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Addominali e muscoli obliqui

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muscoli obliqui

Gli addominali obliqui sono costituiti da due muscoli che contribuiscono a comporre la parete addominale. I due muscoli in questione sono l’obliquo esterno e l’obliquo interno. Essi oltre che ad avere un importante ruolo posturale stabilizzando la schiena e il bacino durante i movimenti, sono spesso idealizzati in palestra come muscoli dell’estetica fondamentali a migliorare il nostro addome. In questo articolo cerchiamo di capire come allenare gli addominali obliqui nel migliore dei modi partendo dall’anatomia di questi muscoli, analizzando gli esercizi migliori e sfatando alcuni miti duri a morire.

muscoli obliqui
Muscoli dell’addome, obliquo esterno, obliquo interno.

Addominali obliqui: come allenarli

Gli addominali laterali si compongono come anticipato dai muscoli obliquo interno e obliquo esterno che insieme al retto addominale e al trasverso dell’addome compongono la parete addominale. Per capire come allenare questi muscoli dobbiamo necessariamente capire che funzione hanno sul nostro corpo.

  • L’obliquo interno è più profondo e origina dal bacino e dalla fascia toracolombare per inserirsi con un decorso obliquo a livello delle ultime coste e della linea alba.
  • L’obliquo esterno è più esteso e superficiale e con un decorso opposto origina dalle ultime coste e dallo sterno per inserirsi a livello del bacino e della linea alba.

Entrambi i muscoli hanno funzione di stabilizzazione del tronco e del bacino e di contenzione dei visceri addominali. Inoltre, i due muscoli contraendosi concorrono a flettere il tronco insieme al retto addominale, inclinano il tronco da un lato e ne determinano la sua rotazione.

Anatomia e funzioni del muscolo obliquo interno
Origine Legamento inguinale, cresta iliaca, fascia toracolombare
Inserzione Cresta pubica, linea alba, ultime tre coste
Azione Comprime i visceri, flette e ruota omolateralmente il tronco, inclina omolateralmente il tronco
Anatomia e funzioni del muscolo obliquo esterno
Origine  Dalla quinta alla dodicesima costa
Inserzione  Linea alba, legamento inguinale, tubercolo pubico e cresta iliaca
Azione  Retroverte il bacino, flette e inclina omolateralmente il tronco, ruota controlateralmente il tronco

Esercizi addominali obliqui

Esistono numerosi esercizi per allenare gli addominali laterali. Essi in varie modalità cercano di riprodurre le funzioni anatomiche prima analizzate. Una prima classificazione degli esercizi può essere fatta sulla base del movimento eseguito. Vi sono infatti esercizi che stimolano gli obliqui staticamente secondo la loro funzione di stabilizzazione del tronco e altri invece che richiedono un movimento vero e proprio, spesso di inclinazione o rotazione del tronco.

plank laterale

Gli obliqui sono attivi come stabilizzatori in un famoso esercizio come il side plank. In questo esercizio, in appoggio sul gomito, è richiesto di mantenere il tronco allineato e sollevato da terra opponendosi alla forza di gravità. Può essere eseguito in appoggio sulle ginocchia, in una versione più semplice, e in appoggio sui piedi con le gambe tese in una versione più complessa.

È fondamentale sottolineare come gli addominali obliqui siano attivi durante numerosi esercizi con i pesi a corpo libero, nei quali sono impegnati come stabilizzatori del tronco e del bacino. Migliorate il vostro bagaglio motorio e la vostra performance in questi esercizi e di conseguenza migliorerete lo stato dei muscoli obliqui. Tra tutti ricordiamo le trazioni, la military press, l’AB Wheel o esercizi eseguiti con un braccio alla volta che imprimono una forza in rotazione sul tronco come le alzate laterali, le aperture al cavo e le croci al cavo alto.

Gli addominali laterali sono attivi come muscoli agonisti anche durante esercizi come il side bending, il side leg raise, le torsioni del busto, i crunch obliqui.
In particolare è bene precisare che nei crunch obliqui, nonostante la rotazione del tronco eseguita, rimane comunque il retto addominale il muscolo più attivo. Per questo è un esercizio sconsigliato se l’obiettivo è lo sviluppo degli addominali obliqui.

Le torsioni del busto invece appaiono come un esercizio poco stimolante per il fatto che i muscoli obliqui non si contraggono contro gravità, questo soprattutto se il sovraccarico è ridotto come per esempio nell’esecuzione classica con bastone. Diverso il discorso in caso venga aggiunto un sovraccarico esterno significativo, come un bilanciere o una palla medica nel Russian twist, varianti che stimolano maggiormente questa muscolatura.

Attenzione comunque a questi esercizi di torsione lombare in soggetti con mal di schiena o ernia del disco: il movimento in questione è molto stressante per la zona lombare e potrebbe sviluppare lombalgia in soggetti predisposti.  

obliqui

Muscoli obliqui esercizi e dimagrimento

Molto spesso gli esercizi addominali obliqui, cosi come gli esercizi addominali bassi, sono eseguiti con l’obiettivo di assottigliare il girovita e dimagrire sui fianchi. Purtroppo questo è un mito da abbandonare, non essendo possibile dimagrire in maniera localizzata sui fianchi semplicemente attivando la muscolatura sottostante al tessuto adiposo. Gli esercizi proposti servono “solo” ad allenare gli addominali obliqui e non avranno alcun effetto sulle maniglie dell’amore.

Un’estetica migliore della parete addominale grazie anche all’allenamento degli obliqui potrà essere meglio apprezzata grazie a percentuali di grasso ridotte, conseguenti a un regime alimentare ipocalorico e a un’attività fisica in palestra mirata a migliorare l’assetto metabolico di tutto l’organismo.

Ricordo che i muscoli obliqui hanno lo spessore di un foglio di carta e anche in soggetti molto allenati non potranno mai sviluppare volumi esagerati essendo muscoli deputati più alla stabilizzazione del tronco e meno al movimento. Allenare gli addominali obliqui, inoltre, è un ottimo investimento di tempo per migliorare la salute e la funzionalità della schiena. Dedicate del tempo quindi a questi esercizi consapevoli che non serviranno “a dimagrire” ma avranno un beneficio più globale sulla postura e sulla prevenzione del dolore alla schiena.

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Le migliori proteine vegetali in polvere

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Proteine in polvere vegetali

La scelta vegetariana o vegana è in crescita, e il mercato dei supplementi ha naturalmente l’interesse nel soddisfare anche coloro che hanno espresso questa scelta alimentare. Anche per questo motivo negli ultimi anni hanno iniziato ad essere immesse sul mercato e sempre più promosse delle proteine in polvere vegane alternative alla soia.

Come sempre ci si chiede anche quali possono essere le migliori proteine vegetali, o perlomeno quali possano convenire di più secondo un rapporto qualità/prezzo.

Nell’articolo vedremo quali sono le principali polveri proteiche sul mercato per avere una chiara panoramica su quali scegliere, senza ignorare gli esiti della ricerca recente mantenendo un approccio critico su certi risultati.

Proteine vegetali e anabolismo

Il dibattito sulla scelta delle proteine vegetali per la crescita muscolare verte sulla loro minore efficienza nel favorire questi processi, come ampiamente documentato nella ricerca (2,3,4). Naturalmente questo argomento non si limita solo alla mera massa muscolare, ma interessa anche scopi diversi, come il recupero fisico, la performance, o il mantenimento o il recupero della massa magra in alcune situazioni particolari.

Le proteine vegetali infatti sono più carenti di aminoacidi essenziali (EAA) e leucina, e quelle presenti nel cibo intero (cioè non come supplemento) sono anche molto meno digeribili di quelle presenti nel cibo animale o di derivazione animale (1).
Il grande vantaggio del supplemento proteico vegetale rispetto al cibo vegetale intero, è che in questo modo si riesce ad aumentare molto la digeribilità delle proteine (cioè il tasso di digestione e assorbimento netto), che può raggiungere i livelli delle proteine animali (1).

Un altro difetto che rimane anche nelle proteine vegetali in forma di supplemento, è che sono più facilmente convertite a urea rispetto a quelle animali (derivate dal latte). L’urea è una sostanza di scarto normalmente prodotta dal metabolismo delle proteine, ma nel caso di quelle vegetali è prodotta in maggiore quantità, riducendo il potenziale di stimolare la sintesi proteica muscolare (MPS) (1,2,3). Questo sembra essere dovuto alla carenza di alcuni aminoacidi che rende il profilo aminoacidico meno favorevole per la sintesi proteica intestinale, e ciò porterebbe a rilasciare gli aminoacidi attraverso il sangue portale al fegato, venendo infine convertiti a urea (1).

Ma la minore qualità delle proteine vegetali non risulta un grande problema: la soluzione è semplicemente ingerirne in maggiore quantità per assunzione (2,3,4). Se da un lato questo porta alla necessità di duplicare le dosi (e quindi la spesa), dall’altra il vantaggio è che si può ottenere lo stesso potenziale anabolico rispetto alle proteine animali o di derivazione animale.

Confronto Tabella proteine vegetali in polvere

Proteine in polvere % proteica su 100g Quantitativo MPS Aminoacidi limitanti
Soia isolate 84-88g Attorno ai 40g Leucina, metionina, triptofano
Pisello isolate 72-76g Attorno ai 40g Metionina
Riso integrale 75-78g Attorno ai 48g Metionina, triptofano
Grano idrolizzate Non venduto in Italia Attorno ai 45-60g Lisina,
triptofano, metionina
Lupino  55-60g Attorno ai 50g  Metionina, triptofano
Avena  Non venduto in Italia Non ci sono studi Metionina, triptofano
Canapa 50-56g Attorno ai 100-105g BCAA, metionina

In generale nei cibi solidi i cereali sono carenti di lisina e triptofano, mentre i legumi di aminoacidi solforati (metionina e cisteina).

Proteine della soia

Proteine soia

Le proteine della soia presentano probabilmente la qualità più alta tra le proteine vegetali, ed è per questo motivo che sono anche tra le prime e più utilizzate fonti vegetali per ricavare integratori proteici (2). Anche per questo motivo le proteine della soia possono essere usate come metro comparativo per valutare la qualità di altre proteine vegetali di minore qualità. Le proteine della soia sono disponibili soprattutto nella forma isolata, il che le rende a rapido assorbimento (2) come le whey, le varie caseine non-micellari e quelle dell’uovo.

Nonostante siano classificate come proteine di alta qualità, le proteine della soia dimostrano di stimolare meno la sintesi proteica muscolare (MPS) se paragonate alle proteine del siero del latte (whey), alle proteine del manzo e al latte scremato (3). Come per altre proteine vegetali, vengono meno dirette verso il muscolo scheletrico e più verso i visceri e verso la produzione di urea (2,3).

Un altro difetto delle proteine della soia è rappresentato dal contenuto di isoflavoni (fitoestrogeni), che pur avendo dei potenziali benefici per le donne post-menopausali, le malattie metaboliche, il colesterolo e vari tipi di cancro, possono avere un potenziale effetto come interferenti endocrini (5), perlomeno se assunti in quantità eccessive, laddove l’eccesso non è purtroppo ben definito.

Le proteine della soia sono certamente tra i principali integratori proteici rivolti ai vegetariani e ai vegani, ma l’acquisto dovrebbe essere valutato attentamente da parte di chi rischia di assumere già molti isoflavoni con la dieta (soprattutto tramite soia o cibi a base di soia).

Proteine del pisello

Proteine piselli

Le proteine del pisello sono tra i più comuni supplementi alternativi alla soia, e questo è probabilmente motivato dalla loro qualità proteica relativamente elevata (4). Esistono poche ricerche che hanno valutato il potenziale anabolico delle proteine del pisello sul lungo termine. Il primo studio, pur avendo ottenuto riscontri positivi in termini di crescita muscolare, è stato finanziato da un’azienda produttrice di proteine del pisello (6) e non a caso presenta diverse tipiche limitazioni che hanno portato alcuni critici a metterne in discussione la credibilità (7).

Nonostante queste controversie, le proteine del pisello hanno un contenuto di leucina piuttosto elevato (4,6), maggiore delle proteine della soia e dell’uovo, e simile alla caseina micellare (4). Quindi anche se le proteine del pisello hanno complessivamente una qualità proteica inferiore alla soia (7), le concentrazioni di leucina e di aminoacidi essenziali risultano comunque consistenti e simili (4).

Infatti i dosaggi di proteine del pisello ottimali teorici per massimizzare la MPS sono simili a quelli richiesti con le proteine della soia (attorno a 40g netti) (4), risultando forse una delle più interessanti fonti proteiche vegetali dal punto di vista anabolico.

Proteine del riso

Proteine riso

Le proteine del riso sono un altro dei più popolari supplementi proteici alternativi alla soia, anche se qualitativamente inferiori rispetto al pisello e alla soia (7). Normalmente risultano una proteina a medio-lento assorbimento, al contrario della soia o del pisello che sono più comuni in forma isolata.

La crescente popolarità ha avuto origine da uno studio del 2013 dove si osservò che queste proteine riuscivano a stimolare un simile aumento della massa muscolare rispetto a una stessa quantità delle più qualitative whey protein (siero del latte) (2,7). Inoltre, risultò che la leucina derivata dal riso presentava una cinetica di assorbimento particolare, per cui raggiungeva un picco più rapido nel sangue rispetto alle whey, nonostante queste ultime fossero di più rapida assimilazione (2,8).

Anche questo studio presenta però alcune limitazioni per cui non è possibile stabilire chiaramente un’equivalenza qualitativa con le whey, che rimane improbabile. Tra questi limiti, i soggetti assumevano ben due misurini alla volta (48g), perché le proteine del riso erano troppo carenti di aminoacidi essenziali (e soprattutto di leucina) per poter massimizzare la sintesi proteica muscolare (MPS) con un solo misurino (8).

Questo conferma quanto affermato in precedenza, ovvero che per ottimizzare la MPS dopo l’ingestione, le proteine vegetali devono essere semplicemente assunte in quantità circa doppie rispetto alle proteine di origine animale (40-50 g vs 20-25 g). In altre parole, un misurino non è sufficiente a stimolare il massimo anabolismo muscolare post-ingestione.

Proteine del grano (frumento)

Proteine grano

Le proteine del grano stanno iniziando ad essere studiate negli ultimi anni, anche se la loro qualità non sembra risultare apprezzabile (2,4). Il contenuto di aminoacidi essenziali ammonta a meno della metà rispetto alle fonti proteiche di alta qualità, mentre sono carenti in particolare di lisina, metionina e leucina. Per apportare una sufficiente quantità di leucina nel singolo pasto – in maniera da ottimizzare la sintesi proteica muscolare (MPS) – si stima siano necessari ben 45g netti di proteina (ancora, circa 2 misurini) (4).

Non è un caso che i primi studi hanno osservato come le proteine del grano stimolano la MPS in maniera inferiore rispetto alle caseine, con un’identica dose da 35 g. Come in altri casi, quando la dose è stata quasi duplicata a 60 g le proteine del grano hanno dimostrato un sensibile incremento della MPS (9).

Uno dei limiti di questo studio è che testava le risposte di soggetti anziani, che richiedono una maggiore presenza di aminoacidi essenziali e leucina nel pasto per poter massimizzare la MPS. Dato che per i soggetti giovani sono sufficienti meno quantità di aminoacidi essenziali e leucina a pasto, potrebbero bastare 40-45 g per assunzione.

Proteine del lupino

Proteine lupini

Le proteine del lupino sono una delle ultime novità nel campo delle proteine vegetali. Come le proteine del riso e del grano, anche queste non hanno una qualità proteica paragonabile alla soia, data la carenza di leucina, lisina e metionina (4). Per questo motivo è stato proposto che sarebbero necessari attorno ai 50g netti per ottimizzare la sintesi proteica muscolare (MPS) (4).

Come diverse altre proteine vegetali anche quelle del lupino non sono ancora ben studiate per poterne comprendere appieno il potenziale anabolico; il profilo aminoacidico carente di vari aminoacidi importanti porta a trarre le stesse conclusioni espresse per altre proteine vegetali trattate sopra, come quelle del grano o del riso. In questo caso sarebbero necessari almeno due misurini (50g di proteina netta) per ottenere una buona stimolazione della MPS.

Proteine dell’avena

Proteine avena

Tra i supplementi proteici vegetali minori ed emergenti vanno riconosciute anche le proteine dell’avena. Come varie precedenti, anche queste presentano un basso contenuto di aminoacidi essenziali, e in particolare di lisina, metionina e leucina (4). Di conseguenza anche in questo caso si stima che siano necessari attorno ai 50g netti per ottimizzare la sintesi proteica muscolare (4).

Secondo alcune fonti, queste proteine avrebbero un contenuto di aminoacidi essenziali leggermente superiore e circa il doppio di lisina rispetto alle proteine del grano, che è l’aminoacido limitante nel grano e altri cereali (10). In realtà, altri studi osservano che le proteine del grano sono solo leggermente più carenti di lisina rispetto al grano, mentre queste ultime contengono abbastanza più leucina (4). Di conseguenza non sembra esserci una così netta superiorità di una fonte proteica rispetto all’altra in termini di profilo aminoacidico.

Gli studi sulle proteine dell’avena sono molto scarsi e di qualità discutibile, e nonostante siano stati proposti degli effetti positivi sul recupero dall’allenamento, non sono state paragonate con altre proteine per poter stabilire chiaramente il loro potenziale (10). Di conseguenza non ci sono reali prove né indizi per poterne comprendere le proprietà rispetto ad altre proteine vegetali.

Proteine della canapa

Proteine canapa

Le proteine della canapa sono tra i vari supplementi proteici popolarizzati negli ultimi anni. Il loro contenuto di aminoacidi essenziali è scarso a livelli simili alle proteine del grano, del lupino o dell’avena, oltre a presentare uno scarso contenuto di metionina e leucina (4). Inoltre, non risultano ancora testate per verificare il loro potenziale nell’attività fisica.

Un difetto che riguarda questa fonte proteica in particolare è la percentuale proteica molto più bassa rispetto ad altre proteine vegetali, quindi sarebbe necessario assumerne grandi quantità per ottenere un significativo apporto di aminoacidi essenziali (4). In genere infatti le proteine della canapa hanno una quantità relativamente elevata di fibre alimentari, carboidrati e grassi, a discapito della frazione proteica.

Si stima che sia necessario assumerne ben 105 g in una volta per ottenere sufficienti quantità di leucina al fine di massimizzare la sintesi proteica muscolare (MPS) (4). Anche se queste possono risultare delle sovrastime, certamente risulta uno svantaggio pratico ed economico se si intende scegliere una proteina vegetale con gli scopi di influenzare positivamente l’anabolismo muscolare.

Una domanda ricorrente è se le proteine della canapa contengono il principio attivo responsabile dell’effetto psicoattivo e terapeutico, il THC (tetraidrocannabinolo). Naturalmente questo componente è presente in quantità insignificanti, quindi non può conferire alcuna delle sue tipiche proprietà.

Proteine vegetali = proteine biologiche?

Nel crescente mercato dei supplementi proteici alcuni prodotti vengono venduti sotto il nome di “organic protein”, che viene tradotto come “proteine biologiche” (organic = biologico).
Per cibo biologico si intende quella categoria di cibo prodotto senza l’uso di pesticidi, fertilizzanti di origine sintetica, fanghi di scolo, organismi geneticamente modificati (OGM) o radiazioni ioniche (11).

Il termine biologico o bio viene così associato alle proteine vegane o vegetali. Questa associazione è tuttavia scorretta, perché il concetto di biologico vale anche per i cibi animali o di derivazione animale. Quindi proteine biologiche non è sinonimo di proteine vegetali o vegane, e vice versa, nonostante spesso i prodotti proteici in cui compare la scritta “organic” o “bio” siano il più delle volte vegetali.

Riferimenti:

  1. van Vliet S et al. The skeletal muscle anabolic response to plant- versus animal-based protein consumption. J Nutr. 2015 Sep;145(9):1981-91.
  2. Jäger R et al. International Society of Sports Nutrition Position Stand: protein and exercise. J Int Soc Sports Nutr. 2017; 14:20.
  3. Gilbert JA et al. Effect of proteins from different sources on body composition. Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2011 Sep;21 Suppl 2:B16-31.
  4. Gorissen SHM et al. Protein content and amino acid composition of commercially available plant-based protein isolates. Amino Acids. 2018 Dec;50(12):1685-1695.
  5. Rietjens IMCM et al. The potential health effects of dietary phytoestrogens. Br J Pharmacol. 2017 Jun;174(11):1263-1280.
  6. Babault N et al. Pea proteins oral supplementation promotes muscle thickness gains during resistance training: a double-blind, randomized, Placebo-controlled clinical trial vs. whey protein. J Int Soc Sports Nutr 2015;12:3.
  7. Phillips SM. The impact of protein quality on the promotion of resistance exercise-induced changes in muscle mass. Nutr Metab (Lond). 2016 Sep 29;13:64.
  8. Joy JM et al. The effects of 8 weeks of whey or rice protein supplementation on body composition and exercise performance. Nutr J. 2013 Jun 20;12:86.
  9. Gorissen SH et al. Ingestion of wheat protein increases in vivo muscle protein synthesis rates in healthy older men in a randomized trial. J Nutr. 2016 Sep;146(9):1651-9.
  10. Xia Z et al. Effects of oat protein supplementation on skeletal muscle damage, inflammation and performance recovery following downhill running in untrained collegiate men. Food Funct. 2018 Sep 19;9(9):4720-4729.
  11. Organic FAQ. www.organic.org/home/faq

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Insulina: funzione, valori e diabete

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insulina

L’insulina è un ormone peptidico di 51 amminoacidi, secreto dal pancreas endocrino principalmente in risposta all’assunzione di cibo, ha un effetto ipoglicemizzante, anoressizzante e generalmente anabolico su molti tessuti.

Spesso viene accusata di essere la causa dell’obesità, del diabete mellito di tipo 2 e virtualmente qualsiasi altro problema di salute, tuttavia come vedremo la realtà scientifica è ben distante da queste affermazioni.

Cos’è l’insulina e chi la produce ?

L’insulina è prodotta nelle cellule Beta delle Isole di Langherans pancreatiche, è inizialmente sintetizzata assieme ad una catena peptidica inattiva, il peptide C.
Nel complesso (peptide C + insulina) è chiamata pro-insulina, nel momento in cui viene internalizzata nelle vescicole secretorie, è quasi totalmente idrolizzata in insulina e peptide C in uguali quantità.

La secrezione di insulina è sia basale che stimolata ai pasti, nel particolare il glucosio è molto efficace nello stimolarne la secrezione, seguito da amminoacidi (specie Leucina, Arginina) e acidi grassi (indirettamente, attraverso l’azione dell’adipochina ASP).
Altri fattori endocrini possono potenziare la secrezione insulinica, ad esempio: GIP, GLP-1, CCK (ormoni gastroenterici secreti al pasto) e la stimolazione Beta-adrenergica (adrenalina).

Nel pancreas umano, il glucosio entra principalmente attraverso i GLUT-1 e GLUT-3, trasportatori ad elevata affinità (a differenza del fegato umano o del pancreas murino, che invece esprimono più il GLUT-2 a bassa affinità) così che fungano da “sensori” cellulari dei livelli di glucosio ematico, in pratica la concentrazione cellulare è in equilibrio con quella ematica.
Il glucosio entrando nel citosol stimola la glicolisi, aumenta velocemente il rapporto ATP/ADP cellulare che attiva la pompa Na+/K+, si depolarizza quindi la cellula che causa l’apertura dei canali voltaggio dipendenti del Calcio e si ha la secrezione delle vescicole di insulina.

Recettori dell’insulina

 I recettori dell’insulina appartengono alla famiglia dei recettori tirosin-chinasici, generalmente bersaglio di fattori di crescita, come l’IGF-1.

Nel caso del recettore insulinico vi è una particolarità: infatti l’insulina ha sia effetti mitogeni (crescita e differenziamento cellulare) che metabolici. Il recettore presenta due subunità, Alfa e Beta, la prima è extracellulare e si lega all’insulina, la seconda attraversa la membrana cellulare e si autofosforila in seguito al legame con l’insulina.

In seguito a stati fisiologici (digiuno, chetosi) e patologici (diabete mellito di tipo 2) si ha un’alterata segnalazione insulinica, che può avvenire per sottoregolazione del numero di recettori in risposta ad un più elevato livello basale di insulina o per meccanismi trasduzionali (quindi a livello post-recettoriale) mediato ad esempio dai chetoni o dagli acidi grassi liberi.

A cosa serve l’insulina ?

Ruolo dell'insulina

Uno dei principali mediatori dell’insulina sui tessuti insulino-sensibili (adipocita, muscolo) è il GLUT-4, un trasportatore di glucosio che subisce esocitosi a livello della membrana cellulare in seguito all’azione dell’insulina, ha un’elevata affinità col glucosio e ne permette un rapido ingresso nella cellula.

L’insulina ha effetti su molti tessuti e organi, i più importanti nell’adulto sono: fegato, tessuto adiposo e tessuto muscolare (fibrocellula).

Fegato

  • Sintesi del glicogeno e inibizione della sua degradazione
  • Sintesi di proteine, riduzione della gluconeogenesi e chetogenesi da amminoacidi
  • Stimolo sulla glicolisi e tutti i processi di utilizzo del glucosio
  • Sintesi di trigliceridi e lipoproteine VLDL

Tessuto adiposo

  • Inibizione della lipolisi intracellulare
  • Stimolo della lipasi di membrana (LPL) che idrolizza i trigliceridi ematici permettendone l’uptake
  • Aumento dell’uptake di glucosio (GLUT-4) e sintesi del glicerolo fosfato
  • Sintesi di trigliceridi

Muscolo

  • Aumento dell’uptake di amminoacidi
  • Aumento dell’uptake di glucosio (GLUT-4) e sintesi di glicogeno
  • Aumento dei processi di utilizzo del glucosio e inibizione dell’ossidazione di acidi grassi
  • Riduzione della proteolisi
  • Aumento della sintesi proteica (massimizzata già a concentrazioni basali, altrimenti avviene solo a dosi sovrafisiologiche)

L’insulina ha anche importanti ruoli genomici, infatti è necessaria per mantenere espressi sulle membrane cellulari i trasportatori di glucosio GLUT-1 e GLUT-3. Nel Diabete mellito di tipo 1 non trattato con insulina si ha forte carenza di questi trasportatori, motivo per il quale anche i tessuti non insulino sensibili (quindi tutti quei tessuti che non sono muscolo e grasso) soffrono della carenza di insulina e impediscono lo sviluppo.

Alcune considerazioni sul metabolismo del tessuto adiposo e muscolare in risposta all’insulina

L’insulina ha effetti acuti di lipogenesi nel tessuto adiposo, quindi sì fa ingrassare, ma questo processo è acuto e non avviene solo per l’insulina; infatti l’insulina è secreta ai pasti, e il cibo fornisce macronutrienti che saranno quindi metabolizzati di conseguenza.

  • In un pasto prevalentemente lipidico sarà meno stimolata in acuto l’insulina, ma sarà anche ridotto l’utilizzo del glucosio da parte di tutti i tessuti, inoltre i grassi non spariscono dal sangue per magia  ma vengono esterificati molto facilmente anche con poca insulina grazie anche all’azione diretta e indiretta dell’ASP (adipochina secreta ai pasti lipidici che ha la funzione di depositare gli acidi grassi nel tessuto adiposo).
  • Viceversa, in pasto molto glucidico sarà ridotto l’uso dei grassi e quindi si avrà maggior conservazione dei trigliceridi dell’adipocita e le altre cellule sposteranno il metabolismo verso l’utilizzo del glucosio.

Questi processi sono conosciuti e studiati da molto tempo, un celebre studioso è il biochimico Phillip Randle in onore del quale (nel 1963) è stato coniato il termine “Ciclo di Randle” in riferimento alla regolazione coordinata del metabolismo di glucosio e acidi grassi.

Questo significa che il bilancio calorico è determinante dell’aumento o della riduzione del peso, indipendentemente dalla secrezione di insulina (è stato ampiamente dimostrato anche da studi sull’uomo metodologicamente eccellenti, dai gruppi di K.D. Hall e C.D.Gardner). Per comprenderlo dobbiamo capire che se nel breve termine bruciare grassi sembra voler dire dimagrire, nella realtà (nel cronico) per perdere grasso dobbiamo abbassare i livelli energetici delle cellule.

Bruciare più grassi ma avere ancora la stessa energia nelle cellule vuol dire che da una parte stiamo ossidando i grassi ma dall’altra gli stiamo accumulando. Pensate ad una vasca da bagno, mangiare meno carboidrati e più grassi fa si che l’organismo faccia uscire più lipidi ma nello stesso tempo ne sta accumulando di più. È il bilancio calorico che determina se ingrassiamo o dimagriamo, non il bruciare più o meno grassi!

Nel muscolo scheletrico invece, l’insulina ha un ruolo facilitatore e coadiuvante nella sintesi proteica; si è visto infatti che nelle persone sane gli effetti dell’iperinsulinemia senza la concomitante iperaminoacidemia (cioè somministrando solo insulina) non aumenta la sintesi proteica in quanto si ha ipoamminoacidemia, invece quando avviene fisiologicamente (pasto proteico) la aumenta; tuttavia questo è un classico effetto dell’iperamminoacidemia che avviene anche nei modelli sperimentali di diabete di tipo 1 (insulino-dipendente).

Il ruolo “facilitatore” è dato dal fatto che l’insulina aumenta la sintesi di ossido nitrico (NO) un vasodilatatore, permettendo quindi un maggior afflusso di sangue e nutrienti ai tessuti.

Più interessante invece l’effetto anticatabolico, che è rilevante ed è indotto indipendentemente dalla presenza di amminoacidi (quindi anche con soli carbodirati), probabilmente inducendo l’utilizzo preferenziale di glucosio a scopo energetico, riducendo la formazione di vacuoli autofagici e aumentando il trasporto di amminoacidi.

Insulino resistenza, diabete mellito di tipo 1 e 2

Probabilmente la prima associazione mentale che avviene con la parola insulina è diabete, e non a caso: in entrambi i tipi di diabete si hanno disfunzioni nel metabolismo del glucosio.

Il diabete di tipo 1 è caratterizzato da perdita della funzione di secrezione dell’insulina, causato da aggressione autoimmune alle Beta cellule (la più frequente) e distruzione delle stesse o da cause idiopatiche o iatrogene (ad esempio pancreasectomia totale).

L’esordio è tipicamente precoce, prima dell’età adulta, anche se esistono forme autoimmune tipiche degli adulti come il LADA, che ha un esordio meno brusco della forma classica.
Spesso all’esordio si possono notare dei marcatori ematici tipici dell’autoimmunità specifica ad esempio anticorpi anti GAD, anti insulina (IAA), anti IA-2 o anti isole (ICA).

La terapia medica è la terapia sostitutiva con analoghi sintetici dell’insulina umana o insuline a farmacocinetica modificata come le rapide, intermedie e basali. Viene somministrata ai pasti in dose in base al contenuto glucidico, il fattore di sensibilità e il target glicemico del paziente.

Il diabete di tipo 2 invece, di gran lunga più diffuso è caratterizzato da un quadro variabile di resistenza all’insulina e deficit secretorio relativo di insulina.
La maggior parte dei diabetici di tipo 2, specialmente in Europa e Stati Uniti è obeso (60-80% dei diabetici di tipo 2) con prevalenza di obesità addominale, in questi casi si verifica resistenza insulinica periferica (grasso e muscolo metabolizzano meno glucosio del normale in risposta all’insulina) ma anche a livello del fegato (non viene soppressa adeguatamente la gluconeogenesi).

Questa situazione inzialmente è compensata da aumentata secrezione di insulina da parte del pancreas, ma se non tratta dal punto di vista medico e dietetico, porta ad una progressiva perdita della funzione delle cellule Beta del pancreas: il glucosio in eccesso “usura” tutte le componenti proteiche (fenomeni di glicazione) e i livelli più alti di acidi grassi liberi (il tessuto adiposo continua a fare lipolisi anche con insulina elevata) causano stress al reticolo endoplasmatico producendo fenomeni di lipotossicità.

C’è sicuramente una componente genetica eterogenea nella predisposizione al diabete di tipo 2, ma è anche vero che il sovrappeso e l’obesità alimentano questa malattia: la perdita di peso e l’attività fisica sono in grado di prevenire e curare il diabete di tipo 2, qualora sia dato da prevalente insulino-resistenza.

Infatti il farmaco più usato (e con successo) è la Metformina, che sembra agire mimando gli effetti dell’AMPK e quindi dell’attività fisica e della restrizione calorica… agisce infatti da inibitore della catena respiratoria riducendo l’efficienza della sintesi di ATP e la produzione di radicali liberi.

Il diabete di tipo 2 e di tipo 1 non compensati portano ad aumentati rischi per numerose malattie e cause di morte tra cui: micro e macroangiopatie quindi malattie coronariche e infarto, ictus, insufficienza renale, retinopatia e cecità, neuropatie periferiche, complicanze ortopediche, e in particolare per il tipo 2 malattie epatiche (NAFLD e NASH), alcuni tumori.

  Diabete Tipo 1 Diabete tipo 2
Prevalenza nella popolazione 0,3% 5%
Sintomatologia Spesso presente e con brusco esordio Spesso assente e modesta
Tendenza alla chetosi Presente Assente
Peso corporeo Normale o ridotto Spesso eccesso di peso
Età di esordio In genere <30 anni In genere >40 anni
Complicanze croniche Spesso assenti alla diagnosi Spesso già presenti
Livelli di insulina Bassa o assente Normale o aumentata
Autoimmunità alla diagonsi Presente Assente
Terapia Necessaria insulina Dieta, attività fisica, ipoglicemizzanti orali, agonisti GLP-1, insulina

Insulina e glucagone

Il glucagone è un altro ormone pancreatico, ha un ruolo controregolatore sul metabolismo glucidico rispetto all’insulina:

  • stimola la gluconeogenesi epatica
  • stimola la glicogenolisi epatica e l’aumento della glicemia
  • inibisce la glicolisi epatica
  • inibisce la sintesi di trigliceridi e stimola la chetogenesi

La secrezione stessa di insulina sembra inibire le cellule Alfa delle isole di Langherans che secernono glucagone, mentre è stimolato il suo rilascio dagli amminoacidi.
In pratica un pasto proteico è un potente stimolatore del glucagone (ma anche dell’insulina), così come lo è il digiuno e una dieta chetogena (nel medio-breve termine).

Il glucagone ha un effetto lipolitico sul tessuto adiposo umano in vitro, tuttavia in vivo questo effetto è probabilmente poco rilevante perchè la sua secrezione fisiologicamente è accompagnata da insulina e GIP, che inibiscono la lipolisi (pasto misto/proteico) o dal digiuno, dove è sinergico con gli altri ormoni controinsulari.

Questo per dire che il rapporto insulina/glucagone, preso come target “terapeutico” nella dieta a Zona è in realtà abbastanza fuorviante, perchè in vivo gli effetti lipolitici del glucagone ad un pasto sono inesistenti in quanto antagonizzati dall’insulina.

La gluconeogenesi promossa dal glucagone agisce a livello epatico ma non a livello muscolare, infatti non ha alcun effetto sulla proteolisi muscolare a differenza del cortisolo.

Insulina e Valori ed esami del sangue

Nell’uomo la secrezione totale nelle 24h di insulina è di circa 30 UI, a digiuno si hanno valori basali tra 5-10 microUI/mL o comunque inferiori a 25 microUI/mL che possono aumentare anche di 10-20 volte i livelli basali in risposta ad un pasto.

L’insulina è misurata a digiuno per indagare un modello “statico” di omeostasi del glucosio, come screening per il diabete mellito o insulino-resisitenza, allo scopo ci si avvale anche dei valori di glicemia che possono essere interpretati con dei calcoli per stabilire diversi aspetti:

  • la sensibilità insulinica (inverso della resistenza all’insulina) tramite il QUICKI index
  • la resistenza insulinica e la funzionalità delle Beta-cellule tramite il modello HOMA-IR index

Il test dinamico per la valutazione dell’omeostasi glicemica è l’OGTT classico dove si valuta la risposta glicemica (talvolta anche insulinica) ad un carico orale di glucosio (75g), facendo prelievi ogni 30′ fino a 2 ore (metodo classico).

Insulina basale e glicemia

insulina glicemia diabete

L’insulina basale è influenzata da numerosi fattori fisiologici, patologici e genetici. In una persona sana, la composizione della dieta in termini di macronutrienti può modificare i valori basali di insulina: alti carboidrati e dieta ipercalorica tendono ad aumentarne i valori, dieta ipocalorica e ipoglucidica o chetogenica a ridurne i valori.

Anche la massa grassa sottocutanea e specialmente viscerale ne influenza i valori, infatti maggiori livelli di insulina a digiuno sono tipici dell’insulino-resistenza e sindrome metabolica.

La glicemia in presenza di iperinsulinemia da insulinoresistenza può essere alterata o normale, in questo ultimo caso si è nelle fasi iniziali in cui il pancreas compensa la resistenza periferica al metabolismo glucidico aumentando la secrezione insulinica, tuttavia la situazione se non compensata con dieta, attività fisica ed eventuali farmaci tenderà alla comparsa del diabete (glicemia >126mg/dl o 200mg/dl dopo OGTT).

Insulina alta o insulina bassa: cause

 L’insulina risulta bassa nelle fasi iniziali dell’esordio del diabete di tipo 1 o insufficiente in altri tipi di diabete come i MODY (diabete monogenico dell’età adulta), nella pancreasectomia, pancreatite cronica o negli stadi finali del diabete di tipo 2.

Certi regimi dietetici riducono l’insulina basale, come la dieta chetogenica e il digiuno come risultato della ridotta o nulla assunzione di carboidrati e dell’adattamento al metabolismo periferico dei chetoni.

L’insulina risulta invece elevata nel diabete di tipo 2 negli stadi iniziali, nella sindrome metabolica, insulino-resistenza, negli insulinomi (tumore delle cellule Beta), obesità, malattia o sindrome di Cushing (eccesso di cortisolo o glucocorticoidi), acromegalia (eccesso dell’ormone della crescita nell’adulto), mutazioni nel recettore dell’insulina.

Anche nel caso di diete ipercaloriche e iperglucidiche si elevano i livelli basali di insulina, come risposta all’evelata disoponibilità di carboidrati alimentari.

Come abbassare l’insulina 

Il miglior modo per abbassare l’insulina, se elevata, è perdere grasso (se si è sovrappeso o obesi) e fare attività fisica di qualsiasi tipo.

Anche una dieta chetogena abbassa l’insulina, tuttavia peggiora l’affinità col glucosio perchè mette il corpo in condizioni di aumentare il metabolismo dei lipidi e dei chetoni a sfavore dei carboidrati e quindi del glucosio.

Da evidenze su studi controllati, a parità di calorie una dieta a “basso indice glicemico” sembra essere migliore nel migliorare i parametri dell’omeostasi glucidica (insulina, emoglobina glicata, lipidi ematici) in persone sovrappeso/obese con diabete di tipo 2, perchè si riduce la necessità di un picco più elevato di insulina per metabolizzare il glucosio, quindi si riduce il rischio di aumentare l’esposizione dei tessuti vascolari al glucosio e insulina in eccesso e si riduce la desensibilizzazione periferica all’insulina.

Certamente la dieta a basso IG ha un elevato contenuto di vegetali, fibre alimentari e cereali integrali che sono indipendentemente associati ad un miglioramento dello stato di salute, infatti sarebbe più corretto considerare l’alimentazione nel suo complesso che non isolando un singolo fattore al quale si attribuiscono tutti i meriti o demeriti della situazione (che sia esso l’IG, le proteine animali/vegetali o chissà cosa altro).

Per assurdo le patatine fritte, il fruttosio puro, i prodotti dolci da forno, le merendine, lo zucchero puro hanno un indice glicemico più basso delle carote o delle patate lesse.
Quindi sarebbero un’ottima scelta alimentare? Forse no…

Da notare che questi aspetti non hanno influito sulla perdita di peso, e che in una persona sana e attiva, sono decisamente poco rilevanti se presi in isolamento: cioè quanto sale il picco di glucosio in una persona sana in risposta ad un pasto non ha grande importanza, dato che nel resto del tempo la glicemia è normale a differenza del diabete dove è sempre elevata.

Conclusioni 

L’insulina, per quanto in tempi recenti sia costantemente attaccata e accusata ingiustamente, ha un ruolo vitale nel corpo umano, sia la carenza che l’eccesso possono essere dannosi. Pensare che sia la causa dell’obesità, non solo è abbastanza limitativo, ma non è nemmeno conciliabile con l’evidenza scientifica e le leggi dell’universo, mentre possiamo invece riassumere le sue funzioni in questi punti:

  • è considerato l’ormone anabolico per eccellenza (quando in realtà ha in primis una funzione anticatabolica)
  • aumenta l’utilizzo del glucosio e riduce quello degli acidi grassi
  • è un ormone ipoglicemizzante e anoressizzante (in chi non ha una resistenza insulinica a livello ipotalamico)
  • aumenta la sintesi di glicogeno, trigliceridi, colesterolo e proteine
  • nel diabete di tipo 1 è ridotta o assente, viceversa nel diabete di tipo 2
  • i suoi livelli sono determinati da genetica, adiposità, dieta e stile di vita
  • in condizioni fisiologiche non stimola la sintesi proteica muscolare, ma riduce la proteolisi

Bibliografia essenziale

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  • Liguri, Nutrizione e dietologia, Zanichelli 2015
  • Project Diet vol.1 e 2, D. Esposito
  • https://emedicine.medscape.com
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Stretching adduttori: come allungarli

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Stretching per gli adduttori

In questo articolo parliamo di allungamento dei muscoli adduttori e di quali sono le principali tecniche di esecuzione da tenere in considerazione durante gli esercizi di stretching. Prima di scendere nel pratico partiamo dalla loro anatomia e funzione, per poi comprendere come allungarli correttamente. 

Anatomia dei muscoli adduttori

I muscoli “adduttori” sono diversi: muscolo grande adduttore, muscolo adduttore lungo, muscolo adduttore breve, muscolo gracile e muscolo pettineo. I muscoli grande adduttore e adduttore lungo e breve originano dal bacino, in punti diversi ma molto vicini e si inseriscono medialmente tutti sul femore. Il muscolo pettineo origina dalla superficie pettinea del pube e si inserisce sul femore. Il muscolo gracile invece è biarticolare, origina sempre dal bacino ma si inserisce sulla tibia, anteriormente, attraversa quindi l’articolazione del ginocchio.

tutti i muscoli adduttori
Da sinistra abbiamo i muscoli: Grande Adduttore, Adduttore Lungo, Piccolo Adduttore, Pettineo, Gracile.

Le azioni di questi muscoli sono da distinguere tra azioni in comune, cioè che fanno tutti, ed azioni di ogni singolo muscolo.
Tutti i muscoli sopracitati
adducono la coscia (non a caso si chiamano adduttori voi direte…) ma il grande adduttore ed il gracile intraruotano la coscia, l’adduttore lungo e breve la extraruotano. Il gracile, l’adduttore lungo e il pettineo partecipano anche alla flessione della coscia sul busto.

Differenze di stretching per gli adduttori

Dopo questo breve ma necessario preambolo, vediamo perché ci serve sapere le azioni dei vari muscoli per capire come ci siano approcci differenti al loro allungamento.
Il muscolo
gracile attraversa l’articolazione del ginocchio al contrario degli altri. Possiamo distinguere di conseguenza due tipi di pose a grandi linee per allungare i muscoli adduttori (non sono le sole, ma parleremo di queste due strategie): le pose a ginocchio teso e le pose aginocchio flesso.

Per porre in allungamento i muscoli adduttori, come suggerisce la parola, sarà necessario abdurre la coscia, in gergo, separare le gambe tra loro, il più possibile. Tale abduzione può avvenire sia in maniera parallela al tronco, ovvero con le gambe che seguono la linea del corpo, oppure perpendicolari al corpo, con le gambe che sono a 90° con il corpo. Esistono ovviamente anche gradi e posizioni intermedi che possono essere esplorati ma non è lo scopo di questo articolo. In entrambi i casi, che le gambe siano perpendicolari o parallele al busto, la cosa che resta in comune è che il femore si abduca (le gambe si separano).

  1. Le pose in abduzione possono essere eseguite grossomodo a ginocchio teso o a ginocchio flesso.
    Nelle pose a ginocchio flesso andremo sopratutto ad agire su tutta quella muscolatura degli adduttori che si inserisce prima del ginocchio.
  2. Viceversa, stendendo il ginocchio si potrà andare a sensibilizzare anche la muscolatura che attraversa il ginocchio: parliamo in questo caso del muscolo gracile.

Entrambe le tipologie di pose sono molto utili per il raggiungimento di un ottimo livello di flessibilità dei muscoli adduttori e per esempio, per raggiungere la spaccata frontale o il pancake: queste due pose, infatti, sono a gambe tese.

In ogni allenamento volto all’aumento della flessibilità degli adduttori è consigliato inserire sia pose a ginocchio flesso che pose a ginocchio teso.

L’esempio che riporto sono due pose, quasi totalmente identiche per la posizione del femore ma diverse per la posizione del ginocchio: la frog pose supina al muro e la spaccata in posizione supina al muro. Entrambe le varianti hanno come scopo allungare la muscolatura degli adduttori.

Frog pose supina al muro

Stretching adduttori

Nel primo caso, quello della frog pose al muro, andremo ad agire a ginocchio flesso: la tensione sarà percepita per la maggior parte nei muscoli adduttori, quindi nei pressi del bacino, internamente alla coscia. Per eseguire questa posizione in maniera corretta sarà necessario sdraiarsi pancia all’insù, mantenere le gambe a 90° con il busto e il ginocchio flesso ad esattamente 90°.

Il muro serve da “guida” per eseguire l’esercizio correttamente: si appoggiano i piedi sul muro in modo tale che siano esattamente in linea con le ginocchia e ci si assicura che tutti gli angoli siano esattamente di 90°: gambe con il busto e ginocchio.

A questo punto si lasciano cadere le ginocchia verso il basso, spingendole con le mani oppure con l’ausilio di un peso esterno. Durante questa posa ci concentreremo maggiormente sui muscoli adduttori che si inseriscono prima del ginocchio (grande, breve, lungo adduttore e pettineo).

Spaccata in posizione supina al muro

Stretching spaccata

Nella posa di spaccata in posizione supina al muro, ci si posiziona con il sedere totalmente attaccato al muro, le gambe tese e più divaricate possibile verso l’esterno, cercando di scendere il più in basso possibile. In questo caso, la tensione sarà avvertita sì sugli adduttori ed internamente alla coscia, ma potremo avvertire l’allungamento anche a livello del ginocchio: in questo modo staremo sensibilizzando l’allungamento del muscolo gracile essendo esso biarticolare attraversando il ginocchio.

 

Come è stato evidenziato, entrambe le strategie di allungamento sono utili e necessarie per lo sviluppo di flessibilità nei muscoli adduttori e per raggiungere pose come la spaccata frontale. Esistono soggetti che hanno un’ottimo livello di flessibilità a gambe flesse e meno a gambe tese: in questo caso, sarà necessario concentrarsi maggiormente sulle pose a gambe tese per migliorare ulteriormente. Viceversa, c’è chi ha una maggior flessibilità nelle pose a gambe tese e meno in quelle a gambe flesse, ed in questo caso sarà necessario concentrarsi su quest’ultime; ma il segreto rimane sempre un mix tra entrambe con particolare attenzione a dove si è più rigidi.

In linea generale, in allenamento consiglio di eseguire prima una posa a gambe flesse, in modo tale da concentrarsi sulla muscolatura degli adduttori che si inseriscono prima del ginocchio, poi successivamente passare ad una posa a gambe tese dove ci si concentrerà anche sull’allungamento del gracile andando ad allungare in maniera totale tutta la muscolatura degli adduttori.

Routine stretching adduttori

Ad esempio, in un allenamento si può iniziare con:

  • Frog stretch: 3 set di stretching passivo oppure 1/2 set di PN
  • Spaccata in posizione supina al muro: 3 set di stretching passivo oppure 1/2 set di PNF

Ovviamente, questa non sarebbe tutta la scheda ma un esempio di come andare ad agire.

Conclusioni

Con questo articolo spero di aver illustrato un argomento interessante per quello che riguarda l’allungamento della muscolatura degli adduttori. Ora avete in mano una strategia per massimizzare i benefici dello stretching di quest’area e una strada più chiara per come diventare più flessibili e raggiungere la tanto desiderata spaccata frontale e le altre pose di allungamento che comprendono la muscolatura degli adduttori!

Buon allungamento! 

L’articolo è di Elia Bartolini

Elia segue diverse persone nella zona di PESARO – Tavullia – Cattolica e dintorni ma anche ONLINE
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Quando assumere le proteine, prima o dopo l’allenamento?

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Quando assumere le proteine

Tra i consumatori di supplementi proteici è presente una certa confusione sul momento in cui assumerli attorno all’allenamento. Quando prendere le proteine, prima o dopo la palestra? A cosa servono? Sono utili?

Fino a soli pochi anni fa era molto accettata l’ipotesi della finestra anabolica, secondo cui assumere una bevanda a base di integratori di proteine e carboidrati nell’immediato post-allenamento avrebbe portato a dei vantaggi per la crescita muscolare.

Oggi questo argomento è molto più chiaro, e vedremo di capire meglio se servono e a cosa servono, e come organizzare la distribuzione delle proteine in polvere nel periodo che circonda l’allenamento in palestra, il pre o post workout.

Timing proteico vs apporto proteico totale

Prima di passare i primi suggerimenti pratici è necessario partire con una premessa: esiste una gerarchia di importanza tra le variabili relative alle proteine nella dieta. L’apporto proteico totale giornaliero è molto più importante della distribuzione (timing) delle proteine nel peri-workout (ovvero, prima, durante e post l’allenamento). Quindi perde senso preoccuparsi di assumere le proteine tra il pre- e il post-workout se prima non ci si assicura di assumerne abbastanza nella giornata (1).

Quante proteine giornaliere sono sufficienti? Le linee guida ufficiali di Medicina sportiva e Nutrizione sportiva danno dei range piuttosto ampi, che vanno da 1.2 a 2.2 g/kg di peso corporeo (2,3,4), ma in generale per chi si allena con i pesi si suggerisce una soglia minima di 1.6 g/kg (2,4).

Una volta appurato questo principio fondamentale, capiamo che è più importante assumere le giuste proteine giornaliere con una distribuzione non così ottimale, piuttosto che applicare una distribuzione perfetta ma con un apporto proteico totale insufficiente.

Supplemento proteico vs cibo proteico

Un altro principio fondamentale da chiarire prima di passare al tema centrale, è che non ci sono reali differenze tra un supplemento proteico e un cibo proteico di alta qualità. Le persone tendono a credere che il supplemento proteico abbia una sorta di “potere speciale”, un’idea sicuramente influenzata dalle campagne di marketing per promuoverne la vendita. Nella realtà, se un cibo proteico risulta ad alta qualità proteica, il suo effetto può essere del tutto paragonabile a quello di un supplemento proteico di simile qualità (cosa stabilita secondo i vari indici, come valore biologico, DIAAS, PDCAAS, PER ecc). Non a caso, alcuni scienziati parlano di proteine di alta qualità nel peri-workout, e non di supplementi proteici nello specifico (5).

Non c’è quindi niente di magico o superiore nel preferire una polvere proteica piuttosto di un cibo solido, e i vantaggi possono essere dovuti perlopiù a questioni di praticità, digestione in tempi brevi o adesione dietetica (è più facile, gustoso e digeribile bere uno shaker poco prima o poco dopo l’allenamento rispetto a un’equivalente quantità proteica da petto di pollo o albume d’uovo).

La differenza sostanziale tra le polveri proteiche e il cibo solido è in buona parte dei casi legata alla maggiore rapidità di assorbimento delle prime, cosa che come visto in altra sede non ha di per sé un documentato vantaggio in termini di “maggiore crescita muscolare” (3,4). L’aspetto merita una maggiore considerazione per atleti agonisti, per i quali optare per una fonte calorica a rapida assimilazione può essere in certi casi preferibile, perché più ottimale per i loro obiettivi a breve termine (5,6).

Conviene prendere le proteine post-workout?

proteine dopo allenamento

Se c’è un periodo del peri-workout dove in passato si riteneva che assumere proteine (e carboidrati) fosse particolarmente importante, questo è il post-workout. Come detto sopra, si credeva che questo avrebbe permesso un maggiore miglioramento della massa muscolare e della performance (5,6).

Nel tempo si è capito che questa ipotesi non fosse basata su prove forti, e che in gran parte dei casi non ci sarebbe alcun particolare vantaggio se l’apporto proteico giornaliero raggiunge dei livelli ottimali per lo sportivo (≥1.6 g/kg) (1,5).

Nell’immediato post-workout assumere proteine in polvere non ha grandi utilità, se non nei rari casi in cui non si assume cibo o proteine da almeno 4-5 ore, come negli allenamenti a digiuno (5,6). In caso contrario può andare bene mangiare un pasto solido un’ora o poco più, dopo essersi allenati.

La supplementazione “rapida” post-workout (anche di carboidrati) può essere valutata nel caso di allenamenti molto prolungati e estenuanti (maratona, triathlon ecc), dove anche se il cibo fosse stato assunto solo poco prima della prestazione, la combinazione tra la forte deplezione delle scorte energetiche e il lungo tempo trascorso dall’ultima ingestione rende più critica l’assimilazione rapida (6). Sono però casi che si allontanano molto dal tipico allenamento in palestra.

Quando assumere il supplemento proteico nel post allenamento? In questo caso c’è abbastanza libertà, ma è un periodo che può andare dalla fase di defaticamento (nel caso la si esegua), ad un arco di tempo attorno alla prima mezz’ora dal termine dell’allenamento. Certo è che non si otterranno migliori risultati se si anticipa l’assunzione il prima possibile come qualcuno credeva in passato: se si mangia dopo un’ora si può anche aspettare senza credere di essere penalizzati.

Proteine pre-workout

L’altra principale fase del peri-workout in cui si crede che le proteine possano essere utili è il pre-workout. Alcune delle principali motivazioni proposte a supporto di questa idea sono che in questo modo si massimizzerebbe la sintesi proteica muscolare o la performance, ma anche in questo caso le teorie non risultano convincenti (1,2).

Durante l’allenamento la sintesi proteica muscolare (MPS) viene soppressa (8), e gli effetti delle proteine pre-workout sulla performance non sono chiaramente documentate (1). Inoltre, il normale cibo proteico (solido) provoca le stesse risposte metaboliche del supplemento proteico, con la differenza di essere, in gran parte dei casi, digerito e assimilato molto più lentamente (9).

Se quindi la preoccupazione è quella di far coincidere l’alta concentrazione di aminoacidi nel sangue derivati dal pasto con il periodo post-workout, a maggior ragione può avere più senso il normale cibo proteico solido grazie alla sua lenta digestione che si estende fino a dopo l’allenamento.

Un razionale nell’assumere un integratore proteico nel pre-workout nel contesto della palestra sarebbe nei casi in cui, venendo ad esempio dal digiuno notturno, si ha poco tempo tra l’ingestione di cibo e l’inizio dell’allenamento. Questo perché la maggiore rapidità di digestione e assorbimento del supplemento non comporta un grande impegno digestivo durante lo sforzo, come invece farebbe un pasto proteico solido assunto 30-60 min prima di allenarsi (questo vale anche per i carboidrati).

Quando assumere il supplemento proteico nel pre-workout? In questo caso dipende dagli obiettivi specifici e dalla rapidità di assorbimento del supplemento. In generale non ce n’è un bisogno se ci alleniamo dopo 2-4h da un pasto. Come visto nella panoramica completa sulle migliori proteine in polvere, buona parte di questi sono a rapida assimilazione, e ciò significa che attorno a 40-60′ prima possono essere una buona tempistica. Bisogna però considerare che se il supplemento è combinato con altri cibi l’assorbimento verrà rallentato.

Quali proteine prendere prima o dopo l’allenamento?

Questa domanda è lecita, ma prima va ancora fatta la precisazione sulla scelta della fonte proteica. Potete certamente optare per uno shaker proteico prima o dopo l’attività fisica, ma anche mangiare un pasto a base di cibo proteico sortisce gli stessi effetti, l’unica differenza è che nel pre-workout dovrebbe essere essere mangiato molto prima di quanto si farebbe con il supplemento (2-4h).

Per quanto riguarda invece la scelta del supplemento proteico ideale, tra i migliori di derivazione animale, probabilmente le proteine del siero del latte (whey) sono quelle da preferire secondo un rapporto qualità/prezzo difficilmente battibile. Nel caso invece si vogliano scegliere delle proteine vegetali in polvere, le opzioni più interessanti sono quelle della soia e del pisello, che risultano le proteine vegetali dalla maggiore qualità proteica.

Conclusioni

Il consumo di proteine in polvere prima o dopo l’allenamento (peri-workout) è stata in passato una strategia sopravvalutata, in parte perché un’interpretazione parziale di alcune ricerche sembrava confermarlo (5,6), in parte perché sicuramente esistono forti interessi che spingono ad esaltarne l’utilità per poter promuovere l’uso dei supplementi proteici.

La cosa viene accettata con entusiasmo da atleti e professionisti, sia per l’alone di scientificità e nozionismo che ne conferisce un enorme appeal, convincendo anche i più tecnici, sia per la naturale tendenza delle persone a voler credere alla “pillola magica”, e quindi al fatto che assumere un dato supplemento, ancora più in una data tempistica, abbia un “potere speciale” nel permettere di ottenere risultati superiori.

La realtà è naturalmente più noiosa e banale, e ad oggi una lettura imparziale della letteratura sulla nutrizione sportiva, in particolare quella orientata sugli allenamenti in palestra, ci spiega che non ci sono vantaggi concreti nell’assumere i supplementi proteici nel pre- e/o nel post-workout tranne casi molto particolari. Di certo questo non significa che non si possa fare affidamento su questi prodotti con un razionale, ma ci fa anche capire che in gran parte dei casi gli effetti sono paragonabili a quelli del normale cibo proteico solido.

Riferimenti:

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  2. Jäger R et al. International Society of Sports Nutrition Position Stand: protein and exercise. J Int Soc Sports Nutr. 2017; 14:20.
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Il cortisolo: l’ormone dello stress

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cortisolo ormone stress

Il cortisolo è un ormone steroideo prodotto dalle ghiandole surrenali, i suoi livelli aumentano in seguito a stress (chiamato infatti anche “ormone dello stress”) piscologico, fisico, traumi o processi infiammatori, oltre al suo caratteristico andamento circadiano, con un picco all’alba e un calo nella sera.

Funzioni del cortisolo

Tra le sue azioni caratteristiche troviamo principalmente le seguenti caratteristiche:

  • Antinfiammatorio e immunosoppressivo
  • Catabolico, lipolitico, lipogenico e gluconeogenico
  • Ha un ruolo fondamentale nella risposta psiconeuroendocrina dello stress

Andiamo a capire il suo funzionamento e la sua importanza.

Fisiologia del cortisolo

effetti del cortisolo

Il cortisolo come numerosi altri ormoni, oltre a seguire un ritmo circadiano è soggetto a un controllo a feedback negativo da parte dell’asse HPA ovvero ipotalamo-ipofisi-surrene (livelli di cortisolo alti ne inibiscono la sua produzione, secrezione e viceversa).

La sua sintesi nella corteccia surrenale necessita (come gli altri steroidi) di colesterolo (che deriva in gran parte dalle LDL-c plasmatiche) e stimolo da parte dell’ACTH, un ormone peptidico.

L’ACTH è molto importante perchè oltre a stimolare rapidamente il rilascio di cortisolo nel sangue, stimola l’assorbimento surrenale del colesterolo e la sintesi di altri steroidi surrenalici (DHEA, Pregnenolone), nel lungo termine è fondamentale per mantere funzionale l’intera ghiandola surrenale.
Motivo per il quale, dopo terapia con corticosteroidi sintetici (che sopprimo la secrezione ipofisaria di ACTH), è prassi comune scalare le dosi del farmaco per favorire una ripresa graduale dell’asse HPA ed evitare una brusca carenza di cortisolo e ormoni precursori, scongiurando così scompensi acuti di elettroliti, volemia e glicemia (crisi simil-Addisioniana).

La secrezione di ACTH avviene invece nell’ipofisi sotto stimolo di un fattore di rilascio prodotto dall’ipotalamo, il CRH.
CRH (ipotalamo) –> ACTH (ipofisi) –> Cortisolo (surrene)

Il cortisolo è fortemente legato a una sua proteina plasmatica, la CBG, pertanto la frazione biodisponibile (circa il 10%) è quella libera, la quale può entrare nelle cellule e può avere un effetto biologico. Aumenta in funzione delle secrezioni epidosiche (stress, bioritmi…) o di alterazioni nella produzione di questa proteina (diabete, patologie tiroidee, malattie genetiche, uso di steroidi cortisonici o androgeni/anabolizzanti).

In condizioni basali, viene prodotto dagli 8mg ai 25mg al giorno di cortisolo che può facilmente raddoppiare in condizioni di stress.

Quando si produce Cortisolo ?

La secrezione può aumentare in diverse condizioni:

  • Restrizione calorica e glucidica
  • Assunzione di cibo
  • Stress psicologico e condizioni psichiatriche (ansia, depressione)
  • Stress fisico (attività fisica, traumi, infezioni, malattie)
  • Assunzione di caffeina (nei primi giorni di assunzione)
  • Patologie epatiche e renali che ne alterano il metabolismo
  • Patologie dell’ipofisi/surrene (malattia di Cushing)

Valori ed esami

valori ematici cortisolo

I valori di cortisolo al mattino sono in genere tra 8-25 mcg/dl e tendono fisiologicamente a diminuire nell’arco della giornata (2-18 mcg/dl verso sera).

Per la valutazione della funzionalità dell’asse HPA si valutano i livelli di cortisolo e ACTH, nel caso in cui fossero alterati (valori alti o bassi) si distingue se c’è produzione in eccesso o difetto.
Per la produzione in eccesso si può valutare il test di soppressione al Desametasone, uno steroide sintetico molto potente, che in soggetti sani azzera quasi la secrezione di ACTH e cortisolo per effetto di feedback negativo, mentre in patologie da ipersecrezione questo non avviene.

Per completezza diagnostica si può anche fare il test urinario, che consiste nell’analisi della quantitià di cortisolo urinario nelle 24ore, utile nella diagnosi differenziale tra obesità e obesità associata al Cushing.

Si utilizza anche la somminstrazione di Cosintropina (ACTH sintetico) per valutare la capacità surrenale di secrezione, se deficitaria indica insufficienza surrenalica o malattia di Addison, se invece non appare deficitaria sotto stimolo indica insufficiente secrezione ipofisaria di ACTH.

Effetti biologici dell’ormone dello stress

Il cortisolo in quanto ormone steroideo, diffonde attraverso la membrana cellulare, legandosi a proteine citoplasmatiche che vengono internalizzate nel nucleo e stimolano quindi la sintesi proteica per le sequenze specifiche del cortisolo, determinandone gli effetti biologici.

Negli ultimi anni è sempre più chiaro come anche gli ormoni steroidei agiscano in tempi molto rapidi attraverso recettori di membrana (azioni non genomiche), analogamente agli ormoni peptidici/proteici.

Le funzioni glucocorticoidi sono quelle tipicamente conosciute, ha un generale effetto catabolico sulla massa grassa (in particolari condizioni anche anabolico) e magra, è iperglicemizzante e ha funzione antinfiammatoria. In realtà ha molte altre funzioni, che possiamo riassumere in più punti a seconda del tessuto o organo bersaglio.

Cortisolo e metabolismo epatico, tessuto muscolare e adiposo

  • Aumentata gluconeogensi epatica, ridotta glicogenolisi (favorisce la conservazione di glicogeno)
  • Aumentata lipolisi per inibizione delle LPL adipocitarie e insulino-resistenza, in sinergia con catecolammine e GH
  • Aumentata lipogenesi ectopica in sinergia con l’insulina (differenziazione cellule staminali e pre-adipociti con deposizione grasso nei visceri, viso, collo, schiena, fegato)
  • Degradazione proteine muscolari prima sarcoplasmatiche e poi contrattili (sistema ubiquitina-proteasoma)
  • Riduce la sintesi di proteine plasmatiche leganti gli ormoni (CBG, SHBG, TBG)

Bilancio idroelettrolitico e sistema cardiovascolare

  • Aumentata escrezione del Calcio a livello renale
  • Se in quantità patologicamente elevate ha effetto mineralcorticoide (ritenzione Na+, H2O, ipervolemia, secrezione K+, H+)
  • Riduce assorbimento intestinale del Calcio (antagonizza la vit.D3)
  • Aumentata contrattilità cardiaca e reattività vascolare (potenziata da catecolammine), favorisce l’ipertensione
  • Aumento del filtrato glomerulare

Tessuto connettivo 

  • Inibizione della formazione ossea e la sintesi di collagene, inibendo quindi il rimodellamento dei tessuti

Sistema neuroendocrino

  • Antagonizza la risposta ipofisaria al GnRH, alterando la secrezione di gonadotropine (LH, FSH) e deprime la secrezione di GH
  • Antagonizza la segnalazione della leptina nell’ipotalamo, inducendo leptino-resistenza (sregolazione fame-sazietà)
  • Stimola l’appetito, se in cronico iperfagia e aumento ponderale (sinergico con insulina)
  • Inibisce la fase REM del sonno (funzionamento del ciclo sonno-veglia e ritmi circadiani)
  • Fondamentale per l’equilibrio del sistema nervoso e dell’umore (la carenza causa astenia e stanchezza cronica)
  • Riduce la risposta insulinica nel pancreas, alterando il potenziale di membrana e la pompa Na+/K+

Sistema immunitario

  • Inibisce la proliferazione delle cellule immunitarie, riduce la risposta di presentazione dell’antigene e la chemiotassi (generale funzione immunosoppressiva)
  • Inibisce la sintesi di prostaglandine, inibisce la COX-2 e la Fosfolipasi di membrana A2 (tutti elementi fondamentali della rispsota infiammatoria cellulare locale)

Effetti mineralcorticoidi dell’ormone dello stress

 

Cortisolo ha la stessa affinità dell’aldosterone per il recettore dei mineralcorticoidi, ma viene convertito dal rene in cortisone (enzima beta steroide deidrogenasi, 11-Beta HSD2) che invece ha minore affinità col recettore.
Questa funzione ha un limite, infatti l’eccesso di cortisolo una volta saturato l’enzima (sindrome e malattia di Cushing) scavalca l’inattivazione in cortisone, causando ritenzione di acqua, sodio, escrezione di potassio e alcalosi metabolica.

In realtà vi è un caso molto particolare nel quale anche il sano può sperimentare ritenzione e aumenti delle resistenze vascolari tramite il cortisolo: quando si consuma la liquirizia, il contenuto di acido glicirrizico (o glicirrizina) è un potente inibitore della deidrogenasi renale che inattiva il cortisolo, aumentando quindi il rapporto cortisolo/cortisone nel rene.

Nel fegato come in altri tessuti, il cortisone è invece “attivato” e convertito in cortisolo (shunt del cortisolo).

Livelli di cortisolo basso

Contrariamente all’opinione comune, l’ormone dello stress non è prodotto solo per rompere le scatole, la sua assenza può essere fatale in quanto gli altri ormoni controinsulari (glucagone, GH, adrenalina) da soli sono spesso insufficienti a mantenere l’omeostasi del glucosio, come nel morbo di Addison che necessita di terapia ormonale sostitutiva (HRT).

In un individuo sano il cortisolo, il suo pattern circadiano e la sua secrezione sono fondamentali per una buona salute psicofisica:

  • La sua secrezione episodica fa parte dell’attività simpatica di attacco o fuga (fight or flight), necessario e sinergico con le catecolammine e la vasopressina, a patto che sia indotto da eventi “realmente” stressanti e non cronicizzi.
  • Secrezioni episodiche non croniche, hanno lo scopo di portare a un’aumentata resilisenza psicologica, (capacità di far fronte ad eventi avversi) ovvero una maggior tolleranza dell’evento stressante, ovviamente non sempre questo si verifica
  • Il mantenimento della circadianità è associata ad una corretta risposta metabolica ai nutrienti, in contrapposizione ad una perdita di circadianità e livelli più costanti (stress cronico)
  • La secrezione episodica fisiologica, specie ai pasti misti/proteici è fisiologicamente corretta e favorisce il metabolismo dei nutrienti (gluconeogenesi, liposintesi se con insulina), la presenza di triptofano e tirosina nelle proteine alimentari sembrano essere determinanti in questa risposta.
  • Modula la risposta immunitaria “spegnendo” le infiammazioni in modo fisiologico, senza compromettere la risposta immunitaria da un lato e impedendo la cronicizzazione da un altro
  • Durante il digiuno o la restrizione calorica ha un ruolo di potenziamento dell’attività lipolitica delle catecolammine assieme al GH, che altrimenti diventerebbe un fattore limitante nella disponibilità energetica a digiuno

Nella malattia o sidrome di Addison si ha insufficienza nella secrezione di cortisolo, che porta paradossalmente anche a perdita di peso corporeo (sia massa magra che grassa), perchè prevale l’azione degli ormoni anoressizanti, impedendo quindi a questi soggetti di avvertire una fame fisiologica. Il cortisolo basso causa anche affaticamento cronico, ipotensione ortostatica, talvolta dolori muscolo-scheletrici.
Il morbo di Addison è una comune causa di ipocortisolemia primaria, causato spesso da distruzione autoimmune delle ghiandole, mentre altre cause sono la disgenesia e la rimozione o tumori surrenalici.

Cause di ipocortisolemia secondaria sono invece dovute a deficit di secrezione dell’ACTH, quindi ipopituitarismi di vario tipo o traumi cerebrali.

Non vi è alcuna evidenza scientifica o empirica della cosidetta “adrenal fatigue” ovvero un ipotetico affaticamento surrenalico a seguito di eventi stressanti (ovvero l’opposto che in realtà accade nel corpo…) che porterebbe a ridotta secrezione di cortisolo.

Anzi, risulta che le persone stressate cronicamente e depresse hanno maggior incidenza di ipertrofia o iperplasia surrenalici da IPER, non ipo, funzione della ghiandola, stimolata dall’ACTH.

 Valori di cortisolo alto

Il cortisolo patologicamente elevato (sindrome e morbo di Cushing) porta ad aumento di massa grassa e riduzione della massa magra (obesità sarcopenica), dislipidemia, ipertensione, peggioramento della qualità della pelle con acne e striae rubrae (smagliature tipiche), iperglicemia e insulinoresistenza, diabete di tipo 2, immunosoppressione, patologie muscolo-scheletriche e alterazione dell’umore.

Il cortisolo determina un’aumentata sensibilità delle lipasi adipocitarie (ATGL e HSL) alle catecolammine, promuovendo quindi la lipolisi.
Determina anche un’aumentata attività delle LPL responsabili dell’idrolisi dei trigliceridi plasmatici, favorendone quindi il flusso verso l’adipocita.

Queste azioni a prima vista contradditorie, sono in realtà diversamente espresse a seconda della distribuzione del tessuto adiposo e delle condizioni fisiologiche/nutrizionali, infatti: la condizione adipogenica che permette l’effetto lipogenico del cortisolo è determinata da stress cronico che è caratterizzato da cortisolemia a digiuno normale ed eccessiva risposta agli stressor determinando comunque una secrezione complessivamente maggiore del normale, iperalimentazione secondaria a iperattivazione dei centri ipotalamici della fame,  desensibilizzazione progressiva alla leptina e ad eventuali comorbilità psichiatriche (depressione maggiore, sindromi ansiose, bulimia nervosa, binge eating disorder, night eating disorder…).

Sì può dire quindi, che nel complesso l’aumentata esposizione cronica o episodica cumulativa al cortisolo determina un iper-responsività degli adipociti allo stato nutrizionale, ovvero aumentato turnover lipidico (lipolisi+liposintesi), aumentata lipolisi indotta da catecolammine, GH e al contempo maggior attività lipogenica in risposta all’alimentazione.

Gli effetti metabolici a lungo termine di questa condizione (stress cronico, sindrome metabolica o più grave, sindrome o malattia di Cushing) che si autoalimenta sono deleteri per la salute:

  • La progressiva desensibilizzazione dell’adipocita all’insulina e aumentata sensibilità alle catecolammine che determina livelli basali più elevati di acidi grassi liberi con conseguente dislipidemia (aumento sintesi epatica di VLDL e LDL)
  • Aumento dell’infiammazione di basso grado ad opera di citochine infiammatorie (IL-2/6 e TNF-alfa) secrete dai linfociti infiltrati nel tessuto
  • Alterazione psicologiche e del tono dell’umore, dovute a squilibri nei neurotrasmettitori con aumentata sensbilità agli eventi negativi
  • Ridotto rimodellamento muscolo-scheletrico, progressiva perdita di massa ossea e aumento della proteolisi basale nel muscolo (MPB), riduzione della quantità e qualità del collagene tendineo/legamentoso (rischio sarcopenia, fratture ossee, lesioni muscolo-tendinee)
  • Resistenza ipotalamica e periferica a Leptina e Insulina, con conseguente sregolamento dei circuiti oressigeni-anoressigeni a favore dei primi, perifericamente oltre alla ridotta risposta dell’utilizzo del glucosio (ridotta esocitosi GLUT-4 e attività enzimi glicolitici) abbiamo riduzione delle attività delle deiodinasi indotta dagli FFA, con ridotta conversione di T4 in T3. In aggiunta, effetti genomici del cortisolo determinano una ridotta espressione degli mRNA per le UCP, le proteine disaccoppianti target degli ormoni tiroidei.
  • Aumento delle resistenze vascolari, progressione dell’atero e arterioscelrosi, con aumentati rischi cardiovascolari (eventi ischemici e trombotici) 

Come abbassare il cortisolo?

attività fisica e cortisolo

La cortisolo-fobia, sembra essere diffusa tra i bodybuilders o palestrati amatoriali, e come ogni altro mito, con un fondo di verità. L’incompresione nasce però dal fare un miscuglio tra patologia, fisiologia e realtà pratica dell’allenamento.

La fobia del cortisolo è paradossalmente spesso accompagnata dalla carbo-fobia, cioè si ha sia paura del cortisolo che dei carboidrati, perchè stimolano l’insulina e quindi fanno ingrassare e impediscono l’uso dei grassi durante l’attività fisica (ovviamente non è così).
Infatti è stato dimostrato che in presenza di catecolammine elevate, si bypassa il ciclo di Randle, permettendo un’aumentato uso sia di FFA che di glucosio per sostenere l’intensità dello sforzo.

Pertanto, anche a livello fisiologico si può spiegare la non-inibizione dell’utilizzo dei FFA durante e dopo l’attività fisica, anche supplementata da glucidi e quindi da moderata iperinsulinemia.

D’altra parte abbiamo ancora la questione del cortisolo, che è fisiologicamente stimolato durante l’attività fisica, specie al prolungarsi di essa. Risulta chiaro che la deplezione del glicogeno e del pool di AA muscolari porta ad una maggiore e persistente ipercortisolemia, che se non compensata con una supplementazione glucidica peri-workout porta a maggior proteolisi durante l’allenamento e maggior immunosoppressione dopo l’allenamento. Da cui, l’efficacia in nutrizione sportiva dei carboidrati peri-allenamento.

Nel caso dell’allenamento con i pesi è probabilmente una questione davvero sopravvalutata, la maggior parte delle persone (specialmente al di fuori dell’agonismo “supplementato”) non è in grado di produrre danni enormi al muscolo per periodi di tempo prolungati (>1 ora), oltretutto non consecutivi.
Tuttavia sono stati fatti studi interessanti che dimostrano l’utilità della supplementazione glucidica (e amminoacidica, se vogliamo mettere la ciliegina sulla torta) anche nell’allenamento con i pesi, risultando in un miglior bilancio azotato post-allenamento, dato da una ridotta proteolisi e una simile sintesi proteica (riduzione del cortisolo).

Dal punto di vista psicologico è possibile agire in modo davvero significativo e senza effetti collaterali:
si è visto possibile ridurre lo stress cronico e la cortisolemia con dei protocolli di psicoterapia e meditazione, come dimostrato da diversi studi randomizzati.

I benefici sono dati dal fatto che si agisce a monte della produzione di cortisolo, ovvero riducendo l’eccessiva risposta psico-biologica di un evento stressante attraverso la meditazione, la terapia cognitivo-comprotamentale (CBT) e specifici protocolli integrati di psicoterapia e mindfulness (MBSR protocol).

Non dimentichiamo che il cortisolo è un risultato di interazioni neuroendocrine, che diventano deleterie quando si è cronicamente stressati, ed eliminare il cortisolo senza eliminare gli eventi stressanti che lo aumentano non è garanzia di risoluzione dei problemi causati dal suo eccesso, queste terapie sono infatti molto efficaci perchè vanno a risolvere il problema alla radice, e la riduzione del cortisolo è la conferma di questo rimodellamento psiconeuroendocrino.

L’aspetto psicologico è spesso poco considerato in ambito fitness o composizione corporea e cortisolo, si va spesso a ricercare l’integratore magico che promette di ridurre il cortisolo con l’illusione di poter avere chissà quale effetto, nonostante i pochi che hanno un’influenza in questo caso non hanno dimostrato modifiche nella composizione corporea… 

Conslusioni 

Il cortisolo è un ormone con una reputazione generalmente negativa, quando in realtà è solo il risultato di una complessità di fenomeni psicofisici che possono essere positivi o negativi. Come molte altre cose, il suo eccesso o carenza è dannoso, talvolta letale, è necessario quindi far sì che rimanga in equilibrio per garantire la salute psico-fisica.

Riassumendo:

  • Viene secreto in seguito a stress psicofisici di ogni genere (restrzione calorica, glucidica, traumi, infezioni…)
  • La sua presenza è vitale per mantenere la glicemia, è infatti un ormone iperglicemizzante
  • Ha effetti anti-infiammatori, antiproliferativi, catabolici su tessuti e macronutrienti, in particolari condizioni anaboliche (con insulina)
  • Il suo eccesso ha ripercussioni sulla salute cardiovascolare, metabolica e psicologica
  • Anche chiamato l’ormone dello stress non a caso
  • La depressione, l’ansia, lo stress cronico sono caratterizzati da livelli più alti di cortisolo, che può essere ridotto con una adeguata terapia 

Bibliografia essenziale: 

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  • Greenspan’s endocrinologia generale e clinica, Gardner & Shoback, Piccin 2009
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Aminoacidi Ramificati (BCAA): benefici ed effetti

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aminoacidi ramificati

Gli aminoacidi ramificati (BCAA, da branched-chain amino acids) sono forse ancora oggi tra i supplementi più popolari nel fitness e nell’attività fisica in generale. Ma questo è probabilmente anche il caso più emblematico in cui esiste una larga discrepanza tra la popolarità di un supplemento e la sua inefficacia.

I BCAA sono 3 aminoacidi essenziali: leucina, isoleucina, valina sono famosi in campo sportivo perché da soli compongono il 40% degli aminoacidi di un muscolo e perchè bypassano il fegato venendo metabolizzati direttamente dalle fibre muscolari.

In questo articolo  vedremo di approfondire gli eventuali effetti, se e a cosa servono, come e quando funzionano, per concludere con le linee guida su come utilizzarli in maniera intelligente, nel caso si scelga di assumerli.

BCAA inversione di rotta

Gli aminoacidi ramificati (BCAA) godono di una grande popolarità da almeno un paio di decenni, ma in anni recenti, nella ricerca e tra molti esperti di nutrizione sportiva,  ha avuto luogo un’inversione di rotta (1,2,3,4).

Ad oggi i BCAA non sono riconosciuti come un supplemento particolarmente utile o importante per l’attività sportiva, che questa sia finalizzata alla crescita muscolare, alla perdita di grasso o alla performance (1,2,3,4); alcuni importanti ricercatori li hanno addirittura giudicati controproducenti per l’anabolismo (3).

Ma è comprensibile che questo aggiornamento tecnico tardi ad arrivare alle persone e a molti operatori, in buona parte perché influenzati dalle credenze popolari fortemente radicate dei tempi passati, in parte perché non tutti stanno al passo con i continui aggiornamenti della ricerca e le più recenti evoluzioni del settore.
Questo senza considerare l’opposizione di chi, in una posizione di conflitto di interessi, comprensibilmente ignora questo cambio di direzioni per poter continuare a promuoverne la vendita.

Presunti benefici degli aminoacidi ramificati

Per come venivano riconosciuti in passato secondo le opinioni più comuni, i BCAA sembravano risultare tra i migliori e più efficaci supplementi per l’attività fisica. I benefici attribuiti andavano dalla crescita muscolare, al dimagrimento, al miglioramento di vari tipi di performance, al recupero fisico, al migliore focus mentale.

Ad oggi, quantomeno la maggior parte di questi benefici sono stati fortemente messi in discussione tra scienziati ed esperti, e se proprio bisognasse riconoscere un possibile e potenziale effetto positivo, questo risulta limitato a situazioni particolari che in genere non riguardano chi si allena in palestra, soprattutto con un piano alimentare mirato (vedi pazienti ricoverati o anziani).

aminoacidi ramificati e BCAA

Effetto anabolico dei BCAA

Uno dei tipici benefici attribuiti ai BCAA è quello di agente anabolico, ovvero che dovrebbe favorire una maggiore crescita muscolare. In realtà, i BCAA isolati dimostrano di per sé al massimo deboli capacità di stimolare la sintesi proteica muscolare (MPS) post-ingestione rispetto alle proteine con una pari quantità di BCAA (2), e non risulta un chiaro effetto a lungo termine sulla crescita o il mantenimento muscolare in associazione all’allenamento con i pesi (5,6).

Cosa più importante, assumere una quantità di proteine ottimale per gli sportivi già apporta molti BCAA contenuti nel cibo, e dato che spesso chi si allena in palestra assume giornalmente ben più proteine di quelle che sarebbero necessarie (>2.2 g/kg), l’apporto di BCAA con il cibo eccede i livelli minimi per ottimizzare l’anabolismo che si otterrebbero con un apporto proteico di almeno 1.6 g/kg (1,7).

Effetto anti-catabolico dei BCAA

Se dal punto di vista dell’anabolismo i BCAA non risultano chiaramente utili, spesso vengono proposti come supplemento anti-catabolico durante l’esercizio. In primo luogo, l’effetto anti-catabolico è stato messo in discussione da alcuni scienziati (4), anche se alcuni studi hanno raccolto degli indizi a supporto di questa idea (8,9).

Ad ogni modo l’esercizio fisico non espone a catabolismo muscolare nel contesto della normale alimentazione. L’eventuale processo di catabolismo muscolare viene enfatizzato nell’esercizio a digiuno, ma questo non è un indicatore della perdita di massa muscolare (10,11). Il fatto che in un momento della giornata (come nel digiuno notturno o negli allenamenti a digiuno) si verifichi un leggero catabolismo muscolare, non è indice di una perdita di massa muscolare (10,11).

Cosa più importante, ingerire cibo ha di per sé un effetto anti-catabolico (12), quindi anche se i BCAA agissero in tal senso, l’effetto verrebbe sopraffatto dal cibo ingerito.

Effetti sul recupero

Tra i vari proposti benefici, i BCAA favorirebbero il recupero accelerando il ripristino di vari parametri come l’indolenzimento muscolare (DOMS), il danno muscolare, la performance e la funzionalità muscolare temporaneamente deteriorate dagli allenamenti estenuanti o dai nuovi stimoli di allenamento (13,14,15).

Per quanto sia stato stabilito un effetto benefico per alcuni aspetti del recupero, anche in questo caso lo si osserva in condizioni in cui l’apporto proteico risulta subottimale per lo sportivo, o in cui i BCAA assunti a ridosso dell’allenamento vengono paragonati a un placebo (zucchero). Alcuni ricercatori infatti sottolineano che i BCAA potrebbero agire positivamente sul recupero se l’apporto proteico è al di sotto di 1.6 g/kg di proteine (16), cioè inferiore alle soglie minime ottimali per chi si allena con i pesi (1,7).

Effetti ergogenici

Uno dei più citati effetti dei BCAA è il ruolo ergogenico, cioè di miglioramento della performance sportiva. L’ipotesi originale verteva sul ritardo della fatica a carico del sistema nervoso centrale: per farla breve, impedendo l’accesso del triptofano al cervello per sintetizzare serotonina, un neurotrasmettitore implicato nell’affaticamento, i BCAA avrebbero limitato o ritardato la fatica a livello centrale.

Ma da molti anni l’ipotesi dei BCAA per la fatica centrale è stata messa in discussione data anche l’assenza di reali prove sperimentali (17,18,19), sollevando dei dubbi sulla sua validità. Inoltre, la fatica centrale risulta molto più influenzata dalla durata che non dall’intensità dell’esercizio (20), e non a caso questi effetti dei BCAA vengono trattati nel contesto dell’endurance prolungata più che dell’allenamento con i pesi (18).

Questo da una parte potrebbe validare l’utilizzo dei BCAA come potenziale ergogenico per l’endurance prolungata, dall’altra pone ulteriori dubbi sull’utilità negli sport con i pesi, per caratteristica intensi e di durata breve o moderata. Ma anche i carboidrati assunti nel pre-allenamento aerobico, in quantità attorno a 1.5 g/kg, sono capaci di ritardare la fatica centrale rispetto a un pasto meno glucidico (0.8 g/kg) con le stesse proteine (21). Quindi rimane discutibile che i BCAA abbiano un effetto unico in tal senso che non può essere ottenuto con il cibo o con i carboidrati.

Effetti brucia grassi

aminoacidi ramificati quando assumerli

Uno dei presunti effetti secondari degli aminoacidi ramificati, spesso promossi nel fitness e nel bodybuilding sarebbe quello di agente “brucia grassi” (fat burner). L’unico studio spesso citato come presunta prova di questo effetto, osservò che chi li assumeva per ben 65 g al giorno perse più grasso rispetto a chi instaurava la stessa restrizione calorica con più proteine ma senza BCAA isolati (22).

Bisogna però considerare le importanti limitazioni dello studio (qui non approfondite), il fatto che i risultati non sono mai stati replicati, e soprattutto che le quantità di BCAA assunti erano comunque irrealistiche e esageratamente elevate (0.9 g/kg/die). Quindi ad oggi non ci sono basi a documentare un effetto “brucia grassi” dei BCAA.

Effetto “energetico”

Una proprietà che viene spesso attribuita ai BCAA nel contesto sportivo è quella di agire come supplemento energetico, un ruolo che potrebbe essere usato per supportare un’ulteriore presunta funzione ergogenica aggiuntiva al ritardo della fatica centrale.

I BCAA risultano un substrato energetico come tutti i nutrienti calorici, e dato che vengono ossidati (impiegati come energia) preferenzialmente dal muscolo scheletrico bypassando la metabolizzazione da parte del fegato (18,19) (come accade invece per gli altri amminoacidi), questo dettaglio decontestualizzato potrebbe essere messo in risalto per poterne valorizzare il ruolo energetico per il muscolo sotto sforzo.

Rimane però discutibile che i BCAA siano più efficienti dei carboidrati per apportare energia sotto sforzo, dato che anche questi ultimi vengono prontamente e prioritariamente ossidati dal muscolo contribuendo ad apportare energia immediata (23,24), sopprimendo inoltre l’eventuale ossidazione dei BCAA muscolari (25).
Inoltre a parità di litro d’ossigeno consumato il glucosio produce 5,36kcal mentre i BCAA soltanto 3,33kcal. Sono quindi una fonte di carburante molto meno efficace. 

Per concludere, l’esercizio fisico richiede energia, e se il cibo scarseggia il corpo sarà portato a ricavarla da substrati depositati nel corpo, tra cui in minima parte dai BCAA muscolari; mentre in caso contrario la ricaverà da ciò che viene introdotto dall’esterno, che essi siano carboidrati o BCAA isolati.

BCAA arricchiti di leucina

I normali BCAA presentano un rapporto 2:1:1, cioè la leucina è presente in quantità maggiore del doppio rispetto a isoleucina e valina, o in altri termini il 50% della quantità totale è rappresentato dalla leucina. Dato che quest’ultimo è il principale, e secondo alcuni l’unico aminoacido importante tra i tre per promuovere la sovraregolazione delle vie anaboliche, in anni più recenti sono state presentate sul mercato anche le cosiddette formule “arricchite di leucina” (“leucine enriched”) con proporzioni differenti, come i BCAA 4:1:1, 8:1:1, addirittura si arriva fino alle 20:1:1.

Ma la proposta delle formule “leucine enriched” sembra motivata da scopi puramente commerciali e non risulta avere alcuna reale base scientifica. Recentemente è stato proposto che isoleucina e valina potrebbero interferire con l’assorbimento intestinale di leucina, l’unico tra i tre utile per potenziare la sintesi proteica (MPS), nel caso sia associata a una porzione proteica in quantità non-ottimali (<20 g) (2,3).

Ciò significa che se lo scopo è utilizzare questi aminoacidi per potenziare la MPS, ha più senso usare la leucina isolata, sia per il costo minore rispetto alle sopravvalutate formule arricchite, sia perché si è dimostrata più efficace dei tre BCAA assieme per questi scopi.

aminoacidi ramificati effetti collaterali

Aminoacidi ramificati: dosi e quando assumerli

Performance: se gli scopi di assunzione sono quelli di ottenere un effetto ergogenico dei limitati casi in cui possono avere un razionale, i BCAA andrebbero assunti nel pre- e/o nell’intra-workout per una quantità complessiva di 100 mg/kg (7.5 g per un uomo di 75 kg o 5 g per una donna di 50 kg).
L’assunzione, anche superiore a quella indicata, potrebbe essere sensata negli allenamenti di endurance a digiuno molto prolungati o in scarsità di carboidrati (modalità “training low”).

Recupero: se gli scopi sono mirati a favorire il recupero, i BCAA andrebbero assunti soprattutto nelle ore post-workout per una quantità complessiva di 200 mg/kg (13) (15 g per un uomo di 75 kg o 10 g per una donna di 50 kg).
L’assunzione per questi motivi può essere sensata nel caso si segua una dieta con apporto proteico subottimale per lo sportivo, in particolare se al di sotto dei 1.6 g/kg/die (16).

Sintesi proteica muscolare (MPS): per massimizzare la MPS i BCAA dovrebbero essere associati ad una quantità di proteine alimentari perché da soli non sono sufficienti per consentire il corretto svolgimento del processo, data la necessità di tutti i 9 aminoacidi essenziali (4). Curiosamente i BCAA riescono a stimolare la MPS anche isolati, ma questo incremento è dimezzato rispetto a una quantità di proteine complete con lo stesso contenuto di BCAA (25 g di whey protein) (2). Inoltre, la leucina isolata per 2.25 g dimostra di potenziare la MPS in risposta a una porzione scarsa di proteine più dei BCAA (2), e sarebbe quindi da preferire per questi scopi.

Riferimenti:

  1. Jäger R et al. International Society of Sports Nutrition Position Stand: protein and exercise. J Int Soc Sports Nutr. 2017 Jun 20;14:20.
  2. Kerksick CM et al. ISSN exercise & sports nutrition review update: research & recommendations. J Int Soc Sports Nutr. 2018 Aug 1;15(1):38.
  3. Wolfe RR. Branched-chain amino acids and muscle protein synthesis in humans: myth or reality? J Int Soc Sports Nutr. 2017 Aug 22;14:30.
  4. Tipton KD. Branched-chain amino acid supplementation to support muscle anabolism following exercise. Sports Sci Exch. 2017 Sep;
  5. Spillane M et al. The effects of 8 weeks of heavy resistance training and branched-chain amino acid supplementation on body composition and muscle performance. Nutr Health. 2012 Oct;21(4):263-73.
  6. Dieter BP et al. The data do not seem to support a benefit to BCAA supplementation during periods of caloric restriction. J Int Soc Sports Nutr. 2016 May 11;13:21.
  7. Morton RW et al. A systematic review, meta-analysis and meta-regression of the effect of protein supplementation on resistance training-induced gains in muscle mass and strength in healthy adults. Br J Sports Med. 2018 Mar;52(6):376-384.
  8. Tang FC. Influence of branched-chain amino acid supplementation on urinary protein metabolite concentrations after swimming. J Am Coll Nutr. 2006 Jun;25(3):188-94.  
  9. MacLean DA et al. Branched-chain amino acids augment ammonia metabolism while attenuating protein breakdown during exercise. Am J Physiol. 1994 Dec;267(6 Pt 1):E1010-22.
  10. Helms ER et al. Evidence-based recommendations for natural bodybuilding contest preparation: nutrition and supplementation. J Int Soc Sports Nutr. 2014 May 12;11:20.
  11. Schoenfeld BJ et al. Body composition changes associated with fasted versus non-fasted aerobic exercise. J Int Soc Sports Nutr. 2014 Nov 18;11(1):54.
  12. McGlory C et al. The impact of exercise and nutrition in the regulation of skeletal muscle mass. J Physiol. 2019 Mar;597(5):1251-1258.
  13. Fouré A, Bendahan D. Is branched-chain amino acids supplementation an efficient nutritional strategy to alleviate skeletal muscle damage? A systematic review. Nutrients. 2017 Oct; 9(10): 1047.
  14. Rahimi MH et al. Branched-chain amino acid supplementation and exercise-induced muscle damage in exercise recovery: A meta-analysis of randomized clinical trials. Nutrition. 2017 Oct;42:30-36.
  15. Fedewa MV et al. Effect of branched-chain amino acid supplementation on muscle soreness following exercise: A meta-analysis. Int J Vitam Nutr Res. 2019 Apr 2:1-9.
  16. VanDusseldorp TA et al. Effect of branched-chain amino acid supplementation on recovery following acute eccentric exercise. Nutrients. 2018 Oct 1;10(10).
  17. Williams M. Dietary supplements and sports performance: amino acids. J Int Soc Sports Nutr. 2005 Dec 9;2:63-7.
  18. Meeusen R, Watson P. Amino acids and the brain: do they play a role in “central fatigue”? Int J Sport Nutr Exerc Metab. 2007 Aug;17 Suppl:S37-46.
  19. Blomstrand E. Branched chain amino acids. In: Burke LM et al. BJSM reviews: A-Z of nutritional supplements: dietary supplements, sports nutrition foods and ergogenic aids for health and performance Part 4. Br J Sports Med. 2009 Dec;43(14):1088-90.
  20. Thomas K et al. Central and peripheral fatigue in male cyclists after 4-, 20-, and 40-km time trials. Med Sci Sports Exerc. 2015 Mar;47(3):537-46.
  21. Khong TK et al. The effect of quantity and quality of pre-exercise carbohydrate meals on central fatigue. J Appl Physiol (1985). 2018 Oct 1;125(4):1021-1029.
  22. Mourier A et al. Combined effects of caloric restriction and branched-chain amino acid supplementation on body composition and exercise performance in elite wrestlers. Int J Sports Med. 1997 Jan;18(1):47-55.
  23. Naderi A et al. Timing, optimal dose and intake duration of dietary supplements with evidence-based use in sports nutrition. J Exerc Nutrition Biochem. 2016 Dec; 20(4): 1–12.
  24. Jeukendrup AE. Nutrition for endurance sports: marathon, triathlon, and road cycling. J Sports Sci. 2011;29 Suppl 1:S91-9.
  25. Colombani PC et al. Metabolic effects of a protein-supplemented carbohydrate drink in marathon runners. Int J Sport Nutr. 1999 Jun;9(2):181-201.

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Allenamento calistenico: programma e benefici

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calisthenics

L’allenamento a corpo libero è sempre stato utilizzato per migliorare e mantenere in salute il proprio corpo. La parola calistenia (calisthenics tra gli appassionati) è l’insieme di due parole greche: calòs (bello) e sthènos (forza). Assieme racchiudono l’idea di un allenamento a corpo libero mirato anche ai fini estetici ed al bello.

Oggi nel Calisthenics abbiamo diverse correnti di pensiero:

  1. chi si allena principalmente con i classici esercizi a corpo libero (trazioni, dip, muscle up, ecc) mirando a diventare più forte e resistente
  2. chi si allena sulle skills isometriche (front lever, planche , back lever, etc)
  3. chi un mix dei due
  4. chi ha preso la strada dell’agilità e della spettacolarità andando verso uno street workout acrobatico.

Benefici allenamento calisthenico

allenamento calistenico

I benefici di un allenamento calistenico sono diversi e vanno da una miglior composizione corporea: più muscolo e meno grasso, ad una maggiore forza e resistenza muscolare, per finire con una maggiore flessibilità e destrezza. Insomma il calisthenic è un allenamento completo forse con l’unico limite di non allenare, con la stessa efficacia di uno squat e stacco da terra, le gambe e la catena cinetica posteriore.
In ogni caso se avete un’ernia o problemi a caricare la schiena potrebbe essere lo sport che fa per voi. Oggi la calistenia è praticata sia da ragazzi di 13-14 anni, sia da over 50.

Programma allenamento calistenico

È sempre difficile programmare un allenamento nel calisthenics, questo perchè, come abbiamo visto sopra, gli scopi ed obiettivi possono essere diversi. Qui daremo dei semplici consigli che potete applicare ai vostri allenamenti per migliorare negli esercizi che decidete di portare avanti.

  1. Scegliete 2-4 esercizi principali su cui migliorare (un principiante dovrebbe mirare a migliorare nelle trazioni, dip alle parallele, piegamenti, body row)
  2. Allenatevi almeno 3 volte a settimana (3 sessioni sono un’ottima frequenza per migliorare, tranne che se siete avanzati)
  3. Ripetete gli esercizi principali almeno 2 volte a settimana (volendo anche 3)
  4. Impostate un allenamento su tante ripetizioni
  5. Un allenamento su recuperi brevi (circuito)
  6. Un allenamento sulla forza

benefici calistenia

Vediamo di fare un esempio di scheda per la calistenia per una persona principiante ma con almeno 10-12 trazioni e dip (adattate le ripetizioni della scheda al vostro livello) e che vuole migliorare la forza e la massa muscolare negli esercizi base (no skills isometriche).
A fine allenamento potete fare degli esercizi per gli addominali come il plank.

Lunedì:

Trazioni: 10×5 rec1′ (allenamento voluminoso sono 50 trazioni)
Dip:
5×8 rec1’30
Body row: 10-8-6-9-7-5-8-6-4 rec 1’30
Piegamenti: (versione sedere alzato e gambe su un appoggio per allenare le spalle) 5×10 rec1′
Affondi: no stop 6′

Mercoledì:

Trazioni alternate ai dip: 7-6-5-4-3-2-1-2-3-4 ripetizioni in meno tempo possibile
Body row: 5×10
Piegamenti braccia strette: 5×8
Jump squat: 10×20″ rec10″

Venerdì:

Trazioni al petto: 10×1 rec1′ (cerchiamo di salire più in alto possibile)
Piegamenti con i piedi su un rialzo cercando di stare più verticali possibili: 6×2
Trazioni con asciugamano: 5×3 (per lato) rec1’30
Dip: 1xmax 4 serie col 50% del massimale che abbiamo fatto rec2′
Body row alternati ai piegamenti: 10′ di lavoro, 8 ripetizioni per esercizio, cerchiamo di macinare più serie possibili
Pistol: (se non abbiamo problemi di mobilità o alle ginocchia) 5×6

Programma allenamento calistenico

Ecco un esempio di programma nella calistenia per un principiante/intermedio (qui trovi altri spunti per il calisthenics workout). Starà a adattare gli esercizi o le serie e le ripetizioni.
I consigli generalmente utili sono quelli di alternare esercizi di spinta a quelli di tirata, in modo da recupera tra un esercizio e l’altro, inoltre è bene diversificare gli stimoli tra gli allenamenti.
Anche se facciamo gli stessi esercizi o varianti simili (esempio trazioni prone, supine, presa larga o stretta) è bene alternare gli stimoli tra serie con tante ripetizioni, allenamenti con tanto volume, varianti per la forza, serie con recuperi brevi.

In questo modo possiamo dare un insieme di stimoli completi che portino il nostro allenamento calistenico a farci diventare più forti, resistenti e muscolosi!

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Muscoli ischiocrurali: anatomia, esercizi e stretching

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ischio

Gli ischiocrurali sono un gruppo di muscoli che occupano interamente la parte posteriore della coscia. Ne fanno parte il muscolo bicipite femorale, il muscolo semitendinoso e il muscolo semimembranoso. Tutti e tre questi muscoli della coscia posteriore sono determinanti nel garantire la normale funzionalità di molti movimenti complessi come la camminata e la corsa.

Conosciamo meglio questi muscoli approfondendone le caratteristiche anatomiche per poi analizzare i principali esercizi di rinforzo e di allungamento.

ischiocrurali

Muscoli ischiocrurali: anatomia e funzioni

Il muscoli ischiocrurali si chiamano così perché originano tutti dall’ischio del bacino e si inseriscono in punti differenti sulla gamba (crurali).
Nella fattispecie, i muscoli semitendinoso e semimembranoso originano dalla tuberosità ischiatica sul bacino e, occupando la parte postero-mediale della coscia, si inseriscono a livello della tibia medialmente. Il muscolo bicipite femorale è invece composto da due capi aventi origine in punti differenti: il capo lungo origina anch’esso sulla tuberosità ischiatica, mentre il capo breve origina dalla linea aspra del femore.

Entrambi i capi poi si riuniscono per andarsi ad inserire con un tendine comune a livello della testa del perone lateralmente.

Muscoli ischiocrurali Anatomia e funzioni
Origine Tuberosità ischiatica (capo lungo del bicipite, semitendinoso e semimembranoso) e linea aspra del femore (capo breve del bicipite)
Inserzione Testa del perone (bicipite femorale), lato mediale della tibia (semitendinoso e semimembranoso)
Azione Insieme estendono l’anca, retrovertono il bacino e flettono il ginocchio. Il bicipite femorale ruota il ginocchio all’esterno, semitendinoso e semimembranoso ruotano il ginocchio all’interno.

In virtù dei loro punti di origine e inserzione anatomica, i muscoli ischiocrurali influenzano i movimenti di due articolazioni distinte: l’anca e il ginocchio (eccetto il capo breve del bicipite femorale che invece muove solo il ginocchio).

In particolare sono muscoli che estendono l’anca, portando la coscia indietro, e che flettono il ginocchio, avvicinando la tibia al femore. Inoltre concorrono anche a retrovertere il bacino appiattendo la zona lombare e a ruotare il ginocchio quando è flesso (il bicipite femorale ruota all’esterno portando il piede in fuori, semitendinoso e semimembranoso all’interno portando il piede in dentro). Queste caratteristiche gli permettono di avere un ruolo determinante in gesti motori complessi come per esempio la corsa.

Vista la loro importanza funzionale, un mix ottimale tra forza e lunghezza di questi muscoli è fondamentale in moltissimi sport come per esempio il calcio e l’atletica. Non di rado, infatti, gli ischiocrurali (e in particolare il bicipite femorale) vanno incontro a infortuni come lo stiramento anche per via di una loro scarsa performance e di una loro rigidità. Partendo dall’anatomia appena descritta analizziamo gli esercizi di stretching e di rinforzo per questi muscoli.

Stretching ischiocrurali

I muscoli posteriori della coscia sono spesso protagonisti di rigidità, specie se non stimolati adeguatamente all’allungamento. La loro scarsa flessibilità è tipica delle persone sedentarie ma può anche colpire gli sportivi, alzando il rischio di lesione muscolare. Infatti gli ischiocrurali devono allungarsi e stabilizzare durante la corsa, assecondando l’estensione del ginocchio impressa dal quadricipite. Se non sono sufficientemente flessibili e forti possono facilmente andare incontro a uno stiramento.

Inoltre, la lunghezza ottimale degli ischiocrurali è caratteristica fondamentale di sport come le arti marziali, l’atletica e la ginnastica e di attività come lo yoga e la danza. Per tali ragioni e per mantenere la fisiologica mobilità articolare dell’anca, un programma di stretching per gli ischiocrurali è consigliato.

Lo stretching per gli ischiocrurali si esegue principalmente portando l’anca in flessione con il ginocchio esteso e mantenendo la posizione raggiunta passivamente assecondando il guadagno dei gradi articolari, senza evocare dolore ma provocando una giusta tensione posteriore al ginocchio.

Un errore comune è quello di flettere anche la colonna e spingersi a cercare di toccare la punta dei piedi. Il consiglio è quello di mantenere la zona lombare in posizione neutra durante lo stretching, mantenendo il busto eretto ed evitando di incurvarsi. Questo aumenterà l’efficacia dell’allungamento poiché gli ischiocrurali sono attaccati anche sul bacino. Se teniamo ferma la lombare fisseremo il bacino e miglioreremo lo stimolo in allungamento su questi muscoli.

Esercizi efficaci famosi che rispettano questi principi sono eseguibili in piedi, seduti o sdraiati (anche con l’aiuto di un asciugamano in caso di forte rigidità).

Esercizi ischiocrurali

Gli ischiocrurali necessitano anche di una forza e di una resistenza ottimale per prevenire gli infortuni. Sono spesso anche obiettivo estetico in palestra e nel bodybuilding per dare forma alla parte posteriore della coscia. Gli ischiocrurali sono attivi in moltissimi esercizi sia come muscoli che estendono l’anca, sia come muscoli che flettono il ginocchio.

Squat, stacco, affondi, step-up attivano gli ischiocrurali all’interno di un movimento complesso nel quale agiscono come estensori dell’anca e come stabilizzatori del ginocchio. Hyperextension e stacchi gambe tese attivano gli ischiocrurali insieme al grande gluteo come estensori d’anca senza muovere il ginocchio. Questa caratteristica li rende esercizi non adatti ai soggetti molto rigidi.

esercizi ischiocrurali

Infine, esercizi come il macchinario Leg Curl attivano gli ischiocrurali come flessori del ginocchio, mantenendo ferma l’anca. Ne esistono di tre tipi, con una versione in piedi, una seduta e una sdraiata.

Da un punto di vista estetico per sviluppare al meglio questi muscoli è consigliabile allenarli in diversi modi, alternando gli esercizi qui esposti, fornendo stimoli sempre differenti e migliorando con i carichi e con il volume di allenamento in maniera progressiva. Da un punto di vista atletico, l’esercizio Nordic Hamstring è riportato da molti studi come uno strumento utile a prevenire gli stiramenti di questi muscoli.

In generale un equilibrio ottimale tra forza e lunghezza dei muscoli ischiocrurali è una condizione da ricercare attraverso un allenamento mirato e uno stile di vita attivo.

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French Press manubrio e bilanciere

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French press

La French Press è senza dubbio uno degli esercizi per i tricipiti più famoso per la stimolazione di questo muscolo. È un esercizio all’apparenza semplice che può essere eseguito anche a casa. Le varianti possibili prevedono l’utilizzo della french presso coi manubri o di un bilanciere come sovraccarico. Analizziamo nel dettaglio tutte le sfumature di questo celebre esercizio, focalizzandoci sugli errori da non fare e chiarendo i tanti dubbi che gli gravitano intorno.

French Press: la corretta esecuzione

L’esercizio è monoarticolare e prevede un’estensione di gomito con manubri o bilanciere supini su una panca piana. Iniziate ogni ripetizione con l’omero perpendicolare al terreno (spalla flessa a 90°) e il gomito flesso a 110° circa, un buon compromesso per dare all’esercizio un’escursione di movimento ragionevole, evitando di arrivare a fine corsa e far perdere tensione al muscolo. Terminate la ripetizione con i gomiti completamente estesi. Variare l’inclinazione della panca cambierà indirettamente il gradi di flessione di spalla in partenza: ciò aumenterà l’allungamento iniziale del tricipite il quale, sempre secondo il diagramma tensione-lunghezza, sarà sfavorito nell’espressione di forza rispetto all’esecuzione su panca piana. Più inclinate la panca, meno forza sarete in grado di esprimere e meno solleverete.

french press manubrio

French Press manubri o french press bilanciere

Cosa cambia tra manubri e bilanciere? L’esecuzione con manubri permette i movimenti di prono-supinazione dell’avambraccio. È consigliato quindi passare dalla posizione intermedia alla pronazione durante l’estensione del gomito. È comunque importante sottolineare che il movimento di pronazione associato è assolutamente ininfluente dal punto di vista dello stimolo ipertrofico mentre si inserisce in un contesto di maggiore funzionalità articolare. Se si utilizzano i manubri, quindi, meglio rispettare questo principio ben sapendo della sua irrilevanza ai fini dell’attivazione del tricipite.

L’esecuzione col bilanciere non permette i movimenti di prono-supinazione dell’avambraccio. Sicuramente da preferire il bilanciere sagomato per la possibilità di presa semi-pronata che tutela maggiormente il gomito. Sconsigliato il bilanciere diritto il quale favorisce (per ragioni articolari) l’apertura dei gomiti, compenso che cambia il movimento da monoarticolare (estensione di gomito pura) a multiarticolare con l’intervento della spalla (estensione di gomito e adduzione sul piano orizzontale di spalla).

french press bilanciere

Dove porto il bilanciere?

Dove portare il bilanciere? Possono esserci due possibilità, alla fronte o dietro alla fronte. Essenzialmente la differenza in tale senso sta nel gradi di flessione di spalla raggiunti mentre si esegue l’estensione di gomito. “Sbloccare” i gomiti muovendo la spalla in flesso-estensione non è sbagliato da un punto di vista anatomo-funzionale se eseguito consapevolmente e con escursione completa (il tricipite col suo capo lungo estende la spalla vista la sua inserzione posteriore scapolare), se invece si utilizza come stratagemma per vincere il peso con l’inerzia è un compenso che va corretto.

In generale, associare l’estensione di spalla all’estensione di gomito, se può avere un senso anatomico, può avere meno senso se l’obiettivo è l’ipertrofia: portare la spalla in flessione in eccentrica infatti rischia di ridurre il tempo sotto tensione muscolare del tricipite e inoltre, sappiamo bene che, nella prima fase di estensione di spalla a partire da massima flessione, sono altri i muscoli maggiormente coinvolti, tra i quali su tutti i fasci sterno-costali del gran pettorale e il gran dorsale (il capo lungo del tricipite, secondo alcuni studi elettromiografici, contribuisce in maniera significativa all’estensione di spalla negli ultimi gradi di movimento, mai raggiunti nella French Press). L’idea principale quindi è di preferire un’esecuzione classica con spalla ferma e al massimo inserire la variante a spalla sbloccata saltuariamente come variazione degli stimoli solo negli avanzati con un buon controllo motorio.

esercizi tricipiti

French Press errori comuni per non stimolare correttamente i tricipiti

Gli omeri vanno mantenuti fermi durante l’esercizio per evitare compensi. Gli errori più comuni sono quelli di “allargare” e portare i gomiti verso il busto (abduzione ed estensione della spalla): entrambi tendono a trasformare l’esercizio da monoarticolare a multiarticolare, coinvolgendo la spalla in un movimento simile alla panca stretta. Per evitare ciò l’indicazione da dare è di portare il bilanciere nella parte alta della fronte e i manubri di fianco alle tempie.

Come già precisato sopra, “sbloccare” i gomiti muovendo la spalla in flesso-estensione non è sbagliato da un punto di vista anatomo-funzionale se eseguito consapevolmente e con escursione completa, se invece si utilizza come stratagemma per vincere il peso con l’inerzia è un compenso che va corretto.

La posizione delle gambe negli esercizi per tricipiti

Come per la Panca Piana anche qui l’esercizio non sovraccarica la schiena, per cui appare inutile flettere le anche e sollevare i piedi mentre si esegue pensando di ridurre i rischi. Al massimo, soggetti con lombalgie e dolore in estensione o iperlordosi sintomatica potrebbero beneficiare di un rialzo, garantito per esempio da uno step, subito sotto i piedi atto a garantire una riduzione dell’antiversione del bacino e dell’estensione lombare. Ad ogni modo anche un’esecuzione sdraiati sul pavimento non comporta contrindicazioni e mantiene inalterata la natura dell’esercizio, rendendolo comodo ed eseguibile anche a casa senza una panca.

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Uva: calorie, proprietà e benefici

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L’uva è il frutto della Vite, un arbusto noto all’uomo sin dal Neolitico ed oggi coltivato in tutti i continenti eccetto, ovviamente, l’Antartide.

Se non diversamente specificato ci riferiamo al frutto, o infruttescenza se vogliamo essere super precisi, della specie Vitis Vinifera, diretta discendente della specie selvatica che, più di 8000 anni fa, venne domesticata nell’area delle attuali Georgia, Armenia e Azerbajian.

Le odierne coltivazioni di viti superano in estensione quelle di mele, arance e banane, tuttavia solo una piccola parte è destinata alla coltivazione dell’uva da tavola, da consumare fresca. Cosa sarà mai a reclamare tanti ettari? Facile, la produzione di vino.

Varietà dell’uva

Uva da tavola e uva da vino sono varietà distinte, selezionate nei secoli appositamente per lo scopo.
La principale differenza riguarda la buccia, importante per l’aroma del vino e quindi più spessa nella varietà destinata alla vinificazione. L’uva da tavola è stata, invece, selezionata per incontrare il più possibile i gusti del consumatore, quindi con buccia sottile e pochi semi.

Sebbene la maggior parte dell’uva coltivata, sia da tavola che da vino, provenga dalla suddetta specie Vitis Vinifera, anche chiamata “europea”, vengono coltivate anche specie differenti, specialmente fuori dai confini Europei. Dal Nord America proviene, ad esempio, l’uva fragola (presente il fragolino?) appartenente alla specie Vitis Labrusca.

In totale, sono note almeno 10000 diverse varietà di viti, frutto delle “modifiche genetiche” operate dall’uomo nell’arco dei secoli. Per semplificare possiamo distinguerle, in base al colore, in chiare e scure.

Dal punto di vista dei macronutrienti, tuttavia, le differenze sono trascurabili.

Calorie uva da tavola

uva calorie

UVA 100g
Energia (Kcal) 69
Carboidrati (g) 18,1
Zuccheri (g) 15,5
Proteine (g) 0,7
Grassi (g) 0,2
Fibre (g) 0,9
Ferro (mg) 0,4
Calcio (mg) 10
Sodio (mg) 2
Potassio (mg) 191
Fosforo (mg) 20
Magnesio (mg) 7
Vitamina A (IU) 66
Vitamina D (IU) 0
Vitamina E, α – tocoferolo (mg) 0,2
Vitamina K (µg) 14,6
Vitamina B1 (mg) 0,07
Vitamina B2 (mg) 0,07
Vitamina B3 (mg) 0,2
Folati (µg) 2
Vitamina C (mg) 3,2
Vitamina B12 (µg) 0

Eh sì, 69 calorie per 100 grammi. Ricordo, a tirocinio, la filastrocca alla consegna delle diete dimagranti: “…e veniamo alla frutta, due porzioni al giorno, quando preferisce, scegliendo il frutto che le piace di più ad eccezione di banane, cachi, fichi ed UVA…”

La “vecchia scuola”, scommettendo sulla non piena aderenza al piano alimentare, optava per l’esclusione a priori di tutti gli alimenti più calorici.

Ma quindi è proprio così? L’uva fa ingrassare? Ma no, tutti gli alimenti dotati di apporto energetico potenzialmente lo sono, è il surplus calorico che, nel cronico, fa ingrassare. È sempre la dieta ad essere ingrassante, non l’alimento singolo. Naturale che, se seguendo una dieta perfettamente isocalorica (mondo immaginario) aggiungessi mezzo chilo di uva al giorno ingrasserei di più che ad aggiungere mezzo chilo di limone, ma ingrasserei ancora di più con mezzo chilo di noci. Eliminiamo anche la frutta secca? E i semi? E l’olio allora? La quantità è sempre determinante.

Per eguagliare le calorie di una mela è sufficiente limitarne l’assunzione a 100 grammi, quindi circa 20 acini.

L’apporto calorico dell’uva è dato prevalentemente dall’apporto zuccherino, equamente suddiviso tra glucosio e fruttosio, mentre quello proteico e lipidico è trascurabile.

Proprietà e benefici dell’uva

 L’uva condivide i principali benefici che caratterizzano tutta la frutta, ossia:

  • Apporta un buon quantitativo di vitamine, in particolare C e K, e minerali, in particolare Rame
  • Apporta un buon quantitativo di fibre alimentari, sia solubili che insolubili
  • Apporta un buon quantitativo di acqua
  • Apporta un buon quantitativo di antiossidanti

Gli effetti “terapeutici” teorizzati per l’uva sono molteplici e spesso sovrapponibili a quelli solitamente attribuiti al vino.

L’utilizzo medicamentoso dell’uva ha radici antiche, inizialmente legate soprattutto al vino e poi estese anche al frutto ed altre parti della pianta. Furono i filosofi dell’antica Grecia i primi ad ipotizzarne un potere curativo e, ancora oggi, trova impiego nella Medicina Tradizionale Indiana.

Oggi cosa sappiamo?
Intanto che l’alimento miracoloso, purtroppo, non esiste.Sappiamo, però, che l’uva è molto ricca di antiossidanti e, tra questi, ne troviamo uno che ha calamitato l’interesse di mezzo mondo grazie al “french paradox”: il resveratrolo.

Uva e resveratrolo

Il paradosso francese è in realtà un malinteso ma il resveratrolo rimane una sostanza interessante.

Dal punto di vista biologico si tratta di una Fitoalessina, una tossina vegetale prodotta dalla pianta in risposta ad infezioni o danneggiamento meccanico; si concentra prevalentemente nella buccia ed il quantitativo nell’uva è quindi estremamente variabile. Chimicamente si tratta, invece, di un composto polifenolico, non flavonoide, rientrante nella categoria degli Stilbeni, tipici della famiglia delle Viti.

I benefici per l’uomo sono molteplici: ben documentate sono le azioni antiossidante ed antiinfiammatoria mentre, in fase di studio, sono i benefici a livello cardiovascolare, l’effetto anti – aging e le proprietà insulino – sensibilizzanti.

N.B. Gli effetti benefici più suggestivi sono stati osservati con dosi elevate di resveratrolo veicolato singolarmente, non mediante uva o vino.

È stato, ad esempio, osservato un lieve incremento del flusso sanguigno celebrale successivamente alla supplementazione di 500mg di resveratrolo. Interessante vero? Si, peccato che un bicchiere di vino o di succo d’uva ne contenga solo 2, di cui ne vengono assorbiti probabilmente meno di metà.
In pratica il resveratrolo è, senza dubbio, un composto interessante, non a caso inserito nell’elenco del Ministero della Salute: “Altri nutrienti e altre sostanze ad effetto nutritivo o fisiologico”, ma non dobbiamo fare l’errore di vederlo come l’elisir di lunga vita.

Uva ed antiocianine

Il resveratrolo non è l’unica fonte di antiossidanti nell’Uva. Senza dimenticare mostri sacri come la Vitamina C, ritroviamo nell’uva molte sostanze di origine fenolica con azione antiossidante, sia a livello della buccia, sito principale, che in polpa e semi, quando quest’ultimi sono presenti.

Quale sostanza è presente ed in quale quantità dipende moltissimo da specie e varietà, dal terreno di coltura e dalle metodiche agricole utilizzate. Le sostanze fenoliche ritrovabili, oltre al resveratrolo, sono molteplici: da quelle flavonoidi (antocianine, catechine e quercetina) agli acidi fenolici (acido caffeico e cumarico), fino ad arrivare a carotenoidi come zeaxantina e luteina.

Le antocianine sono le sostanze fenoliche più rappresentate nell’uva scura e, in quanto pigmenti, ci consente di distinguere tra le varietà in base al colore: più scura è l’uva, maggiore è il contenuto di antocianine. Questa è anche la motivazione per la quale attribuiamo più benefici al vino rosso che al vino bianco.

Piccola curiosità: le varietà chiare discendono in realtà da quelle scure, una mutazione genetica ha disattivato la produzione di antocianine modificandone il colore e diminuendone l’azione antiossidante.

Studi recenti hanno mostrato come la varietà più ricca in assoluto di antiossidanti sia quella purpurea, in pratica “l’uva nera”, ed in particolare la varietà Concord, specie Vitis Labrusca, dove il contenuto di antiossidanti è, inoltre, equamente suddiviso tra buccia e polpa (solitamente la concentrazione è massima nella buccia).

I semi dell’uva

Come avviene per molti frutti quali, ad esempio, anguria e melone, i semi d’uva, non solo sono commestibili (potete continuare ad ingoiarli lo stesso), ma sono anche molto interessanti sotto il profilo nutrizionale, soprattutto per il contenuto in antiossidanti.

Oltre all’olio di vinaccioli, utilizzato sia in cucina che cosmetica, dai semi d’uva è possibile ottenere un estratto particolarmente ricco in procianidine e tannini. Le procianidine sono catene di catechine e, non a caso, gli effetti benefici di tal estratto ricordano quelli riscontrati con le catechine ricavate dal tè verde.

Nello specifico, oltre all’azione antiossidante, sembrerebbe svolgere azione estrogenica e, soprattutto, un effetto vasodilatatorio. A tal proposito, da una metanalisi del 2011 è emersa una lievissima riduzione della pressione sistolica in seguito alla somministrazione del supplemento. Conclusione della metanalisi stessa è, tuttavia, che sono necessari nuovi studi su larga scala per indagare dosaggi e confermarne l’efficacia.

Uva sultanina

uva passa calorie

L’uva sultanina è una varietà di uva consumata comunemente disidratata, anche nota con il nome uva passa. Ad essere precisi l’accostamento è improprio perché, mentre “Sultanina” è proprio il nome della varietà, “uva passa” vale per qualsiasi uva conservata tramite essicamento.

Calorie uva sultanina 

L’operazione di disidratazione ne cambia radicalmente il profilo nutrizionale, concentrando minerali e vitamine termoresistenti ma anche, e soprattutto, zuccheri.

Uva da tavola (100g) Uva sultanina (100g)
Energia (Kcal) 69 299
Carboidrati (g) 18,1 79,2
Zuccheri (g) 15,5 62
Proteine (g) 0,7 3,1
Grassi (g) 0,2 0,5
Fibre (g) 0,9 3,7
Potassio (mg) 191 749
Vitamina C (mg) 3,2 2,3

Come si può notare dalla tabella, rimangono alcuni elementi interessanti come l’alto quantitativo di Potassio ed anche (non mostrato) molte sostanze antiossidanti, tuttavia si tratta di un alimento molto calorico e, soprattutto, poco idratato. La funzione idratante della frutta è spesso sottovalutata ma è fondamentale, specialmente per chi ha difficoltà a raggiungere il fabbisogno idrico giornaliero. 

Per questi motivi si consiglia di preferire il frutto fresco e possibilmente di stagione (da agosto ad ottobre), in particolar modo per i sedentari. La frutta disidratata sarebbe invece da considerare come un dessert, seppur nutriente, più che un’alternativa alla frutta fresca.

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Colesterolo: funzioni ed implicazioni

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colesterolo

Il colesterolo è stato isolato per la prima volta dai calcoli biliari nel 1789 durante la rivoluzione francese e da allora è stato ampiamente studiato. Il colesterolo è uno steroide indispensabile per l’organismo in quanto è componente essenziale delle membrane plasmatiche delle cellule, in virtù delle sue proprietà chimico-fisiche che gli permettono di modulare la fluidità della membrana. Inoltre è il precursore di diverse altre molecole ad alta attività biologica, ad esempio gli ormoni steroidei e la vitamina D.

Dunque, il colesterolo è sicuramente una sostanza che appartiene alla classe dei lipidi, ed è una sostanza che può essere sia sintetizzata endogenamente ex novo, sia ottenuta attraverso la dieta, consumando alimenti che naturalmente lo contengono.  Quasi tutti i tessuti hanno la capacità di  sintetizzare de novo  il colesterolo; tuttavia, il fegato produce la maggior parte del colesterolo totale in tutto il corpo.

La sintesi de novo di colesterolo è un processo strettamente regolato in cui diverse proteine ​​hanno un ruolo importante a seconda delle specifiche esigenze. Quindi, quando i livelli di colesterolo intracellulare superano il fabbisogno fisiologico, inibiscono le proteine ​​leganti gli elementi regolatori dello sterolo (SREBPs) nel reticolo endoplasmatico (ER).

Gli SREBP sono sensori dedicati per gli steroli nella cellula, e la loro attivazione promuove la trascrizione dell’HMG-CoA reduttasi (l’enzima limitante della sintesi del colesterolo) e attiva in concomitanza la via del mevalonato (MVA) per aumentare la sintesi del colesterolo intracellulare. Il colesterolo è sintetizzato in un processo a 19 fasi, poi diventa disponibile e può essere distribuito o immagazzinato come esteri di colesterolo (CE) in goccioline lipidiche dopo la sua esterificazione.

Funzioni del colesterolo

Come abbiamo precedentemente accennato, il colesterolo è un costituente insostituibile delle membrane cellulari in quanto conferisce a queste strutture delle caratteristiche di importanza vitale, regolando la permeabilità e la fluidità della membrana plasmatica delle cellule. L’altro principale motivo per cui il colesterolo è molto importante è che è il precursore di una moltitudine di sostanze e ormoni (di natura lipidica appunto).

Nel caso degli ormoni, il colesterolo è il precursore di cinque principali classi di ormoni steroidei: progestinici, glucocorticoidi, mineralcorticoidi, androgeni ed estrogeni. Inoltre, anche la vitamina D è una molecola che in realtà deriva dal colesterolo, e ha una notevole importanza nel metabolismo del calcio e del fosforo, e non solo. Infine, il colesterolo è un componente molto importante anche della bile, e ha un ruolo fondamentale nella digestione e nell’assorbimento dei grassi di origine alimentare.

Le complesse funzioni mediate dal colesterolo e il suo ruolo di precursore e il suo coinvolgimento ai percorsi metabolici richiedono una regolazione coordinata di un complesso sistema composto da input e output, per mantenere l’omeostasi del colesterolo. Ciò è di notevole importanza al fine di evitare un eccessivo accumulo dannoso e una deposizione anormale di colesterolo all’interno del corpo.

Il colesterolo fa male?

colesterolo ldl hdl

Chiaramente il colesterolo in sé non fa male, anzi, come abbiamo già più volte detto, questa sostanza è indispensabile per la vita e ha una moltitudine di importanti funzioni. Dobbiamo piuttosto chiederci, però, se un’alterazione del metabolismo lipidico e così anche del metabolismo del colesterolo, può non essere l’ideale e può causare dei danni. La risposta, in questo caso, è affermativa.

È opportuno comprendere bene che in ogni caso non è il colesterolo a far male ma piuttosto quella che chiamiamo placca aterosclerotica o aterosclerosi, che in effetti sembrerebbe essere associata a una serie di fattori. Tra questi fattori di rischio appare anche il colesterolo alto e in particolare il colesterolo LDL(C-LDL). Livelli maggiori di colesterolo HDL(C-HDL), invece, sembrerebbero essere fattori protettivi per le malattie cardiovascolari. Cerchiamo di capirci di più: innanzitutto cosa sono realmente il C-LDL o il C-HDL? E cosa si intende per aterosclerosi?

Bene, il punto fondamentale su cui ragionare è che il colesterolo nel sangue non si trova così com’è, ma viaggia legato a particolari proteine (perché in quanto molecola tendenzialmente idrofobica ha bisogno di essere “trasportata” in un ambiente come quello sanguigno, composto principalmente da acqua) che prendono il nome di lipoproteine. Quelle che più ci interessano in questa sede sono le lipoproteine a densità alta (HDL) e le lipoproteine a densità bassa (LDL).

Quando parliamo, volgarmente, di “colesterolo cattivo”, stiamo parlando delle LDL; quando parliamo di “colesterolo buono” ci riferiamo alle HDL. Dico “volgarmente” perché ovviamente non solo le LDL a essere cattive così come le HDL non sono buone, ma vengono considerate in questi termini per il fatto che le prime, quando trovate in concentrazioni elevate nelle analisi ematiche, rappresentano fattori di rischio cardiovascolare, mentre le seconde, quando sono più elevate, rappresentano un fattore protettivo. In realtà, infatti, anche le LDL hanno un ruolo nella normale fisiologia, e non sono dannose nel contesto di un profilo lipidico equilibrato (se volessimo andare ancora più a fondo – e non è il caso in questa sede – sono piuttosto le LDL ossidate, LDLox a essere realmente dannose).

Dunque, le LDL, avendo densità bassa, viaggiano sempre vicine alle pareti dei vasi sanguigni che stanno attraversando. Pertanto aumenta la probabilità che queste particelle vengano “inglobate” nelle pareti dei vasi sanguigni (endocitosi è il termine tecnico che risulta più corretto), permettendone il restringimento del lume del vaso. Le HDL, con densità più alta “spingono” gli eventuali depositi di LDL.

Ecco perché parliamo di HDL come “colesterolo buono” e per valutare la pericolosità del “colesterolo alto” facciamo riferimento al rapporto HDL/LDL tenendo presente che più è alto HDL meglio è, mentre più è basso HDL e più è alto LDL più la situazione è rischiosa.

L’ultima informazione che dobbiamo imparare è che le LDL trasportano il colesterolo dal fegato ai tessuti (quindi distribuiscono il colesterolo presente in sede epatica), mentre le HDL trasportano il colesterolo dai tessuti al fegato (quindi rimuovono il colesterolo presente nei tessuti).

Lipoproteine a densità alta (HDL) Lipoproteine a densità bassa (LDL)
Queste lipoproteine sbloccano gli eventuali depositi di colesterolo dalle pareti delle arterie ostacolando la formazione delle placche aterosclerotiche. Queste lipoproteine essendo a bassa densità tendono a depositarsi sulle pareti delle arterie favorendo la formazione delle placche aterosclerotiche

Dunque, semplificando, potremmo dire che il colesterolo non fa male, ma è il colesterolo alto, con un disequilibrio tra LDL/HDL ad aumentare il rischio cardiovascolare (in realtà questi marcatori hanno diversi limiti tanto da non essere sempre affidabili per poter parlare di rischio cardiovascolare).

Colesterolo e aterosclerosi

formazione aterosclerosi

L’aterosclerosi è una malattia causata da accumulo di lipidi, soprattutto colesterolo libero o in forma esterificata, a livello della parete interna dei vasi sanguigni. Precedentemente abbiamo appreso che la maggior parte del colesterolo che circola nel sangue per essere trasportato verso i diversi tessuti bersagli si trova inclusa in particelle lipoproteiche, le LDL.

Per raggiungere i tessuti queste particelle lipoproteiche devono attraversare le pareti dei vasi. Le placche ateromatose si formano a causa di un’alterazione del flusso di colesterolo attraverso l’intima (parete elastica interna del vaso sanguigno), provocata a sua volta da uno squilibrio tra afflusso e efflusso delle lipoproteine coinvolte nel trasporto.

I fattori che secondo gli studi più recenti sono responsabili dello squilibro nel flusso di lipoproteine sono fondamentalmente due:

  • la modificazione localizzata delle LDL, soprattutto a causa del danno ossidativo, che porta all’intrappolamento delle LDL stessa da parte dei macrofagi;
  • una rimozione del colesterolo insufficiente da parte delle HDL.

Le LDL ricche di colesterolo raggiungono le cellule extraepatiche attraverso l’endotelio capillare ed entrano nel flusso interstiziale, da dove poi si legano a specifici recettori. Normalmente i capillari linfatici drenano l’eccesso di LDL dal parenchima al sangue, attraverso la circolazione linfatica, quindi di solito le LDL nell’interstizio sono 1/10 di quelle del plasma. Nell’arteria, invece, la situazione è diversa a causa di un innalzamento eccessivo delle LDL nell’intima (strato più interno e sottile dei vasi sanguigni). Questo può succedere perché:

  • Gli scambi con la circolazione linfatica sono assenti.
  • L’interfaccia tra intima e spazio extracellulare è costituita da una barriera (lamina elastica interna) che è impermeabile alle LDL.
  • Sulla parete è presente una densa matrice extracellulare carica negativamente.

A causa di questi fattori le LDL in eccesso che non vengono rimosse e degradate dalle cellule nell’intima e quest’ultima  si lega alla proteina APO-B della particella. Le LDL modificate vengono fagocitate dai macrofagi, che a loro volta si trasformano in cellule ricche di esteri del colesterolo (foam cells= cellule schiumose). Alcune di queste cellule muoiono e gli esteri del colesterolo che esse contengono si fondono con gli accumuli già presenti sulla lamina elastica e contribuiscono all’ispessimento della placca.

Tabella valori colesterolo

Parametri Valori desiderabili Rischio moderato Rischio elevato
Colesterolo <200 200-239 >240
LDL <130 130-159 >160
HDL Uomini > 39
Donne > 45
Uomini 35 – 39
Donne 40 – 45
Uomini < 35
Donne < 40
Trigliceridi < 200 200-400 >400

Questi valori sono indicativi ed andrebbero confrontati con il medico di fiducia e con gli aggiornamenti della comunità scientifica.

Colesterolo nella dieta

valori colesterolo

Sicuramente la dieta rappresenta uno degli aspetti più importanti nel mantenimento di adeguati livelli di colesterolo e lipoproteine (HDL e LDL) o, al contrario, nelle modificazioni dannose del profilo lipidico. Tuttavia, contrariamente a quanto generalmente si pensa, l’assunzione diretta di colesterolo con la dieta non ha, nella maggior parte dei casi, un ruolo chiave in questo contesto.

Infatti, l’assunzione di colesterolo contenuto negli alimenti sembrerebbe essere poco impattante sui livelli di colesterolo ematico. Il motivo principale è che la maggior parte del colesterolo nel corpo è ottenuto dalla sintesi ex novo di colesterolo, che avviene principalmente in sede epatica. La sintesi endogena di colesterolo rappresenta infatti circa il 70-80% del colesterolo totale che troviamo poi in circolo. Va da sé che se vogliamo migliorare il nostro profilo lipidico, per quanto riguarda i livelli di colesterolo, dovremmo maggiormente fossilizzarci su interventi dietetici (e sullo stile di vita) che agiscano sui fattori implicati nella sintesi endogena di colesterolo.

Non a caso, dal 2016 le linee guida nutrizionali americane hanno escluso l’apporto di colesterolo esogeno (ad esempio con il consumo delle uova) come fattore influenzante i parametri ematici di colesterolo, nella maggior parte delle persone (ci sono individui, classificati come “iper-responder”, che effettivamente sono particolarmente sensibili all’assunzione di colesterolo dietetico, e in genere sono anche geneticamente predisposti a livelli più elevati di colesterolo totale e LDL – in questi casi è chiaro che prestare un po’ più attenzione anche al colesterolo direttamente presente negli alimenti può essere un comportamento raccomandabile ed efficace).

A livello generale una dieta per abbassare il colesterolo dovrebbe avere:

  • un quantitativo energetico moderato (dieta ipocalorica)
  • 5 porzioni di frutta e verdura al giorno
  • alimentazione principalmente basata su cereali integrali e legumi
  • preferire il pesce, la carne bianca a quella rossa
  • moderato consumo di alimenti industriali e lavorati
  • moderato consumo di formaggi, grassi saturi, grassi tropicali ed alimenti ricchi di omega 6
  • basso consumo di alimenti ipercalorici e di alcol
  • evitare carni lavorate

Articolo del Dott. Daniele Esposito, autore di Project Diet.

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Bicipiti alla Panca Scott

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Curl panca scott

Regina incontrastata delle routine dei bicipiti di ieri e di oggi, la Panca Scott è un esercizio che prevede una flessione del gomito contro gravità con spalla flessa e gomito in appoggio. Suggestioni a parte, affrontiamo razionalmente alcune importanti questioni che la riguardano, sfatiamo miti e scopriamo se è davvero utile o si può fare di meglio.

La Panca Scott non allena il bicipite “a pezzi”

bicipite panca scott

È pensiero comune in palestra pensare che la Panca Scott abbia la peculiarità di stimolare parti diverse del bicipite (“picco del bicipite”, “parte bassa del bicipite”). In virtù del suo decorso anatomico e del meccanismo fisiologico della contrazione tale credenza è pura fantasia. Il bicipite si contrae lungo tutta la lunghezza delle sue fibrocellule che vanno dalla scapola fino al radio. Impossibile reclutare una parte di esso. Tale credenza nasce come sempre dalla sensazione dovuta allo stiramento della giunzione mio-tendinea ricca di recettori del dolore.

La Panca Scott è un esercizio pericoloso?

gomiti panca scott

Specie se eseguita con bilanciere dritto, la panca Scott, per come è strutturata, può alzare il rischio infortunio al gomito in soggetti predisposti con alti carichi ed elevata frequenza di allenamento. Essa, infatti, visto il blocco a livello dei gomiti, non permette di rispettare i fisiologici movimenti accessori del gomito in flesso-estensione (abduzione e adduzione dell’avambraccio), e inoltre saranno resi impossibili importanti compensi per via dell’appoggio dei gomiti. Oltre ciò, la natura dell’esercizio pone stress a livello del legamento anulare del radio e della membrana interossea, per via della leva creata dal blocco del gomito a livello del capitello radiale. Carichi alti e una frequenza di allenamento elevata possono favorire, alla lunga, spiacevoli dolorini non così rari tra chi la esegue con regolarità.

La Panca Scott è efficace per allenare il bicipite?

varianti panca scott

La Panca Scott, come detto, è un monoarticolare che prevede una flessione di gomito con spalla flessa. La letteratura ci riporta un’attivazione minore del bicipite durante questa combinazione di movimenti (confrontata con Curl su panca inclinata o Curl classico), specie quando il gomito si avvicina ai 90° di flessione (il muscolo si avvicina all’accorciamento massimo perdendo via via forza secondo il diagramma tensione lunghezza; Oliveira, 2009).

Potrebbe avere senso dunque limitarne il ROM evitando eccessive flessioni di gomito. Inoltre, approfondendo la questione, avrebbe ancora più senso sostituirla con l’esercizio spider curl eseguito prono su panca. Questo esercizio, infatti, stimola in egual modo il bicipite con flessioni di gomito a spalla flessa, ma lo fa in un contesto di maggiore sicurezza per la mancanza del blocco articolare al gomito. Lo svincolo articolare permetterà il rispetto della fisiologia articolare diminuendo al massimo gli stress. Inseritelo durante i vostri allenamenti alternandolo con Curl classici e Curl su panca inclinata: tale strategia permetterà di variare gli angoli di lavoro e stimolare in maniera completa il muscolo durante la vostra programmazione annuale mirata all’ipertrofia

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Colesterolo alto: cosa fare

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colesterolo alto

Già da tempo è stato chiarito che la composizione e la quantità degli alimenti consumati nelle società occidentali sono correlate allo sviluppo di iperlipidemiaarteriosclerosi e malattie cardiache. In generale le malattie cardiovascolari rappresentano un problema complesso caratterizzato da vari fenomeni, fra cui la perdita graduale di elasticità dei vasi dovuta soprattutto allo sviluppo di placche aterosclerotiche.

Diete ipercaloriche e ad alto contenuto in grassi sono state indicate come le principali responsabili del processo di aterogenesi. Tuttavia è accertato un forte legame fra genetica e dieta ed è stato ipotizzato che questo tipo di malattie si sviluppi come risultato di un’interazione fra nutrienti e caratteristiche genetiche.

Da un po’ di anni è dimostrato che non solo la quantità di lipidi ma anche il tipo e la quantità di carboidrati assunti con la dieta hanno influenza sulla concentrazione di lipidi del sangue. Si deve soprattutto a Goldsteine Brown, che per queste ricerche hanno avuto il premio Nobel nel 1986, la comprensione dei meccanismi che regolano l’omeostasi del colesterolo.

Queste ricerche hanno portato alla scoperta di un recettore sulla superficie cellulare che riconosce una proteina specifica delle LDL, la Apo-B100, e alla comprensione del meccanismo per mezzo del quale questo recettore regola il controllo a feedback della sintesi endogena del colesterolo.

Il colesterolo alto è pericoloso?

Chi non ha mai sentito parlare di colesterolo alto? Chi non lo ha mai associato a parole come “morte”, “infarto” e “bassa aspettativa di vita”?

In effetti, il colesterolo alto è uno dei principali marker utilizzati per poter stimare il rischio cardiovascolare, insieme al colesterolo HDL e al colesterolo LDL. Ma cosa intendiamo per “colesterolo alto”? e a quali parametri si riferisce principalmente?

Fino a pochi anni fa si parlava di ipercolesterolemia ed aumentato rischio cardiovascolare quando con le analisi del sangue si identificavano livelli ematici di colesterolo totale maggiori di 200 mg/dl. Dati importanti tuttavia sono quelli che si riferiscono ai livelli specificamente di colesterolo LDL e colesterolo HDL. In passato, in genere, i valori nella norma del colesterolo LDL, cioè quello considerato “cattivo”, erano inclusi in un range che andava da 70 a 180 mg/100 ml.

Avere livelli elevati di colesterolo LDL, soprattutto maggiori di 180, significava avere un aumentato rischio cardiovascolare. Per quanto riguarda il colesterolo HDL, invece, il range di valori considerato normali è di 40-80 mg/100 ml; chiaramente, in quanto considerato componente protettiva, maggiori sono i suoi livelli e minore è il rischio cardiovascolare.

Recentemente, tuttavia, la Società Europea di Cardiologia ha modificato le linee guida generali sui valori del profilo lipidico, e tra queste anche quelle riguardanti i livelli di colesterolo. In particolare, sono stati modificati principalmente i valori del colesterolo totale e del colesterolo LDL, il cui limite superiore del range è stato ridotto a 100 mg/100 ml (precedentemente era a 180).

Fare periodicamente le analisi ematiche e valutare i livelli di colesterolo è importante in quanto il cosiddetto “indice di rischio cardiovascolare” (IRC), un parametro utilizzato appunto per stimare l’eventuale rischio cardiovascolare dell’individuo, si misura proprio in funzione dei livelli di colesterolo nel sangue, sulla base del rapporto tra il colesterolo LDL e il colesterolo HDL.

Minore è il rapporto, minore è il rischio cardiovascolare. In parole povere, la situazione ideale è rappresentata da elevate quantità di colesterolo HDL e bassi livelli di colesterolo LDL, così che il rapporto LDL/HDL si abbassi. Nello specifico, bisogna inseguire un rapporto inferiore a 5 per gli uomini e inferiore a 4,5 per le donne. Chiaramente, è bene sottolinearlo, il colesterolo (totale, HDL e LDL) non è l’unico fattore da considerare per valutare il rischio cardiovascolare.

Colesterolo alto cause

Rischi colesterolo alto

Sicuramente una componente importante è quella genetica. Alcune persone presentano quantità relativamente elevate di colesterolo, sicuramente sopra la media, pure assumendo quei comportamenti utili per non alzare il colesterolo e per ridurre il rischio cardiovascolare. Oltre alla semplice variabilità genetica individuale, ci sono anche alcuni casi, per la verità nemmeno troppo rari (1:200 o 1:300, in base ai criteri utilizzati), in cui specifiche mutazioni genetiche causano quella condizione patologica conosciuta come ipercolesterolemia familiare (FH).

La FH è una comune malattia co-dominante autosomica ereditaria caratterizzata principalmente da elevati livelli plasmatici di LDL-C, a causa del suo ridotto catabolismo. Se non trattata, l’esposizione a livelli elevati di LDL-C durante la vita aumenta lo sviluppo della placca aterosclerotica e il rischio precoce di malattia cardiovascolare.

Oltre alla componente genetica, ci sono sicuramente influenze di condizioni patologiche che hanno come conseguenza appunto un alterato metabolismo lipidico e un aumentato deposito di colesterolo nel sangue, così come l’utilizzo di alcuni farmaci. Principalmente malattie che affliggono fegato e reni (che sono quegli organi che contribuiscono alla regolazione dei livelli di colesterolo) possono essere causa di elevati livelli di colesterolo, ma anche il diabete o patologie della tiroide possono aumentare i livelli di colesterolo.

Nello specifico, patologie che portano a una ridotta attività della ghiandola tiroidea tendono a causare un aumento del colesterolo, mentre l’ipertiroidismo è associato a riduzione della colesterolemia.  Vi possono essere inoltre anche fattori dovuti all’età o al genere (gli ormoni sessuali femminile, gli estrogeni, ad esempio, tendono ad abbassare il colesterolo totale e LDL e ad aumentare il colesterolo HDL, mentre gli ormoni sessuali maschili si comportano tendenzialmente in maniera opposta, aumentano la colesterolemia). Questo è anche uno dei motivi per cui si pensa che le donne siano maggiormente protette dalle patologie cardiovascolari – almeno fino alla menopausa, dopodiché un calo vertiginoso degli estrogeni renderanno la donna più vulnerabile.

Detto questo, le principali cause di colesterolo alto, e anche quelle cosiddette “modificabili”, cioè su cui si può agire, sono rappresentate da determinati comportamenti di stile di vita, ad esempio il consumo di alcol, il vizio del fumo, la sedentarietà e una dieta di un certo tipo, oltre chiaramente a una condizione di sovrappeso o obesità (condizione peraltro che è diretta conseguenza di una dieta insalubre, quantitativamente e probabilmente anche qualitativamente inadeguata, e di uno stile di vita sedentario).

Come abbassare il colesterolo

aterosclerosi e colesterolo

Partendo da quanto abbiamo detto precedentemente circa le cause del colesterolo alto, e focalizzandoci, per ovvi motivi, solo su quei fattori modificabili, è chiaro che gli interventi utili e più efficaci sono quelli che mirano a modificazioni comportamentali e dello stile di vita. Di seguito sono riportate le raccomandazioni generali più importanti:

  • Mantenere un peso corporeo ideale prevedendo un po’ di esercizio fisico ogni giorno: l’attività fisica in questo caso oltre ad aiutare nel mantenimento del peso è associata a un incremento del C-HDL, che adesso sappiamo essere una cosa positiva.
  • Limitare il fumo di sigaretta: come abbiamo potuto vedere, uno dei possibili meccanismi che portano poi all’aumento rischio di formazione delle placche ateromatose è la modificazione delle LDL per il danno ossidativo: il fumo di sigaretta aumenta la possibilità di ossidazione delle LDL e di conseguenza aumenta anche il rischio di accumulo di placche ateromatose nei vasi sanguigni.

Per quanto riguarda le indicazioni dietetiche più specifiche:

  1. Quando le analisi ematiche indicano che i valori di colesterolo totale, colesterolo HDL e LDL non sono nella norma, la prima cosa da considerare è la restrizione calorica, dunque una modificazione della dieta dal punto di vista quantitativo, soprattutto nel caso di soggetti sovrappeso o obesi. Nel caso di normo- o ipercaloriche fare particolarmente attenzione agli acidi grassi saturi introdotti e agli zuccheri semplici. In generale, comunque, evitare un apporto troppo alto di lipidi (fino al 30% dell’introito energetico rappresentato dai lipidi va bene). Maggiore è la quantità di lipidi introdotta e maggiore deve essere l’attenzione nel limitare i grassi saturi.
  2. Sempre relativamente ai lipidi, si consiglia di aumentare il consumo di pesce e in generale aumentare il consumo di grassi insaturi (ad esempio dall’olio EVO) e l’introduzione di omega 3. Tuttavia, voglio far presente anche che se da un lato, gli omega-3 migliorano i valori dei lipidi plasmatici e rendono il sangue più fluido e scorrevole facendo quindi in modo che le LDL abbiano meno modo di “essere inglobate” dalle parete dei vasi sanguigni (e quindi riduce il rischio di formazione delle placche ateromatose), dall’altro lato aumenta il rischio che le LDL subiscano danno ossidativo (vedi anche il discorso relativo al fumo di sigaretta).

Dunque, possiamo almeno dire che la pratica di prescrivere integratori di omega 3 a caso, come unico intervento dietetico, a prescindere dalla dieta, a prescindere dal soggetto, non è proprio una pratica così utile come si potrebbe pensare.

  1. In ultimo, per quanto riguarda la classe dei lipidi, non prestare troppa attenzione all’introduzione di colesterolo alimentare perché non è questo che in genere peggiora i parametri ematici. Peraltro, proprio in virtù di una fine regolazione dei livelli di colesterolo, ci sono dei meccanismi che fanno sì che all’aumentare dell’introduzione di colesterolo alimentare diminuisce l’efficienza intestinale nell’assorbirlo (ne assorbiamo meno) e diminuisce la sintesi del colesterolo in sede epatica.

In poche parole, anche se le uova contengono molto colesterolo, non peggiorano i parametri ematici in quanto i grassi saturi presenti sono minimi e anzi ci sono nutrienti che compensano la potenziale aterogenicità dell’alimento (un’eccezione sono gli “iper-responder” a cui ho accennato prima). Al contrario, il grasso delle carni, ha un potenziale aterogeno molto più alto e questo perché i grassi contenuti sono tutti o quasi saturi e di certo non per l’introduzione di colesterolo alimentare.

Chiaramente, questo discorso, comunque, vale principalmente per individui sani in quanto, in caso di particolari patologie e/o disturbi endocrini, i meccanismi di regolazione del colesterolo potrebbero presentare dei difetti.

  1. Come abbiamo detto anche gli zuccheri sono implicati nell’aumento delle LDL. Per chi ha il colesterolo molto alto, il consiglio è di tenere sotto controllo maggiormente la glicemia aumentando il consumo di fibra alimentare che, oltre ad aiutare nel controllo glicemico, abbiamo visto giocare un ruolo importante nel facilitare l’escrezione del colesterolo in eccesso tramite le feci.

In tutto questo mi preme ripetere e sottolineare che, come si verifica quasi sempre, la miglior terapia è semplicemente il controllo del peso e la restrizione calorica. Il bilancio energetico è sempre il fattore più importante e influente, insieme a uno stile di vita attivo e non.

Articolo del Dott. Daniele Esposito, autore di Project Diet.

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Esercizi polpacci

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esercizi polpacci

Gli esercizi per i polpacci costituiscono, assieme a una programmazione ottimale dell’allenamento, lo strumento fondamentale per attivare, stimolare e ipertrofizzare questi muscoli così ricercati da chi pratica bodybuilding. In questo articolo scopriamo quali sono gli esercizi ideali per i polpacci, come eseguirli nel migliore dei modi e quali differenze in termini di stimolo muscolare esistono tra le varianti esistenti.

Muscoli polpaccio ed esercizi

Partiamo come sempre dall’anatomia, fonte principale di input decisivi per l’impostazione degli esercizi in palestra. Il polpaccio è un muscolo composto da tre ventri muscolari differenti (tri-cipite della sura) di cui due biarticolari (plantare e gastrocnemio) e uno monoarticolare (soleo). La varietà degli esercizi proposti si limita così a due modalità di esecuzione che tengono conto di questa caratteristica anatomica nella stimolazione muscolare selettiva di alcuni capi rispetto ad altri. Nascono quindi due macro-categorie di esercizi che, da un punto di vista osservazionale, si compongono di:

  1. flessioni plantari contro resistenza a ginocchio flesso;
  2. flessioni plantari contro resistenza a ginocchio esteso.

Polpacci

Esercizi per i polpacci, varianti ed esecuzione

Per entrambe le categorie di esercizi si decide di stimolare il polpaccio tramite la flessione plantare (andare in punta dei piedi), ossia di far lavorare il muscolo su una sola articolazione, la caviglia (la prima annotazione importante da fare è che tale movimento è una delle poche leve vantaggiose del nostro corpo, ragion per cui in questi esercizi anche i neofiti sollevano chili su chili senza problemi).

A questo punto si decide di variare l’angolo della seconda articolazione coinvolta dai due terzi del muscolo, il ginocchio, per spostare la stimolazione sui vari ventri muscolari. Per ciò che riguarda la prima categoria, flettere il ginocchio comporta necessariamente una partenza in accorciamento di gastrocnemio e plantare (biarticolari flessori) i quali, in virtù del tanto famigerato diagramma tensione/lunghezza, perderanno efficacia di attivazione e risulteranno coinvolti in misura minore rispetto all’unico monoarticolare alla caviglia, il soleo, che ne gioverà acquistando enfasi di contrazione. Ecco che, per semplificare, potremmo attribuire al soleo il ruolo di protagonista nella prima categoria di esercizi.

esercizi polpacci
Esercizi per i polpacci da seduto a ginocchio flesso

Nella seconda categoria le cose cambiano: il ginocchio esteso permette ai due biarticolari di diventare protagonisti nella flessione plantare partendo a una lunghezza ottimale e partecipando in maniera determinante all’esecuzione dell’esercizio. Analogamente potremmo dire che, semplificando, il muscolo protagonista della seconda categoria è il gastrocnemio, non considerando il plantare ai fini estetici vista la sua localizzazione e la sua dimensione poco significativa.

Polpacci
Esercizi per i polpacci in piedi a ginocchio esteso

Esercizi polpacci e miti da palestra

È qui ora importante chiarire e fare luce su quella variante, spesso proposta come retaggio del bodybuilding passato, che prevede l’esecuzione del Calf con “piedi all’esterno o piedi all’interno”. Tale variante è assolutamente priva di senso. Nell’esecuzione a ginocchio esteso, portare i piedi all’interno o all’esterno significa ruotare l’anca internamente o esternamente: nessun punto di origine o inserzione dei muscoli del polpaccio subirà delle variazioni.

Nell’esecuzione a ginocchio flesso il medesimo accorgimento si attua tramite una rotazione interna o esterna della tibia, che non solo non varia l’attivazione del gastrocnemio (visto che non ha una componente rotatoria sulla tibia perché si tratta di un ventre muscolare unico non reclutabile separatamente), ma va anche a ricercare un cambiamento di attivazione in un muscolo che come detto in questa modalità è svantaggiato.

Il soleo, che è il principale attore nell’esercizio in questione, è monoarticolare e non gliene importa nulla della rotazione della tibia rispetto al femore. Il medesimo ragionamento si può fare per tutte quelle varianti in pronazione o supinazione del piede (che potrebbero avere un’influenza su altri muscoli come il tibiale posteriore o il flessore delle dita, ma non sul polpaccio) che poco hanno a che fare con l’anatomia e con la scienza degli esercizi per i polpacci e che tanto hanno a che fare invece con la sensazione e il “sentito dire”.

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Come rassodare i glutei con esercizi efficaci?

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rassodare i glutei

Rassodare i glutei è uno degli obiettivi di qualsiasi donna che voglia rimettersi in forma (o che comunque vuole migliorare esteticamente). Così generalmente si cerca quali sono gli i migliori esercizi per alzare i glutei, per snellire le cosce, ecc. Purtroppo su internet le informazioni sono spesso di bassa qualità, si prendono le informazioni da fonti poco autorevoli (ma molto commerciali) ed i miti sui glutei continuano ad essere perpetrati.
In questo articolo vedremo come rassodare i glutei e  quali sono gli esercizi più efficaci.
Per farlo partiremo da una breve descrizione della fisiologia del nostro corpo, essenziale per poi comprendere realmente cosa fare.

Come rassodare i glutei con esercizi efficaci?

Il gluteo ha due particolarità anatomiche, che andranno a caratterizzare, gli esercizi che dovremo fare per rassodarlo.
Da una parte è il muscolo più forte del nostro corpo (lasciamo stare il massetere), dall’altra è una zona di accumulo dell’adipe. Perché queste due nozioni sono importanti?

  1. Se il gluteo (per gluteo intendiamo principalmente il grande gluteo, esteticamente il piccolo e medio gluteo, non sono rilevanti ai nostri scopi) è il muscolo più forte del nostro corpo (si attiva quando corriamo velocemente, quando facciamo le scale o un salto), come dovremmo allenarlo? Con bassi carichi, cercando di isolarlo? Con esercizietti con gli elastici, in quadrupedia, slanci, oppure con esercizi importanti che coinvolgono in modo marcato la muscolatura come lo squat, lo stacco da terra, hip thrust, affondi e step up?
    Ricordiamoci sempre che la struttura è al servizio della funzione, una struttura imponente, cardine del nostro corpo a che stimoli risponde?
  2. Il gluteo è una zona di accumulo del grasso corporeo, il nostro organismo mette i kg in eccesso principalmente nell’addome, cosce e glutei. La ragione del grasso localizzato riguarda il risparmio energetico. Tendiamo a mettere peso vicino al nostro baricentro, in questo modo il corpo consuma meno energie per spostarsi, rispetto ad accumulare peso nelle estremità. Nel pratico questo cosa vuol dire? Che dimagrire sui glutei non è un processo veloce ma richiederà del tempo, probabilmente prima dimagriremo altrove ed infine sui glutei.
  3. Aggiungiamo un terzo punto che riguarda la postura. Se la zona lombare è piatta ed il bacino è in retroversione, hai voglia a fare movimenti per alzare i glutei, questi non si alzeranno mai. La postura è un passaggio fondamentale per migliorare la proprio conformazione del sedere.
hip thrust ad una gamba
Una versione di Hip Thrust ad una gamba

I migliori esercizi per rassodare i glutei

Qui abbiamo messo due video (ne gireremo altri, promesso) su come eseguire due esercizi molto efficaci per rassodare i glutei. Il primo è lo squat con bilanciere, un esercizio tanto più efficace sul gluteo quanto più scendi profonda, senza perdere le curve della schiena. È importante nello squat, che sia con bilanciere o manubri, piano piano aumentare i carichi. Come abbiamo già scritto il gluteo è un muscolo forte, che per svilupparsi ha bisogno del corretto stimolo.

Squat: un ottimo esercizio per rassodare i glutei in allungamento

Quali accorgimenti usare per eseguire uno squat efficace per i glutei?

Il terzo video che mettiamo riguarda l’Hip Thrust, il quale è il complementare perfetto dello squat. Mentre quest’ultimo è efficace quando scendi in basso, l’hip thrust è proficuo quando strizzi i glutei in alto, in massimo accorciamento. Uno quindi lavora quando il muscolo si stira, l’altro quando il gluteo si contrae. Assieme sono perfetti per dare i corretti stimoli al sedere per alzarsi. Teoricamente ma anche praticamente, basterebbero questi due esercizi per rendere efficace un allenamento per i glutei. Poi nella pratica questo non avviene perchè la scheda sarebbe troppo noiosa 🙂

Hip thrust: il miglior esercizio di attivazione per rassodare i glutei

Come rassodare i glutei a casa?

Tenendo presente i 3 presupposti che abbiamo visto sopra partiamo da che ginnastica fare a casa per i glutei. Ovviamente l’ideale sarebbe avere un bilanciere, dei kg da caricare e concentrarci sullo squat e simili, ma ovviamente tutto questo diventa quasi impossibile da fare a casa, quindi come comportarsi?

  1. Scegliere i giusti movimenti: Jump squat, affondi, step up, hip thrust ad una gamba, sono tutti esercizi intensi, che possono aiutarci nel tonificare il sedere.
  2. Variare nei giorni concentrandosi sia sui singoli esercizi (cercando di aumentare le ripetizioni), sia su circuiti per i glutei, in cui senza pausa passiamo da un esercizio all’altro.
  3. Eseguire contrazioni isometriche nel massimo punto di difficoltà. Stai parallela nello squat e resisti (non invertire la curva lombare), alza il sedere nell’hip thrust e tieni la posizione. Le contrazioni isometriche sanno rendere gli esercizi a casa a corpo libero molto impegnativi.
  4. Esegui sia gesti esplosivi coi salti, sia esercizi lentissimi. Tutte e due le versioni alzano molto l’intensità. Se a casa non hai i pesi non c’è nulla di meglio che fare salti (auguri) o fare gli esercizi in modo molto molto lento. Scegli i salti solo se sei già preparata muscolarmente e sai fare bene gli esercizi.

Scheda per esercizi glutei a casa

esercizi per rassodare i glutei

Vediamo ora delle proposte d’allenamento prese dal libro Project Bodybuilding (di Fabrizio Liparoti) ed adattate per allenare i glutei a casa in meno di 30′. durante la settimana Attenzione richiedono già un buon livello, se siete agli inizi prendete il vostro tempo, diminuite anche dimezzando le ripetizioni o i tempi e progredite in modo graduale nelle settimane, ma soprattutto assicuratevi, guardando dei tutorial, di fare correttamente gli esercizi.

1. Scheda glutei con esercizi a bassa intensità di carico e alto volume

Nel primo allenamento per cosce e glutei sodi, si tratta di svolgere lavori con bassa intensità di carico e alto volume. In questa prima proposta è stato inserito:

  • Hip thrust, 1 serie con una tensione totale e continua da 5’ senza pausa, un picco di contrazione di 3” e una fase concentrica esplosiva in ogni ripetizione.
  • Step up (salita su un gradino) con enfasi sul tallone per 15’ (auguri).
  • Squat sumo (ovvero con le gambe larghe) con manubrio (o bottiglia se non abbiamo un manubrio), 1 serie da 50 ripetizioni eseguita senza pausa tra le ripetizioni, con 2” di pausa nel punto basso e salita esplosiva.
Movimento Serie Rip.
Hip Thrust 1 5′
Step Up 1 15′
Squat Sumo con manubrio 1 50

squat a corpo libero

2. Scheda glutei con esercizi per stimolare diversamente i glutei

In questo caso abbiamo un allenamento simile ma con esercizi che rassodano in modo diverso il gluteo:

  • Frog Jump (è uno squat sumo col salto): 1 serie da 5’ da eseguire con una tensione continua tra le ripetizioni. Una discesa lenta in 3”  ed una salita esplosiva.
  • Affondi in camminata: 15’ di seguito (auguri).
  • Hip thrust ad una gamba: 1 serie da 50 ripetizioni (per gamba). Facciamo 5 ripetizioni per gamba e poi alterniamo. Teniamo almeno 2″ nel punto di massima contrazione.
Movimento Serie Rip.
Frog Jump 1 5′
Affondi 1 15′
Hip thrust ad una gamba 1 50

3. Scheda glutei con esercizi di isolamento, pre-attivazione e un circuito metabolico

Nella terza proposta troviamo un lavoro di isolamento e pre-attivazione nel primo esercizio e un circuito metabolico nella seconda parte.

  • Squat sumo con elastico tra le gambe
  • Circuito: eseguendo 10 ripetizioni per gli esercizi elencati, alternandoli. Faremo 6’+6′ con 2′ di pausa tra le serie.
  • Step up: 1 serie da 50 ripetizioni per gamba. Anche qui se non ce la facciamo più possiamo riposare qualche secondo e ripartire.
Movimento Serie Rip.
Squat Sumo con elastico 1 5′
Affondi /Hip Thrust 6’+6′ 10
Step Up 1 50

Questi erano degli esempi, intensi, per allenare cosce e glutei a casa. Su internet troverai altri spunti con 1000 altri esercizi. Assicurati solo che siano realmente efficaci nel coinvolgere e rassodare i glutei. Se ti può interessare avere altri esempi, magari anche col supporto dei tutorial video, lasciaci un commento con le tue richieste.

Come rassodare i glutei in 15 minuti?

Se ogni giorno hai poco tempo per allenarti, puoi utilizzare le stesse schede di allenamento proposte prima e dimezzare la durata delle serie. Inoltre, diminuendo il tempo di allenamento da 30 minuti a 15 minuti, potresti allenarti più spesso e fare esercizi anche 4-5 volte a settimana, cambiando gli esercizi da un giorno all’altro.

È possibile rassodare i glutei e le cosce in una settimana?

Purtroppo il corpo umano ha i suoi tempi di adattamento. Rassodare i glutei in una settimana è impossibile, perché l’organismo richiede tempo per adattarsi e ottenere risultati. Tuttavia, la costanza e l’impegno pagano sempre nell’allenamento.

Quanto tempo ci vuole per rassodare i glutei?

Non è possibile dirti quanto tempo ci vorrà, perché dipende dal tuo livello di partenza, dalla tua genetica, dal tuo stile di vita e da quanto impegno ci metterai. Se sei sedentaria da tanto tempo e non ti sei mai allenata, nel giro di 2-3 mesi vedrai già dei netti miglioramenti. Tuttavia, per raggiugere risultati estetici notevoli, ci vorrà più tempo.

Per essere sicura di poter raggiungere ottimi risultati, ti consiglio di aumentare gradualmente i pesi dei manubri e la difficoltà degli esercizi, facendo varianti sempre più difficili.

Altri spunti utili per rassodare il tuo sedere e alzare i tuoi glutei

Squat bulgaro su palla
Lo Squat Bulgaro assomiglia ad un affondo ed è un altro ottimo esercizio per rassodare i glutei

Ci sono poi tantissime altre soluzioni per stimolare i glutei in palestra dove abbiamo la possibilità, attraverso i bilancieri di aumentare il sovraccarico. Squat, stacchi, hip thrust diventano così ancora più efficaci, potendo alternare agli stimoli metabolici che abbiamo visto sopra, stimoli meccanici dati da un sovraccarico più elevato.

È facile seguendo questi protocolli che possa aumentare la ritenzione idrica nelle gambe, aumentandone le circonferenze.  L’allenamento provoca un’infiammazione locale che richiama acqua intracellulare nelle gambe. Cosa possiamo fare?

  1. Mangiare adeguatamente (se ti alleni intensamente non puoi fare una dieta da 1000kcal).
  2. Assumere il corretto quantitativo di grassi, carboidrati e proteine (prendi qualche spunto con questo articolo sulla dieta nella donna)
  3. Bere almeno 0,3-0,4l ogni 10kg e assumere 1g di sale ogni litro d’acqua.
  4. Fare dei periodi di scarico con allenamenti leggeri per far andare via l’acqua

La postura: il requisito fondamentale per avere dei glutei perfetti e un sedere da urlo

Esercizi mobilizzazione rachide
L’allenamento dei glutei passa per una buona mobilizzazione del rachide lombare.

Concludiamo parlando delle aspettative che possiamo avere nel rassodare i glutei. Abbiamo accennato che molto dipende dalla nostra postura e dalla posizione del bacino. Un ragazza sopra i 30 anni che ha sempre avuto la curva lombare piatta, difficilmente riuscirà ad alzare di molto il gluteo. Potrà migliorare ma non avrà mai glutei alla Jennifer Lopez. Una ragazza invece che soffre di iperlordosi magari avrà dolori alla schiena, ma riuscirà ad avere un bel gluteo molto più facilmente.

In questo articolo abbiamo dato degli spunti per degli esercizi per la lordosi, non dimenticarli se vuoi avere un culo di marmo! 😉

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Esercizi petto alto: quali fare

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esercizi petto alto

In questo articolo cerchiamo di scoprire quali sono i migliori esercizi per il petto alto. Per comprendere quando attiviamo i fasci claveari del grande pettorale, partiamo dalla teoria per avere una risposta pratica ed applicabile.

Da sempre l’inclinazione della panca in palestra è considerata la strategia migliore per modulare l’attivazione delle diverse porzioni del gran pettorale: se vuoi attivare e sviluppare maggiormente il petto alto devi inclinare la panca, se vuoi invece attivare e sviluppare maggiormente il petto basso devi, al contrario, declinare la panca. Ma è proprio così? Conviene davvero inclinare la panca per stimolare maggiormente la parte alta del petto? Scopriamolo insieme attraverso anatomia, biomeccanica e letteratura scientifica.

Petto alto e petto basso: analisi del movimento in palestra

A livello anatomico il pettorale è costituito da due porzioni distinte che differiscono in alcune funzioni. Il petto alto (porzione clavicolare) adduce, flette e intraruota l’omero, il petto basso (porzione sterno-costale) adduce, estende da posizione di massima flessione e intraruota l’omero.

allenamento gran pettorale

Sintetizzando la questione, da un punto di vista di pura analisi del movimento, possiamo affermare che:

  • più incliniamo la panca più il movimento di adduzione sul piano orizzontale si trasforma in flessione/abduzione dell’omero sul piano ibrido sagittale/frontale, con un conseguente minor intervento del petto basso (porzione sterno-costale) a favore del petto alto (porzione clavicolare) e del deltoide;
  • più decliniamo la panca più otterremo l’effetto opposto con un lavoro muscolare più ad appannaggio del petto basso (componente sterno-costale) rispetto al petto alto (porzione claveare). La spinta da questa posizione prevede una partenza con spalla in estensione massima e arrivo con omero a pochi gradi di flessione, proporzionali al grado di declinazione della panca.

Petto alto e petto basso: cosa ci dicono gli studi

In letteratura alcuni studi, anche recenti, hanno analizzato l’attività elettromiografica dei diversi fasci del pettorale durante esercizi con diverse inclinazioni della panca. Riassumendo, gli studi hanno raggiunto le seguenti importanti conclusioni.

  1. Tutti gli studi sono concordi nel ritenere l’inclinazione della panca un elemento che influenza in maniera poco significativa l’attivazione del petto alto (porzione clavicolare). Le uniche evidenze di un reclutamento maggiore di questa porzione si hanno dai 45° in su, mentre al di sotto di questi gradi non si hanno effettive differenze rispetto ad un’esecuzione su panca piana (Barnett et al 1995, Glass, Armstrong, 1997, Trebs et al 2010, Luczak et al 2013).
  2. All’aumentare dell’inclinazione della panca aumenta anche l’attività del deltoide anteriore e diminuisce quella del petto basso (porzione sterno-costale). L’esercizio eseguito su una panca molto inclinata quindi genera indirettamente livelli di attivazione elevati anche in muscoli differenti da quello target.
  3. Barnett et al nel 1995 dimostrano che la presa stretta sul bilanciere aumenta l’attività del petto alto indipendentemente dall’inclinazione della panca e quindi anche eseguendo l’esercizio su panca piana (Barnett, 1995). Ulteriori studi validati in letteratura confermano indirettamente tale indicazione valutando l’attivazione muscolare al variare della larghezza delle mani durante i Push-up, rilevando un’elevata attivazione del gran pettorale con una larghezza delle mani ridotta (Kim, 2016; Marcolin, 2015).

Alla luce di questi tre punti è possibile fare qualche riflessione di tipo biomeccanico prima di giungere a delle conclusioni da riportare nella pratica quotidiana in sala pesi.

Tutti e tre i punti sopraesposti sono accomunati dalla medesima caratteristica: la variazione del piano di movimento e, di conseguenza, del coinvolgimento muscolare. Infatti, il primo punto riporta un’attivazione maggiore del petto alto da 45° in poi di inclinazione. Come già detto in precedenza ciò non deve sorprendere più di tanto, visto che con tale inclinazione il piano di movimento cambia da trasversale (adduzione orizzontale) a ibrido sagittale/frontale (flessione/abduzione) con la conseguente maggiore attivazione dei flessori dell’omero tra i quali appunto il petto alto e (come indicato dal punto 2) il deltoide anteriore.

Inoltre, il fatto che la diminuzione della larghezza della presa influenzi l’attivazione muscolare in modo analogo, come riportato da Barnett nel 1995, non fa altro che confermare quanto detto: stringere la presa avvicina i gomiti al busto, ciò cambia il piano di lavoro e il movimento eseguito che da adduzione diventa flessione coinvolgendo quindi in misura maggiore il petto alto come flessore dell’omero. Ragionamenti biomeccanici e studi scientifici vanno di pari passo.

Esercizi Petto alto e petto basso: conclusioni di buon senso

Riassumiamo ora in pochi punti ciò che vi dovete portare a casa riguardo all’argomento “petto alto e petto basso”.

  1. Per coinvolgere il petto alto durante gli esercizi non è necessario inclinare la panca. La discriminante a riguardo è la larghezza della presa che influenza il piano di movimento e il coinvolgimento muscolare. L’esecuzione della Panca Piana in assetto scapolare corretto sposta i gomiti più vicino al tronco e favorisce così anche l’attivazione del petto alto. La panca stretta è un ottimo esercizio per il petto alto
  2. Le evidenze in letteratura riportano aumenti significativi di attivazione del petto alto solo a partire da 45° di inclinazione della panca inclinata. Alzare la panca meno di 45° per porre enfasi maggiore sul petto alto rimane una scelta a oggi poco sensata. Tuttavia è da sottolineare anche che più aumenta l’inclinazione della panca più aumenta l’intervento di muscoli che non sono il target dell’esercizio tra i quali su tutti il deltoide anteriore.
  3. L’esecuzione con panca declinata attiva poco il petto alto e maggiormente quello basso. Tuttavia ricordo che una Panca Piana eseguita in maniera corretta aumenta l’angolo di lavoro del pettorale aumentando anche il coinvolgimento della sua porzione inferiore. Inoltre esercizi come Dip Parallele e Trazioni alla sbarra sono altrettanto ottimi nel reclutare questa porzione. In virtù di ciò appare quindi poco sensato eseguire distensioni manubri a testa in giù vista la varietà di esercizi efficaci già esistenti.
  4. Esecuzioni ottimali alla Panca Piana o ai cavi attivano in maniera efficace il muscolo gran pettorale in toto. Concentratevi su queste e otterrete ottimi risultati. In un contesto di ricerca dell’ipertrofia muscolare risulterà comunque assolutamente legittimo inserire l’inclinazione della panca nella scheda di allenamento come variante di esecuzione e dei piani di lavoro, ma sarà importante sempre farlo con la giusta consapevolezza.

migliori esercizi petto alto

In conclusioni i migliori esercizi per il petto alto sono: la panca inclinata a partire da 45° e la panca stretta

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Squat: qual è l’esecuzione corretta per allenare gambe e glutei?

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Lo squat è un esercizio complesso, soprattutto se parliamo di squat con i pesi, ed è importante imparare la tecnica corretta di esecuzione. È definito come il “il Redegli esercizi, perché ti permette di rassodare e tonificare in modo completo gambe e glutei e allo stesso tempo rinforzare addome e schiena. Lo squat è, quindi, uno dei migliori esercizi per le donne che vogliono gambe e glutei sodi. In questo articolo vedremo tutti i suggerimenti su come fare uno squat con la tecnica corretta, a casa e in palestra, tenendo conto che ci sono tantissime varianti di squat, tra cui:

  • lo squat bulgaro;
  • lo squat con manubri;
  • il back squat con bilanciere;
  • il full back squat (sotto il parallelo);
  • lo squat al multipower;
  • lo squat a corpo libero.

Come si esegue lo squat?

La tecnica corretta di esecuzione dello squat non è universale, ma dipende dalla singola persona. Questo vale a maggior ragione se si esegue lo squat con i pesi, che non è assolutamente per tutti. Allenare lo squat in palestra a caso, senza imparare prima l’esecuzione corretta, aumenta il rischio infortuni e diminuisce l’efficacia dell’allenamento.

Iniziamo con un ottimo video sulla tecnica d’esecuzione standard dello squat con i pesi, noto anche come full squat:

Squat: posizione corretta di partenza

La posizione di partenza dello squat prevede di:

  1. Posizionare i piedi poco più larghi delle spalle e le punte dei piedi leggermente aperte (extraruotate) verso l’esterno;
  2. Inspirare lentamente e mandare l’aria nella pancia;
  3. Aprire il petto, tenendo le scapole rilassate;
  4. Puntare lo sguardo e, quindi, la testa leggermente verso il basso, come se guardassi un fiore a pochi metri davanti a te;
  5. Iperestendere leggermente (senza estremizzarla) la schiena, mandando indietro il sedere.

Squat: come si esegue la fase di discesa? Al parallelo o sotto?

Una volta raggiunta la posizione di partenza puoi iniziare la fase di discesa, ossia l’accosciata:

  1. Tenendo la curvatura della schiena neutra, inizi a scendere in modo controllato;
  2. Idealmente durante la discesa dovresti sentire il peso del corpo nel centro del piede;
  3. Mentre scendi dovresti pensare di aprire le ginocchia verso l’esterno;
  4. È opportuno arrivare a una profondità tale per cui si mantiene o si perde leggermente la curvatura neutra. Piano piano nel tempo riuscirai a scendere sempre più in basso senza perdere la curvatura.
  5. L’obiettivo nel lungo periodo dovrebbe essere quello di fare uno almeno al parallelo. Ancora meglio sotto il parallelo, per stimolare i muscoli posteriori della coscia in cocontrazione, tra cui i glutei.

Squat: come si esegue la fase di risalita?

Una volta arrivata a terra, devi risalire mantenendo lo stesso identico assetto che hai usato nella discesa. Per capire se stai risalendo correttamente puoi prestare attenzione a dove senti il peso del corpo, che idealmente dovrebbe essere al centro del piede.

Squat con bilanciere libero: come eseguire correttamente il Full back squat?

Quanto abbiamo detto finora vale sia per lo squat a corpo libero sia per lo squat con il bilanciere, come il back squat o full back squat, in base alla profondità dell’accosciata. Tuttavia, vale sicuramente dare un’occhiata anche a questi due video per avere altri consigli utilissimi nell’esecuzione dello squat con il bilanciere:

In generale, uno squat corretto è uno squat fluido e compatto, in cui non senti particolari tensioni e in cui controlli perfettamente il carico senza sbilanciarti e senza tremare.

Quali sono i 7 errori più comuni durante l’esecuzione dello squat?

Gli errori più comuni durante l’esecuzione dello squat sono i seguenti:

  1. Iperestendere troppo schiena, ossia sculare troppo;
  2. Iniziare il movimento mandando avanti subito le ginocchia e non usando, invece, il bacino;
  3. Mandare le ginocchia verso l’interno;
  4. Flettere la schiena perdendo la curvatura neutrale che permette alla schiena di sopportare carichi elevati;
  5. Sollevare i talloni da terra;
  6. Irrigidire e iperestendere il collo;
  7. Salire prima con le gambe, sollevando il sedere, e poi con la schiena.

Quali sono i benefici di uno squat corretto?

Uno squat corretto ha molteplici benefici. In particolare, ti consente di:

  • attivare correttamente cosce e glutei;
  • ridurre al minimo il rischio di infortunio alla schiena, mantenendo quest’ultima in una posizione neutra;
  • rinforzare le ossa e le articolazioni, aumentando la densità minerale ossea;
  • migliorare la mobilità del bacino e delle caviglie.

In sintesi, i benefici maggiori dello squat sono il rinforzo di molti gruppi muscolari in contemporanea e la mobilizzazione di tante articolazioni allo stesso tempo.

Lo squat con i pesi non è per tutti: rischi e problemi durante l’esecuzione dello squat

 Nel Bodybuilding non troveremo esercizi insostituibili, sicuramente alcuni saranno più efficaci di altri, ma mai insostituibili.
Di conseguenza inutile incaponirsi su un esercizio che non fa per noi quando ci presenta troppe problematiche, come può verificarsi proprio nel caso dello Squat.
Lo squat è un esercizio “elitario” e non è assolutamente per tutti in quando per approcciarsi ad esso è d’obbligo farlo in totale sicurezza sotto tutti gli aspetti

Ecco quali potrebbero essere le principali problematiche che si riscontrano durante uno Squat:

  • problemi di schiena di ogni genere
  • fatica a mantenere la curva lombare in fisiologia sotto carico
  • femori troppo lunghi in proporzione all’altezza che ci costringono a buttare il busto eccessivamente in avanti
  • scarsa mobilità dell’articolazione tibio-tarsica
  • i due punti precedenti ci impongono dei “compensi” con gli altri anelli articolari della catena interessata
  • valgismo alle caviglie
  • valgismo o varismo alle ginocchia
  • muscolatura eccessivamente “corta” (in primis gli Ischiocrurali) impediscono un’accosciata fluida e che arrivi alla profondità richiesta
  • scarsa coordinazione motoria, non all’altezza del gesto tecnico

Perché la tecnica d’esecuzione corretta dello squat non è uguale per tutti?

La verità è che ognuno di noi, pur seguendo la biomeccanica di base dei movimenti, ha delle peculiarità che lo rendono unico, come ad esempio la conformazione dell’acetabolo, la lunghezza delle leve e tante altre caratteristiche che bisogna tenere in conto per costruire uno squat su misura.

Lo squat nel Powerlifing è un esercizio “codificato” ovvero impone un uniformità di esecuzione in modo da avere dei parametri per potere giudicare in modo imparziale la prestazione dei diversi atleti.

Nel Bodybuilding questo problema non si pone (come detto prima il BB allena il muscolo non l’esercizio) infatti esiste “lo Squat da PL” ma non “lo Squat da BB”, di conseguenza – tornando al discorso precedente – i soggetti predisposti a questo tipo di accosciata dovranno avere l’accortezza e la bravura di cucire su stessi la modalità esecutiva che ci faccia godere del massimo risultato col minimo rischio.

Che muscoli allena lo Squat? Quali sono i muscoli più coinvolti?

che muscoli allena lo squat

A livello anatomico durante un’accosciata con bilanciere possiamo notare:

  • un’estensione del femore sulla tibia (muscoli quadricipiti)
  • un’estensione dell’anca sul femore (muscoli ischiocrurali e grande gluteo)
  • una sinergia tra adduzione ed abduzione dell’anca (muscoli adduttori e grande, piccolo e medio gluteo)
  • un’estensione dell’articolazione tibio-tarsica (muscoli polpacci)
  • un’alta componete statica per la stabilità del CORE (muscoli addominali e paravertebrali)

Lo squat è indiscutibilmente uno tra gli esercizi che più interessano in modo completo la muscolatura delle cosce e dei glutei, ma non solo, andando a colpire tutta la catena estensoria posteriore (grande gluteo, femorali, polpacci ed erettori spinali), i quadricipiti, adduttori ed abduttori fino ad arrivare all’addome che ci garantisce una stabilità globale durante l’alzata.

Andando più nel dettaglio possiamo affermare che la stimolazione selettiva dei diversi muscoli delle cosce è dipendente dal tipo di esecuzione adottata (o che ci viene imposta dalla nostra conformazione).
Anche se esistono mille sfumature di questo esercizio possiamo riassumere suddividendole in due macro categorie:

squat e glutei

  • Squat ginocchio-dominante: esecuzione più vista nel BodyBuilding, prevede di mantenere il busto piuttosto verticale durante tutto l’arco di movimento e di conseguenza la tibia ed il ginocchio saranno portati in avanti, questo determina una maggior attivazione dei quadricipiti a discapito della catena cinetica posteriore. Quesa tipologia di esecuzione è adottata – in modo del tutto involontorio e naturale – anche dei soggetti con baricentro basso e/o femori molto corti.
  • Squat anca-dominante: tipica dei Powerlifters, prevede un’ampissima escursione con l’articolazione dell’anca e di conseguenza il busto sarà inclinato molto in avanti nel punto più profondo; contemporaneamente la tibia assumerà una posizione sempre piuttosto verticale, questo determina una grande attivazione della catena cinetica posteriore quindi grande enfasi a glutei e femorali a discapito del quadricipite. Oltre che ai PL quest’esecuzione è tipica dei soggetti con femori molto lunghi in proporzione all’altezza (baricentro alto). Inutile precisare che questa modalità di esecuzione imporrà anche maggior stress alla zona lombare.

Squat per i glutei: quanto deve essere profondo lo squat per allenare i glutei?

In un’ottica di allenamento completo per lo sviluppo del gluteo nelle donne, lo squat andrebbe alternato con altri esercizi. In primis l’Hip Thrust, il quale lavorando a ginocchio flesso, pone l’accento sul lavoro del gluteo. Anche gli affondi sono un ottimo esercizio, come la salita su un gradino o una panca. Tutti i movimenti di flessione ed estensione dell’anca sono ottimi, quando cerchiamo i migliori esercizi per i glutei, oltre allo squat.

squat glutei

Come detto in precedenza nel Bodybuilding non esiste un’uniformità del gesto tecnico dello Squat in quanto va cucito in base alle esigenze soggettive ed alle proprie problematiche articolari.

Una delle variabili più importanti che notiamo nelle esecuzioni dei vari Squat è appunto la profondità con cui viene eseguita l’accosciata: la cosa interessante è che non esiste l’esecuzione corretta o sbagliata, ma va contestualizzata in relazione allo stimolo muscolare che noi vogliamo generare, di conseguenza la stessa medesima esecuzione potrebbe essere corretta per un soggetto e contemporaneamente errata per un altro.
(Possiamo fare giusto eccezione quando vediamo eseguire un “Dildo Squat” con escursione di 2,5cm da ragazzi con una presunzione ed un ego smisurato, ancora maggiore del carico utilizzato).

Partiamo dal concetto che il massimo allungamento durante un esercizio multiarticolare spesso trasferisce la tensione su un altro anello della catena motoria interessata.
Ecco spiegato perchè vediamo molti Bodybuilder (anche PRO di livello modiale) i quali vengono erroneamente giudicati incapaci di eseguire uno Squat coi pesi in quanto compiono solo “mezza accosciata”: semplicemente un’accosciata completa trasferirebbe la tensione sui glutei e femorali andando a perderla sul quadricipite, per questo loro durante la discesa andranno a frenare ed invertire il movimento prima che il quadricipite trasferisca la tensione sui posteriori della coscia e sui glutei.

Viceversa se siete principianti o intermedi e la vostra priorità non è lavorare nello specifico il dettaglio muscolare ma anzi è ottenere un’attivazione quanto più globale possibile potete benissimo optare per un’accosciata profonda o quantomeno sotto al parallelo (precisando che un’escursione completa “culo a terra” – ass to the grass – tipica dei pesisiti rimane davvero elitaria), in questo modo avrete un coinvolgimento locale di tutta la muscolatura delle cosce.

Squat a casa a corpo libero e squat con manubri

Molte ragazze e donne che non vanno in palestra possono provare ad eseguire lo squat a casa, magari con dei manubri o senza pesi (per approfondire vedi il nostro articolo per rassodare i glutei). Non potendo utilizzare un sovraccarico adeguato per rendere l’esercizio proficuo consigliamo due varianti.
La prima è un tabata squat, ovvero:

  • 20″ squat
  • 10″ recupero

Per 8-12 serie ovvero 4-6′ di lavoro totale. È importante cercare di scendere al parallelo e di eseguire quanti più squats possibili. Le ragazze veramente forti riescono ad eseguirne 20 in 20″, l’ideale sarebbe arrivare almeno alle 10 ripetizioni.

Un altro allenamento da fare con lo squat a casa è quello di impiegare 10″ per ogni ripetizione, si scende in 4″, ci si ferma in basso per 2″ e si risale in 4″. In questo modo si può cercare di antivertere bacino cercando di focalizzare il nostro lavoro sul gluteo.

Questi sono tutti espedienti per rendere più difficile lo squat quando non abbiamo a disposizione un bilanciere e ci troviamo ad allenarci a casa 🙂

Squats: come si eseguono i diversi tipi e varianti di squat?

Ci sono moltissime varianti di squats. In quest’ultima parte vedremo tutti i tipi di squat esistenti:

Front Squat: come si esegue?

La prima variante che è dovere citare è sicuramente la versione con bilanciere frontale, il Front Squat.

front squat

Quando ci si approccia allo Squat frontale la prima problematica che si incontra è sicuramente “l’incastro” del bilanciere sulle clavicole, la presa cosiddetta olimpionica è sicuramente la migliore ma impone un alto stress all’articolazione delle spalle e dei polsi mentre quella da BBer con le mani incrociate ci offrirà meno stabilità del bilanciere stesso: anche qua massima personalizzazione!
Il bilanciere tenuto in posizione frontale cambierà il centro di massa garantendoci una postura più verticale con il busto durante tutto l’arco di movimento e di conseguenza anche l’attivazione muscolare sarà diversa se paragonata al “Back Squat”: avremo un miglior coinvolgimento del quadricipite e un minor interessamento della zona lombare, di contro dobbiamo dire che le forze sul tendine del ginocchio saranno maggiori in questa versione.

Visto il vantaggio posturale descritto in precedenza, il Front Squat si addice ai soggetti alti o comunque con baricentro piuttosto alto. 

Hack Squat: come farlo in modo corretto?

La Hack Squat è una macchina che ci consente di eseguire un’accosciata in modo completamente guidato e vincolato: a differenze delle altre varianti, in questa, il bacino non è libero di muoversi nello spazio e di conseguenza saremo vincolati su tre punti ovvero i piedi, il bacino e le clavicole (su cui verrà posizionato l’attrezzo).

Questa sua particolarità ha ovviamente vantaggi e svantaggi, come sempre.
Tra i vantaggi troviamo un maggior isolamento del muscolo Quadricipite, inoltre essendo appunto vincolato ci permette di lavorare anche in sicurezza con la schiena e se volessimo tirare una serie “All-Out” come finisher la scelta di una Hack Squat è sicuramente più coerente di una Squat libero.
Tra gli svantaggi possiamo notare che questi vincoli inibiscono quasi del tutto la co-contrazione del femorale (ricordiamo che nelle accosciate si comportano come “tiranti” fungendo come legamenti che proteggono il ginocchio) e quindi la tensione sul tendine del ginocchio sarà molto alta.

Vista la sua natura l’hack squat si addice maggiormente a carichi moderati e TUT protratti per tempi medio-lunghi piuttosto che concentrarsi esclusivamente sul carico.

Squat al Multipower: vantaggi e svantaggi

squat multipower

Sullo Squat al Multipower – o Smith machine, come preferite – ne abbiamo sentite di ogni tipo, fino ad arrivare ai due estremismi quali “lo Squat al Multipower ti sega le articolazioni con le sue forze di taglio” oppure “è meglio di quello libero in quanto più sicuro essendo guidato”.

Ora non essendo un articolo sulla biomeccanica non saremo noi a dirvi quali delle due sia più veritiera, verificatelo sui testi più autorevoli e tiratene le somme.
Possiamo dire, però, che ha il vantaggio di poter variare leggermente l’esecuzione di uno Squat senza doverla per forza replicarla in modo fedelissimo a quella eseguita con bilanciere libero, ad esempio può garantirci una maggior verticalità col busto oppure può permetterci un’ampiezza dei piedi leggermente più stretta di quanto potremmo fare nello Squat libero, in modo da localizzare la tensione muscolare nei fasci che più che interessano.

Preciso inoltre che l’esecuzione non va del tutto snaturata rispetto allo Squat libero, se ci allontaniamo troppo da quella che è la nostra postura ed esecuzione “fisiologica” è naturale che andremo incontro a forze di taglio e stressor articolari negativi!

Sissy Squat: come farlo correttamente?

Il Sissy Squat non è altro che una Squat monoarticolare che fa perno sull’articolazione del ginocchio mentre quella dell’anca sarà praticamente ferma

Creiamo in pratica una Leg extension “al contrario” in cui si andranno ad invertire il punto fisso (tibia) ed il busto mobile (femori e busto).
L’esercizio è del tutto a carico dei quadricipiti creando un ottimo stimolo in allungamento, mentre i posteriori della coscia e i glutei saranno inibiti, oltre a coinvolgere in modo statico i flessori dell’anca quali il retto femorale (che è bi-articolare) e l’Ileo Psoas che ci permettono di mantenere la postura col busto.

Imponendoci un’inibizione della catena estensoria posteriore il Sissy Squat grava parecchio sull’articolazione del ginocchio di conseguenza consigliamo di eseguirlo solo ai soggetti a-sintomatici e comunque mai come primo esercizio ma con il tendine già ben caldo.

Squat Sumo: lo squat a gambe larghe

Lo Squat Sumo non è altro che uno Squat eseguito con un’estremizzazione dello stance dei piedi, andando ad allargarli oltre a quanto verrebbe naturale, ricordando appunto la posizione adottata dai lottatori da cui prende il nome stesso l’esercizio.

Questa variante è molto usata nell’allenamento femminile in quanto nel punto di massima profondità ci permette un maggior allungamento e di conseguenza una miglior attivazione dei muscoli adduttori.

Squat Bulgaro

Per completezza di informazione è doveroso citare anche il Bulgarian Squat, ma che non andremo a trattare in questo articolo ma lo vedremo nel dettaglio in quello dedicato agli Affondi ed alle relative varianti. Qui sotto trovi un ottimo video con lo squat bulgaro e altre varianti:

bulgarian squat

Conclusioni su come fare uno squat

In sintesi ci sono tanti tipi di squat, ognuno con i suoi vantaggi e svantaggi. La tecnica corretta di esecuzione di uno squat dipende quindi dall’obiettivo, dal tipo di squat e dall’individuo.

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Panca stretta per i tricipiti: come eseguirla correttamente

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tricipiti panca stretta

La Panca Stretta è uno degli esercizi multiarticolari utilizzati  per la stimolazione del muscolo tricipite in palestra. Ad oggi, frequentando un centro fitness medio, ciò che risulta ancora poco chiaro è quando deve essere stretta questa presa. Strettissima, a distanza di due pollici, larghezza spalle, le possibilità sono svariate e ognuna è associata alle più svariate teorie. Vediamo di fare un pochino d’ordine. Una rapida analisi biomeccanica delle varie possibilità di prese sul bilanciere presenti ad oggi in sala attrezzi permetterà di capire quale sia la migliore sotto tutti i punti di vista, dal beneficio muscolare a quello articolare.

Statisticamente, osservando con occhio esterno la sala pesi, l’esecuzione più frequentemente consigliata prevede una presa  molto stretta come trucchetto magico per stimolare maggiormente il tricipite, sia che si stia eseguendo una Panca Stretta appunto ma anche quando si è alle prese con i Push-up stretti. L’indicazione generale è quella di impugnare il bilanciere con le mani distanziate solo di due pollici oppure, se si eseguono dei Piegamenti, con le mani poste a terra a “diamante”.

panca presa stretta

Innanzitutto è bene iniziare a comprendere per quale motivo stringendo la presa vi dovrebbe essere un’intensificazione del lavoro sui tricipiti per non prendere sempre tutto come oro colato e iniziare a porre le basi per qualche importante riflessione. Dando per assodato come si esegue la Panca Piana classica, il piano di movimento interessato e i muscoli sono coinvolti, utilizzando una presa stretta, notiamo subito due cambiamenti:

  1. a mano a mano che stringiamo la presa, il piano di movimento si sposta da trasversale a sagittale e il movimento eseguito diviene più una flessione di spalla e meno un’adduzione orizzontale;
  2. il passo delle mani più stretto, aumenta la flessione del gomito in eccentrica e ciò fa aumentare le richieste di lavoro sul tricipite nell’atto di estendere il gomito.

panca stretta presa sbagliata

Il risultato di tale cambiamento va a comportare quindi una riduzione del lavoro sui fasci sterno-costali del pettorale (ma non sui fasci claveari che invece beneficiano della diminuita larghezza della presa) e un aumento di lavoro sul tricipite, che nella pratica si traduce in un drastico calo del peso potenzialmente sollevabile sul bilanciere (spostamento dell’onere del carico da muscoli grossi a muscoli più piccoli ad angoli di lavoro sfavorevoli). Stessa cosa accade nei Piegamenti sulle braccia con la sola differenza che il peso da spostare siete voi. Fin qui nulla da dire.

La domanda da fare a questo punto è una sola: quanto stretta questa presa? Ad ascoltare i fanatici dei Piegamenti a “diamante” sembrerebbe molto stretta, in sostanza con le mani quasi a contatto una sopra l’altra. Analizziamo per bene cosa accade con una presa così stretta, osservando in primis i risvolti dal punto di vista muscolare. Stringere eccessivamente la presa appare a prima vista uno stratagemma per aumentare la flessione di gomito in eccentrica e aumentare così l’attività del tricipite. Tuttavia non è da trascurare un fattore conseguente a questo: nell’atto di portare il bilanciere al petto, a un certo punto della discesa, se la presa è molto stretta gli avambracci verranno a contatto con il busto e i gomiti “spingeranno” in fuori. Ciò determina un cambio del piano di movimento dell’omero da sagittale a trasversale con un coinvolgimento maggiore del pettorale, una conseguenza che va nella direzione opposta rispetto a quelli che sono gli obiettivi reali dell’esercizio ovvero una stimolazione maggiore del tricipite.

Come se non bastasse qualche dubbio rispetto allo stringere eccessivamente la presa nasce anche se consideriamo il punto di vista della salute articolare. Lungi da me fare terrorismo ma nell’osservare una presa molto stretta si nota come polso e gomito siano tutt’altro che in linea tra loro e l’avambraccio è tutt’altro che perpendicolare al pavimento. Il tutto con i ringraziamenti del polso per le forze di taglio alle quali risponde prontamente, ma delle quali vorrebbe e potrebbe fare volentieri a meno.

Quindi? Quanto stretta questa presa? Quale compromesso ideale per attivare maggiormente il tricipite tutelando le articolazioni? La risposta la trovate nella larghezza della presa che riesce a correggere entrambi i difetti di quella precedentemente analizzata.

Una larghezza sicuramente soggettiva ma che deve appunto:

  • mantenere in asse gomito e polso e mantenere l’avambraccio perpendicolare al terreno durante la spinta del bilanciere o del vostro corpo;
  • impedire ai gomiti di “allargarsi” (abduzione orizzontale dell’omero) durante la discesa per preservare il piano sagittale che diminuisce l’intervento del pettorale e aumenta contemporaneamente quello del tricipite.

panca stretta tricipiti

La larghezza che permette tutto ciò è quella del vostro busto. Prima di impugnare il bilanciere o di posizionare le mani a terra verificate su voi stessi quanto larga sarà la presa. Ricordate comunque che la modalità a presa stretta attiva molto anche la parte alta del pettorale. Inoltre la traiettoria di spinta varierà leggermente rispetto a quella della panca classica in quanto, per permettere di mantenere polso e gomito in asse, il bilanciere dovrà necessariamente finire sotto i capezzoli di qualche centimetro. Tranquilli, tutto nella norma.

Alla Chest Press il problema non si pone, i supporti verticali sono già posizionati e non ci sono alternative nella larghezza da attuare: quest’ultima sarà comunque ottimale e non comporterà le problematiche che ho descritto sopra.

In definitiva il mio consiglio è di abbandonare i Piegamenti a “diamante” o le prese strettissime al bilanciere, per intenderci quelle che si consigliano spesso con la distanza di due pollici. Come visto si può fare di più e meglio per reclutare i tricipiti in sicurezza.

 

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Come mangiare prima di una gara

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Tratto dal capitolo VI, “Prepararsi alla battaglia”, del libro “300 INVICTUS”

Quante volte ci siamo chiesti: come dovrei nutrirmi il giorno stesso di una gara, di una partita, di un incontro, di più eventi nella giornata con impegno fisico differente?

Partendo dal presupposto che la fisiologia umana è universale, dobbiamo comprendere che la maggior parte degli sport come il calcio, la pallavolo, il rugby, il football americano, la pallanuoto, la MTB, il Judo, la Muay Thai, la boxe, così come il CF, hanno un minimo comune denominatore: un impegno dei sistemi energetici misto!

Tutti questi sport hanno delle componenti di resistenza, di forza e di rapidità, che devono essere espresse al meglio e per questo necessitano di un corretto apporto di nutrienti nei giorni precedenti e nella giornata stessa.

Il primo pasto: ἀκρατισμός

In antica Grecia la colazione, akratismos (in greco antico: ἀκρατισμός), era chiamata così perché per tradizione si inzuppava il pane d’orzo nel latte (akratos). Dalle elementari fino alla fine delle scuole secondarie superiori, ogni mattina mia nonna mi preparava una tazza di latte caldo con miele e caffè d’orzo, metteva ad abbrustolire il pane raffermo e poi lo spezzettava nella tazza. La fragranza che saliva per le scale fino al mio letto, il rumore del pane spezzato, il sapore del latte caldo e dolce, erano piccole emozioni domestiche che mi facevano sentire vicino a quei greci, immortali guerrieri, che si preparavano alla battaglia.

Spesso le gare cominciano di mattina presto, intorno alle 8:00-8:30, soprattutto quelle dove ci sono molti partecipanti e molti eventi durante la giornata, e questo senza dubbio pone un problema di non poco conto per l’atleta: e a che ora faccio colazione, alle 5:00?

Per ottimizzare l’assimilazione e la normalizzazione della glicemia bisognerebbe mangiare almeno 3-4 ore prima dal primo evento. In questo caso, per non togliere dell’importante sonno ristoratore al competitor, non lo faremo mai svegliare alle 5:00, ma piuttosto lo faremo dormire fino alle 6:30-6:45, e subito appena sveglio il suo pasto dovrà essere composto da un 70-75% di carboidrati, modesti lipidi e proteine almeno il 20-25% del totale calorico giornaliero (Costill e Miller, 1980). Dovrà essere facilmente digeribile, povero di fibre alimentari e sì, per i nostalgici fautori dell’indice glicemico, composto da alimenti ad alto indice glicemico proprio perché facilmente assimilabili.

Primo evento dalle ore 8:00 (sveglia 90-180 min prima)
  60-90 min prima 90-150 min prima
Proteine 0,4-0,55 g/kg
Proteine in polvere
(isolate o idrolizzate), aminoacidi
0,4-0,55 g/kg
Proteine in polvere
(isolate o idrolizzate); albumi d’uovo; affettati magri
Carboidrati 0,7-1,4 g/kg

Saccarosio, fruttosio, glucosio;
Vitargo®, amido di mais ceroso, ciclodestrine

0,7-1,4 g/kg
Frutta fresca ed essiccata; alimenti e prodotti amidacei con <2 g di grassi e fibra

Un esempio pratico su me stesso, 96 kg, 14% di BF. Ho una competizione in team questo fine settimana e il primo evento lo avrò alle 9:00 con chiamata in area warm-up alle 8:30. Io mi sveglio presto, di solito alle 6:00, perché amo fare le cose con calma e sono sempre in ritardo.

Mi alzo, mi preparo subito uno shaker con 50 g di whey idrolizzate (44-45 g di proteine nette) e me lo sorseggio mentre scendo le scale per fare colazione in albergo. Prendo almeno 4-5 caffè con miele, l’equivalente della moka che mi faccio a casa ogni mattina, rubo 12 gallette di riso o mais dal buffet, 1 banana grande e 40-60 g di marmellata di fragole e albicocche (perché mi piacciono).

Ad occhio dovrei aver totalizzato tra i 135 e i 140 g di carboidrati, di cui 40-45 di saccarosio e fruttosio. Colazione terminata alle 6:30 e ho tempo per un altro caffè, importante input per adempiere alle funzioni fisiologiche. Se avessi avuto il primo evento alle 8:00, molto probabilmente avrei preparato lo stesso shaker con dentro, oltre ai 50 g di whey idrolizzate, anche 100 g di Vitargo® (bono eh, pare sabbia!) e una banana grande o una porzione di frutta, oltre ai caffè. In questo modo sarei sicuro di poter digerire tutto con estrema facilità, 90-120 minuti nel primo caso e massimo 60 minuti nel secondo.

Fortunatamente, la ricerca e la pratica hanno dimostrato che anche un pasto liquido promuove la sintesi di glicogeno proprio come un pasto con fonti di cibo solide, quindi non dovremo preoccuparci se andremo avanti a shaker durante la giornata.

Se invece il mio primo evento è a più di 3-4 ore di distanza dal mio primo pasto, avrò modo di fare una colazione più corposa. Difatti, secondo Sherman e colleghi (1989), un pasto contenente ben 312g di carboidrati rispetto a 45 g o 156 g sembrerebbe migliorare la prestazione del 15% in eventi strenui ad alta intensità.

Ad ogni modo le linee guida rimangono le solite e, dato che è un giorno di gara in cui non dobbiamo sbagliare ciò che è possibile tenere sotto controllo, andremo comunque a fare un pasto pressoché povero di grassi (5-15 g al massimo) e abbondante in carboidrati:

Primo evento a 3-4 ore di distanza
Proteine 0,4-0,55 g/kg
Proteine in polvere (isolate o concentrate); albumi d’uovo e uova; affettati; carne o pesce; latte e latticini (yogurt greco)
Carboidrati 1-4 g/kg

Frutta fresca ed essiccata; alimenti e prodotti amidacei con <2 g di grassi e fibra

Grassi 5-15 g max
uova intere; noci e semi oleosi; latte e latticini

 Anche se è vero che per alcuni autori l’ingestione di 200-300 g di carboidrati non è necessaria se l’evento dura meno di 90 minuti, possiamo formulare, attraverso un ragionamento induttivo, un protocollo adatto ai competitor di sport come il CF, e oserei dire anche di tutti gli sport a impegno misto che necessitano di pronte energie per scattare lungo la fascia, saltare, girarsi in volo, schiacciare e calciare. Un pasto ricco ed abbondante in carboidrati, se non è stata fatta una giusta settimana di ricarica, è sicuramente auspicabile e assicurerà un’ottima performance all’interno della competizione. Ricordiamo che l’ossidazione degli amidi che hanno un alto contenuto di amilopectina (rispetto all’amilosio) avviene molto più rapidamente, per cui converrà utilizzare fonti come riso, gallette di riso o mais e pane bianco, anziché prodotti integrali con molta fibra.

Bene. Una volta fatto il primo pasto, usciremo dai nostri accampamenti e ci armeremo per affrontare il primo evento. Ma poco prima di iniziare cosa dovremmo fare?

Nel libro “300 INVICTUS” troverete tutto ciò di cui avrete bisogno per portare a termine con profitto la vostra battaglia!
La prevendita inizierà questo mese!

300 invictus

Articolo di Edoardo Tacconi autore del libro.

Bibliografia del capitolo

  • L’alimentazione per l’esercizio fisico e lo sport (Michelangelo Giampietro; 2005 © Il Pensiero Scientifico Editore)
  • Alimentazione e Nutrizione umana (Mariani Costantini, Cannella, Tomassi; Terza edizione; 2016 © Il Pensiero Scientifico Editore)
  • Fondamenti di Biologia (Solomon, Martin, Martin, Berg – VII edizione, © 2017 EdiSES s.r.l.)
  • Citologia e Istologia funzionale (Calligaro et altri – © 2005 Eli.Ermes s.r.l.)
  • Fondamenti di Biochimica (Voet, Voet, Pratt – IV edizione, © 2017 Zanichelli editore s.p.a.)
  • Endocrinologia clinica (Monaco; 2017 © SEU Roma)
  • Principi di fisiologia (Zocchi; 2012 © EdiSES)
  • Project Cross-Athlete (Riccaldi; 2017 © Project Invictus)
  • Project Nutrition (Biasci; 2015 © Project Invictus)
  • Project Diet – Vol. 1 e Vol. 2 (Esposito; 2017 © Project Invictus)
  • Essentials of Sports Nutrition and Supplements – International Society of Sports Nutrition (© Humana Press. LLC)
  • The art and science of low carbohydrate performance – (Jeff S. Volek, Stephen D. Phinney; © Beyond Obesity LLC, 2012)
  • The muscle and strength pyramid – Copyright: © 2015 by Eric Helms 
  • Alan Aragon’s Research Review (AARR) – Copyright © 2016 Alan Aragon
  • A guide to Flexible Dieting – Copyright: © 2005 by Lyle McDonald.
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