta un certo volume di lavoro (ad esempio 120 Air Squat) che lui dovrà cercare di eseguire nel minor tempo possibile. In questo caso il vincolo tecnico è il Volume di lavoro assegnato!

Le valutazioni fatte per il principio dell’ AMRAP valgono anche per il FOR TIME.

In questo caso, un atleta poco attento alla gestione delle proprie forze, tenderà ad eseguire il lavoro previsto in un tempo troppo elevato facendo tanto/troppo all’ inizio e non riuscendo poi ad essere costante ed efficiente nel prosieguo della prestazione.

Per avere un riferimento di massima: 120 Air Squat dovrebbero essere eseguiti in circa 3 minuti!

Gestire le energie negli sport da combattimento: conclusioni

Sia AMRAP che FOR TIME, possono essere chiaramente inseriti in maniera oculata in termini di volume, intensità, densità e frequenza nei mesocicli di preparazione aspecifica Off- Season (o General Physical Preparation).

Per riassumere, con l’ allenamento in AMRAP e/o FOR TIME l’ atleta acquisirà pertanto:

  1. Percezione di cosa sia un limite di fatica per lui insormontabile.
  2. Prevenzione, attraverso la gestione delle proprie energie, del punto 1.
  3. Perché no, miglioramento condizionale se le variabili allenanti sono ben tarate anche per questa finalità.

E’ da tener presente che, essendo metodologie che puntano alla velocità di esecuzione (la fretta diventa una componente inevitabile in questi casi), è opportuno proporre all’atleta gesti atletici che conosce bene e che sa eseguire correttamente, onde evitare infortuni o esecuzioni completamente sbagliate.

Personalmente eviterei, inoltre, allenamenti AMRAP e/o FOR TIME nelle fasi preparatorie semispecifiche o specifiche nelle quali il soggetto deve dedicarsi sempre di più al miglioramento dei gesti atletici specifici propri della sua disciplina (negli SDC parliamo quindi di sparring, drills, etc…).

Articolo di Mattia Gargano.

NOTE SULL’AUTORE

Mattia Gargano – Resp.Tecnico Puglia Kombat League per il Settore Preparazione Atletica.

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Preparazione mentale nel sollevamento pesi olimpico.

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E’ come sollevare il mondo sopra (e grazie a) la tua testa e poi buttarlo giù

Non c’è alcun dubbio che gli aspetti mentali abbiano un grande peso nel sollevamento pesi. Quando un atleta fallisce un’alzata si sente spesso dire “non c’era con la testa“, “ha perso la testa“, si vede l’atleta indicare le proprie tempie affermando “ho un blocco qui, è tutto qui”.
La realtà, però, è che non tutti gli atleti dedicano sufficiente spazio all’allenamento mentale, come se i muscoli fossero gli unici protagonisti indiscussi, separati dal timone che governa tutto: il cervello. Al di là di ogni ragionevole evidenza.

La prestazione sportiva è all’80% mentale e al 20% fisica’, alla fine dell’articolo sarà chiaro il perché.

preparazione mentale sollevamento olimpico

Sollevare pesi è duro. ‘Snatchare’ è molto duro. È frustrante. Spesso bisogna fare i conti con la paura. Di farci male. Ma soprattutto di fallire, come atleti, come persone.
La preparazione mentale nello sport coinvolge molte tecniche, tante ovviamente applicabili al sollevamento pesi. Mi vorrei, però, qui soffermare su tre, a mio parere fondamentali: senso di autoefficacia, pensiero positivo e visualizzazione.
‘Ci provo’, ‘non ce la faccio’, ‘mi cadrà addosso’, ‘non sono abbastanza forte’, ‘non ci sono mai riuscito’. Quante volte questi pensieri affiorano alla mente prima di sollevare un peso massimale?

L’autoefficacia

Amanda+Sandoval+2012+Olympic+Team+Trials+Women+RwoaLGVvqQGl

L’autoefficacia è una caratteristica della personalità importante per la comprensione delle reazioni emotive e del comportamento dell’individuo. Il senso di autoefficacia è la convinzione di saper affrontare determinate prove, di raggiungere il successo, di possedere competenza, di potercela fare; influenza la continuità dell’impegno, la persistenza nel tempo dello sforzo. Gli individui si impegnano in certe attività e perseverano di fronte alle difficoltà se ritengono di essere in grado di poter incidere sul corso degli eventi.

È facile capire come questa percezione di se stessi possa influenzare profondamente l’approccio al sollevamento pesi. Chi possiede un alto senso di autoefficacia visualizza mentalmente immagini in cui si vede vincente, in cui è riuscito nell’alzata, ha stampata in mente un’immagine di se stesso con il bilanciere sopra la testa, rigido, immobile, fiero.  Viceversa, chi ha un basso livello di autoefficacia visualizza immagini di fallimento, concentrandosi selettivamente su tutto ciò che può andare male, una tenuta sbagliata, la difficoltà a rialzarsi, la caduta del bilanciere in avanti. In tal modo alimenta dubbi su se stesso e rende più difficile la riuscita del gesto atletico. Le persone con un basso senso di efficacia, di fronte a situazioni difficili, diventano sempre più inefficienti e le loro prestazioni inevitabilmente peggiorano, rendendo per esempio difficile la reazione all’errore.

Come cercare allora di aumentare il senso di autoefficacia? Tre sono le fonti principali:

  • I successi. I successi rafforzano il senso di efficacia personale. Successi anche piccoli. Bisogna continuamente sottolinearli all’atleta, egli non nota i piccoli miglioramenti, ma solo quelli che per lui sono grandi fallimenti. Quindi, continui rinforzi su tutto ciò che l’atleta fa bene o migliora; miglioramenti anche minimi.
  • Osservazione degli altri. L’osservazione di altre persone che raggiungono i propri obiettivi attraverso l’impegno e l’azione personale incrementa in chi osserva la convinzione di possedere anch’egli le capacità necessarie a riuscire. ‘Lui riesce perché si impegna. Tu ti impegni. Perché non dovresti farcela? Ci riesci anche tu’.
  • La persuasione. L’incoraggiamento a persistere di fronte alle difficoltà, il fatto di convincere e, quindi, di credere che l’atleta abbia le capacità necessarie per tentare un’alzata, concorre allo sviluppo della sua autoefficacia, in misura tanto maggiore quanto più è credibile la fonte. ‘Non c’è nessuna persona al mondo che non è capace di fare di più di quello che crede di poter fare’. Bisogna solo trasmetterlo, infonderlo all’atleta.
Il pensiero positivo

pensiero positivo

Strettamente connesso al senso di autoefficacia è il ‘pensiero positivo/self-talk positivo’. Quest’ultimo si basa ed auto-rinforza il senso di autoefficacia, innescando un circolo virtuoso. Prendiamo ad esempio alzate che coinvolgono il 60,70,80 % del massimale. L’atleta sa, è convinto di riuscire ad alzare quel peso. Il suo dialogo interno è focalizzato sulla frase ‘ce la faccio’. Ma cosa succede quando quello stesso atleta si avvicina al massimale? Quando deve affrontare il 95%? oppure quando è messo alla prova con un nuovo massimale? Si attiva la paura, si attiva il dubbio di non autoefficacia, aleggia la sensazione di fallimento. Ed ecco che la frase ‘ce la faccio’ solitamente diventa ‘provo, devo farcela’, fino ad arrivare a ‘non ce la farò’. E spesso è una profezia che si auto-avvera. È chiara la connessione, qui, tra autoefficacia e pensiero positivo. Per rimanere in uno stato di autoefficacia, quindi, frasi come ‘provo-devo farcela’, devono diventare ‘ce la faccio, voglio farcela, è una sfida per me, sono sicuro che..’, una frase come ‘non devo piegarmi in avanti’ deve diventare ‘mi concentro sul saltare verso l’alto’. La nostra mente, infatti, lavora per immagini, quindi, pensando a quello che non dobbiamo fare inevitabilmente visualizziamo proprio l’errore che vogliamo evitare. ‘Smetti di portare attenzione su ciò che non va, perché continui a dargli vita’.

La visualizzazione

visualizzazione

Quest’ultimo concetto ci porta dritti all’ultima tecnica di allenamento mentale che volevo presentarvi: la visualizzazione. Visualizzare significa utilizzare immagini mentali che rappresentano una sequenza di azioni motorie, che devono essere apprese o ottimizzate, immaginando di compierle col proprio corpo fin nei minimi dettagli, unendo anche percezioni sensoriali e propriocettive, con il fine ultimo di migliorare l’esecuzione del gesto atletico reale. La visualizzazione è un’abilità e come tale richiede pratica e allenamento; si inizia, quindi, visualizzando singoli dettagli, cercando di includere ogni gesto, sensazione, odore, immagine, rumore fino ad arrivare ad immaginare l’intera alzata.

Nel caso del sollevamento pesi, si inizia con il visualizzare di avvicinarsi al bilanciere, di sentire il freddo del bilanciere sugli stinchi, di sentire la pianta dei piedi che aderisce completamente al terreno, di avvertire la presa delle dita sulle zigrinature del bilanciere, di trattenere il fiato, di fissare un punto sul muro, di sentire la spinta sui piedi, di immaginare di elevarsi verso l’alto e così via fino ad arrivare alla sensazione e all’immagine mentale del bilanciere fisso ed immobile sopra la testa e sotto il pieno controllo dell’atleta.

La rappresentazione immaginativa di un movimento attiva proprio quelle aree della corteccia cerebrale che presiedono alla motilità di quei distretti corporei “allenando” un circuito neurale che è il medesimo che verrà poi utilizzato per l’esecuzione reale del movimento. Potete pensare quanto può essere utile questa tecnica prima di una gara? E per recuperare da un infortunio in cui non si può produrre effettivamente il gesto?

Si può concludere, quindi, che la visualizzazione consente di fissare la rappresentazione del gesto tecnico ottimale che si intende raggiungere, ripercorrendo con l’immaginazione il proprio allenamento, correggendo eventuali errori e favorendo la concentrazione, l’attenzione e la gestione dell’ansia, anch’esse pietre miliari nella prestazione ottimale nel sollevamento pesi, insieme all’autoefficacia e al pensiero positivo. 

‘La prestazione sportiva è 80% mentale e 20% fisica’. Siete ora d’accordo?

 

NOTE SULL’AUTRICE

Eleonora Orsi – Milano – Mail: orsi.ele@gmail.com
Laureata in Psicologia clinica all’università di Milano ‘Bicocca’, iscritta all’albo degli psicologi della Lombardia, specializzata in Psicologia dello sport e specializzanda in Psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Atleta agonista per A.S.D ‘Alex Club’ di Milano nella pratica sportiva del sollevamento pesi olimpico e nella distensione su panca.
Fin da sempre appassionata di nutrizione, allenamento, benessere e sport applica le conoscenze derivate dai suoi studi psicologici alle sue passioni, soprattutto per quanto riguarda la psicologia e lo sport, ponendosi come obiettivo di diffondere l’importanza della preparazione mentale e delle sue tecniche nella prestazione sportiva.

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Cosa mangiare dopo la palestra (integrazione)

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In questo articolo vedremo nello specifico, cosa mangiare dopo la palestra, concentrandoci soprattutto sull’integrazione post workout. E’ veramente essenziale integrare qualcosa o finito l’allenamento è sufficiente andare a casa e mangiare?
Dipende.
Dipende da cosa mangerete, da quanto tempo passerà, da quanto siete a digiuno, qual è il vostro livello, ecc. L’integrazione ha un grande vantaggio: è comoda. Non è essenziale ma ci semplifica la vita. Come vedremo a breve non servirà prendere 10.000 integratori. Anzi principalmente quasi tutto quello di cui abbiamo bisogno sono: carboidrati e proteine, scopriamo perché.

Contesti in cui ci troviamo finito l’allenamento

Due sono i contesti nei quali possiamo trovarci in seguito all’allenamento:

  1. Scorte energetiche fortemente depletate.
  2. Scorte energetiche moderatamente depletate.

Stiamo banalizzando e semplificando? Si, e anche molto, ma il tutto è funzionale a capire come comportarci con cosa mangiare dopo la palestra,  per cui vada con la banalizzazione.

Dunque al primo gruppo apparterranno situazioni di allenamenti particolarmente lunghi e strenuati, svolti a digiuno o in generale in condizioni di ipo-alimentazione etc. Nel secondo per esempio contesti di iper-alimentazione particolarmente accentuata (i.e. bulk spinto), allenamenti brevi o anche nel caso in cui si siano assunti nutrienti nel pre o intra-workout.

Cosa mangiare dopo la palestra: i Carboidrati

Diversi sono i motivi per cui risulterà logico assumere i carboidrati dopo l’allenamento:

  1. In seguito all’esercizio il nostro organismo è orientato al ripristino delle scorte energetiche consumate. Questo sia che siano “completamente” depletate, sia che siano state appena intaccate. Per avviare tutti i processi di adattamento è necessario prima il ripristino delle stesse (che è esso stesso un processo di adattamento). Vero è che, in situazioni di forte deplezione questa richiesta sarà più immediata ed impellente, in questo caso un’assunzione tempestiva potrebbe risultare logica, in altri casi potete anche farvi una doccia e/o tornare a casa, non succede nulla insomma.
  2. L’assetto metabolico e fisiologico è particolarmente favorevole all’assunzione di glucidi. Questo perchè la DNL è inibita, i GLUT-4 sono più recettivi, l’assunzione glucidica non porta ad uno shift metabolico a scapido dell’ossidazione lipidica (i.e. continuate a bruciare ciccia anche se assumente carboidrati) etc. Soprattutto però tutto questo condurrà ad un partizionamento dei nutrienti in favore del muscolo e a discapito del grasso. In sostanza essi verranno captati più verosimilmente da miocita e difficilmente dall’adipocita. Questo, durante periodi di iper-alimentazione protratti nel tempo, permetterà il ritardo dell’insorgere di fenomeni di insulino resistenza o di c.d. “resistenza anabolica”.
  3. Risulta logico assumere carboidrati nel momento in cui il nostro corpo lo richiede. Troppo spesso si guarda l’albero perdendo di vista il bosco. Tutti noi abbiamo un quantitativo glucidico da assumere nel corso della giornata, che lo contiamo oppure no a fine delle 24h avremmo assunto tot grammi di carboidrati. Bene, nel decidere come distribuirli, la cosa più sensata sarà di farlo nei momenti in cui vi è una richiesta organica (vedremo le eccezioni). Perdersi nel considerare singole variazioni o andamenti ormonali non ha senso. Il quadro è estremamente complicato ma soprattutto è posto solo per far fronte ad una necessità specifica dell’organismo (il bisogno di glucosio), allora.. perchè non partire direttamente da questa necessità?

 

Proteine post workout
Cosa mangiare dopo la palestra: le Proteine

Per quanto riguarda le proteine (o gli amminoacidi in generale) la letteratura non è unanime circa una loro utilità. Meglio, è unanime circa degli effetti positivi in acuto (aumento della proteosintesi) ma non è stato dimostrato che, sul lungo periodo, questo significhi miglioramenti della composizione corporea.

Ma allora perchè assumere le proteine dopo l’allenamento?

Semplice, perchè no?

Di nuovo ci si concentra sul benedetto albero e non si considera quel il bosco che c’è dietro.. Bullet poin please!

  1. Gli studi presentano delle limitazioni. Un esempio tra tanti è il fatto che pochi sono stati fatti a digiuno e dunque i soggetti potevano comunque contare su un determinato tasso di amminoacidemia nel sangue. Non parliamo poi dei protocolli d’allenamento.
  2. Il fatto che la letteratura non abbia dimostrato qualcosa non vuol dire che non sia vero. Per ora noi sappiamo che in acuto c’è un beneficio, questo è già di per sè un indizio che anche sul lungo termine potrebbe esservi un vantaggio. É importante capire che dobbiamo concentrarci su come è LOGICO comportarsi, non su come è SCIENTIFICAMENTE DIMOSTRATO sia giusto fare.
  3. La composizione corporea non è che un aspetto. Ammesso e non concesso (è da quando ho visto MIB III che volevo “dirlo”!) dicevo: ammesso e non concesso che sul lungo periodo non vi sia influenza sulla composizione corporea, questo non toglie che lo stimolo acuto alla proteosintesi abbia degli altri risvolti utili. In primis il fatto che andiamo a sfruttare un momento di iperemia locale per dar subito via a tutti i processi di adattamento necessari. Dunque potrebbe far la differenza in un contesto di alta frequenza allenante e non di bassa frequenza (riecco le limitazioni degli studi che tornano a farsi sentire).
  4. Risulta logico assumere le proteine in un momento in cui il nostro corpo le richiede. Di certo il corpo è in primis orientato al ripristino delle scorte energetiche ma il passo successivo (in questo caso contestuale) è quello di avviare i processi di adattamento per cui è necessario il materiale strutturale. Questo è tanto più vero quanto più abbiamo un basso tasso di amminoacidemia (allenamento a digiuno etc..). Il discorso è sempre quello: target di proteine da assumere durante la giornata, è logico andarle ad inserire anche a ridosso dell’allenamento, anche solo ci fosse un dubbio sulla loro utilità (che personalmente non nutro).

Cosa mangiare dopo la palestra integrazione

BCAA e altri miti post allenamento

Andiamo a vedere ora nello specifico alcuni “pilastri” del post-workout. I BCAA presentano due vantaggi:

  1. Aumento dell’uptake di glucosio grazie all’isoleucina [1] [2] [3].
  2. Aumento della proteosintesi grazie alla leucina.

Il primo è relativamente utile, in verità, come detto sopra, ci ritroviamo in una condizione nella quale i carboidrati vengono già metabolizzati con efficienza, l’isoleucina non da un valore aggiunto in merito.

Il secondo perde di utilità nel momento in cui consideriamo che la dose di Leucina necessaria per dare questo stimolo può esser raggiunta con facilità grazie ad una dose standard (il c.d. “misurino”) di Whey o anche Caseine (parliamo di un effetto massimo raggiunto già con 2-3g).

Soprattutto un altro concetto. I BCAA possono anche stimolare la proteosintesi, ma finchè non ci sono tutti gli aminoacidi essenziali questa non avrà modo di procedere. I BCAA a digiuno lasciano pertanto un po’ il tempo che trovano. L’integrazione di essenziali (EAA) o di Whey (che ne contengono un buon 45-50%) sembra la scelta migliore (in generale, per i prodotti specifici, rimando ai miei articoli su i carboidrati e gli amminoacidi a ridosso dell’allenamento). Peraltro la letteratura sui BCAA è piuttosto scarna in tema di termini di miglioramento della composizione corporea e i benefici sono dovuti al loro utilizzo come substrato energetico.

Altri amminoacidi o composti specifici (HMB, Creatina etc..) meriterebbero una trattazione a sè e soprattutto una valutazione del contesto generale.

Per conoscere di più sull’argomento scopri il nostro libro: Project Nutrition.

Project Nutrition

Uno spunto, per dimagrire

In un precedente articolo sul post workout abbiamo visto come, se lo scopo è dimagrire, può risultare utile evitare di assumere subito dei nutrienti per sfruttare al meglio l’assetto ormonale ed incentivare i processi di dimagrimento. Questo necessità di una precisazione.

Se il nostro scopo è anche quello di preservare la massa magra (come nella maggiorparte dei casi) allora dobbiamo cercare di tenere il più attivi possibile tutti i processi di proteosintesi muscolari. Questo ancor di più in seguito ad un allenamento con i pesi in quanto la sintesi proteica muscolare si pone come adattamento specifico allo stress ricevuto.

Una prima idea sarebbe quella di inserire il cardio e sfruttare il momento successivo a questo workout per ampliare gli effetti di dimagrimento. In effetti era una soluzione avanzata da diversi autori e ampiamente accettata in letteratura. Ultimamente si è avuta un’inversione di rotta. L’articolo scorso era del Marzo 2014, le cose cambiano, la letteratura scopre nuovi fatti, gli studi aumentano, le evidenze scientifiche mutano. Il Project muta con loro.

Come detto sopra, un’assunzione glucidica non porta ad uno shift metabolico, peraltro il postworkout è un momento che si presta bene a metabolizzare i nutrienti assunti (glucidi in primis). Questo per dire che il timing potrà verosimilmente aiutarci a mantenere alto l’input calorico e, di conseguenza, tutti i processi di adattamento allo stimolo allenante che massimizzeranno l’effetto ricercato di ricomposizione corporea (ritenzione di massa magra e perdita di massa grassa). Quindi anche se volete dimagrire assume i vostri glucidi post allenamento senza aspettare ore perché la beta-ossidazione è più alta. Se avete un quantitativo giornaliero,  sfruttatelo in questo momento.

Quali e quanti macro post workout 
  QUANTITA’ FONTI
Proteine 10gr di EAA – 2-3gr di Leucina Fonti ad alto VB più sensate
Carboidrati 50-70% delle kcal giornaliere Nel più dei casi anche cibo solido

 

Premettiamo fin da subito che periodi di iper o ipo-alimentazione particolarmente accentuati sfuggono da queste indicazioni.

  1. Per quanto riguarda i carboidrati va benissimo una fonte solida. L’utilizzo di integratori può convenire nel momento in cui vi siano più allenamento giornalieri o in contesti di deplezione molto spiccata delle scorte energetice. L’IG della fonte non ha troppa importanza, l’alta recettività dei GLUT-4 permette comunque una rapida captazione. Una buona scelta è quella di circoscrivere un 50-70% dell’introito glucidico giornaliero e comunque non scendere sotto 1,5gr/kg di peso corporeo, fermo restando che su di un soggetto in fisiologia l’introito calorico è il principale fattore da tenere in considerazione.
  2. La fonte proteica va scelta sulla base dell’introito di amminoacidi, converrà quindi scegliere una fonte ed un quantitativo di proteine che contenga c.ca 10gr di EAA e 2-3gr di Leucina (1 o 2 scoop di whey vanno più che bene).
Altri supplementi dopo l’allenamento

Integratori post allenamento

Per quanto riguarda gli altri supplementi il discorso si complica. Si dovrebbe fare un articolo per ciascuno di essi per spiegare se ed in quali contesti sia utile. Il punto è che in quei casi il discorso parte proprio dall’integratore. Ossia lo si assume nel postworkout perchè lo si è inserito nel proprio protocollo d’integrazione, non perchè questo va a portare benefici al postworkout (o meglio, non in maniera specifica). Ma questi discorsi generali lasciano il tempo che trovano. Vi illustro quindi tre integratori che potrebbero essere sensati:

  1. Creatina. Tutti la conosciamo, il meccanismo di azione si basa sul saturare le scorte muscolari. Ebbene risulta una buona mossa sfruttare la forte assunzione glucidica e il partizionamento dei nutrienti per veicolarne il più possibile all’interno del muscolo.
  2. Beta-alanina. Anche qui lo stesso discorso. Inoltre è stato riscontrato un effetto sinergico con la creatina (in cronico, non che si debbano assumere sempre nello stesso momento sia chiaro) per cui in genere la prima richiama la seconda e viceversa.
  3. HMB. Molto utile in periodi ipocalorici per il mantenimento della massa magra. 3gr divisi tra pre e post allenamento o tutti nel post allenamento possono essere molto efficaci. Un supplemento ancora relativamente poco studiato ma che presenta delle ottime potenzialità.
Cosa mangiare dopo la palestra: conclusioni

Un articolo forse per molti inutile. In sostanza siamo “scesi in campo” per dire quello che si è sempre detto ma questo porta sempre ad un arricchimento perchè è un punto di vista in più e se “su internet si legge tutto il contrario di tutto” forse abbiamo trovato un tema nel quale ci sono meno controtendenze e più unanimità.

Bibliografia essenziale

[1] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/14651987

[2] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17299083

[3] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16140883

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NOTE SULL’AUTORE
L’articolo: Cosa mangiare dopo la palestra è di Ludovico Lemme
Personal Trainer certificato ISSA e studente SaNIS (scuola di nutrizione e integrazione sportiva). Segue diversi atleti, sia dal vivo che online nel campo del Bodybuilding e del fitness in generale. Nel 2015 avvia il progetto Rhinocoaching con il quale si propone di creare una piattaforma di riferimento per i suoi atleti e per gli appassionati in generale.
Contatti: rhinocoachingofficial@gmail.com
Pagina FB: https://www.facebook.com/ludovicolemmemygrowth/
Sito Web: www.rhinocoaching.it

Qui Stefano esprime un parere contrario al nostro ve lo mettiamo per completezza d’informazione :)

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App Fitness: le 10 migliori

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Ormai il mercato delle app relative al fitness è in piena espansione. Ogni mese ne esce una nuova. In questa giungla abbiamo chiesto a Claudia Casanova (un’ingegnera biomedica appassionata di movimento e salute) di valutarci per lei le 10 migliori App Fitness presenti in Italia. Scrivici nei commenti cosa ne pensi ed aiutaci a fine articolo ad aggiungerne altre se credi che possano interessare gli altri lettori.

10 migliori app fitness

10 App fitness utili per gli appassionati 

Ormai è risaputo, l’attività fisica fa bene a corpo e mente. Sport e allenamenti ci mantengono in forma e in salute, ma contribuiscono anche a migliorare l’umore e a regalarci quel senso di benessere e relax post training tanto apprezzato dagli atleti.

La motivazione è la chiave del successo di ogni attività fisica, che si tratti di un programma di allenamento funzionale, di una sessione di running o di altre tipologie di sport. Ma la vera difficoltà è riuscire a mantenerla sempre al massimo e puntare dritti agli obiettivi che ci si è prefissati.

Ci saranno sempre i giorni in cui ci si sente esausti da una giornata di lavoro, in cui il meteo non è favorevole, o in cui non si ha proprio voglia di rispettare la propria tabella di marcia. Per mantenere costanza e determinazione può essere di grande aiuto stabilire i propri obiettivi e misurarli giorno per giorno. Come? Semplice, monitorando la propria attività fisica! La percezione dei miglioramenti (anche i più piccoli) rappresenta un grande incentivo per andare avanti!

Esistono un’infinità di App in grado di supportarci in tal senso. Inoltre, con gli smartphone Android e iOS, tutte le app di salute sono in grado di comunicare tra loro e scambiarsi dati, permettendoci di avere una visione globale sul nostro stato di forma. Questo significa che l’attività fisica misurata con un’app verrà riconosciuta anche ad esempio dall’app che utilizzate per monitorare la vostra alimentazione.

Ecco le 10 migliori app fitness e salute da scaricare nel vostro smartphone!

Esistono diverse tipologie di App dedicate a sport e fitness. Le più diffuse sono sicuramente orientate al monitoraggio dell’attività fisica in termini di frequenza cardiaca, e vengono utilizzate insieme a un activity tracker o un sensore cardio. All’interno di questa tipologia, in particolare si trovano:

1) RuntasticRuntastic

E’ una delle app più complete e diffuse tra gli amanti dello sport. E’ molto utilizzata tra i runner ma in realtà può monitorare oltre 63 sport indoor e outdoor. In base alla tipologia di attività monitorata vengono attivate diverse funzionalità (es. il gps per misurare distanza e velocità nel caso di attività outdoor).

Runtastic mette a disposizione un diario della propria attività completo di dati tra cui distanza, velocità, altitudine (per le attività outdoor), frequenza cardiaca e calorie consumate. E’ possibile settare allenamenti e obiettivi, e sfidare una propria prestazione precedente.

Runtastic è disponibile sia in una versione gratuita, limitata in alcune funzionalità, sia in una versione a pagamento più completa, Runtastic Pro. Esiste anche la possibilità di attivare una membership premium pagando un canone mensile, che da diritto a statistiche più dettagliate e piani di allenamento funzionale (con l’app Results) o di running, agendo anche sul fattore motivazionale con story run, incitazioni da parte della community e monitoraggio dei record personali.

Sito Runtastic

2) Nike + Running

Nike Running

E’ un app gratuita firmata Nike molto diffusa tra i runner, utilissima per monitorare velocità, distanza, altitudine e calorie bruciate. I dati vengono mostrati attraverso grafici interattivi che mostrano l’intero percorso effettuato. L’app mette a disposizione tabelle di allenamento gratuite, utili per raggiungere obiettivi personalizzati.

Nike+ Running, come le altre app Nike+, è caratterizzata da un sistema di punteggio chiamato Nike Fuel, calcolato in base all’attività fisica svolta, contando anche le altre tipologie di allenamento monitorabili con le altre app Nike+. In base ai Nike Fuel raggiunti e ai Km percorsi vengono poi stilate delle classifiche tra i membri della community. Dopo ogni allenamento è possibile scattare una foto a cui vengono sovrapposti i dati ad esempio di distanza e percorso della sessione; questo aspetto ha ottenuto un grande successo lato social.

Cavalcando l’onda del functional training e dell’home fitness, nell’ultimo periodo sono nate diverse app che offrono delle vere e proprie guide di allenamento adatte a tutti i livelli di preparazione atletica. Esistono sia programmi gratuiti che a pagamento: generalmente si tratta di allenamenti funzionali, che non richiedono l’utilizzo di attrezzi particolari ma che si basano su movimenti che sfruttano la forza di gravità e il peso del proprio corpo.

Sito Nike Running

3) Runtastic Results

Runtastic result

Si tratta di un’altra app Runtastic (in totale sono veramente tante!), che permette di accedere con la sottoscrizione di una membership premium a un programma di allenamento di 12 settimane personalizzato in base al proprio livello di preparazione. I costi variano in base alla tipologia di pacchetto acquistata, e sono compresi tra €1,17/settimana e €2,33/settimana.

Results prevede un test iniziale per stabilire il proprio stato di forma. Viene poi generato un programma aggiornabile di settimana in settimana attraverso un sistema di feedback fornito dopo ogni allenamento.

Nell’app è presente anche una sezione dedicata a consigli di nutrizione e benessere, e sono disponibili oltre 120 video con l’esecuzione di numerosi esercizi, che permettono di allenarsi in autonomia dal warm up allo stretching.

Sito Runtastic Result

4) Nike+ Training Club (NTC):

Nike+ Training Club (NTC)

App gratuita Nike che permette di creare un proprio allenamento in base all’obiettivo che si vuole raggiungere (dimagrire, tonificare o potenziare) e al proprio livello di preparazione fisica. Il programma di allenamento funzionale può essere integrato con sessioni di running (l’app comunica con Nike+ Running). Sono presenti numerosi video che spiegano la modalità di esecuzione degli esercizi. Nonostante si tratti di esercizi standard e adatti a tutti, la linea di comunicazione è tendente al pubblico femminile.

Sito Nike+ Training Club (NTC)

5) Freeletics

Freeletics

Si tratta di un app che mette a disposizione gratuitamente numerosi workout e esercizi, con video esplicativi sulle modalità di esecuzione. Per avere un programma ben definito e personalizzato è necessario acquistare il coach, che di fatto è una membership a pagamento con un costo mensile variabile in base al pacchetto acquistato, compreso tra €1,66/settimana e €2,91/settimana.

Sito Freeletics

6) Sweat with Kayla

Sweat with Kayla

Stessa tipologia di app, creata in questo caso da una guru australiana del fitness, Kayla Itsines, ormai nota alle donne di tutto il mondo. Anche in questo caso si tratta di un programma di 12 settimane di allenamento funzionale, creato principalmente per le ragazze. L’app è gratuita e può essere utilizzata gratuitamente per la prima settimana; successivamente è richiesto il pagamento di un canone che si aggira intorno ai €4,60/settimana.

Sweat with Kayla contiene anche una sezione dedicata all’alimentazione in cui viene consigliata una dieta sana ed equilibrata in base alla tipologia di alimenti abitualmente consumati nella propria alimentazione.

Sito Sweat with Kayla

7) Fitstadium

Fitstadium

E’ un app molto intuitiva dal punto di vista grafico che offre un programma di allenamento funzionale creato a partire da un test sul livello di preparazione atletica. Ad ogni allenamento si ottiene un punteggio, chiamato Glow, utile per definire un livello che rispecchia lo stato di forma.

E’ presente anche una sezione dedicata all’alimentazione in cui vengono mostrate sotto forma di icona, pasto per pasto, le tipologie di alimenti da assumere. E’ possibile testare l’app gratuitamente per un periodo limitato, successivamente viene richiesto il pagamento di un canone che varia tra €1,54/settimana e € 2,92/settimana, in base al pacchetto acquistato. Il nostro Erik Neri è uno dei modelli e lo puoi trovare anche su questo sito negli articoli relativi al Calisthenics.

Sito Fitstadium

Esistono poi alcune app di salute che ormai sono immancabili negli smartphone degli appassionati di sport e fitness:

8) MyFitnessPal

myfitnesspal

E’ un app utilissima per monitorare l’alimentazione; conta le calorie degli alimenti assunti durante la giornata, e le confronta alle calorie bruciate misurate dalle altre app di salute connesse.

Vanta il database nutrizionale più completo in circolazione, con oltre 3 milioni di prodotti alimentari completi di tutte le informazioni nutrizionali necessarie. Ogni prodotto può essere ricercato attraverso il nome del prodotto o il codice a barre; è possibile caricare nuovi prodotti o inserire le proprie ricette all’interno del database. L’app consente di fissare e monitorare degli obiettivi, ed è molto utile se si vuole controllare la  propria alimentazione senza perdere troppo tempo.

Sito MyFitnessPal

Un’altra applicazione simile molto ben fatta è FatSecret

Sito FatSecret

9) Interval Timer

Interval Timer

App utilissima per tutti coloro che praticano allenamenti a circuito. E’ un timer molto flessibile che consente di impostare anche circuiti di diversa durata scegliendo le ripetizioni da effettuare.

Sito Interval Timer

10) Pact

Pact

Infine se tutto ciò non è sufficiente per farvi alzare dal divano, ecco l’app più motivante di tutte!

Si chiama Pact, e permette di settare degli obiettivi in termini di attività fisica e alimentazione. Quando gli obiettivi vengono rispettati l’app paga l’utente, in caso contrario è l’utente che paga l’app (e l’importo in questo caso è maggiore!).

L’idea è molto innovativa, ma alcune funzionalità sono ancora da sviluppare o migliorare. Al momento è perfetta per tutti coloro che camminano o corrono abitualmente, e hanno un contapassi interno o esterno allo smartphone (activity tracker).

Sito Pact

Prima di concludere vi segnaliamo anche l’app appena uscita di Vivereinforma
Ora non vi resta che provarle!

Visita il mio blog www.claudiacasanova.it e seguimi sui social!

NOTE SULL’AUTRICE DELL’ARTICOLO APP FITNESS 

Claudia Casanova laureata in ingegneria biomedica, appassionata di fitness, salute, tecnologia e food. Sperimento e condivido nuovi trend di allenamento e fitness, vivo uno stile di vita sano ma senza troppe rinunce, ho un debole per la tecnologia e le novità!

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Diversificazione degli stimoli (TUT-ROM)

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Diversificare gli stimoli nel bodybuilding è fondamentale. In questo video Riccardo e Virginia ci mostreranno alcune varianti che possiamo applicare al TUT e ROM dell’esercizio.

RICCARDO GRANDI Pontevico (BS) Mail: sustainablebodybuilding@gmail.com
Sito: http://www.sustainablebb.com
Classe 1969… Nato (culturisticamente parlando) all’età di 14 anni dove mi approccio alla palestra come preparazione atletica nel judo. Ma a 19 anni diventa la mia unica attività. A 21 anni iniziai ad insegnare come istruttore. Ho iniziato a preparare atleti agonisti all’età di 24 anni senza alcuna esperienza, ma con buoni risultati. Diventa il mio lavoro aprendo prima una palestra e poi un’altra. Come imprenditore del fitness perdo “la gioia” del lavoro di preparatore e per qualche anno esco dal mondo del BB. Nel 2011 rientro nel mondo del BB portando in gara 1 atleta… L’anno dopo fu ancora 1 più me stesso, poi 5, e via via sino ad oggi… Ora dirigo una squadra agonistica di 28 atleti TUTTI AGONISTI e soprattutto TUTTI DRUG FREE !!!! Altri 8 in preparazione per il 2017. Ho agonisti che partono dai 21 sino ai 69 anni. I miei atleti hanno vinto diversi titoli italiani e fatto gare internazionali. Il mio motto è CAMPIONI SI DIVENTA !!!

VIRGINIA MATISEEK (Milano) Professionista WNBF e vincitrice del titolo assoluto NBFI 2015
Atleta AIF (http://www.accademiaitalianaforza.it)

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Come l’anatomia influenza lo squat

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Avrete sicuramente notato come ogni persona possa avere più o meno difficoltà ad eseguire lo squat ed arrivare all’accosciata sotto il parallelo. Si cerca infatti di insegnare lo schema motorio dello squat in modo standardizzato per ogni persona, piedi larghi come le spalle, leggermente extraruotati, ginocchia che seguono la linea dei piedi e bacino che scende sotto il parallelo. Questo può andare bene in alcune persone ma in molte altre può non essere il metodo migliore e più funzionale alla loro struttura corporea, poiché tutti siamo diversi e quindi tutti dovremo eseguire potenzialmente uno squat diverso dagli altri per meglio seguire la nostra biomeccanica corporea.

Come l'anatomia influenza lo squat

I fattori che influenzano lo squat

Ci sono due particolari fattori che vanno ad influenzare l’esecuzione del gesto dello squat e sono:

  • La mobilità
  • L’anatomia
La mobilità

La mobilità rappresenta l’ampiezza di movimento di un’articolazione, il cosiddetto ROM (Range of Motion). Una riduzione quantitativa e qualitativa della mobilità articolare determina rigidità articolare che può essere dovuta a fattori miofasciali come stati contratturali o retrazioni ed articolari, come rigidità capsulari o legamentose. Quelli che abbiamo citato sono tutti impairment che possono essere corretti nel tempo con un programma di stretching e mobilità articolare. Quello di cui voglio parlare in questo articolo sono i fattori non correggibili che influenzano lo squat.

L’anatomia

L’ elemento che più determina il tipo di squat che la persona andrà ad eseguire e che non è in qualche modo possibile cambiare è l’anatomia delle ossa, diversa l’uno dall’altro, in particolare quelle dell’anca. L’anca è un’enartrosi formata dalla testa del femore che si inserisce nella cavità acetabolare nel bacino che permette degli ampi movimenti sui 3 piani dello spazio.  Il collo femorale presenta un’inclinazione sia sul piano frontale che orizzontale e si inserisce nella cavità acetabolare che si trova rivolta leggermente verso il basso, verso avanti e verso l’esterno. L’angolo di inclinazione sul piano frontale è normalmente di 135° mentre quello sul piano orizzontale, chiamato angolo di antiversione, è in media di 15°.

Ci sono variazioni importanti di questi angoli nella popolazione, anche dal punto di vista genetico, le popolazioni dell’Est Europa e dell’Asia infatti presentano un’accentuazione dell’inclinazione sul piano frontale (coxa valga) oltre che una minor profondità della cavità acetabolare (borrow hip socket) ed una maggior lunghezza del collo femorale mentre le popolazioni Africane e dell’Europa del Nord e di origine celtica (Scozia e Francia per esempio), presentano una riduzione di questo angolo (coxa vara) oltre che una maggior profondità della cavità acetabolare (deep hip socket o coxa profonda).

Entrambi questi tipi di condizioni presentano dei vantaggi e degli svantaggi.

coxo valga varaImmagine di “http://themovementfix.com”

La coxa vara, a sinistra, ossia la diminuzione dell’angolo di inclinazione sul piano frontale diminuisce la mobilità su tutti i piani dello spazio perché, in flessione, la testa del femore va in conflitto precocemente con l’acetabolo.

Presenta però delle caratteristiche positive. L’avvicinamento del grande trocantere al bacino, infatti, a causa dell’orizzontalizzazione del collo femorale, aumenta il braccio di leva dei muscoli abduttori che producono un maggior momento torcente con la necessità di minor forza in situazioni come la stazione eretta e la fase di pieno carico della deambulazione, dove l’orizzontalità del bacino viene garantita proprio dal medio gluteo. Riducendo la quantità di forza espressa a causa del maggior braccio di leva si riducono anche le pressioni articolari preservando l’articolazione dal rischio di artrosi future. Un potenziale effetto negativo è però l’aumento del momento torcente a carico del collo femorale che aumenta il rischio di fratture a carico di questa struttura.

Nella pratica dello squat soggetti che presentano queste caratteristiche sono svantaggiati nel raggiungimento della posizione in accosciata profonda, che raggiungeranno molto difficilmente ed avranno bisogno di un aumento della stance ben oltre la larghezza delle spalle per evitare il conflitto della testa del femore con l’acetabolo durante la flessione d’anca e quindi il blocco dell’accosciata. Sono però favoriti in tutte quelle situazioni in cui è importante un’ottima espressione di forza, quindi nella corsa e nella deambulazione, dove inoltre presentano maggiore stabilità articolare.

La coxa valga, a destra, ossia l’aumento dell’angolo di inclinazione sul piano frontale aumenta la mobilità in tutti i piani dello spazio poiché la testa del femore ha uno spazio di movimento molto ampio. Diminuisce però la stabilità articolare perché la testa del femore non si trova nella posizione di massima convergenza con l’acetabolo e distribuisce le forze in maniera non uniforme portando il rischio di sviluppare coxartrosi. Lo scarico verticale delle forze sul collo del femore riduce lo stress al collo stesso, però, aumenta il rischio di lussazione superiore e quindi il rischio di displasia dell’anca. Sul piano muscolare la diminuzione del braccio di leva di abduttori ed estensori ne riduce la forza che possono sviluppare, sono quindi sfavoriti nella corsa e nella deambulazione.

Angolo articolazione coxo-femorale

Nella pratica dello squat, soggetti che presentano queste caratteristiche sono avvantaggiati nel raggiungimento di una posizione in accosciata profonda con una stance relativamente stretta poiché presentano una grande mobilità articolare. Ne sono un esempio la grande varietà di sollevatori dell’est europa ed ultimamente cinesi che calcano le pedane mondiali, non sono li per caso ma anche perché presentano una struttura geneticamente favorevole.

Angolo di antiversione

Angolazione coxo-femorale squatImmagine di “squatuniversity.com”

Secondo uno studio demografico del Dott. Ankur Zalawadia sull’angolo di antiversione di femore può esserci una differenza massima di 20° nella popolazione, che influisce notevolmente sulla mobilità individuale in flessione d’anca. Consideriamo un individuo che presenta un angolo di antiversione molto ridotto (Immagine a sinistra) rispetto alla norma, durante la flessione il femore si troverà a “sbattere” contro l’acetabolo dopo pochi gradi di movimento, ci sarà quindi un conflitto femoro-acetabolare precoce. E’ questa la differenza che può esserci tra un soggetto che fatica ad arrivare al parallelo ed uno, invece, che pur non avendo mai fatto squat raggiunge la posizione “ass to the grass” facilmente, potrebbe avere un aumento dell’angolo di antiversione (immagine a destra) che permette al femore di avere un range di movimento in flessione molto più ampio permettendo una mobilità articolare inimmaginabile per altre persone.

tabella angolo coxo-femoraleTabella di “http://www.theptdc.com/”

La tabella sovrastante ci permette inoltre di capire che ci sono anche differenze considerevoli nell’angolo di antiversione di femore tra la gamba destra e quella sinistra della stessa persona. Può perciò risultare inutile o addirittura controproducente insistere nella simmetria dell’esecuzione e nella posizione parallela dei piedi e spesso utilizzare un’impostazione che risulti più confortevole per il soggetto, anche se tecnicamente e simmetricamente non perfetta, potrebbe presentare dei vantaggi.

Forma dell’acetabolo

Forma acetaboloImmagine tratta da: http://themovementfix.com/

Per complicare ulteriormente le cose bisogna considerare anche la forma e la posizione dell’acetabolo. Anch’esso può posizionarsi a seconda del soggetto in antiversione come nell’immagine a sinistra ed in retroversione come in quella di destra, ci possono essere fino a 30° di differenza. Applicando il ragionamento fatto nei paragrafi precedenti possiamo intuire da soli come l’orientamento dell’acetabolo di sinistra possa favorire un aumento del ROM articolare in flessione d’anca e quindi il raggiungimento di posizioni in accosciata molto profonda nello squat.

Al contrario, un acetabolo molto retroverso come quello di destra limita di molto la mobilità in flessione, favorendo però l’estensione dell’anca. Questo soggetto infatti non potrà mai diventare un sollevatore olimpico, ma potrà essere un ottimo velocista poichè la mobilità che geneticamente possiede nell’estensione d’anca lo favorisce nella corsa sprint dove questa fase del gesto atletico è molto importante per la spinta. Ci può essere una differenza anche nella profondità dell’acetabolo, come abbiamo già detto le persone dell’est europa ed Asia tendenzialmente tendono ad avere un acetabolo poco profondo (borrow hip socket) che ne favorisce la mobilità a scapito della stabilità. Individui africani e dell’europa nord-occidentale, invece, tendono ad avere un acetabolo molto profondo (deep hip socket) che ne favorisce la stabilità a discapito della mobilità. Non è un caso infatti che le nazioni dell’Est e dell’Asia tendano ad avere incidenze di displasie dell’anca nei bambini molto più alte del resto del mondo, con l’apice in Polonia, e l’anatomia dell’anca è uno dei fattori che riveste più importanza in questo.

Si potrebbe dire semplicisticamente che geneticamente ognuno di noi ha le caratteristiche per essere campione in qualche sport, tutto sta nell’avere la fortuna di praticare fin da bambino quel determinato tipo di sport, al netto dei fattori ambientali e contestuali.

Come valutare il tipo di anca?

E’ molto difficile nella pratica clinica capire il tipo di anca di un soggetto senza avvalersi di indagini strumentali. E’ possibile però eseguire alcuni test per averne almeno un’idea generica ed impostare quindi al meglio il programma di allenamento del soggetto.

Come prima cosa potrebbe essere utile fare una valutazione del ROM articolare nella rotazione d’anca. Viene effettuato con la persona seduta con anca e ginocchio flessi a 90°, e si fa portare il piede verso l’esterno per l’intrarotazione d’anca e verso l’interno per l’extrarotazione.

Test rotazione ancaImmagine tratta da “themovementfix.com”

Ad anca flessa, un soggetto sano dovrebbe raggiungere normalmente i 45-50° in extrarotazione ed i 40-45° in intrarotazione, se ciò non dovesse essere si presuppone la presenza di alcuni impairment che ne limitano la mobilità.

E’ importante effettuare una diagnosi differenziale per capire la struttura che limita la rotazione e lo si fa valutando il fine corsa articolare, il cosiddetto endfeel. Se è elastico, ossia si può apprezzare una resistenza cedevole durante la prova dell’esaminatore negli ultimi gradi dovuta allo stiramento dei tessuti molli, la causa può essere di tipo miofasciale: retrazioni o stati contratturali. Nella pratica è la sensazione che si avverte al termine della fisiologica flessione di ginocchio. Se è tesa, ad esempio come la resistenza avvertita dall’esaminatore al termine della rotazione esterna della gleno-omerale, si parla invece di rigidità capsulare o legamentosa. Se è dura, ad esempio come la resistenza al termine dell’estensione di gomito, si parla di un conflitto osseo.

Attraverso una valutazione dell’articolarità dell’anca in rotazione, esclusa la presenza di retrazioni e stati contratturali muscolari caratterizzati da endfeel elastici, correggibili attraverso un programma di stretching e mobilità articolare, è quindi possibile fare delle ipotesi sull’anatomia dell’anca in base ai gradi di rotazione più ampi.

Un soggetto con un’accentuazione dell’antiversione del collo femorale tenderà a compensarla attraverso un’intrarotazione di femore, alla nostra valutazione avrà quindi una mobilità maggiore in rotazione interna rispetto a quella esterna. Al contrario, un soggetto con una retroversione del collo femorale tenderà a compensarla in rotazione esterna ed alla nostra valutazione risulterà quindi maggiormente mobile in questi gradi di movimento rispetto all’intrarotazione.

Piede e posizione del bacino

BIBLIOGRAFIA

Kinesiology of the Musculoskeletal System: Foundations for Rehabilitation – Donald A. Neumann

http://www.hindawi.com/journals/isrn/2011/238607/

http://link.springer.com/article/10.1007/BF01626533#page-1

http://njirm.pbworks.com/f/4femoral_neck_antiversion.pdf

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11764371

http://ptjournal.apta.org/content/84/6/550

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1634572

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11764371

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L’articolo: Come l’anatomia influenza lo squat è di Niccolò Ramponi

NOTE SULL’AUTORE
Niccolò Ramponi, studente di Fisioterapia presso l’Università degli studi di Verona e personal trainer FIPE. Sito: http://lascienzainpalestra.it
Pagina Facebook: https://www.facebook.com/lascienzainpalestra/

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Alcuni punti fondamentali sullo Stretching

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Punti fondamentali nello stretching
Lo stretching o allungamento muscolare è una forma di esercizio fisico di tipo statico (o dinamico) che privilegia la flessibilità articolare e l’allungamento muscolare. La posizione viene raggiunta in maniera molto lenta e viene tenuta per un certo periodo (stretching statico). Lo stretching coinvolge la respirazione, il rilassamento e la percezione del proprio corpo; stimola inoltre la produzione di liquido sinoviale che va a lubrificare le articolazioni e contrasta l’usura della cartilagine e l’artrosi, consentendo una maggiore escursione dei capi articolari.
Per praticare stretching correttamente è molto importante il ruolo della respirazione. Gli atti respiratori associati agli esercizi contribuiscono a rilassare la muscolatura ed aumentare il flusso sanguigno, favorendo lo smaltimenti dei cataboliti nei muscoli. Oltre alle fibre muscolari, sollecitano anche il connettivo (tendini, miofascia, legamenti) presente nella struttura contrattile. Il tessuto connettivo è estensibile, ma se non viene regolarmente sollecitato con l’esercizio fisico, tende a perdere questa caratteristica fondamentale.

L’allungamento come abbiamo visto produce molti benefici, specie in riabilitazione, per chi ha problemi ai tendini (classica epitrocleite al gomito, per esempio) lo stretching attivo (ottenuto tramite la contrazione del muscolo antagonista), aiuta le fibre di collagene a ritrovare la giusta direzione nei tendini lesionati.
Ma non è vero che lo stretching previene gli infortuni?
NO, lo stretching non influenza solo la parte plastica del tessuto, ma anche quella propriocettiva. Allungamenti prolungati (superiori ai 10″) interagiscono con la risposta del fuso neuromuscolare. Il muscolo perde così, in parte, la sua capacità di contrarsi correttamente e rapidamente, perdendo sia in forza, sia in velocità ma anche in propriocezione. I recettori muscolari sono una sorta di salvavita che si attivano per prevenire i traumi neuro-muscolari. Essi sono:
  • Fusi Neuromuscolari, sono sensori che si muovono parallelamente alle miofibrille, quando quest’ultima si allunga troppo, il fuso, attraverso il nervo sensorio, manda un segnale al midollo spinale per far contrarre (accorciare) il muscolo. In questo caso si parla di riflesso di allungamento estensorio.
  • Organi tendinei del Golgi, sono posti tra muscoli e tendini, si attivano con sollecitazioni molto forti e prevengono i traumi attraverso il completo rilassamento del muscolo, questo fenomeno prende il nome di inibizione autogena.

fusi-neuromuscolari-organo-tendieno-del-golgi

Atleti di potenza eseguono (o dovrebbero eseguire) così inizialmente il classico stretching statico e la mobilità articolare. Questo permette di rendere “comodo” tutto il range di movimento. Tuttavia prima della prova, per riattivare i fusi, conviene eseguire lo stretching balistico, quello che per anni è stato bandito e vietato (in buona parte giustamente). Questo tipo di allungamento, in soggetti allenati e preparati, aumenta la velocità di reazione e riequilibra la risposta fusale dopo che è stata in parte soppressa dallo stretching statico.
In generale è meglio eseguire gli allungamenti al termine di una sessione dall’allenamento, mentre conviene evitarli tra un esercizio e l’altro perché potrebbe aumentare il rischio di traumi.
Se i vari gruppi muscolari sono efficienti, lo saranno anche i recettori (in particolare gli enterocettori), ciò permetterà una maggiore consapevolezza ed una percezione del proprio corpo più precisa. In una tale situazione gli schemi motori saranno appresi ed automatizzati più rapidamente.

Diversi tipi di stretching:
  • CRS (Contrazione Rilassamento e Stretching). Questo sistema consiste nel contrarre isometricamente il muscolo in questione per 10/15 secondi, rilassarlo per 5/6 secondi e attuare un ulteriore l’allungamento.
  • Stretching Balistico. E’ il primo tipo di allungamento conosciuto e in genere non viene utilizzato nei centri sportivi e nelle palestre, perchè è pericoloso in quanto fa attivare nel muscolo il riflesso di stiramente. E’ un sistema di stretching accantonato giustamente nei centri fitness per la sua pericolosità. Il metodo è semplice, si arriva in posizione di allungamento e poi si inizia a mollegiare.
  • Stretching Dinamico. Questo sistema è consigliato in programmi sportivi in cui sono  previsti movimenti ad elevata velocità, poichè agisce sull’elasticità di muscoli e tendini. Il muscolo agonista contraendosi tende ad allungare il muscolo antagonista. La tecnica prevede anche di slanciare in modo controllato le gambe o le braccia, in una determinata direzione.
  • PNF (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation). Questo sistema di stretching è diviso in 4 tempi:
    1) Si raggiunge il massimo allungamento in modo graduale e lento.
    2) Si esegue una contrazione isometrica per circa 15/20 secondi (sempre in posizione di massimo allungamento).
    3) Rilassamento per circa 5 secondi.
    4) Si allunga nuovamente il muscolo (contratto precedentemente) per almeno 30 secondi
    L’intero procedimento è da ripetere per almeno due volte. Questo tipo di stretching, viene usato molto nella terapia di riabilitazione.
  • Stretching Statico. E’ il sistema più conosciuto, quello codificato da Bob Anderson. Questo sistema di stretching, con le sue posizioni e il suo modo di respirare, prende spunto dallo yoga e fonda la sua pratica in esercizi di stiramento muscolare allo scopo di mantenere il corpo in un buono stato di forma fisica.
  • Stretching in Catena. Questo sistema prevede di mettere in allungamento tutta la catena muscolare. Quando un muscolo si accorcia spesso il corpo cerca compensi all’interno della catena muscolare. Mettendola interamente in tensione avremo così un allungamento globale. Questo tipo di stretching è molto efficace a livello connettivale.
  • Stretching Miofasciale. Le rigidità dei tessuti possono essere di differenti tipi: muscolari, connettivali, propriocettive. Se i propriocettori rimangono attivati un muscolo non si rilascerà mai completamente. Lo stretching miofasciale rilascia, attraverso la pressione, i trigger point permettendo così un allungamento sia strutturale che neurale.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      Articolo del  Dott. Francesco Del Zotti
NOTE SULL’AUTORE
Nell’ Ottobre del 2015 ho conseguito la laurea in “Scienze delle attività motorie e sportive” presso l’università Gabriele d’Annunzio con sede a Chieti. Sono un operatore specializzato nell’applicazione del Taping Elastico, tecnica molto diffusa nel mondo sportivo a livello agonistico. Dall’estate del 2015 inizio a lavorare in una palestra a Chieti, dove seguo i miei clienti con allenamenti personalizzati.
Da 4 anni seguo bambini dai 6 ai 9 anni in diversi sport, i miei allenamenti si focalizzano sullo sviluppo della motricita’ di base attraverso esercizi di nuova generazione come gli esercizi psicocinetici e propriocettivi. Nel 2014 compio la mia prima esperienza lavorativa come preparatore atletico, seguendo per tutta la stagione una squadra di calcio.
A Febbraio 2016 apro il sito web www.MONDOALLENAMENTO.it
Pagina FB: https://m.facebook.com/mondoallenamento/
Sito Web: http://www.mondoallenamento.it/
Contatti: francesco.delzotti@hotmail.it

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Nutrient Timing: è davvero importante?

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Il nutrient timing è una strategia alimentare che prende in considerazione il tempo di assunzione di determinati alimenti soprattutto in prossimità dell’allenamento. Secondo alcune teorie questa strategia, se opportunamente sfruttata, potrebbe portare benefici significativi nella performance atletica, nello sviluppo della massa muscolare e nel recupero dei danni muscolari causati dall’allenamento.

Nutrient Timing

Soprattutto nel bodybuilding si è diffusa nel corso degli anni la convinzione dell’esistenza di una “finestra anabolica” o meglio una “finestra delle opportunità”, cioè un arco temporale nei pressi dell’attività fisica entro il quale sarebbe opportuno consumare rapidamente determinati nutrienti (proteine e carboidrati in particolare), pena la perdita di parte dei benefici indotti dall’allenamento. Secondo molti tale finestra durerebbe pochissimo tempo – meno di 1-2 ore dalla fine del workout – e rappresenterebbe il momento più importante dal punto di vista nutrizionale anche più dell’intake calorico consumato durante la giornata. [1]

Ma è davvero così determinante? In che condizioni può essere presa in considerazione ed in quali può essere invece considerata superflua? Dura davvero così poco?

Cominciamo col dire che i punti fondamentali sui quali si basano le teorie del nutrient timing e della finestra anabolica sono:

  • la resintesi del glicogeno epatico e muscolare;
  • la sintesi proteica

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Ricordati di leggere anche Cosa mangiare dopo la palestra

Carboidrati e risintesi del glicogeno

Le prime teorie riguardo l’importanza del nutrient timing si sono diffuse alla fine degli anni ’80 in seguito alle ricerche condotte dal dottor Ivy e dal suo team. Il dottor Ivy fu uno dei pionieri dello sviluppo delle teorie legate al nutrient timing, tant’è che nel 2004 pubblicò anche un libro dal titolo “Nutrient Timing: The Future of Sports Nutrition” in cui esponeva le sue considerazioni sull’importanza della finestra anabolica [2] . In particolare in uno dei suoi primi studi era stata valutata la velocità di ripristino delle riserve di glicogeno in soggetti che praticavano ciclismo ed era stato evidenziato come il consumo di carboidrati (2g/kg) entro un’ora dal termine dell’allenamento portasse una maggior velocità di ripristino delle riserve di glicogeno. Al contrario, consumare dopo almeno due ore una stessa quantità di glucidi avrebbe potuto ritardare il recupero delle energie e comprometterne la performance. [2][3][4].Infatti il gruppo che aveva ritardato l’assunzione della soluzione di carboidrati presentava una riduzione del 50% del glicogeno rispetto all’altro gruppo che aveva integrato la stessa dose ma più rapidamente.

A partire da quel momento si sono diffuse una lunga serie di teorie riguardo l’importanza di assumere carboidrati immediatamente dopo l’allenamento, indistintamente dal tipo di attività fisica svolta.

In realtà lo studio di Ivy (tutt’oggi forte sostenitore dell’importanza del “nutrient timing”) prendeva in considerazione soggetti che svolgevano attività di endurance dalla durata di diverse ore. In tali circostanze la velocità di ripristino delle riserve di glicogeno assume un ruolo fondamentale in quanto spesso gli atleti di sport di resistenza svolgono più sessioni d’allenamento durante la giornata. Infatti negli sport di endurance se non si assume una quota glucidica adatta tra un allenamento e l’altro svolto nella stessa giornata non si ha il tempo necessario di ripristinare il glicogeno perduto [5] Secondo diversi studi il ripristino delle riserve di glicogeno avverrebbe comunque nel giro di 24 ore o addirittura nell’arco di 8 ore [4] se una quantità sufficiente di carboidrati viene consumata durante la giornata indistintamente dal timing in cui questi vengono assunti. L’attività della glicogeno-sintasi, un enzima che promuove l’immagazzinamento del glicogeno, pare infatti aumentare in seguito un allenamento intenso seguito anche da un aumento della traslocazione dei GLUT-4 sulla membrana cellulare. Questo vuol dire che se svolgiamo attività fisica ogni 24 o 48 ore e riusciamo ad assumere una buona quantità di carboidrati non ha molto senso preoccuparsi del recupero delle energie tra un’attività e l’altra in quanto basterebbe già consumare dei pasti regolari e seguire una dieta equilibrata per il raggiungimento di tale scopo.

Mentre quindi un atleta di endurance può sicuramente preoccuparsi maggiormente del recupero nel post workout lo stesso non si può dire per chi pratica attività fisica contro resistenza (resistance training (RT) o allenamento coi pesi). E’ stato dimostrato più volte che con un allenamento RT è praticamente impossibile esaurire tutte le riserve di glicogeno. Pare infatti che, secondo più studi, tali allenamenti causino una deplezione del glicogeno non superiore al 20-40% [6][7][8] ciò varierebbe a secondo della durata dell’allenamento, dagli esercizi e dall’intensità dell’attività fisica svolta. D’altronde maggiore è lo svuotamento del glicogeno più velocemente avviene anche la sua resintesi. Considerando che solitamente la frequenza di chi si allena coi pesi è di circa un allenamento al giorno o addirittura anche ogni due o tre giorni, vi è tutto il tempo a disposizione affinché la resintesi del glicogeno possa avvenire, indistintamente dal timing glucidico stabilito nel post-workout.

In sostanza le persone che potrebbero preoccuparsi del timing di assunzione dei carboidrati sono:

  • Atleti di endurance che effettuano allenamenti distanziati da meno di 8 ore (ciclisti, maratoneti…)
  • Pesisti che si allenano due o più volte al giorno allenando lo stesso gruppo muscolare (Es: mattina dorso, pomeriggio braccia o nuovamente dorso)

Per tutti gli altri atleti che si allenano massimo una volta al giorno le preoccupazioni per la resintesi del glicogeno risulta superflua.

Sintesi proteica

Un altro punto importante su cui vertono le teorie legate al tempo di assunzione dei nutrienti riguarda la sintesi proteica e quindi la costruzione della massa muscolare. Per diversi anni nel mondo dei pesi si sono avvicendate teorie circa l’importanza di assumere proteine entro un brevissimo lasso di tempo alla fine dell’allenamento per massimizzare al meglio la sintesi proteica (MPS) e innescare così tutta una serie di processi che avrebbero portato dei maggiori guadagni in termini di massa magra. Per ottimizzare tali guadagni si è anche più volte consigliato l’assunzione di carboidrati insieme ad una dose di proteine in quanto si è più volte creduto che i primi potessero avere un ruolo importante nell’innescare i processi anabolici innalzando i livelli di insulina. In realtà è ormai stato scoperto da tempo che oltre ad avere un ruolo quasi marginale nei processi anabolici nel muscolo scheletrico – mentre invece sono stati dimostrati i suoi effetti anti-catabolici – l’insulina può essere facilmente sintetizzata anche attraverso il consumo di soli cibi proteici.

Ma andiamo per ordine.

Iniziamo col dire che il mantenimento della massa muscolare è regolato da processi di bilanciamento tra la perdita di proteine (MPB) e la loro sintesi (MPS). Se sussistono le condizioni affinché la MPS sia maggiore della MPB avverrà un guadagno netto sulla sintesi proteica che si tradurrà in possibili guadagni di massa muscolare. Se accade il contrario invece il catabolismo muscolare prenderà il sopravvento causando una riduzione della massa magra.

Durante l’allenamento – sia che esso sia aerobico o anaerobico – avviene una riduzione della MPS mediante l’incremento della AMPK e l’inibizione dell’mTOR dovuto alla riduzione dei suoi regolatori ovvero della fosforilazione della 4EBP-1 e dell’S6K1 [9]
Al contrario, il catabolismo proteico (MPB) non sembrerebbe subire delle variazioni durante il corso dell’allenamento rispetto alle condizioni di riposo e di digiuno. La proteolisi nella prima mezzora successiva al workout presenterebbe valori ancora solo leggermente elevati mentre aumenterebbe in maniera significativa, fino al 30-50%, nelle 3 ore successive e potrebbe perdurare fino a 24 ore. [10]. Nelle condizioni di digiuno la proteolisi è estremamente elevata dopo 195 minuti dalla fine del workout [11].

Un ruolo importante nel contrastare i processi catabolici seguenti l’allenamento pare essere svolto dall’insulina. Quest’ultimo è un ormone al quale sono state date nel recente passato funzioni importanti a volte anche superiori a quelle realmente possedute. Tra le funzioni più importanti dell’insulina vi è quella di agire come anti-catabolico inibendo il sistema ubiquitina-proteasoma [12]che rappresenta uno dei fattori di trascrizione della proteolisi [13]. Teoricamente, riducendo la proteolisi successiva l’allenamento il bilanciamento proteico verrà shiftato a favore di un guadagno sulla sintesi proteica. Per questo motivo spesso si attribuisce all’insulina il ruolo di ormone anabolico pur agendo principalmente da anticatabolico.

I livelli di insulina necessari per contrastare la proteolisi si attestano ad un valore pari circa a 3-4 volte i livelli a digiuno, valori che sono facilmente raggiungibili con un normale pasto misto [14]. Per molto tempo si è pensato che l’aggiunta di carboidrati alle proteine nell’immediato post-workout potesse aumentare maggiormente i livelli di insulina fornendo quindi dei maggiori vantaggi nella sintesi proteica. In realtà si è visto che con il solo consumo di 45 g di proteine già dopo 40’ si raggiunge già il picco di insulina necessario per massimizzare il bilancio proteico fino alle due ore successive. [15] Da diversi studi è stato riportato che l’aggiunta di carboidrati ad una soluzione di proteine nel post-wo non mostra alcun maggior vantaggio sul bilancio proteico rispetto al consumo di sole whey o caseine [16][17]. Si può quindi affermare che l’effetto dei carboidrati sull’insulina in presenza di proteine risulta essere superfluo.
Anche il solo allenamento sembra promuovere la sintesi proteica nel post-workout fino a due volte i livelli normali soprattutto a partire dalle 2 ore successive fino a perdurare anche 48 ore. [10] Ciononostante non sembra comunque ancora essere sufficiente per contrastare la proteolisi muscolare quando il soggetto si allena in condizioni di digiuno.

Per quanto riguarda il consumo di proteine in una serie di studi Levenhagen et al avevano mostrato che il consumo di proteine nell’immediato post-workout apportava maggiori guadagni nella sintesi proteica rispetto agli atleti che ritardavano il consumo di proteine [18][19] La limitazione principali di tali studi è che i soggetti, come nel caso degli studi di Ivy, erano atleti di endurance che come abbiamo già visto prima hanno necessità maggiori nel rispettare il timing dei nutrienti.
Rasmussen et al [20] infatti non avevano individuato alcuna differenza su atleti di sollevamento pesi tra chi consumava proteine 1 ora o 3 ore dopo l’allenamento. Entrambi i gruppi mostravano incrementi del 400% della MPS.

La stimolazione della MPS indotta dalle proteine sembrerebbe essere dovuta in particolare alla presenza della leucina (un aminoacido presente nelle proteine, soprattutto le whey), che stimola un sensore intracellulare per gli aminoacidi, ovvero l’mTOR.
Affinché la sintesi proteica venga stimolata a dovere è importante che sia presente un continuo flusso di aminoacidi in circolo (iperaminoacidemia), ciò spiegherebbe i motivi per cui sarebbe consigliato dare importanza all’immediato post-wo nel caso in cui ci si allenasse in condizioni di digiuno. Negli altri casi sarebbe comunque prudente consumare una quota di proteine pari a 0,4-0,5 g/kg sia nel pre- e che nel post-workout ad una distanza di circa 4-6 ore.

Per approfondire gli argomenti scopri il nostro libro Project Nutrition

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Protein Timing e Ipertrofia

Riguardo invece la questione legata all’ipertrofia e al nutrient timing i pareri e gli studi sembrano essere ancora contrastanti. Mentre quasi la metà degli studi sembrano confermare la presenza di effettivi vantaggi sulla crescita muscolare nei soggetti che tendono a consumare proteine e carboidrati in prossimità dell’allenamento, altri studi invece non sembrano essere dello stesso parere. La questione non è ancora abbastanza chiara per il semplice fatto che la maggior parte degli studi presentano delle limitazioni come: l’età dei soggetti esaminati (spesso sono anziani), l’esperienza degli atleti (a volte non sono allenati), l’intake proteico (il più delle volte non è controllato e pareggiato), l’utilizzo di diversi protocolli di allenamento e la durata degli studi (quasi sempre a breve termine). La maggior parte delle conclusioni sulla presunta presenza di una finestra anabolica sembrano dettate più che altro da considerazioni o esperienze personali più che da basi scientifiche solide.

Esistono in particolare 3 studi dove il consumo proteico era controllato tra i vari gruppi [21][22][23]. Tra questi in due studi era stato mostrato un incremento dell’area della sezione trasversa (CSA) del muscolo usando metodi di misura differenti come l’MRI [21] e la DXA [22] Il terzo studio invece non aveva evidenziato nessun cambiamento [23]. Alcune di queste misurazione (MRI, DXA, CT…) non risultano essere però molto attendibili e possono facilmente subire variazioni oltre a non essere in grado di mostrare piccole variazioni nella massa che possono essere determinanti per atleti di competizione [24]

Di recente è stata condotta una meta-analisi da parte di Schoenfeld e Aragon [25]- due ricercatori che negli ultimi anni si sono interessati parecchio sull’argomento – in cui sono stati presi in esame una serie di 23 studi per un totale di 525 soggetti per valutare gli effetti del timing proteico sull’ipertrofia.  Mentre in un primo momento era emerso un piccolo effetto del timing proteico sull’ipertrofia, nelle successive analisi è stato notato che la maggior parte dei soggetti che rispettavano il timing consumava anche una quota maggiore di proteine (1,7 g/kg Vs 1,3 g/kg). I ricercatori sono arrivati alla conclusione che se anche esistesse un certo vantaggio nel consumare una dose di proteine nell’immediato pre- o post-workout, questo sarebbe comunque molto piccolo.

Mentre quindi per un bodybuilder di alto livello potrebbe avere comunque senso rispettare il timing proteico per massimizzare i guadagni ipertrofici, per un soggetto che si allena da poco tempo o in maniera amatoriale non fa molta differenza se le proteine vengono consumate a distanza di qualche ora dalla fine dell’allenamento in quanto la quota di proteine totale consumata durante la giornata sarebbe comunque più importante del timing proteico.

Quant’è importante quindi il nutrient timing?

Alla luce degli studi analizzati finora possiamo trarre le conclusioni che, nonostante l’effettiva presenza di una finestra anabolica (o delle opportunità), questa risulta comunque durare abbastanza a lungo, circa 4-6 ore o anche più, da non dover essere una grossa preoccupazione, in atleti non di vertice, al raggiungimento dei nostri risultati, sia che essi siano estetici o prestativi.

Negli ultimi anni è stata creata da Helms  – e riportata anche da altri autori – una piramide che mostrerebbe le priorità da tenere in considerazione quando creiamo un piano alimentare. Alla base di tale piramide troviamo l’introito calorico e successivamente i macronutrienti e i micronutrienti. Ciò sta ad indicare che i primi fattori di cui preoccuparci saranno l’introito calorico – ovvero la quantità di calorie assunte nel corso della giornata, o ancora meglio durante le settimane o i mesi – e la ripartizione dei nutrienti, cioè la suddivisione di carboidrati, grassi, proteine e la presenza di vitamine e minerali.

Nella stessa piramide il timing dei nutrienti viene collocato quasi all’apice dando a questo un ruolo abbastanza marginale. Alcuni esperti asseriscono infatti che il “timing” possa influire al massimo per il 5-10% circa nel totale della dieta.

Se siamo quindi atleti amatoriali  e ci alleniamo solo per stare bene possiamo anche non tenere troppo conto del timing visto che esso influisce solo per una piccolissima percentuale. Se invece siamo atleti di alto livello seguire con precisione il timing di assunzione dei vari nutrienti può portare quei benefici che, seppur piccoli,  in certi contesti  soprattutto agonistici possono anche fare la differenza.

Piramide fattori alimentari

Da “Muscle and strength nutrition pyramid” di Eric Helms

Quando è invece importante tenere conto del timing?

Per concludere, a seguito una tabella schematizzata sull’utilità o meno del nutrient timing a secondo delle situazioni e dell’attività fisica svolta, rivisitata e tradotta da una slide presentata in una conferenza tenuta da Alan Aragon, ricercatore ed uno dei maggiori esperti nel campo della nutrizione sportiva.

Elementi importanti alimentazione

Tradotta da: AA Aragon Continuum of nutrient timing importance. NSCA Personal Trainer conference April 2012

BIBLIOGRAFIA:

1)Aragon et al. 2013 – Nutrient timing revisited: is there a post-exercise anabolic window?
2)Schuler e Aragon 2014 – The lean muscle diet
3)Ivy et al. 1998 – Muscle glycogen synthesis after exercise: effect of time of carbohydrate ingestion.
4)Helms et al 2014 – Evidence-based recommendations for natural bodybuilding contest preparation: nutrition and supplementation.
5)Haff et al. 1999 – The effect of carbohydrate supplementation on
multiple sessions and bouts of resistance exercise.
6)MacDougall et al. 1999 – Muscle substrate utilization and lactate production.
7)Tesch et al. 1986 Muscle metabolism during intense, heavy-resistance exercise.
8)Robergs et al. 1991 Muscle glycogenolysis during differing intensities of weight-resistance exercise.
9)Dreyer et al. 2006 Resistance exercise increases AMPK activity and reduces 4E-BP1 phosphorylation and protein synthesis in human skeletal muscle
10)Kumar et al. 2009 – Human muscle protein synthesis and breakdown during and after exercise.
11)Pitkanen et al. 2003 – Free amino acid pool and muscle protein balance after resistance exercise.
12)Greenhaff et al. 2008 – Disassociation between the effects of amino acids and insulin on signaling, ubiquitin ligases, and protein turnover in human muscle.
13) Siliprandi; Tettamenti – Biochimica Medica
14) Capaldo et al. 1999 – Splanchnic and leg substrate exchange after ingestion of a natural mixed meal in humans.
15) Power et al. 2009 – Human insulinotropic response to oral ingestion of native and hydrolysed whey protein.
16) Koopman et al. 2007 – Coingestion of carbohydrate with protein does not further augment postexercise muscle protein synthesis.
17) Staples et al. 2011 – Carbohydrate does not augment exercise-induced protein accretion versus protein alone.
18) Levenhagen et al. 2001 – Postexercise nutrient intake timing in humans is critical to recovery of leg glucose and protein homeostasis.
19) Levenhagen et al. 2002 – Postexercise protein intake enhances whole-body and leg protein accretion in humans.
20) Rasmussen et al. 2000 – An oral essential amino acid-carbohydrate supplement enhances muscle protein anabolism after resistance exercise.
21) Cribb et al. 2006 – Effects of supplement timing and resistance exercise on skeletal muscle hypertrophy.
22) Esmarck et al. 2001 – Timing of postexercise protein intake is important for muscle hypertrophy with resistance training in elderly humans.
23) Hoffman et al. 2009 – Effect of protein-supplement timing on strength, power, and body-composition changes in resistance-trained men.
24) http://www.lookgreatnaked.com/blog/our-meta-analysis-of-protein-timing-thoughts-and-perspectives/
25) Schoenfeld et al. 2013 – The effect of protein timing on muscle strength and hypertrophy: a meta-analysis.

L’articolo: Nutrient Timing è di Ivan Pitrulli
NOTE SULL’AUTORE
Classe ’92 laureato in scienze delle attività motorie e sportive presso l’università di Palermo, ha sviluppato durante gli studi la passione verso la letteratura scientifica attraverso la quale cerca di combattere i falsi miti che girano nelle palestre su allenamento e nutrizione.

Mail: ivan.pitrulli@gmail.com

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Dolcificanti artificiali: fanno male e fanno ingrassare?

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Abitualmente torna di moda la questione dolcificanti artificiali. C’è chi si chiede come facciano a non avere calorie (o quasi), chi se fanno male ed ultimamente è nato anche il dubbio che facciano ingrassare più dello zucchero. Possibile?

Vediamo di rispondere a queste domande partendo dalle Big Babol, vi ricordate quanto andavano di moda e quanto erano buone? Avevano quel sapore zuccherato, quel sapore che ti fa cariare, al solo pensiero, i denti. Poi sono arrivate le cicche nuove allo xilitolo e di colpo, al posto che causare le carie le prevengono. Ecco, per lo stesso principio potrebbero far ingrassare più dello zucchero. Confusi?
Tranquilli vediamo ora di spiegare perché.

Correlazione dolcificanti artificiali, aspartame, cancro.

A guardare questo episodio della trasmissione televisiva Report, sembrerebbero non esserci dubbi. L’aspartame fa venire il cancro. Eppure negli anni la letteratura scientifica ha pubblicato diverse peer view che lo scagionano da questa ipotesi. Chi ha ragione, gli studi sono stati realmente manipolati per poter dare il via libera a questo dolcificante artificiale?

Purtroppo non sta a noi poter dare una risposta, a seconda della propria indole complottista oppure no daremo ascolto alla scienza o alle insinuazioni. Diverse inchieste giornalistiche hanno accusato i ricercatori d’aver soppresso diversi capi animali per non rientrare nella casistica di quelli che si erano ammalati per via dell’aspartame.

Rimandiamo una risposta definitiva tra qualche anno, ad oggi rimanendo “scientifici” non possiamo che negare l’ipotesi che i dolcificanti artificiali, se assunti nelle dosi raccomandate, possano realmente aumentare di molto il rischio di cancro. Non più di altre sostanze ben più note che mangiamo coi prodotti da forno, o quando cuociamo alla griglia la carne.

Per cui ad oggi, forse conviene non fasciarsi la testa, non esagerare e non evitare un alimento semplicemente perché ha dell’aspartame. Sicuramente, nello stesso modo, non conviene abusarne.

Dolcificanti artificiali ed enzimi

Ogni alimento che mangiamo per essere assimilato deve poter essere attaccato da specifici enzimi. Gli amidi saranno colpiti dalle amilasi, i grassi dalle lipasi, ecc. Quando qualcosa come la cellulosa o la fibra è “indigesta” non può essere assimilata e viene o digerita dai nostri batteri o semplicemente finisce nelle feci. Questo vale per noi ma anche per tutti gli altri esseri viventi, compresi i batteri.

All’inizio dell’articolo abbiamo parlato di un dolcificante artificiale presente nelle cicche, lo xilitolo. Bene non caria i denti perché questo zucchero non può essere attaccato dagli enzimi dei batteri dentali. I quali una volta che lo assumono, non potendo metabolizzarlo ne rimangono danneggiati.
La stessa cosa avviene per i nostri batteri intestinali i quali quando vengono a contatto con molti dolcificanti artificiali, non possono nutrirsene. Questo ha una ripercussione negativa sul nostro bioma intestinale, il quale perde d’efficacia e funzionalità.

E questo cosa comporta?

Vuoi sapere ne di più? Scopri il nostro libro Project Nutrition

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Flora batterica, dolcificanti artificiali e obesità

Conoscete il detto, siamo quello che mangiamo? Bene non solo, siamo anche quello che mangiano i nostri batteri intestinali. Per ogni cellula del nostro corpo ospitiamo 10 batteri, i quali se messi tutti assieme arrivano a pesare 2-3kg.

Noi siamo a contatto con l’esterno non solo attraverso la cute ma anche attraverso il nostro tubo digerente. Per questo è popolato da diversi ceppi di batteri biosimbionti, che trovano rifugio nel nostro organismo e che in cambio ci proteggono dall’aggressione di altri batteri patogeni. Ma non solo. Ci proteggono anche delle calorie in eccesso.

Una volta che i macronutrienti vengono scissi, prima di venir assorbiti ed entrare nel circolo portale o linfatico, devono superare anche il nostro microbioma intestinale, il quale si nutre, in parte, degli eccessi calorici.

Gli animali che vivono in batterie dall’allevamento spesso si ammalano, pertanto vengono sottoposti a uso intensivo d’antibiotici. Questi uccidono sia i batteri cattivi ma anche quelli della flora intestinale. Gli allevatori hanno osservato che dopo cure antibiotiche gli animali acquistano peso. Con meno batteri simbionti le calorie sono più disponibili.

Così, tornando ai nostri dolcificanti artificiali, è vero che se gli mangiamo non assumiamo calorie, ma dall’altra danneggiamo, come coi batteri dentali, i nostri amici intestinali, diminuendo la nostra barriera.

Che semaforo per i dolcificanti?

La rivista altroconsumo ha stilato una breve classifica su quali dolcificanti artificiali preferire.

  • Semaforo verde per l’aspartame e la stevia
  • Semaforo arancione per l’acesulfame K
  • Semaforo rosso per il cicclamato e la saccarina

Di seguito riportiamo la tabella dell’INRAN sui dolcificanti.Tabella dolcificanti artificiali

Dolcificante: conclusioni

Cadere preda di facili giudizi o pregiudizi è sempre facile. La questione dolcificanti artificiali è sicuramente complessa e negli anni andrà a chiarirsi sempre di più. Pertanto dobbiamo semplicemente inquadrarla per quello che è: uno dei mille fattori che interagiscono con la nostra salute e composizione corporea.

Non conviene bere litri e litri di coca cola zero al giorno, anche se non ha calorie. Nello stesso modo non conviene neanche privarsi dei dolcificanti artificiali.
Quello che sicuramente conviene è imparare a ricalibrare il gusto del dolce. Perché al gusto ci si abitua.

Ci vogliono 12 settimane per ricalibrare il gusto del dolce.

Se per 12 settimane imparate a non usare lo zucchero o un dolcificante artificiale, non sarete più dipendenti da questo sapore. Imparerete ad assaporare il cibo per quello che è, gusterete la frutta come oggi fate con un dolce. Perché in fondo, quello che conta non è tanto dolcificanti artificiali si o no, ma riappropriarsi delle buone abitudini.

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Il percorso di Fran (Ironmanager) per le prossime gare di BB natural (Parte 2)

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Ciao ragazzi! Dopo il primo articolo di presentazione ed annuncio del ritorno sul campo di gara dopo 24 mesi di offseason (link articolo precedente), eccomi di nuovo qui sul Project a darvi un veloce aggiornamento sulla mia preparazione alle prime gare della stagione agonistica di quest’anno, cominciando da Luglio 2016.

Prossimi Appuntamenti Agonistici
  • 2 Luglio (#10WeeksOut)English Grand Prix 2016, gara di Bodybuilding & Fitness organizzata dalla Panther’s Gym e IFBB inglese (UKBFF) all’interno dell’evento World Power Expo – ExCel, Londra

Come ho già spiegato sul mio blog, questa gara sarà essenzialmente “di rodaggio” e per l’esperienza di salire su un palco importante con atleti professionisti di fama internazionale. Riconosco i miei limiti genetici e la mia scarsa “competitività’” su questo palco dovuta alla mia scelta di seguire un percorso da bodybuilder drug-free. Ho partecipato alla stessa gara organizzata dalla mia palestra nel 2014 ed il livello degli atleti nelle categorie Bodybuilding era altissimo. Sto ancora valutando in queste settimane la possibilità di debuttare nella categoria Classic Physique (che sara’ lanciata in UK proprio con questa gara) oppure di provare per una volta “il fascino della passerella” come Men’s Physique! LOL! Stay Tuned! J

Fran

24 Luglio – (#13WeekOut) UKDFA Southern Counties  – Rientro ufficiale sul palco di gara del Bodybuilding Natural con questa gara di qualificazione alle Finali Brittaniche di Autunno. In questo caso salirò sul palco di battaglia nella Categoria Pesi Medi (o sopra gli 80Kg) e tentare di qualificarmi per le finali.

Peso attuale: 85.5Kg
Body Fat attuale (stima): 10.5-11%
Circonferenza vita: 77.5cm

Addominali(12 Aprile 2016)

Altri fattori ed impegni

Nelle prossime settimane sarò in viaggio fino a metà Giugno per fiere del Fitness, impegni di lavoro, photoshoots, meet-ups dell’IronManager Army, etc…per questa ragione ho scelto fin dalle scorse settimane di partire per tempo con la preparazione per arrivare alla fase clou (quella piu’ intensa e con piu’ forte restrizione calorica) senza soffrire piu’ di tanto, per poi cominciare una Reverse Diet 3-4 settimane prima di salire sul palco. Molti di voi mi hanno chiesto se non sono partito con troppo anticipo considerando la già bassa body fat in off-season. La mia logica, dettata dagli ultimi anni di esperienza pre-gara, si articola in questi punti:

  • Lo stress dei viaggi e dei prossimi appuntamenti a Maggio e Giugno mi hanno costretto a partire per tempo per raggiungere una condizione accettabile fin da subito e “far abituare” il mio corpo a questa nuova composizione corporea per poi scendere ulteriormente di body fat nelle settimane centrali della preparazione – il concetto di Blasts e Cruises che presento anche nel mio ebook gratuito Ripped & Shredded 
  • Mi alleno in palestra da quasi 18 anni e sono un tipo realista: come Bodybuilder Natural mi rendo conto che arrivati a questo punto del mio percorso, non posso pretendere di mettere sulla mia struttura Kg e Kg di Filetto magro (massa muscolare) ogni anno – arrivati a questo punto mi devo accontentare di lavorare sulla qualità e durezza muscolare cercando di migliorare ogni anno la composizione corporea o rapporto Massa Magra/Massa Grassa – questo spiega perché non mi “sporco” in modo esagerato in offseason ed il mio peso sia in massa che in gara è rimasto pressoché costante negli ultimi 3 anni (86-87Kg in offseason ed intorno agli 80Kg in gara)
  • Nonostante l’addome scolpito a 10 settimane dalla prima gara, vi assicuro che ho anch’io del grasso da perdere prima di tornare sul palco (gli addominali si intravedevano anche 6 anni fa quando pesavo 101Kg! I punti forti sono i primi a migliorare ma non sono rappresentativi del tutto!) – la condizione generale e completezza di un’atleta si valuta sul palco di gara, il giorno della gara – non tirate conclusioni affrettate basandovi solo su quello che vedete e leggete sui social media!

Allenamento

Allenamento

Dopo il protocollo di allenamento ad alta frequenza e volume dello scorso mese, sono tornato nelle ultime settimane a volumi e frequenze allenanti piu’ ridotti, con l’inserimento di maggiori tecniche di intensità in particolare negli allenamenti di braccia e gambe.

Nelle prossime settimane sarò in vacanza a Bali e quindi dovrò adattare i miei allenamenti in base alle palestre che troverò sull’isola indonesiana.

In linea di massima la mia routine delle prossime settimane sarà un ibrido fra un Hatfield e DOGG CRAPP, con 6 allenamenti settimanali e 1 o 2 sessioni di cardio in stile Stubborn Fat Loss Protocol 2.0 di Lyle McDonald

Vignetta HIIT

Questa è la distribuzione dei miei allenamenti durante la settimana – vi darò poi i dettagli delle diverse sedute allenanti nei prossimi aggiornamenti:

MONDAY – Heavy PULL Day (Dorsali, Bicipiti)
TUESDAY – Heavy PUSH Day (Pettorali, Deltodi e Tricipiti)
WEDNESDAY (am) – Heavy LOWER Day (Quadricipiti, Femorali, Addominali)
WEDNESDAY (pm) – Cardio stile SFP 2.0 (20 minuti)
THURSDAY – Light PULL Day (Dorsali, Bicipiti)
FRIDAY – Light PUSH Day (Deltoidi, Pettorali, Tricipiti)
SATURDAY – Light LOWER Day (Femorali, Quadricipiti, Addominali)
SUNDAY – Cardio stile SFP 2.0 (20 minuti)

Alimentazione

Nel corso degli anni ho imparato ad ascoltare il mio corpo e a modulare l’introito calorico sulla base del protocollo di allenamento, livelli di stress ed altri impegni quotidiani. Non consiglio a nessuno di seguire alla lettera il mio approccio alimentare ma di trovare piuttosto la propria strada ed equilibrio. Molto spesso in offseason ci si concentra troppo spesso sulla periodizzazione e split ideale di allenamenti e si trascura l’approccio alimentare esagerando sia in un verso che in un altro. Le diete yoyo o dei sensi di colpa se si esagera in offseason non aiutano a stimolare la crescita muscolare e nemmeno ad aumentare la nostra capacita’ metabolica nel tempo. Il nostro corpo è sempre alla ricerca di un’omeostasi. Sempre meglio un miglioramento costante mese dopo mese (una goccia alla volta) che pretendere miracoli del tipo “ora converti il grasso in muscolo perché’ devo andare in spiaggia o in gara!”.

Visto i diversi impegni e la mia vacanza delle prossime settimane, al momento mi sono semplicemente limitato ad eliminare gli eccessi o gli sfizi dalla mia dieta. Vi darò sicuramente i dettagli nelle prossime settimane ma in linea di massima mi sono limitato ad abbassare la quota di carboidrati giornaliera e optato principalmente per fonti come patate dolci, riso integrale e quinoa.

Ho eliminato le varie salse come la mia amata salsa Barbecue, condimenti vari, dolcetti post-pranzo o post-cena ed altri sfizi che mi concedevo durante la giornata in offseason.

I miei macros attuali sono i seguenti:

  • Proteine: 160g al giorno (circa 2g x Kg di massa magra)
  • Grassi: 40-50g al giorno
  • Carboidrati: 500-600g

In vacanza ho scelto di seguire una dieta priva di proteine animali per circa 2 settimane. Le mie fonti proteiche principali saranno dunque: proteine della canapa, tofu, seitan, semi di chia, mandorle, lenticchie, proteine della soia, ceci, piselli, quinoa ed altri cereali senza glutine. Non sono nuovo a seguire per alcune settimane una dieta strettamente vegana – credo che sia un ottimo espediente per variare ogni tanto la propria dieta e migliorare la salute del nostro sistema immunitario. Nessuna paura di perdere tutti i miei Gainz! LOL!

Integrazione

Visto le prossime settimane in clima tropicale e il caldo che è arrivato (strano ma vero) anche a Londra, nei prossimi giorni comincerò ad integrare con sali citrati di potassio e magnesio. La mia integrazione in questa fase sarà la seguente:

  • Citrato di potassio: circa 4g al giorno
  • Citrato di magnesio: circa 2g al giorno
  • Creatina: 5g al giorno tutte le mattine (www.ironmanager.it/creatina)
  • K-Rala: 300mg + 300mg mattina e sera
  • Vitamina D3: 2500ui + 2500ui mattina e sera
  • Curcumina in forma Meriva o con bioperina: 1.5g al giorno
  • Enzimi pancreatici: con i pasti più abbondanti

To be Continued…

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Scheda allenamento forza per il bodybuilding

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I carichi alti sono funzionali all’ipertrofia, ha senso seguire una scheda di allenamento per forza nel bodybuilding? Per prima cosa possiamo provare a dare un’occhiata a quel come ci risponde la cultura “popolare”.

  1. A stronger muscle is a bigger muscle
  2. Per crescere si deve lavorare nel “Range ipertrofia
  3. I carichi alti servono solo all’EGO
  4. Il carico è solo un mezzo, non il fine
  5. I Bodybuilder sono più grossi dei Powerlifter

Confusi? Anche io, riproviamo da capo.
I carichi alti sono funzionali all’ipertrofia? SI.

Il tutto potrebbe banalmente ridursi a questo, perchè? Perchè di fatto è così, lo stress (prevalentemente meccanico) dato dal sollevare un carico tra l’85 e il 100% RM (range di forza) o anche più (sovramassimale) comporta anche un adattamento ipertrofico del muscolo. Il problema è che questo non è traducibile nel “con i carichi grossi cresco lo stesso”. Lo stress è diverso, il tipo di lavoro totalmente, così l’adattamento anche sarà diverso. Dunque proviamo a riformulare la domanda.
Nel Bodybuilding ha senso allenarsi per la forza? Si. L’allenamento per la Forza permette di migliorare l’ipertrofia in maniera diretta ed indiretta. Vediamo il perchè e il percome.

Qualche nozione di base sull’ipertrofia muscolare 

. Stress diversi

L’allenamento è volto a creare uno stress nel nostro corpo, stress che assume sfumature diverse sulla base del tipo di lavoro svolto. Possiamo distinguere pertanto due sottoclassi (questa distinzione l’avevo già approfondita nel mio articolo sull’allenamento metabolico ma sempre meglio ribadire certi concetti):

  1. Stress Meccanico. Derivante dal reclutamento ed intervento delle fibre muscolari. [2] In sostanza è direttamente proporzionale all’intensità di carico (più sollevate più stress meccanico avrete). Questa tipologia di stress è classica e tipica dei sollevatori di pesi (powerlifter e weightlifter) e meno comune tra i Bodybuilder dove si propende per l’utilizzo di carichi nel famoso “range ipertrofia” di 6-15 ripetizioni senza arrivare ai massimali.
  2. Stress Metabolico. Ossia la risultante dell’accumulo di metaboliti, in particolare il lattato, il piruvato e di ioni H+ [3] [4]. Mentre lo stress meccanico è tipico di carichi alti, lo stress metabolico è normalmente conseguente a sessioni di bodybuilding più tradizionale con TUT compresi tra i 40’’ e i 60’’ e particolarmente incentivato da tecniche di intensità varie (BFR ed in generale quelle che portano ad un pompaggio elevato).

Ora un primo concetto da tenere bene a mente. Durante una seduta d’allenamento entrambe le tipologie di stress coesistono sempre. La loro entità varierà sulla base del tipo di lavoro svolto. Così una routine tipicamente di forza (STR) porrà l’accento sulla tensione meccanica mentre una routine tipicamente di ipertrofia (HYP) ricercherà un danno metabolico.

Due diverse tipologie di lavoro cui corrispondono due diverse tipologie di risposta in acuto. Se infatti nelle sedute HYP avremo un picco di ormoni anabolici [17] [18] [19] [20] [21] [22] [23], nelle sedute STR avremo un maggior danno muscolare (rilevato tramite markers quali mioglobina e lattato de-idrogenasi) [24] [25]. Tuttavia nè il picco degli ormoni circolanti [26] nè il danno muscolare [27] [28] possono essere identificati come predittori della risposta di adattamento ipertrofico del muscolo.

L’allenamento più efficace per l’ipertrofia

Ora, non lasciamoci ingannare, il fatto che si parli di allenamento per l’“ipertrofia” ed allenamento per la “forza” non vuol dire che si vanno a colpire solo queste componenti adattive, si tratta solo di un’accezione tradizionale comoda da utilizzare.

In letteratura non vi è una risposta precisa a quale sia l’approccio migliore. Ultimamente sono stati condotti degli studi per comparare le due tipologie di allenamento [6] [9] [10] nei quali, in effetti, un allenamento orientato alla forza (STR) produceva guadagni pari (e alcune volte superiori) ad un allenamento orientato all’ipertrofia (HYP). Queste evidenze però non sono scevre di limitazioni:

  1. Anzitutto si dovrebbe considerare anche il backgrpound dei soggetti analizzati che si pone come un ulteriore variabile in grado di influenzare la risposta soggettiva allo studio. Così, in soggetti che si sono sempre allenati in stile HYP, un protocollo STR risulterà grosso modo efficace grazie alla variazione dello stimolo che comporta.
  2. Altra problematica è il fattore tempo in quanto la curva di adattamento può variare tra un allenamento STR ed uno HYP andando a falsare i risultati degli studi.
  3. La risposta soggettiva ai diversi protocolli è estremamente variabile e determinata in primis da un punto di vista genetico [11] [12].
  4. La più grande limitazione risulta però essere che i protocolli utilizzati negli studi erano inverosimili in termini pratici. Andando ad equiparare le variabili (il volume in primis) si ottenevano infatti protocolli HYP estremamente brevi e leggeri o protocolli STR tendenzialmente pesanti e lunghi. (Schoenfeld riporta in un’intervista [5] che alla fine dello studio [9] il gruppo STR era esausto del protocollo mentre quello HYP richiedeva ulteriore volume di lavoro. In effetti i due protocolli prevedevano sedute rispettivamente di 70’ e 17’).
Ipertrofie diverse

La risposta ipertrofica non è univoca, ma varia. Queso è logico in quanto le componenti del muscolo sono diverse, l’adattamento porta ad una progressione della componente sollecitata (i.e. maggiormente stressata). Possiamo pertanto distinguerne diverse tipologie:

  1. Ipertrofia Miofibrillare: Tipica dei sollevatori di peso, avviene in risposta ad alti carichi di lavoro (+70%RM). Nello specifico si tratta dell’ipertrofia della componente contrattile (actina e miosina) del muscolo scheletrico.
  2. Ipertrofia Sarcoplasmatica: In questo caso l’aumento è a carico del sarcoplasma e delle molecole in esso presenti (acqua in primis, glicogeno, trigliceridi, proteine non contrattili ecc..). Avviene in parallelo all’ipertrofia delle miofibrille e dei mitocondri. Si ricontra per lo più nei Bodybuilder.
  3. Ipertrofia Mitocondriale: Risposta a lavori di endurance muscolare (60%RM) ed aerobici.
  4. Ipertrofia Capillare: Si ha con intensità medio/basse o intermedie. É tendenzialmente più lento rispetto all’ipertrofia muscolare il che può portare, in rari casi, alla compressione dei vasi per via di un’eccessivo sviluppo del muscolo (sindrome dello stretto toracico superiore nell’atleta) [7] [8].

I diversi tipi di lavoro portano inoltre ad una diversa risposta ipertrofica tra le tipologie di fibre muscolari. Le analisi su sollevatori di pesi indicano che i soggetti che si allenano con un programma tipico di forza presentano un’ipertrofia preferenziale delle fibre muscolari di tipo II mentre coloro che utilizzano programmi in stile ipetrofia presentano adattamenti ipertrofici prevalentemente delle fibre di tipo I [16].

Perché inserire un allenamento per la forza 

Sulla base i tali evidenze non si può quindi dare una risposta assoluta. Categorie come “allenamento per la forza” e “allenamento per l’ipertrofia” sono generalizzazioni utili fino ad un certo punto ma che risultano spesso e volentieri fuorvianti. Quello che sappiamo è che andando a comparare le variabili possiamo avere effetti analoghi in termini di ipertrofia muscolare (si parla di ipertrofia in generale, gli studi non sono andati poi a valutare a carico di quale componente del muscolo ciò è avvenuto), tuttavia, essendo il volume d’allenamento il principale responsabile degli adattamenti ipertrofici, vi è un chiaro vantaggio nell’allenarsi con sedute HYP in quanto più dense e tendenzialmente voluminose.

Però, però.. c’è un però. L’allenamento per la Forza permette in verità, oltre ad un aumento del carico massimale, anche un miglior feeling con lo schema motorio (schema che andremo poi ad utilizzare in lavori di Bodybuilding) da un punto di vista di corretto assetto, sicurezza di esecuzione, attivazione dei gruppi muscolari target, sufficiente reclutamento di unità motorie ecc.. Come detto prima parlare di allenamento della forza e allenamento per l’ipertrofia può essere fuorviante. Facendo un passo indietro stiamo sempre di fronte allo stesso grande ambito del sollevamento pesi, dell’allenamento di potenziamento muscolare (tradizionalmente distinto dall’allenamento tecnico). In una visione più globale dunque parlare del 70-85% o del +90%RM è troppo specifico. In sostanza l’allenamento della forza è un qualcosa di funzionale all’allenamento per fini ipertrofici (non solo all’ipertrofia di per sè) così come l’allenamento per ottenere un’ipertrofia muscolare è funzionale ad un aumento di forza. Non a caso nei vari sport si è arrivati pian piano all’identificazione di una programmazione in varie fasi (forza, massa, potenza) all’interno dell’anno (i.e. macrociclo). Questa pratica nasce proprio dal fatto che ogni componente adattiva è funzionale, in modi logicamente diversi, all’altra. Insomma, vi è un transfer tra l’una e l’altra.

Facciamo una metafora.

Voglio aumentare il mio massimale di Squat ma sono in stallo, possibili strategie.

Posso fare Squat a gogo finchè non stiro a terra (Coleman o fomentini simili sarebbero fieri di questo “no pain no gain”) oppure fare un passo indietro, analizzare cosa nello schema motorio mi limita (i.e. quale muscolo non ce la fa) e cercare di lavorare su quello. Per esempio cercherò di aumentare la forza degli estensori del ginocchio (leg extention a gogo) oppure dei glutei (guarda mamma, mi alleno come una bikini!). Il tranfer sullo Squat sarà parziale, ma sicuramente c’è e la strategia è, in determinati casi, necessaria.

Spero abbiate capito la metafora, lo Squat è l’allenamento HYP e gli altri esercizi sono le altre componenti adattive, tra cui la forza. Così se arrivo ad uno stallo per cui non miglioro, uno dei possibili interventi è ricercare il sovraccarico progressivo (pensare che tempo fa era l’unica cosa che veniva in mente di fare). Questo può esser fatto proprio con lavori specifici con la forza. Ora però non ricadiamo nell’estremo opposto. Come dimostrato dalla letteratura sopra citata questi lavori non sono solo strumentali all’allenamento per l’HYP, ma comportano essi stessi degli adattamenti ipertrofici.

Scheda allenamento forza nel bodybuilding

Veniamo al punto cruciale: come gestire un allenamento della forza all’interno di una programmazione di Bodybuilding?

Dunque, la domanda è molto complessa, ogni strategia andrà impostata sulla base della condizione del soggetto, così, logicamente, nel momento in cui vediamo una carenza spropositata di forza per un gruppo muscolare, sarà logico intervenire in tal senso. Andiamo per gradi.

Lo stato d’arte della letteratura in materia evidenzia come, a fini di ipertrofia muscolare e di guadagni di forza, impostare un programma periodizzato sia la soluzione migliore. Dedicheremo un futuro articolo sui vari modelli di periodizzazione, per ora ci basta sapere che, mentre per l’allenamento in palestra funzionale ai diversi sport (combattimento, di squadra ecc..) il modello lineare o lineare inverso risulta più utilizzato nonchè più “comodo”, la periodizzazione ondulata risulta da un lato la più efficace, dall’altro la più comoda in ambito Bodybuilding (e non solo) [13] [14] [15]. Questo è ancora più vero per quella giornaliera, non a caso, ultimamente, è alla base della gran parte dei modelli di allenamento proposti (PHAT, Moutain Dog Training ecc..) e tendenzialmente risulta la più praticata. Nulla di nuovo in realtà dal momento che Arnold era il primo a lavorare in questo senso (“Shock the muscle!”).

A questo punto va fatta una precisazione. Non si può generalizzare, non c’è un modo di utilizzare un approccio o un modo univoco di allenare una determinata componente. Ci sono un’infinità di casi, di soluzioni, mi rendo conto che è un qualcosa che viene detto e stradetto ma è vero. Dunque quello che si può fare è riportare diversi modelli basati su diversi contesti in modo da dare non una guida ma un concetto, un qualcosa di infinitamente più prezioso (e spendibile).

. Strategia 1 – Approccio “base”

Un primo approccio che possiamo utilizzare è quello di impostare un allenamento in multifrequenza adottando una periodizzazione ondulata giornaliera. Avremo così due sedute settimanali per ogni distretto muscolare (vlendo anche di più ma per ora fermiamoci qui). Nella prima seduta potremo allenare il muscolo secondo uno schema tradizionale per il Bodybuilding, quindi TUT più lunghi, tecniche d’intensità, range di 8-12 ripetizioni, eccentriche, forzate ecc.. Nella seconda seduta invece potremo allenarci adottando una progressione di forza, così per esempio nel petto ci alleneremo sulla panca piana utilizzando eventualmente un altro complementare (croci, chest fly ecc..). Una simile impostazione è alla base, peraltro, della metodologia PHAT (Power Hypertrofy Adaptive Training) proposta da Norton. A differenza di questa, tuttavia, ritengo più sensato utilizzare, nell’allenamento dedicato alla forza, delle vere e proprie progressioni sui gesti senza limitarsi ad un 5×5 caricando “abbestia”.

Scheda allenamento forza e ipertrofia:

Seduta forza progressione

. Strategia 2 – Approccio Muscoli Carenti

Simile al precedente, l’unica differenza è che un allenamento in questo senso lo andremo a fare sui muscoli carenti mentre i muscoli più sviluppati saranno allenati in monofrequenza. L’aumento del Volume settimanale e la variazione di stimolo porteranno un vantaggio in termini di crescita (di forza e di ipertrofia) che permetterà di “recuperare terreno” rispetto al resto della muscolatura. Questo approccio può essere utilizzato sui muscoli carenti sia da un punto di vista di ipertrofia, sia da un punto di vista della forza (i.e. muscoli più deboli). Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante in quanto può essere una valida strategia per intervenire laddove un muscolo si ponga come limitante all’interno della sinergia di un gesto (l’esempio sopra fatto del gluteo che non permette di performare al meglio nello Squat).

Il discorso può esser fatto anche dal punto di vista opposto, ovverosia tenere una multifrequenza e mettere in monofrequenza il gruppo muscolare più forte/sviluppato in modo da recuperare asimmetrie (estetiche o funzionali).

.  Strategia 3 – Fase transitoria volume ridotto

Un altro modo di inserire un allenamento di forza all’interno di una programmazione di Bodybuilding è quella di prevedere un periodo ad intensità di carico elevata e a Volume ridotto. In questo caso parliamo sempre di periodizzazione ondulata, tuttavia le variazioni non verrano fatte su base giornaliera bensì settimanale, così, per esempio, inseriremo 2-3 fino a 6 settimane di lavoro sulla forza con un Volume ridotto, allenamenti meno densi ma con intensità di carico elevate per poi tornare, progressivamente o meno, a sedute di Bodybuilding tradizionale o anche, perchè no, ad un protocollo di periodizzazione ondulata su base giornaliera come descritto sopra. In sostanza si tratta di impostare una fase transitoria volta a due scopi:

  1. Variare lo stimolo
  2. (Ri)trovare il feeling con lo schema motorio

Periodi come questo sono assolutamente fondamentali all’interno di una programmazione in quanto portano a “riscoprire le basi” e dunque a porre qualcosa di solido su cui muoversi successivamente.

. Strategia 4 – Periodizzazione all’interno della seduta

Anche questo è un approccio interessante. Si tratta di inserire, all’interno della seduta, un gesto sul quale impostare una programmazione di forza. In tal senso potremmo quindi inserire la panca piana all’interno di una seduta di petto come primo o secondo esercizio. Sceglieremo una programmazione volta a migliorare sulla forza (posto che già siamo in grado di esercitare la giusta padronanza sul gesto) ed imposteremo il resto della seduta come una seduta di Bodybuilding tradizionale. Ovviamente il volume totale andrà a ridursi in quanto, parte della seduta, viene occupata da un lavoro poco denso, poco voluminoso e molto intenso. Trovo che un’impostazione così fatta si sposi bene con la periodizzazione ondulata giornaliera (strategia 1). In sostanza allenando un muscolo in multifrequenza andremo ad impostare la seduta “forza” utilizzando un gesto con la sua progressione e il resto della seduta in stile Bodybuilding tradizionale. La diversificazione di lavoro rispetto alla seconda seduta settimanale starà nel TUT (per esempio) che, in quest’ultima sarà esasperato (per es. +50’) mentre nella seduta di “forza” non sarà comunque troppo elevato (per es. 30’).

Seduta allenamento forza

. Split e scelta degli esercizi

Un ulteriore aspetto sul quale ci si deve soffermare è quello relativo alla scleta, all’interno della seduta, dei gruppi muscolari bersaglio e degli esercizi da utilizzare.

Una delle caratteristiche dei programmi di Bodybuilding è che, nella maggiorparte dei casi, si suddividono i vari gruppi muscolari in modo da lavorarne solo alcuni ogni seduta. Questo è logico in quanto il lavoro che viene richiesto è sempre dello stesso tipo (anaerobico). Ok, come abbiamo visto s può lavorare su componenti adattive diverse ma comunque si rientra sempre nella grande famiglia del lavoro di “potenziamento”, lo stesso che, in altri sport, viene alternato al lavoro “tecnico”. La domanda che sorge quindi spontanea è la seguente: Dobbiamo impostare prima la split e poi, sulla base di questa, scegliere il tipo di esercizi nei quali lavorare la forza o viceversa? Da powerlifter vi risponderei “la seconda”, da Bodybuilder vi risponderei “la prima”, ma non definendomi nè come l’uno nè come l’altro vi rispondo “dipende”, So che si tratta della risposta più odiata, scontata e gettonata di sempre, ma dipende davvero. Visto che questo articolo tratta però di un allenamento della Forza all’interno di una programmazione di Bodybuilding direi di partire da questo contesto e, in particolare, dai casi sopra menzionati.

Laddove volessimo impostare una periodizzazione ondulata, per tutti i gruppi o solo per alcuni (strategie 1-2-4), allora si, dovremo partire dalla split. In base a questa sceglieremo l’esercizio migliore sul quale progredire per la Forza. Così per esempio in un push-day sceglieremo la Panca Piana per il petto, per un pull-day un Bent Over Row, per un led-day uno Squat. Facciamo un esemio:

Soggetto 1, Bodybuilder, buona gestione di alti carichi sui vari schemi motori.

Gruppi carenti: Braccia, Dorso
Gruppi avanti: Petto, Quadricipiti

Split:

Scheda forza ipertrofia

Sarà quindi Logico inserire una progressione sul Bent-Over Row nel giorno 2 e lavorare il Dorso co una seduta di Bodybuilding tradizionale il giorno 6. Da valutare un progressione sullo stacco da terra che sarebbe vicina ad un allenamento delle gambe (anche mettendola nel giorno 6 avremo i femorali il giorno 7).

Ma allenare la forza, come abbiamo visto, non è solo un discorso di periodizzare e variare lo stimolo bensì anche una questione di funzionalità agli schemi motori da performare nelle sedute di Bodybuilding. Facciamo quindi un altro esempio.

Soggetto 2: Bodybuilder, scarsa attivazione del petto sulla Panca Piana, scarso feeling sullo Stacco da Terra. Ottima gestione dello Squat.

Gruppi carenti: Petto-Dorso-Braccia
Gruppi avanti: Gambe

L’obbiettivo in questo caso sarà quello di migliorare il feeling con i gesti deboli, imposteremo pertanto la split sulla base degli stessi.

Split:

Programma forza ipertrofia 2

Infine, nel caso in cui andassimo ad impostare un programma di Forza come fase transitoria (strategia 3) sarà logico partire dai gesti e, sulla base di questi, ragionare sulla split. In questo contesto, come abbiamo visto, ci preme si dare uno stimoo diverso, ma allo stesso tempo performare un lavoro funzionale alle sedute di Bodybuilding Tradizionale.

Come impostare le progressioni

Se andassimo ada analizzare anche questo aspetto non la finiremmo più. Nella scelta delle progressioni da utilizzare ci si apre un mondo che è quello dei lavori di Forza, possiamo intervenire sul carico, sulle ripetizioni, buffer o cedimento, variazioni del TUT, del SOM (Speed of Movement) utilizzo di elastici o attrezzi funzionali ecc.. Regole generali non ce ne sono, dipende tutto da come è impostata la seduta. Più ci si concentrerà sui lavori di Forza (dandogli spazio a livello di tempo e di volume) più possibilità avremo. Viceversa potremmo ritrovarci davvero a dover impostare un banale 5×5. Ora, io consiglio, in generale, di approcciarsi a questi lavori in maniera più precisa possibile. Vero, il lavoro del Bodybuilder è diverso di quello del Powerlifter, i gesti stessi son diversi (c’è la panca “BB” e la panca “PL”). Ho detto poco sopra che instaurare il giusto feeling con lo schema motorio si ripercuote in positivo sulle sedute di Bodybuilding tradizionale. Questo, vero, avviene nel momento in cui andremo a performare lo stesso schema motorio (i.e. se ho un massimale di 140kg su panca piana fatta COME SI DEVE, quando compio sullo stesso esercizio lavori che ricercano stress metabolico lo otterrò con una maggiore efficacia) ma anche a livello sistemico. Così un’atleta in grado di gestire lavori di forza avrà una miglior capacità di instaurare un buon feeling con gli altri esercizi (d’altronde quando si sanno parlare diverse lingue impararne di nuove è più facile no? Stessa storia qui).

Quindi, lungi da me approfondire il tema delle possibili progressioni da utilizzare (faccio un generico rimando alle fonti più autorevoli in materia), vi do un unico consiglio. Finchè non ottenete una soddisfacente gestione di questo tipo di lavoro con i diversi gesti, approcciatevi ad ogni singolo lavoro di forza con la precisione e la mentalità del settore.

Mix it up!

[1] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26890971

[2]  Essentials of Strength Training and Conditioning – Thomas R. Baechle,Roger W. Earle

[3] Tesch PA, Colliander EB, Kaiser P. Muscle metabolism during intense, heavy-resistance exercise. Eur J Appl Physiol Occup Physiol. 1986;55(4):362–6.

[4] Suga T, Okita K, Morita N, et al. Intramuscular metabolism during low-intensity resistance exercise with blood flow restriction. J Appl Physiol. 2009;106(4):1119–24.

[5] https://www.youtube.com/watch?v=aY-nEcCLBdE

[6] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25047853

[7] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9950941

[8] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8941522

[9]https://www.researchgate.net/publication/261516420_Effects_of_Different_Volume-Equated_Resistance_Training_Loading_Strategies_on_Muscular_Adaptations_in_Well-Trained_Men

[10] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26272733

[11] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4562558/

[12] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3069632/

[13] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11991778

[14] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19910831

[15] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22516910

[16] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26890971

[17] Crewther B, Cronin J, Keogh J, and Cook C. The salivary testosterone and cortisol response to three loading schemes. The Journal of Strength & Conditioning Research 22: 250-255, 2008

[18] Hakkinen K and Pakarinen A. Acute hormonal responses to two different fatiguing heavy-resistance protocols in male athletes. Journal of Applied Physiology 74: 882-887, 1993

[19] Kraemer W, Marchitelli L, Gordon S, Harman E, Dziados J, Mello R, Frykman P, McCurry D, and Fleck S. Hormonal and growth factor responses to heavy resistance exercise protocols. Journal of Applied Physiology 69: 1442-1450, 1990

[20] Linnamo V, Pakarinen A, Komi PV, Kraemer WJ, and Häkkinen K. Acute hormonal responses to submaximal and maximal heavy resistance and explosive exercises in men and women. The Journal of Strength & Conditioning Research 19: 566-571, 2005

[21] McCaulley GO, McBride JM, Cormie P, Hudson MB, Nuzzo JL, Quindry JC, and Triplett NT. Acute hormonal and neuromuscular responses to hypertrophy, strength and power type resistance exercise. European Journal of Applied Physiology 105: 695-704, 200

[22] Smilios I, Pilianidis T, Karamouzis M, and Tokmakidis SP. Hormonal responses after various resistance exercise protocols. Medicine & Science in Sports & Exercise 35: 644-654, 2003

[23] Uchida MC, Crewther BT, Ugrinowitsch C, Bacurau RFP, Moriscot AS, and Aoki MS. Hormonal responses to different resistance exercise schemes of similar total volume. The Journal of Strength & Conditioning Research 23: 2003-2008, 2009

[24] Nosaka K, Lavender A, Newton M, and Sacco P. Muscle damage in resistance training. International Journal of Sport and Health Science 1: 1-8, 2003

[25] Gonzalez AM, Hoffman JR, Townsend JR, Jajtner AR, Boone CH, Beyer KS, Baker KM, Wells AJ, Mangine GT, and Robinson EH. Intramuscular anabolic signaling and endocrine response following high volume and high intensity resistance exercise 300 protocols in trained men. Physiological Reports 3: e12466, 2015

[26] Gonzalez AM, Hoffman JR, Stout JR, Fukuda DH, and Willoughby DS. Intramuscular anabolic signaling and endocrine response following resistance exercise: Implications for muscle hypertrophy. Sports Medicine 1-15, 2015.

[27] Brentano M and Martins KL. A review on strength exercise-induced muscle damage: applications, adaptation mechanisms and limitations. The Journal of Sports Medicine and Physical Fitness 51: 1-10, 2011.

[28] Flann KL, LaStayo PC, McClain DA, Hazel M, and Lindstedt SL. Muscle damage and muscle remodeling: no pain, no gain? The Journal of Experimental Biology 214: 674-679, 2011

NOTE SULL’AUTORE
L’articolo: Cosa mangiare dopo la palestra è di Ludovico Lemme
Personal Trainer certificato ISSA e studente SaNIS (scuola di nutrizione e integrazione sportiva). Segue diversi atleti, sia dal vivo che online nel campo del Bodybuilding e del fitness in generale. Nel 2015 avvia il progetto Rhinocoaching con il quale si propone di creare una piattaforma di riferimento per i suoi atleti e per gli appassionati in generale.
Contatti: rhinocoachingofficial@gmail.com
Pagina FB: https://www.facebook.com/ludovicolemmemygrowth/
Sito Web: www.rhinocoaching.it

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Rope Climb: tutorial ed esecuzione

Glutei e femorali : oltre Squat, Stacchi e Leg Curl

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I Glutei ed i muscoli posteriori della coscia sono tra i gruppi muscolari più bistrattati in palestra (negli uomini), il cui allenamento spesso si riduce a qualche serie di stacco rumeno e di leg curl alle macchine che si focalizzano principalmente sugli ischiocrurali tralasciando completamente il lavoro diretto per i glutei.

Questi gruppi muscolari, ancor prima che per motivi estetici, risultano però ricoprire una grande importanza dal punto di vista della postura, della salute della bassa schiena e del bacino, delle prestazioni in quanto influenzano pesantente le capacità di corsa, salto e tantissimi altri gesti sportivi molto comuni, inoltre se i muscoli posteriori della coscia sono deboli andranno molto più facilmente incontro ad infortuni.

In questo articolo esporrò una serie di esercizi e metodiche con cui programmarli, che raramente si vedono eseguire nella palestre comuni, per l’allenamento di questi gruppi muscolari.

Piccolo cenno sulla funzione di questi muscoli: sia i glutei che gli ischiocrurali svolgono la funzione di estensori dell’anca (cioè portano la coscia indietro). Gli ischiocrurali sono muscoli bi-articolari infatti svolgono anche una seconda funzione ovvero quella di flessione del ginocchio, ed essendo muscoli biarticolari sono soggetti ad allungamento ed accorciamento sulle due articolazioni, ciò è particolarmente importante come vedremo in seguito per capire e programmare i rapporti di forza e attivazione tra essi ed  i glutei nei movimenti di estensione dell’anca.

I Glutei sono formati da : medio, grande e piccolo gluteo. Hanno la funzione come già esposto di estendere l’anca, ma anche quelle di ruotare esternamente la coscia e stabilizzare la colonna in posizione eretta.

Capire bene la funzione di questi muscoli è essenziale per capire come eseguire gli esercizi più idonei ad allenarli. (Leggi anche la guida sull’allenamento dei glutei)

Glute Ham Raise

Questo è un esercizio che si esegue alla panca apposita, che prevende un blocco a livello delle caviglie ed un supporto al livello delle anche. Il movimento base prevede di partire con le ginocchia estese e le anche flesse, andando così a coprire entrambe le funzioni degli ischiocrurali e dei glutei cioè estensione dell’anca e flessione del ginocchio. Se eseguito in modo esplosivo, l’inerzia generata dall’estensione dell’anca facilita il susseguente movimento di flessione del ginocchio motivo per il quale la versione esplosiva è forse la versione più utilizzata nelle palestre.

Un’altra variante di questo esercizio prevede di partire già con le anche quasi completamente estese con il busto quindi allineato e parallelo al pavimento, e di compiere il movimento di flessione del ginocchio senza poter utilizzare l’inerzia rendendolo quindi molto più duro.

E’ importante qui considerare la posizione della bassa schiena e del bacino, con le anche in leggera flessione o un anteroversione accentuata del bacino si vanno ad allungare gli ischiocrurali (perchè ricordo sono bi articolari) rendendoli più forti e quindi il movimento diventa più facile, infatti è una compensazione automatica che facilmente si vede fare in quanto eseguire il movimento riuscendo a mantere la colonna e il bacino in posizione perfettente neutrale rende il tutto molto più duro.

Alcune considerazioni sul posizionamento della panca :

  • Più i supporti per caviglie ed anche sono vicini più il movimento diventa duro
  • Più il supporto per le caviglie è alto rispetto a quello per le anche più il movimento diventa duro
  • Di conseguenza mettere un rialzo sotto la parte posteriore della panca aumenta notevolmente la difficoltà

Per sovraccaricare l’esercizio è possibile utilizzare manubri o dischi da mantenere al petto, oppure bande elastiche che vanno leggermente a modificare la dinamica del movimento rendendone più dura la parte finale e permettendo così una maggiore contrazione di picco.

Se il sovraccarico viene mantenuto più distante (ad esempio dietro la nuca, o addirittura con le braccia tese verso l’alto) aumenta il braccio di leva e quindi di conseguenza la difficoltà a parità di carico.

Le varie modalità di sovraccarico ovviamente possono essere anche ibridate avendo per esempio il posteriore della panca rialzata, un manubrio al petto ed una banda elastica dietro la nuca.

Nordic Ham Curl

A prima vista questo esercizio può sembrare estremamente simile al Glute Ham Raise ma ci sono alcune differenze : le ginocchia nel NHC rimagono punto fisso e rappresentano il fulcro del movimento, a differenza del GHR dove le ginocchia non sono fisse (durante il movimento infatti vanno verso il basso) ed il fulcro è sulle gambe e ciò provoca alcune differenze sull’attivazione muscolare, le tensioni articolari e lo sforzo muscolare.

Qui non serve una panca apposita ma basta semplicemente un blocco per le caviglie (va bene anche un compagno che le mantiene), infatti è possibile eseguire l’esercizio anche sfruttando il blocco di una lat machine, o un bilanciere pesante, un multipower etc.

Questo è uno dei movimenti più duri che interessa gli ischiocrurali, molte persone non sono in grado di eseguire una ripetizione concentrica completa senza cheating se non dopo molti mesi di pratica ed inizialmente è difficile anche eseguire delle ripetizioni eccentriche in completo controllo… non è inusuale vedere persone che controllano la prima metà della discesa crollando poi durante la seconda.

In questo caso l’uso di una banda elastica può facilitare molto le cose, in quanto fornirà un supporto man mano crescente durante la discesa con quasi zero aiuto nella parte iniziale ed invece un notevole vantaggio nella parte finale più dura.

Il movimento prevede una flessione del ginocchio (o meglio data la natura più eccentrica che non concentrica del movimento, una resistenza all’estensione del ginocchio).

Anche qui vale il discorso analogo del Glute Ham Raise per quanto riguarda controllo e posizione del bacino e della zona lombare della schiena che per natura del movimento si tende ad iperestendere.

Per i migliori che padroneggeranno l’esercizio  al punto da aver bisogno di un sovraccarico anche qui si possono utilizzare carichi trattenuti al petto o sopra la testa, o bande elastiche (ovviamente posizionate in modo opposto a quanto si fa per usarle come aiuto e supporto)

Hyperextension

Le iperestensioni sono comuni in palestra ma vengono sfruttate principalmente per allenare gli erettori spinali, ma in realtà se impostate correttamente sono uno strumento utilissimo per l’allenamento di glutei e femorali per quanto riguarda la funzione di estensione dell’anca.

A prima vista qualcuno potrebbe pensare che l’estensione dell’anca a gambe semitese sia lo stesso movimento degli stacchi rumeni, ma in realtà c’è una differenza fondamentale : mentre negli stacchi il punto di maggior tensione e stress muscolare coincide con il punto di massimo allungamento e cioè con il bilanciere che quasi tocca terra, nelle iperestensioni il momento di massima tensione e stress muscolare coincide con il massimo accorciamento e permette così una contrazione di picco superiore oltre a cambiare proprio la dinamica del movimento.

Per far si che il movimento sia a carico degli estensori dell’anca e non della muscolatura posteriore della schiena il blocco non deve essere al livello della pancia bloccando così le anche, ma deve essere posto più in basso più o meno al livello del bacino in modo da liberare le anche, e la schiena deve essere mantenuta in una posizione costante isometrica, senza alternarne flessione ed estensione.

E’ possibile attraverso il posizionamento della schiena porre maggior enfasi sui femorali oppure sui glutei (che però partecipano sempre entrambi al movimento.)

Se manteniamo la schiena iperestesa con un anteroversione del bacino andremo ad allungare maggiormente gli ischiocrurali che in questo modo verranno maggiormente attivati e potranno generare più forza. La schiena in leggera cifosi invece facilita una retroversione più accentuata del bacino e si preaccorciano gli erettori spinali che quindi produrranno meno forza, posizionando i piedi ruotati esternamente di circa 45° o più ci si porterà in rotazione esterna delle anche e ciò contribuirà ad aumentare l’enfasi sui glutei, per enfatizzare ancora più la contrazione di questi muscoli bisogna concentrarsi nella fase finale nel movimento ad andare in completa retroversione del bacino come se lo si volesse spingere nel supporto della panca.

Analogamente al GHM anche le iperestensioni possono essere caricate con sovraccarichi tenuti al petto, dietro la nuca o sulla testa a braccia tese, oppure con bande elastiche che appesantiscono la parte finale del movimento garatendo una maggiore contrazione di picco.

Hip Thrust

Questo esercizio è probabilmente il movimento specifico migliore per concentrarsi sui glutei combinando estensione dell’anca e retroversione del bacino: poichè si parte con le ginocchia flesse i femorali risultano preaccorciati e quindi il movimento di estensione dell’anca sarà principalmente a carico dei glutei.

E’ fondamentale il controllo dell’addome e del bacino durante questo movimento: spesso si tende ad utilizzare troppo la schiena iperestendendola e non contraendo l’addome e questo oltre a non garantire una corretta attivazione muscolare può portare ad infortuni.

L’impostazione per eseguire un corretto Hip Thrust deve essere: mento in basso verso il petto, addome contratto, schiena mantenuta in posizione neutra e bacino in retroversione. Soprattutto durante l’ultima parte del movimento in massima contrazione, si deve effettuare la massima retroversione del bacino contraendo glutei ed addome.

L’esercizio può essere svolto sia in maniera bilaterale che unilaterale.

E’ possibile utilizzare una banda elastica intorno alle ginocchia in modo da aggiungere una resistenza alla rotazione esterna delle anche (altra funzione dei glutei) che aumenta molto l’attivazione e il pump muscolare.

Un ulteriore banda elastica può essere usata per sovraccaricare il movimento (quindi perpendicolare al bacino ed all’eventuale bilanciere) soprattutto nella parte finale e garantire una maggiore contrazione di picco.

Le due bande eventualmente possono essere anche utilizzate contemporaneamente.

Glute Bridge

Questo esercizio è simile all’Hip Thrust ma ha un rom più corto e leggermente diverso.
Valgono tutte le considerazioni fatte per l’Hip Trusth e qui risulta ancora più importante non iperestendere la schiena e concentrarsi sulla retroversione del bacino ed il controllo attivo di glutei ed addome. Dato il Rom più breve le possibilità di carico su questo esercizio sono maggiori rispetto all’Hip Thrust.

Conclusioni sull’allenamento dei glutei e femorali

Concludo l’articolo ricordando che nell’allenamento di glutei e femorali il principio della priorità e del prestancaggio tornano molto utili, poichè molti movimenti anche se con enfasi diversa vedono il coinvolgimento di entrambi i gruppi muscolari, iniziare l’allenamento con gli esercizi più “d’isolamento” oppure utilizzare tecniche come il pre-affaticamento in superset sono un ‘arma importantissima per decidere su quale dei due gruppi muscolari porre maggior enfasi.

Ad esempio se l’obiettivo è potenziare principalmente i femorali, potremmo iniziare l’allenamento con i Nordic Ham Curl, viceversa se l’obiettivo principale è rappresentato dai glutei potremmo iniziare l’allenamento con gli Hip Thrust.

.

Note sull’autore: Domenico Aversano
Domenico è un personal trainer certificato ISSA (CFT3), istruttore di Body Building certificato IFBB italia, studente di biologia generale ed applicata presso l’università degli studi di Napoli Federico II e grande appassionato di tutto ciò che concerne l’allenamento e l’alimentazione.
Il sito di Domenico
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