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Bicipite femorale: anatomia, esercizi e infortuni

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muscolo bicipite femorale

Il bicipite femorale è un muscolo della coscia composto da due ventri muscolari distinti (bi-cipite): un capo lungo e un capo breve.
Il capo lungo origina dalla tuberosità ischiatica, mentre il capo breve origina dalla linea aspra del femore. Hanno entrambi un decorso posteriore sulla coscia e prendono inserzione comune a livello della testa del perone. In virtù dei diversi punti di origine del muscolo coi suoi due capi, il bicipite femorale possiede funzioni anatomiche a livello di anca e di ginocchio. Fa parte dei muscoli della coscia posteriore detti “femorali” o ischiocrurali.

Con il suo capo lungo biarticolare determina una estensione dell’anca e una retroversione del bacino mentre con entrambi i suoi capi determina una flessione e una rotazione esterna del ginocchio. È un muscolo della gamba che nel tempo è divenuto famoso per la frequenza di infortuni che lo caratterizza durante le attività sportive. Non così rari infatti sono stiramento, contrattura e strappo di questo muscolo. In questo articolo impariamo a conoscere meglio il bicipite femorale, applicando la teoria alla pratica e chiarendo quali gli esercizi migliori per rinforzarlo e per allungarlo.

anatomia bicipite femorale
Muscoli posteriori della coscia, capo lungo, capo corto
Anatomia e funzioni del muscolo bicipite femorale
Origine Tuberosità ischiatica (capo lungo) e linea aspra del femore (capo breve)
Inserzione Testa del perone
Azione Estende l’anca e retroverete il bacino (capo lungo), flette e ruota esternamente il ginocchio

Stiramento bicipite femorale

Una delle eventualità più frequenti tra gli sportivi di alto e di basso livello è lo stiramento del bicipite femorale, determinato da un’eccessiva elongazione delle fibre muscolari e in molti casi della giunzione mio-tendinea. La lesione del bicipite femorale è frequente negli sport nei quali sono richiesti scatti ad alta velocità ripetuti. Tra le cause più comuni abbiamo una ridotta flessibilità muscolare e uno squilibrio tra muscoli anteriori (quadricipite) e posteriori della coscia, con possibile debolezza del grande gluteoTra i muscoli della parte posteriore della coscia, il bicipite femorale è in assoluto quello più colpito. Per questo è importante una buona preparazione atletica che si occupi di prevenire lo stiramento.

Lo stiramento è accompagnato da sintomi piuttosto comuni come il dolore acuto e localizzato subito in corrispondenza del trauma. Successivamente a seconda della gravità possiamo osservare dolore alla palpazione, ematoma e difficoltà nel camminare. Le lesioni da stiramento possono essere di tre gradi differenti a seconda della quantità di fibre lesionate. Generalmente il primo grado è una semplice elongazione con rottura di una bassa percentuale di fibre che non comporta tempi di recupero lunghi, non presenta ematoma e garantisce una deambulazione normale con possibile presenza di contrattura muscolare locale. Le lesioni di secondo e terzo grado, invece, sono caratterizzate da una percentuale maggiore di fibre lesionate (fino ad arrivare allo strappo muscolare), da una sintomatologia più grave con difficoltà a camminare e da tempi di recupero più lunghi. La diagnosi è di solito affidata a ecografia o risonanza magnetica sotto guida di un medico.

stiramento

I tempi di recupero dipendono generalmente dalla localizzazione della lesione: una lesione al muscolo ha un tempo di recupero minore rispetto a una lesione sul tendini o nei pressi del tendine. La letteratura riporta tempi di lesione via via maggiori più la lesione è localizzata in alto, vicino all’origine sulla tuberosità ischiatica. In caso di stiramento del bicipitefemorale la fase acuta dura generalmente dai 2 ai 5 giorni. È consigliabile in questo lasso di tempo del riposo dall’attività sportiva, del ghiaccio locale per limitare l’infiammazione e farmaci antinfiammatori al bisogno. Successivamente alla fase acuta, in funzione della gravità, il muscolo necessiterà di terapie graduali prima passive e poi attive per ripristinare l’estensibilità delle fibre, prevenendo retrazioni e favorendo la riorganizzazione delle fibre lesionate secondo le linee di trazione muscolare.

Esercizi di stretching e di rinforzo saranno inseriti con intensità crescente con il miglioramento dei sintomi. L’esercizio eccentrico in particolare aiuterebbe ad abituare il bicipite femorale a gestire al meglio le sollecitazioni specifiche a cui è sottoposto durante l’attività. L’esercizio Nordic Hamstring è riportato come uno dei migliori per prevenire le lesioni del bicipite femorale negli sportivi. Focus del lavoro sarà favorire il rientro all’attività, lavorando sui disequilibri muscolari per prevenire le recidive.

Contrattura bicipite femorale

La contrattura isolata al bicipite femorale è generalmente rara e connessa piuttosto a uno stato di protezione muscolare conseguente allo stiramento. A differenza dello stiramento, la contrattura al bicipite femorale prevede sintomi come il dolore diffuso sulla parte posteriore della coscia, la rigidità e la mancanza di fluidità nel movimento quando il muscolo è portato in allungamento. Ad ogni modo per chiarire la diagnosi è fondamentale, oltre a una valutazione specialistica, un’ecografia che possa far luce sulla lesione del tessuto. Ricordiamo che la contrattura consiste in un fascicolo di fibre che rimane contratto anche a riposo accompagnato da dolore diffuso nell’area e da rigidità, a differenza dello stiramento che invece è una condizione caratterizzata da un dolore acuto e trafiggente, specie dopo uno scatto, nella quale le fibre si rompono in conseguenza di un allungamento oltre le capacità di estensione del muscolo.

In caso venga riscontrata una contrattura, è consigliabile il calore come strumento terapeutico volto a risolvere la rigidità. Massaggio, foam roller e stretching possono aiutare a contrastare la condizione. Attenzione però a chiarire la diagnosi prima di intraprendere qualsiasi trattamento per evitare di peggiorare uno stiramento per una diagnosi errata di contrattura muscolare.

Esercizi bicipite femorale

I principali esercizi di rinforzo selettivo dei bicipiti femorali consistono in un movimento di flessione del ginocchio contro un sovraccarico esterno. Tra questi abbiamo il macchinario leg curl, ma possiamo anche eseguire il nordic hamstring sfruttando il nostro corpo come sovraccarico, oppure per chi è alle prime armi o post riabilitazione esercizi più semplici di flessione del ginocchio a pancia in giù con un elastico legato alla caviglia.

Il macchinario leg curl possiede diverse varianti: quella in piedi, seduta (seated leg curl), sdraiata. La variante che noi consigliamo è quella sdraiata con il macchinario “spezzato” a livello del bacino che permette un’ottimale attivazione del muscolo priva di compensi (schiena che si inarca). Infatti è importante fare attenzione a soggetti rigidi che durante l’esercizio potrebbero inarcare troppo la schiena, questo soprattutto nella variante in piedi (standing leg curl) ma anche in quella sdraiata con l’appoggio dritto.

leg curl

In generale tutte e tre le varianti determinano una forza sul ginocchio che pone in stress il legamento crociato posteriore. Se il soggetto è sano nessun problema, mentre attenzione ai soggetti che presentano lesioni recenti o passate a questo legamento (oggettivamente rari), per i quali l’esercizio potrebbe evocare dolore ed essere quindi sconsigliabile. È importante precisare che esistono altri esercizi utili a stimolare il bicipite femorale muovendo l’anca e tenendo fermo il ginocchio. Tra questi ricordiamo lo stacco a gambe tese e l’hyperextension. Entrambi necessitano di un’ottima mobilità dell’anca per essere eseguiti al meglio. Vista la funzione di estensione dell’anca è giusto ricordare che il capo lungo del bicipite femorale è coinvolto attivamente come agonista e stabilizzatore anche durante esercizi come affondi e squat.

Stretching bicipite femorale

Il bicipite femorale è un muscolo che spesso va incontro a rigidità e ciò potrebbe rivelarsi un possibile fattore di rischio per gli sportivi. Il bicipite femorale viene adeguatamente allungato posizionandosi con l’anca flessa e il ginocchio esteso, facendo attenzione a non ingobbirsi retrovertendo il bacino. Infatti, un errore comune è proprio quello di cercare a tutti i costi di raggiungere la punta dei piedi. Così facendo si perderà efficacia nell’allungamento, spostando l’enfasi dello stretching sui muscoli della colonna. Per questo sono consigliate varianti con la schiena in posizione eretta, in appoggio su un muro, a squadra, oppure a pancia in su, servendosi di un asciugamento o un elastico intorno al piede in caso di forte retrazione.

stretching

Oltre al classico stretching statico, sono utilissimi esercizi di mobilità dinamica nei quali, attivamente, portiamo in allungamento il bicipite femorale per esempio inclinando il busto eretto avanti con ripetizioni dinamiche. Ricordiamo che l’estensibilità di un muscolo dipende fortemente dalle richieste funzionali quotidiane della persona. I sedentari, infatti, non richiedendo nel quotidiano grandi escursioni articolari all’anca, riportano spesso forti rigidità. Uno stile di vita più attivo, in generale, soprattutto tramite attività sportive che richiedono escursioni articolari maggiori, aiuta a migliorare la mobilità.

Lo stretching bicipiti femorali deve essere inserito quotidianamente se vogliamo ottenere risultati concreti nel lungo periodo. Frequenza e costanza sono le parole d’ordine per allungare il bicipite femorale.

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Topinambur: calorie e proprietà

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topinambur proprietà

L’Helianthus tuberosus o topinambur è una pianta appartenente alla grande famiglia delle compositae. È una pianta perenne, il cui organo di sopravvivenza è un tubero. Il topinambur è arrivato in Europa in seguito alla scoperta dell’America, le prime notizie certe risalgono alla metta del XVI secolo. È originario dalle praterie del Nord America e del Canada dove cresceva spontaneamente come avviene oggi nelle nostre pianure. I topinambur hanno un sapore simile alle patate, ma sono piuttosto dolciastri. A seconda del tipo, la buccia può essere marrone, rossa o beige.
I tuberi possono essere consumati crudi, bollire o stufare.

Topinambur calorie e valori nutrizionali

La polpa del tubero è carnosa e bianca, di sapore delicato, simile al carciofo. il tubero somiglia per forma e consistenza ad una patata ma, contrariamente a quest’ultima non contiene amido, contiene, invece, il 15 per cento circa di glucidi composti quasi esclusivamente dal polisaccaride inulina.
L’apporto calorico del topinambur è, anche per questo motivo, particolarmente basso (circa 70 kcal per 100 g).

Dal punto di vista nutrizionale, il topinambur è un cibo ricco di vitamine A e vitamine del gruppo B, di potassio, magnesio, fosforo, selenio, zinco e ferro.

CALORIE TOPINAMBUR
Calorie 73
Carboidrati 17g
Zuccheri 10g
Proteine 2g
Grassi 0g
Fibra alimentare 1,6g
Potassio 429 mg
Sodio 4mg
Vitamina A 20 IU Vitamina C 4 mg
Calcio 14 mg Ferro 3,4 mg
Vitamina D 0 IU Vitamina B6 0,1 mg
Cobalamina 0 µg Magnesio 17 mg

topinambur benefici ed inulina

Topinambur proprietà

Il topinanbur é da sempre famoso per ridurre il colesterolo e per stabilizzare la concentrazione dello zucchero nel sangue (glicemia) e dell’acido urico. A causa di queste proprietà – dovute principalmente al basso potere calorico e al discreto contenuto di fibre alimentari e inulina, è anche conosciuto come “patata dei diabetici”. Inoltre, il fatto che il topinambur non contenga glutine fa sì che questo cibo possa essere una valida alternativa, come fonte glucidica, ai comuni cereali, soprattutto per i soggetti celiaci.

Le proprietà del topinambur sono quasi del tutto riconducibili al contenuto rilevante di inulina. L’inulina è un oligosaccaride non digeribile dall’apparato gastrointestinale umano, ma che va incontro alla fermentazione batterica (da parte del microbiota intestinale). La fermentazione batterica porta alla produzione di prodotti finali di fermentazione acida, principalmente acido lattico e acidi grassi a catena corta (SCFA), che riducono il pH del colon, che a sua volta influisce sulla composizione delle comunità microbiche presenti nel tratto gastrointestinale. Schematicamente, possiamo classificare le azioni dell’inulina nei seguenti punti:

  • Effetto sulla composizione del microbiota.
  • Effetto sulla produzione di metaboliti benefici da parte del microbiota.
  • Effetto sul Sistema Immunitario.
  • Effetto sulla permeabilità della barriera intestinale.

Nello specifico, il consumo di inulina (e di altri prebiotici) è una strategia dietetica mediante la quale il microbiota gastrointestinalepuò essere modificato a beneficio della salute. Infatti, i batteri che producono butirrato, come Faecalibacterium prausnitzii e Akkermansia muciniphila sono stati entrambi associati a effetti benefici sulla salute, tra cui una ridotta infiammazione e una migliore funzione della barriera intestinale.38

Probabilmente, in parte proprio per via degli effetti benefici sul microbiota, l’inulina ha dimostrato di migliorare diversi parametri immunitari e metabolici. Già nel 2002 Schley e Field avevano pubblicato uno studio in cui suggeriscono che gli effetti positivi dei prebiotici sulla funzione immunitaria nell’intestinoè mediata dall’aumento della produzione di SCFA e dal rafforzamento del GALT, in seguito alla fermentazione batterica. Da allora diversi studi hanno documentato e confermato che un’alimentazione ricca di fibre in generale, e un consumo adeguato di inulina, è associato ad un aumento del fattore antinfiammatorio IL-10.

La fermentazione di fruttani come l’inulina ha dimostrato di aumentare le concentrazioni di acido ippurico. L’acido ippurico è un co-metabolita prodotto dal microbiota ed è stato trovato in concentrazioni ridotte negli individui obesi rispetto ai soggetti magri e anche nei diabetici rispetto ai non diabetici. L’aumento delle concentrazioni di acido ippurico è considerato un effetto benefico del consumo di inulina dovuto alla sua fermentazione.

Le cellule epiteliali sono le barriere cellulari che rivestono le superfici mucose del corpo che forniscono protezione contro l’ambiente. Le cellule caliciformi intestinali producono mucine, che formano un gel idratato che impedisce alle grandi particelle (la maggior parte dei batteri) di entrare in contatto con lo strato di cellule epiteliali.  La frase “leaky gut” deriva dal fenomeno in cui le giunzioni strette che promuovono i meccanismi di barriera del rivestimento epiteliale GI (lo spazio paracellulare tra le cellule epiteliali) vengono compromesse. Questo evento è tipicamente associato all’infiammazione.

Gli SCFA, prodotti dalla fermentazione di oligosaccaridi come l’inulina e di altre fibre alimentari, possono anche contribuire a migliorare la funzione della barriera intestinale.È stato dimostrato che l’inulina promuove il cambiamento del microbiota portando ad un aumento della produzione endogena del peptide-2 glucagone-2 (GLP-2), migliorando così le funzioni della barriera intestinale e fornendo giunzioni più strette tra le cellule, con conseguente minore infiammazione. Inoltre, l’aumento del GLP è associato a un miglioramento della funzionalità dell’insulina.

Bisogna tener conto che l’integrità della barriera GI migliorata può aiutare a ridurre il lipopolisaccaride (LPS) plasmatico. Gli LPS sono sostanze endotossiche di origine batterica (si trovano principalmente nei batteri gram negativi) e svolgono un ruolo nello sviluppo di disturbi e condizioni metaboliche infiammatorie. Infatti, i LPS inducono l’attivazione del recettore Toll-like 4, che porta all’infiammazione dovuta al rilascio di citochine pro-infiammatorie e chemochine.È bene sottolineare che l’inulina ha dimostrato di ridurre significativamente i LPS plasmatici, nelle donne con diabete di tipo 2.

topinambur calorie

Quando non mangiare il topinambur

A causa delle alte concentrazioni di inulina il topinambur potrebbe portare, se consumato in quantità eccessive, a sintomi gastrointestinali. In realtà, generalmente, la tolleranza agli oligosaccaridi come l’insulina è di circa 20-30 grammi al giorno (una quantità enorme se si pensa di raggiungerla principalmente consumando topinambur). C’è però da dire che questa tolleranza si osserva nei soggetti già adattati al consumo di carboidrati indigeribili, oligosaccaridi e fibre in genere.

Nei soggetti non adattati, invece già con dosi di 10 grammi al giorno si manifestano effetti collaterali gastrointestinali. Un’indicazione generale efficace e valida per questi individui, è semplicemente aumentare l’apporto di fibre e di oligosaccaridi (quale è l’inulina) gradualmente, così da ridurre al minimo i possibili fastidiosi disturbi gastrointestinali come il gonfiore e la flatulenza, dando il tempo al nostro tratto digerente (e al microbiota) di adattarsi alla maggior disponibilità di queste sostanze.

Articolo del Dottor Daniele Esposito autore di Project Diet

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Zenzero: calorie, proprietà e benefici

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zenzero calorie e benefici

Lo zenzero è il nome comune della radice dello Zingiber officinale Roscoe, una pianta che ha la precedenza storica sia come medicina che come spezia, ed è una delle spezie più comunemente usate al mondo.Lo zenzero è probabilmente originario dell’India Nord Orientale ed è una pianta erbacea perenne, di circa 1 metro di altezza, con foglie che si dipartono da un rizoma. La parte più consumata dello zenzero è proprio il rizoma, o la porzione verticale della radice.

Zenzero calorie

Quantità per 100 grammi di zenzero (radice)
Calorie 80
Carboidrati 18 g
Zucchero 1,7 g
Proteine 1,8 g
Grassi 0,8 g
Fibra alimentare 2 g
Potassio 415 mg
Sodio 13 mg
Vitamina A 0 IU Vitamina C 5 mg
Calcio 16 mg Ferro 0,6 mg
Vitamina D 0 IU Vitamina B6 0,2 mg
Cobalamina 0 µg Magnesio 43 mg

zenzero in polvere

Zenzero proprietà

Lo zenzero è una spezia tradizionalmente trattata come medicina sia nella medicina tradizionale cinese che nell’Ayurveda , le dosi da 1 a 3 grammi possono ridurre la nausea e facilitare la digestione in modo abbastanza efficace. Gli usi storici dello zenzero includono mal di testa ed emicranie, pressione sanguigna e raffreddore.

Le attività farmacologiche dello zenzero che sono state messe in luce sono molto numerose e comprendono, ad esempio, quella antinfiammatoria, antiossidante, antimicrobica, antiemetica, ipoglicemica, ipocolesterolemica e antiaggregante. Ad ogni modo, le principali attività attribuite allo zenzero comprendono quella carminativa (riduzione dei gas intestinali), antinfiammatoria, stimolante della digestione, anti-vomito e antiaggregante piastrinica.

Zenzero  e apparato gastrointestinale

Per quanto riguarda le attività sul sistema digerente, lo zenzero ha la capacità di stimolare la secrezione e l’attività degli enzimi digestivi lungo tutto il tratto digerente. Lo zenzero ha dimostrato di esser efficace nello stimolare la motilità e lo svuotamento gastrico, oltre ad avere la capacità di stimolare il flusso sanguigno alle mucose del tratto digerente.

Questo aspetto è interessante in quanto il riassorbimento dei gas intestinali attraverso la mucosa dipende, in gran parte, proprio dal flusso sanguigno: questo meccanismo, insieme allo stimolo della motilità e della secrezione degli enzimi digestivi, contribuisce a spiegare l’effetto “digestivo” e carminativo dello zenzero.

Zenzero e appetito

Alcuni studi hanno suggerito che lo zenzero possa avere proprietà sazianti. Questo effetto, se si rivelasse vero, sarebbe molto interessante soprattutto per gli individui che necessitano di ridurre il grasso corporeo e quindi di ridurre l’apporto calorico senza soffrire eccessivamente la fame.

Nello specifico, 2 grammi di zenzero, assunti con un pasto, hanno dimostrato di poter ridurre, sebbene solo leggermente, la sensazione di fame, influenzando di conseguenza l’apporto calorico negli individui che seguono diete “ad libitum”. I meccanismi sottostanti quest’azione, comunque, non sono ancora chiariti, e si necessita di altri studi per confermare l’attività anti-fame dello zenzero.

Zenzero e glicemia

Lo zenzero, attraverso le sue azioni come antagonista del recettore della serotonina, ha dimostrato di aumentare il rilascio di insulina dalle cellule INS-1 (studi in vitro). In effetti, la serotonina normalmente sopprime il rilascio di insulina in queste cellule e l’antagonizzazione del recettore 5-HT può alleviare questa soppressione e portare a una riduzione della glicemia.

Questa riduzione della glicemia è stata osservata anche per il 35%, anche nei diabetici, ma occorre sottolineare che gli studi sono solo sui nei ratti. Invece, negli studi clinici – sugli uomini – 1 grammo di tubero di zenzero, assunto per via orale nell’uomo sano, sembra essere inefficace nel ridurre significativamente la glicemia, anche se ci sono delle evidenze che suggeriscono che può alleviare alcuni degli effetti della glicemia alta, come la ridotta motilità gastrica (in virtù delle azioni sul tratto gastrointestinale precedentemente descritte).

Zenzero ed effetto termico

Più di uno studio ha documentato che lo zenzero, quando assunto in dosi di 2 g insieme a un pasto (per lo più a base di carboidrati), è in grado di aumentare il dispendio calorico nelle successive 6 ore da quel pasto (effetto termico del cibo). Nello specifico, il consumo di zenzero (2 grammi) è stato associato ad un aumento medio del metabolismo di circa 30-40 kcal in un campione di 10 uomini.

Questi studi hanno contribuito a diffondere l’idea, ormai ben consolidata nella mente di molte persone, che lo zenzero possa essere un alimento miracoloso per il dimagrimento (a questo contribuisce anche l’effetto anti-fame, che però, come precedentemente detto, è veramente minimo, quando osservato). In realtà, stando ai numeri (aumento medio di 30-40 kcal), e considerando che lo studio aveva molteplici limiti (un campione veramente molto limitato), difficilmente lo zenzero può avere effetti “pro-dimagrimento” rilevanti.

Zenzero prorprietà

Conclusioni

Lo zenzero è utile nella prevenzione della nausea e del vomito, e può essere utilizzato come antiemetico post-operatorio. Inoltre, alcuni studi hanno suggerito un suo potenziale effetto significativo nella riduzione del dolore muscolo-scheletrico. Tradizionalmente, lo zenzero è utilizzato nei casi di dismenorrea, dispepsia, gonfiore addominale, dolori spastici addominali, nausea, febbre, e nei dolori articolari, oltre che per migliorare – in generale – la circolazione.

La ricerca si è concentrata soprattutto sull’attività antinausea dimostrata dallo zenzero in diversi studi clinici, anche se viene più comunemente utilizzato quale digestivo nel gonfiore addominale e, in particolare nella stagione invernale, per la sua capacità di stimolare la circolazione.

Articolo del Dottor Daniele Esposito autore di Project Diet

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Curl manubri panca inclinata

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panca inclinata

Il curl manubri panca inclinata è una delle tante variante di curl manubri che è possibile eseguire in palestra per l’allenamento del bicipite. La sua caratteristica principale è quella di contrarre il bicipite a partire da una posizione di massimo allungamento di questo muscolo. Infatti, posizionarsi a pancia in su su di una panca inclinata determina un posizionamento iniziale della spalla in estensione, con il braccio che cade perpendicolare al pavimento. Essendo il bicipite un flessore della spalla, la posizione raggiunta sulla panca comporta un allungamento di questo muscolo. Secondo la fisiologia muscolare, un muscolo che si contrae a partire da una posizione di massimo allungamento è in grado di esprimere meno forza. Questo si traduce in sala pesi nella possibilità di sollevare meno peso nei bicipiti con panca inclinata rispetto per esempio a un curl manubri classico in piedi o a una panca Scott.

Secondo la scienza, questo è un esercizio che attiva in maniera efficace il bicipite e che quindi andrebbe utilizzato nella nostra routine di allenamento, alternandolo alle altre varianti per cambiare gli stimoli e gli angoli di contrazione. Vediamo nel dettaglio la corretta esecuzione della panca inclinata con manubri per i bicipiti e gli errori da non commettere in palestra.

Curl con manubri su panca inclinata: esecuzione ed errori

Il curl panca inclinata manubri prevede di posizionarsi su una panca 45 gradi e lasciare cadere le braccia perpendicolari al terreno con i gomiti estesi. Da questa posizione, si sollevano i manubri flettendo i gomiti e gradualmente supinando l’avambraccio. È concesso portare leggermente avanti i gomiti per favorire un picco di contrazione muscolare. L’esecuzione deve essere sempre controllata e priva di slanci e oscillazioni delle braccia. In caso di un soggetto con ipercifosi o dolore cervicale si consiglia l’utilizzo di un cuscino dietro la testa per mantenere un corretto allineamento e prevenire i dolori.

panca inclinata

Due sono gli errori più comuni nel curl panca inclinata. Il primo è quello di portare i gomiti eccessivamente avanti durante il sollevamento dei manubri. Questo è un compenso che subentra con un carico eccessivo o con l’affaticamento e va evitato perché cambia la natura dell’esercizio, diminuendo i gradi di allungamento iniziale del muscolo. Inoltre, con questo errore diminuirà la tensione meccanica sul bicipite riducendo l’efficacia dell’esercizio.

Il secondo errore comune è quello di eseguire il curl manubri su una panca inclinata meno di 45 gradi. Se incliniamo la panca per esempio a 30 gradi, nel posizionarsi a pancia in su e lasciando cadere il braccio noteremo che questo non sarà perpendicolare al terreno, bensì obliquo. Questo accade perché la spalla in questa posizione non ha la mobilità necessaria per estendersi così tanto e di conseguenza l’esercizio risulterà inutile e forzato. Optate quindi per un curl panca 45 gradi seguendo le indicazioni fornite in precedenza. L’esercizio curl manubri panca inclinata costituirà così un ottimo alleato per l’allenamento dei bicipiti in palestra.

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GH: l’ormone della crescita

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GH ormone

Il GH (ormone della crescita, somatotropo) è un ormone peptidico di 191 amminoacidi, secreto dall’ipofisi anteriore. Come suggerisce il nome ha un ruolo fondamentale nello sviluppo e nell’accrescimento durante la prima parte della nostra vita, da adulto regola diverse funzione metaboliche che riguardano la composizione corporea ma non solo. Esistono patologie da difetto (ipopituitarismi) ed eccesso di secrezione (gigantismo, acromegalia), è molto usato anche come agente dopante.

Funzioni del GH 

Spesso il GH ha la fame di essere un potentissimo ormone anabolizzante, in realtà le azioni anabolizzanti sono per la maggior parte mediate dall’ IGF-1 (in particolare sui muscoli). Può essere considerato quindi non solo un ormone, ma un pro-ormone per i suoi effetti sinergici con l’insulina per la sintesi dell’IGF-1, un potente anabolizzante.

Esiste infatti una particolare malattia genetica, la sindrome di Laron, nella quale si ha produzione di GH ma non vi sono recettori epatici e periferici funzionanti per il GH, impedendo la secrezione di IGF-1. Questi pazienti recuperano la crescita con una terapia ormonale sostitutiva con la mecasermina (IGF-1 ricombinante).

Nel diabete mellito di tipo 1, nonostante un asse ipofisario conservato, si ha deficit di IGF-1 e la crescita è fortemente inibita se non si interviene con la terapia insulinica.

Anche sperimentalmente, in studi su cavie private dei recettori per il GH o IGF-1, hanno visto che solo quest’ultime avevano gravi deficit di sviluppo e mortalità precoce. Analogamente, l’uso di IGF-1 e GH hanno mostrato un icremento della sintesi proteica, che però si perdeva nel caso in cui la cavia fosse priva di recettori per IGF-1 (ma non se era priva di recettori muscolari per il GH).

Il somatotropo media quindi gli effetti di crescita su diverse strutture:

  • Midollo osseo –> proliferazione cellulare, sintesi componenti plasmatiche, globuli rossi
  • Tessuto osseo –> accrescimento in lunghezza (durante lo sviluppo) e successivamente in larghezza (adulto)
  • Organi viscerali come fegato, cuore, tiroide –> visceromegalia (crescita)
  • Cute –> crescita dei capelli, del derma e delle ghiandole sudoripare
  • Rene –> aumento del filtrato, aumento dell’attivazione della 25-OH D3 in calcitriolo (vitamina D3 attiva), stimolando la deposizione ossea del calcio

Il GH appartiene anche alla classe degli ormoni controinsulari, ovvero quelli che si oppongono all’attività dell’insulina. Il GH promuove quindi la lipolisi in sinergia con catecolammine e cortisolo (aumentando gli FFA), l’aumento della glicemia e a differenza di glucagone e cortisolo inibisce la proteolisi periferica (risparmio di azoto), stimola la conservazione del glicogeno epatico.

Nel bilancio azotato il GH riduce la proteolisi, aumenta la sintesi proteica e l’uptake periferico/muscolare di alcuni amminoacidi e riduce la loro ossidazione, favorendo quindi un bilancio azotato positivo (la semplice iperamminoacidemia stimola la sintesi proteica, con o senza GH).

GH ed esami del sangue e valori ematici

esami edl sangue ormone della crescita

Il GH segue un ritmo circadiano e una sua pulsatilità, ma è variabile anche da giorno a giorno nello stesso individuo: generalmente si ha un picco notturno verso le 3-4 di mattino e un secondo picco verso le 6-7 del mattino, con una depressione alla prima colazione e ai pasti.

Tuttavia questi picchi di GH possono essere fisiologicamente anticipati o ritardati a seconda di numerosi fattori e della secrezione episodica di somatostatina che inibisce la sua secrezione, pertanto non sono molto utili da soli in diagnostica, cioè un valore random alto o basso non è indicativo di eccesso o carenza.

Da sottolineare che il GH endogeno normalmente è composto da 191 amminoacidi e pesa 22’000 kDa, ma che nel sangue sono presenti anche altre isoforme troncate di diversi amminoacidi (20’000 kDa) dotate di uguale attività biologica ma talvolta non riconosciute dalle analisi; inoltre ogni laboratorio ha il suo range e metodo di indagine radioimmunologico e possono esserci significative variazioni eseguendo il test in laboratori diversi.

In un maschio adulto sano, il somatotropo a digiuno è generalmente inferiore a 5ng/ml o 226 pmol/L, nella donna sono talvolta riferiti valori massimi più elevati, fino a 10ng/ml perchè si riscontrano nella popolazione sana (non è ancora chiaro il significato di questo dismorfismo sessuale, dato che i livelli di IGF-1 sono invece simili all’uomo). Nel bambino invece, si considerano fino a 20ng/ml.

Per valutare un’alterata secrezione di GH, si valutano altri test come il livello dell’IGF-1, che indica al contempo la secrezione complessiva di GH e lo stato nutrizionale o con test di stimolo/provocazione che riescono a mettere il luce la dinamica secretoria del GH, come:

  • il test al GHRH (fattore di rilascio del GH)
  • l’infusione e.v. di sola arginina o in combinazione con il GHRH
  • la somministrazione di colinergici o L-Dopa
  • il test dell’ipoglicemia indotta da insulina (poco pratico)
  • la somministrazione di acido nicotinico (poco usato)
  • test di tolleranza orale al glucosio (OGTT), viene normalmente usato per determinare la risposta glicemica ad un carico orale di glucosio, in questo caso è invece usato per evocare la soppressione del GH, mentre i test precedenti sono di stimolo.

Il GH umano ha un’emivita di 30-60 minuti, condizionata da livelli di proteine plasmatiche (GHBP) e funzionalità renale, la sua secrezione complessiva nelle 24 ore è di circa 400-700 mcg.

Come aumentare l’ormone della crescita: fattori nutrizionali e fisiologici

L’esercizio fisico, specialmente intenso e con elevata produzione di lattato (HIIT, lavori ad alta densità) è in grado di aumentare in modo significativo la secrezione di GH. Questo aumento è però circoscritto e non porta a livelli mediamente più elevati di IGF-1, che sappiamo essere il mediatore a livello muscolare. Probabilmente è comunque una buona metodica allenante per il dimagrimento, specialmente dal punto di vista dell’efficienza.

Alimentazione e somatotropo

Il digiuno e la malnutrizione calorico-proteica aumentano significativamente l’ormone della crescita, ad un prezzo: si riduce fino al 50% l’IGF-1 sierico, pertanto non risulta una buona idea per la crescita o la conservazione della massa muscolare (cioè non mangiare non aiuta i muscoli, chi l’avrebbe detto, eh?).

Un pasto proteico o assunzione di notevoli quantità di arginina, aumentano (almeno in acuto) la secrezione di GH, specialmente se accompagnata da bassi livelli di glucosio e acidi grassi.

Ora invece una soluzione che non solo funziona, ma vi farà pure risparmiare: dimagrire (se site sovrappeso, ovviamente). Nei soggetti sovrappeso, obesi con diabete di tipo 2 o con sindrome metabolica si ha un variabile grado di insulino resistenza, che porta ad un’aumentata lipolisi basale nel tessuto adiposo con elevati livelli di FFA nel sangue e talvolta (DM2, sindrome metabolica) alterata glicemia a digiuno.

Cosa c’entra col GH? Il GH è un ormone iperglicemizzante e lipolitico, pertanto sia l’iperglicemia che gli acidi grassi liberi (FFA) ne inibiscono la secrezione, infatti questi soggetti hanno ridotti livelli di GH, e la terapia sostitutiva migliora la composizione corporea: questo a supporto della tesi che essere troppo grassi deprime la secrezione di GH.

Un altro metodo low-cost, che oltre a incrementare il GH è associtato a numerosi benefici sulla salute è: dormire bene.

Il sonno profondo (fase REM) è indicativo della qualità del riposo notturno, tra le altre cose permette la massima secrezione di GH notturno, non dimentichiamo che nel sano il GH è prodotto in larga parte durante il sonno.

Significato metabolico della secrezione fisiologica dell’ormone della crescita

Effetti del GH

Quando si parla di ormoni e sport, specialmente in contesti natural si fa spesso l’errore di pensare che lo stimolo ormonale sia l’obiettivo dell’allenamento o dell’alimentazione, quando in realtà la risposta ormonale andrebbe vista solo come un “tramite” che congiunge quello che noi facciamo con quello che otteniamo, quindi un mezzo non un obiettivo.

Tra le teorie più strampalate per aumentare il somatotropo a scopo anabolizzante o lipolitico abbiamo il non mangiare carboidrati, specialmente a cena, che magari in acuto se il pasto è prevalentemente proteico stimola il GH ma poi lo deprime: aumentano gli FFA che inibiscono la secrezione di GH, aumentano i chetoni che riducono la necessità di ormoni controinsulari, il fegato riduce notevolmente la sintesi di IGF-1 perchè la carenza di insulina segnala mancanza di substrati.

Paradossalmente invece, l’insulina favorisce un rebound nella secrezione di GH, perchè “pulisce” il sangue dagli FFA (così come l’acido nicotinico) e abbasa la glicemia.

Oppure l’integrazione di arginina, perchè stimola il GH… si parla però di 20-30g endovena. Con secretagogo dell’ormone della crescita annessa.

In contesti fisiologici il GH è un mezzo per rendere disponibile energia quando c’è carenza (stato post-prandiale, allenamento intenso, digiuno) o per metabolizzare substrati introdotti con l’alimentazione (amminoacidi), induce una fisiologica insulino-resisitenza allo scopo di mobilizzare i grassi e preservare glicogeno e muscolo scheletrico.

Non ha quindi molto senso scervellarsi per trovare il trucco per aumentare il GH e ricavare particolari benefici per migliorare la propria composizione corporea, discorso molto diverso se lo si assume a scopo dopate…

Come assumere GH: l’uso medico e dopante

L’uso primario del GH ricombinante, o r-hGH, è quello di sostituire la mancanza negli ipopituitarismi genetici, acquisiti o idiopatici.

Risulta di primaria importanza in ambito pediatrico assicuare la crescita del bambino affetto da carenza di GH, allo scopo il medico valuta sia le curve auxologiche che gli esami del sangue per stabilire e aggiustare la dose di somatotropo da somministrare.

Il GH è somministrato tramite iniezione sottocutanea (nel tessuto adiposo), ogni giorno in genere al mattino, per “mimare” il più possibile le secrezioni fisiologiche. Le dosi comunemente usate sono 1-2 UI nell’adulto come terapia di mantenimento e 2-5 UI (0,3mg/kg/settimana) nel bambino-adolscente; 1 UI (unità internazionale) corrisponde a 0,33mg di sostanza.
Come target terapeutici nel bambino si valuta la crescita, l’età ossea e valori di IGF-1; nell’adulto i valori di IGF-1, la densità ossea, il BMI e altri parametri ematici.

Nell’adulto con carenza e specialmente nell’anziano, aiuta a conservare la massa magra, ossea e probabilmente la qualità della vita.

Non è un segreto che la terapia con GH migliori la composizione corporea, sperimentalmente su uomini obesi e con sindrome metabolica ha ridotto massa grassa e aumentato la massa magra, migliorando al contempo l’omeostasi glucidica, attraverso un miglior “partizionamento” dei nutrienti. Allo scopo è usato con discreto successo (negli Stati Uniti) nel trattamento della lipodistrofia associata a HIV, negli stati cachettici e nelle ustioni gravi.

Veniamo ora al doping: perchè si usa il GH a scopo dopante?

Intanto bisogna tenere conto che per definizione, la dose dopante è superiore alla dose fisiologica che produce il nostro corpo o alla dose sostitutiva; nello specifico si parla di dosaggi minimi di 2-3 Unità fino alle 4-10 Unità al giorno (cioè da 2 a 10 volte la produzione fisiologica).

Ha un effetto di ricomposizione corporea, perchè da un lato aumenta la disponibilità di FFA nel sangue, dall’altro aumenta la ritenzione di azoto.

Gli FFA vengono ossidati più velocemente e in quantità maggiore, anche grazie all’aumentata conversione di T4 in T3 ad opera del GH e l’IGF-1 aumentando la sintesi proteica aumenta il dispendio energetico.

Il GH stimola anche la deposizione di collagene (risulta piuttosto efficacie in questo senso) nei muscoli e nei tendini, favorendo la riparazione di microlesioni e irrobustendo il tendine, piuttosto utile in qualsiasi atleta.

C’è però un prezzo a tutto questo, al di là dell’aspetto legale del doping:
un effetto è l’insulino resistenza (non sempre si verifica, perchè IGF-1 compensa parte dell’azione iperglicemizzante del GH) che aumenta il rischio di diabete di tipo 2, l’ipotiroidismo (già a dosi sostitutive può rallentare la funzione tiroidea, deprimendo la sintesi di T4), l’aumentato rischio potenziale nello sviluppo di tumori del sistema ematopoietico come leucemie e linfomi e il nutrire un tumore già sviluppato.

Da sottolineare infatti, che il somatotropo è spesso associato a insulina, metformina (farmaco per il diabete di tipo2) e ormoni tiroidei (T4 o T3).

L’aumentata crescita del pericondrio e periostio può causare assieme alla ritenzione di fluidi delle neuropatie da compressione, come la sindrome del tunnel carpale e aumentato rischio di artrosi causato dalla perdita delle proporzioni tra i margini ossei delle articolazioni, così come acromegalia (deformazione delle ossa, in particolare cranio, mandibola, mani e piedi).

Un altra complicanza da non sottovalutare riguarda il sistema cardiovascolare, infatti il GH causa cardiomegalia associata a deposizione di collagene nella fibra muscolare riducendo l’efficienza cardiaca e causando la perdita del fisiologico rapproto tra muscolo cardiaco e valvole.

Il GH causa anche l’aumento della renina, che causa un iperattivazione del sistema RAAS, aumentando la ritenzioni di fluidi e sodio aumentando la risposta ipertensiva.

Sia nell’uso medico che dopante, in modo dose-dipendente e a seconda della purezza del prodotto, possono comparire nel sangue anticorpi anti-GH che inattivano la molecola, richiedendo dosi maggiori o vanificando l’azione terapeutica.

Conclusioni sul GH

Ricapitolando cosa possiamo dire dell’ormone della crescita, quali sono in sintesi i suoi effetti:

  • Ha una fondamentale azione nella crescita e nello sviluppo
  • Gli esami del sangue non sono facili da interpretare, in caso di sospetta iper o ipofunzione secretoria c’è un iter diagnostico da seguire
  • Aumenta in condizioni di digiuno, iponutrizione e pasti proteici/arginina
  • Si riduce all’aumentare dell’età e della massa grassa
  • Ha funzioni lipolitiche, iperglicemizzanti, stimola la ritenzione di azoto e la resistenza all’insulina
  • I suoi effetti anabolizzanti sono per lo più mediati dall’IGF-1 e quindi dallo stato nutrizionale
  • L’uso dopante ha diversi benefici ed effetti collaterali

Bibliografia:

  1. Garndner & Shoback, Greenspan’s endocrinologia generale e clinica, Piccin 2009
  2. https://emedicine.medscape.com
  3. Fazeli, Pouneh K and Anne Klibanski. “Determinants of GH resistance in malnutrition” Journal of endocrinologyvol. 220,3 R57-65. 27 Jan. 2014
  4. Godfrey RJ, Whyte GP, Buckley J, et al. The role of lactate in the exercise-induced human growth hormone response: evidence from McArdle disease
  5. British Journal of Sports Medicine 2009;43:521-525.
  6. van vught, Anneke & G Nieuwenhuizen, Arie & Brummer, Robert-Jan & S Westerterp-Plantenga, Margriet. (2008). Effects of Oral Ingestion of Amino Acids and Proteins on the Somatotropic Axis. The Journal of clinical endocrinology and metabolism. 93. 584-90.
  7. van vught, Anneke & G Nieuwenhuizen, A & A B Veldhorst, M & Brummer, Robert-Jan & S Westerterp-Plantenga, M. (2010). The Effects of Protein Ingestion on GH Concentrations in Visceral Obesity. Hormone and metabolic research = Hormon- und Stoffwechselforschung = Hormones et métabolisme. 42. 740-5.
  8. Møller, J & Fisker, S & M Rosenfalck, A & Frandsen, Erik & Jorgensen, Jens & Hilsted, J & S Christiansen, J. (1999). Long-term effects of growth hormone (GH) on body fluid distribution in GH deficient adults: A four months double blind placebo controlled trial. European journal of endocrinology / European Federation of Endocrine Societies.
  9. Gudmundur Johannsson, Per Mårin, Lars Lönn, Malin Ottosson, Kaj Stenlöf, Per Björntorp, Lars Sjöström, Bengt-Åke Bengtsson, Growth Hormone Treatment of Abdominally Obese Men Reduces Abdominal Fat Mass, Improves Glucose and Lipoprotein Metabolism, and Reduces Diastolic Blood Pressure, The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, Volume 82, Issue 3, 1 March 1997, Pages 727–734
  10. Kim, Shin-Hye & Park, Mi-Jung. (2017). Effects of growth hormone on glucose metabolism and insulin resistance in human. Annals of Pediatric Endocrinology & Metabolism. 22. 145-152. 10.6065/apem.2017.22.3.145.
  11. Sgrò, P., Sansone, M., Parisi, A. et al., Supra-physiological rhGH administration induces gender-related differences in the hypothalamus–pituitary–thyroid (HPT) axis in healthy individuals. J Endocrinol Invest (2016) 39: 1383.
  12. Niels Møller, Jens Otto Lunde Jørgensen, Effects of Growth Hormone on Glucose, Lipid, and Protein Metabolism in Human Subjects, Endocrine Reviews, Volume 30, Issue 2, 1 April 2009, Pages 152–177

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3 diete efficaci ma semplici e che funzionano (garantito)

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diete efficaci

In questo articolo vediamo 3 diete efficaci che funzionano (poi capiremo perché). Sono state messe in ordine di semplicità, da quella che richiede meno calcoli (nessuno) ad una un po’ più complessa ma efficace (perchè è personalizzata). Vediamo così di capire perchè queste diete funzionano e come applicarle.

Tutte le diete efficaci si basano su un unico principio

Hai presente la storia che una caloria non è una caloria? Bene è falsa e chi dimostra il contrario vince il Nobel. Una caloria è una caloria perchè semplicemente la caloria è una unità di misura. Sarebbe come dire che un metro non è un metro o un litro non è un litro. Tra l’altro in nutrizione e biochimica si usa la caloria metabolica, ovvero non la caloria pura (misurata con la bomba calorimetrica) ma la caloria che il nostro organismo riesce effettivamente ad assimilare.

Questo è il motivo per cui le proteine che hanno 5,65kcal ma per l’uomo ne hanno solo 4kcal (dobbiamo eliminare la base azotata che si porta via un po’ di atomi d’idrogeno);
o perchè le fibre alimentari non hanno 4kcal come gli altri zuccheri ma a seconda della fibre 0-2,2-2,4kcal.

Tutto questo per dirti che anche se quasi tutte le diete sostengono che le calorie non sono importanti, in realtà tutte le diete funzionano proprio perchè la persona assume meno energie:

perchè tutte le diete funzionano

Interiorizzato questo punto, bisogna comprendere che noi non abbiamo la reale percezione di quanto mangiamo. Generalmente si pensa di mangiare poco ma si mangia tanto, gli studi scientifici mostrano che mediamente ricordiamo la metà delle calorie che ingeriamo.

Quindi prima di dare la colpa alla tiroide, ossa grandi, metabolismo lento, ecc. continuiamo a leggere 😉

1. Dieta efficace: quella dei nostri bisnonni

100 anni fa la media della popolazione italiana era magra, a parte le fasce più abbienti, le persone erano normopeso. Le ragioni sono principalmente due:

  1. alimentazione sana basata su cereali integrali, legumi, frutta e verdura, carni magre, pesce e uova
  2. lavori manuali faticosi ed in media 10km al giorno di camminata

Ecco il segreto per cui un paese più si modernizza e più vede la sua popolazione lievitare (nel peso). La vera dieta mediterranea non fa altro che riportare l’attenzione su uno stile di vita attivo e su alimenti sazianti e poco calorici.

Se non avete voglia di contare le calorie, iniziate da qua, da uno stile di vita ed un’alimentazione sana. Via dolci, biscotti, merendine, insaccati, carni grasse ed alimenti molto calorici e poco sazianti, e dall’altra cerchiamo di fare almeno 8000-10000 passi al giorno e di allenarci 3 volte a settimana.

Saranno forse i soliti consigli ma purtroppo nessuno gli adotta mai. Tornassimo a farli torneremmo probabilmente alla % di grasso dei nostri bisnonni.

2. Dieta efficace: quella sul nostro fabbisogno calorico giornaliero

Il primo approccio alimentare potrebbe non bastare. Io vado spesso a comprare i prodotti dal contadino, vedo però un sacco di gente che mangia biologico e naturale con la pancia, com’è possibile?
Purtroppo non è perchè un cibo è sano che non fa ingrassare (torniamo ad una caloria che è una caloria).
Molte persone hanno un senso dell’appetito alterato, le ragioni sono principalmente: una resistenza ipotalamica alla leptina ed insulina ed un microbiota alterato.

Per risolvere questa situazione bisogna calcolare il proprio fabbisogno calorico giornaliero (TDEE). In questo modo siamo sicuri di quante calorie dovremmo assumere. Per trova il TDEE il metodo migliore è mettere su un’app conta calorie, tutto ma proprio tutto quello che mangiamo per 3-4 settimane. Se non siamo variati di peso l’abbiamo trovato (altrimenti regoliamoci col cibo).
La cosa interessante è che molte persone, semplicemente inserendo quello che mangiano dimagriscono, questo perchè si accorgono delle calorie e si autoregolano.

Una volta trovato il TDEE mediamente conviene per:

  • gli uomini tagliarlo di 500kcal al giorno
  • per le donne 300-350kcal

In questo modo la dieta sarà una buona via di mezzo tra il riuscire a sopportare la fame ed il vedere il peso calare sulla bilancia, mediamente varierà tra le 200-500g a settimana (è questa la perdita che dovete aspettavi, dimagrire velocemente è principalmente una bufala e non funziona perchè poi abbiamo un rebound dato dalla fame e dalla stanchezza).

3. Dieta efficace: quella sulla calorie e proteine

Il terzo approccio prende tutti i punti visti sopra ma oltre alle calorie aggiunge anche di contare le proteine. I protidi sono importanti nella dieta ipocalorica perchè aiutano a preservare la massa magra ed a preservare il senso della sazietà. Per questo può convenire mettersi a contarli. Abbiamo un range comunque molto ampio e non per forza dobbiamo fare una dieta iperproteica.

  • Assumiamo 1,2-2,5g/kg (sul peso ideale) di proteine
  • Le altre calorie le suddividiamo liberamente tra grassi e carboidrati

In generale per le persone già abbastanza magre o che fanno sport conviene tenere i carboidrati più alti ed i grassi più bassi, mentre per le persone in sovrappeso e/o sedentarie viceversa. In ogni caso a parità di deficit calorico il risultato non cambia, quindi scegliete l’approccio più adatto a voi, variando anche di giorno in giorno a seconda delle esigenze.

Perchè le diete falliscono

Conclusioni

A molti questo articolo sembrerà semplicistico, non abbiamo parlato:

Vi assicuriamo che ai fini del risultato non cambia niente. Non è questo che rende una dieta efficace o meno. Gli autori dei più disparati regimi alimentari devono trovare una novità per vendere, ma in università i libri dicono, giustamente, sempre la stessa cosa. Purtroppo piuttosto che seguire una dieta ferrea su pochi punti, le persone preferiscono perdersi nelle supercazzole.
Alla fine del percorso vi lasciamo con un famoso detto cinese che si applica molto bene a questo articolo:

“Prima di conoscere lo Zen, le montagne sono montagne ed i fiumi sono fiumi.
Quando conosci lo Zen, le montagne non sono solo montagne ed i fiumi non sono solo fiumi.
Quando comprendi lo Zen, le montagne tornano ed essere solo montagne ed i fiumi solo fiumi”

Buona dieta!

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Ananas: calorie, valori nutrizionali e proprietà

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ananas valori nutrizionali

L’ananas è un frutto tropicale di origine sudamericana dove veniva regolarmente assunto delle popolazioni autoctone (Maya, Atzechi e Incas). Le prime coltivazioni in Europa iniziano nel XVIII secolo, ma la sua produzione su larga scala trova oggi il giusto clima nelle isole dell’oceano pacifico e nei tropici. È ormai un frutto molto comune nelle nostre tavole e si consuma spesso anche nella versione in scatola e sciroppato.

Vediamo così di scoprire le calorie, proprietà e valori nutrizionali dell’ananas.

Calorie ananas

A livello di calorie e macronutrienti non è molto diverso dalla più nostrana mela.

Prodotto su 100g Ananas Mela
Kcal 40-45 38-52
Carboidrati 10-11,8 13
Zuccheri 8,3-10 11,2
Proteine 0,6 0,3
Grassi 0,1 0,2
Fibre 1,4 1,6

Fonte dati: USDA

Considerando che una fetta pesa mediamente poco meno di 100 grammi, due fette sono, approssimando, l’equivalente calorico di una mela medio–grossa. L’ananas così è un frutto calorico nella media, possiamo mangiarlo tranquillamente, senza comunque esagerare. Attenzione alla variante sciroppata dove invece i valori nutrizionali cambiano:

Ananas sciroppato 100g di prodotto
Kcal 64
Carboidrati 16,6
Zuccheri 16,6
Proteine 0,5
Grassi 0,0
Fibre 0,7

L’ananas sciroppato è più calorico in media del 50%, ha più zuccheri semplici e meno fibre. Da questo punto di vista se dobbiamo scegliere meglio al naturale, ma anche mangiarlo ogni tanto non è comunque un problema (stiamo parlando di 64kcal/100g con 5-6g di zuccheri aggiunti ogni 100g).

ananas calorie

Proprietà nutrizionali dell’ananas

Anche dal punto di vista dei micronutrienti è in linea con la maggior parte dei frutti: ha un ottimo rapporto sodio/potassio, apporta una buona dose di Manganese ed è ricco di Vitamina C (acido ascorbico), con un quantitativo di quest’ultima che in alcune varietà raggiunge i 65 mg/100g, addirittura più delle arance (il valore medio è sui 20 mg/100g). Non a caso l’ananas venne impiegato nell’800 per la prevenzione dello scorbuto.

Doveroso spendere due parole anche per l’ananas tagliato a fette e pronto al consumo perché stiamo parlando del frutto in scatola più consumato al mondo.
Se ci riferiamo alla versione “al naturale”, l’apporto calorico e di nutrienti energetici è ovviamente il medesimo; tuttavia avremo una forte perdita di Vitamina C, la quale da buon antiossidante quale è…si ossida.

Le versioni sciroppate e quelle in succo di ananas, invece, oltre alla perdita nutrizionale di Vitamina C, avranno un quantitativo decisamente maggiore di zuccheri. Da considerare più come dessert che come frutto.

Ananas e Bromelina

ananas bromelina

L’aspetto che catalizza il pubblico interesse riguarda, però, la presenza di un composto estraibile chiamato Bromelina.
La Bromelina è contenuta, con una composizione leggermente diversa, sia nella polpa che nel gambo ma quella più studiata ed utilizzata merceologicamente è quella del gambo, dove è anche più concentrata.  Spesso definita come enzima proteolitico, si tratta in realtà di una miscela dove, oltre alle proteasi, che in effetti sono il componente principale, vi sono fosfatasi, glucosidasi, perossidasi ed altri composti biologicamente attivi.

Per motivi non ancora del tutto compresi la bromelina può essere assorbita nell’intestino, bypassando digestione gastrica e duodenale. I potenziali effetti benefici sono, quindi, a due livelli: gastrointestinale e sistemico. Nello stomaco sarebbe di supporto per la digestione proteica grazie alle proteasi, mentre a livello sistemico i potenziali benefici sarebbero molti, dall’azione antiinfiammatoria a quella decongestionante nasale arrivando persino a benefici per il sistema immunitario.

“Potenziali” perché, sebbene gli studi effettuati sino ad ora siano incoraggianti (spesso purtroppo con bassa validità interna), mancano studi su larga scala per verificare in maniera rigorosa la presunta efficacia e le eventuali modalità di assunzione.
N.B. gli studi suddetti si riferiscono alla supplementazione diretta di Bromelina, non al consumo di Ananas.

Non c’è correlazione tra bromelina e lipolisi, tuttavia esiste uno studio, uno solo, in vitro, dove la bromelina attivata si è dimostrata in grado di diminuire l’accumulo di trigliceridi negli adipociti. Interessante, suggestivo, ma lontanissimo da un utilizzo pratico. Ricordiamoci quindi che l’ananas non fa dimagrire!

Ultimo punto: il potere “dolcificante” dell’ananas è sul liquido seminale.
Nell’ananas sono, in effetti, presenti alcuni composti volatili che potrebbero contribuire al “flavour” ma, incredibilmente, non sono mai stati condotti trial clinici per indagare la questione.

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Sit up: esecuzione e varianti

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sit up

Il sit up è uno degli esercizi per gli addominali più famosi in palestra. Si presenta come un esercizio in grado di stimolare numerosi muscoli addominali all’interno di un movimento che richiede una discreta forza iniziale per essere eseguito in sicurezza e in maniera corretta. I muscoli che allena sono tutti quelli del core addominale come il retto addominale, l’obliquo esterno, l’obliquo interno, il trasverso dell’addome (soprattutto nella prima fase del movimento), nonché i muscoli flessori dell’anca su tutti l’ileopsoas e il retto del femore (soprattutto nella seconda fase).

Il sit up si compone infatti di una combinazione di movimenti comprendente una flessione del rachide toracico e lombare e una flessione delle anche. Tale combinazione permette al tronco di passare dalla posizione sdraiata a quella seduta alla fine della ripetizione. È così un ottimo esercizio per allenare tutta la catena muscolare anteriore del corpo. Vediamo come eseguire al meglio questo esercizio.

Sit up addominali: esecuzione ed errori

Il sit up addominali nella versione più classica viene eseguito a partire dalla posizione supina, con le anche e le ginocchia flesse e i piedi a terra. Da questa posizione si richiede il sollevamento del corpo effettuando in sequenza una flessione del tronco e una flessione delle anche. Una volta giunti in posizione seduta, si ritorno gradualmente a terra riappoggiando interamente la schiena e la testa prima di ripartire.

Sono sconsigliate le varianti nelle quali si eseguono mezzi movimenti che creano sì ottime sensazioni di lavoro muscolare addominale, ma che non permettono un miglioramento ottimale della forza e uno sviluppo armonico della muscolatura. Per limitare gli stress sulla schiena è importante eseguire l’esercizio portando prima il bacino in retroversione e la lombare in flessione (come in un crunch) e solo successivamente flettere le anche staccando da terra il busto.

Inizialmente per facilitare l’esecuzione è possibile agganciarsi a una spalliera o a un supporto con i piedi (sit up su panca), in modo tale da favorire la risalita del tronco senza staccare i piedi dal terreno. In un secondo momento, con il miglioramento della forza, si proverà a eseguire l’esercizio senza supporti esterni.

sit up

La posizione delle mani costituisce un’iniziale parametro per modulare il sovraccarico. Posizionando le mani incrociate sul petto si ridurrà la difficoltà dell’esercizio, mentre posizionandole alla nuca la si aumenterà.

Anche l’utilizzo di una panca ci permetterà di modulare la difficoltà: inclinando la panca saremo facilitati nell’eseguire il movimento mentre, al contrario, declinando la panca aggiungeremo un sovraccarico maggiore all’esercizio.

È consigliabile posizionare un asciugamento o un ab mat per i sits up dietro alla schiena per favorire un ottimale pre-stiramento dei muscoli addominali e favorirne così una contrazione efficace, preservando l’equilibrio muscolare. L’esecuzione deve avvenire senza slanci e in maniera controllata. Per i soggetti più avanzati è possibile inserire un sovraccarico aggiuntivo come per esempio un manubrio o un disco tenuto davanti al petto.

Addominali sit up e mal di schiena

Il sit up è un esercizio che richiede una discreta forza iniziale per essere eseguito in sicurezza. Per questo non è sicuramente un esercizio indicato inizialmente per principianti o per soggetti sedentari e inattivi da molti anni.
Il sit up se eseguito male può infatti sovraccaricare molto le anche, la zona lombare e i dischi intervertebrali, provocando dolore specie in soggetti con lombalgia o storia passata di ernia del disco o protrusione.

Per chi è alle prime armi si consiglia di partire con un crunch eseguito correttamente, enfatizzando la flessione lombare e la retroversione del bacino per rinforzare gli addominali e abituare la zona lombare e i dischi a sopportare stress in flessione.
La differenza sostanziale tra un crunch e un sit up classico consiste nel fatto che il crunch non prevede il sollevamento del busto dal suolo e non effettua la flessione delle anche ma solo quella del tronco. Successivamente per aumentare la difficoltà si possono inserire delle ripetizioni facilitate su una panca inclinata oppure dei mezzi rom e delle negative, per consolidare la forza e portarci verso l’esecuzione di una ripetizione completa a terra. Curate la progressione dell’allenamento per evitare di farvi male alla schiena soprattutto se soffrite di mal di schiena cronico.

sit up su panca

Sit up crossfit

Esistono numerose varianti di sit up tra cui una interessante ereditata dal crossfit denominata butterfly sit up. Tramite questa variante si esegue un sit up con le piante dei piedi a contatto tra loro e le gambe aperte verso l’esterno. In questo modo si cerca di limitare l’utilizzo dei muscoli delle anche come lo psoas per enfatizzare invece la contrazione e la stimolazione dei muscoli addominali.
Ovviamente questa è una variante di sit up più avanzata che può essere inserita una volta che siamo in grado di completare più ripetizioni della versione classica senza l’aggancio dei piedi alla spalliera.

Un’altra variante è il cosiddetto reverse sit up o sit up inverso che, come dice il nome stesso, prevede un movimento opposto con le gambe e il bacino che si staccano dal suolo e il tronco che rimane adeso al terreno. Quest’ultimo è un esercizio che assomiglia molto al crunch inverso.

L’esercizio sit up può essere un valido alleato per sviluppare la forza di tutta la catena muscolare anteriore, addominali compresi. È tuttavia un esercizio non per tutti inizialmente e che richiede pazienza, costanza, attenzione alla corretta esecuzione e una programmazione personalizzata. Questo soprattutto se siete alla prime armi e avete sofferto o soffrite di dolore alla schiena.

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Limone: calorie, proprietà e valori nutrizionali

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limone valori nutrizionali

Il limone è uno dei più famosi agrumi (famiglia Rutacee), ed è la risultante dell’incrocio tra arancio amaro e cedro. Anche se associamo gli agrumi – principalmente arancia e limoni – al Sud dell’Italia, in realtà gli agrumi iniziano ad essere domesticati diverse migliaia di anni fa nei Paesi orientali, come la Cina. Il limone è un alimento considerato alcalinizzante, nonostante il suo gusto asprigno, dovuto all’acido citrico. Per questo motivo, alcuni autori hanno affermato che il limone, anche come succo diluito e con poco zucchero, è particolarmente utile per la prevenzione dei calcoli renali, soprattutto di urati, grazie alla sua azione “alcalinizzante” sulle urine, data dall’aumento della concentrazione di citrato. In realtà, come vedremo successivamente nell’articolo, questa proprietà non è stata dimostrata per il limone (o l’acqua e limone) al contrario della supplementazione di citrato di potassio.

Il limone (e il suo succo) è considerato anche un alimento “disinfettante”, e a partire da ciò si è diffusa la credenza che il succo di limone renda sicuri, dal punto di vista igienico, i frutti di mare e i pesci crudi. Tuttavia, è pericoloso fare affidamento sulla sua azione antisettica.

Limone valori nutrizionali

Il limone è un agrume composto per oltre il 90% da acqua, con un contenuto irrilevante di proteine e un contenuto particolarmente basso anche di zuccheri (circa 2 grammi). Dal punto di vista dell’apporto di micronutrienti, il limone contiene potassio, calcio, fosforo, vitamine del gruppo B e vitamina C; quest’ultima è contenuta in rilevanti quantità ma certamente non così elevate da far considerare il limone una ricchissima e importantissima fonte di acido ascorbico – come invece spesso si fa.

Leggi il nostro articolo sugli alimenti ricchi di vitamina C se vuoi vedere quali sono quelli che ne contengono di più.

Una sostanza interessante, rilevantemente contenuta dal limone, da cui prende il nome, è il limonene. Il limonene è un composto incolore che odora di arance. Nonostante il profumo, è ai più alti livelli nelle scorze dei limoni.

pianta del limone

Calorie limone

Composizione chimica valore per 100g
Energia (kcal): 11
Carboidrati disponibili (g): 2.3
Zuccheri solubili (g): 2.3
Proteine (g): 0.6
Lipidi(g): 0
Fibra totale (g): 1.9
Sodio (mg): 2
Potassio (mg): 140
Ferro (mg): 0.1
Calcio (mg): 14
Fosforo (mg): 11
Vitamina C (mg): 50

Il limone è tra gli alimenti meno calorici in assoluto.  Sicuramente non fa ingrassare, ma anche se ha poche calorie, il limone non fa dimagrire.

Limone proprietà

Quali sono le proprietà, i benefici e i valori nutrizionali del limone?

Detta tra noi, il limone (o il suo succo) non ha alcuna proprietà nutrizionale particolare, e sinceramente molto più apprezzabili sono le sue caratteristiche di gusto e odore quando sapientemente utilizzato in cucina. Quanto appena detto non dovrebbe stupire, in quanto la maggior parte dei cibi – se non tutti – non hanno proprietà benefiche specifiche; in scienze dell’alimentazione non si guarda al singolo frutto, o al singolo nutriente, quanto all’intera dieta, o a categorie di alimenti in un determinato contesto. Insomma, anche in letteratura scientifica, non troverete informazioni sul limone o sul singolo cibo, piuttosto su un pattern alimentare generale (magari caratterizzato dal consumo di una certa categoria di cibo), oppure studi di nutraceutica (un ramo della nutrizione ancora troppo acerbo, tuttavia) in cui si studiano le proprietà di singoli componenti, per poterli magari successivamente utilizzare, in specifiche formulazioni, come integratori con proprietà farmacologiche. Da questo punto di vista, la sostanza presente nel limone che desta particolar interesse è il limonene (vedremo i suoi benefici nei prossimi paragrafi).

Il limonene è un composto che viene assorbito rapidamente e quasi interamente nel tratto gastrointestinale dopo l’ingestione, e successivamente viene distribuito in vari tessuti corporei dopo il metabolismo epatico. L’emivita del D-limonene è stimata di 12-24 ore, ed è stato osservato che dopo una dose di 1,6 g, più del 50% è escreta nelle prime 24 ore, senza alcun accumulo del composto osservato nei giorni successivi.

I succhi di agrumi standard nelle nazioni occidentali (fatti senza la buccia) contengono fino a 100 mg di limonene per litro di succo, mentre i succhi prodotti con la buccia contengono fino ad anche 1027 mg per litro. I principali metaboliti del limonene nell’uomo sono l’acido perillico, l’acido diidroperilico e il limonene-1,2-diolo. [limonene] Questi metaboliti sono glucuronidati dal fegato ed escreti attraverso le urine. Come detto, è proprio il limonene ad avere, almeno in teoria, proprietà benefiche interessanti.

Proprietà limone

Limone e salute del fegato

È stato dimostrato che l’integrazione con D-limonene (nei ratti) è capace di invertire l’accumulo di acido grasso epatico nonché gli effetti a valle causati dall’insufficienza epatica. In uno studio, questi effetti sono stati osservati con 80 mg/die di limonene al giorno. Da questa osservazione alcuni autori hanno proposto che il limone possa avere benefici per il fegato (spesso si parla di detossificazione) e possa ipoteticamente essere utile nei soggetti con steatosi epatica non alcolica. 

Tuttavia, faccio notare che non solo gli studi su modelli di roditori non sono sufficienti a supportare qualsiasi tipo di raccomandazione nutrizionale nell’uomo, ma che le dosi somministrate ogni giorno ai ratti equivalgono a circa 1 l di succo di limone al giorno (ben più di qualche goccia spruzzata sui cibi o nell’acqua al mattino)

Concludendo è ad oggi inutile introdurre il limone in una dieta detox o disintossicante con la speranza che possa ripulire il fegato.

Limone e dimagrimento

La capacità di brucia-grassi del limone, e in particolar modo del limonene, “stranamente”, non è mai stata osservata, figuriamoci dimostrata, in letteratura scientifica. Le uniche osservazioni, da studi sperimentali, che potrebbero avere un qualche legame (per la verità molto debole) tra la relazione tra consumo di limone e dimagrimento, è l’accumulo di metaboliti del D-limonene, come l’acido perillico, nel tessuto adiposo.

Tuttavia non si è a conoscenza dell’effetto di questa sostanza nelle cellule del grasso, per cui il ruolo del limone (anzi, del limonene) sulla riduzione del grasso corporeo, è stato diffuso solo attraverso aneddoti tramandati di persona in persona. Infine, si tenga anche conto che non c’è alcuno studio che dimostra che il limone (o il suo succo) possa aumentare il tasso metabolico (e quindi avere un effetto positivo sul dimagrimento agendo sul lato “energy out” dell’equazione del bilancio energetico).

A parer mio, l’unico effetto potenzialmente positivo del limone aggiunto all’acqua o ad altre bevande ipo- a-caloriche, è che chi è convinto che il limone faccia bene, potrebbe ridurre il consumo di cibo per la sensazione di pienezza ottenuta dalla maggior assunzione di liquidi (addizionati con succo di limone). Inoltre, poiché molte persone generalmente tendono a bere troppo poco, se questa pratica aiuta a farle consumare un paio di bicchieri d’acqua in più al mattino, allora avrà dei benefici (seppur indiretti e non collegati al limone), sia in termini di salute che di composizione corporea (legati alla miglior idratazione).

Limone e calcoli renali

I limoni contengono una quantità notevole di acido citrico. Combinandosi con il calcio nei reni, il citrato (un derivato dell’acido citrico) può prevenire la formazione e ridurre la crescita sia dell’ossalato di calcio che del fosfato di calcio. Si noti che il rischio di sviluppare calcoli renali è dato, tra le altre cose, dal contenuto di citrato nelle urine (se vi è una bassa concentrazione – ipocitraturia – vi è un aumentato rischio di sviluppare calcoli renali).

Effettivamente, la supplementazione con citrato di potassio è probabilmente efficace nella prevenzione e nel trattamento dei calcoli di ossalato di calcio e 85 ml di succo di limone hanno dimostrato di aumentare il citrato urinario tanto quanto una dose clinica di citrato di potassio.

Tuttavia, la dose minima efficace per la prevenzione non è chiara, e il succo di limone non è stato valutato per quanto riguarda gli effetti sulle dimensioni dei calcoli o dei sintomi clinici ma, quanto meno, vi è una certa logica di base nell’affermare che il limone possa aiutare da questo punto di vista.

Limone e sistema immunitario

Una convinzione comune è che il limone aumenti le difese immunitarie e aiuti a prevenire o a combattere le infezioni e lo sviluppo, nello specifico, del raffreddore. Questa affermazione si basa principalmente sul fatto che il limone abbia un discreto contenuto di vitamina C.

Non voglio nemmeno ricordare che ci sono moltissimi altri cibi ben più ricchi di vitamina C e ben più “comodi” da consumare, e nemmeno iniziare una prolissa trattazione sul fatto che in realtà nell’alimentazione è odierna è praticamente impossibile avere carenze di questa vitamina, perché non sono assolutamente questi i problemi principali.

Il punto focale è che, semplicemente, la vitamina C non riduce la frequenza dei raffreddori! Dal punto di vista puramente teorico, la vitamina C può ridurre, semmai, la durata del raffreddore, ma solo se integrata in modo consistente (cioè non solo dopo essersi ammalati), in dosi che sono semplicemente troppo alte per essere ottenute dai limoni. Inoltre, non è nemmeno dimostrato che l’integrazione massiva di vitamina C sia realmente utile per prevenire l’influenza o ridurre la durata del raffreddore.

Un’argomentazione – seppur debole – a favore del ruolo del limone come alimento “immuno-stimolante”, è il fatto che contiene alcune sostanze, come il limone, la naringina e l’esperidina, che, in teoria, potrebbero avere effetti positivi sul Sistema Immunitario. Tuttavia, quando parliamo degli effetti dei flavonoidi o di altri fitochimici presenti in un alimento, ci addentriamo in un campo minato, per 2 semplicissimi motivi: innanzitutto, c’è un problema dovuto alla biodisponibilità e all’azione di queste sostanze, che generalmente è osservata solo in studi preclinici con dosaggi farmacologici, in secondo luogo, perché praticamente qualsiasi alimento vegetale contiene sostanze di questo tipo, che sono generalmente associate o proposte per avere effetti benefici sul sistema immunitario, per cui è assolutamente inutile, anzi fuorviante, esaltare le proprietà di un singolo cibo, come il limone, da questo punto di vista.

Limone e cancro

Il limone non ha alcun effetto anti-cancro dimostrato. Tuttavia, il limonene è una sostanza che ha dimostrato di avere proprietà anti-cancerogene in vari modelli di cancro, tra cui pelle, reni, polmoni e seno. Tuttavia, queste proprietà sono state osservate in dosi farmacologiche elevate di limonene su cellule in coltura (studi in vitro) o su modelli animali. Questi studi (preclinici) non bastano assolutamente per tacciare una sostanzia, figuriamoci l’intero cibo che la contiene in quantità minime, come anti-cancro. Per intenderci, messa così, non esiste cibo che non contenga sostanze potenzialmente anti-cancro.

Conclusioni

I limoni sono certamente alimenti sani, come lo sono la maggior parte dei frutti. Tuttavia, le affermazioni specifiche sui benefici sulla salute da parte del limone, del succo di limone o dell’acqua e limone, sono basate su prove molto deboli (o su nessuna prova).

calorie limone

Limone controindicazioni

Oltre al fatto che una grande quantità di succo di limone può essere poco gradevole al palato (ma i gusti sono gusti), una (e probabilmente l’unica) preoccupazione che vale la pena menzionare è l’azione del limone (fondamentalmente del succo di limone) sull’erosione dello smalto dei denti. Infatti, la natura acida del succo di limone può ammorbidire lo smalto dei denti, portando alla loro erosione nel tempo. Alcuni autori consigliamo di evitare di lavarsi i denti subito dopo aver bevuto il succo di limone (o acqua e limone).

Se bevete abitualmente acqua e limone usate una cannuccia.

Acqua e limone e azione detossificante

Le affermazioni sulla disintossicazione sono piene di equivoci sulla fisiologia umana , e anche quando un meccanismo d’azione è plausibile, la sua applicabilità alle diete e agli integratori è raramente sostenuta da prove solide.

Sì, i nutrienti e altri agenti bioattivi negli alimenti possono influenzare gli enzimi di disintossicazione nel fegato. Nei roditori, sia il sulforafano (abbondante in molte verdure crucifere)  che il limone sembrano avere questo effetto. Ma il grado in cui i dosaggi ottenibili di limonene e altri componenti dei limoni possono aiutare un fegato umano a disintossicare un corpo umano è ancora incerto, e lo sono anche le maggiori implicazioni sulla salute.

Acqua e limone e proprietà alcalinizzanti

L’idea di base è che, rendendo il sangue troppo acido, la dieta tipica occidentale (ricca di alimenti industriali) promuove una varietà di malattie, in particolare cancro, diabete, osteoporosi e malattie cardiovascolari. Secondo alcune persone, il consumo di alimenti “alcalinizzanti”, come il limone, compenserebbe il consumo di alimenti acidificanti e quindi aiuterebbe i sistemi tampone a mantenere il pH del sangue entro valori fisiologici.

In effetti, avere un pH del sangue troppo alto (troppo alcalino) o troppo basso (troppo acido) può essere dannoso, addirittura letale. Il punto è che, eccetto in caso di malattia grave (cancro, chetoacidosi, insufficienza epatica, avvelenamento grave …), il pH del sangue è strettamente regolato e mantenuto in un certo range di valore ristretto (compatibile con la vita) grazie a vari sistemi del nostro corpo, in particolare grazie all’azione di polmoni e reni. Dunque, in realtà l’alimentazione non modifica mai il pH sanguigno, al massimo agisce sul pH urinario, il che suggerisce, semplicemente, che i reni stiano facendo il loro lavoro.

Infine, se l’obiettivo è quello di alcalinizzare il sangue, o i tessuti, perché ci si affida al succo di limone?

È vero, il limone, sebbene acido, produce metaboliti alcalini nel corpo, e quindi ha un potenziale di acido renale potenzialmente negativo (PRAL); ma il PRAL del succo di limone è di -2,5, quindi non particolarmente basso, se paragonato ad altri frutti.

Articolo del Dottor Daniele Esposito autore di Project Diet

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Pompelmo: calorie, benefici e valori nutrizionali

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Pomplemo valori nutrizionali

Il pompelmo ( Citrus paradise ) della famiglia delle Rutacaeae, è un agrume diffuso in tutto il mondo, non solo per il suo gusto e il suo valore nutritivo, ma anche perché considerato un alimento funzionale che promuove la salute e previene malattie. Prove scientifiche recenti, ottenuto attraverso tecniche di biologia molecolare, hanno dimostrato che il pompelmo è probabilmente un ibrido tra pummelo ( C grandis ) e arancio dolce ( C sinensis ).

I flavanoni (naringina e esperidina) e i limonoidi (limonina) sono responsabili del gusto amaro comunemente associato al pompelmo (la concentrazione di naringina decresce gradualmente con la maturazione del frutto e, dunque, in genere il gusto acido e amarognolo è più accentuato nel pompelmo meno maturo). Il colore del pompelmo, invece, è variabile, fondamentalmente perché dal frutto originale ad oggi ci sono più varietà diverse. Dunque, può avere un colore che va dal rosa fino ad arrivare al rosso, passando per il giallo e l’arancione. Il colore rosso è dovuto al licopene, un carotenoide famoso per la sua azione antiossidante che è particolarmente presente nel pomodoro (e in altri frutti e verdure di colore arancio-rosso).

Pompelmo valori nutrizionali

Un’ampia varietà di composti bioattivi nel pompelmo sono stati isolati e caratterizzati. La loro abbondanza relativa varia in base alla varietà, alla posizione geografica, al momento della raccolta e al metodo di trasformazione del pompelmo. Di seguito la Tabella dei valori nutrizionali ricavata dal database C.R.E.A.

POMPELMO Valore per 100g
Energia (kcal): 26
Carboidrati disponibili (g): 6.2
Zuccheri solubili (g): 6.2
Proteine (g): 0.6
Lipidi(g): 0
Fibra totale (g): 1.6
Sodio (mg): 1
Potassio (mg): 230
Ferro (mg): 0.3
Calcio (mg): 17
Fosforo (mg): 16
Vitamina C (mg): 40

Come possiamo vedere, più del 90% del pompelmo è composto da acqua, e questo ci fa subito comprendere come questo frutto sia particolarmente poco denso energeticamente (solo 26 kcal per 100 g di prodotto). Il minimo apporto calorico è dovuto al contenuto di zuccheri semplici, anche se tra i glucidi figura anche una quantità non trascurabile di fibre, sia solubili sia insolubili.

Dal punto di vista dell’apporto di micronutrienti il pompelmo è conosciuto principalmente per il suo contenuto di potassio e vitamina C, ma è una fonte anche di altre vitamine, come alcune del gruppo B, e di altri minerali come calcio, fosforo e ferro.

Tuttavia, non sono questi nutrienti ad aver reso il pompelmo (e in generale gli agrumi o l’intera categoria della frutta) particolarmente interessante dal punto di vista nutrizionale, piuttosto le cosiddette sostanze non nutrienti, denominate “fitochimici” o “sostanze fitochimiche”, che anno per anno mostrano potenziali (almeno teoriche) proprietà utili per il mantenimento della salute e la prevenzione delle malattie croniche.

Nello specifico, i flavonoidi costituiscono i costituenti bioattivi più abbondanti del pompelmo, e quattro tipi di flavonoidi (flavanoni, flavoni, flavonoli e antocianine) sono stati identificati nei frutti degli agrumi. Altri componenti chimici identificati nel pompelmo sono gli agonocloni, i glucosidi, le furanocumarine (bergamottina, 6 ‘, 7’-diidrossibearottina) e i carotenoidi.

Calorie pompelmo

Pompelmo proprietà

Al pompelmo sono stati attribuiti moltissime proprietà, generalmente legate all’azione che i fitochimici in esso contenuto hanno dimostrato in alcuni studi pre-clinici. Nello specifico, Al pompelmo vengono attribuiti favorevoli effetti sul peso, sulla colesterolemia, sulla trigliceridemia e sulla pressione arteriosa.

Pompelmo, obesità e sindrome metabolica

La sindrome metabolica è un gruppo di anomalie metaboliche (attualmente definite da obesità addominale, dislipidemia aterogenica, aumento della pressione sanguigna, insulino-resistenza e intolleranza al glucosio, stato pro-infiammatorio e stato trombotico ), che aumentano il rischio di sviluppare diabete e malattie cardiovascolari. Chiaramente, esercizio fisico regolare e interventi dietetici sono le due colonne portanti sia della prevenzione sia della gestione della sindrome metabolica e delle patologie ad esse associate.

Il pompelmo ha sempre avuto la nomea di “cibo anti-obesità”, ed è per questo che è stato reso l’alimento principe di molte diete famose e commerciali, a partire già dagli anni trenta. Per certi versi, visto il suo potenziale saziante, il contenuto elevatissimo di acqua, la presenza di pectina e di altre fibre, e la sua bassissima densità energetica (alcuni autori hanno perfino parlato di “calorie negative” – anche se, vedremo, tale concetto non è stato mai dimostrato, accettato e riconosciuto per alcun cibo esistente, in scienze dell’alimentazione).

A parte la sua presenza in diete anti-obesità, anche la letteratura scientifica a supporto delle proprietà del pompelmo è costituita da articoli scientifici interessanti che mettono in risalto l’associazione (NON la relazione causa-effetto) tra consumo di pompelmo intero e perdita di peso e minor resistenza all’insulina nei pazienti con sindrome metabolica.

Il consumo di pompelmi è stato associato a diminuzione della glicemia a digiuno e livelli di insulina e livelli sierici di colesterolo totale, lipoproteine ​​a bassa densità (LDL) e trigliceridi ematici. Il consumo di pompelmo può quindi avere effetti benefici nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 e altre malattie degenerative, che possono scientificamente giustificare la tradizione secolare dell’ integrazione alimentare del pompelmo nelle diete considerate più salubri. Si deve tuttavia notare che la comunità scientifica sottolinea bene che il ruolo del pompelmo, nella prevenzione dello sviluppo e della progressione della sindrome metabolica, non è stato completamente compreso.

La causa delle proprietà apparentemente benefiche del pompelmo sono, come dicevo precedentemente, i fitochimici in esso contenuto. Infatti, molti flavonoidi dietetici sono stati identificati come antidiabetici e possono ridurre il rischio di malattie croniche legate all’età. I principali flavanoni nel pompelmo, naringina e esperidina, sono stati collegati meccanicisticamente agli effetti benefici di questo frutto.

Pompelmo benefici

È stato osservato, sebbene solo in studi in vitro, che la naringina riduce la disponibilità della proteina microsomiale di trasferimento dei trigliceridi (MTTP) (necessaria per la secrezione di lipoproteine contenenti apolipoproteina (apo) B, che conferiscono una maggior espressione di rischio aterosclerotico). È stato anche dimostrato che il trattamento combinato con naringina e vitamina C migliora il diabete indotto da streptozotocina nei ratti, e che esperidina e naringina sono efficaci nel migliorare l’iperlipidemia e l’iperglicemia nei modelli animali con diabete di tipo 2, regolando parzialmente il metabolismo degli acidi grassi e del colesterolo e influenzando l’espressione genica degli enzimi che regolano il metabolismo del glucosio.

Tutti questi risultati giustificano e supportano gli effetti anti-diabetici dei flavonoidi. Tuttavia, è bene ricordare che gli studi in vitro o su modelli animali non possono in alcun modo rappresentare una sufficiente evidenza a supporto di una relazione causa-effetto, e non possono da soli, pertanto, portarci a concludere che i flavonoidi contenuti nel pompelmo possano avere effetti benefici sulla sindrome metabolica.

Ci resta il buon senso che ci dice, semplicemente, che un frutto molto poco denso energeticamente, ricco di fibre alimentari e con un potenziale molto saziante, non può che aver eun ruolo positivo nel contesto di un’intera dieta (o ancor meglio un intero stile di vita) basata su raccomandazioni per il benessere e la salute.

Pompelmo e malattie cardiovascolari

Gli studi epidemiologici concordano sul fatto che un maggiore apporto dietetico di flavonoidi è stato associato a un ridotto rischio di ictus ischemico e malattie cardiovascolari (77 , 78 ). Gli effetti protettivi dei flavonoidi comprendono: proprietà anti-ischemiche, antiossidanti, vasorilassanti e antitrombotiche. È stato suggerito che i flavonoidi riducono il rischio di malattie coronariche migliorando la vasodilatazione coronarica, diminuendo la capacità delle piastrine di coagularsi e prevenendo l’ossidazione delle lipoproteine ​​a bassa densità (LDL).

Il consumo di un mezzo pompelmo piccolo tre volte al giorno per 6 settimane è associato a un calo moderato della pressione arteriosa. Inoltre, uno studio condotto sulla componente fibrosa del pompelmo ha rilevato che il consumo di pectina del pompelmo, per 16 settimane, da parte di persone a rischio cardiovascolare, era associato a miglioramenti del profilo lipidico (riduzione del 7,6% del colesterolo totale e del 10,8% del colesterolo LDL).

Interazioni farmaci-alimenti

succo di pompelmo e farmaci

“L’effetto pompelmo” si riferisce alla capacità del succo di pompelmo e degli integratori (a base di succo di pompelmo ad es.) di interagire con un’ampia varietà di farmaci, aumentando o limitando la loro disponibilità nell’organismo. A causa dell’alterazione del dosaggio attivo del farmaco, il succo di Pompelmo è comunemente non raccomandato nel caso di assunzione di molti farmaci differenti.

Infatti, l’assunzione di “elevate quantità” (più di un bicchiere di succo di pompelmo), e verosimilmente anche di frutto intero, interferisce per circa 24 ore nella cinetica di numerosi farmaci, aumentandone la biodisponibilità, in quanto inibisce l’isoenzima epatico CYP3A4, isoforma del citocromo P450 presente nel fegato e nella parente intestinale.

Dunque, aumenta la concentrazione plasmatica di simvastatina e lovastatina, di numerosi calcioantagonisti, degli antistamici e di moltissimi altri farmaci. Una nota interessante è che questa caratteristica è “abbastanza specifica” per il pompelmo rispetto ad altri frutti e soprattutto agli altri agrumi, infatti, ad esempio, arance e limoni non sembrano avere effetti sul CYP3A4.

Articolo del Dottor. Daniele Esposito autore di Project Diet

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Ormoni tiroidei

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La tiroide è una ghiandola altamente specializzata, produce principalmente 3 ormoni tiroidei T4, T3 (in piccola parte) e calcitonina. Questi ormoni hanno un ruolo fondamentale già nello sviluppo del feto, nella crescita e nella regolazione della funzione cardiaca, la termogenesi, metabolismo dei macronutrienti e anche nel metabolismo osseo.

Quali sono gli ormoni tiroidei

Gli ormoni tiroidei T4 (tiroxina) e T3 (triiodotironina) sono chimicamente derivati da un legame etereo (R-O-R’) tra due residui dell’ammminoacido L-tirosina, organificati con 3 o 4 molecole di Iodio.

Esistono anche ormoni tiroidei secondari, come il T1 (monoidotirosina) e il T2 (diiodotirosina), che derivano invece dall’organificazione diretta della tirosina con lo iodio (rispettivamente 1 e 2 molecole) e sono principalmente usati come precursori degli altri due ormoni tiroidei.

La calcitonina è prodotta dalle cellule parafollicolari della tiroide (cellule C), ha effetti piuttosto differenti rispetto agli ormoni tiroidei in quanto ha un’azione secondaria nel metabolismo osseo del calcio, stimolando la sua deposizione e inibendo il riassorbimento osseo, ne aumenta inoltre l’escrezione renale; nell’uomo la sua “utilità” a più di 50 anni dalla sua scoperta è ancora poco compresa, dato che altri ormoni mediano questi effetti in modo più specifico e la sua assenza non crea scompensi metabolici.

Nei prossimi paragrafi saranno pertanto trattati gli ormoni tiroidei “classici” meglio conosciuti e associati alla tiroide, ovvero il T4 e il T3.

Sintesi e Fisiologia degli ormoni tiroidei

Per la sintesi degli ormoni tiroidei sono fondamentali 2 precursori, lo iodio e la tirosina. Inoltre sono fondamentali la funionalità di alcune componenti ed enzimi tiroidei: il trasportatore di ioduro (NIS), la perossidasi tiroidea (TPO) e la tireoglobulina (TG).

Lo iodio entra nella cellula tiroidea, che lo ossida (TPO) e poi viene organificato con i residui di tirosina sulla matrice glicoproteica della tireoglobulina (TG).
Gli ormoni tiroidei sono poi separati dalla tireoglobulina e secreti nel sangue (in un rapporto circa 20:1 di T4:T3), per poter espletare le proprie funzioni.

Tutti questi processi sono regolati dall’ormone tireostimolante (TSH) e dalla disponibilità di Iodio nel sangue.

TRH (ipotalamo) –> TSH (ipofisi) –> T4 + T3 (tiroide)

produzione ormoni tiroidei

Un altro elemento non fondamentale ma molto importante per la funzionalità e il metabolismo degli ormoni tiroidei è il Selenio; va a costituire diverse proteine ed enzimi con funzione antiossidante (come gli enzimi che “ricaricano” il glutatione), è quindi di grande importanza nel proteggere le cellule tiroidee dallo stress ossidativo generato dalle perossidasi (TPO), la sua carenza è infatti associata a declino della funzione tiroidea e della conversione periferica di T4 in T3.

A questo punto ci si potrebbe chiedere se integrando Iodio possa aumentare la funzione tiroidea e favorire il dimagrimento, ed effettivamente molti integratori dimagranti a base di Iodio “naturale” da alghe (es: Nori, Kombu, Fucus etc.) o simili estratti promettono di essere validi alleati nell’aumentare il metabolismo.
In realtà la tiroide è più furba dell’integratore di alghe e risponde ad un carico di Iodio eccessivo riducendo il trasporto di Iodio nelle sue cellule e inibendo la sintesi e secrezione di T4 e T3, questo particolare effetto è un sofisticato meccanismo di difesa per mantenere stabili livelli di ormoni tiroidei ed è chiamato effetto Wolff-Chaikoff.

Dopo alcuni giorni/settimane, il rallentamento tiroideo da carico di Iodio si normalizza, eccetto in casi patologici come iper o ipo tiroidismi. Quindi quasi paradossalmente, assumere più Iodio del fabbisogno (150 mcg/die) non solo non funziona ma è deleterio per la funzione tiroidea.

 Cosa fanni gli ormoni tiroidei ?

 Gli effetti biologici degli ormoni tiroidei, sono mediati in larga parte dal T3, che deriva dalla deiodinazione (rimozione di un ioduro) del T4 ad opera delle deiodinasi.

Le deiodinasi sono enzimi presenti in molti tessuti, si distinguono in tipo 1, 2 e 3. La D1 e D2 localizzati in molti tessuti come fegato, muscolo e SNC, hanno la funzione di produrre T3 mentre la D3 presente soprattutto nel SNC ha lo scopo di inattivare la T4 in rT3 (isomero inattivo della T3) e la T3 in 3,3′-T2 (pro-ormone inattivo), determinando la perdita dell’attività sui recettori degli ormoni tiroidei.

T4 –> D1, D2 –> T3
T4, T3 –> D3 –> rT3, 3,3′-T2

Il T3 è liposolubile e diffonde attraverso la membrana cellulare, si lega ai recettori nucleari tiroidei determinando trascrizione genica ed effetti biologici lenti, gli effetti più rapidi sono invece mediati da interazioni non genomiche con enzimi o proteine di membrana cellulari e mitcondriali.

Possiamo distinguere diversi effetti degli ormoni tiroidei, in base ai tessuti bersaglio:

  • Effetti sul feto –> gli ormoni tiroidei sono fondamentali nello sviluppo del SNC e dello scheletro del feto, la carenza causa cretinismo (ritardo mentale) e nanismo
  • Metabolismo mitocondriale–> aumento del consumo di ossigeno, aumento dell’attività della pompa Na/K ATP dipendente, aumento della termogenesi tramite attività delle proteine disaccoppianti (UCP)
  • Muscolo cardiaco–> aumentata contrattilità e frequenza cardiaca, mediata da sintesi di fibre muscolari più forti e aumento dei recettori Beta-adrenergici
  • SNC–> aumento del tono del SN simpatico, grazie all’aumentata sintesi di recettori Beta-adrenergici
  • Intestino–> aumento della motilità
  • Effetti sull’osso–> aumentato turnover della cellula ossea e del calcio, in ipertiroidismo causa demineralizzazione. Aumento della sintesi di eritropoietina e globuli rossi
  • Metabolismo dei macronutrienti –> aumentata glicogenolisi e gluconeogenesi, aumentato turnover proteico nel muscolo scheletrico, aumentata lipolisi e ossidazione dei grassi, catabolismo del colesteorolo LDL

Esami del sangue e valori

Gli ormoni tiroidei essendo scarsamente solubili in acqua, circolano nel sangue legati principalmente a 3 proteine plasmatiche: Albumina, TBG (Thyroid Binding Globulin) e transtiretina (TBPA), rimangono liberi dal legame proteico circa lo 0,04-0,1% della T4 (fT4) e lo 0,4% della T3 (fT3).

Dagli esami del sangue si possono avere alterati livelli di ormoni tiroidei totali, in base a situazioni fisiologiche o uso di farmaci, ad esempio:
gli estrogeni e glucocorticoidi endogeni, sintentici o i SERM aumentano la sintesi di proteine leganti gli ormoni tiroidei, aumentando quindi i livelli totali con livelli liberi invariati (alto T4 e normale fT4) ; l’opposto fanno gli androgeni (basso T4 e normale fT4).

La produzione giornaliera di ormoni tiroidei è circa di 75mcg, in maggior parte T4, mentre il T3 è in maggior parte derivante dal metabolismo periferico da parte delle deiodinasi.
Come molti altri ormoni, la sintesi avviene secondo un meccanismo di regolazione a feedback negativo, per il quale alti livelli di ormoni tiroidei inibiscono la secrezione di TRH e TSH che a sua volte inibisce la ghiandola tiroidea e viceversa.

Valori e interpretazione in base ai livelli totali, liberi e TSH (i valori di riferimento variano in base al laboratorio)

TSH (0,4-4 mU/L) fT4 (0,7-1,8ng/dl) fT3 (230-619 pg/dl) Commento
NORMALE NORMALE NORMALE Eutiroidismo
ALTO BASSA NORMALE o BASSO Ipotiroidismo primario (ghiandola tiroidea, Tiroidite di Hashimoto)
NORMALE o BASSO BASSA NORMALE o BASSO Ipotiroidismo secondario
BASSO ALTA NORMALE o ALTO Ipertiroidismo (M. Di Graves, terapia sostitutiva)
BASSO o NORMALE NORMALE BASSA “euthyroid sick sindrome”, da ridotta conversione in T3 (malnutrizione, corticosteroidi, anomalie genetiche deiodinasi)
ALTO ALTA NORMALE o ALTO Ipertiroidismo (ipersecrezione TSH da neoplasia)

valori ormoni tiroidei

  • L’ipertiroidismo è associato a riduzione della massa grassa e magra, demineralizzazione ossea, iperattività, insonnia, sindromi ansiose, ipertensione e aumentata frequenza e contrattilità cardiaca, oftalmopatia (“occhi che sporgono”), iperidrosi, ipermetabolismo e iperglicemia, ridotta tolleranza al caldo.
  • L’ipotiroidismo ha segni opposti, tra cui aumento della massa grassa, stanchezza e letargia cronica, depressione, insufficienza cardiovascolare e ridotta contrattilità, miopatia periferica da ridotta perfusione, debolezza fisica, mixedema, aumentato colesterolo LDL, ridotta tolleranza al freddo, nell’uomo può anche dare ginecomastia e galattorrea.

Esercizio fisico, alimentazione e ormoni tiroidei

L’esercizio fisico in acuto aumenta l’attività dell’asse tiroideo, aumentando TSH e T4, la secrezone di catecolammine aumenta la conversione di T4 in T3 e tende a normalizzarsi con il cessare dell’attività fisica. In cronico non si hanno significative modifiche della funzione tiroidea, a condizione che si rimanga in una situazione nutrizionale adeguata.

Sia sperimentalmente su cavie che su uomini, donne e bodybuilders vi sono numerose evidenze sull’attività tiroidea in funzione della dieta. È nota da tempo l’importanza di una fisiologica componente adiposa nella salute psicofisica dell’uomo e della donna, mediata dalla secrezione della Leptina che riflette lo stato nutrizionale nel breve e lungo termine.

La restrizione calorica, in particolare glucidica agisce sotto diversi aspetti della funzionalità tiroidea, infatti:

  • La riduzione della leptina inibisce la sintesi di TRH (quindi di TSH)
  • La riduzione dell’insulina segnala carenza di substrati ai tessuti metabolicamente attivi
  • La riduzione della disponibilità di glucosio inibisce direttamente l’attività delle deiodinasi D1 e D2, mentre stimola la D3 che inattiva il T3 e il T4
  • Gli acidi grassi liberi derivanti dall’aumentata lipolisi, inizialmente stimolano la trascrizione degli mRNA per le UCP ma interferiscono con l’attività delle deiodinasi, vanificando l’utilizzo di queste UCP
  • Le diete chetogeniche normocaloriche sono associate ad una depressione degli ormoni tiroidei e della loro frazione libera
  • Invece negli studi da overfeeding glucidico si assiste a più alti livelli di T3 e fT3 (N.B. Si tratta di ingestione di migliaia di kcal extra da carboidrati)

Uso medico e dopante 

Gli ormoni tiroidei sono usati in medicina per la terapia ormonale sostitutiva negli ipotiroidismi, il più usato è la levotiroxina sodica (sale del T4 sintetico) seguito dalla liotironina sodica (sale del T3 sintetico) da solo o con T4.

Il T4 risulta molto più dosabile e monitorabile, avendo un’emivita di 7 giorni contro le 24 ore del T3, garantendo quindi un’ottima farmacocinetica e compliance terapeutica (è sufficiente prendere la pastiglia 1 volta al giorno).
Alcuni studi riferiscono miglioramento dei sintomi in alcuni pazienti se fanno terapia combinata T4+T3, probabilmente per alterata conversione periferica del T4.

Sono stati fatti alcuni studi sull’uso degli ormoni tiroidei, in particolare il T3 sull’uomo a scopo dimagrante con discreto successo; in particolare una dose sostitutiva (25-75mcg/die) è stata in grado di prevenire il declino del metabolismo basale mentre una dose sovrafisiologica ha aumentato di alcune centinaia di kcal il metabolismo totale a costo di una aumentata escrezione di azoto ureico (indice di aumentata gluconeogenesi e proteolisi muscolare).

Non sorprende quindi il diffuso uso dopante negli sport di “estetica”, come il bodybuilding sia in ambito maschile che femminile.
L’abuso in questo caso ha rischi proporzionali al dosaggio e al tempo di somministrazione, tra gli effetti collaterali abbiamo soppressione della funzione tiroidea (causata dall’apporto esogeno), tachicardia e ipertrofia ventricolare, ipertensione, nervosismo, agitazione e stati ansiosi (sintomi tipici dell’ipertiroidismo).

Ovviamente l’uso di ormoni tiroidei in questi casi è sempre affiancato da agenti anabolizzanti (GH, steroidi androgeni anabolizzanti) per conservare la massa muscolare e talvolta altri termogenici o stimolanti(Beta-agonisti, Anfetamine) amplificando l’effetto dimagrante e il rischio di effetti collaterali anche fatali (infarto del miocardio e ictus).

Conversione T4 in T3

Conclusioni sugli ormoni tiroidei

Gli ormoni tiroidei sono fondamentali per molti processi fisiologici, per la composizione corporea e possono essere significativamente alterata dalla dieta; riassumendo gli effetti:

  • Fondamentali nello sviluppo del feto e del SNC
  • Necessari a mantere l’equilibrio psico-fisico
  • Hanno un effetto termogenico e aumentano il catabolismo di grassi e proteine
  • Sia l’eccesso che la carenza portano a diverse disfunzioni psico-fisiche
  • La supplementazione di Iodio non accelera il metabolismo, al contrario lo deprime
  • Eliminare i carboidrati o seguire una dieta chetogenica non è di aiuto alla tiroide o al metabolismo
  • La restrizione calorica, glucidica e bassi livelli (non fisiologici) di massa grassa deprimono la funzionalità tiroidea
  • Androgeni, corticosteroidi ed estrogeni influenzano i valori totali degli ormoni tiroidei così come i valori degli esami del sanuge
  • L’abuso a scopo dimagrante è efficace e pericoloso, controverso l’uso sostitutivo in diete ipocaloriche (attualmente non consigliato dalle linee guida sull’obesità)
  • Per ottimizzare la funzionalità tiroidea in una persona sana bisogna assicurarsi di soddisfare e non eccedere il fabbisogno di Iodio, Selenio e consumare adeguate quantità di carbodirati e calorie
  • La calcitonina, un ormone tiroideo di secondaria importanza ha la funzione di aumentare la deposizione di calcio nelle ossa e aumentarne l’escrezione renale, antagonizzando il PTH

Bibliografia

  1. Garndner & Shoback, Greenspan’s endocrinologia generale e clinica, Piccin 2009
  2. William Lewellyn’s Anabolics, 11thedition, 2017
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Tirate al Mento: verità, miti e leggende

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Le Tirate al Mento in palestra sono da sempre proposte per la stimolazione diretta e mirata del muscolo trapezio superiore e costituiscono spesso il salvagente consigliato a chi ha la necessità, vera o presunta, di attivare questo muscolo allo scopo di colmare un punto carente. Negli anni attorno all’esecuzione di questo esercizio sono nati dubbi e questioni che abbracciano un po’ tutti i campi di analisi: dal famigerato rischio articolare paventato da molti professionisti, fino al reale beneficio muscolare per il muscolo indicato da tutti come target dell’esercizio.

Una rapida analisi delle due questioni, affrontate come sempre con il fondamentale mix di scienza applicata e spirito critico, aprirà la strada a considerazioni oggettive e impermeabili alle opinioni e alla corrente del “sentito dire”. È proprio vero che le Tirate al Mento col bilanciere attivano in maniera efficace il trapezio superiore? Sono pericolose per la spalla? Scopriamolo insieme.

Tirate al Mento: per il deltoide o per il trapezio?

Da un punto di vista meramente biomeccanico, l’esercizio prevede l’esecuzione di un’abduzione che supera di poco i 90° con l’omero in rotazione interna. Assodato che, decodificando l’esercizio nella grammatica biomeccanica, parliamo di abduzione dell’omero, non sbagliamo se affermiamo che tale movimento è regolato da quello che in fisiologia articolare viene definito ritmo scapolo-omerale. Questo principio mette in relazione il movimento omerale con quello della scapola durante il sollevamento dell’omero e di rimando ci dà informazioni quindi sui muscoli che muovono questi due segmenti ossei, tra cui deltoide e trapezio superiore. Sarà quindi conveniente e consigliabile rifarsi a questi principi per dirimere la questione attivazione muscolare nelle Tirate al Mento.

ritmo scapolo-omerale

Tutti i sacri testi di fisiologia articolare, tra cui Kapandji e Neumann, sembrano essere concordi nel ritenere l’attività del trapezio superiore maggiore di quella del deltoide oltre i 90° di abduzione dell’omero, pur precisando che i due muscoli sono sempre attivi in simultanea lungo tutto l’arco di movimento (parliamo di enfasi maggiore).

In particolare, analizzando invece la letteratura scientifica e gli studi elettromiografici, uno studio di Bagg e Forrest del 1988 ci consegna una visione più precisa e veritiera della biomeccanica scapolo-omerale in abduzione concludendo che:

  • nei primi 80° di movimento di abduzione il ritmo scapolo-omerale è di 3:1 in favore dell’omero, con un coinvolgimento maggiore del deltoide;
  • tra 80° e 140° di abduzione il ritmo è di 2:1 in favore dell’omero, con un aumento dell’attività del trapezio superiore;
  • tra 140° e 170° di abduzione il ritmo è di 1:1, con il trapezio che invece aumenta la sua attività a scapito di quella del deltoide.

Con una rapida analisi del movimento durante le Tirate al Mento con manubri o bilanciere, osserviamo facilmente che l’abduzione dell’omero ricercata non raggiunge mai i 120°, anche con gomiti molto alti, non entrando quindi nel range di movimento 140°-170° considerato dalla letteratura più stimolante per il trapezio superiore. Se incrociamo quindi l’analisi del movimento effettuata con la letteratura scientifica possiamo concludere con assoluta certezza che, in un contesto sia chiaro dove i due muscoli in questione si contraggono in simultanea, il trapezio superiore non è stimolato in maniera efficace come si crede, bensì è il deltoide che si sobbarca un lavoro maggiore. Le Tirate al Mento non possono così essere catalogate con sicurezza nella categoria “esercizi per il trapezio”.

gradi tirate al mento bilanciere

Tirate al Mento bilanciere: il rischio articolare per la spalla

L’impugnatura stretta del bilanciere durante le Tirate al Mento Bilanciere, associata all’indicazione classica “gomiti alti”, comporta necessariamente una combinazione di abduzione e intrarotazione dell’omero. Questa combinazione biomeccanica può effettivamente essere giudicata un fattore di rischio per la spalla nella generazione della sindrome da conflitto sub-acromiale. È possibile affermare ciò in base a quattro fattori:

  1. numerosi studi in letteratura riportano una diminuzione dello spazio sub-acromiale e una maggiore pressione sui tessuti molli intra-articolari della spalla durante l’associazione di abduzione e intrarotazione dell’omero;
  2. in fisioterapia e in riabilitazione la spalla viene sempre trattata attraverso movimenti associati di abduzione ed extrarotazione parziale, scoraggiando da sempre l’associazione di abduzione e intrarotazione seguendo l’indicazione di sacri testi del settore clinico;
  3. osservando la casistica di infortunio degli sport si registrano sindromi da conflitto alla spalla con maggiore frequenza in quegli atleti che, nell’attività sportiva agonistica, si trovano costretti a eseguire abduzioni associate a intrarotazioni dell’omero (nuoto e baseball su tutti);
  4. numerosi test clinici di evocazione del dolore prevedono di associare abduzione e intrarotazione dell’omero proprio per generare volontariamente un conflitto all’interno dell’articolazione e indirizzare la diagnosi ancor prima dell’imaging biomedica. Su tutti il test di Hawkins è quello che in assoluto assomiglia di più all’esercizio Tirate al Mento.

tirate al mento dolore

In base a tutto ciò, non si sbaglia se si considera le Tirate al Mento un esercizio potenzialmente più rischioso di altri in palestra, specie se il soggetto è già predisposto (storia clinica di dolore alla spalla da impingement o alterazione della statica scapolare o dell’equilibrio muscolare) e si utilizzano alti carichi nel lungo periodo.

Conclusioni di buon senso: Tirate al Mento, che fare?

In definitiva quindi, che fare? Sicuramente in base a quanto ci dice la scienza e a ciò che possiamo adeguatamente interpretare per il fitness, l’esercizio Tirate al Mento costituisce una forzatura poco utile della quale si può sicuramente fare a meno. Infatti, è bene non considerarlo a tutti gli effetti un esercizio mirato per il trapezio superiore, come invece si crede, ma più un esercizio per il deltoide. Inoltre, la struttura in sé dell’esercizio lascio poco spazio a correzioni che lo facciano rientrare maggiormente nella fisiologia articolare della spalla.

L’unico accorgimento che può essere attuato per ridurre i rischi è quello di abbassare il più possibile i gomiti per neutralizzare parzialmente l’intrarotazione, consapevoli che comunque così facendo si ridurranno ancor di più i gradi di abduzione, trasformando l’esercizio in un Alzata Laterale con gomiti flessi.

tirate al mento tirate al petto

L’abbondante presenza di esercizi più fisiologici per trapezio e per il deltoide (Lento Avanti e Alzate Laterali) fa delle Tirate al Mento un esercizio con poco senso e tranquillamente sostituibile. Né dal punto di vista articolare né da quello muscolare vi è una ragione valida per eseguirlo e proporlo con costanza in una scheda di allenamento per le spalle.

In generale piuttosto che eseguire le tirate al mento, conviene fermare prima l’escursione di movimento e fare delle tirate al petto.

Scopri PROJECT EXERCISE

Project Exercise

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Possiamo mangiare la pizza la sera?

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pizza e dieta

Tantissime persone si chiedono se possono mangiare la pizza la sera, magari nel weekend, oppure questo può rovinare la loro dieta. È veramente un alimento da evitare durante una fase dimagrante? Mangiare la pizza la sera fa ingrassare di più rispetto a pranzo?
In questo articolo smantelleremo un po’ dei miti più comuni che affliggono il mondo dell’alimentazione. Ma intanto, se cercate un’informazione veloce e pratica, la risposta è SI, possiamo mangiare la pizza la sera, basta farla rientrare nelle nostre calorie!

Non esistono alimenti che fanno dimagrire o ingrassare

Di solito la pizza (giustamente) viene inserita tra i cibi da evitare quando siamo a dieta. Il giustamente è dato dal fatto che una pizza Margherita ha dalle 800-1200kcal, ma se ci inseriamo altri alimenti calorici come nella pizza ai 4 formaggi, con il salame piccante, ecc. le calorie aumentando e possono andare a raggiungere ed a superare, il fabbisogno calorico della giornata di una donna. In questo caso la pizza fa sicuramente ingrassare a meno che non mangiate solo quella tutto il giorno.

Purtroppo negli ultimi 30 anni si è sempre di più perso il concetto di equilibrio energetico, le persone pensano che ingrassano perchè mangiano determinati alimenti, perchè stimolano l’insulina, mangiano cibi a cui sono intolleranti, ecc. Purtroppo non è così, sarebbe un mondo bellissimo, dove togliendo semplicemente determinati alimenti, potremmo mangiare a volontà i giusti cibi senza ingrassare. La realtà invece è un’altra.

Tutto fa ingrassare, tutto fa dimagrire! Mangiate solo alimenti salutari in eccesso, ingrasserete lo stesso, mangiate solo al fast food con un deficit energetico, dimagrirete! Ovviamente voi cercate di mangiare sia sano che il giusto, questo articolo non è un invito a mangiare male! Ma interiorizzate questo concetto se volete avere la strada libera quando state a dieta.

Una caloria è una caloria! Che venga dalla pizza, dalla bistecca o dalla mela! Quello che cambia sono i nutrienti e la risposta organica, ma a livello energetico è la stessa cosa. La caloria è un’unità di misura, come lo è il metro o il litro. Possiamo avere un litro d’acqua o di latte ma è sempre un litro.

Se nel vostro organismo mettete un eccesso energetico ingrasserete, se siete in difetto dimagrirete. Purtroppo è così, mangiare bene permette al corpo di dimagrire consumando grasso e non muscolo, ma i processi catabolici (di distruzione) o di sintesi (di costruzione) sono governati dagli equilibri energetici. L’insulina in un contesto ipercalorico fa ingrassare, in un contesto ipocalorico aiuta a preservare la massa magra mentre dimagriamo.

Come non esistono alimenti che fanno ingrassare o dimagrire, non esistono ormoni che fanno ingrassare (come l’insulina o il cortisolo) o dimagrire (come il GH). Spesso la risposta ormonale segue semplicemente l’ingestione calorica. Quando mangiamo troppo stimoliamo l’insulina ed ingrassiamo, quando stiamo a digiuno stimoliamo il GH e dimagriamo.

Compreso questo torniamo alla pizza.

mangiare la pizza la sera

Meglio la pizza di sera o a pranzo?

È uguale, il corpo non ragiona ad ore e probabilmente non ragiona neanche a giorni (ma a settimane e mesi). È il bilancio energetico nelle 24h a contare, che mangiamo la pizza la sera o a pranzo, a parità di calorie non cambia nulla. La paura dei carboidrati la sera è infondata.

Nel pratico per non ingrassare mangiando la pizza, calcolate quante calorie introdurrete con quel pasto. Sottraetele al vostro TDEE (fabbisogno energetico giornaliero) e nel resto della giornata assumete le calorie che vi rimangono. Se sono troppo poche potete decidere di dividere l’eccesso durante la settimana, facciamo un esempio.

Lucia ha un TDEE di 1600kcal e sa che a cena, mangiando la pizza, più una birra ed una panna cotta, sforerà assumendo 2300kcal quel giorno. Per non ingrassare basterà mangiare gli altri 6 giorni della settimana 1500kcal , alla fine avremo neutralizzato l’eccesso dello sgarro, ridistribuendolo.

Altrimenti quello che può pensare di fare è aggiungere un corsa o delle passeggiate, sapendo che se pesa 55kg dovrà percorrere 14,5km di corsa (non per forza tutti assieme), o 30km a piedi.
(La corsa ha un costo energetico di 1kcal/kg/km, mentre camminare della metà 0,5kcal/kg/km)

Infine può fare un mix: mangiare, meno negli altri pasti della giornata, durante la settimana e correre o camminare un po’ di più. Come vedete se ci organizziamo possiamo mangiare di tutto.

Dieta e pizza: conclusioni

mangiare la pizza la sera o a pranzo

Concludiamo questo breve articolo con un suggerimento, quando andate la sera a mangiare la pizza e siete a dieta, scegliete quelle con le verdure, la marinara, o la margherita (le pizze meno caloriche). Nella pizza non è tanto calorico l’impasto (parliamo di 500-700kcal su 130-180g di farina) ma i condimenti che ci mettiamo sopra e l’olio.

Qui di seguito vi mettiamo le calorie delle pizze più comuni:

Pizza 100g Piccola (300g) Grande (600g)
Ortolana 260 kcal 780 kcal 1560 kcal
Margherita 270 kcal 810 kcal 1620 kcal
Prosciutto 275 kcal 825 kcal 1650 kcal
Quattro stagioni 285 kcal 855 kcal 1710 kcal
Capricciosa 320 kcal 960 kcal 1929 kcal
Quattro formaggi 330 kcal 990 kcal 1980 kcal

Dati presi dell’accademia pizzaioli 

Come abbiamo visto a dieta ci sta bene assolutamente anche la pizza, ma con tutte le raccomandazioni e le strategie esposte nell’articolo 😉

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Quali sono le migliori proteine in polvere

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Migliori proteine in polvere

Molti si chiederanno se esiste una sorta di classifica dei migliori integratori proteici sul mercato. Sicuramente esistono in commercio diverse marche che offrono diverse tipologie di proteine, da quelle del latte, della soia, della carne, delle uova, vegane e molto altro. 

Il consumatore si ritrova così disorientato, quale conviene comprare? Quali sono le migliori?. In questo breve articolo vedremo i principali tipi di proteine in polvere per aiutare il consumatore a scegliere con maggiore consapevolezza quelle più adatte alle sue esigenze.

Caratteristiche di valutazione delle proteine

Il costo dei supplementi proteici varia in base a vari fattori, come:

  • il processo di lavorazione;
  • il grado di purezza,
  • quanto avanzato e tecnico viene promosso e/o percepito un prodotto.

In realtà non ci sono reali basi per affermare che più una formula è avanzata e costosa e più è efficace, quindi i criteri per la scelta dovrebbero essere diversi da come l’intuito o l’impulso ci porterebbero a fare. Il grado di concentrazione proteica o di rapidità di assimilazione non sono infatti indici della qualità di una proteina, quindi non sono necessariamente un valore aggiunto. 

Ad esempio, più una proteina è rapida è più c’è il rischio che gli aminoacidi vengano sprecati (ossidati) come energia (Schoenfeld), ma in generale la rapidità di assimilazione non è vista per forza come un vantaggio dal punto di vista anabolico (Schoenfeld, Bilsborough). Le proteine rapide sono anche meno versatili in quanto inadatte per essere assunte (da sole) se troppo distanziate tra un pasto e l’altro (Schoenfeld).

Inoltre, anche il grado di concentrazione non è un reale indice di qualità. Ad esempio, le proteine isolate ottenute tramite alcuni processi (come lo scambio ionico) denaturano le proteine rispetto allo stesso tipo di proteina con una minore percentuale proteica (Jager). Inoltre, esistono delle proteine con una minore percentuale proteica (75-80%) che possono presentare una qualità proteica superiore alle forme più isolate (90-95%); ad esempio, le caseine rispetto alle proteine della soia isolate.

Cosa più importante, le proteine in polvere di alta qualità non comportano una maggiore crescita muscolare rispetto alla stessa dieta con lo stesso apporto proteico, ma a base di sole proteine ricavate dal cibo (Thomas, Morton). Quindi bisogna essere consapevoli che difficilmente le caratteristiche “avanzate” di un supplemento giustificano i prezzi più elevati.

Migliori proteine in polvere: quali scegliere

whey

Proteine del siero del latte (whey protein)

Le proteine del siero del latte, in inglese Whey Protein, sono probabilmente la forma più comune di integratore proteico in commercio. Queste rappresentano circa il 20% delle proteine del latte, e sono riconosciute per una maggiore qualità proteica (come il valore biologico) rispetto all’altra frazione delle proteine del latte, le caseine. Inoltre, le whey presentano una qualità proteica più elevata rispetto alle altre proteine in polvere (Jager, Gilbert), quindi vale la pena di considerarne l’acquisto anche per via del prezzo spesso minore in paragone ad altre proteine apparentemente più “avanzate”.

Ma le whey si suddividono in varie sottotipologie, queste sono: 

  • Whey concentrate: il minore grado di purezza che porta la concentrazione proteica attorno al 80%, piccole quantità di lattosio e grassi, e una maggiore presenza di sali minerali come calcio. 
  • Whey isolate: per definizione la forma con il maggiore grado di purezza, arrivando a percentuali proteiche fino al 90-95%, quantità di lattosio e grassi insignificanti e minore presenza di sali minerali. 
  • Whey idrolizzate: presentata come la forma più “avanzata”, viene sottoposta a dei processi di digestione artificiale che scindono le proteine in frazioni più piccole (peptidi), in maniera da renderle più rapidamente assorbibili.
  • Whey native: rappresentano l’ultima novità tra i tipi di whey, sono simili alle concentrate ma sono ottenute attraverso un particolare processo di filtrazione del latte crudo, e presentano una concentrazione di leucina (aminoacido importante per la sintesi proteica) un po’ più elevato.

Quale Whey scegliere? 

Nella scelta dell’acquisto dovrebbero essere valutati i seguenti punti:

Concentrazione proteica: su un misurino di proteine da 25g, le concentrate (80% di proteine) apportano 20g netti di proteine, mentre le isolate (90-95%) ne apportano appena 2-4g in più. Questo scarto è talmente marginale che le forme isolate non giustificherebbero prezzi molto più alti solo per ottenere qualche un paio di grammi netti di proteina aggiuntivi.

Purezza: le forme isolate per caratteristica sono più pure rispetto alle forme concentrate, contenendo meno tracce di lattosio, grassi e minerali. Trattandosi di tracce, questo non giustifica molto la scelta delle forme isolate, ma questo vale se non si è intolleranti al lattosio o ad altre componenti del latte anche in piccolissime quantità. Se vi aiutano nella digestione (perché siete intolleranti) il prezzo maggiore è giustificato.

Rapidità di assimilazione: Come visto sopra, l’alta rapidità di assimilazione viene promossa e percepita come un valore aggiunto, ma questo è discutibile. Anche se è possibile stimolare una maggiore sintesi proteica con dosi relativamente inferiori, una maggiore rapidità può tradursi in una maggiore ossidazione (spreco), e in ogni caso non ci sono prove per poter dire che più una proteina è rapida e maggiore è la crescita muscolare.

Contenuto di leucina: Tra le varie forme di whey, le recenti native risultano quelle con la maggiore percentuale di leucina, e si potrebbe presumere che questo permetta una maggiore sintesi proteica. Su un misurino contenente 20g netti, il contenuto di leucina è maggiore di 0.5 g rispetto alle normali whey (2.7 vs 2.2 g su 20 g), ma l’aumento della sintesi proteica muscolare si è visto essere analogo tra le due forme (Hamarsland), suggerendo l’assenza di vantaggi reali da questo punto di vista.

Caseina

caseine

La caseina è la frazione predominante delle proteine del latte, rappresentandone circa l’80% contro il 20% delle proteine del siero del latte. Questo tipo di proteina veniva molto promossa in passato come ideale per il periodo “pre-nanna” grazie al suo caratteristico assorbimento molto lento rispetto alle whey, in maniera che durante il digiuno notturno questo permettesse di mantenere uno stato di anabolismo prolungato e tamponare il catabolismo muscolare (Jager). Ma anche in questo caso vanno fatte molte precisazioni. 

  • Queste teorie erano nate da alcuni vecchi studi in acuto dove non si provava chiaramente che la caseina avesse un vantaggio sulla composizione corporea se assunta nel “pre-nanna”, data l’assenza di misurazioni a lungo termine (Witard). 
  • In anni più recenti è emerso che digiunare anche fino a 16-20 ore al giorno non agisce negativamente sulla massa muscolare (Tinsley, Moro), mettendo in discussione la necessità di assumere proteine per “coprire” il digiuno notturno, data l’assenza di rischio catabolico.
  • Il normale cibo proteico solido subisce un tasso di digestione e assorbimento potenzialmente simile o più prolungato della caseina (Schoenfeld), mettendo in discussione la necessità di affidarsi a quest’ultima solo per tali caratteristiche.
  • Non tutte le caseine subiscono una lenta assimilazione, dato che solo la forma micellare tra le varie esistenti presenta queste caratteristiche (Phillips, Wang, Witard);

Le caseine si dividono in:

  • Caseina micellare: è la forma più classica di caseina, nonché l’unica realmente a lento assorbimento.
  • Caseinato di calcio: la forma più a basso costo, dove la struttura micellare viene distrutta dal trattamento termico o acido rendendola ad assimilazione più rapida (Phillips, Witard).
  • Caseina idrolizzata: è la forma presentata come più “avanzata”, anche se promossa con altri scopi rispetto alla forma micellare, dato che è a rapida assimilazione come altre proteine idrolizzate.

Quali caseine scegliere?

Se lo scopo è quello di assumere una proteina a digestione e assorbimento più lento, allora la forma micellare è l’unica che andrebbe presa in considerazione in quanto sia le forme caseinate che la caseina idrolizzata presentano un tasso di assorbimento rapido. Dato il prezzo più elevato delle più qualitative whey, e l’inutilità come presunto “anti-catabolico notturno”, è meglio soffermarsi a riflettere se valga la pena di optare per questo supplemento per scopi specifici.

Se invece si cerca una proteina rapida, puntare sul caseinato o sulle caseine idrolizzate conviene poco, dato che alcune di esse possono costare molto più delle whey, le quali presentano una qualità proteica superiore (Jager). In generale le whey sono riconosciute come più benefiche delle caseine per quanto riguarda la crescita o gli adattamenti muscolari (Jager). Comunque, la forma di caseina dal migliore rapporto qualità/prezzo è il caseinato di calcio.

Proteine complete del latte

proteine del latte

Le proteine complete del latte (o proteine del latte) sono un supplemento proteico che rispetta le proporzioni proteiche presenti nel latte vaccino, ovvero 80% da caseina e 20% da proteine del siero del latte (whey). Le “complete” vengono spesso promosse come la fonte proteica ottimale in quanto combinerebbero le proprietà della caseina a quelle della proteina del siero, ottenendo una sorta di blend proteico, cioè l’unione proteine dal diverso grado di assorbimento (Witard). Questa idea deriva probabilmente dal fatto che alcune ricerche hanno osservato una migliore crescita muscolare con la combinazione di vari supplementi proteici rispetto a una singola tipologia (Jager, Witard).

Questi risultati vanno interpretati con estrema cautela, dato che quando gli studi testavano la combinazione tra whey e caseina, non rispettavano le proporzioni 80/20 come quelle delle proteine totali del latte (Jager), altre volte per proteine del latte viene intesa semplicemente la somministrazione di latte scremato e non del supplemento concentrato (Witard). Non sembrano esservi ricerche comparative sul potenziale anabolico delle vere proteine complete del latte, ma probabilmente nella migliore delle ipotesi risultano simili alle whey differenziandosi per un tasso di assorbimento più lento (cosa che non sembra risultare un reale vantaggio).

Le proteine complete del latte possono essere valutate come alternativa alle whey o alle caseine come proteine di alta qualità. Anche se il tasso di assorbimento non è noto, il rapporto 80/20 probabilmente le rende a medio-lenta assimilazione. Data la possibilità che il costo superi quello delle più qualitative whey, e che siano presenti più tracce di grassi, lattosio e altre sostanze, è da valutare attentamente se convenga optare per questa proteina rispetto al puro siero del latte.

Proteine dell’uovo

proteine dell'uovo

Le proteine dell’uovo esistono sia come solo albume (ovoalbumine) sia come uova intere. Dato che quelle a base di uova intere contengono anche grassi e colesterolo, sono probabilmente meno richieste di quelle ricavate dall’albume isolato, che invece non contiene lipidi. Gli studi sulle proteine dell’uovo intero in polvere hanno osservato un tasso di assimilazione rapido simile alle whey isolate (Moore), ed è probabile che le proteine dell’albume siano ancora più rapide, come osservato per le uova in forma di cibo (Van Vliet).

Esiste una controversia circa la qualità proteica delle proteine dell’uovo. Alcune ricerche recenti hanno osservato che l’uovo intero stimola una maggiore sintesi proteica muscolare rispetto al solo albume, quando assunto a parità di proteine totali (Van Vliet). Questi indizi porterebbero a concludere che l’uovo intero è migliore del solo albume per la crescita muscolare. 

In realtà, secondo vari indici di qualità recenti (come PER e PDCAAS) anche le proteine del solo albume sono riconosciute con il massimo valore di qualità al pari dell’uovo intero o delle whey (1.00) (Kreider), e la discussa recente ricerca sulla superiorità anabolica dell’uovo intero somministrava quantità irrealistiche di grassi (17 g, che non mimano le proporzioni dell’integratore proteico), oltre a non provare un’effettiva maggiore crescita muscolare a lungo termine (Van Vliet).

Per concludere, che le proteine dell’uovo derivino dall’uovo intero o dal solo albume, risultano sempre della massima qualità, e probabilmente hanno un simile potenziale anabolico. Ad oggi non ci sono reali prove per poter concludere che le proteine dell’uovo intero siano superiori all’albume per la crescita muscolare. Dato che il prezzo delle proteine dell’uovo potrebbe essere molto superiore alle gold standard whey, anche in questo caso va valutato attentamente se valga la pena preferirle.

Proteine della soia

proteine della soia

Le proteine della soia presentano probabilmente la qualità più alta tra le proteine vegetali, ed è per questo motivo che sono anche tra le prime e più utilizzate fonti vegetali per ricavare integratori proteici (Jager). Queste sono disponibili soprattutto nella forma isolata, il che le rende a rapido assorbimento (Jager) come le whey, le varie caseine non-micellari e quelle dell’uovo. 

Nonostante siano classificate come proteine di alta qualità, queste dimostrano di stimolare meno la sintesi proteica muscolare (MPS) se paragonate alle proteine del siero del latte(whey), alle proteine del manzo e al latte scremato (Gilbert). Ad esempio, vengono meno dirette verso il muscolo scheletrico e più verso i visceri e verso la produzione di urea (Jager, Gilbert).

Un altro difetto delle proteine della soia è rappresentato dal contenuto di isoflavoni (fitoestrogeni), che pur avendo dei potenziali benefici per le donne post-menopausali, le malattie metaboliche, colesterolo e vari tipi di cancro, possono avere un potenziale effetto come interferenti endocrini (Rietjens) ma solo se assunte in quantità eccessive. 

Le proteine della soia sono certamente tra i principali integratori proteici rivolti ai vegetariani e ai vegani, ma l’acquisto dovrebbe essere valutato attentamente per i motivi trattati, in particolare in rapporto al prezzo. Esistono varie altre proteine vegetali come quelle del pisello, del riso o della canapa, lupini, che possono risultare delle valide alternative anche se di qualità proteica,  di solito inferiore.

Proteine della carne

proteine della carne

Le proteine della carne sono state commercializzate soprattutto in anni più recenti, e possono derivare da due tipi di carne animale in particolare, ovvero il manzo e il pollo. Le proteine del manzo sono quelle più studiate, ma in generale sono entrambe disponibili come idrolizzati o isolati risultando quindi a rapida assimilazione (Jager). 

Attualmente esistono pochi studi sul potenziale anabolico delle proteine della carne, e quei pochi osservano simili effetti sulla crescita muscolare, tra manzo e pollo, rispetto alle whey (Jager, Sharp). Dato il prezzo generalmente più elevato delle proteine della carne, anche in questo caso va valutato se valga la pena di preferirle alle whey protein o altre proteine di alta qualità di prezzo minore come il caseinato di calcio o le proteine complete del latte.

Riferimenti bibliografici

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Push press: esecuzione e muscoli coinvolti

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Push press

Il push press è uno dei principali esercizi da inserire nella vostra programmazione se siete interessati a sviluppare la forza delle spalle. Al contrario del military press è un esercizio che coinvolge anche le gambe, rendendo l’esercizio importante anche per sviluppare coordinazione ed esplosività. Vediamo come eseguirlo al meglio.

Push press: esecuzione corretta

Push press esecuzione

Il set-up e la rack position

Per eseguire al meglio il push press dobbiamo posizionarci sotto al bilanciere con una presa larga poco di più delle nostre spalle. State attenti a posizionare il bilanciere il più possibile sul carpo della mano, senza flettere in modo eccessivo il polso.
Per un set-up ottimale dobbiamo tenere i gomiti  ben sotto il bilanciere, la schiena e le gambe dritte e i glutei ben contratti, proprio come faremmo con il military press.
I piedi vanno larghezza spalle, in modo da conferire la massima stabilità.

Lo slancio

Vera differenza tra il military press e il push press è la spinta di gambe.

Inspirate, e rimanendo ben compatti con la schiena scendete rimanendo verticali con il busto e portando in avanti le ginocchia, tenendo sempre il piede ben a contatto con il suo, specie il tallone. Potete buttare le ginocchia in avanti oppure anche in fuori, a seconda di come vi sentite più stabili e in base a come credete di esercitare più forza.

Da questa posizione di “quarto di squat”, date una forte spinta di gambe e contemporaneamente spingete il più forte possibile verso l’alto con le braccia. Prendetevi un po’ di tempo per sviluppare la giusta coordinazione e per capire bene il timing dell’alzata. Mentre spingete distendete le gambe e bloccatele, non dovete fare “l’infilata” tipiche delle alzate della pesistica, che consiste nel andare sotto il bilanciere nella fase di volo (come nel clean&jerk, in cui l’atleta lancia il peso aiutandosi con le gambe e poi si butta sotto il bilanciere divaricando le gambe).

La chiusura sopra la testa

Così come nel military press, dovete portare il bilanciere sopra la testa, stendendo completamente le braccia.

Muscoli coinvolti nel military press 

I muscoli coinvolti nel push press sono molti di più di quelli del military press. Oltre alle spalle e ai tricipiti, che svolgono ovviamente tutto il lavoro di spinta del bilanciere sopra la testa, vengono coinvolti anche i quadricipiti. Maggiormente limitato è il lavoro del gran pettorale, poiché nella prima fase del movimento la forza di gambe ne diminuisce lo sforzo. Si potrebbe quasi dire che le gambe sostituiscono il petto nella prima parte del movimento.

Lavorano poi ovviamente gli erettori spinali, per supportare la corretta postura del tronco, così come il trapezioche hanno il ruolo di stabilizzare la spalla durante la spinta.

Come allenare il Push press

push press errori

Se volete sviluppare più forza e coordinazione sicuramente gioverete dall’inserire il push press con bilanciere nei vostri allenamenti. Se fate powerlifting potete utilizzare come complementare alla panca piana, utile da utilizzare per colmare il lavoro sulle spalle. Anche atleti di strongman e di weightlifting possono giovare dall’uso di questo esercizio, come complementare alle principali alzate di questi sport (es. loglift, clean&jerk). In ques’ottica può essere utile allenarlo con ripetizioni medio-basse e un buon numero di set.

Allenare il push press poi sicuramente è utile anche per chi pratica Crossfit, in quanto esercizio presente in numerosi WOD.

Infine, anche chi ricerca lipertrofia può trarne giovamento, per via dei grossi carichi utilizzati. In questo contesto può avere senso usare anche le varianti con manubri o kettlebell, o comunque lavorare con range di ripetizioni più alto, intorno alle 10-12.

VARIANTI

Push press manubri e Push press kettlebell

Il push press può essere svolto anche con una coppia di manubri o con dei kettlebell, varianti maggiormente utilizzate nel Crossfit, ma che comunque possono trovare il loro senso anche in altri ambiti, come l’allenamento della forza più generale.

In quanto due manubri o due kettlebell sono più instabili, i carichi utilizzati in queste varianti saranno sicuramente ridotti, motivo per cui forse è meglio utilizzarli in ottica di alte ripetizioni o circuiti, piuttosto che in lavoro maggiormente orientati alla forza massimale.

A parte questa distinzione, le logiche dietro l’esecuzione restano le stesse.

Push press ad una mano

Se utilizzate il push press con manubri o kettlebell, potete anche allenarlo utilizzando solo una mano, per concentrare il lavoro anche sulla stabilità e il lavoro monolaterale. Anche in questo caso può essere utile concentrarsi di più sul numero di ripetizioni e sul lavoro di resistenza piuttosto che di forza massimale.

Push press chiusura

Errori da evitare

I principali errori del push press derivano dal confonderlo con il military press o col push jerk, nello specifico:

  • Non dovete fare “l’infilata”, come nella pesistica, ovvero darvi lo slancio e poi piegare nuovamente le gambe per facilitare la salita del bilanciere: estendete le gambe per darvi la spinta e bloccatele in chiusura;
  • tenete i gomiti sotto al bilanciere, non in avanti (sempre come nel push jerk);
  • i piedi vanno sempre simmetrici, non dovete fare la divaricata come nelle alzate della pesistica.

Articolo del Dottor. Alessio Ferlito autore di Project Strength

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Radicali liberi: cosa sono ed il loro ruolo biologico

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alimenti antiossidanti

Cosa sono i radicali liberi? Perché li temiamo tanto? Centrano col farci invecchiare e con alcune malattie? E come possiamo difenderci dalla loro azione? Scopriamolo in questo articolo sui radicali liberi ed il loro ruolo biologico.

Per radicali liberi si intendono quelle molecole o atomi che possiedono un elettrone spaiato nell’orbitale più esterno, tradotto sono dei ladri di elettroni. Questa caratteristica chimica oltre a renderli instabili, li porta a ricercare un equilibrio appropriandosi dell’elettrone mancante attraverso reazioni con altre molecole quali: lipidi, carboidrati, proteine e acidi nucleici (DNA). In chimica questo tipo di reazioni sono dette di ossidoriduzione o redox, ovvero avviene uno scambio di elettroni tra due molecole dove una si ossida quindi perde elettroni mentre l’altra si riduce quindi li acquista; in questo caso si riduce un radicale libero mentre si ossida per esempio un lipide che di conseguenza diventa a sua volta instabile dando inizio ad una serie di reazioni a catena.

Normalmente ci preoccupiamo tanto delle caseine, del glutine, dell’olio di palma, ecc quando la perossidazione lipidica è veramente molto più dannosa per il nostro organismo.

cosa sono i radicali liberi

Il propagarsi di questa serie di reazioni e la durata dipendono sostanzialmente dall’azione di altre molecole dette agenti antiossidanti, in grado di cedere l’elettrone mancante e quindi di stabilizzare la reazione chimica andando a bloccare la catena.

Tra le principali forme di radicali liberi troviamo: anione superossido O2-, idrossile OH-, diossido di azoto NO2, ossido nitrico NO-, idrogeno H-, ossigeno O+, ossigeno singoletto O2+.

Cosa sono i radicali liberi e da dove derivano

come si formano i radicali liberi

L’essere umano è una macchina aerobica. Il suo metabolismo cellulare principalmente è quindi di tipo aerobico. Durante l’ossidazione dei nutrienti per ricavarne energia (ATP) forma alcuni sottoprodotti di scarto, molecole instabili cioè i radicali liberi dell’ossigeno (ROS). La formazione di queste molecole segue in modo proporzionale l’incremento del metabolismo energetico, ad esempio dovuto all’attività fisica intensa o di lunga durata, questa rappresenta la fisiologica produzione endogena di radicali liberi (vedi stress ossidativo e attività fisica). L’organismo per difendersi dalla formazione di queste sostanze instabili attiva sistemi tampone in grado mi mantenere in equilibrio il bilancio ossidativo.

Il ruolo biologico dei radicali liberi

È noto che i radicali liberi hanno un duplice ruolo nei sistemi biologici, sia benefico che dannoso. Mostrano un effetto benefico quando, ad esempio, vengono utilizzati dal sistema immunitario come agenti in grado di bloccare l’azione patogena di diversi microrganismi e specie batteriche (vengono usati dall’organismo come bombe biologiche contro agenti esterni), quando aiutano l’apoptosi (morte) delle cellule difettose o quando sono utilizzati come forma di comunicazione cellulare mediando la trasmissione di segnali biochimici tra le cellule.

Al contrario, se i radicali liberi sono in eccesso, possono essere danneggiate diverse componenti della cellula:in primis la membrana lipidica esterna, ma anche alcune proteine ed acidi nucleici. Questo porta a possibili danni a mantenimento dello stato di omeostasi fisiologica.

Antiossidanti sono davvero utili

Il termine antiossidanti indica tutte le molecole capaci di stabilizzare o disattivare i radicali liberi prima che essi danneggino le cellule, cioè andando a cedere un proprio elettrone esterno.

funzione antiossidanti

Quindi il nostro organismo è perfettamente in grado di bilanciare la fisiologica produzione endogena di molecole ossidanti, derivanti dal metabolismo aerobico, attraverso una serie di sostanze antiossidanti anch’esse di produzione endogena; il problema sorge quando vengono introdotti a livello esogeno, dall’esterno, ulteriori radicali.

Per esempio dal fumo di sigaretta, inquinamento atmosferico, cibo eccessivamente cotto o affumicato, raggi uv, farmaci e l’utilizzo di integratori di singole molecole antiossidanti che vanno solamente a modificare il meccanismo di equilibri che si crea tra i vari sistemi “tampone” dell’organismo, andando a creare una situazione di stress ossidativo che se protratto nel tempo porta a varie problematiche per la salute come il precoce invecchiamento cellulare e di conseguenza l’insorgere di varie patologie gravi come il cancro, malattie dell’apparato cardiovascolare, diabete, sclerosi multipla, artrite reumatoide, enfisema polmonare, cataratta, morbo di Parkinson e Alzheimer, dermatiti, ecc.

Dato lo stile di vita della popolazione al giorno d’oggi, è assolutamente fondamentale introdurre con l’alimentazione tutta una serie di molecole antiossidanti come:

  • Pigmenti vegetali: polifenoli, bioflavonoidi
  • Vitamine: vitamina C, vitamina E, betacaroteni (provitamina A)
  • Micronutrienti ed enzimi: selenio, rame, zinco, glutatione, coenzima Q10, melatonina, acido urico, ecc.

Per cercare di limitare l’azione dei radicali che entrano nell’organismo quotidianamente dall’ambiente esterno.

Considerazioni finali sulle specie reattive e gli antiossidanti

Il nostro sistema di bilancio ossidativo funziona su equilibri complessi basati sulle interazioni tra le varie molecole pro e antiossidanti. Le molecole antiossidanti agiscono spesso interagendo tra loro, in quanto una singola molecola avrebbe un campo d’azione limitato ad un paio di radicali liberi, per questo motivo solo un’efficace interazione tra loro porta al risultato finale. Attraverso una dieta completa ed equilibrata, ricca di frutta e verdura di stagione dovrebbe essere garantito il raggiungimento dei fabbisogni giornalieri con un adeguato apporto di molecole in grado di svolgere azione antiossidante. Inoltre un soggetto allenato e sano, anche se l’esercizio fisico produce radicali liberi, è comunque in grado di fronteggiare la presenza di queste molecole in maniera nettamente più efficace rispetto ad un soggetto sedentario o che pratica attività fisica saltuariamente. Quindi il miglior modo per contrastare l’inevitabile invecchiamento cellulare è seguire uno stile di vita attivo e una corretta alimentazione.

Pensate che possa valer la pena d’integrare l’alimentazione con vitamine e minerali qual ora:

  • seguite una dieta ipocalorica
  • vivete in città inquinate
  • fate sport di resistenza
  • avete superato i 40 anni
  • fumate e/o bevete
Ma ricordatevi sempre che è l’equilibrio il segreto per la salute, nell’alimentazione di più non è mai meglio.

Note sull’autore:

L’articolo sui radicali liberi è del Dottor Riccardo Braglia
Laureato in Scienze Motorie Sportive e della Salute
Iscritto alla laurea magistrale in Scienze Motorie per la Prevenzione e la Salute Personal trainer FIF

 

BIBLIOGRAFIA

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Muscolo semitendinoso

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semitendinoso

Muscolo semitendinoso: anatomia e funzioni

Il semitendinoso è un muscolo posizionato dietro la coscia che assieme al muscolo semimembranoso e al muscolo bicipite femorale va a formare il gruppo dei muscoli ischiocrurali. Il muscolo semitendinoso origina a livello della tuberosità ischiatica del bacino e si va ad inserire sul lato mediale della tibia. Nel suo decorso anatomico occupa la zona posteriore-mediale della coscia ed è caratterizzato da un ventre muscolare ricco di tessuto tendineo nella sua porzione più distale vicino al ginocchio. Nel suo punto di inserzione sulla tibia si fonde con il muscolo gracile e con il muscolo sartorio in quella che in anatomia viene chiamata zampa d’oca superficiale. È innervato dal nervo tibiale.

Anatomia e funzioni del muscolo semitendinoso
Origine Tuberosità ischiatica
Inserzione Lato mediale della tibia
Azione Estende e adduce l’anca, flette e intraruota il ginocchio

Il muscolo semitendinoso ha un’influenza sul movimento di due articolazioni distinte: l’anca e il ginocchio. A livello dell’anca determina un’estensione e un’adduzione. Nell’estensione dell’anca è supportato dal grande gluteo, dal semimembranoso e dal bicipite femorale, mentre come adduttore è supportato dai muscoli adduttori. A livello del ginocchio il semitendinoso determina una flessione e una rotazione interna (solo a ginocchio flesso), condividendo le funzioni col muscolo semimembranoso.

ischiocrurali

A livello funzionale semitendinoso e semimebranoso intraruotano il ginocchio, partecipano alla compattezza ed alla protezione dell’articolazione, ed assieme al bicipite femorale hanno un rapporto di forza di 1 a 2 col muscolo quadricipite, motivo per cui c’è una naturale debolezza dei muscoli posteriori della gamba rispetto a quelli anteriori.

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Leptina: obesità e dimagrimento

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Leptina

La leptina è un ormone peptidico di 167 amminoacidi, in larga parte è prodotto dal tessuto adiposo sottocutaneo, ma viene anche prodotta dalla placenta, ghiandole mammarie, muscolo scheletrico, stomaco, ipofisi.

I suoi livelli nel sangue sono proporzionali alla massa grassa, segue un ritmo di secrezione circadiano con un picco a mezzanotte e un nadir a mezzogiorno e può essere stimolata in corrispondenza di un pasto specialmente glucidico; le donne inoltre hanno livelli decisamente più alti dell’uomo a parità di massa grassa.

I valori medi sono 1.2-9.5 ng/ml per l’uomo e 4.1-25ng/ml nella donna;
i valori aumentano all’aumentare del tessuto adiposo, pertanto questi range sono riferiti ad adulti normopeso (BMI 18,5-25) e normonutriti.

A cosa serve la Leptina ?

 La più conosciuta funzione della leptina è nella regolazione dell’assunzione di cibo, infatti agisce direttamente sui neuroni anoressigeni stimolando la secrezione di POMC (proopiomelanocortina) e CART; inibisce invece i neuroni oressigeni che sintetizzano AgRP e NPY.

La leptina influenza anche il dispendio energetico, agisce infatti aumentando direttamente e indirettamente la termogenesi attraverso la secrezione di TRH (il TRH stimola la secrezione di TSH che va ad agire sulla Tiroide), il tono del sistema nervoso simpatico e la termogenesi nel BAT (tessuto adiposo bruno).

Riveste anche un importante ruolo nella riproduzione: ha un ruolo permissivo nello sviluppo puberale, in particolare nella donna, segnalando all’ipotalamo che c’è disponibilità energetica e che quindi il corpo può maturare. Una ridotta o nulla secrezione ritarda o impedisce lo sviluppo puberale, o in caso di adulti induce ipogonadismo, ipogonadotropo nell’uomo e amenorrea ipotalamica nella donna (ridotta sintesi e secrezione di gonadotropine).

Un’altra funzione meno conosciuta della leptina è nell’immunità, infatti: la leptina stimola l’attività dei neutrofili, delle cellule T e della secrezione di citochine infiammatorie, necessarie nella risposta immunitaria e nella difesa da patogeni; riduce inoltre l’attività dell’asse surrenalico antagonizzando la secrezione di cortisolo.
La leptina sembra anche per questi motivi promuovere fenomeni di autoimmunità, le donne infatti che hanno livelli più alti di leptina sembrano più suscettibili a malattie autoimmuni.
In sintesi la carenza di leptina, deprime il sistema immunitario, attiva l’asse surrenalico, inibisce l’asse gonadico e tiroideo.

Leptina e obesità

 Come si può ingrassare se la quantità di leptina circolante è proporzionale al tessuto adiposo, e la leptina sopprime la ricerca del cibo?

Questo apparente paradosso è spiegato dal fatto che nonostante gli obesi abbiano livelli circolanti di leptina più elevati, hanno ridotta sensibilità ipotalamica all’azione anoressigena della leptina, un effetto analogo a quello che si osserva nell’insulino-resistenza. Infatti la supplementazione farmacologica di leptina nell’obeso si è dimostrata piuttosto deludente, mentre è molto efficace nelle rare obesità ipotalamiche, dove si ha mutazione del gene obche codifica per la leptina.

Da sottolineare che, nel controllo dell’omeostasi energetica non è presente solo il meccanismo della leptina, ma è presente anche un sistema “edonico” che spinge alla ricerca del cibo specialmente calorico (grassi+zuccheri) e la sua soddisfazione, crea un rinforzo positivo nel ripetere questa azione.
L’ormone chiave in questo caso è la dopamina, prodotta dai neuroni dell’area tegmentale ventrale (VTA) che, attraverso la via dopaminergica mesolimbica attiva l’area dello Striato (in particolare il Nucleus Accumbens).

Viene secreta in seguito a tutti quei comportamenti, azioni che fanno provare piacere nel farli così come nell’assunzione di dorghe quali anfetamine e cocaina.
La VTA proietta i suoi neuroni anche nella corteccia prefrontale, area responsabile dei processi decisionali e della condotta sociale, può quindi influenzare anche la presa di decisioni quando si tratta di scegliere un cibo piuttosto che un altro, orientando verso il cibo più gratificante (grassi, zuccheri, calorie etc…).

Lo Striato sembra essere stimolato ad essere molto più ricettivo alla dopamina in risposta a riduzioni delle leptina (ad esempio quando ci si mette a dieta e si dimagrisce), ma anche emozioni positive/negative, stress e viene alterato in stati psico-patologici e comorbilità psichiatriche. Sperimentalmente l’infiammazione ipotalamica da eccesso calorico impedisce una corretta segnalazione della leptina, inoltre l’infiammazione ipotalamica è anche presente nella depressione  e nell’alcolismo.

Tutti questi aspetti sono frutto del selezionamento di un corredo genetico fatto per farci sopravvivere in ambienti ostili, pertanto la propensione a ingrassare e avere un metabolismo lento sarebbe paradossalmente un’ottima genetica, se non fosse che nel 21° secolo viviamo in un ambiente completamente diverso da quello dei nostri antenati…

In un individuo magro e sano invece, la leptina circolante ha funzioni anoressizzanti e stimolanti sul metabolismo, riduce la lipogenesi e stimola la lipolisi, aumenta la sensibilità insulinica, riduce la gluconeogenesi e stimola l’ossidazione di acidi grassi nel muscolo e l’uptake di glucosio.

Leptina e grelina 

Rapporto leptina appetito

Leptina e grelina hanno effetti opposti nella regolazione dell’assunzione di cibo, la grelina è infatti un ormone oressizzante.

La grelina è principalmente prodotta dallo stomaco, la sua secrezione aumenta quando lo stomaco rimane vuoto e crolla nel momento in cui il cibo viene ingerito e le pareti dello stomaco si dilatano. A differenza della leptina ha un ruolo nel regolamento della fame principalmente a breve termine, contribuendo quindi all’omeostasi energetica agendo sui neuroni che producono NPY e inibendo POMC/CART.

Il digiuno o la restrizione calorica, aumentano inoltre la sensbilità ipotalamica alla grelina, aumentando la densità dei recettori.

Negli obesi la grelina risulta mediamente normale o ridotta, compatibile con lo stile di vita e l’assunzione di maggiori o più frequenti quantità di cibo. Sempre negli obesi, la grelina si alza nel momento in cui si attua una restrizione calorica, probabilmente anche perchè non si compensa la mancanza di volume di cibo ingerito (motivo per il quale verdure e cibi poco densi caloricamente sono alla base di una dieta), determinando un aumento della fame ai pasti e dello “snakcing” ovvero il mangiare e fare piccoli spuntini non programmati durante la giornata.

La grelina prepara inoltre fisiologicamente il tessuto adiposo a ricevere trigliceridi, stimola infatti la lipogenesi e riduce sia il tono del sistema nervoso simpatico che il dispendio energetico.

La grelina è talmente efficace nello stimolare l’assunzione di cibo che sono stati studiati farmaci “grelino-mimetici” che stimolano l’assunzione di cibo e la secrezione di GH (azione data dalla grelina sul suo recettore GHS-R), in sperimentazione negli stati cachettici e nell’anoressia nervosa.

Leptina e insulina

Fisiologicamente l’insulina stimola la sintesi e la secrezione di Leptina, infatti hanno un ruolo sinergico nella soppressione della fame: l’insulina è secreta in quantità proporzionali alla ricchezza calorica del pasto e del contenuto glucidico, la leptina è prodotta di conseguenza per potenziare il segnale anoressizzante sull’ipotalamo di insulina + glucosio.

La sensibilizzazione all’insulina è data sia dal suo effetto nel ridurre la gluconeogenesi, sia direttamente nello stimolare l’ossidazione di grassi e l’uptake di glucosio nel muscolo.

L’iperinsulinemia cronica che si osserva nell’obesità, diabete mellito di tipo 2 e sindrome metbaolica invece, nonostante aumenti i livelli di leptina, non ottiene gli effetti sperati: come abbiamo visto vi è resistenza ipotalamica alla leptina in eccesso, inoltre l’aumento della secrezione di citochine infiammatorie e attivazione immunitaria peggiora con un circolo vizioso la sensibilità insulinica del tessuto adiposo stesso (aumento FFA, fibrosi del tessuto adiposo, riduzione uptake di glucosio) e degli altri tessuti (muscolo, fegato).

Tessuto adiposo ed adipochine

Leptina e alimentazione

La leptina è secreta in risposta ad un pasto, in particolare se ricco in carboidrati, abbiamo visto infatti che l’insulina aumenta la secrezione di leptina.

Questo aspetto è spesso sfruttato nei contesti di natural bodybuilding che seguono diete ipocaloriche: cioè allo scopo di limitare la riduzione della leptina, si cerca di mantenere quanto più alto possibile l’apporto glucidico, allo scopo di ridurre l’impatto negativo della restrizione calorica su attività tiroide, ormoni gonadici e fame.

Anche la tecnica del “refeed” glucidico viene usata teoricamente a questo scopo, in realtà a meno di non ingerire quantitativi davvero elevati di carboidrati o di effettuare il refeed su più giorni consecutivi (almeno 3). Il risultato in termini metabolici e ormonali è davvero limitato e ha invece un risvolto più pratico: nel giorno di refeed si mette spesso un allenamento più pesante o importante in modo da sfruttare i carboidrati extra (maggior pump, miglior bilancio azotato, maggiori energie, minor stress psicofisico).

Va sottolineato che più un soggetto è magro più risentirà degli effetti negativi della riduzione della leptina, mentre un obeso con una dieta ipocalorica non avrà ripercussioni negative sul dispendio energetico mediate dalla leptina, in quanto l’abbondanza di tessuto adiposo (e quindi energia) e la ridotta sensibilità iniziale compensano egregiamente la situazione.

Non è raro infatti, negli atleti/atlete a cui è richiesta una riduzione al minimo possibile della massa magra , trovare quadri di ipogonadismo ipogonadotropo/amenorrea ipotalamica, ipotiroidismo subclinico che si normalizzano col normalizzarsi della massa grassa e dell’intake calorico.

Conclusioni sulla leptina

La leptina è un importante ormone con molteplici funzioni, molte ancora incerte e di notevole interesse nella ricerca sull’obesità e malattie autoimmuni. Abbiamo visto essere fondamentale nella fisiolgica regolazione del peso corporeo e possiamo riassumere le sue azioni in questi punti:

  • È il principale ormone della sazietà (anoressizzante)
  • Media a lungo termine la regolazione del peso corporeo
  • Risulta coinvolto nella pubertà, nella crescita e nella fertilità nell’adulto
  • I suoi livelli sono influenzati da sesso, età, stato metabolico e nutrizionale
  • I carboidrati e l’insulina sono in grado di stimolarne la secrezione in acuto
  • Ha effetti diretti e indiretti sul dispendio energetico e la sensbilità insulinica
  • L’obesità è caratterizzata da iperleptinemia e resistenza alla stessa
  • Molti effetti negativi della restrizione calorica nei soggetti magri sono mediati dalla deplezione della massa grassa a livelli non più fisiologici e quindi della Leptina

Bibliografia essenziale 

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  2. Layne Norton & Peter Baker, The Complete Contest Prep Guide, 2018
  3. Stephan Guyenet, The Hungry Brain: Outsmarting the Instincts That Make Us Overeat, 2017
  4. Paz-Filho G, Mastronardi C, Wong ML, Licinio J. Leptin therapy, insulin sensitivity, and glucose homeostasis. Indian J Endocrinol Metab. 2012;16(Suppl 3):S549–S555. doi:10.4103/2230-8210.105571
  5. True C, Kirigiti MA, Kievit P, Grove KL, Smith MS. Leptin is not the critical signal for kisspeptin or luteinising hormone restoration during exit from negative energy balance. J Neuroendocrinol. 2011;23(11):1099–1112. doi:10.1111/j.1365-2826.2011.02144.x
  6. Leinninger GM, Jo YH, Leshan RL, et al. Leptin acts via leptin receptor-expressing lateral hypothalamic neurons to modulate the mesolimbic dopamine system and suppress feeding. Cell Metab. 2009;10(2):89–98. doi:10.1016/j.cmet.2009.06.011
  7. Guyenet SJ, Schwartz MW. Clinical review: Regulation of food intake, energy balance, and body fat mass: implications for the pathogenesis and treatment of obesity. J Clin Endocrinol Metab. 2012;97(3):745–755. doi:10.1210/jc.2011-2525
  8. Miriam Granado, Cristina García-Cáceres, Laura M. Frago, Jesús Argente, Julie A. Chowen, The Positive Effects of Growth Hormone-Releasing Peptide-6 on Weight Gain and Fat Mass Accrual Depend on the Insulin/Glucose Status, Endocrinology, Volume 151, Issue 5, 1 May 2010, Pages 2008–2018, 
  9. De Vriese, Carine; Delporte, Christine. Influence of ghrelin on food intake and energy homeostasis
  10. Current Opinion in Clinical Nutrition and Metabolic Care: September 2007 – Volume 10 – Issue 5 – p 615–619
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Trazioni presa inversa: muscoli attivi e rischi articolari

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trazioni inverse

Le trazioni presa inversa sono una famosa variante di trazioni alla sbarra i cui muscoli coinvolti sono il gran dorsale e il muscolo bicipite brachiale. In particolare quest’ultimo è enormemente più attivo in questa variante di trazioni che nelle trazioni a presa prona. Infatti, le trazioni con presa supina si eseguono con l’avambraccio in posizione supinata, con una presa inversa sulla sbarra. Il palmo della mano si ritrova rivolto verso di noi e con questa tipologia di presa viene eseguito il sollevamento del corpo verso la sbarra tramite un movimento di estensione della spalla a carico del muscolo gran dorsale, del grande rotondo e delle fibre più basse del gran pettorale.

La presa supina favorisce un migliore posizionamento del bicipite che, vista la sua inserzione sul radio nella faccia anteriore dell’avambraccio, si ritrova favorito nel flettere il gomito e nel contribuire attivamente al sollevamento del corpo. Questo nella pratica si traduce, a parità di allenamento, nella possibilità di esprimere più forza ed effettuare più ripetizioni con la presa supina. Viceversa, con la presa prona la posizione dell’avambraccio ostacola il bicipite nell’eseguire la sua funzione di flessore del gomito. Per questo motivo, a parità di allenamento, le trazioni prone permettono di effettuare meno ripetizioni rispetto alle trazioni supine.

Trazioni alla sbarra presa inversa: come eseguirle

Le trazioni alla sbarra presa inversa, come visto, costituiscono una variante “più semplice” di trazioni alla sbarra che permette di macinare più ripetizioni. Possono essere considerate un ottimo esercizio sia per il gran dorsale e per i muscoli della schiena, sia per il muscolo bicipite brachiale. Nonostante ciò, le trazioni supine presentano un rischio articolare maggiore soprattutto per i gomiti. Non sono rari infatti fastidi e stress sul gomito e sull’avambraccio percepiti durante l’esecuzione. Questo accade perché la presa inversa su una sbarra dritta necessita di una supinazione completa dell’avambraccio che non è assistita però da un’adeguata rotazione della spalla, fisiologicamente ridotta quando abbiamo le braccia sollevate. Questo si traduce in una presa incompleta sulla sbarra con mignolo e anulare che non completano la presa, con una possibile forzatura a livello della parte interna del gomito.

trazioni inverse

Gli stress generati dalle caratteristiche di questo esercizio coinvolgono le strutture della parte interna del gomito come i tendini dei muscoli flessori del polso, il legamento collaterale ulnare e il nervo ulnare. Questi stress se ripetuti nel tempo e se non supportati da una programmazione dell’allenamento ben dosata e calibrata sul soggetto possono portare a infiammazione e dolore come nel caso dell’epitrocleite. Esistono due stratagemmi per limitare questi stress: il primo è l’utilizzo di una presa larga quanto le spalle e non di più, il secondo è l’attuazione di un assetto scapolare ottimale col petto in fuori che favorisce la rotazione delle spalle, diminuendo un po’ lo stress sui gomiti.

Ad ogni modo le trazioni supine sono un esercizio potenzialmente più a rischio per i gomiti rispetto alle varianti a presa neutra e prona. Per questo, soprattutto se avete avuto dolore al gomito in passato o sentite anomale pressioni o fastidi al gomito durante l’esecuzione, evitate di eseguirle a favore di varianti più fisiologiche. Se invece non avete mai avuto problemi nell’eseguirle e siete soggetti mobili e non predisposti continuate pure dosando al meglio il volume di allenamento e i carichi consapevoli che le trazioni presa inversa sono un esercizio potenzialmente più rischioso per i gomiti.

trazioni inverse

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Fichi: calorie, proprietà e valori nutrizionali

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Fichi valori nutrizionali

I fichi comuni crescono sull’albero di ficus (ficus carica). Il fico comune fa parte della famiglia dei gelso (Moraceae). È originario dell’Asia occidentale o Medio Orientale. Il fico è così antico che i resti del frutto sono stati scoperti già in scavi neolitici. Dall’Asia, ben presto, furono coltivati in tutta Europa.

Il fico, tecnicamente, non fiorisce mai, perché i suoi fiori sono all’interno, e sono proprio i responsabili delle decine o centinaia di piccolissimi semi che danno ai fichi la loro consistenza caratterizzante. Generalmente, quando giunti a maturazione, sono molto dolci, e si presentano di colore rosso, giallo, verde o viola. Il colore è dovuto alla presenza di fitonutrienti tra i più disparati, generalmente dotati di proprietà antiossidante; più sono maturi più sono ricchi di antiossidanti.

Le foglie di fico rilasciano una piacevole fragranza legnosa. Alcune persone asciugano le foglie e le usano come profumi per le loro case. Gli alberi di fico producono una linfa naturale di lattice che viene anche utilizzata per una serie di scopi pratici e medicinali.

Fico valori nutrizionali

I fichi possono essere consumati sia freschi che essiccati, il che influisce sul valore nutrizionale. In genere, circa 100 grammi di fichi freschi contengono circa 50 kcal, quasi tutte provenienti esclusivamente da carboidrati (zuccheri semplici) in quanto l’apporto di lipidi e proteine è minimo e onestamente trascurabile. Inoltre, i fichi hanno un contenuto rilevante di fibre alimentari, soprattutto insolubili, oltre ad apportare buone quantità di potassio, calcio, fosforo e ferro. Tra le vitamine, invece, troviamo alcune vitamine del gruppo B, vitamina C e vitamina A.

Chiaramente, i fichi essiccati hanno una quantità di nutrienti molto maggiore, per cui potrebbero essere considerati sicuramente cibi a più alto valore nutrizionale. Bisogna però anche considerare che l’apporto calorico aumenta più del doppio, così come l’apporto di zuccheri, rendendo quindi questi frutti essiccati “pericolosi” per la linea in quanto potrebbero apportare quantità notevoli di calorie in maniera subdola: in genere, le persone, tendono a sottovalutare l’apporto calorico di tanti cibi, ma soprattutto della frutta, che spesso è considerata ipocalorica (cosa vera, ma che può trarre in inganno quando si consuma la frutta secca, cioè quella disidratata e quindi più concentrata di zuccheri).

Calorie fichi

I fichi sono un frutto lievemente calorico, in media 15-25% in più della mela (su 100g). Le calorie arrivano tutte principalmente da zuccheri semplici (come in tutti i frutti), ma la % di acqua è molto alta e le fibre alimentari sono ben presenti (principalmente fibre insolubili)

Fichi calorie

Prodotto su 100g Fichi Fichi secchi
Energia (kcal): 47 256
Carboidrati (g): 11.2 58
Zuccheri solubili (g): 11,2 58
Proteine (g): 0.9 3.5
Lipidi(g): 0.2 2,7
Fibra totale (g): 2 13
Fibra solubile (g): 0.6 1,9
Fibra insolubile (g): 1.4 11,0
Sodio (mg): 2 87
Potassio (mg): 270 1010
Ferro (mg): 0.5 3
Calcio (mg): 43 186
Fosforo (mg): 25 111
Tiamina (mg): 0.03 0,14
Riboflavina (mg): 0.04 0,1
Niacina (mg): 0.4 0,6
Vitamina A retinolo eq. (µg): 15 8
Vitamina C (mg): 7 0

I fichi non fanno di per sé ingrassare, ma si consiglia di non eccedere oltre i 200-300g (parliamo di 100-150 calorie). Se si mangiano quelli secchi invece una porzione non dovrebbe superare i 40-50g (100-126kcal), se parliamo di uno spuntino a metà mattina o pomeriggio. Possono essere inseriti come dolce alla fine del pasto, senza comunque eccedere le dosi consigliate.

Fichi proprietà

Fichi secchi calorie

I fichi sono ricchi di fibre, soprattutto fibre insolubili, e sono una buona fonte di diversi minerali essenziali, tra cui magnesio, calcio (che promuove la densità ossea) e potassio, così come vitamine, principalmente vitamina A e alcune vitamine del gruppo B, come folato e colina.

Inoltre, i fichi contengono grandi quantità di diversi antiossidanti, che neutralizzando i radicali liberi nel corpo aiutano a combattere lo stress ossidativo. Gli antiossidanti e le fibre sono le sostanze che hanno permesso a diversi autori di ipotizzare proprietà anticancerogene, antinfiammatorie e antidiabetiche ai fichi. In effetti, tra i frutti con maggior contenuto di fibre possiamo sicuramente inserire anche i fichi, e in diversi studi è stata notata una diminuzione del rischio di cancro (principalmente si parla di tumori dell’apparato digestivo e di cancro al seno) con un maggior consumo di frutta.

Il buon apporto di fibre fa sì anche che il fico sia un alimento che potrebbe aiutare a regolare i livelli di zucchero nel sangue e quindi avere proprietà benefiche per soggetti con insulino-resistenza o diabetici. A questo proposito, è bene anche tener conto però che i fichi devono essere consumati con moderazione, in quanto possono contenere quantità sicuramente rilevanti di zuccheri, in particolare fruttosio, che, in grandi quantità, potrebbe non essere l’ideale, soprattutto per obesi, diabetici e soggetti con steatosi epatica non alcolica (NAFLD); si noti che queste malattie sono generalmente strettamente associate.

Fichi e proprietà antiossidanti

La produzione di ossidanti è in realtà un assunto fisiologico e non dovrebbe destare alcuna preoccupazione. Addirittura il nostro corpo beneficia di un certo stress ossidativo, che può anche essere utile come sistema di difesa. Tuttavia, in condizioni fisiologiche, la produzione di specie ossidanti è compensata da diversi sistemi di difesa antiossidanti, in modo che il nostro organismo mantenga un equilibrio che appunto si associa con la salute e il benessere.

Tuttavia, poiché l’ossidazione colpisce quasi tutti i sistemi del corpo, quando vi è uno squilibrio tra produzione di ossidanti e sistemi di difesa antiossidante, vi possono essere le condizioni per lo sviluppo di danni in tutti i tessuti. Il danno dovuto a un aumento eccessivo dello stress ossidativo è stato collegato a molte delle principali malattie, dall’invecchiamento al cancro, passando per tutte le malattie infiammatorie, per l’insulino-resistenza (che è dovuta anche a fattori infiammatori) e quindi potenzialmente anche al diabete.

L’assunto è che alcuni cibi, ad alto contenuto di antiossidanti, come potrebbero essere i fichi (e tantissimi altri alimenti di origine vegetale), potrebbero avere un ruolo non tanto nella terapia quanto nella prevenzione di queste condizioni, tenendo conto che le malattie che ho citato precedentemente hanno sempre un’eziologia complessa e multifattoriale.

Inoltre, è sempre bene tener presente che l’associazione tra assunzione di antiossidanti con la dieta e prevenzione delle malattie è un’associazione più teorica che pratica, osservata e in alcuni casi dimostrata solo in studi in vitro o su modelli animali (con dosi farmacologiche).

Fatta questa doverosa premessa, ci sono molti tipi di fichi differenti, ognuno ha colori diversi, gusti differenti, e anche contenuti e tipi di antiossidanti diversi, ma in linea generale possiamo dire che sono tutti ricchi di polifenoli. Gli studi, inoltre, dimostrano che i fichi correttamente essiccati possono essere una fonte ancora migliore di composti fenolici e hanno un aumento dei livelli di attività antiossidante rispetto alle loro controparti non essiccate. Questo aspetto rende ancora meno “pratica” l’assunzione di antiossidanti dal consumo di fichi, perché abbiamo detto che in questo caso, il frutto, è particolarmente ricco di zuccheri e calorie.

Comunque, dal punto di vista puramente del contenuto di antiossidanti, i fichi sono risultati essere tra gli alimenti più densi di antiossidanti e composti fenolici (così come, ad esempio, le prugne secche). In alcuni studi, i fitochimici naturali presenti nel fico, hanno dimostrato di avere proprietà cito-tossiche e di inibire la proliferazione di varie linee cellulari tumorali (parliamo di studi in vitro in cui è stato osservato l’effetto di componenti antiossidanti isolate del fico). Un altro studio ancora ha suggerito che i fichi potrebbero avere anche proprietà benefiche protettive contro il cancro allo stomaco.

In un altro studio, i ricercatori hanno documentato che gli antiossidanti di fico possono arricchire le lipoproteine ​​nel plasma, proteggerli dalla successiva ossidazione, produrre un significativo aumento della capacità antiossidante plasmatica per quattro ore dopo il consumo, permettendo agli autori di poter speculare sulle potenziali azioni antinfiammatorie e anti-aterogene dei fichi.

Benefici per la salute dell’estratto e delle foglie di fico

Fichi proprietà

Le foglie di fico sono anch’esse molto ricche di antiossidanti. Le foglie possono essere essiccate e trasformate in tè o estratti, una pratica molto comune in alcuni paesi in cui vi è una maggior diffusione dell’albero di fico.

Fichi come antibatterico e antifungino

I fichi hanno dimostrato di poter stimolare la risposta del sistema immunitario, anche se non sono ancora chiari i meccanismi. I fichi possono agire come un agente antibatterico e antifungino naturale. Una recensione del Drug and Herbal Research Center presso l’Universiti Kebangsaan in Malesia ha citato due studi che hanno dimostrato la capacità dell’estratto di fico di combattere batteri e vari funghi e microbi.

Fichi come antidiabetici

Gli studi pre-clinici hanno anche mostrato una riduzione della glicemia nei ratti quando veniva somministrato un estratto ottenuto da foglie di fico. Ulteriori studi hanno mostrato anche un calo dei livelli di colesterolo e dell’ossidazione delle lipoparticelle, suggerendo un effetto protettivo contro lo sviluppo di condizioni infiammatorie, eventi cardiovascolari e diabete.

In particolare, alcuni studi (sempre pre-clinici) hanno suggerito che il frutto del fico possa rappresentare un trattamento dietetico per gli effetti collaterali del diabete, in virtù delle sue attività anti-infiammatorie e antiossidanti, che permetterebbero di attenuare o normalizzare le alterazioni funzionali dei tessuti che possono essere colpiti dall’iperglicemia e dal diabete.

Fichi e rughe

L’utilizzo delle foglie di fico come rimedio naturale ai problemi della pelle risale all’antichità. Tuttavia, anche nel nostro secolo, ci sono state alcune evidenze che il fico possa avere proprietà anti-rughe. Infatti, ci sono stati più studi che hanno analizzato l’effetto di estratti di foglie di fico (da sole o combinate con foglie di altri frutti) che hanno mostrato rilevanti capacità anti-rughe.

Si pensa che l’effetto possa essere spiegato dall’attività antiossidante e anti-collagenasi, che può avere benefici sulla lunghezza e profondità delle rughe che naturalmente e fisiologicamente compaiono con l’invecchiamento della pelle. Infine, uno studio ha anche suggerito che le creme contenenti estratto di fico potrebbero essere utilizzate anche per aiutare l’acne, le lentiggine e l’iper-pigmentazione della pelle.

Potenziali effetti collaterali dei fichi

Nonostante le teoriche proprietà antidiabetiche dei fichi, osservate negli studi pre-clinici e attribuite ad alcuni fitonutrienti con proprietà antiossidante (oltre alle fibre), le persone con diabete dovrebbero essere caute quando consumano i fichi secchi, tenendo conto che hanno un elevato apporto di calorie e fruttosio e che possono quindi avere un impatto sull’omeostasi glucidica e lipidica (quantità moderate di fichi, come di qualsiasi alimento, vanno benissimo).

I fichi secchi, inoltre, per il loro alto contenuto di fruttosio, fanno parte di quei cibi che potrebbero causare disturbi gastrointestinali quando assunti in quantità troppo elevate. La causa è attribuita principalmente al fruttosio, cui le persone hanno generalmente una tolleranza e una capacità assorbitiva limitata (circa 30-50 g). Un eccesso, dunque, può causare episodi di malassorbimento con i caratteristici sintomi intestinali, come mal di pancia e diarrea.

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