Quantcast
Channel: Project inVictus
Viewing all 1309 articles
Browse latest View live

Donne e pesi: 5 miti da sfatare

$
0
0

Donne e pesi

Vedere delle donne in sala attrezzi allenarsi con costanza e dedizione dà grandi soddisfazioni, sia in termini estetici che di performance.
Purtroppo, però, lo stereotipo della ragazza che se si allena con i pesi svilupperà gambe enormi e braccia troppo muscolose invade ancora la mente della maggior parte delle persone.

Vediamo quindi di sfatare alcuni falsi miti e dare una soluzione alle donne che desiderano un fisico tonico e asciutto.

5 miti sulle donne in palestra

Sollevare pesi fa diventare grosse

Questa è senza dubbio la paura più diffusa tra il pubblico femminile. Il timore di sviluppare troppa massa muscolare va in contrasto con il desiderio di diventare “toniche” . Spesso l’immagine della donna in sala pesi è associata alla figura delle bodybuilders (vecchio stampo), che per sviluppare quel fisico passano ore e ore ad allenarsi, seguono una dieta specifica e molto spesso assumono testosterone.

La verità è che sollevando pesi i nostri muscoli diventano più forti e più densi ma non necessariamente più grossi. Le donne, infatti, producono solo il 10% del testosterone di un uomo, il che ci dovrebbe già far capire come sia fisiologicamente più difficile, per la donna, aumentare la propria massa muscolare.

Differenze ormonali uomo donna

Noi donne dovremmo quindi imparare che i pesi non ci trasformeranno in uomini, ma che con un piano alimentare e di allenamento appropriato possiamo scolpire il nostro corpo come desideriamo.

Eliminare il grasso localizzato è possibile

Molte donne pensano di poter perdere grasso nelle zone critiche eseguendo esercizi mirati per quella zona. In realtà il nostro corpo accumula tessuto adiposo come è scritto sui nostri personali geni, purtroppo perderà inversamente il grasso, liberandosi per ultimo di quello ostinato. Ciò significa che molto probabilmente le zone del corpo con più grasso saranno le ultime a perderlo. L’allenamento mirato in quella zona non porterà il fisico a perdere grasso proprio lì, motivo per il quale, ad esempio,  fare 500 crunches al giorno non farà sparire la pancetta tanto odiata. La soluzione in questi casi è seguire una dieta sana e bilanciata, integrare se necessario con un multivitaminico o proteine ed allenarsi in sala pesi. Più massa magra avremo, più il corpo migliorerà il suo assetto metabolico.

Per perdere peso bisogna fare solo cardio

Correre, andare in bicicletta, fare zumba o aerobica sono un ottimo modo per tenersi attivi ma pensare che ci aiuteranno a costruire un corpo tonico e asciutto è un grave errore. Ogni attività ha un obiettivo diverso, se il desiderio è quello di divertirsi e bruciare qualche caloria la Zumba va benissimo, ma se l’obiettivo è quello di perdere grasso è bene che sapere che ci sono metodi molto più efficaci.

L’allenamento con sovraccarichi permette di perdere peso in modo più efficiente rispetto all’attività cardio. Allenandosi con i pesi le fibre muscolari vanno incontro ad un processo di rottura, al quale ne seguirà, nelle ore successive, uno di ricostruzione delle fibre stesse. Durante tutti questi processi il corpo necessita di calorie ed energia, anche quando l’attività fisica sarà conclusa. Ecco quindi spiegato perché più muscoli abbiamo e più veloce sarà il nostro metabolismo.

Il cardio resta comunque un ottimo allenamento per mantenere una buona salute del cuore, del sistema circolatorio e per bruciare calorie.

consumo calorico cardio

Una scheda di allenamento va bene per tutte

L’allenamento per le donne non è uguale per tutte ma varia in base agli obiettivi, alla genetica e alle preferenze di ognuna. Risulta quindi fondamentale affidarsi ad un esperto che sappia consigliare l’allenamento più adatto alle caratteristiche e preferenze di ognuno, creando un piano di allenamento mirato ai propri obiettivi personali.
Tutte perdiamo peso con un deficit calorico ma le ragazze ginoidi hanno benefici nell’alternare un esercizio per la perte inferiore del corpo, con uno della parte superiore. In questo modo si allenano e migliorano la circolazione.

Le donne devono allenarsi meno degli uomini

Uomini e donne hanno una genetica sicuramente diversa ma possiedono muscoli e sistema scheletrico identici, ragione per cui possono eseguire gli stessi esercizi in palestra. Bisogna però considerare che i due sessi presentano anche caratteristiche diverse: la donna, infatti, rispetto all’uomo, ha una percentuale di muscoli inferiore ed uno di massa grassasuperiore, una minore produzione di testosterone a favore degli estrogeni, che influenzano la capacità di sfruttare la potenza anaerobica ed una minore forza, soprattutto negli arti superiori. Sulla base di queste differenze, è possibile formulare programmi di allenamento adattati all’uno o all’altro sesso. Per esempio:

  • le donne subiscono meno il catabolismo muscolare
  • possono sopportare volumi di lavoro, in proporzione maggiori
  • soffrono l’intensità di carico
  • soffrono degli sbalzi calorici o di macronutrienti troppo drastici

Spero di non averti shockato con queste notizie, mi auguro invece che ti siano utili per trovare serenità nell’allenamento e motivazione per dare sempre il massimo.

Articolo della Dott.ssa Veronica Contratti

Laureata in Comunicazione e marketing, ho deciso di cambiare vita e inseguire i miei sogni, rendendo la mia passione il mio lavoro.
Dopo alcuni anni passati in palestra ad allenarmi ho iniziato a studiare e formarmi: oggi sono una Persoanl Trainer diplomata ISSA Europe, insegnante di Functional Training e sono la Coach di un gruppo di ragazze che fanno parte della mia community chiamata FIT POWER.
I miei contatti:
Lavoro a Brescia, alla palestra Old School Fitness

L'articolo Donne e pesi: 5 miti da sfatare proviene da Project inVictus.


Ipertrofia muscolare: la guida completa

$
0
0

ipertrofia muscolare

Che cos’è l’ipertrofia muscolare? Qual è l’allenamento migliore per l’ipertrofia? Come fare una scheda di allenamento per la massa? Quanti esercizi fare per gruppo muscolare? Quante ripetizioni per aumentare la massa muscolare?
Le risposte a queste domande e a tante altre le troverai in questa guida completa sull’ipertrofia, scritta da Marcello Delfitto.

Gli argomenti fino ad ora trattati sono:

  1. Ipertrofia muscolare: che cos’è e quando si verifica
  2. Quante ripetizioni devo fare per aumentare la massa?
  3. Quali parametri portano all’ipertrofia?
  4. Ipertrofia muscolare: carico interno o carico esterno?
  5. Quali esercizi scegliere per fare una scheda di allenamento?
  6. Ragioniamo sugli esercizi (extra)
  7. Multifrequenza o monofrequenza?
  8. Per l’ipertrofia è meglio usare il cedimento o il buffer?
  9. Sviluppare un gruppo muscolare carente
  10. Periodi di massa e definizione
  11. Ipetrofia nel bodybuilding e ipertrofia funzionale (extra)
  12. Conclusioni sull’ipertrofia: consigli pratici

 

Scarica la guida in formato PDF

Ipertrofia muscolare: che cos’è e quando si verifica

bodybuilding natural

SIGNIFICATO: ipertrofia muscolare – ovvero l’aumento del volume delle cellule che compongono un tessuto – è un adattamento del sistema biologico-fisiologico (nel nostro caso del sistema muscolare) e si verifica quando un muscolo raggiunge un diametro maggiore o una maggiore sezione trasversale[1].

All’interno della cellula l’ipertrofia muscolare avviene sia per un aumento di numero e di dimensioni delle proteine contrattili actina e miosina (ipertrofia miofibrillare) sia per un aumento del volume del sarcoplasma (ipertrofia sarcoplasmatica) cioè la componente non contrattile del muscolo[2].

Lo spostamento dei limiti di funzionalità del sistema stesso e quindi il miglioramento della prestazione – grazie all’allenamento contro resistenze – si manifesta gradualmente nel tempo; nel caso specifico del bodybuilding l’aumento della massa muscolare non si realizza come risposta istantanea allo stimolo meccanico (il carico), ma al contrario grazie all’accumularsi di sovraccarichi continui nel tempo che si tradurranno in un complesso di variazioni fisiologiche, biochimiche ed ormonali[2].

Tra i fattori che scatenano una risposta ipertrofica da parte dell’organismo ricordiamo in particolare:

  • il lavoro meccanico dentro la serie;
  • il T.U.T;
  • le contrazioni eccentriche;
  • l’abbassamento delle riverse di fosfati e di ATP [3];
  • il danno muscolare (micro-lesioni tissutali);
  • lo stress metabolico con il conseguente innalzamento dell’acido lattico.

A questi fattori – determinati dall’allenamento – possiamo aggiungere il ruolo chiave dall’alimentazione attraverso un ottimale rifornimento di glucosio ed aminoacidi oltre ad una corretta idratazione.

Poiché questi adattamenti – come specificato prima – si realizzano in tempi lunghi l’organizzazione dell’allenamento sul lungo periodo risulta fondamentale per raggiungere determinati risultati; qui nasce la necessità di una periodizzazione e ciclizzazione degli stimoli allenanti perfettamente organizzata, che risulterà sicuramente più efficace di una combinazione casuale di tante metodologie differenti.

Fisiologia ipertrofia muscolare
Fisiologia e biochimica dell’ipertrofia muscolare

Ecco come eseguire la Lat Machine e quali accorgimenti adottare a seconda della presa, i particolari che dovete assumere (postura, linee di forza) per eseguirla correttamente.

Le trazioni alla sbarra sono un esercizio simile alla lat machine, ma funzionalmente migliore, per via dell’attivazione dei muscoli stabilizzatori. Ecco come farle.

Quante ripetizioni devo fare per diventare grosso? 

ipertrofia scheda

Un principiante quando si affaccia all’allenamento con i pesi si chiede quale sia il range di ripetizioni più proficuo per ricercare l’ipertrofia muscolare. Questa domanda si scontra con tantissime scuole di pensiero in merito all’argomento spesso discordanti.

Vediamo ora di fare un po’ di chiarezza analizzando tutti i vari range.

Nell’allenamento per l’ipertrofia per i soggetti con poca anzianità di allenamento alle spalle sono sconsigliati gli allenamenti ad altissima intensità – cosiddetti di forza pura – nell’ordine del 90-100% del massimale. Una serie portata a cedimento con tali carichi consentirebbe circa 1-4 ripetizioni e si interromperebbe per esaurirsi dell’impulso nervoso alle unità motorie (non essendo più in grado il SNC di mantenere frequenze elevatissime) mentre l’ATP disponibile viene solo parzialmente utilizzato.

Questa tipologia di stimolo – stressando molto il sistema nervoso e poco il muscolo – non è l’ideale per aumentare il volume muscolare soprattutto per chi ha una scarsa attivazione delle unità motorie.

Un riscontro differente lo troviamo negli allenamenti con ripetizioni leggermente più alte. I carichi nel range del 5-8RM oltre ad aumentare significativamente la forza sub-massimale determinano un reclutamento completo delle unità motorie (vedi la legge di Henneman) attivando anche le fibre più profonde senza stancare eccessivamente il SNC; possiamo quindi ritenerlo un range molto proficuo in quanto è ottimale sia all’aumento della massa contrattile sia al miglioramento della performance.

Nonostante – come precisato prima – con tali carichi (≥75%) si reclutino tutte le fibre spesso nel bodybuilding si ricerca l’esaurimento muscolare non per reclutare di più ma per stancare più fibre possibile (differenza tra reclutamento e sfinimento) e questi carichi non stancano abbastanza le fibre più resistenti allo sforzo quindi saranno necessari anche allenamenti con carichi più moderati ma protratti per tempi più lunghi.

Non è un caso che la pratica più comune nell’allenamento per la scheda per l’ipertrofia vede il range delle 8-12 ripetizioni il più produttivo; in effetti questa credenza si basa anche su riscontri scientifici: è stato dimostrato che il miglior compromesso tra intensità (percentuale di carico in base all’1RM) e time under tension si verifica proprio con le serie da 10 ripetizioni circa (10RM)[3] in quanto questa tipologia di stress provocherebbe un perfetto connubio tra innalzamento dell’acido lattico e danno muscolare traducendosi quindi in una maggior risposta ipertrofica.

Va però ricordato che anche carichi relativi a basse intensità (60% 1RM – circa 20RM) sono sufficienti per attivare anche le fibre di tipo 2b[4] e riuscirebbero quindi a generare un aumento della massa contrattile (mio-cellule)[5] oltre ad aumentare l’ipertrofia del sarcoplasma che è determinata dall’esaurimento del glicogeno muscolare e dalla successiva super compensazione grazie al surplus di zuccheri.

Altre evidenze dimostrano come anche carichi ancora più bassi (30% 1RM) se protratti per tempi lunghi (fino a 200 secondi di T.U.T.) e portati al cedimento muscolare completo riescono allo stesso modo a stimolare l’ipertrofia miofibrillare[6] oltre alla sintesi di mitocondri[5].

In sintesi possiamo affermare che non è corretto attribuire uno stimolo allenante più all’ipertrofia del sarcoplasma piuttosto che alla massa contrattile o viceversa; è vero che all’interno della cellula si realizzano due processi differenti e quindi – nella teoria – è giusto diversificarli ma nella pratica questi due adattamenti avverranno sempre contemporaneamente, magari ne stimoleremo più uno rispetto all’altro, ma sempre entrambi.

Quindi alla domanda “quale range di ripetizioni devo allenare per diventare grosso?” la risposta è davvero banale: tutti!

Quali sono gli stimoli e i fattori che portano all’ipertrofia?

Se l’ipertrofia muscolare è – come detto prima – un adattamento ad uno stimolo, quest’ultimo va ciclicamente variato (periodizzazione) per far sì che il nostro sistema non si abitui al solito tipo di stress.

Ovviamente la maggior mole di lavoro nel macro-ciclo verrà dedicata all’allenamento di quella tipologia di forza che è più produttiva per il nostro scopo ovvero la forza ipertrofica-resistente cioè quella forza che si sviluppa da un minimo di 5-6 ad un massimo di 12-15 ripetizioni con il massimo carico eseguibile; ma nulla vieta – anzi sarebbe errato non farlo – che la programmazione annuale preveda anche delle “sfumature” allenanti, dalle sedute di forza ad alta intensità con buffer fino al più estremo allenamento lattacido al limite della sopportazione, allenando così in modo specifico ogni componente del muscolo.

Una volta appurato che il muscolo vada colpito con “pallottole ad ampio spettro” nasce la necessità di una programmazione ottimale del macro-ciclo facendo in modo che comprenda tutte le varie tipologie di lavoro (meccanico, metabolico e ormonale); generalmente questi diversi stimoli allenanti vengono applicati durante il macro-ciclo variando di programma in programma il tipo di stress che diamo al sistema (concentrandosi più volume, più sull’intensità ecc.), oppure in occasioni particolari i diversi stimoli possono essere forniti anche all’interno dello stesso meso-ciclo (metodo olistico di Hatfield)[7].

I parametri che influenzano l’aumento della massa muscolare;
Area: meccanica, metabolica, ormonale ed alimentare.

panca piana palestra

Ci  sono quattro aree principali attorno a cui ruota l’ipertrofia muscolare. Ognuna va curata e sviluppata per ottenere il massimo del risultato. A queste va aggiunto il riposo, parametro di cui discuteremo successivamente.

Lavoro Meccanico

Il primo passo per compiere un buon lavoro meccanico è utilizzare un carico che attivi quasi tutte le unità motorie(≥75% 1RM). Grazie a questi carichi, con un lavoro protratto tra le 6-12 ripetizioni ed una buona enfasi delle contrazioni eccentriche, si verificherà il danno muscolare (rottura dei sarcomeri, micro-lesioni tissutali, ecc.), processo indispensabile per attivare la crescita muscolare.

Lavoro Metabolico

Il carico utilizzato non deve essere ne troppo intenso ne troppo leggero, e deve permettere l’aumento della concentrazione di acido lattico (per somma delle serie con recuperi incompleti) che indica un severo abbassamento del CP (creatin-fosfato) locale del muscolo allenato.

Parallelamente a questo si verifica un aumento della glicolisi che comporterà una diminuzione della potenza erogabile nell’esercizio nonché la completa congestione del muscolo impegnato nel lavoro fino al punto di bloccare ed impedire completamente la contrazione (cedimento concentrico).

Questo stress determinerà uno svuotamento locale del glicogeno (fino ad un 30~50% del muscolo utilizzato) e grazie alla dieta avverrà la super-compensazione del glicogeno contenuto nella fibra e dell’acqua che lo accompagna nella proporzione di 1g/2,7g tra glicogeno ed acqua.

Area ormonale

Sappiamo che all’allenamento con i pesi è associato un aumento della secrezioni di alcuni ormoni (tra i principali Testosterone, GH, IGF-1, Miostatina, Costisolo ed Insulina); questi ormoni giocano un ruolo importante nella risposta ipertrofica, aumentando la probabilità di interazioni recettoriali facilitando quindi il metabolismo proteico e la conseguente crescita muscolare.

Nonostante questi ormoni dovrebbero influenzare direttamente la risposta anabolica in seguito all’allenamento coi pesi, molti ricercatori hanno confermato che le variazioni ormonali date dall’esercizio si verificano solo per un breve periodo nel post-workout e non sono quindi sufficienti per permettere guadagni rilevanti di massa magra. Questi ormoni sono anabolici solo nell’infanzia e nella pubertà oppure in dosi sovra-fiosiologiche (ma qui si esce dal campo del Natural BBing).

Influenza alimentare

Infine è bene precisare che anche la sola alimentazione può stimolare la sintesi proteica, anche se per un breve lasso di tempo, grazie a pasti comprendenti una buona dose d’energia e di aminoacidi essenziali.
Si intuisce che anche l’alimentazione sarà un tassello fondamentale se l’obbiettivo è la crescita muscolare.

Parametri ipertrofia muscolare

Ipertrofia muscolare: carico esterno o carico interno?

sviluppo muscolare

In letteratura per intensità nell’esercizio con i pesi si intende la percentuale di carico adottata in base all’ 1RM (one repetition maximum).

Ora – in questa parte – proviamo un attimo ad allontanarci da questa definizione scientifica e consideriamo l’intensità di un allenamento come il “livello” di sforzo, di fatica o di difficoltà e non come la percentuale di carico che utilizziamo rispetto al nostro massimale.

Se volessimo aumentare l’intensità dei nostri allenamenti cosa potremmo fare? La prima cosa che viene in mente è sempre quella di aumentare il carico sugli attrezzi, ma va sempre bene? Funzionerà all’infinito? Ovviamente, no.

Nell’allenamento con sovraccarichi ci sono tantissimi parametri su cui potremmo “giocare” per migliorare ed aumentare l’intensità allenante, perché fossilizzarsi solo su uno di essi? Sì, sicuramente il carico è molto importante come parametro ma va sottolineato che – al fine di ottimizzare i risultati – è fondamentale “mixare” e ciclizzare sul lungo periodo tutti i vari parametri:

  • il volume allenante;
  • il recupero tra le serie;
  • il TUT (time under tension);
  • la velocità di contrazione (speed of movement),
  • la frequenza degli allenamenti;
  • la variazione dell’angolazione di lavoro;
  • il carico.

Ricordiamo inoltre che chi punta sempre e solo su quest’ultimo – per diventare realmente più forte – deve sì aumentare il peso sugli attrezzi, ma contemporaneamente deve lasciare invariati gli altri parametri descritti in precedenza e soprattutto deve mantenere la corretta tecnica d’esecuzione senza eventuali scompensi tecnici.

Se – ad esempio – aumentando il carico esterno di 10Kg eseguiamo un T.U.T. di 10″ più breve rispetto a prima (a parità di ripetizioni) ed inoltre tecnicamente ci scomponiamo andando a “rubare” gli ultimi preziosi centimetri del R.O.M., il carico interno non è realmente migliorato, anzi probabilmente è sceso mentre il carico esterno risulta comunque più alto.

Va precisato – inoltre – che la forza è il primo parametro che va incontro al cosiddetto stallo; vien da se capire che è meglio concentrarsi anche sugli altri parametri al fine di ottimizzare i risultati nel tempo e ricercare le nostre soddisfazioni anche in altro, e per fortuna nel Bodybuilding c’è molto altro.

Una delle più grosse difficoltà che ho riscontrato è lavorare con chi vuole a tutti i costi essere forte, usando carichi ingestibili e pessime tecniche d’esecuzione spostando così il lavoro su altri gruppi muscolari sinergici e creando tensioni interne irrilevanti sul muscolo bersaglio.

C’è una differenza abissale tra “essere forti” e “voler essere forti” e quest’ultimo credo sia uno dei più grossi limiti per chi vuole realmente migliorarsi.
Ecco, in questi casi il programma inteso come “scheda” fa davvero poco la differenza – anzi – non ha alcun potere. Occorre imporre a chi si sta allenando di focalizzarsi principalmente sulla tecnica d’esecuzione fregandosene del resto.

Siete stallati nell’aumento dei carichi? Giocate coi recuperi e miglioratevi fino al punto che il riposo tra le serie sarà tanto basso che una volta che tornerete ai tempi di recupero precedenti i carichi aumenteranno di conseguenza. Ma questo è solo uno dei tantissimi esempi.

In definitiva possiamo affermare che l’importante durante un certo percorso è migliorare la performance perché solo così i vostri muscoli continueranno a crescere e non si adatteranno allo stesso stimolo (principio del sovraccarico continuo); per aumentare la performance sono davvero tanti i parametri su cui sbizzarrirci e su cui cercare di migliorarsi per alzare l’intensità del nostro allenamento senza – per forza – impuntarsi sempre e solo sul peso. Il Bodybuilder cerca l’aumento del carico interno a volte anche a discapito di quello esterno, ricercando particolari sensazioni e focus sul muscolo allenato. Il messaggio da portare a casa è che carico esterno e carico interno sono due cose differenti.

Quali esercizi scegliere per l’ipertrofia muscolare? Come fare una scheda di allenamento per l’ipertrofia?

scheda ipertrofia muscolare

In palestra c’è una varietà d’esercizi a disposizione, macchinari, cavi, bilancieri e manubri offrono una vasta scelta. Su quali concentrarsi e perché?

Esercizi multi-articolari per l’ipertrofia

Gli esercizi su cui andrebbe speso più tempo – in particolare per gli atleti non avanzati – per ottenere un miglior guadagno di massa magra sono gli esercizi ad ampio coinvolgimento muscolare cioè i multi-articolari; questi esercizi si sono dimostrati più produttivi delle altre tipologie di esercizi (mono-articolari, unilaterali o a catena cinetica aperta) andando ad aumentare la forza, attivando in maniera globale e non locale la muscolatura e promuovendo così una maggior produzione degli ormoni anabolici[8].

Questi esercizi sono detti anche “base” perché rispondono a numerose esigenze:

  • possibilità di utilizzare carichi importanti nel tempo;
  • possibilità di impostare il corpo in posizioni e posture controllabili di sicurezza;
  • lavorare su ampie catene cinetiche.

Possiamo confermare che questi esercizi sono i più indicati per chi si è affacciato da poco all’allenamento con i pesi e quindi per chi sta ricercando più una costruzione “generale” della corporatura piuttosto che il lavoro nel dettaglio del muscolo.

Gli esercizi multi-articolari liberi con bilancieri o manubri si addicono di più ai range di ripetizioni bassi e medio-bassi in cui è preferibile non lavorare sempre a cedimento (in particolare chi non ha uno schema motorio ancora consolidato); questo perché tali esercizi richiedono un grosso impegno del SNC oltre ad una buona coordinazione intra ed inter-muscolare e andare “oltre” con il numero di ripetizioni comporterebbe il rischio di sporcare eccessivamente il gesto tecnico sovraccaricando le articolazioni.

Se eseguiti bene prevedono traiettorie fisiologicamente più naturali ma con lo svantaggio di limitare la tensione muscolare soltanto ad una parte del R.O.M.

Il discorso cambia se parliamo di macchine ed esercizi guidati. Pur scegliendo macchinari di ultima generazione la traiettoria del movimento non sarà mai quella che faremmo in un movimento “libero”, c’è quindi un potenziale rischio di stressare eccessivamente le articolazioni interessate ma con il vantaggio di avere una tensione costante in tutto l’arco di movimento; in questi casi è preferibile non utilizzare carichi elevati ma piuttosto ricercare l’intensità in altri parametri come tensione continua, contrazione di picco, ecc. lavorando su range medi e medio-alti di ripetizioni e anche a cedimento muscolare.

Ci teniamo tuttavia a precisare che nonostante vada dato ampio spazio – come detto prima – agli esercizi pluri-articolari per la costruzione di nuovo tessuto muscolare, questi esercizi non devono essere per forza i cosiddetti “3 fondamentali” ma anzi dovranno essere cuciti sulle individualità della persona.

Non sta scritto da nessuno parte che dobbiate fare la panca piana piuttosto delle spinte con manubri! Anzi…

Per concludere, nel Bodybuilding non esistono esercizi ne fondamentali ne insostituibili, esistono esercizi che – su un determinato soggetto – funzionano più di altri ma vanno sempre scelti in base alle determinate caratteristiche della persona.

Esercizi mono-articolari per l’ipertrofia

Gli esercizi mono-articolari detti anche “di isolamento” hanno lo scopo di colpire il muscolo nel dettaglio.

Il termine isolamento è un argomento molto delicato in questo settore perché fa scontrare diverse scuole di pensiero, chi sostiene che non è possibile isolare completamente un muscolo (e sulla carta quest’affermazione è vera e dimostrata) e chi ritiene di poter isolare anche la sezione clavicolare del gran pettorale durante una panca inclinata.

Cerchiamo di capire se si può realmente isolare e come si potrebbe fare nell’atto pratico.

Gli esercizi di isolamento permettono – grazie ad esecuzioni ricercate, a contrazioni di qualità e ad un focus particolare sull’agonista che ne migliorerà l’attivazione[9] – di mettere fuori gioco in maniera totale o in maniera dinamica molti di quei muscoli che negli esercizi multi-articolari interverrebbero come sinergici o come stabilizzatori.

In altre parole isolamento nel bodybuilding significa che la maggior parte del carico interno sarà indirizzato al muscolo target e non spostato erroneamente sui sinergisti e stabilizzatori.

Un altro fattore che determina la qualità dell’attivazione di un muscolo durante un esercizio di isolamento è il pre-stiramento dello stesso, ovvero partire in una posizione con il muscolo già allungato.

Questa tecnica permette un maggior isolamento di un determinato gruppo muscolare rispetto agli altri muscoli ausiliari in quanto un muscolo pre-stirato è in grado di generare una maggiore forza (ricordiamo che il muscolo è un grande elastico); il pre-stiramento porrà maggior enfasi sul capo pre-allungato ed è praticabile solo su i gruppi muscolari dotati di capi bi-articolari (esempio il capolungo del bicipite e del tricipite, gli ischio- crurali, il gastrocnemio ecc.).

Gli esercizi mono-articolari si addicono di più ai range di ripetizioni alti e medio-alti con recuperi brevi tra i set, per lavorare il muscolo nel dettaglio e per ricercare il massimo congestionamento locale; l’uso degli esercizi di isolamento dovrebbe essere modesto – come detto prima – nelle fasi di costruzione e massa generale per poi aumentare durante le fasi di definizione per esaltare al massimo le qualità del muscolo.

Ottimi inoltre per eseguire la tecnica del pre-affaticamento ovvero precedere l’esercizio multiarticolare con un esercizio di isolamento (in genere con medio-alte ripetizioni) per far sì che il muscolo pre-affaticato sia il primo a congestionarsi nell’esercizio pluri-articolare e non i sinergisti.

Che cosa conta, quindi, in una scheda di allenamento per l’ipertrofia?

La stesura di un programma di allenamento dovrebbe prevedere:

  • una buona mole di lavoro derivante dagli esercizi “base”;
  • una parte di esercizi a catena cinetica aperta che permettano di localizzare più facilmente il lavoro facendolo in tutta l’ampiezza dell’angolo articolare;
  • eventuali esercizi che correggano problemi posturali;
  • esercizi che lavorino direttamente sui muscoli carenti.

Inoltre possiamo aggiungere che il numero di esercizi presenti nel programma dipenderà dall’obbiettivo di quest’ultimo, riducendo gli esercizi all’essenziale nei meso-cicli più finalizzati alla forza ed aggiungendone nei programmi con scopo l’ipertrofia muscolare.

Ragioniamo sugli esercizi per l’ipertrofia

Ciò che non mi serve, mi pesa.” MADRE TERESA

Gli esercizi in palestra non sono tutti uguali, alcuni riguardano pochi muscoli e solo un’ articolazione. Il loro movimento di solito è curvilineo (curl bilanciere) e vengono definiti MONOARTICOLARI. Questi sono i classici esercizi per la riabilitazione , per le seghe, o per gli amanti del bodybuilding.

Ci sono poi altre alzate, che richiamano intere catene muscolari, più articolazioni e di solito il bilanciere si sposta lungo traiettorie rettilinee. Questi vengono definiti esercizi MULTIARTICOLARI. Richiedono un impegno neurale maggiore ed hanno una complessità motoria più elevata. Poi per carità un ginnasta riderà sempre di voi se gli dite che è un esercizio complesso.

muscoli a corpo libero

La differenza principale tra i due è che i primi cercano d’isolare i muscoli , i secondo invece fanno lavorare in sinergia agonisti ed antagonisti in quella che in fisiologia viene chiamata co-contrazione (ne parleremo in modo specifico in un altro articolo).

L’effetto dei multiarticolari è triplice:

  1. Insegnano al corpo a coordinarsi sotto carico, non imparate solo a spostare un sovraccarico ma apprendete a governare correttamente il vostro corpo contro delle resistenze esterne. Questi esercizi sviluppano sia la massa muscolare sia la coordinazione.
  2. Permettono di spostare grossi sovraccarichi andando a reclutare così molte fibre muscolari. Più è elevato il carico più fibre lavorano e più diventerete forti
  3. Hanno risposte ormonali sistemiche maggiori. L’allenamento produce sempre degli adattamenti locali, tuttavia più tutto il corpo lavora e più tutto il sistema riesce a beneficiare degli effetti ormonali.

I monoarticolari possono essere visti come esercizi di rifinitura. Ai fini ipertrofici anche l’allenamento settoriale è importante perchè le risposta cellulare (recettori di membrana) è sempre specifica. Fare curl coi manubri aumenta l’anabolismo del bicipite brachiale, cosa che per esempio le trazioni alla sbarra fanno molto più superficialmente (dipende poi anche dalla vostra genetica).

Chi ricerca un’ipertrofia funzionale dovrà dedicare almeno il 75% del tempo all’allenamento dei grandi multiarticolari, preoccupandosi meno degli esercizi settoriali. Questo vi permetterà di concentrare le energie per gli esercizi più importanti, i quali apportano più transfer e benefici.

Piuttosto che fare: 2 serie di squat, 2 di pressa,2 d’affondi , 2 di leg extention e 2 di leg curl , preoccupatevi di farne 10 di full squat.

La risposta ipertrofica sarà allo stesso modo importante, e il vostro livello atletico sarà 10 volte più sviluppato.

Insomma potete continuare ad essere dei cazzoni da palestra, oppure potete iniziare a fare un’attività fisica degna di questo nome e potete iniziare a riscoprire il vostro corpo.

Per l’ipertrofia muscolare è meglio la multifrequenza o la monofrequenza?

allenamento ipertrofia muscolare

La frequenza è un altro dei tasselli – insieme a volume, intensità ecc. – attorno a cui dovrebbe ruotare una buona programmazione del macro-ciclo.

Le tipologie di allenamento si suddividono principalmente in due: la multifrequenza che prevede la distribuzione degli stimoli allenanti in più episodi settimanali e la monofrequenza che ricerca il massimo esaurimento localizzato durante il singolo workout.

Multifrequenza

Nonostante molte caratteristiche degli allenamenti ad alta intensità e poco frequenti si rivelano essenziali in un percorso di bodybuilding per innescare particolari meccanismi di crescita, questi protocolli non risultano fisiologici se adottati per lunghi periodi e qui nasce la necessità di distribuire il volume allenante in più episodi settimanali.

La pratica di suddividere gli stimoli allenanti durante la settimana – chiamata appunto multifrequenza – prevede generalmente tabelle full body oppure split A-B-A1-B1 in cui lo stesso muscolo viene allenato 2-3 volte durante la settimana (ad esempio, al posto di completare 15 serie per lo stesso gruppo una volta alla settimana potremmo farne solo 5 ma per 3 volte nell’arco di 7 giorni).

Questa tipologia di allenamento predilige il buffer, la ripetitività del gesto tecnico e generalmente un aumento lineare dei carichi di lavoro durante il programma; grazie a queste caratteristiche la multifrequenza è l’ideale per atleti principianti ed intermedi (ma si può benissimo adattare anche per avanzati) perché riusciranno più facilmente a migliorare le prestazioni nel lungo termine in quanto ripetere lo stesso schema motorio più volte a settimana migliorerà la forza nei range più produttivi.

Bisogna inoltre tener presente che lo stimolo indotto dall’allenamento aumenta la sintesi proteica per un tempo limitato cioè non più di 36-48 ore post esercizio[10] per poi calare e ritornare alla normalità, nasce un ulteriore vantaggio nell’allenare più volte a settimana lo stesso apparato muscolare: così facendo riusciremo ad alterare la sintesi proteica – aumentandola – durante tutta la settimana.

L’assenza o quasi del cedimento concentrico – tipico delle split routine – oltre a mantenere più fresco ed efficiente il SNC contribuisce ad affinare ulteriormente la tecnica d’esecuzione degli esercizi, togliendo le ripetizioni che sarebbero sporcate da un livello eccessivo di stanchezza.

La multifrequenza – a differenza della mono – non ricercherà il danno muscolare e l’esaurimento delle riserve del muscolo all’interno del workout ma funzionerà per “accumulo, cioè grazie all’accumularsi di una grande mole di volume e tonnellaggio che tramite una buona programmazione vi faranno superare il vostro limite precedente.

Monofrequenza

Generalmente la split-routine viene attribuita all’allenamento per eccellenza nel bodybuilding anche perché il cedimento ed esaurimento del muscolo target per il soggetto poco esperto sono sicuramente sinonimo di buon allenamento.

Ora gli accaniti sostenitori della multifrequenza si attacchino alla sedia, perché la verità è che anche la monofrequenza – se inserita intelligentemente in una programmazione annuale – può essere produttiva; non sempre e soprattutto non per tutti, questo è vero e non possiamo non ammetterlo, ma per alcuni può funzionare.

Direte “come?”, ma rifletteteci un attimo, prima dell’avvento di internet e tutte le relative informazioni sul settore negli ultimi decenni nelle palestre si è praticata “ignorantemente” sempre e solo la monofrequenza; il fitness ha spinto alla suddivisione dei distretti muscolari e – di conseguenza – ad adottare intensità elevate portando generalmente al limite ogni serie ricercando un esaurimento localizzato dell’apparato muscolare allenato.

Non sarebbe assolutamente vero se dicessi che i risultati arrivavano sempre e neanche sarebbe corretto dire “facciamo così perché si è sempre fatto così”, ma se questa tipologia – oggi tanto criticata – è stata il cardine degli allenamenti per parecchi anni (ricordo che è tutt’oggi usata da molti nel pre-gara) è perché evidentemente ha prodotto dei risultati concreti e vorrà dire che – su alcune tipologie di soggetti con determinate caratteristiche – può funzionare.

La monofrequenza per essere efficace richiede di saper mantenere delle intensità elevatissime e tensioni interne altrettanto elevate per tutta la durata del workout, e la chiave per farlo non è solo una questione di fegato, il cosiddetto “mettercela tutta” alla “no pain no gain”, ma avere già come base un’ottima attivazione neurale e un relativo reclutamento delle unità motorie fuori dalla media (e di conseguenza un buon livello di forza) per dare “tutto e subito”.

Esempio, Tizio ha una scarsissima attivazione e gli proponiamo di allenarsi in monofrequenza: nonostante lui dia il suo 101% durante la seduta ed esca esausto dalla sala pesi, questo non vuol dire che abbia espresso davvero il suo vero massimo potenziale, anzi, al contrario non avrà fatto altro che stancare ulteriormente la sua – già scarsa – centralina cioè il sistema nervoso creando tensioni muscolari interne poco rilevanti e non produttive, in altri termini si sta sottoallenando.

Possiamo ritenere la monofrequenza pura (quindi senza richiami) un allenamento adatto per atleti avanzati o comunque per soggetti già dotati di un SNC molto efficiente con un ottimo reclutamento delle U.M. ed un buon livello di forza, quindi adatto per una piccolissima parte degli utenti delle sale pesi e non per chi si è appena affacciato al bodybuilding.

Questa tipologia di allenamento ha il vantaggio di poter lavorare di più sui dettagli muscolari grazie all’utilizzo di vari esercizi di isolamento e si addice di più verso le ultime fasi del macro-ciclo nei periodi cosiddetti di “definizione” per esaltare al massimo i dettagli muscolari, ma va precisato che anche per questi periodi non è per tutti.

In sintesi

Mentre la multifrequenza fa perno sul volume allenante settimanale (totalizzandone di più rispetto alla mono) allenando lo stesso distretto più volte durante la settimana,
la monofrequenza farà leva sull’intensità nel singolo allenamento con eventuali tecniche (rest pause, stripping, eccentriche ecc.) andando a ricercare la massima congestione locale del muscolo allenato.

Queste caratteristiche confermano che la multi si addica di più ai non esperti mentre la mono agli atleti avanzati.

Concludendo, nel Bodybuilding nessun allenamento va scartato ma va sempre contestualizzato in base al soggetto da allenare e al periodo del macro-ciclo che si dovrà affrontare.

Una proposta dall’allenamento che fonde i due principi è racchiusa nell’articolo sul

P.H.A.T Power Hypertrophy Adaptive Training

Per l’ipertrofia è meglio usare il cedimento o il buffer?

Ecco un video interessante per avere la risposta a questa domanda:

Ipertrofia per i gruppi muscolari carenti: schede di allenamento per la massa

ipertrofia muscolare a corpo libero

Nell’introduzione del paragrafo relativo alla frequenza avevamo detto che le tipologie sono principalmente due (multi e monofrequenza); ho usato “principalmente” perché a queste potremmo aggiungere una terza opzione ovvero la “frequenza mista”.

Per frequenza mista si intende una frequenza allenante differente tra i vari gruppi muscolari, questa alternativa è ottima per specializzare – ovvero migliorare – i punti carenti adottando per questi gruppi una frequenza più alta e una conseguente mole di lavoro maggiore, abbassando – al contrario – la frequenza e il volume nei nostri punti forti. 

Va precisato che in caso di specializzazione di un gruppo muscolare carente occorre ridurre la mole di lavoro per gli altri distretti, facendo in modo di non allenarsi e stancarsi eccessivamente anche quando si allenano i gruppi già forti, preservando le energie e per permetterci quel più di intensità quando alleneremo il nostro punto debole.

Senza addentrarci troppo nella teoria passiamo subito a qualche esempio pratico.

Scheda allenamento per l’ipertrofia delle gambe:

Specializzazione gambe

P → Allenamento pesante con eventuali tecniche di intensità.

R → richiamo da fare preferibilmente su esercizi di isolamento a ripetizioni medio-alte,  il volume va molto ridotto rispetto all’allenamento pesante.

Come vedete, per la parte bassa del corpo è stata adottata una multi-frequenza mentre per la parte alta una mono-frequenza.

Scheda allenamento per l’ipertrofia dei dorsali:

Specializzazione dorsoP.V. → allenamento sul piano verticale, quindi ampio spazio a Trazioni in tutte le salse, Lat machine e come isolamento il Pulldown a braccia tese ai cavi. Il muscolo target sarà il Gran Dorsale.

P.O. → allenamento sul piano orizzontale, Rematori pesanti, Pulley basso e Stacco da terra se avete una buona tecnica. In questa seduta il focus sarà sugli adduttori delle scapole e gli erettori spinali.

Pubblicheremo successivamente altri esempi di specializzazione per gli altri distretti muscolari.

Scheda allenamento per l’ipertrofia del petto:

Scheda petto

P → Se siete tra quelli che hanno sprecato molto tempo con la Panca piana con bilancierepotete prendere spunto dalla tabella proposta a fine di questo articolo: La panca piana nel Bodybuilding.

R → il richiamo consiste in 4 serie da 10-12 ripetizioni selezionando un carico che porti a cedimento solo l’ultimo dei quattro set. L’esercizio consigliato è l’ibrido spinte-croci con due manubri (croci nella fase eccentrica e spinte nella fase concentrica).

Scheda allenamento per l’ipertrofia delle braccia:

Scheda allenamento braccia

Scheda ipertrofia muscolare per chi ha poco tempo per allenarsi:

Scheda palestra per chi ha poco tempo per allenarsi

E.D.T. → L’ Escalating Density Training è composto da diverse coppie di esercizi che  vanno eseguiti in “Junt Set” di tempo predefinite.

In ogni Junt set vanno eseguiti due esercizi in modo alternato usando lo stesso carico in tutte le serie fino alla fine del tempo indicato.

L’obbiettivo è quello di accumulare quante più ripetizioni possibili per ogni esercizio, e cercare di aumentare quel numero di allenamento in allenamento.

Le serie non vanno portate al limite dall’inizio, tuttavia, avvicinandovi al limite di tempo l’accumulo progressivo di fatica vi farà lavorare fino all’incapacità o quasi.

Se durante un Junt Set vi stancate eccessivamente in un esercizio e non riuscite più a completare le ripetizioni previste, le diminuirete (esempio da 8 passate a 7, poi a 6 ecc.) e concludete comunque il tempo indicato.

Tra le diverse coppie di esercizi da eseguire in E.D.T. riposarsi pure 3-5 minuti in modo da normalizzare battiti e respiro.

Periodi di massa e definizione

allenamento addomanali

Periodi di massa e %BF

Si è visto che percentuali di massa grassa troppo basse non sono la situazione ottimale per ricercare l’aumento dell’ipertrofia muscolare.

Dei bassi livelli di glicogeno muscolare e di scorte energetiche in generale stimoleranno la proteina-chinasi AMPK. L’attivazione dell’AMPK si riflette su una inibizione dell’mTOR, un fattore determinante coinvolto nella sintesi proteica, con il risultato netto di inibire quest’ultimo; l’mTOR è responsabile degli effetti anabolici o anticatabolici della leucina.

Durante un periodo di dieta rigida e restrizione calorica il “sensore” dei livelli energetici cellulari favorirà l’attivazione dell’AMPK, situazione vantaggiosa in termini di lipolisi dal momento che determina l’ossidazione del glucosio e degli acidi grassi, ma con l’effetto negativo che aumenterà la degradazione proteica nonché la diminuzione della sintesi delle proteine (via mTOR).

Al contrario, durante i periodi di iperalimentazione si verifica l’esatto opposto ovvero si hanno dei vantaggi in termini di sintesi proteica e degli svantaggi in quanto a perdita di grasso. Qua subentra l’attività fisica che stimolerà l’AMPK anche in condizioni alimentari normali e non restrittive (rapporto ADP/ATP e di glicogeno elevati) ma ovviamente in quantità minori rispetto ad una situazione di deficit calorico.

Nonostante – come appena visto – con diete restrittive e con percentuali di %BF (body fat) troppo basse* per la maggior parte degli individui risulta difficile creare processi anabolici rilevanti a livello muscolare, sarebbe altrettanto sbagliato alzare eccessivamente la %BF durante i periodi di massa, questo avrebbe diversi effetti collaterali: la fibra muscolare riduce i suoi recettori di membrana abbassando inoltre la capacità del miocita di captare le sostanze nutritive, riducendo così le possibilità di ottimizzare i processi anabolici; inoltre non sarebbe assolutamente salutare fare sbalzi rilevanti e improvvisi in termini di massa grassa, questo non farebbe altro che peggiorare il vostro assetto metabolico.

*Va precisato riguardo a quanto detto prima, che quella particolare percentuale di massa grassa è fortemente soggettiva, troviamo chi è in forze ed in salute al 12% e chi lo è altrettanto al 9%, varia da individuo a individuo!”

Inoltre, accumulare un’eccessiva massa grassa nelle fasi di massa avrà un’ulteriore conseguenza negativa: quando verrà il momento di dimagrire ci metterete più del dovuto e se la restrizione calorica verrà protratta per un lungo periodo il prezzo da pagare – oltre all’aumento dell’appetito – sarà la degradazione proteica (per via della continua inibizione dell’mTOR da parte dell’AMPK) e i muscoli si “svuoteranno” eccessivamente.

Il messaggio da portare a casa è che salvo non abbiate particolari occasioni (competizioni, servizi fotografici ecc.) la percentuale di massa grassa dovrebbe pressochè restare stabile (con piccole variazioni fisiologiche) tutto l’anno in una situazione di forma e di salute, preservando una buona definizione ma in uno stato ottimale all’aumento dell’ipertrofia senza eccessi né dall’una né dell’altra parte.

Errori comuni

Quando l’obbiettivo diventa la definizione muscolare una situazione molto comune è quella di allenarsi – erroneamente – in regimi molto lattacidi (glicolisi anaerobica), tagliando sempre di più i recuperi, magari a circuito, il tutto limitando al massimo l’apporto di glucidi nella dieta.

Questo è sbagliato per la maggior parte dei soggetti perché crea uno stress di rilievo per l’organismo, principalmente perché con quel tipo di allenamento andremo ad intaccare le nostre scorte di glicogeno muscolare, l’organismo riprenderà la sintesi proteica solo dopo aver ripristinato il glicogeno (cosa che in ipocalorica avviene lentamente).

Inoltre gli allenamenti puramente lattacidi hanno una diretta correlazione con l’aumento dell’ormone Cortisolo, già a sua volta stimolato dalla dieta stretta che si sta affrontando, quindi un suo ulteriore aumento potrebbe essere deleterio creando uno stato catabolico del sistema.

Contrariamente a quanto si pensa – e a quanto molti hanno sempre fatto – gli allenamenti in piena glicolisi anaerobica (alti T.U.T. e recuperi brevi) si addicono di più nelle fasi di massa con dieta iperglucidica.

Viceversa, nei periodi di restrizione calorica ed in particolare glucidica si dovrà andarci “più pesante” con i carichi allungando anche i recuperi tra i set se serve.

Per approfondire il discorso leggi il nostro articolo sull’alimentazione nei periodi di massa e definizione.

Ipertrofia nel bodybuilding e ipertrofia funzionale: qual è la differenza?

Cos’è l’ipertrofia funzionale? Come si sviluppa e cosa differisce dalla classica ipertrofia da bodybuilding? Se il carico è un mezzo e non un fine, in questo caso la questione si capovolge, l’ipertrofia diventa un mezzo e non un fine. Scopriamo il lato oscuro della forza attraverso l’ipertrofia funzionale.

Non ha amici l’uomo che non si è fatto dei nemici”  ALFRED TENNYSON

La prima volta che si sentii parlare d’ipertrofia funzionale fu dal tecnico nazionale Ado Gruzza.

In una società dove l’estetica regna sovrana, dove l’apparire conta più dell’essere, l’aspetto fisico è il bigliettino da visita della nostra persona. Possiamo anche accontentarci d’essere belli dentro, ma chiunque si avvicina al mondo dei sovraccarichi, consciamente o inconsciamente, ha un’attenzione per la forma del corpo.

Non esiste solo un tipo di morte (fisica), nella vita possiamo morire diverse volte:

  • Intellettualmente, quando abbandoniamo la nostra intelligenza e l’affidiamo al palinsesto televisivo.
  • Politicamente, quando ci disinteressiamo del bene comune e decidiamo che sono tutti uguali (o lo sono veramente?).
  • Atleticamente, quando la nostra palestra diventa il divano.
  • Ecc, ecc.

Anche se sembrano ere lontane, quelle in cui l’uomo doveva lottare per sopravvivere nella savana, noi rispondiamo ancora a alle leggi della natura. Il nostro corpo si forgia ancora in base alle richieste dell’ambiente in cui vive.

L’immagine che abbiamo d’un fisico bello, asciutto, atletico, muscoloso, richiama ancora un’idea di salute, di giovinezza, di una probabilità migliore di sopravvivere nella giungla.

ipertrofia funzionale

Con IPERTROFIA FUNZIONALE  intendiamo una correlazione diretta tra fisico e prestazione, tra estetica e risultato.

Noi non ricerchiamo un aspetto migliore, ma quest’ultimo si sviluppa come conseguenza alle prove a cui ci sottoponiamo.

Abbandoniamo falsi miti e false speranze; fisici superasciutti sotto il 10% di FM e supermuscolosi, anche nell’allenamento funzionale c’è un sacco di DOPING.

Ricerchiamo l’estetica attraverso la prestazione, assecondando la genetica individuale di ognuno, senza creare nessun falsa aspettativa.

Tutti possiamo essere magri con un po’ di muscoli, in pochi possono essere dei modelli.

Le ragioni per cui ricercare questo tipo d’ipertrofia possono essere molteplici:

  1. Per la prestazione nel proprio sport.
  2. Per il l’efficienza nel proprio lavoro (sicurezza, forze armate, ecc).
  3. Per la salute.
  4. Per il divertimento e l’autostima.

Alla base dell’ipertrofia funzionale c’è solo una legge: la struttura è al servizio della funzione.
Queste è la principale regola per cui i vostri muscoli cresceranno. In natura tutte le nostre strutture sono modellate per rispondere alle esigenze dell’organismo. Le trabecole ossee si modellano sulle linee di forza abituali, i muscoli crescono per rispondere alle esigenze energetiche.

Un maratoneta avrà muscoli piccoli perchè il suo gesto richiede bassi livelli d’energia per periodi lunghi di tempo. Più la struttura è contenuta (coscia e gamba) più è facile da irrorare di sangue (facilita il trasporto di nutrienti dalla periferia al muscolo target).

Un ginnasta, avrà muscoli voluminosi per poter produrre velocemente l’energia richiesta nel suo sport. Avrà bisogno di tanto carburante per brevi lassi di tempo. Il corpo non potrà permettersi di andare a ricavarla altrove e dovrà stoccare dentro il muscolo tutte le riserve necessarie.

Ad ogni azione corrisponde un’esigenza energetica e questa determina quanta ipertrofia serve.

Volete diventare grossi e forti? Impegnatevi in attività che richiedono molta energia per brevi lassi di tempo (3”- 60”).
Il corpo a questa esigenza risponderà con un aumento del motore (maggior sintesi proteica) ed un aumento delle riserve locali (maggior deposito di fosfati e di glicogeno muscolare).

La strada dell’ipertrofia funzionale è solo una: aumentare la capacità energetica del corpo tramite l’aumento del carico.

Non diventerete come dei bodybuilder ma avrete allo stesso tempo sia un aspetto migliore, sia un fisico più atletico.

Ipertrofia muscolare: consigli pratici

allenamento gambe

Cerchiamo ora di dare qualche consiglio pratico che potrete applicare già dal prossimo allenamento:

  • compiere un buon lavoro “dentro la serie” totalizzando un time under tension ottimale per ottenere una risposta ipertrofica.

Il lavoro protratto fino all’incapacità con una resistenza ne troppo pesante ne troppo leggera, diciamo un 70-80% dell’1 repetitium maximum (un carico che vi permetta 8-12 ripetizioni), determina un grande impegno dei metabolismi relativi al Creatin fosfato (CP) e dell’acido lattico in situazione anaerobica. Questo stimolo crea un particolare stress delle vie metaboliche generando segnali fondamentali per attivare i meccanismi anabolici di adattamento.

La serie che – dopo vari test – ha dato il miglior riscontro in questi termini è stata la serie da 10 ripetizioni portata allo sfinimento con una velocità di contrazione rallentata in modo che allunghi il tempo sotto tensione (enfatizzando la fase eccentrica) aumentando il lavoro dentro la serie.

Tutti gli altri range di ripetizioni sono da dimenticare? Ovviamente no, per spostare i nostri limiti nel lungo periodo saranno necessari fasi con solo 3-6 ripetizioni e anche fasi con 15 o più ripetizioni!

  • ricercate un aumento della performance durante il vostro percorso ma non solo attraverso all’aumento dei Kg sul bilanciere ma anche tramite l’aumento del carico interno e dello stress metabolico. Variate la frequenza, il T.U.T., giocate sui recuperi… divertitevi!
  • riposate il giusto tempo tra le serie senza eccedere coi recuperi. “Per avere muscoli più grossi, dovete aumentare la densità del lavoro fatto in un dato intervallo di tempo. Questo significa il minimo di recupero tra le serie. Spingetevi oltre.”

Non ho fatto altro che riportare un frase di Vince Gironda, sicuramente non sono qua per consigliarvi il suo famoso sistema 8×8 ma tenevo a precisare che non aveva tutti i torti, anzi è dimostrato che mantenere una buona densità allenante (per densità si intende quel rapporto tra tempo totale sotto tensione e tempo totale di recupero di un intero allenamento) produrrà un aumento severo dell’acido lattico che a sua volta favorirà la produzione dell’ormone della crescita (GH) – oltre che un abbassamento locale del PH – tramite l’induzione di un aumento nella produzione epatica del fattore di crescita insulino-simile 1 (IGF-1).

Il tempo di recupero che potremmo considerare nella norma tra due serie allenanti varia da 90 secondi fino ad un limite di 2 minuti, il giusto compromesso per non smaltire completamente l’acido lattico e riacquistare la giusta forza per compiere la serie successiva.

Eccedendo da una delle due parte riscontreremmo:

  • o un recupero troppo incompleto tale da farci dimezzare il carico ad ogni set (per chi non vanta già una buona forza non è l’ideale) fino ad essere poco allenante;
  • oppure un riposo troppo lungo non ottimale per l’ipertrofia inibendo la cascata ormonale caratterizzata dall’aumento della concentrazione di acido lattico.

Certo, in alcuni periodi servono dei riposi medio-lunghi ma spesso e volentieri si tende ad eccedere con le pause tra le serie, abbassando notevolmente la densità del nostro allenamento e di conseguenza la risposta ipertrofica del nostro sistema.

  • eseguite tutti gli esercizi con una tecnica corretta, allungate bene il muscolo nella fase eccentrica e contraetelo bene nella concentrica, dovete sentirlo lavorare; esistono particolari tecniche che prevedono ROM parziali dell’esercizio ma ricordo che sono per atleti più avanzati o comunque da usare di rado, agli inizi è bene lavorare in tutta l’ampiezza dell’angolo articolare soprattutto negli esercizi multi articolari.

E’ importantissimo sottolineare l’importanza delle fasi eccentriche “lente e controllate” che hanno il vantaggio di danneggiare letteralmente le fibre muscolari (il sarcolemma cioè la membrana delle cellule muscolari si lacera a seguito di contrazioni eccentriche di rilievo provocando così delle micro-lesioni tissutali), stress essenziale per avviare i processi anabolici.

Per approfondire leggere l’articolo la tecnica corretta serve per diventare grossi?

  • allenate i vostri muscoli con la giusta frequenza, questa dipenderà principalmente dal volume e dall’intensità usati nel singolo allenamento, inoltre ognuno di noi necessita di tempi di recupero diversi caratterizzati dall’età e dall’alimentazione (ed in piccola parte anche dall’integrazione).

E’ normale che se oggi alleniamo un determinato gruppo muscolare con alto volume e tecniche di intensità aggiunte (stripping, rest pause ecc.) questo necessita di più recupero rispetto ad un allenamento prevalentemente a buffer con pochi set; ma questo sarà spiegato meglio nel paragrafo relativo alla frequenza di allenamento.

  • Dieta ed allenamento devono andare di pari passo; come spiegato nel paragrafo relativo ai periodi di massa e definizione l’alimentazione adottata in un dato periodo deve coprire le richieste dei nostri allenamenti al fine di ottimizzare i risultati, sia che l’obbiettivo sia l’aumento di massa sia la definizione muscolare.

Guida di Marcello Delfitto

Se ti è piaciuta condividila sui social (trovi i pulsanti in basso) e divulgala in palestra. Ricordati che ora puoi anche scaricarla in PDF.

________________________________________________________________________

Riferimenti:

  1. Russell et al. Form follows functions: how muscle shape is regulated by work. Journal of Applied Physiology 88: 1127-1132, 2000.
  2. Schoenfeld, BJ. The mechanisms of muscle hypertrophy and their application to resistance training. J Strength Cond Res. 2010 Oct;24(10):2857-72.
  3. Zatsiorsky V., Kraemer W. Science and practice of strength training. Human Kinetics, 2006. ISBN 0-7360-5628-9.
  4. Tesch et al. Skeletal Muscle Glycogen Loss Evoked by Resistance Exercise. Journal of Strength & Conditioning Research. May 1998 – Volume 12 – Issue 2
  5. Burd et al. Muscle time under tension during resistance exercise stimulates differential muscle protein sub-fractional synthetic responses in men. J Physiol. 2012 Jan 15;590(Pt 2):351-62. Epub 2011 Nov 21.
  6. Burd et al. Enhanced amino acid sensitivity of myofibrillar protein synthesis persists for up to 24 h after resistance exercise in young men. J Nutr. 2011 Apr 1;141(4):568-73.
  7. https://www.projectinvictus.it/metodo-hatfield-ipertrofia/
  8. Hansen et al. The effect of short-term strength training on human skeletal muscle: the importance of physiologically elevated hormone levels. Scand J Med Sci Sports. 2001 Dec;11(6):347-54.
  9. Snyder BJ, Leech JR. Voluntary increase in latissimus dorsi muscle activity during the lat pull-down following expert instruction. J Strength Cond Res. 2009 Nov;23(8):2204-9.
  10. The time course for elevated muscle protein synthesis following hea… – PubMed – NCBI

L'articolo Ipertrofia muscolare: la guida completa proviene da Project inVictus.

Esercizi trapezio superiore: lo Shrug

$
0
0

Shrug

L’esercizio “Shrug”, tradotto in lingua italiana con “elevazione delle spalle” o come più comunemente si sente dire in palestra “Scrollate”, è uno dei più famosi nel panorama dell’allenamento con i sovraccarichi (specie se di stampo body building) e di conseguenza anche uno dei più proposti nelle schede di allenamento. In palestra è proposto all’unanimità con lo scopo di stimolare e ipertrofizzare il “trapezio”, come si dice in gergo, che poi in realtà è il trapezio superiore vista la netta distinzione funzionale tra questa porzione e le altre due del medesimo muscolo in toto che si suddivide ulteriormente in trapezio medio e inferiore. Pertanto possiamo considerare tra gli esercizi per il trapezio, lo shrug come il principale.

Di questo famoso esercizio esistono due varianti. La prima, decisamente più famosa (e forse anche l’unica conosciuta ai più), prevede l’elevazione delle scapole con l’omero in posizione neutra lungo i fianchi. La seconda invece, spesso ignorata o misconosciuta, prevede la medesima elevazione delle scapole con omeri abdotti/flessi sopra i 90° ovvero con le braccia elevate sopra la testa e i gomiti estesi. Quali muscoli vengono reclutati in questi esercizi? Quali sono le differenze biomeccaniche e i conseguenti risvolti pratici sulla stimolazione muscolare confrontando le due modalità di esecuzione? Scopriamolo nel video-articolo di oggi.

Esercizi trapezio: partiamo dall’anatomia

Partiamo innanzitutto con il capire quali sono i muscoli coinvolti nel movimento per poi comprendere con maggior facilità come loro intervengano durante le “Scrollate” nelle due diverse modalità. Il trapezio superiore (rosso), muscolo target di questo esercizio nella maggioranza dei casi, come ben si può immaginare non è l’unico muscolo avente tra le sue funzioni l’elevazione della scapola. In particolare è fortemente coadiuvato dall’elevatore della scapola (giallo) e dai romboidi piccolo e grande (blu). Per capire come questo possa avvenire dobbiamo necessariamente intraprendere un viaggio fugace nell’anatomia e nella biomeccanica di questi muscoli. Per comprendere meglio la loro azione mi servirò dei diagrammi Free Body nei quali rappresenterò la scapola sinistra (in visione posteriore) come un triangolo avente come centro di rotazione una X e l’azione muscolare tramite una freccia che riprodurrà fedelmente il percorso del muscolo che va da origine a inserzione.

esercizi trapezio anatomiaLinee di forza dei muscoli coinvolti negli esercizi per il trapezio

Appurato ciò abbiamo iniziato a porre un tassello in più al nostro mosaico di conoscenze: lo shrug non stimola solo il trapezio superiore bensì in modo importante anche l’elevatore della scapola e i romboidi e questo non per un atto di fede nel libro di anatomia ma semplicemente perché l’abbiamo compreso da un punto di vista biomeccanico.

Shrug: analisi biomeccanica numero 1

Tramite gli schemi proposti è possibile ora analizzare il loro potere sull’elevazione della scapola in posizione anatomica, ovvero con le braccia lungo i fianchi come nello “Shrugs” classico tipico del body building. In questa posizione la scapola è posta (tralasciando le possibili lievi e soggettive alterazioni del suo allineamento) a circa 7,5 cm dalle spinose (col margine vertebrale parallelo ad esse) e si estende grosso modo dalla seconda (angolo superiore) alla settima vertebra toracica (angolo inferiore). Aiutandoci con un diagramma osserviamo che un’elevazione della scapola a partire da questa posizione garantirà un evidente e inconfutabile vantaggio biomeccanico all’elevatore della scapola (giallo) e ai romboidi (azzurro) che in virtù del loro specifico decorso anatomico avranno una linea d’azione favorevole in tal senso. Il tutto a discapito del trapezio superiore (rosso) che interverrà nel movimento ma sarà sicuramente meno favorito rispetto ai colleghi.

esercizi trapezio scrollateTrapezio esercizi: shrug classico

Shrugs: analisi biomeccanica numero 2

Analizzando invece la seconda modalità esecutiva di “Shrugs” notiamo delle differenze biomeccaniche in termini di linee d’azione muscolare dei tre protagonisti. Questa modalità eseguita con omeri abdotti/flessi a 180° determina un differente posizionamento della scapola all’inizio dell’esercizio e ciò si ripercuote sul reclutamento muscolare. La scapola secondo fisiologia (anche qui tralasciando le possibili lievi e soggettive alterazioni del suo allineamento in dinamica) con l’omero abdotto a 180° si presenterà elevata e ruotata cranialmente di 60° con l’acromion che giungerà nei pressi della settima vertebra cervicale (C6-C7). Il diagramma sottostante ci aiuterà meglio a comprendere quali siano le conseguenze di ciò sulla biomeccanica dei muscoli coinvolti durante una successiva e ulteriore elevazione come questa modalità di “Shrugs” propone.

esercizi trapezio braccia elevateTrapezio esercizi: shrugs braccia elevate

Possiamo facilmente notare che la nuova posizione assunta dalla scapola annulla la componente elevatoria dei romboidi (azzurro) la cui linea d’azione “si sdraia” garantendo esclusivamente un’adduzione. La conseguenza diretta di ciò sarà un aumentato lavoro a carico degli altri due muscoli, in particolare del trapezio superiore (rosso) che in questo caso sarà decisamente il protagonista in virtù anche della rotazione craniale della scapola di partenza (il trapezio superiore è l’unico dei tre che ruota cranialmente la scapola). L’esercizio sarà sicuramente eseguito con un peso minore (ma non per questo meno stimolante) per questioni logistiche e fisiologiche, vista la partenza in pre-accorciamento dei due muscoli coinvolti e la conseguente riduzione della forza potenzialmente esprimibile (vedi diagramma tensione lunghezza).

Esercizi per il trapezio: riflessioni pratiche e letteratura scientifica a supporto

In virtù di quanto appena visto abbiamo ora più chiaro quali siano le differenze biomeccaniche tra le due modalità di “Shrugs” e possiamo effettuare una scelta più consapevole nel proporre o eseguire una delle due. Attraverso una semplice analisi biomeccanica abbiamo appreso come, tra le due, l’esecuzione che pone uno stimolo maggiore e più mirato al trapezio superiore è quella con le braccia elevate che quasi mai si vede eseguire in palestra perché spodestata dalla classica esecuzione a braccia lungo i fianchi (che invece vede protagonisti l’elevatore della scapola e i romboidi).

A conferma di ciò vi riporto solo ora (ed è stata una scelta voluta per stimolare il ragionamento) uno studio presente in letteratura che ha avuto come scopo proprio quello di comparare i livelli di attivazione del trapezio superiore tra la modalità “Shrugs” classica e quella a braccia elevate. Il risultato elettromiografico va nella stessa direzione di ciò che la biomeccanica ci ha rivelato poco fa: il trapezio superiore fa registrare un’attivazione maggiore quando la scapola è posizionata in rotazione craniale come durante lo “Shrugs” a braccia elevate (Pizzari T et al, 2014).

Voglio precisare, anticipando le probabili perplessità di alcuni, che il trapezio superiore diventerà grosso anche facendo “Shrugs” classici, non è questo il punto. Lungi da me creare discussioni di scarso valore a proposito, le quali potrebbero distogliere l’attenzione dall’interessante analisi biomeccanica effettuata così feconda di indicazioni utili per la quotidianità dell’allenamento in palestra.

Shrugs: cosa fare?

In definitiva, cerchiamo di tirare le somme e trasformare le riflessioni appena fatte in consigli utili da trasportare nella pratica lavorativa, personalizzando le indicazioni a seconda dei contesti e dei soggetti da allenare.

  • Nel caso si avesse a che fare con una persona media, senza particolari problematiche e con l’obiettivo “ipertrofia muscolare”, la stimolazione del trapezio superiore potrà essere eseguita in maniera efficiente e con ottimi risultati anche grazie a movimenti di abduzione dell’omero con sovraccarico (Lento Avanti e Alzate Laterali), nei quali il trapezio sarà reclutato in maniera importante seguendo le regole del ritmo scapolo-omerale. Verrebbe così meno la necessità di ricorrere a movimenti isolati di elevazione delle scapole (Shrugs). In ogni caso, se si volesse optare comunque per tale modalità di rinforzo, la biomeccanica consiglia sicuramente lo Shrugs con braccia elevate con manubri o bilanciere.
  • Nel caso ci si trovasse di fronte un soggetto sano, ben allineato e dedito al bodybuilding con mire agonistiche alla ricerca di maggior dettagli muscolari, entrambe le modalità andranno alterante durante la programmazione annuale per variare gli stimoli allenanti e gli angoli di lavoro. Ciò, assieme a un’accurata gestione dei carichi di lavoro, massimizzerà i risultati estetici.
  • Nel caso ci si trovasse di fronte una persona con dolore da disfunzione scapolo-omerale conclamata e si rilevasse tra le cause una debolezza del muscolo trapezio superiore, la modalità di rinforzo selettivo con Shrugs a braccia elevate è sicuramente da preferire in quanto non solo aumenta l’attivazione di questo muscolo ma neutralizza anche l’azione dei romboidi, la cui retrazione spesso riduce il ROM di rotazione craniale della scapola in abduzione favorendo l’instaurarsi della disfunzione (Sahrmann 2005).
  • Nel caso ci si trovasse di fronte una persona con rigidità, dolore cervicale o mal di testa cervicogenico, qualsiasi modalità di Shrugs andrebbe evitata per evitare l’ulteriore accorciamento di una muscolatura già contratta (specie l’elevatore della scapola) da probabili vizi posturali indotti dall’attività lavorativa. Andrebbe inoltre valutata anche la possibilità di eliminare gli esercizi di abduzione dell’omero o di limitarne l’escursione.

L'articolo Esercizi trapezio superiore: lo Shrug proviene da Project inVictus.

Ormoni femminili: cosa conoscere sugli estrogeni

$
0
0

Tradizionalmente, per ormoni femminili si fa spesso riferimento agli estrogeni, che sono sicuramente rappresentativi della donna, ma non sono certo gli unici e fanno parte anche del sistema endocrino maschile, con ovvie differenze quantitative.
Tra gli estrogeni, il più importante è l’estradiolo (E2), poi sono presenti anche l’estriolo (E3) e l’estrone (E1) che sono meno attivi e più importanti nella menopausa.
Talvolta sono incolpati di essere la causa di eventuali ingrassamenti, aumenti di peso, sbalzi di umore etc… in realtà la loro funzione è molto più articolata.

Ormoni femminili: quali sono ?

L’estradiolo

Partiamo dal più conosciuto, l’estradiolo o 17-beta estradiolo, la sua produzione aumenta in modo importante durante la fase follicolare e si riduce nella fase luteale.
Viene prodotto per aromatizzazione del testosterone, ormone tipicamente associato all’uomo, ma fondamentale anche nella donna.

La maggior parte dell’estradiolo nella donna in età fertile è prodotto dalle cellule della granulosa a livello follicolare sotto stimolo dell’FSH (ormone follicolo stimolante), mentre in menopausa l’estradiolo è prodotto in quantità notevolmente inferiori e deriva dall’aromatizzazione degli androgeni prodotti a livello del surrene.

Apriamo una piccola parentesi sulle modificazioni ormonali del ciclo, che meriterebbero una trattazione molto più ampia :
in genere con la menopausa si assite ad un peggioramento della composizione corporea associato al notevole calo degli ormoni ovarici, tra cui l’estradiolo; paradossalmente l’uso di anticoncezionali ormonali è aneddoticamente associato anche esso al peggioramento della composizione corporea.
In letteratura gli effetti sono in media neutri (anche se la maggior parte degli studi hanno preso in esame il peso e non la composizione corporea) ma con enorme variabilità tra donne, si sono osservate perdite fino a  16kg e aumenti fino a 36kg in 12 mesi!
Gli anticoncezionali (in particolare orali, cerotti, iniezioni, pellets)  inoltre riducono la sintesi di testosterone fino al 50%, che è già ridotto nella donna; questo non gioca a favore della composizione corporea (massa muscolare, forza) e di alcuni aspetti psicologici (libido).

Tornando all’estradiolo, vediamo che ha diversi effetti in molti tessuti e organi:

  • riduce l’attività delle LPL degli adipociti, riducendo l’uptake di acidi grassi nell’adipocita
  • aumenta la sensbilità dei recettori Alfa-2 adrenergici, inibendo la lipolisi mediata dalle catecolammine
  • aumenta la sintesi del collagene in tutti i tessuti, contribuisce quindi sia al rimodellamento di tendini e legamenti che alla formazione della cellulite
  • riduzione dell’attività della tiroide
  • aumento della leptina e della sua sensibilità (riduzione della fame)
  • aumento del consumo di acidi grassi nel muscolo durante l’esercizio (mediato da LPL muscolare e AMPK)
  • riduzione del catabolismo delle HDL e della sintesi delle LDL (effetto positivo sulla salute cardiovascolare)
  • riducono la risposta infiammatoria e i ROS, stimolano la sintesi proteica muscolare e riducono la resistenza dei tendini
  • aumento della sensbilità all’insulina, risparmio di glucosio epatico e sintesi di glicogeno
  • aumento della sintesi nel SNC di serotonina e dopamina
  • stimolano la maturazione del follicolo e la prolifrazione dell’endometrio
  • effetto trofico sulla ghiandola mammaria
  • completamento dell’ossificazione con chiusura delle epifisi (motivo per il quale le ragazze crescono e si sviluppano prima, ma sono in media più basse)
  • sviluppo e mantenimeto dei caratteri sessuali femminili secondari (ghiandole mammarie, distribuzione del tessuto adiposo, allargamento del bacino, sviluppo dei genitali etc…)

Gli estrogeni quindi non fanno ingrassare senza ritegno, anzi, hanno un effetto tendenzialmente positivo in questo senso perchè l’estradiolo migliora la sensbilità insulinica, riduce la fame, induce sensazione di benessere psicologico, riduce la sintesi di trigliceridi sia nel fegato che nel tessuto adiposo. Tuttavia riduce anche la lipolisi nel grasso più ostinato (ricco di recettori Alfa-2), che caratterizza il fenotipo ginoide o tipicamente femminile, cioè nel complesso riduce il turnover lipidico rendendo più lento il dimagrimento nella donna rispetto all’uomo.

Il progesterone

Il secondo ormone femminile più conosciuto è il progesterone, la cui produzione aumenta nella fase luteinica sotto stimolo dei picchi di LH indotti dall’estradiolo; il follicolo scoppia e diventa corpo luteo, rilasciando l’ovocita.
Chimicamente è più simile agli ormoni androgeni e steroidi surrenalici, infatti ne condivide l’affinità con i loro recettori, con un effetto però di antagonismo, andando quindi a ridurne la segnalazione cellulare.

Il progesterone tipicamente si alza dopo il crollo dei livelli di estradiolo indotto dallo scoppio del follicolo e causa importanti cambiamenti fisiologici, che nel complesso si oppongono alle azioni degli estrogeni, infatti:

  • antagonizza gli estrogeni che già sono ridotti, inducendo aumento dell’uptake di acidi grassi nel tessuto adiposo, tramite la LPL e la ASP
  • induce insulino-resistenza e rende più instabili le glicemie
  • riduce la leptina e la sintesi di serotonina e dopamina, spingendo all’iperfagia in particolare di cibi molto calorici e palatabili (tra cui la cioccolata, che sembra avere un ruolo particolare) e a sbalzi d’umore
  • aumento del dispendio energetico a riposo, fino a 100-300 kcal, che tuttavia sono facilmente compensabili dall’aumento della fame
  • riduce gli effetti positivi degli estrogeni e androgeni sul muscolo scheletrico, riducendo la sintesi proteica
  • aumenta ulteriormente l’utilizzo di grassi a scopo energetico a scapito del glucosio anche durante l’attività fisica
  • riduce la ritenzione idrica indotta dagli estrogeni

Il progesterone quindi ha effetti opposti sul metabolismo e la composizione corporea, nonostante aumenti il dispendio energetico.

La prolattina

La prolattina è il terzo ormone femminile che andiamo a vedere, è tipicamente associata alla donna è presente anche nell’uomo, con ruoli diversi. Viene prodotta dall’ipofisi, specialmente quando si abbassano i livelli di dopamina (fase luteale). La sua sintesi nell’ipofisi è mediata dalle cellule lattotrope, che vengono stimolate dagli estrogeni, mentre nell’endometrio è prodotta a seguito dello stimolo del progesterone.

La sua secrezione non aumenta finchè è inibita dalla dopamina, solo successivamente aumenta la secrezione con la riduzione dei livelli di dopamina ed è responsabile dello sviluppo dei dotti delle ghiandole mammarie durante la gravidanza e l’allattamento, stimolando anche la produzione di latte.

Nella fase pre-mestruale sembra essere responsabile dei dolori o sensazione di fastidio/tensione alle ghiandole mammarie, dovuta alla sua azione stimolante.

Ha numerose altre funzioni, diverse ancora sconosciute ma sembra essere un modulatore della risposta neuroendocrina allo stress (vedi cortisolo), influenzando la neurogenesi, l’attività del sistema immunitario e la secrezione di gonadotropine.

Ciclo mestruale e alterazioni psicofisiche

Ormoni ciclo mestruale

Per convenzione, si definisce ciclo mestruale il periodo di 28 giorni tra due perdite mestruali, che in realtà possono fisiologicamente variare in lunghezza di alcuni giorni (24-32). La perdita di sangue è dovuta allo sfaldamento dell’endometrio douto al crollo ormonale (se non c’è stata fecondazione dell’ovocita) e all’ischemia dei vasi formatisi precedentemente.

Nelle prime 2 settimane, si ha la fase follicolare caratterizzata dai primi giorni di mestruazioni (in genere 3-5 giorni) seguita dalla fase secretiva dove si ha progressivo aumento dell’estradiolo secreto dai follicoli (sotto stimolo dell’LH), che maturano sotto stimolo dell’FSH. Il progesterone rimane basso, lasciando la dominanza agli estrogeni che stimolano la proliferazione dell’endometrio.

Quando gli estrogeni raggiungono livelli consistentemente elevati, creano un feedback positivo nei confronti dell’LH che aumenta di pulsatilità, causando lo scoppio del follicolo dominante (più follicoli sono reclutati, ma solo quello che esprime più recettori per l’FSH matura completamente) e la fuoriuscita dell’ovocita (ovulazione) che viene “catturato” da una delle tube di Fallopio.

I follicoli secondari vanno incontro a processi involutivi, mentre il follicolo dominante si trasforma in corpo luteo, che segna l’inizio della fase luteinica o secretiva (seconda metà del mese), con forte diminuizione degli estrogeni e un progressivo innalzamento del progesterone. Se non vi è fecondazione dell’ovocita, il corpo luteo continua la secrezione di progesterone che raggiunge il picco circa attorno alla terza settimana, per poi regredire.

Dalla terza alla quarta settimana si ha la fase luteale tardiva, caratterizzata da riduzione delle gonadotropine, estrogeni e progesterone.

Spesso in questa fase si presenta la sindrome pre-mestruale, caratterizzata da numerosi sintomi poco piacevoli quali crampi (che preparano allo sfaldamento dell’endometrio), sbalzi d’umore, craving di dolci e cioccolata, anedonia, sindromi ansioso-depressive che possono essere in alcune donne (5-10%) piuttosto gravi, con comparsa della disforia pre-mestruale, inserito nel DSM-5 come disturbo psichiatrico; scarsa energia psicofisica e altri sintomi soggettivi.

La riduzione del progesterone, aumenta anche l’azione residua degli androgeni che può causare acne, irritabilità e aumento della ritenzione idrica, specialmente con un’alimentazione blianciata e ricca in sodio.

Sulla cioccolata ci sono interessanti studi e teorie, perchè tra i dolci è il cibo più ricercato nella sindrome pre-mestruale. Il cacao contiene numerose sostanze psicoattive e neurotrasmettitori come dopamina, serotonina, tiramina, così come sostanze stimolanti, dopaminergiche e acidi grassi analoghi dei cannabinoidi endogeni, coinvolti nella modulazione del dolore. Anche il contenuto di magnesio è importante, la sua supplementazione indipendemente dalla cioccolata sembra infatti ridurre i sintomi. Ovviamente la cioccolata è anche una combinazione di grassi + zuccheri, che stimolano il rilascio di dopamina nello striato provocando piacere.

Fase del ciclo LH (UI/L) FSH (UI/L) E2 (pg/ml) Progesterone (ng/ml)
F. Follicolare 2,4 – 12,6 3,5 – 12,5 12,4 – 233 0,0 – 1,4
F. Ovulatoria 14 – 95,6 4,7 – 21,5 41 – 398 3,3 -25,6
F. Luteinica 1 – 11,4 1,7 – 7,7 22,3 – 341 4,4 – 28
Post Menopausa 7,7 – 58,5 25,8 – 134,8 0,0 – 138 0,0 – 0,7

Alterazioni del normale ciclo mestruale

Le più comuni cause di alterazioni patologiche del ciclo mestruale in età fertile sono l’amenorrea funzionale ipotalamica (FHA) tipica di atlete e anoressiche, e la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS).

La prima (FHA) è caratterizzata dall’assenza del ciclo mestruale, in quanto l’insufficienza introito energetico assime all’aumentata attività fisica causano forte deplezione del tessuto adiposo a livelli patologici per la donna. La carenza di Leptina, inibisce la secrezione delle gonadotropine, impedendo quindi la normale funzione dell’ovaio.
Questa situazione se troppo protratta nel tempo può portare a futuri problemi di fertilità e alla comparsa della famosa triade dell’atleta donna: amenorrea/oligomenorrea, osteopenia/osteoporosi, insufficienza introito energetico e calo ponderale.
La situazione è molto seria, ma è spesso recuperabile col recupero della massa grassa fisiologica, anche se talvolta è necessaria una “induzione” con estro-progestinici.

La PCOS invece è molto più complessa, la sua eziologia non è chiara ma intervengono sia fattori genetici che nutrizionali.
La caratteristica clinica è una situazione di amenorrea o oligomenorrea indotta da iperandrogenismo (fino a 2-3 volte i valori normali nella donna) e carenza di estrogeni, che impediscono la completa maturazione dei follicoli che rimangono “bloccati” senza far fuoriuscire l’ovocita.
Questa è una frequente causa di infertilità femminile (fino al 20%), è spesso associata a sovrappeso, obesità, insulino-resistenza e diabete mellito di tipo 2, comorbidità psichiatriche quali depressione e sindromi ansiose.

Lo stato di iperandrogenismo è indotto dall’insulinoresistenza, condizione che a sua volta induce iperandrogenismo:

  • L’insulina riduce le SHBG, aumentando gli androgeni liberi come il testosterone
  • Il testosterone elevato nella donna favorisce la deposizione di grasso viscerale, aumentando l’infiammazione sistemica e l’insulino-resistenza
  • L’insulina stimola preferenzialmente la biosintesi surrenale di androgeni
  • Gli androgeni agiscono a feedback negativo sulle gonadotropine, in particolare sull’FSH che rimane troppo basso per far maturare il follicolo e aromatizzare gli androgeni prodotti dalle cellule della teca, aumentano invece la pulsatilità dell’LH che stimola la sintesi di androgeni

L’iperandrogenismo causa inoltre la comparsa di caratteri sessuali tipicamente maschili, come l’aumento dei peli, la diversa distribuzione del grasso sottocutaneo, la comparsa di acne, l’alopecia androgenetica, andando a peggiorare la qualità di vita della donna affetta.

Dal punto di vista nutrizionale, la perdita di peso è molto efficace nel ridurre i sintomi e migliorare il quadro clinico della malattia, anche una modesta perdita di peso è di grande aiuto. Le terapie farmacologiche sono spesso necessarie, possono essere ormonali come l’uso di estro-progestinici per aumentare i livelli di estrogeni e ridurre gli androgeni oppure l’uso di farmaci per la fertilità come il clomifene citrato che aumenta la secrezione di FSH, così come antidiabetici orali (Metformina) che migliorano la sensibilità all’insulina e aumentano le SHBG riducendo gli androgeni liberi.

Vi è anche un integratore molto efficace in questo caso che è l’inositolo e il D-Chiro inositolo, che agisce aumentando la sensibilità insulinica.

Indipendentemente dalla PCOS, l’iperandrogenismo è un tratto positivo nelle atlete, avere livelli più elevati di androgeni migliora le prestazioni fisiche, la massa muscolare e la forza; negli ultimi anni è infatti molto dibattuto questo aspetto negli sport olimpici, tanto che ha portato recentemente al bandimento dalla categoria femminile da parte della IAAF, di una mezzofondista sudafricana con naturali alti livelli di testosterone, fuori dai range per una donna (Caster Semenya).

Menopausa ed ormoni femminili

livelli estrogeni età donna

L’assenza per 12 mesi del ciclo segna l’inizio della menopausa, caratterizzata dall’esaurimento di follicoli da far sviluppare e quindi cessazione dell’età fertile, avviene in genere attorno i 50 anni.
Si ha una riduzione importante degli ormoni femminili, con un relativo sbilancio nei confronti degli androgeni che vengono prodotti dal surrene.

La carenza di estrogeni si porta dietro conseguenze psico-fisiche negative, in parte attenuabili con l’alimentazione in parte non attenuabili se non con terapia ormonale sostitutiva (HRT), che non è esente da rischi, specialmente se portatrici di oncogeni mutati (BRCA). La HRT è indicata per la terapia a breve termine dei sintomi della menopausa, sintomi vasomotori, vampate di calore e prevenzione dell’osteoporosi.

L’effetto trofico degli estrogeni sull’osso è almeno in parte sostituibile con fitoestrogeni, cioè estrogeni deboli naturali, spesso derivanti da soia (sono sufficienti 30g di proteine isolate di soia al giorno) che hanno azione agonista sull’osso ma non su altri tessuti, risultano infatti probabilmente protettivi nei confronti del cancro al seno. Anche la supplementazione di vitamina D3 è spesso necessaria, assieme ad un adeguato apporto di Calcio (1200mg).
I fitoestrogeni non sono abbastanza forti da agire a livello del sistema nervoso, sono quindi inefficaci sulla sfera psicologica.

Per il trofismo del sistema muscolo scheletrico, valgono le stesse raccomandazioni dell’uomo, indipendentemente dallo stato ormonale: sufficiente apporto proteico di qualità, rapportato anche con l’attività fisica e l’attività fisica stessa; che serve anche a prevenire il peggioramento della composizione corporea (accumulo di grasso addominale).

La terapia ormonale sostitutiva, così come i contracettivi ormonali combinati aumentano il rischio di cancro al seno (specialmente se c’è storia familiare e genetica sfavorevole), tumori benigni del fegato (gli steroidi orali hanno tutti una variabile epatotossicità) e riducono i rischi di cancro all’endometrio e ovaio. Sono quindi tutte scelte da discutere e valutare coscientemente col proprio medico specialsita per valutare il rapporto rischi/benefici.

In Europa esiste anche un farmaco poco usato che ha effetti misti estrogenici, progestinici e androgenici selettivi, il Tibolone. Studiato apposta per la sintomatologia della menopausa e l’endometriosi, non ha effetti sulle ghiandole mammarie, fegato e utero mentre conserva la sua attività su ossa, sistema nervoso e genitali esterni.

Conclusioni sugli ormoni femminili

Nonostante vi sia nell’idea comune una grossa differenza tra ormoni maschili e femminili, in realtà si tratta di stessi ormoni con rapporti molto diversi tra loro, ma ognuno ha la sua precisa funzione e le loro quantità diverse hanno infatti funzioni fisiologiche ben definite a seconda del sesso biologico dell’individuo. Riassumendo:

  • L’estradiolo ha effetti metabolici nel complesso positivi, opposti al progesterone
  • Il ciclo mestruale è caratterizzato da profonde modificazioni ormonali che condizionano l’aspetto metabolico, psicologico e nutrizionale della donna
  • tutti gli ormoni sono importanti, una loro alterazione in eccesso o in difetto può danneggiare la salute psicofisica
  • l’amenorrea funzionale non è una condizione fisiologica e sana
  • nella PCOS si ha una complessa situazione caratterizzata da squilibrio tra androgeni ed estrogeni, insulinoresistenza con compromissione della feritilità e della salute psicofisica
  • gli ormoni esogeni alterano la normale fisiologia con vantaggi e svantaggi, da valutare coscientemente
  • la cioccolata è una droga 🙂

Bibliografia essenziale

  • Lyle McDonald, The Women’s Book: A Guide to Nutrition, Fat Loss, and Muscle Gain, 2017
  • Greenspan’s endocrinologia generale e clinica, Gardner & Shoback, Piccin 2009
  • Gallo MF, Lopez LM, Grimes DA, Carayon F, Schulz KF, Helmerhorst FM. Combination contraceptives: effects on weight. Cochrane Database of Systematic Reviews 2014, Issue 1. Art. No.: CD003987AIRC – pillola anticoncezionale e cancro
  • Leblanc, D.R. & Schneider, Magdalena & Angele, P & Volmer, G & Docheva, Denitsa. (2017). The Effect of Estrogen on Tendon and Ligament Metabolism and Function. The Journal of Steroid Biochemistry and Molecular Biology. 172. 10.1016/j.jsbmb.2017.06.008.
  • KRISTEN BRUINSMA, DOUGLAS L. TAREN, Chocolate: Food or Drug?, Journal of the American Dietetic Association, Volume 99, Issue 10, 1999, Pages 1249-1256, ISSN 0002-8223,
  • NICE guidelines – Menopause: diagnosis and management
  • US Preventive Services Task Force. Hormone Therapy for the Primary Prevention of Chronic Conditions in Postmenopausal Women: US Preventive Services Task Force Recommendation Statement. JAMA.2017;318(22):2224–2233.
  • Pramfalk C, Pavlides M, Banerjee R, et al. Sex-Specific Differences in Hepatic Fat Oxidation and Synthesis May Explain the Higher Propensity for NAFLD in Men. J Clin Endocrinol Metab. 2015;100(12):4425–4433

L'articolo Ormoni femminili: cosa conoscere sugli estrogeni proviene da Project inVictus.

Esercizio con i pesi per bambini e adolescenti: come si esprime la comunità scientifica?

$
0
0

Bambini e pesi

L’argomento sovraccarichi per bambini e adolescenti è un tema molto controverso, il problema è che è controverso solo tra i non addetti ai lavori, ma non tra chi è specializzato o chi studia la materia. La comunità scientifica è piuttosto chiara a riguardo, i sovraccarichi non sono solo accettati, ma addirittura suggeriti per diversi benefici che verranno documentati nell’articolo.

Molte persone istintivamente reagiscono indignate quando si parla dell’esercizio con i pesi per i giovani pre-adulti (minorenni). Prevedibilmente, si tratta di reazioni di natura emotiva che lasciano poco spazio al ragionamento, e confermano semplicemente la scarsa preparazione e competenza tecnica.

Questo mi ha spinto a creare articolo che raccogliesse tutte le principali review e position stand pubblicati negli ultimi 10 anni circa, cioè il mezzo attraverso cui si esprime il mondo scientifico tramite i documenti della massima autorevolezza secondo i criteri scientifici. Per motivi di spazio e di leggibilità verranno citati solo alcuni commenti salienti e conclusioni generali, ma sono stati riportati tutti i collegamenti ai testi completi per dare la possibilità a chi è interessato di approfondire da sé immediatamente.

La trattazione è lunga e ripetitiva, se non sei un professionista del settore, vai pure a leggere le conclusioni alla fine.

Studi scientifici: effetti dei pesi sui bambini ed adolescenti

Di Lorenzo Pansini

I ricerca

Collins H et al. The effect of resistance training interventions on weight status in youth: a meta-analysis. Sports Med Open. 2018 Aug 20;4(1):41.

Si tratta di una meta-analisi dedicata all’effetto dei pesi sul controllo del peso, pubblicata su una rivista di Medicina sportiva. Questa si allontana quindi dal tema centrale dell’articolo, rivolto perlopiù all’idoneità generale di questo tipo di allenamento per la popolazione pre-adulta. Ad ogni modo il documento conferma in maniera evidente che i sovraccarichi possono essere svolti da questa popolazione (5-18 anni), parlando dei potenziali benefici per controllare il peso, ma non viene trattato il rischio per lo sviluppo o per gli infortuni.

Punti chiave:

– Le linee guida sull’attività fisica e i position stand sottolineano l’importanza dell’”attività per rafforzare muscoli e ossa” e la ricerca suggerisce che l’allenamento contro resistenza potrebbe avere un impatto [positivo] sullo stato del peso nei giovani.

– Questa meta-analisi ha rilevato che l’allenamento contro resistenza ha un effetto positivo sulla percentuale di grasso corporeo e sulle pliche cutanee nella giovinezza.

– Sono necessarie ulteriori ricerche per studiare il ruolo che l’allenamento contro resistenza può svolgere nel trattamento e nella prevenzione dell’obesità.

II ricerca

Sugimoto D et al. Implications for training in youth: is specialization benefiting kids? Strength Cond J. 2017. 39(2):77-81.

Questa review è stata pubblicata su una delle principali riviste scientifiche peer review specializzate sull’esercizio contro resistenza. Curiosamente, si parla dell’utilizzo di questa modalità di allenamento per prevenire o limitare gli infortuni causati da altri sport per atleti agonisti di età molto giovane, tra 10 e 14 anni. Questo è probabilmente lo spezzone più illuminante:

Storicamente, sono state sollevate delle preoccupazioni per i giovani atleti impegnati nell’allenamento contro resistenza, in particolare per quanto riguarda il rischio di infortuni alla cartilagine in crescita. Tuttavia, una recente dichiarazione del consenso internazionale basata sugli studi disponibili non ha fornito prove a supporto di questa nozione (18) [commentato in seguito], e in realtà alcuni studi hanno documentato un maggiore sviluppo della massa ossea nei giovani atleti che eseguivano regolarmente un allenamento contro resistenza (3,9,13).

In breve, è fondamentale integrare gli esercizi preventivi per ridurre il potenziale rischio di infortuni gravi tra i giovani atleti, e può essere utilizzato un allenamento contro resistenza con una forma adeguata per un intervento efficace.

III ricerca

Myers AM et al. Resistance training for children and adolescents. Transl Pediatr. 2017 Jul; 6(3): 137–143.

Si tratta di una review pubblicata su una rivista di Pediatria. Rispetto ai precedenti questo è forse migliore perché parla dei pro e dei contro di questo tipo di allenamenti, dedicando anche una sezione ai rischi che suggerisco agli interessati di leggere. Riguardo a quest’ultima parte però la conclusione è ancora molto illuminate:

Nell’esaminare complessivamente i rischi dell’esercizio contro resistenza è del tutto evidente che, sebbene esista un certo rischio di lesioni, questo è paragonabile a quello degli sport a cui questi bambini stanno già partecipando. I bambini hanno rischi di infortuni unici, come l’infortuni alla fisi [o cartilagine di accrescimento]. Tuttavia, questo rischio non è drammaticamente elevato [sollevando pesi]. Inoltre, tutti i rischi di infortunio possono essere minimizzati con lo sviluppo di un programma di allenamento efficace, la supervisione ed un’efficace educazione a una forma di esecuzione corretta.

Le conclusioni generali sono:

I programmi di allenamento contro resistenza appropriati hanno una pletora di benefici associati, tra cui aumento della forza, minore tasso di infortuni legati allo sport, aumento dell’indice di resistenza ossea (BSI), diminuzione del rischio di fratture e migliore autostima e interesse per la forma fisica. Ci sono rischi legati a programmi di allenamento impropri o scadenti. I programmi di allenamento corretti coinvolgono istruttori esperti, un’efficace supervisione e un allenamento personalizzato con i pesi.

IV ricerca

Granacher U et al. Effects of resistance training in youth athletes on muscular fitness and athletic performance: A conceptual model for long-term athlete development. Front Physiol. 2016; 7: 164.

È una review molto corposa pubblicata su una rivista di Fisiologia, che parla di diverse tematiche inerenti all’esercizio contro resistenza per i giovani, anche pre-adolescenti. Tralasciando i vari argomenti meno affini agli scopi dell’articolo, anche qui uno spezzone emblematico recita:

È stato stabilito per anni da un certo numero di associazioni nazionali (ad esempio, americane, australiane, britanniche, canadesi, tedesche e altre) che l’esercizio contro resistenza è una modalità di allenamento accettabile e sicura per bambini e adolescenti con effetti positivi sulla salute, l’abilità psico-sociale, il benessere e la riduzione della gravità e dell’incidenza degli infortuni (Behm et al., 2008; Lloyd et al., 2014).

Per quanto riguarda i vecchi miti, la disinformazione riguardante i potenziali effetti negativi dell’esercizio contro resistenza per i bambini è stata confutata, e quindi allenatori, professionisti del fitness e giovani atleti possono concentrarsi sui regimi di allenamento ottimali per migliorare la forma fisica e le prestazioni atletiche.

V ricerca

Moro T et al. Pediatric resistance training: current issues and concerns. Minerva Pediatr. 2014 Jun;66(3):217-27.

In questa review pubblicata su una rivista scientifica di Pediatria si parla addirittura dell’applicazione dell’esercizio contro resistenza per i bambini in età pediatrica, cioè pre-adolescenti. Gli autori sono piuttosto chiari nelle conclusioni:

Malgrado le resistenze che molti medici e allenatori ancora manifestano riguardo la pericolosità del esercizio contro resistenza in età pediatrica, le evidenze scientifiche dimostrano che [questo] ha degli effetti benefici sia sullo stile di vita di giovani ed adolescenti, poiché incrementa il metabolismo basale riducendo il rischio di sviluppare patologie quali il diabete, la sindrome metabolica, obesità e malattie cardiovascolari (108,109); sia sull’accrescimento osseo (110,113) e sullo sviluppo neuromuscolare (68,114).

I suoi effetti benefici si estendono anche in ambito sportivo, con effetti preventivi dei principali infortuni osteoarticolari (55,73,74) e, come mezzo di incremento delle prestazioni in termini di incremento di velocità e potenza (85,115,119). La letteratura scientifica offre un consistente supporto alla diffusione dell’esercizio contro resistenza nei protocolli di lavoro anche per bambini e adolescenti, purché si rispettino le comuni regole di incremento progressivo dei carichi, e nel rispetto del grado di sviluppo individuale del soggetto.

addolescenti e pesi

VI ricerca

Lloyd RS et al. Position statement on youth resistance training: the 2014 International Consensus. Br J Sports Med. 2014 Apr;48(7):498-505.

Si tratta di uno dei documenti scientifici più importanti e ampi sul tema tra quelli pubblicati recentemente, dato che è un position statement (documento di posizione) che racchiude le posizioni delle più grandi organizzazioni accademiche per rendere pubbliche le raccomandazioni ufficiali sull’argomento.

Il documento, pubblicato sulla prestigiosa rivista di Medicina sportiva British Journal of Sports Medicine, è stato approvato dalle più importanti organizzazioni di riferimento ed è stato firmato da autori selezionati in gran parte dal campo della Pediatria. In altre parole, per chi vuole conoscere l’argomento dal punto di vista del consenso del più alto livello scientifico, questo è uno dei primi documenti da considerare. Qui alcuni spezzoni emblematici:

Dal punto di vista della salute, le prove indicano che l’allenamento contro resistenza può apportare modifiche positive della composizione corporea complessiva (18), ridurre il grasso corporeo (19,20), migliorare la sensibilità insulinica negli adolescenti in sovrappeso (21) e migliorare la funzione cardiaca nei bambini obesi (22).

È importante sottolineare che è stato anche dimostrato come la regolare partecipazione a un programma di allenamento adeguatamente programmato comprendente l’allenamento contro resistenza, può migliorare la densità minerale ossea e la salute scheletrica (23,24), e probabilmente ridurre il rischio di infortuni sportivi nei giovani atleti (25,26).

Genitori, insegnanti, allenatori e operatori sanitari dovrebbero riconoscere i potenziali benefici di salute e di fitness dell’ esercizio contro resistenza per tutti i bambini e gli adolescenti. I giovani che non partecipano ad attività che migliorano la forza muscolare e le capacità motorie nelle prime fasi della vita possono essere a maggiore rischio di esiti negativi per la salute più tardi nella vita.

VII ricerca

Myer GD et al. How young is “too young” to start training? ACSMs Health Fit J. 2013 Sep;17(5):14-23.

Si tratta di una review pubblicata sulla rivista scientifica di una nota organizzazione di Medicina sportiva che riassume l’evidenza scientifica fino a quel momento sulla sicurezza e l’adeguatezza dell’esercizio con sovraccarichi per i giovani di età pari o maggiore degli 8 anni.

[Gli allenamenti contro resistenza] per i giovani hanno suscitato interesse e preoccupazione  da parte di genitori, medici, allenatori e professionisti del fitness riguardo ai tempi in cui potrebbe essere sicuro o ottimale integrare un allenamento fisico più specializzato nei programmi di sviluppo giovanile (5,14,46). In particolare, molti i genitori chiedono se è sicuro che i loro figli “sollevino pesi” o vogliono conoscere “l’età migliore” o “quando è sicuro” per il loro figlio iniziare una partecipazione regolare ad attività di condizionamento più strutturate (41).

L’allenamento contro resistenza dovrebbe essere il fondamento [dei programmi di allenamento] al fine di costruire livelli di forza esistenti e trarre vantaggio dall’aumento dell’ambiente ipertrofico all’interno del muscolo associato allo stadio di sviluppo post-puberale (31, 33).

Oltre ai tradizionali esercizi di allenamento contro resistenza (squat, stacchi, spinte e trazioni), i movimenti di sollevamento pesi (strappo, slancio e loro derivati) […] sono metodi di allenamento sicuri ed efficaci per i giovani post-puberali per sviluppare la forza muscolare e potenza.

VIII ricerca

Faigenbaum AD, Myer GD. Resistance training among young athletes: safety, efficacy and injury prevention effects. Br J Sports Med. 2010 Jan;44(1):56-63.

Questa review pubblicata su una nota rivista di Medicina sportiva vede come co-autore lo stesso scienziato del documento sopra, e parla molto nello specifico proprio della sicurezza dei pesi e del potenziale utilizzo per la prevenzione degli infortuni negli altri sport. Si confermano fondamentalmente le conclusioni dei documenti visti sopra (pubblicati dopo):

– Questo documento suggerisce che la maggior parte degli infortuni legati all’allenamento contro resistenza per i giovani sono il risultato di un’inadeguata supervisione, che è alla base di una scarsa tecnica esecutiva e carichi inappropriati.

– Il rischio di infortuni muscolo-scheletrici derivanti dall’allenamento contro resistenza, il sollevamento pesi e la pliometria adattati all’età non sembra essere maggiore di altre attività sportive e ricreative a cui i bambini e gli adolescenti partecipano regolarmente.

– I programmi di condizionamento completi progettati e supervisionati da professionisti qualificati che hanno una comprensione delle linee guida per l’allenamento contro resistenza giovanile, così come dell’unicità fisica e psicosociale di bambini e adolescenti, sembrano essere una strategia efficace per ridurre gli infortuni legati allo sport nei giovani atleti.

IX ricerca

Behringer M et al. Effects of resistance training in children and adolescents: A meta-analysis. Pediatrics. 2010 Nov;126(5):e1199-210.

Questa meta-analisi pubblicata su una delle più importanti riviste scientifiche di Pediatria, analizzava nello specifico l’influenza dell’età e della maturità sullo sviluppo della forza. Riguardo all’argomento di questo articolo gli autori affermano:

Sebbene l’allenamento contro resistenza nei bambini sia stato un argomento molto dibattuto negli ultimi tre decenni, la maggior parte della letteratura recente delinea come sia efficace e sicuro in tutte le fasi della maturità se si usano una supervisione qualificata, una progettazione del programma adeguata all’età e una progressione graduale (5 ,6).

X ricerca

Dahab KS, McCambridge TM. Strength training in children and adolescents: raising the bar for young athletes? Sports Health. 2009 May;1(3):223-6.

La review pubblicata su una rivista di Medicina sportiva è dedicata nello specifico allo sfatare i comuni miti associati all’allenamento della forza nei bambini, ribadendo le raccomandazioni più recenti espresse dalla comunità scientifica fino all’epoca. Di particolare interesse è infatti la sezione dedicata ai miti dell’esercizio contro resistenza per i bambini.

Un malinteso riguarda l’allenamento della forza e gli infortuni alle fisi in crescita. La partecipazione a quasi tutti i tipi di sport o attività ricreative comporta un rischio di infortuni. Un programma di allenamento per la forza ben supervisionato non ha rischi intrinseci maggiori rispetto a qualsiasi altro sport o attività giovanile (14).

Un programma di allenamento della forza ben progettato che rispetta i carichi, le serie e le ripetizioni consigliate per l’età e l’habitus del corpo dell’atleta giovane non dovrebbe stressare eccessivamente le fisi in crescita (9,31). Sport come la ginnastica e il baseball, che comportano impatti e forze ripetitivi, forniscono un maggior rischio di lesioni epifisarie (9).

Non esiste una correlazione diretta tra l’allenamento della forza e l’incidenza o la gravità degli infortuni nei giovani atleti. La partecipazione a un programma di condizionamento può, tuttavia, ridurre indirettamente il rischio o la gravità delle lesioni legate allo sport.

I benefici per la salute dell’allenamento per la forza superano di gran lunga i potenziali rischi, specialmente nella società odierna in cui l’obesità infantile continua a crescere.

XI ricerca

Faigenbaum AD et al. Youth resistance training: updated position statement paper from the National Strength and Conditioning Association. J Strength Cond Res. 2009 Aug;23(5 Suppl):S60-79.

Questo è un altro position statement, in questo caso della National Strength and Conditioning Association (NSCA), una delle massime autorità nel campo dell’esercizio contro resistenza. Anche in questo caso le posizioni sono allineate con la letteratura precedentemente analizzata.

Nonostante le preoccupazioni superate per quanto riguarda la sicurezza o l’efficacia dell’allenamento contro resistenza giovanile, le evidenze scientifiche e i riscontri clinici indicano che [questo] ha il potenziale di offrire un valore osservabile per la salute e la forma fisica di bambini e adolescenti, a patto che vengano rispettate le linee guida appropriate e sia disponibile un’istruzione qualificata.

Oltre ai benefici legati alle prestazioni, gli effetti di allenamento contro resistenza su determinate misure relative alla salute compresa la salute delle ossa, la composizione corporea e la riduzione degli infortuni sportivi dovrebbero essere riconosciuti da insegnanti, allenatori, genitori e assistenti sanitari. Questi benefici per la salute possono essere sicuramente ottenuti dalla maggior parte dei bambini e degli adolescenti quando prescritti dalle linee guida sull’allenamento contro resistenza adattate all’età.

XII

Small EW et al (AAP). Strength training by children and adolescents. Pediatrics. 2008 Apr;121(4):835-40.

L’ultimo documento importante è ancora un position statement pubblicato su una prestigiosa rivista scientifica di Pediatria, rilasciato dal consiglio del American Academy of Pediatrics (AAP), un’importante autorità pediatrica statunitense. Questo documento di posizione sembra essere molto equilibrato, e tratta il tema in maniera più precauzionale rispetto ad altri documenti precedenti, ma la conclusione rimane quella dell’idoneità generale di questo tipo di sport per i pre-adulti.

Interessante notare che come altri documenti precedenti venga affermato chiaramente che Le percentuali di lesioni in ambienti con severa supervisione e tecnica adeguata sono inferiori a quelle che si verificano in altri sport o giochi ricreativi a scuola (26,27).

Suggeriscono poi un limite minimo per l’inizio dell’attività con i pesi attorno a 7-8 anni e forniscono altre raccomandazioni e linee guida importanti che è suggerito leggere per chi è veramente interessato, ma per passare subito ad alcune conclusioni rappresentative tra le varie riportate:

Devono essere seguite adeguate tecniche contro resistenza e precauzioni di sicurezza affinché i programmi di allenamento per la forza per i pre-adolescenti e gli adolescenti siano sicuri ed efficaci. Se sia necessario o opportuno avviare un tale programma e quale livello di competenza il ragazzo abbia già raggiunto nella sua attività sportiva, deve essere determinato prima di iniziare un programma di allenamento per la forza.

Conclusioni degli effetti dei pesi su bambini ed adolescenti 

i bambini possono fare pesi

I vari documenti scientifici della massima autorevolezza secondo i criteri della ricerca sono incredibilmente unanimi tra loro nel confermare diversi principi fondamentali legati all’uso dell’esercizio contro resistenza (quindi, soprattutto pesi e sovraccarichi in genere) per le popolazioni giovani, cioè i pre-adulti, comprendenti quindi bambini e adolescenti.

Per chi non è molto ferrato in materia, si ricorda che la comunità scientifica è composta da figure del più alto livello accademico, e in questo caso si menzionano scienziati che sono Medici pediatri e Medici sportivi tra i componenti più rappresentativi.

Molti di questi documenti parlano di vecchie credenze e falsi miti quando genitori, operatori, allenatori e addirittura medici esprimono preoccupazioni nella somministrazione di questo tipo di attività alle popolazioni in oggetto. Molti parlano chiaramente del fatto che il rischio di infortuni c’è come in tutti gli sport, e non è superiore ad altre attività sportive svolte normalmente dai giovani, non solo nell’agonismo ma anche in quelle a scopo ricreativo. Non solo, ma i sovraccarichi agiscono sulla prevenzione degli infortuni causati dagli altri sport, a conferma della loro utilità per limitare, e non per provocare il problema.

Un altro punto comune che deve essere ben presente, è che i sovraccarichi non bloccano la crescita e che sono ritenuti accettati e da molti suggeriti per migliorare molti parametri di salute, tra cui la salute metabolica, la densità, la resistenza e la crescita ossea, lo sviluppo della neuro-muscolare e ancora, la prevenzione degli infortuni.

Ciò che mette tutti d’accordo è anche il fatto che l’esercizio con sovraccarichi per bambini e adolescenti debba essere supervisionato da una figura esperta e specializzata in queste popolazioni. Il punto è che per minimizzare i rischi, questo dovrebbe essere rispettato anche in tutti gli altri sport, quindi concettualmente non vi sono differenze con gli sport più tradizionalmente praticati dai giovani, per cui il rischio infortuni non risulta minore. Infine, anche per quanto riguarda l’età adulta l’assistenza permette ai soggetti inesperti di prevenire gli infortuni, quindi anche da questo punto di vista non vi sarebbero differenze con le altre popolazioni.

L'articolo Esercizio con i pesi per bambini e adolescenti: come si esprime la comunità scientifica? proviene da Project inVictus.

Dieta per la massa muscolare: come aumentare la massa?

$
0
0

Come possiamo impostare una dieta per aumentare la massa muscolare? Che cosa mangiare?
Per rispondere a queste domande è necessario capire quali sono i 3 obiettivi da tenere bene a mente, ossia:

  1. aumento della massa muscolare;
  2. mantenimento della massa grassa;
  3. miglioramento della prestazione in palestra.

Da come effettueremo la dieta per la massa muscolare dipenderà il 60% di quello che riusciremo ottenere durante la fase di definizione. In questo articolo quindi cercheremo di capire come impostare al meglio una dieta per la massa muscolare. Vedremo quella che è una possibile strategia, che ci permetterà, in maniera sicura ed efficace, di mettere molta massa muscolare, senza ingrassare.

Obiettivi della dieta per aumentare la massa muscolare

Obiettivo 1 Aumento della massa muscolare
Obiettivo 2 Mantenimento della massa grassa
Obiettivo 3 Miglioramento della performance

Il punto di partenza per impostare una dieta per aumentare la massa muscolare è quella di identificare gli obiettivi. In questa fase infatti dovremo fare i nostri investimenti. Siamo in una situazione florida da un punto di vista nutrizionale: le calorie sono alte, la funzionalità metabolica non è depressa, i livelli di stress sono bassi. Tutto questo getta i presupposti non solo per un’ottimale aumento della massa muscolare ma anche per un forte miglioramento della performance. Ma in cosa consistono i nostri investimenti? Come fanno a ripercuotersi nel periodo di definizione?

  • Aumento della massa muscolare. L’aumento della massa muscolare è il primo grande obiettivo, ed è anche logico. Maggiore sarà la massa muscolare guadagnata, maggiore sarà quella che avremo durante un periodo di definizione (se ben fatto). Il nostro scopo in questo frangente è quindi quello di massimizzare, quanto più possibile, l’aumento della massa muscolare.
  • Mantenimento della massa grassa. L’altra faccia della medaglia è l’aumento della massa grassa. Quante volte ho sentito la frase “sono ingrassato in massa“. Effettivamente questo stato generalmente anabolico non può che favorire tali processi anche per il tessuto adiposo. In altri termini anche il grasso tende ad aumentare in un periodo di iper-alimentazione. Il nostro scopo sarà allora quello di veicolare i processi anabolici a carico del tessuto muscolare in modo da ridurre quelli a carico del tessuto adiposo. Il beneficio in periodi di definizione è chiaro, minore la mia massa grassa, più breve sarà il periodo di dimagrimento, maggiore la massa muscolare che conserverò.
  • Miglioramento della performance. I presupposti ci sono tutti e, durante questo periodo, dovremo investire sulla nostra performance in palestra. Come anche per la massa muscolare, un miglioramento della performance si riflette nel periodo di definizione permettendoci di fare ottimi allenamenti mantenendo alto lo stimolo anabolico e, conseguentemente, mantenendo più massa muscolare.

Posti questi tre obiettivi, vediamo come attuarli. Nello specifico possiamo dividere la dieta per la massa in due diverse fasi. Analizziamole!

Prerequisiti per aumentare la massa muscolare senza ingrassare

Per evitare che la fase di massa diventi la fase d’ingrasso, l’ideale sarebbe partire con una BF che va dal 10-12%. Oltre il tessuto grasso sarà metabolicamente molto attivo e “ruberà” macronutrienti al muscolo.

Prerequisiti dieta per aumentare massa muscolare

Prerequisiti dieta per aumentare massa muscolare

Prima fase dieta palestra per la massa muscolare

Situazione Dall’ipocalorica alla normo-calorica
Velocità aumento kcal Raggiungimento della normo in 2-3 settimane
Proteine 2-2,2gr/kg
Grassi 0,6-0,9gr/kg
Carboidrati Kcal rimanenti

La prima fase è identificabile in quel momento in cui risaliamo fino alla nostra normo-calorica. Scendendo in definizione siamo infatti arrivati a livelli calorici piuttosto bassi. Ora dobbiamo salire fino ai nostri livelli di mantenimento. Questa fase si caratterizza per diversi fattori:

  • Stiamo ancora in un contesto catabolico visto il basso livello di massa grassa (sotto-fisiologica) e il basso input calorico.
  • L’adattamento del nostro metabolismo all’aumento delle calorie sarà molto efficiente. In altri termini man mano che aumentiamo le calorie il metabolismo tenderà subito ad adattarvisi e ad aumentare adeguandosi al nuovo input energetico.
  • Viviamo un effetto di rebound anabolico. Con questo termine si indica il fatto che, dopo un periodo di scarsità energetica, l’aumento delle calorie porta ad un forte effetto anabolico principalmente a carico del tessuto muscolare. Vi ritorneremo in un successivo articolo.

Per tutte queste ragioni risulta utile e sensato “chiudere” questa fase in un lasso di tempo breve (2-3 settimane). In questo modo riprenderemo quel minimo di massa grassa che ci permette di tornare in una situazione fisiologica ed anabolica e di iniziare a costruire la massa muscolare. Va specificato che questo concetto è valido per persone che hanno fatto un periodo di definizione impostato bene e ben riuscito. Analizzeremo in altri articoli i casi in cui si ha ancora un alto livello di massa grassa o in cui si è rimasti a basse calorie per molto tempo (mesi o anche anni).

Per quanto riguarda i macronutrienti, ci converrà tornare sui:

  • Proteine: 2-2,2gr/kg
  • Grassi: 0,6-0,9gr/kg
  • Carboidrati: le rimanenti calorie

Questo ci permetterà di avere un buon punto di partenza per i successivi aumenti delle calorie.

Seconda fase dieta per aumentare la massa muscolare: che cosa mangiare?

dieta massa

Situazione Dalla normo-calorica in su
Velocità aumento kcal 5-10% delle kcal in più ad ogni stallo di peso e condizione
Proteine 1,5-2gr/kg
Grassi 0,8-1gr/kg
Carboidrati 6 fino anche a 10gr/kg in alcuni soggetti

La seconda fase è quindi quella in cui si inizia a giocare “pesante”. Abbiamo ormai superato la normocalorica, stiamo in un contesto anabolico e ci ritroviamo a fronteggiare tutte le problematiche sopra descritte. Quel che ci converrà fare è allora ragionare su come muoverci da un punto di vista di: input calorico e macronutrienti.

Calorie nella dieta per incrementare la massa muscolare

Per quanto riguarda le calorie la soluzione ideale è iniziare a salire lentamente. Possiamo aumentare di un 5-10% delle nostre calorie ogni volta che vediamo uno stallo del peso e della condizione. Su quest’ultimo punto bisogna soffermarci. Basarci sul solo peso potrebbe essere fuorviante quindi cerchiamo altri indici che possiamo, per l’appunto, identificare come “condizione”:

  • Specchio. Molto semplice, vedere come apparite, come siete, vi da un’immagine concreta di quello che va e non va. Lo specchio è il primo amico cui far riferimento ma occhio ad esser oggettivi, il rischio è sempre quello di vedersi diversi paragonandoci al “come vorremmo”.
  • Pienezza muscolare. La pienezza muscolare va analizzata in funzione dei livelli glucidici. Maggiori saranno, maggiore dovrebbe essere la pienezza. Val la pena valutarla non tanto in termini assoluti quanto piuttosto relativi, vedere se dopo giornate o pasti ricchi di carboidrati essa aumenta. Se così non fosse forse le cose non stanno andando nel verso giusto.
  • Vascolarizzazione. Anche questo è un buon indice. Basarsi su quella che è la nostra vascolarizzazione è un buon modo per vedere come vengono gestiti i nutrienti, glucidi in particolare. Anche qui ragioniamo in termini relativi cercando di vedere se vi è un aumento della stessa dopo giornate o pasti ricchi di carboidrati.
  • Ritenzione idrica. Altro indice molto interessante è la ritenzione idrica. Maggiore sarà più avremo un riscontro del fatto che non stiamo gestendo bene i nutrienti. Logico che dopo pasti molto ricchi da un punto di vista calorico ci sarà una tendenza a vederla aumentare. E’ anche vero però che non deve esere una situazione cronica quanto piuttosto acuta (1-2 giorni).

Dunque valutando il peso e la condizione possiamo decidere se stiamo di fronte uno stallo e se val la pena aumentare le calorie. Se così non fosse vedremo che potremo ricorrere ad un accentuarsi del timing dei nutrienti o ad un periodo di mini-cut.

Quota proteica per mettere massa muscolare

Le proteine non subiscono grandi variazioni in linea di massima. Partendo ad una quota ideale di 2,5-2,7gr/kg di peso corporeo durante il periodo di definizione possiamo scendere tra i 2-2,2gr/kg di peso corporeo (alcuni preparatori arrivano fino a 1,5g/kg). In realtà esistono molti preparatori che mantengono  il medesimo livello di proteine tra il periodo di definizione e quello di massa. Questo viene giustificato dall’aumento di peso che si assiste tipicamente in questa fase. Ora, se con periodi di massa e di definizione più aggressivi ed estremi questo può avere un senso, normalmente consiglio di tornare, in base al proprio peso, ai 2,2gr/kg all’inizio della seconda fase e di tenere le proteine costanti durante tutta la dieta per la massa.

Carboidrati nella dieta per la massa muscolare

I glucidici sono un substrato energetico di riferimento in uno sport anaerobico come il nostro e sono il primo fattore che dovrebbe portarci ad un aumento delle calorie. Questo perchè:

  • Avremo un miglioramento della performance molto più forte.
  • Sensibilizzeremo il tessuto muscolare ad una loro gestione e a lavori di carica e scaricaestremamente vantaggiosi anche in definizione.
  • Favoriremo un ambiente tendenzialmente anabolico grazie anche alla captazione di acqua all’interno del tessuto. Una cellula idratata è una cellula che cresce!

Facciamo però subito una precisione. Con queste riflessioni non vogliamo dire di puntare esclusivamente ai carboidrati durante il periodo di massa quanto piuttosto di puntarvi preferenzialmente. E’ questo è esattamente quello che viene fatto all’interno di ogni sport anaerobico. I carboidrati dovrebbero arrivare tra i 6 e i 10gr/kg di peso corporeo. Un atleta di 75kg dovrebbe arrivare tra i 450 e i 700gr di carboidrati. Ora, queste cifre sono per prima cosa orientative, in secondo luogo dipendono molto dalla persona. Ci sono atleti che viaggiano tranquillamente a alti carbo, dunque i 10gr/kg, saranno un traguardo semplice da raggiungere. Altri atleti invece avranno livelli inferiori e i 6gr/kg saranno il massimo cui aspirare. Insomma, la soggettività regna sovrana.

Grassi nella dieta per la massa muscolare

I grassi durante il periodo di massa dovrebbero arrivare tra gli 0,8gr/kg e gli 1gr/kg. Questo range sembra essere ideale per far si che vengano mantenuti attivi tutti i processi cui i grassi partecipano. Consideriamo difatti che livelli troppo bassi potrebbero creare degli stressor nel nostro organismo riducendo gli adattamenti in termini ipertrofici.

Carboidrati e grassi: qual è il rapporto ottimale per incrementare la massa muscolare mantenendo una buona flessibilità metabolica?

dieta per la massa muscolare

Al di là delle cifre singole dei carboidrati e dei grassi che abbiamo dato vogliamo porre l’attenzione su quello che è il loro rapporto. In effetti, si tratta di un argomento che sta venendo proposto sempre di più nel campo della nutrizione sportiva. Per calcolare il rapporto basterà prendere la quota di carboidrati giornaliera (media settimanale) e dividerla per quella di grassi. Per esempio:

  • 500gr di carboidrati e 50gr di grassi. Rapporto = 10
  • 400gr di carboidrati e 50gr di grassi. Rapporto = 8
  • 500gr di carboidrati e 40gr di grassi. Rapporto = 12,5

Come possiamo vedere maggiori saranno i carboidrati, minori i grassi, maggiore il rapporto. Viceversa minori i carboidrati, maggiori i grassi, minore il rapporto. Ma perchè è così importante?

A cosa serve il rapporto carboidrati:grassi?

Il rapporto grassi carboidrati viene utilizzato per indicare non solo quale substrato andremo a bruciare in via preferenziale (negli sport anaerobici deve essere più alto rispetto agli sport di endurance o ultra-endurance) ma anche per identificare la nostra flessibilità metabolica. Quando superiamo determinati estremi infatti ci ritroveremo metabolicamente inflessibili.  Per esempio in contesti di dieta chetogenica il rapporto è particolarmente basso, questo va a riflettersi in un utilizzo dei soli grassi come substrato energetico. Tutto molto semplice, però, come dovremo utilizzare questo rapporto ai nostri fini?

Come usare il rapporto carboidrati:grassi?

Ogni periodo (dieta per la massa o dieta per la definizione) ha un suo rapporto ideale. Quello che dovremo fare nell’aumentare le calorie è semplicemente stare attenti a non “uscire” da questo range. Nel nostro caso, quello della dieta per la massa, il range ideale va da 6 fino a 12. Dunque un atleta di 80kg potrebbe, alla fine del periodo di massa, ritrovarsi in due scenari estremi:

  • 800gr di carboidrati (10gr/kg) e 64gr di grassi (0.8gr/kg). Rapporto= 12,5
  • 480gr di carboidrati (6gr/kg) e 80gr di grassi (1gr/kg). Rapporto= 6

Non c’è un giusto o uno sbagliato. Ci sono persone che rispondono bene in un modo e persone che rispondono bene in un altro. Il tutto dipende anche dal protocollo di allenamento. Nel primo caso (range alto) possiamo utilizzare allenamenti densi e metabolici che verranno sostenuti bene dagli alti livelli glucidici. Nel secondo caso (range basso) allenamenti meno densi e più meccanici saranno l’ideale. Le calorie alte supporteranno gli aumenti di forza ed evitiamo di “traboccare” con un eccesso glucidico difficilmente gestibile e veicolabile.

Quando assumere i nutrienti nella dieta per ottimizzare l’aumento della massa muscolare?

Altro discorso da affrontare riguarda il timing dei nutrienti. Con questo termine andiamo ad indicare la concentrazione dei diversi macronutrienti nell’arco della giornata. Torneremo successivamente sull’argomento, per ora ci basti sapere che il timing dei nutrienti è un’ottima soluzione per veicolare i processi anabolici principalmente a carico del tessuto muscolare (che abbiamo visto essere un obiettivo della nostra scheda). Vediamo allora come comportarci per i diversi nutrienti:

  • Carboidrati. Andranno assunti principalmente a ridosso dell’allenamento dunque prima, durante e soprattutto dopo. Possiamo dedicare un 50-70% della quota totale di carboidrati a questa fascia.
  • Proteine. Andranno distribuite equamente durante la giornata in 3-4-5 o 6 pasti non importa ma non ci sono reali benefici nel concentrarle i determinati momenti.
  • Grassi. Andranno assunti principalmente lontano dall’allenamento. Cerchiamo dunque di ridurli dalle 3h prima fino alle 2h dopo l’allenamento.

Come detto torneremo sull’argomento, per ora prendiamolo come ulteriore spunto da poter mettere in pratica.

Periodi di definizione nella fase di massa muscolare

Noterete che dopo 4-10 settimana di massa, il corpo sembrerà non rispondere più ad una dieta ipercalorica-iperglucidica. I muscoli si svuoteranno e se vi controllate la glicemia a digiuno sarà più alta di 5-15 punti rispetto ai vostri standard. Siete diventati “insulino resistenti” ed il vostro corpo non può più beneficiare della fase di massa. Conviene quindi fare 10-14 giorni di dieta ipocalorica (leggere mediamente intorno ad un -10% del TDEE). Vedrete che paradossalmente i muscoli torneranno a riempirsi ed ad essere ricettivi. Finito questo periodo di mini-cut potrete riprendere la fase di massa.

minicut fase di massa

Esempi di dieta settimanale per aumentare la massa muscolare

Ecco degli esempi di diete ipercaloriche di aumento per la massa muscolare, per capire come distribuire le calorie durante i giorni della settimana.

Esempio di dieta ipercalorica per aumentare la massa muscolareEsempio di dieta ipercalorica per aumentare la massa muscolareEsempio di dieta ipercalorica per aumentare la massa muscolare Esempio di dieta ipercalorica per aumentare la massa muscolare

Conclusioni sulla dieta per aumentare la massa muscolare.

Abbiamo visto come poter impostare una dieta per la massa cercando di ridurre il più possibile l’accumulo di tessuto grasso. Le indicazioni che abbiamo dato sono una delle possibilità che avete davanti e, per quanto sicura e ben ponderata, ci sono strategie alternative che andremo a trattare successivamente. L’invito che vi facciamo allora è quello di portarvi a casa tanto le indicazioni quanto il ragionamento che c’è dietro. Fatelo vostro, capitene la logica, perché alla fine è sempre e solo questa la determinante del successo.

L'articolo Dieta per la massa muscolare: come aumentare la massa? proviene da Project inVictus.

Calcolo del fabbisogno calorico giornaliero

$
0
0

calcolo fabbisogno calorico

Il fabbisogno calorico giornaliero è la risposta alla domanda “quante calorie devo assumere al giorno?”
Che il tuo obiettivo sia dimagrire o mettere massa è fondamentale sapere qual è il tuo fabbisogno calorico, perché è il punto di partenza per raggiungere i suddetti obiettivi.
Vediamo, quindi, da cosa è composto il fabbisogno calorico giornaliero e come calcolare le nostre calorie giornaliere.
Partiamo subito con due dei nostri video più visti sull’argomento fabbisogno calorico:

Prima d’impostare una dieta per la definizione (per raggiungere il peso ideale) o per mettere su muscolo, bisogna capire quante sono le calorie che ci permettono di mantenere stabile il peso corporeo. Senza questo dato navigheremo sempre al buio, senza stelle ne mappa. Per questo i fisiologi ed i nutrizionisti nel tempo hanno ideato diverse formule sui conteggi metabolici per calcolare il fabbisogno calorico giornaliero. Da cosa è costituito il fabbisogno calorico e come si calcola?

Fabbisogno Calorico: il dispendio giornaliero

La prima nozione che dobbiamo apprendere è che il fabbisogno giornaliero è costituito dalla somma di questi parametri:

1) 60-70% da processi interni
E’ il metabolismo basale, quello che ci tiene in vita se stiamo fermi, svegli a letto. Gli organi interni (fegato, cervello, cuore e rene) rappresentano solo il 6% del peso corporeo eppure consumano intorno al 60-70% del metabolismo basale. Al contrario il muscolo rappresenta il 40% del peso corporeo ma consuma solo il 18-20% delle calorie. Questo ci fa capire che un aumento della massa muscolare non è così rilevante per aumentare il dispendio giornaliero, tuttavia vedremo nei prossimi paragrafi perchè più muscolo aiuta nella ricomposizione corporea.
2) 10% dall’ADS
Ogni volta che mangiamo il nostro organismo impiega energie per digerire ed assimilare i nutrienti. Mediamente 10% della spesa totale è data dall’azione dinamica specifica (ASD). In realtà il corpo consuma di più per le proteine (in media 22,5%) e meno per carboidrati e grassi (7,5-3,5%), tuttavia generalmente si fa un’approssimazione intorno al 10% se abbiamo una ripartizione dei macronutrienti bilanciata.
3) 20-30% dall’attività fisica
Questa è la spesa indotta dell’attività non associabile all’esercizio fisico (NEAT) e dallo sport. Anche qui possiamo constatare che soltanto una piccola parte del fabbisogno giornaliero varia in base all’attività. Se fate tanto sport (non di resistenza) non crediate di potervi permettere di mangiare quanto volete.
Generalmente i nutrizionisti quando calcolano il dispendio energetico tendono a sopravvalutare questo fattore, portando a clamorosi errori su quanto consumino le attività fisiche. Un conto è eseguire un gesto nuovo, uno sport nuovo, un altro è invece ripeterlo da anni. L’economia del gesto fa precipitare i dispendi energetici e le risposte ormonali delle attività abituali.

Calcolo fabbisogno calorico giornaliero in normocaloricaIl grafico mostra i fattori che contribuiscono al fabbisogno calorico giornaliero

Calcolo fabbisogno calorico giornaliero

Iniziamo col vedere alcune formule, quelle che abbiamo scelto hanno una buon rapporto accuratezza/semplicità, su internet ne potete trovare altre ancora più precise, tuttavia vi invitiamo in primis a provarle su di voi. I risultati ottenuto sono semplicemente delle indicazioni rivolte alla popolazione ma è sempre la formula che si adatta alla persona e non viceversa. Quindi verificate sempre se l’introito calorico indicato vi fa mantenere il peso costante oppure no e po aggiustate per raggiungere il peso forma.

Come calcolare l’apporto calorico giornaliero

1) La prima formula usata per predire in modo semplice il fabbisogno basale è l’equivalente metabolico, il MET.
1 MET corrisponde a 1Kcal/Kg/h.
Un uomo di 80Kg avrà un metabolismo di base pari a:

  • 1Kcalx80x24=1920
    A cui aggiungeremo un 30% (10% dall’ADS e 20% dall’attività).
    1920+30%= 2496Kcal per una persona che non fa mestieri pesanti di 80Kg e che si allena 3 volte a settimana.
  • Le donne al posto che moltiplicare per 1Kcal moltiplicano per 0,9Kcal.
    Una ragazza di 55Kg avrà un metabolismo basale di:
    0,9Kcalx55x24=1188Kcal
    A cui aggiungiamo un 30% (10% dall’ADS e 20% dall’attività).

1188+30%=1544Kcal per una ragazza che non svolge mestieri pesanti, di 55kg e che si allena 3 volte a settimana.

Dopo i quarantanni il metabolismo si abbassa del 2-5% per ogni decade d’età.
Negli ultimi anni questa formula è stata aggiustata al ribasso moltiplicando i valori per 23 e non più per 24.

2) Un’altra formula per il fabbisogno energetico giornaliero, molto semplice, è quella di moltiplicare il proprio peso corporeo per:

  • Uomini 32-34
  • Donne 30-32

Una persona di 80Kg dovrà assumere mediamente:
80×32-34=2560-2720Kcal
Ovviamente il calcolo può essere veritiero per persone magre fino ad una % di massa grassa non superiore al 15%.

3) Esistono ancora altri calcoli più accurati per il metabolismo basale che prendono in considerazione anche l’altezza, una usata nello specifico per gli atleti (considerati tali da 3 allenamenti a settimana in su) è la seguente:

Fabbisogno calorico uomo

  • Uomini: 10xKg+6,25xh(cm)-5xetà+5

Fabbisogno calorico donna

  • Donne: 10xKg+6,25xh(cm)-5xetà-161

Un atleta di 30 anni, alto 1,80m per 80Kg dovrà assumere:
10×80+6,25×180-5×30+5=1770Kcal come metabolismo basale a cui successivamente aggiungeremo un 30%.
Come vedete un risultato è simile a quello del MET se lo moltiplichiamo per 23.

4) Lyle McDonalds uno dei ricercatori più importanti usa un’altra formula molto semplice per calcolare il fabbisogno totale della giornata:
Trasformate il vostro peso da Kg in libre moltiplicandolo per 2,2.
A seconda della vostra attività usate differenti coefficienti:

  • Sedentari : peso in libre x 10-11
  • Attività fisica moderata (3 allenamenti a settimana): peso in libre x 12-13
  • Attività fisica intensa (allenamenti giornalieri pesanti): peso in libre x 18-19

Tornando al nostro uomo di 80Kg che si allena 3 volte a settimana abbiamo:

80×2,2×12-13=2112-2430Kcal

5) Esistono ancora altre formule, da tenere più in considerazione se siete in sovrappeso, che basano il l’apporto calorico esclusivamente sull’altezza e non sul peso:

  • Per gli uomini: Altezza in m al quadrato x 700-750
  • Per le donne: Altezza in m al quadrato x 600-650

Il nostro uomo di 1,80m assumerà:
1,8×1,8×700-750=2268-2430Kcal

Come vedi, a seconda della formula che usiamo le calorie possono variare, qual è quella corretta? Provale, msiura se il tuo peso non varia avete trovato quella che fa per te.
Ricordiamoci che possiamo ancorarci ai numeri solo dopo averli verificati.
Ora che abbiamo trovato quante calorie dobbiamo assumere possiamo impostare una dieta per la definizione o per la massa ma di questo ne parleremo in un prossimo articolo.

Calorie giornaliere durante la dieta

Dopo 3-6 settimane che siamo in forte ipocalorica, o dopo 8-12 settimane di leggero deficit, il nostro fabbisogno calorico scende perché il corpo diventa più efficiente in tutti i processi.
Per questo è buona pratica, quando smettiamo di dimagrire inserire 2-4 settimane di dieta normocalorica (con un buon quantitativo di carboidrati), per normalizzare gli assetti metabolici-ormonali.

Fabbisogno calorico giornaliero in ipocalorica

Ecco un altro grafico che mostra perché nel corso delle settimane, lo stesso deficit calorico porta via via a far perdere sempre meno peso fino a stallare. Inserire settimane di Break Diet, servono per riportare il proprio metabolismo ai valori fisiologici e permettono, una volta tornati a dieta di riprendere a dimagrire. Le calorie giornaliere sono  importanti ma vanno contestualizzate nel contesto generale del piano alimentare.

Fabbisogno calorico nelle settimane

Come calcolare il fabbisogno calorico senza formule?

Nonostante tutto quello che abbiamo detto e tutte le formule citate, possiamo semplificarci la vita; se sei già in uno stato stazionario, hai già trovato la risposta a quante calorie avete bisogno per mantenere l’omeostasi. Ovviamente de siete dei ciccioni è facile mantenere il peso mangiando tanto (vedi set point) , ma se hai una % di grasso corporeo intorno o inferiore al 15% (uomini) 22% (donne) e nell’ultimo mese non siete variati, allora hai già trovato il vostro quantitativo. Se invece negli ultimi periodi hai perso o assunto peso o non hai proprio idea di un bilancio calorico, conviene partire dalle formule riportate prima. Ricordiamo che tutte le indicazioni qui riportate sono assolutamente generiche e vanno lette come indicazioni di partenza.

Una volta che avete calcolato il vostro ipotetico fabbisogno provatelo per una settimana e poi verificate che è successo. Se avete variato di peso aggiustate la settimana seguente di 300-600kcal, per trovare il vostro equilibrio energetico. Da qui potrete fare alcune riflessioni su come vi conviene impostare la dieta.

Fabbisogno calorico giornaliero e peso ideale

Il BMI o indice di massa corporea (IMC) è un range entro cui una persona dovrebbe stare per avere un peso ideale (o normopeso). È una formula molto approssimativa, possiamo pesare 70kg avendo il 20% di massa grassa o solo il 10%. Essendo una stima può dare un’idea e la segnaliamo, tuttavia plicometria ed altri strumenti sono sicuramente più attendibili per avere una stima del grasso corporeo e di quanto peso dobbiamo perdere. Per questo, se non hai idea di quale peso raggiungere, puoi utilizzare il BMI come obiettivo iniziale, per raggiungere un buono standard.

Calcolo BMI= peso (in kg) / altezza (m2)
Peso in kg fratto altezza in metri al quadrato. Esempio Lucia pesa 60kg ed è alta 1,62m, il suo Indice di Massa Corporea sarà di 22,9

BMI (Indice di Massa Corporea) Min Max
Grave magrezza <16
Visibilmente sottopeso 16 17,49
Leggermente sottopeso 17,5 18,49
Normopeso 18,5 24,99
Sovrappeso 25 29,99
Obesità I classe 30 34,99
Obesità II classe 35 39,99
Obesità III classe >40

Qual è il fabbisogno calorico giornaliero per dimagrire?

Il principio fondamentale del dimagrimento è sempre quello, ossia mangiare meno di quanto consumi. Per cui una volta che hai calcolato il tuo fabbisogno calorico giornaliero, ti basterà iniziare a ridurre progressivamente le calorie assunte e perdere peso in modo graduale.
Tuttavia, non è così semplice e lineare come sembra. Per questo ti consiglio di leggere l’articolo sulla dieta per dimagrire.

Qual è il fabbisogno calorico giornaliero per mettere massa?

Per mettere massa muscolare dieta e allenamento vanno di pari passo. Al contrario della dieta per dimagrire, sarà necessario aumentare il consumo calorico, perché mettere massa significa costruire muscolo. Tuttavia, come per il dimagrimento, non è tutto semplice e lineare. Per questo ti consiglio di leggere l’articolo sulla dieta per mettere massa muscolare.

L'articolo Calcolo del fabbisogno calorico giornaliero proviene da Project inVictus.

Dieta per dimagrire e perdere peso in modo efficace

$
0
0

dieta per dimagrire

Per dimagrire e perdere peso in modo efficace e nel modo più rapido possibile, molti sono disposti a fare qualsiasi cosa: dalla dieta più assurda alle pastiglie miracolose.
I principi e le regole sottostanti al dimagrimento e alla perdita di peso sono stati già ampiamente definiti dalla ricerca scientifica e sono i veri motivi per cui molte diete definite come “miracolose” in realtà funzionano.
Non esistono segreti o trucchi, ma solo un po’ di impegno e buona volontà nel rispettare le linee guida fondamentali per dimagrire e perdere peso.
Se cerchi una dieta per dimagrire, ne troverai parecchie; ma perché cercare una dieta miracolosa quando ti basta capire quali sono i principi di una dieta efficace per dimagrire?
Scoprilo in questo articolo e crea la dieta più adatta alle tue esigenze, senza sposare ciecamente diete miracolose e buttare soldi in pillole magiche.

Troverai anche tanti video interessanti sul dimagrimento e la perdita di peso. Non farteli sfuggire!

Diete per dimagrire velocemente: perché ti fa tornare peggio di prima

Molte persone ricercano un dimagrimento rapido, veloce. Cercano la dieta per dimagrire di 20kg, 10kg, 5kg in poche settimane. Esempi pronti all’uso per trovare la forma tanto desiderata o per recuperare il fisico snello di un tempo. Magari sono in sovrappeso da anni, ma appena decidono di mettersi a dieta subito i risultati devono arrivare velocemente.  Purtroppo “la fiamma che brucia col doppio dell’ardore si spegne nella metà del tempo“, così chi perde subito molti kg rapidamente, vede prima i risultati stallare. Ma perchè succede questo?

  1. Hai perso principalmente acqua, glicogeno e massa magra, ora puoi perdere solo grasso ma i risultati sono molto più lenti
  2. Hai abbassato troppo il deficit energetico ed hai raggiunto un blocco nel dimagrimento.

perdita di peso rapida o lenta

Una buona strada quando si segue una dieta per dimagrire è quella d’avere un approccio lento e costante e non cercare un dimagrimento veloce e rapido.
Questo approccio è estremamente semplice , estremamente efficace, ma quasi nessuno lo adotta, perché? Perché ci vuole perseveranza e quando vogliamo perdere peso il tempo svolge un ruolo determinante. Vuoi il tutto subito? Vai in farmacia e compra il nuovo incredibile integratore, la dieta per dimagrire in modo efficace segue un’altra strada.

Mettiti il cuore in pace, il segreto è che non esistono segreti! Non ci sono macronutrienti pericolosi, orari strani da rispettare,  abbinamenti da fare, alimenti da salvare o condannare. Esiste solo il tuo impegno associato ad una buona conoscenza della fisiologia, biochimica ed endocrinologia umana.
Conosci, applica, ottieni, sta tutto qui, ma senza perseveranza sappi che rimani senza risultato. Purtroppo la dieta per dimagrire velocemente molto spesso funziona nel breve termine e poi si torna come prima, puoi anche perdere 5kg in un mese ma poi ne riacquisterai, nel tempo, facilmente 6kg.

Per dimagrire e perdere peso devi prima investire

Non cercare la dieta per perdere 10kg in giorni, perché sebbene all’inizio potrebbe sembrarti che funzioni, dopo poco tempo riacquisterai i kg perduti con gli interessi.

Abbiamo visto nell’articolo su come accelerare il metabolismo, che il primo passo che dobbiamo fare per perdere peso è non cercare di farlo fin da subito. Il come fare la dieta per dimagrire in modo efficace si basa sul presupposto, che prima di pensare a cosa togliere devi pensare a cosa aggiungere. Prima impara a mangiare tanto senza ingrassare, prima alza il metabolismo, poi potrai iniziare a sottrarre.
Senza questo presupposto di base, salterai il fosso senza rincorsa. Magari il salto che devi fare è breve e ti basta partire da dove sei, ma se vuoi andare lontano devi fare svariati passi indietro, per poi avere il margine per prendere il volo.
Quindi prima cosa da fare è iniziare a mettersi a dieta partendo da un buon metabolismo, mangiando tanto ed allenandosi correttamente, più ti sei preparato durante gli allenamenti e meno soffrirai sul ring. Leggi l’articolo su come riavviare il metabolismo  se hai saltato questo pezzo.

Ricordati tuttavia che non è il metabolismo basale ad alzarsi o abbassarsi ma l’attività fisica sportiva e non, che ti permette di controllare un 20-30% del fabbisogno calorico giornaliero.

  1. Calcola quanto stai mangiando e confrontalo col tuo fabbisogno calorico giornaliero, se mangi di più mettiti a dieta, se mangi meno passa al punto 2
  2. Generalmente conviene aumentare di 100kcal (giornaliere) a settimana. In questo modo aumentiamo non in modo significativo ed il corpo ha il tempo di abituarsi.
  3. Cerca di prendere l’abitudine di allenarti 2-4 volte a settimana e di camminare 7000-1000 passi al giorno. Questa abitudine la devi mantenere soprattutto durante la dieta.

fabbisogno calorico giornaliero

La dieta per dimagrire e perdere peso passa sempre da un deficit calorico

Lo sappiamo oggi parlare di calorie è da sfigati. Non contano le calorie, conta l’energia del sole, la bontà di spirito e la qualità degli alimenti. Se mangi cibi sani, se ti nutri di cibi vivi, dimagrisci. Ecco queste sono cazzate, la dieta per dimagrire in modo efficace non si basa sulla broscience ma sulla fisiologia. E la fisiologia ci dice che le cellule non riconosco se il glucosio che le arriva è preso dal gelato, dall’insalata o dalla pasta, per loro è semplicemente C6 H12 O6.
Quando la cellula ha energia innesca processi anabolici, quando non ne ha innesca quelli catabolici. Quindi per dimagrire l’organismo deve prendere macro molecole, spezzettarle in micro molecole e consumarle per dare vita a qualcos’altro (nuove molecole, ATP, calore).
Per perdere peso il nostro flusso energetico (bilancio lipidico) deve essere in negativo, quindi meno calorie di quante ne servono per mantenere l’omeostasi (equilibrio).
La qualità degli alimenti è estremamente importante per la salute e per avere un miglior senso di sazietà durante la giornata, ma è la quantità il fattore principale che determina se ingrassiamo o dimagriamo.

Perché non riesci a dimagrire e a perdere peso?

Se non riesci a dimagrire con la dieta i motivi possono essere i seguenti:

  1. non hai un reale controllo su quello che mangi, pensi di introdurre poche calorie perchè non ti accorgi che sono nascoste (scarica un’app conta calorie e segna tutto)
  2. ti muovi veramente troppo poco. Fai almeno 5km a piedi ogni giorno?
  3. distribuisci male i macronutrienti. Mangi abbastanza proteine?
  4. sei partita facendo la dieta con troppe poche calorie ed ora sei in blocco.

Come dimagrire e perdere peso con il partizionamento calorico?

Se dico anabolismo cosa ti viene in mente? La sintesi proteica? Giusto, ma…
Anabolismo per il nostro corpo vuol dire prendere qualcosa di piccolo e dar vita a qualcosa di più grande. Gli aminoacidi costruiscono le proteine, il glucosio da vita al glicogeno e gli acidi grassi formano trigliceridi. Anabolismo vuol dire sia diventare più muscolosi, ma anche ingrassare.
Al contrario il catabolismo da qualcosa di grande, crea qualcosa di piccolo seguendo la stessa strada al contrario.
Quando mangiamo dobbiamo sempre pensare che stiamo mettendo in gioco due soggetti, il tessuto muscolare ed il tessuto adiposo. Tutti e due competono per accaparrassi le stesse molecole.
Chi vince, chi le prende?
Lo stesso avviene quando l’organismo ha bisogno d’energia, chi la dona?
La dieta per dimagrire in modo efficace deve far si che sia sempre il tessuto muscolare a prevalere su quello adiposo. Finché questo succede dimagriamo correttamente, quando invece questo meccanismo smette di funzionare, la perdita di peso si fa improvvisamente più lenta ed alla fine stalla.

Per dimagrire correttamente ti devi allenare e devi essere attivo, solo in questo modo puoi indirizzare quello che mangi verso il muscolo e non verso il grasso.

cosa fare per dimegrire

Perché dopo un po’ il dimagrimento rallenta e non perdi più peso?

Io soffro di vertigini, quindi neanche ci penso a buttarmi, ma il nostro organismo funziona come con un salto col paracadute. Quando ci gettiamo da molto in alto non abbiamo bisogno d’aprirlo e cadiamo a tutta velocità. Sei grasso? Le tue cellule adipose sono sature ed in superficie hanno pochi Glut-4 (i recettori cellulari che captano glucosio ed aminoacidi). Non gli interessa mangiare perché sono sazie, anzi prima vanno in bagno e si liberano un po’ e più sono contente. Le persone in sovrappeso ed obese hanno continuamente cellule adipose che immettono nel sangue acidi grassi. Il problema è che questi non vengono ossidati dal tessuto muscolare e vengono ri-inglobati creando così un continuo ciclo futile.

Mano a mano che dimagriamo tuttavia la storia cambia.
Quando vedi il terreno il paracadute lo apri eccome. Ora le cellule adipose hanno anche loro fame, non si liberano più con tanta facilità e per di più sono piene di Glut-4 in superficie. Quando arriva il cameriere a portare il cibo hanno già il coltello tra i denti.

Prima o poi il tuo corpo aprirà il paracadute, è fisiologico, e prima o poi i risultati rallenteranno e si bloccheranno. Per questo è importante seguire  tutti i passaggi che vedrai, per questo è importante aprirlo il più tardi possibile. La dieta per dimagrire in modo efficace è semplice ma segue precise leggi biologiche.

Come fare la dieta per perdere peso correttamente

Una delle prime volte che mi sono avvicinato allo studio dell’alimentazione sana ed efficace è stato ascoltando Hatfield, un tizio che ha influenzato in modo importate 20-30 anni fa il fitness in America. Hatfield diceva più o meno questo:
Non puoi scendere sempre perché poi ti blocchi, l’organismo, la testa non ce la fanno a stare sempre in ipocalorica, se continui a togliere, togliere diventa la normalità. Ad uno stesso stimolo l’organismo risponde sempre in maniera decrescente. Ad un certo punto la tua ipocalorica diventa la tua normocalorica.
E allora come devi fare? Sei a dieta, uno due giorni a settimana smetti e torna a mangiare normalmente. Segui un regime da 6-8 settimane? Per un paio di settimane smetti e poi riprendi“.

Impostare una dieta per dimagrire sta tutto qui, nel ciclicizzare la discesa e la settimana.

  • 5 giorni d’ipocalorica a settimana (aiutati in questi giorni con frutta e verdura), 2 giorni di norcalorica (mi raccomando normocalorica non abbuffarti)
  • 4-8 settimane di dieta, 2 settimane di un’alimentazione bilanciata sul tuo fabbisogno, ne ipo, ne ipercalorica, poi si riprende di nuovo la discesa.
  • Scopri i protocolli di ricomposizione corporea, per prepararti correttamente a perdere peso

In questo modo puoi spararti 5-6 mesi di regime dimagrante, in questo modo il deficit calorico può essere modesto 15-20% in modo che la perdita di peso sia graduale ed a carico quasi esclusivamente della massa grassa. Per perdere un kg di grasso (non mix con l’acqua legata) ci vogliono mediamente 10-20 giorni, mettiti il cuore in pace! Devi imparare a guardarla in prospettiva, in 4 mesi sono 6-12kg, in 6 mesi sono 9-18kg. 

La dieta per dimagrire è tutta qui, è vecchia forse 30 anni, tuttavia nessuno la segue perché è lenta, impiega tanto tempo ed i risultati sono graduali (ma costanti). Ma soprattutto richiede una forma mentis che modifichi il proprio stile di vita.

esempio dieta per dimagrireEcco un esempio di dieta per dimagrire in 14 settimane. Alternando fasi di ipocalorica a 2 settimane di break diet. 

Dimagrimento e perdita di peso: i 5 errori da evitare

Quando imposti una dita per dimagrire devi evitare di:

1) Preoccuparti se smetti di perdere peso

i cambiamenti non sono lineari, ma ondulati. Abbiamo già visto che l’adipocita tende a preservare la sua forma sferica, se perde grasso, si riempie in parte d’acqua. Abbi fiducia nel deficit calorico, in una settimana magari perderai quello che non avete perso in due. Più ti preoccupi e paradossalmente più sarà difficile perdere peso.

2) Seguire una dieta per dimagrire che non tiene conto delle calorie

Se mangi ad istinto inizialmente assumi troppe poche calorie. Lo fai inconsapevolmente perché vuoi vedere la bilancia scendere. Purtroppo tuttavia se questo succede successivamente la tua mente ti frega, senza accorgerti inizierai a sgarrare di più, ad abbondare, a lasciarti andare. Il senso della fame può attivarsi improvvisamente perché magari per 10-14 giorni hai mangiato troppo poco. Essere monitorati ti permette di capire se stai introducendo troppe ma anche troppo poche calorie. Se lasci che sia l’istinto a guidarti, sappi che l’istinto ti porta verso il tuo set point, non lontano da lui.

3) Non assumere abbastanza proteine per mantenere la massa magra e il senso di appetito

Questo macronutriente è essenziale per non cannibalizzare la massa contrattile e per mantenere alto il senso d’appetito. Se le proteine stanno sotto al 1,5-1,8g/kg la dieta non durerà per 5-6 mesi ed i risultati stalleranno prima. Non serve mantenere “alte” le proteine tutto l’anno, ma in questa fasi si.

4) Sbagliare ad abbassare i grassi o i carboidrati

Se sei fortemente in sovrappeso abbassare i carboidrati e preservare i grassi può funzionare. Ma se invece vuoi dimagrire sotto a 12% gli uomini 21% le donne, i glucidici vanno salvaguardati a sfavore dei grassi. Più la nostra massa adiposa si riduce e più i glucidi sono essenziali per preservare la massa contrattile. Ovviamente anche questi ad un certo punto dovranno calore ma in rapporto taglieremo sempre di più i grassi. Parti da quanti macronutrienti stai assumendo, sai che hai due contenitori a cui puoi attingere, i grassi ed i carboidrati.
Tagliando i primi avrai più fame, i risultati saranno più lenti ma costanti.
Tagliando i secondi il controllo dell’appetito sarà migliore, inizialmente vedrai più risultati, ma nel lungo periodo sarai meno premiato.
Scegli te che sentiero percorrere.

5) Farti fregare dagli sgarri

Tantissime persone falliscono perchè si mettono a dieta, sono ligi 6 giorni e poi magari il sabato sera sgarrano. D’altronde il pasto libero a settimana c’è in tantissime diete. Ecco questo pasto libero va compensato tagliando le calorie durante gli altri pasti della giornata e/0 della settimana. Se crei un deficit calorico di 2500kcal a settimana e poi in un pasto introduci 2000kcal in più (cosa non così difficile da fare), hai in una cena rovinato una settimana. Per questo è importante tenere un diario alimentare in un’app. Approfondisci l’argomento sul nostro articolo degli sgarri alimentari per capire come gestirti.

Dieta per chi fa palestra e vuole dimagrire in modo sano

Per far vincere la guerra al tessuto muscolare e farla perdere a quello adiposo devi fare pesi. Perché?
Perché la fibra muscolare va allenata, altrimenti soccombe a quella grassa. Puoi andare a fare la tua corsetta, puoi fare spinning ed aerobica o zumba, ma l’unica cosa che hai fatto è consumare calorie, ma questo deficit chi lo sta pagando? Solo il tessuto adiposo?
Purtroppo no, più l’attività è blanda e protratta nel tempo, meno il tessuto muscolare è stressato ed allenato. Fai tanto lavoro per consumare tante calorie ma la cellula muscolare non ne guadagna. L’organismo tende ad andare in riserva e quando questo avviene vuol dire che deve aprire subito il paracadute.

L’uovo oggi ti ha negato la gallina domani, se pensi solo a sudare, perderai peso ma ti rimarrà comunque la pancia ed i fianchi.

I pesi invece fanno consumare meno, sono cazzate quelle sull’EPOC e sulle migliaia di calorie che consumi post allenamento, non pensare che basta sollevare ferro per essere magri. I sovraccarichi hanno il vantaggio d’allenare il metabolismo glicolitico delle cellule muscolari. Forti contrazioni attivano i Glut-4 del miotica anche senza insulina (grazie AMPK). Più l’allenamento è breve ed intenso (meglio l’HIIT o l’aerobica) migliore sarà la risposta metabolica. Nel tempo la strada più difficile è anche quella più efficace.

Ma non basta fare pesi, sarebbe troppo facile. Nella prima fase d’accumulo (quando aumenti il tuo metabolismo) devi aver aumentato la tua capacità di lavoro, il tuo tonnellaggio deve essere salito. Perché?
Perché ora che mangerai meno non potrai più allenarti come prima. Non avrai più le stesse energie. E se non potrai fare così tanto, dovrai fare meglio e puntare sulla qualità dell’allenamento, sull’intensità.

Non si può sprigionare una giusta intensità se non abbiamo creato prima una base voluminosa.

Durante la definizione non serve fare serie con 30 ripetizioni perché bruci di più. Cosi tante rep portano i carichi a crollare e le fibre IIx ne risentono. Meno recluti e meno alleni il miocita.
Non serve neanche fare allenamenti di forza di 2-3 ripetizioni, questo perché basta un carico dell’80% per reclutare TUTTE le fibre muscolari.

I tuoi allenamenti in questa fase devo essere incentrati su tecniche ad alta intensità, ma non ti dimenticare di fare anche serie con l’80% del tuo massimale, pena vedere il tessuto magro che si riduce.

dieta per chi fa palestra e vuole dimagrire

Come impostare correttamente una dieta per dimagrire 5kg, 10kg o 20kg?

Visto che hai letto fino a qui ti meriti un premio, sintetizziamo quello che devi fare:

  1. Conta le calorie  (è palloso ma essenziale) ci sono tante app che aiutano a farlo.
  2. Le proteine vanno da 1,8g/kg a 2,5g/kg più il deficit calorico è alto e più in proporzione salgono
  3. Imposta il tuo metabolismo o sui grassi o sui carboidrati. Più sei magro e più punta sui glucidi
  4. Imposta un leggero deficit calorico intorno al 10-20% (15% in media)
  5. Mantienilo per 3-6 settimane, poi torna in normocalorica per 14 giorni e poi riprendi.
  6. Quello che conta è il conteggio calorico settimanale, puoi fare giorni di normocalorica ed altri dove tagli di più.
  7. Quando ti alleni assumi mediamente 50-100g di carboidrati in più
  8. Se fai uno sgarro contalo nel bilancio settimanale, non sarà più uno sgarro
  9. Durante le settimane inevitabilmente il metabolismo tenderà leggermente a scendere. Misurare ti permette d’aggiustare il tiro. Diventerai padrone del tuo metabolismo e non sarai preda di quello che ti succede
  10. Mantieni la dieta per 20-24 settimane, poi ricostruisci il tuo metabolismo per altri 5-6 mesi e poi ritorna a dieta. Più punti lontano e più devi munirti di pazienza, è questo il segreto.

In conclusione, quale dieta fare per dimagrire e perdere peso in modo efficace?

La dieta per dimagrire correttamente non è complessa, non devi mangiare solo determinati alimenti a certe ore del giorno. Puoi regolarla su di te come meglio preferisci, può essere una dieta Mediterranea, Dieta a Zona, Paleo dieta, Vegana (per sportivi) o quello che vuoi, basta che rispetti i punti che abbiamo indicato.

Come hai visto non esistono segreti se non che per dimagrire correttamente non servono singoli atti eroici, non devi fare il talebano per 4 settimane, serve una costante coerenza con quello che ci siamo prefissati. Serve tempo e determinazione.

Per questo le persone si concentrano sugli integratori per dimagrire, sulle scorciatoie metaboliche e sulle novità. E’ più facile passare la vita alla ricerca dei segreti, che guardare in faccia la realtà e mettersi al lavoro (con costanza).

perchè le diete falliscono
Il 95% delle diete fallisce e le persone riprendono più kg di prima. Non fare questo errore usa la testa e non la pancia quando sei a dieta 😉

Qui sopra trovi un piccolo video di approfondimento che potrebbe tornare utile.

 

L'articolo Dieta per dimagrire e perdere peso in modo efficace proviene da Project inVictus.


La resistenza aerobica è l’unico componente da allenare per l’endurance?

$
0
0

Nella preparazione per l’endurance spesso la resistenza aerobica è l’unica capacità allenata in preparazione. Questo è dovuto al fatto che tali eventi hanno una forte componente aerobica. È giusto trascurare tutto quello che è allenamento con i sovraccarichi?

Ovviamente in questo tipo di eventi non serve esprimere molta forza, perlomeno non la forza dinamica massimale. L’allenamento contro resistenza ha una funzione protettiva nei confronti delle articolazioni.

Un tessuto muscolare e tendineo forte è un’assicurazione contro gli infortuni. L’allenamento per la forza, inoltre, ha una funzione plastica nei confronti del cervello, creando nuovi percorsi neurali che aiutano a rimanere sani e performanti, migliorando la mappatura neurale dell’intervento dei muscoli sulle articolazioni.

In termini di durata della contrazione e di metabolismo energetico l’allenamento per la forza è agli antipodi rispetto al modello di prestazione dell’endurance. Verrebbe naturale pensare ad allenamento con i sovraccarichi dove si eseguono un alto numero di ripetizioni con un carichi bassi per “simulare” la prestazione in gara.

Secondo invece gli ultimi studi portati a termine sembra che i maggiori benefici per l’atleta di endurance, in sala pesi, siano l’utilizzo di carichi pesanti e poche ripetizioni.

Un allenamento con un protocollo del genere ha portato miglioramenti nell’economia del gesto, ritardo nell’insorgere della fatica, aumento della potenza massima e l’irrobustimento della componente tendinea ed ossea.

Protocollo pesi per l’endurance

Un protocollo utile per gli atleti di endurance prevede dalle 3 alle 6 serie con ripetizioni che vanno dalle 5 alle 8 con una percentuale del carico massimale che va dall’75% all’85%. Ovviamente le alzate devono rispettare la tecnica e mantenere sempre l’escursione completa.

I recuperi tra le serie dovranno essere di almeno 2 minuti per permettere al creatin-fosfato di rigenerarsi e continuare ad esprimere forza. Recuperi inferiori andrebbero a compromettere la quantità di carico sollevato nelle serie successive.

Quando allenarsi per la forza?

La periodizzazione degli allenamenti è fondamentale per ottenere i massimi benefici.
Il primo blocco di sessioni allenanti sarà di tipo adattativo, ovvero, attraverso protocolli di mobilità articolare, stabilità ed apprendimento tecnico, costruirà la base su cui sviluppare la costruzione della forza.
Nel periodo adattativo si utilizzeranno carichi bassi (intorno al 60% -70% dell’1RM) ed un numero medio alto di ripetizioni (8-10) per permettere di raffinare la tecnica di alzata e di preparare tendini e legamenti ad un lavoro più intenso.
La durata di questo blocco è di 2 / 3 settimane.

Oltrepassato il periodo adattativo passiamo al secondo blocco quello di potenziamento,qui la percentuale del massimale da sollevare aumenterà e, di conseguenza, il numero di ripetizioni andrà a diminuire.
Per mantenere un volume sufficiente alla stimolazione neuromuscolare il numero di serie sarà maggiore in questa fase rispetto alla precedente.
Adottare una periodizzazione lineare permette di avere un incremento della forza costante manipolando solamente le variabili base, come volume ed intensità, senza complicare troppo il programma di allenamento.

Una volta che si è entrati nel terzo blocco, ovvero il periodo agonistico è possibile mantenere i livelli di forza ottenuti facendo uno o due allenamenti di richiamo a settimana. Gli allenamenti di mantenimento dovranno stressare poco la componente muscolare e molto quella neurale.
Serie da 3, massimo 4 ripetizioni all’85% dell’1RM negli esercizi principali, sono sufficienti a non perdere molti dei guadagni ottenuti nelle fasi precedenti.

Allenamento coi sovraccarichi nell’endurance mista (Spartan race, ecc.)

Esiste anche una forma di endurance che non prevede sforzi aerobici prolungati. Ci sono eventi da fare in team che superano anche le 24 ore. In tali eventi il tipo di sforzo è variegato, vengono assegnate “missioni” dove è richiesto, tra le altre cose,  di trasportare carichi pesanti in gruppo, di attraversare un fiume o di camminare per chilometri in affondo.

Tali eventi richiedono non solo una buona capacità aerobica ma anche un discreto livello di forza resistente. La preparazione a tali eventi richiede una programmazione più complessa rispetto ad evento di endurance classico. Viene da se che non è possibile sviluppare alti livelli di capacità aerobica INSIEME ad alti livelli di forza.
Quello che è possibile fare è avere livelli accettabili di entrambe, insieme ad un’ottima capacità di resistenza mentale alla fatica.

Una periodizzazione di tipo “a blocchi” spesso è la strategia migliore da utilizzare per prepararsi a questi eventi. Tale metodo prevede lo sviluppo di più capacità contemporaneamente, ogni blocco (della durata di una settimana circa) è concentrato sullo sviluppo di una singola capacità.
La teoria vuole che stimolando una capacità differente si dà modo all’altra, precedentemente allenata, di supercompensare.
Ovviamente il tempo richiesto per raggiungere livelli accettabili di tutte le capacità richieste dipende dal livello di partenza della persona, questo può richiedere da poche settimane a molti mesi di preparazione più o meno intensa.

Qualsiasi disciplina di endurance si sceglie è importate costruire “un’armatura” in grado di supportare il nostro apparato muscolare ed articolare lungo tutta la durata dello sforzo.

Un esempio di scheda adatta a sviluppare la forza per l’endurance potrebbe essere:

  • Riscaldamento generico + mobilità articolare
  • Walking lounge con bilanciere.
    2 serie di riscaldamento specifico da 10 ripetizioni totali
    4 serie da 16 con recupero da 2 minuti ciascuna (buffer di 1 o 2 ripetizioni, variariare il carico in base al livello di stanchezza)
    Prima di ogni serie di lounges tenere per 10 secondi, al massimo sforzo, la posizione di plank.
  • Leg Press monopodalica:
    1 serie di riscaldamento specifico da 5 ripetizioni
    5 serie da 10 per gamba, buffer di 2 ripetizioni.
  • Spinte ai cavi singole su panca inclinata:
    2 serie di riscaldamento specifico da 6 ripetizioni
    4 serie da 8 (per braccio), buffer di 2 ripetizioni. Recupero da 2 minuti ciascuna
  • Spinte con i manubri su panca piana:
    1 serie di riscaldamento specifico da 6 ripetizioni
    4 serie da 10, buffer di 2 ripetizioni. Recupero da 2 minuti ciascuna
  • Trazioni alla sbarra\ lat machine:
    2 serie di riscaldamento specifico da 6 ripetizioni
    4 serie da 8 (per braccio), buffer di 2 ripetizioni. Recupero da 2 minuti ciascuna
  • Rematore con manubri:
    1 serie di riscaldamento specifico da 6 ripetizioni
    4 serie da 10 ripetizioni per braccio, buffer di una ripetizione. Recupero da 2 minuti ciascuna.

Ovviamente una scheda del genere va contestualizzata in una programmazione che prevede (e pone maggiore enfasi) sulle abilità sport-specifiche

Mentre il secondo tipo di endurance, quello che non implica la corsa e prevede trasporti con carichi molto pesanti, ha un struttura più complessa.
In un microciclo di esempio ci saranno almeno 3 o 4 sedute. A seconda della capacità carente, a quest’ultima verranno dedicati il maggior numero di allenamenti.

Nei giorni di allenamento per la forza si andranno ad utilizzare le alzate di potenza ed i loro esercizi complementari. All’inizio della programmazione le sedute di pesistica calssica avranno spazio maggiore fino a quando non si sono raggiunti dei valori accetabili (150% del proprio peso sulla panca piana, 200% in squat e stacco da terra).
Per raggiungere tali obiettivi si possono usare i tantissimi protocolli disponibili .

Nei giorni di condizionamento aerobico la seduta ha intervalli che prevedono parti di alta intesità e parti di trasporti pesanti.

Esempio:

  • Riscaldamento + mobilità articolare

  • AMRAP: 7 Minuti di
    10 kettlebell russian swing
    10 Box jump
    10 kettlebell renegade row (10 per braccio)
    10 piegamenti con le braccia sui kettlebell

Al termine dell’amrap riposare 3 minuti e poi salire sul treadmill portando con se una sacca da 20/15 kg.
Impostare il tempo a 7 minuti.
Impostare una pendenza del 7%, almeno.
Impostare una velocità che permetta una camminata veloce (5/7 kmh).
Iniziare a camminare spostando la power bag quando necessario.
Aumentare la pendenza del 2% ogni 2 minuti.

Ripetere, per due giri il primo protocollo AMRAP, portandolo, però, a 5 minuti.
Il riposo tra i giri è di 2 minuti.

Riposare 2 minuti (un minuto in meno rispetto al primo blocco)

Ripetere il trasporto pesante.

  • Defaticamento.

Con il progredire dell’allenamento riducete di 30′  il tempo di recupero tra il protocollo AMRAP ed il trasporto.
Sempre con il progredire della scheda aumentate il peso da trasportare, è molto utile usare come zavorra, oltre che la power bag, anche uno zaino con dei pesi al suo interno.
Negli eventi endurance è sempre previsto l’impiego di uno zaino zavorrato con acqua e oggetti vari, è una buona strategia iniziare ad abituarsi ad avere un carico sbilanciato che grava sulle spalle.

Andando avanti nella programmazione le sedute di sviluppo della forza generale diminuiranno in favore di allenamenti ibridi che hanno il compito di adattare i guadagni di forza al tipo di prestazione richiesta.

Bibliografia:

  • Maximal strength training improves aerobic endurance performance
    J. Hoff, A. Gran, J. Helgerud
  • Effects of strength training on endurance capacity in top‐level endurance athletes
    P. Aagaard, J. L. Andersen
  • Effects of strength training on lactate threshold and endurance performance.
    Marcinik EJ, Potts J, Schlabach G.
  • Effects of concurrent endurance andstrength training on running economy and VO2 kinetics
    P. MILLET, BERNARD JAOUEN,

L'articolo La resistenza aerobica è l’unico componente da allenare per l’endurance? proviene da Project inVictus.

Cosa sono gli aminoacidi?

$
0
0

Gli amminoacidi (o aminoacidi) sono una classe di molecole presenti in natura con un’importanza nutrizionale per l’essere umano. Nel senso comune la parola aminoacido viene associata agli integratori per lo sport, come gli aminoacidi essenziali (EAA) o gli aminoacidi ramificati (BCAA), ma in realtà si tratta di molecole che costituiscono tutti gli esseri viventi, oltre che le proteine tissutali, gli ormoni, gli enzimi, i neurotrasmettitori e molto altro.

Per questo motivo l’associazione automatica tra la parola “aminoacidi” e alcuni integratori sportivi è impropria, in quanto si possono indicare una miriade di altre molecole completamente estranee a questa categoria di prodotti.

Nell’uomo le proteine sono formate da 20 aminoacidi suddivisi in essenziali (8-9) e non essenziali (11-12):

  • aminoacidi essenziali: leucina, isoleucina, valina, lisina, metionina, treonina, fenilalanina, triptofano.
  • aminoacidi non essenziali: arginina, alanina, acido aspartico, acido glutammico, cistina, cisteina, glicina, istidina, prolina, serina, tiroxina.

La loro funzione non è solo strutturale, alcuni interagiscono come mediatori neurali, ed altri possono fornire energia al nostro organismo (substrati per la gluconeogenesi).

aminoacidi alimentazione

Supplementi aminoacidici: nello sport e nella terapia

Rimanendo sul tema degli integratori/supplementi per lo sport, è altrettanto improprio associare la parola aminoacidi a soli due prodotti molto comuni, cioè gli aminoacidi essenziali (EAA) e gli aminoacidi ramificati (BCAA). Questo perché nel mercato degli integratori sono commercializzati molti altri aminoacidi tra i 20 presenti nel cibo, altrettanto utilizzati nello sport ma anche nel contesto medico e terapeutico. 

Molti supplementi aminoacidici infatti sono usati in campo clinico, tra cui gli stessi che vengono usati nello sport per la performance o la massa muscolare. La creatina (1), gli aminoacidi essenziali (2), i ramificati (2), così come l’arginina (2), la citrullina (2), la glutammina (3) o la taurina (4), sono solo alcuni esempi di aminoacidi che vengono notoriamente utilizzati per scopi extra-sportivi e terapeutici.

Paradossalmente, la maggior parte dei supplementi aminoacidici più noti nel contesto sportivo, sono forse più utili in campo medico dato che molti di questi (BCAA, EAA, arginina, glutammina) sono stati fortemente ridiscussi per la loro efficacia sportiva nella ricerca recente (5,6). In parole semplici non funzionano tanto nei soggetti sani, ancora meno sportivi, ma negli anziani, negli ustionati, ecc.

L’integrazione di alcuni aminoacidi si è dimostrata così utile nei soggetti con carenze o con fabbisogni fuori dalla norma, mentre in chi già segue un regime alimentare completo ed “iperproteico”, un’integrazione ulteriore non si è rivelata utile. Solo gli aminoacidi essenziali, in un regime ipocalorico, potrebbero ancora rivelarsi utili nello sportivo o in chi ricerca una miglior composizione corporea (atleti di bodybuilding).

Riferimenti:

  1. Gualano B et al. In sickness and in health: the widespread application of creatine supplementation. Amino Acids. 2012 Aug;43(2):519-29. 
  2. Jonker R et al. Role of specific dietary amino acids in clinical conditions. Br J Nutr. 2012 Aug;108 Suppl 2:S139-48.
  3. McRae MP. Therapeutic benefits of glutamine: An umbrella review of meta-analyses. Biomed Rep. 2017 May;6(5):576-584.
  4. Schaffer S, Kim HW. Effects and mechanisms of taurine as a therapeutic agent. Biomol Ther (Seoul). 2018 May 1;26(3):225-241. 
  5. Kerksick CM et al. ISSN exercise & sports nutrition review update: research & recommendations. J Int Soc Sports Nutr. 2018 Aug 1;15(1):38.
  6. Helms ER et al. Evidence-based recommendations for natural bodybuilding contest preparation: nutrition and supplementation. J Int Soc Sports Nutr. 2014 May 12;11:20.

L'articolo Cosa sono gli aminoacidi? proviene da Project inVictus.

Beta-alanina: funzione, effetti, dosaggi

$
0
0

beta alanina

La beta-alanina (o β-alanina) è un amminoacido oggi molto utilizzato come supplemento ergogenico (per la performance). In particolare la beta-alanina spicca come uno dei supplementi più interessanti per migliorare vari tipi di resistenza, come l’endurance aerobica e anaerobica, o l’endurance muscolare locale nel contesto dell’esercizio con sovraccarichi (bodybuilding, Crossfit, calisthenics ecc).

Al contrario di molti altri supplementi, in questo caso l’efficacia è ben stabilita grazie a una vasta mole di studi che ne hanno osservato i benefici nell’ambito sportivo (1,2,3).

Funzione beta-alanina

La β-alanina agisce come cosiddetto agente “buffer”, cioè come tampone per limitare l’acidità prodotta dalla contrazione muscolare (acidosi). Durante l’attività fisica di sufficiente intensità si verifica un aumento della produzione di ioni di idrogeno (H+) e quindi un loro accumulo nelle cellule muscolari: questo si traduce in una diminuzione del pH cellulare e in un ambiente acido, che compromette la contrazione muscolare creando fatica. Le sostanze buffer, come la β-alanina o il bicarbonato di sodio, agiscono proprio ritardando questo processo (1,2).

La β-alanina in particolare agisce indirettamente, favorendo l’accumulo muscolare di un’altra molecola aminoacidica (un dipeptide) nota come carnosina, che è composta dai due amminoacidi β-alanina e istidina. Dopo l’ingestione la β-alanina viene combinata con la L-istidina per sintetizzare carnosina depositandone una maggiore quantità nei muscoli, ed è questa la molecola direttamente responsabile dell’effetto buffer (1,2).

La beta alanina si è rivelata più utile come integratore rispetto alla carnosina che se assunta oralmente va incontro più facilmente a degradazione e rimane pertanto meno bioattiva.

β-alanina utile per l’attività in palestra?

La β-alanina è stata riconosciuta essere efficace per sforzi di almeno 30 secondi (1), una tempistica neppure molto lunga se paragonata alla vera e propria endurance muscolare locale, cioè la capacità del muscolo di resistere sotto carico nel tempo. In questo senso l’aminoacido può rivelarsi interessante anche per l’attività in palestra, se la modalità di allenamento e la specificità consistono in prestazioni di forza resistente e endurance muscolare.

In realtà dati precedenti suggerivano che fosse efficace per sforzi superiori ai 60 secondi (2), delle tempistiche non rispettate da tutti nel bodybuilding, ma comuni se si utilizzano varie tecniche di intensità o ripetizioni piuttosto elevate. Queste specificità nell’allenamento contro resistenza sono tipiche del Crossfit, ma anche di allenamenti fitness a circuito e di calisthenics. I casi in cui il supplemento potrebbe non essere utile sono invece le discipline anaerobiche alattacide con i pesi che mirano forza e potenza, come la pesistica e il powerlifting, o il bodybuilding più orientato sulla forza.

Alcuni tecnici si chiedono, se diminuendo lo stress metabolico, la beta-alanina ha realmente senso per l’ipertrofia muscolare. La risposta rimane si, perchè lo stress metabolico è solo ritardato a favore di un maggior lavoro muscolare (maggior tonnellaggio sollevato).

Timing e posologie

b-alanina

Nonostante sia un comune ingrediente di molti supplementi pre-workout, la β-alanina non ha un’azione cosiddetta acuta, cioè non agisce nel periodo successivo all’ingestione (3). Per avere effetto, l’aminoacido deve essere assunto per un periodo cronico (a lungo termine) di almeno 4 settimane, in maniera che riesca a saturare le scorte di carnosina all’interno del muscolo (3). Le dosi ideali di β-alanina sono di 4-5 g, da assumere quotidianamente, anche nei giorni di riposo.

Da questo punto di vista l’aminoacido ha diversi punti comuni con la creatina, in quanto prevede la stessa modalità di assunzione per avere effetto sulla performance, stimolando una migliore supercompensazione di alcune scorte muscolari se assunta dopo i pasti (3). Alcune ricerche hanno anche proposto un effetto sinergico tra i due supplementi per la performance e la composizione corporea (4), cosa che però non è stata sufficientemente studiata.

Effetti collaterali beta-alanina

Un effetto “collaterale” della β-alanina è la sensazione di prurito o formicolio che si manifesta dopo pochi minuti dall’ingestione, un effetto è noto in medicina come parestesia, che per alcuni potrebbe risultare fastidioso. È possibile che il supplemento venga incluso in molti pre-workout proprio per questo effetto in maniera da autosuggestionare la persona, nonostante non abbia alcuna utilità se assunto prima di allenarsi.

Generalmente la parestesia può avere varie cause, ma quando è provocata dalla β-alanina non è motivo di preoccupazione: la sensazione si riduce con l’uso continuato, ma può anche essere ridotta assumendo l’integratore dopo i pasti oppure dividendo l’assunzione complessiva (4-6 g) in 2-3 assunzioni da 1.5-2 g.

Riferimenti:

  1. Saunders B et al. β-alanine supplementation to improve exercise capacity and performance: a systematic review and meta-analysis. Br J Sports Med. 2017 Apr;51(8):658-669.
  2. Hobson RM et al. Effects of β-alanine supplementation on exercise performance: a meta-analysis. Amino Acids. 2012 Jul;43(1):25-37.
  3. Iraki J et al. Nutrition recommendations for bodybuilders in the off-season: A narrative review. Sports. 2019;7,154.
  4. Hoffman J et al. Effect of creatine and beta-alanine supplementation on performance and endocrine responses in strength/power athletes. Int J Sport Nutr Exerc Metab. 2006 Aug;16(4):430-46.

L'articolo Beta-alanina: funzione, effetti, dosaggi proviene da Project inVictus.

Come diventare personal trainer

$
0
0

Personal Trainer

Quello del personal trainer ad oggi è un mestiere che sempre più sta suscitando l’interesse di molti, in una società sempre più sedentaria, pigra, fuori forma e povera di movimento. La ricerca della forma fisica perfetta e della salute a lungo termine attira oggi moltissime persone a iscriversi in palestra o a impegnarsi nell’iniziare un programma duraturo di attività fisica che possa permettergli di raggiungere i propri obiettivi estetici. Il personal trainer si propone come professionista capace di accogliere, valutare e guidare la persona nel suo percorso di attività fisica dentro o fuori una palestra.

Per fare ciò oggi nel lavoro di personal trainer è richiesta una formazione scientifica completa e trasversale che possa permettere di gestire al meglio ogni situazione portando le persone a migliorare la propria estetica, rispettando la propria individualità ed evitando di farsi male. Il personal trainer è così chiamato a costruire schede di allenamento personalizzate (da qui il termine personal training) che siano adatte alla persona, ai suoi obiettivi, alle sue esigenze e al suo stato attuale di forma e di salute articolare. Le conoscenze richieste per svolgere questa professione abbracciano quindi numerosi campi: dalla programmazione dell’allenamento, passando per la composizione corporea, fino ad arrivare alla corretta esecuzione degli esercizi. Come diventare personal trainer? Quale il percorso migliore per acquisire queste conoscenze? Scopriamolo passo passo.

Personal Trainer

Come diventare personal trainer senza laurea

Innanzitutto è bene fare qualche importante precisazione. Ad oggi non esiste una legge dello stato che regolamenti la figura professionale del personal trainer e, sulla carta, chiunque può diventare personal trainer anche senza laurea. Tuttavia, vista la vastità di conoscenze necessarie a svolgere un lavoro efficace e rispettoso della salute delle persone, un percorso di laurea in scienze motorie è più che mai consigliato per acquisire quel bagaglio di conoscenze scientifiche necessario a svolgere l’attività con consapevolezza. Detto ciò, ad oggi il percorso di laurea non prepara in maniera specifica per diventare personal trainer e per questo, associate o meno all’università, possono essere svolti dei corsi per personal trainer riconosciuti che si impegnano a fornire un percorso di studi valido per la professione. La bontà del corso è strettamente dipendente dal numero di ore, dal corpo docenti e dalle materie affrontate.

Come diventare personal trainer professionista

Diventare un personal trainer professionista significa quindi non lasciare nulla al caso e saper impostare un programma di allenamento efficace e sicuro basato su:

  • un colloquio iniziale in cui vengono raccolte una serie di informazioni utili alla stesura della scheda di allenamento;
  • una valutazione funzionale in cui viene analizzata la postura del cliente e vengono testati forza e flessibilità dei principali gruppi muscolari da allenare;
  • una valutazione iniziale della composizione corporea e una verifica dei risultati nei mesi successivi;
  • un’educazione alla sana alimentazione e a un corretto stile di vita;
  • un’ottima conoscenza della didattica e della biomeccanica degli esercizi, per favorire un’ottimale lavoro muscolare e allo stesso tempo tutelare la salute delle articolazioni.

Come scuola di formazione Project inVictus si è impegnata in tal senso a proporre un percorso didattico scientifico, capace di formare professionisti di alto livello e caratterizzato da un corpo docenti comprendente professori universitari, medici, fisioterapisti, laureati in scienze motorie, nutrizionisti e psicologi. Un corso aperto a tutti, riconosciuto e abilitante alla professione della durata di oltre 40 ore composto da lezioni online fruibili ovunque e lezioni dal vivo a contatto con i docenti. Il corso prepara personal trainer coni che possono lavorare in palestra o in uno studio personal trainer.

Come diventare personal trainer di successo

Diventare un personal trainer di successo necessita al giorno d’oggi capacità tecniche e umane trasversali. Da un lato i risultati raggiunti da sé stessi e dai propri clienti potranno creare un passaparola positivo capace di aumentare il bacino di clientela. In questo senso la capacità di promozione e valorizzazione dei propri risultati estetici anche grazie a un sito web o ai social network aiuterà molto ricordando sempre che noi siamo la prima pubblicità di noi stessi e che ogni cliente soddisfatto è un catalizzatore di persone desiderose anch’esse di migliorare la propria forma fisica. Da un altro lato però anche il personal trainer più preparato non potrà avere il successo che merita senza qualità umane come il carisma e delle spiccate capacità comunicative e di vendita. L’empatia, la capacità di ascolto e di adattarsi faranno sempre la differenza per diventare un personal trainer di successo.

L'articolo Come diventare personal trainer proviene da Project inVictus.

Insulino resistenza (o resistenza all’insulina): che cos’è e come ridurla?

$
0
0

Insulino resistenza

L’insulino resistenza (o resistenza all’insulina) consiste nella diminuzione della risposta delle cellule dell’organismo al rilascio di insulina nel corpo. Questa condizione può favorire l’accumulo di grassi e portare a seri problemi di salute.
In questo articolo indagheremo a fondo quali sono gli aspetti biochimici e fisiologici dell’insulino-resistenza, quanto influisce la resistenza all’insulina sul dimagrimento, perché a volte pur mangiando bene e/o poco non riusciamo a far calare pancia e fianchi, ossia “perchè non dimagrisco”?

Scarica l'articolo in formato PDF

Come funziona l’insulino resistenza?

Up down regulation

Il nostro corpo cerca sempre di preservare l’omeostasi (lo stato interno), per questo ha escogitato tutta una serie di strategie come i feedback negativi: avete sete >bevete >il nuovo stato idrico interrompe lo stimolo della sete. Oltre ai feedback a livello cellulare ha creato una serie di risposte recettoriali up-down-regulation. Più una sostanza è rara e più recettori cellulari vengono portati in superficie per captarla, più la sua quantità è elevata e al contrario nel tempo meno ne ritroviamo sulla membrana.

Quando nel sangue viene immesso dello zucchero il pancreas attiva l’insulina, questo ormone porta nelle cellule muscolari ed adipose dei recettori (Glut-4) che cattureranno il surplus glucidico. Il gioco funziona finchè non esageriamo, un po’ come la storia di Pierino con il lupo, se quotidianamente ingurgitiamo troppi zuccheri, i recettori Glut-4 smettono di trasferirsi sulla superficie di membrana. Il pancreas è così costretto a secernere più insulina per sortire lo stesso effetto. Alla fine però il sistema si rompe, il pancreas perde la sua capacità di regolare la glicemia e da insulino resistente diventiamo diabetici di tipo 2.

Insomma forse non si può mangiare fino a scoppiare letteralmente ma sicuramente si può mangiare fino a diventare diabetici.

Effetti dell'insulino resistenza

Insulino resistenza e carboidrati

Resistenza all’insulina e grassi

Purtroppo però la resistenza all’insulina non riguarda solo l’eccesso di zuccheri ma anche di grassi (ed in minor parte le proteine). Cosa centrano i grassi con l’insulina? Poco, almeno a livello ematico, ma a livello dei recettori di membrana molto. La membrana cellulare è formata da fosfolipidi, tutti sappiamo che i grassi sono idrofobici, il glucosio invece è idrofilo (si scioglie nell’acqua), per questo per entrare nella cellula ha bisogno dei Glut-4. Alti livelli di trigliceridi nel sangue ostacolano così l’ingresso del glucide nella cellula (anche attraverso l’azione dei grassi intracellulari). Per questo c’è una correlazione tra chi mangia molta carne rossa ed il diabete. Non potete sperare, limitando solamente gli zuccheri, di migliorare l’insulino resistenza.
Anche perchè senza glucidi poi non veniteci a chiedere come accelerare il metabolismo.

Grassi e Glut-4

Come ridurre la resistenza all’insulina in modo semplice?

Se vogliamo risolvere il problema della resistenza all’insulina è inutile incolpare l’eccesso di zuccheri (visione della dieta a Zona e Paleo) o dei grassi (visione della dieta Mediterranea e Vegana), bisogna in primis incolpare l’eccesso calorico. E’ quando abbiamo un surplus energetico costante che la cellula soffre, quindi i problemi non sono dati dai carboidrati o dalla carne ma dal fatto che semplicemente mangiamo troppo in rapporto a quello che ci muoviamo. Seguite la dieta che volete (purché abbia una base scientifica) e vedrete che in ipocalorica tutti i parametri ematici miglioreranno e con essi l’insulino resistenza.

 

  • Project Convention 2019
  • Project Convention

Insulino resistenza e flessibilità metabolica: perché lui mangia tanto e non ingrassa e io si?

Luca è un collega coetaneo di Marco, tutti e due sono sedentari e tutti e due sono alti 1,80m e pesano 75Kg. Mangiano sempre alla mensa assieme ed a fine giornata assumono le stesse calorie. Tuttavia nel giro di 5 anni Luca ingrassa di 10Kg mentre Marco rimane uguale. Alcuni potrebbero sostenere che questa è la prova che Dio non esiste; vediamo, invece, di capire perché questo avviene approfondendo il concetto di flessbilità metabolica e il funzionamento dei mitocondri:

La flessibilità metabolica

Il nostro corpo consuma prevalentemente due carburanti: i grassi ed i carboidrati. A riposo il muscolo attiva quasi esclusivamente il metabolismo lipidico (azione bruciagrassi), mentre dopo un pasto classico (60-15-25) la situazione si inverte e consuma quasi esclusivamente zuccheri. Questa alternanza viene chiamata flessibilità metabolica e sta ad indicare un meccanismo ON/OFF tra i due metabolismi.
In chi è insulino resistente la situazione purtroppo varia, a riposo il muscolo continua ad attivare anche il metabolismo glucidico, mentre dopo il pasto continua a mantenere attivo anche quello lipidico.
Questo si riflette sul Quoziente Respiratorio, più la persona è in sovrappeso e meno grassi brucia a riposo mentre al posto consuma gli zuccheri.

Flessibilità metabolica e resistenza all'insulina

I mitocondri

Non possiamo parlare di salute e dimagrimento se non parliamo di mitocondri. Questi organuli sono l’unico posto del nostro corpo dove possiamo bruciare gli acidi grassi. Come si riflette la resistenza all’insulina sui mitocondri?
Quando parliamo di metabolismo accelerato o metabolismo lento cosa intendiamo? Che gli scambi biochimici nel nostro corpo avvengono più o meno rapidamente?
Sbagliato

Lavoisier diceva che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma (in calore). Quando mangiamo pensiamo che quello che ingurgitiamo vada a rimpiazzare le scorte energetiche consumate, che ripari i tessuti o che venga convertito in grasso. Quello che non consideriamo mai è che le calorie introdotte possono dissiparsi in calore. E’ questo il segreto dei magri che mangiano tanto e non ingrassano. Mitocondri sani, numerosi, con un’alta densità portano a dissipare in calore l’eccesso energetico piuttosto che a convertirlo in nuovi acidi grassi. La resistenza all’insulina ha un’azione diretta sia sulla membrana cellulare sia sui mitocondri, depotenziando il loro ruolo termogenico.

Luca e Marco erano identici fuori ma internamente avevano differenze mitocondriali. Luca ne possedeva meno e più piccoli, questo nel tempo l’ha portato ad ingrassare, Marco al contrario aveva più fornaci dove dissipare in calore l’eccesso energetico.

Insulino resistenza e disfunzione mitocondriale

La soluzione all’insulino resistenza non è scontata

L’insulino resistenza crea un circolo vizioso, porta ad ingrassare e più si ingrassa più più si diventa insulino resistenti. Mangiare meno non sempre funziona per spezzare questo meccanismo, spesso ci ritroviamo ancora grassi pur mangiando poco, un disastro.

Diete low carb , con pochi carboidrati, a volte migliorano la sensibilità insulinica, perchè la scarsità di glucosio porta nuovi recettori Glut-4 in superficie, a volte però la peggiorano perchè le cellule ormai abituate a sfruttare sempre il metabolismo lipidico, preservano il poco glucosio presente a livello ematico, consumando lentamente i grassi e perdendo l’affinità col glucosio.
Per questo c’è tanta confusione a livello alimentare e si sente tutto ed il contrario di tutto, perchè una soluzione univoca non c’è.

Sensibilità o resistenza insulinica?

Come ridurre l’insulino resistenza?

Ma allora cosa dobbiamo fare?

Esercizio fisico e resistenza all’insulina

Muoversi e riniziare a mangiare con gradualità. L’esercizio fisico è l’unico fattore che migliora la sensibilità insulinica indipendentemente dall’alimentazione. La produzione energetica aumenta enormemente nelle cellule muscolari che lavorano, questo porta sia a consumare le scorte energetiche cellulari, sia a riportare in superficie i Glut-4 per captare più glucosio possibile. Questo meccanismo non è mediato dalla glicemia per questo migliora la sensibilità insulinica ed abbassa l’insano resistenza.

Perchè tutto questo avvenga l’attività fisica deve essere intensa (proporzionale alla capacità della persona). Se vi limitate a camminare per dimagrire il vostro corpo utilizzerà sempre i grassi come combustibile, idem se correte in fascia lipolitica. Per carità muoversi è sempre meglio che stare fermi, ma visto che immagino che non abbiate tempo da buttare via, consumatelo allenandovi nel migliore dei modi.

Purtroppo le persone guardano al dito perdendo di vista la luna, appena leggono che un’attività fa consumare più grassi la prediligono senza indagare che ripercussioni ha sullo stato metabolico.

Voi dovete dimagrire non quando vi allenate ma quando siete a riposo, è questo il segreto.

Diete efficaci contro l’insulino resistenza: che cosa mangiare?

Dal punto di vista alimentare dovete riprendere l’affinità coi carboidrati, se li mangiate ed ingrassate c’è qualcosa che non va, se questo avviene è perchè i mitocondri hanno perso la capacità d’ossidare in calore l’eccesso glucidico.
Ci sono diverse strategie per migliorare l’affinità col glucosio.
Ora le esporremo brevemente ma tenete sempre a mente questi due punti: nessuna dieta funziona bene se non è abbinata alla giusta attività fisica. Alimentazione+training servono per far capire al vostro organismo che deve indirizzare i macronutrienti ai muscoli e non più alle cellule adipose.

1) Dieta low-fat. La presenza di pochi grassi (<20-25% delle calorie) formati prevalentemente da monoinsaturi, i saturi (dipende dal tipo) peggiorano la resistenza all’insulina mentre i polinsaturi creano facilmente processi di perossidazione lipidica. Il corpo trovando come carburante principale i gludici ricrea un feeling con questi.
2) Diete low-carb in cui gradualmente si rinseriscono i carboidrati. Se appena vedete un piatto di pastasciutta vi gonfiate come un dirigibile, assumere subito tanti carboidrati potrebbe non essere la scelta migliore. Limitarli ed aggiungerli a poco a poco è un percorso più lento ma efficace. Aggiungete ogni settimana 5-10-g di carboidrati. Ogni volta che vedete che la vostra composizione corporea tende a peggiorare, stabilizzate il quantitativo e poi riprendete solo successivamente ad aggiungerli. In 24 settimane avrete assunto 120-240g di glucidi in più, aumentando il metabolismo in modo considerevole.
3) Alternare giorni low-carb a giorno low-fat. Questo è uno dei nostri approcci preferiti, ciclicizzare i macronutrienti e le calorie all’interno della settimana e del mese è forse l’approccio più complesso ma anche più efficace. Il corpo costantemente viene attivato da stimoli differenti. Quello che conta è il trend che vogliamo dargli.
Nello stesso modo anche l’allenamento dev’essere vario, incentrato sulla forza, potenza ma anche resistenza.

Perché esiste l’insulino resistenza in natura?

Probabilmente se foste dei pinguini che devono passare i mesi invernali senza mangiare non ve lo chiedereste. La resistenza all’insulina è negativa ai giorni nostri ma ha permesso di sopravvivere ai nostri antenati.

1. Abbassando il metabolismo
2. Preservando il gluocosio ematico ed il gliocogeno epatico e muscolare
3. Preservando la massa muscolare dalla gluconeogenesi
4. Stabilizzando i parametri ematici

Quindi come sempre non è che la natura è cattiva ma ogni cambiamento fisiologico andrebbe letto all’interno del suo contesto, anche l’insulino resistenza. Oggi soffriamo delle patologie che in passato ci hanno permesso di rimanere in vita.

L’insulina, quindi, fa ingrassare?

Come diagnosticare l’insulino resistenza? L’Homa Index

I problemi legati all’insulina possono essere di tantissimi tipi. Possiamo avere problemi alla base, legati ad un deficit nella produzione, oppure periferici con dei recettori che perdono l’affinità (in realtà ci sono tantissime altre varianti, ma semplifichiamo).

Uno dei test indiretti più usati per riconoscere e valutare l’insulino resistenza è l’HOMA Index che valuta il rapporto a digiuno tra glicemia ed insulina. Si calcola:

Indice HOMA = (glicemia x insulinemia) / 22.5 (dove la glicemia è espressa in mmol/L e l’insulina in mU/L)

Valori inferiori a 2,5 si riferiscono a soggetti non insulino resistenti. Esistono poi altri test diretti per approfondire qualora i valori segnalino problemi legati l’insulino resistenza e per individuare la miglior cura per ritornare a valori normali.

Conclusioni sull’insulino resistenza

Non è l’obiettivo di questo articolo quello di dirvi esattamente cosa fare; abbiamo scritto un libro di oltre 250 pagine su questo (uscita settembre 2015). Quello che ci interessa è che capiate che, la resistenza all’insulina porta a:

  • Perdere l’affinità col glucosio
  • La cellula muscolare perde parte del suo up-take, i muscoli avranno una minor spinta anabolica
  • I mitocondri funzioneranno peggio, abbassando il metabolismo
  • L’antagonismo cellule adopose, cellule muscolari, sarà vinto dalle prime

Per ridurre la resistenza all’insulina devi:

  1. Aumentare la massa muscolare che contrasta l’azione degli adipociti
  2. Riattivare i mitocondri attraverso l’allenamento
  3. Riprendere l’affinità col glucosio
  4. Godervi la nuova situazione metabolica dove potete mangiare e rimanere magri e muscolosi

Se pensate che tutti questi passaggi siano semplici ed indolore avete sbagliato sito. Il tutto e subito non esiste, volete conoscere il segreto?

Farsi il culo, farsi il culo con costanza e farsi il culo in modo intelligente.

L'articolo Insulino resistenza (o resistenza all’insulina): che cos’è e come ridurla? proviene da Project inVictus.

Carnosina: effetti e dosi

$
0
0

carnosina

La L-carnosina è un dipeptide, cioè una molecola composta da due amminoacidi, la β-alanina e la L-istidina. Oltre ad essere presente nel cibo, questa è commercializzata come supplemento/integratore con dei potenziali utilizzi sia per lo sport che per la salute.

Nell’attività sportiva la L-carnosina non è in realtà considerata in quanto poco biodisponibile, al contrario del precursore β-alanina, la quale è ampiamente studiata e convalidata come supplemento per migliorare la performance sportiva. In ambito medico la carnosina è attualmente oggetto di studi, con promettenti potenzialità per la salute e per il trattamento di molte malattie croniche.

La carnosina nello sport

La carnosina ha una grande popolarità in ambito sportivo, non tanto come supplemento, ma per il fatto che una maggiore concentrazione di questa molecola nei muscoli permette di ottenere un miglioramento di vari tipi di performance legati alla resistenza (1), argomento approfondito nell’articolo sulla beta-alanina.

La carnosina intesa come supplemento non è utilizzata nello sport in quanto ha una bassa biodisponibilità, vale a dire che a seguito dell’ingestione viene in gran parte degradata nelle sue molecole di base β-alanina e L-istidina (ad opera dell’enzima carnosinasi), mentre solo una piccola parte accede al sangue intatta (1,2). La carnosina non riesce quindi ad apportare i noti benefici per la performance mediante l’aumento delle sue scorte nel muscolo: per questo si necessita della β-alanina, il suo precursore, che bypassa il problema della biodisponibilità.

Anche la β-alanina in realtà è poco biodisponibile dopo l’ingestione (sharpe), tuttavia si osserva che dopo una fase di assunzione cronica di diverse settimane (almeno 4 fino a 10), l’aminoacido riesce comunque a supercompensare le scorte di carnosina nei muscoli e agire come efficace ergogenico.

La carnosina nella terapia

Come per molti altri supplementi aminoacidici, anche la carnosina (o un aumento della sua sintesi integrando β-alanina) può trovare utilizzo in ambito medico, ed è stata proposta per malattie neurodegenerative, diabete, insulinoresistenza, nefropatie, cardiopatie, cancro e altre malattie croniche (3,4). La carnosina viene anche proposta come supplemento per la salute, in particolare per migliorare la qualità della vita e la longevità negli anziani, o le funzioni congnitive (3).

Questa agirebbe grazie alle sue tipiche proprietà anti-infiammatorie, antiossidanti, anti-glicanti, anti-ischemiche e chelanti (4). Il supplemento è attualmente oggetto di studi, ma sembra risultare molto promettente per tutta questa serie di benefici, anche se spesso viene preferito il suo precursore β-alanina per la maggiore biodisponibilità (3).

Il problema della biodisponibilità

carnosina integratori

Il grande problema legato alla carnosina come supplemento è la bassa biodisponibilità per la maggior parte delle persone. Solo alcuni soggetti (circa 1/3 secondo alcuni studi) si possono definire “responder”, per cui si osserva un rilevante aumento dei livelli plasmatici di carnosina, grazie a una minore attività dell’enzima carnosinasi (cioé il responsabile della degradazione) (2,5).

Ma anche per i pochi “responder” rimane il dubbio che il dipeptide possa avere un effetto significativo, dato l’incremento nel sangue solo per un breve periodo (2). Per questo si è cercato di bypassare il problema elaborando delle formule coniugate, resistenti all’enzima carnosinasi, che riescono ad avere un effetto (2).

Altri studi hanno osservato che la combinazione con il dipeptide anserina (in rapporto 2:1) ne aumenta la biodisponibilità (6), e recenti ricerche osservano che l’applicazione locale di una formula brevettata in forma di gel (LactiGo™) riesce a migliorare la performance sportiva poco dopo l’applicazione (5).

Posologie

Come detto sopra, nella maggior parte dei casi per ottenere gli effetti benefici della carnosina viene usata la β-alanina, grazie alla maggiore biodisponibilità. Ma in alcune ricerche viene usata anche la carnosina, con posologie che vanno da 0.5 a 4 g (4,5), oppure 60 mg/kg (4.5 g per un uomo di 75 kg, 2.7 g per una donna di 45 kg) (3,5). Data la bassa biodisponibilità per gran parte delle persone, può essere prudente scegliere i dosaggi più alti all’interno del range indicato o direttamente 60 mg/kg.

Se lo scopo è ottenere i benefici per l’attività fisica è suggeribile optare per la beta-alanina, cosa probabilmente sensata anche per gli scopi terapeutici o di salute. Attualmente non è ben chiaro il motivo per cui si dovrebbe scegliere direttamente la normale L-carnosina al posto della beta-alanina, e per ottenere una risposta si attendono aggiornamenti dalla ricerca.

Riferimenti:

  1. Matthews JJ et al. The physiological roles of carnosine and β-alanine in exercising human skeletal muscle. Med Sci Sports Exerc. 2019 May 10.
  2. Sale C et al. Carnosine: from exercise performance to health. Amino Acids. 2013 Jun;44(6):1477-91.
  3. Artioli GG et al. Carnosine in health and disease. Eur J Sport Sci. 2019 Feb;19(1):30-39.
  4. Menon K et al. Effects of supplementation with carnosine and other histidine-containing dipeptides on chronic disease risk factors and outcomes: protocol for a systematic review of randomised controlled trials. BMJ Open. 2018 Mar 22;8(3):e020623.
  5. Sharpe TM, Macias CJ. Evaluation of the efficacy of Lactigo™ topical gel as an ergogenic aid. J Exerc Physiol Online. 2016 Jul;19(3):15-23.
  6. Peters V et al. Anserine inhibits carnosine degradation but in human serum carnosinase (CN1) is not correlated with histidine dipeptide concentration. Clin Chim Acta. 2011 Jan 30;412(3-4):263-7.

L'articolo Carnosina: effetti e dosi proviene da Project inVictus.

Piccolo gluteo: anatomia ed esercizi

$
0
0

medio gluteo

Il piccolo gluteo origina dalla faccia glutea dell’ala iliaca e si va ad inserire a livello del gran trocantere del femore. Esso si ritrova posizionato subito sotto il ventre muscolare del medio gluteo, con il quale condivide le funzioni anatomiche sull’anca.  Come muscolo gluteo è il terzo per grandezza dopo il grande gluteo e il medio gluteo. Il piccolo gluteo possiede circa un terzo della forza del suo collega medio gluteo e lo assiste nella funzione di abduzione dell’anca (allontanamento della coscia dal tronco). A livello funzionale, inoltre, è un muscolo del bacino importante in gesti motori primitivi come la corsa e il cammino.

Durante queste attività è fondamentale nello stabilizzare il bacino quando si è in appoggio su una sola gamba, per esempio durante la fase oscillatoria del passo e la salita di un gradino. Quando si permane su di un piede solo il bacino è in grado di rimanere allineato solo grazie all’azione del piccolo gluteo e del medio gluteo omolaterali all’arto in appoggio, i quali contraendosi impediscono la caduta del bacino da lato opposto.

medio gluteo

Anatomia e funzioni del muscolo piccolo gluteo
Origine Faccia gluteo dell’ala iliaca
Inserzione Gran trocantere del femore
Azione Abduce l’anca

Esercizi piccolo gluteo

Il muscolo piccolo gluteo è chiamato in causa in molti esercizi in palestra nei quali sono coinvolti gli arti inferiori e il muscolo grande gluteo. In base alle funzioni anatomiche che prima abbiamo analizzato, il piccolo gluteo può essere rinforzato e stimolato secondo due differenti modalità:

abduzione

L'articolo Piccolo gluteo: anatomia ed esercizi proviene da Project inVictus.


Quali sono i carboidrati, quelli semplici e complessi

$
0
0

quali sono i carboidrati

Quali sono i carboidrati semplici e i carboidrati complessi? Qual è la differenza? Che ruolo svolgono e qual è il loro indice glicemico? Fanno ingrassare o fanno dimagrire?

Queste sono le prime nozioni da conoscere sui glucidi se si vuole capire realmente come inserirli nella nostra alimentazione.

i carboidrati quali sono

Iniziamo subito con un bel video introduttivo per conoscere meglio i carboidrati:

 

Quali sono i carboidrati complessi?

I carboidrati in biochimica sono suddivisi da quanti monomeri sono formati. Uno zucchero semplice come il glucosio o il fruttosio viene definito monosaccaride, lo zucchero da cucina formato da glucosio+fruttosio è definito disaccaride ed infine l’amido e le fibre alimentari, formate da tanti pacchetti di glucosio sono definiti polisaccaridi.

Quali sono i carboidrati

I carboidrati complessi sono quelli contenenti amido ovvero tutti i derivati dei cereali (pane, pasta, pizza) ed i tuberi come le patate o la manioca. I biscotti ed i prodotti da forno contengono un mix di carboidrati complessi (amido) con l’aggiunta di zuccheri semplici.

Quali sono i carboidrati semplici?

Compreso che la categoria degli zuccheri complessi riguarda gli amidi (cereali e tuberi) gli zuccheri semplici sono quelli formati dai disaccaridi (zucchero da cucina, frutta, verdura, latte) e dai prodotti industriali come lo sciroppo di glucosio o di fruttosio. Le raccomandazioni nutrizionali consigliano di non superare la quota calorica del 5-10% da questi zuccheri. In biochimica ed a livello organico non c’è differenza tra lo zucchero da cucina e quello contenuto in una mela.

Quali sono i cibi con carboidrati e zuccheri

Gli zuccheri semplici più comuni si trovano nel saccarosio, miele, caramelle, gelati, yogurt, ma anche frutta (datteri, uva in grandi quantità) e perfino nel latte (col lattosio). L’industria alimentare usa lo sciroppo di glucosio/fruttosio e lo zucchero semplice per insaporire gli alimenti, lo troviamo: nei cereali della prima colazione, nelle bevande in lattina, nella passata di pomodoro ed in piccole quantità anche in tantissimi altri alimenti come il salmone affumicato ed i prosciutti.

Quali sono gli zuccheri seplici

Quali sono i carboidrati a basso indice glicemico?

Spesso i carboidrati vengono definiti buoni o cattivi a seconda del loro indice glicemico. Questa concezione dura a morire è ormai stata superata da almeno 20 anni dalla ricerca scientifica, anche se gli “esperti” che parlano al grande pubblico continuano a dargli importanza. L’indice ed il carico glicemico, ma anche l’indice e carico insulinico non sono predittivi se un alimento farà bene o male. È l’insieme dei macronutrienti ad avere un’influenza organica e metabolica, non il semplice alimento in sé. Contrariamente a quanto molti credono dimagriamo e miglioriamo i nostri esami ematici mangiando, in un’alimentazione ipocalorica, farine raffinate e zuccheri. Al contrario ingrassiamo e peggioriamo la glicemia mangiando, in un’alimentazione ipercalorica,  cereali integrali e frutta e verdura.

Ovviamente l’ideale è mangiare integrale, frutta e verdura perché dopo la quantità (il fattore metabolico più importante) c’è la qualità (che determina sul lungo periodo la salute).

Non suddividete gli alimenti in base al loro indice glicemico, ma in base al fatto che sono industriali o naturali e non lavorati (se un alimento ha più di 3-4 ingredienti probabilmente è troppo lavorato) .

Ecco, per conoscenza, una lista degli alimenti per rispondere a quali sono i carboidrati ad alto, medio basso indice glicemico.

Alimenti basso indice glicemico

Alimenti con medio indice glicemico

Alimenti ad alto indice glicemico

I carboidrati (semplici o complessi) fanno dimagrire o fanno ingrassare?

Da anni i nutrizionisti alla televisione spingono sulla dieta mediterranea. Che dobbiamo mangiare in primis alimenti contenenti alti quantitativi di carboidrati come la pasta, il pane e la pizza. Ma veramente conviene mangiare così?

Se proviamo a togliere i carboidrati dalla nostra alimentazione seguendo una dieta metabolica, low carb o una dieta chetogenica, subito ci rendiamo conto che stiamo perdendo peso. Sicuramente perdiamo acqua e glicogeno ma anche il grasso viscerale diminuisce. Ma quindi non è vero che i carboidrati fanno bene? Dobbiamo per forza toglierli per dimagrire?

Dobbiamo capire che non esiste nessun macronutriente (proteine, carboidrati, grassi) che ci fa ingrassare o dimagrire. Tutti i macronutrienti apportano energia e solo un eccesso calorico porta a mettere su peso, mentre un deficit ci fa calare.

  • I carboidrati fanno ingrassare  perché spesso sono contenuti in alimenti disidratati come le farine, che per 100g apportano mediamente 360-380 kcal. È facile esagerare e mangiare 300g di pasta (oltre le 1000kcal) condita (altre 250-500kcal) senza essere veramente sazi. Il problema dei carboidrati è che riescono a saziare soltanto chi ha un’ottima risposta insulinica. Queste persone mangiano poca pasta, 3-4 biscotti e sono sazi per ore. Se non fate parte di questa categoria, vuol dire che nella vita precedente non eravate santi. Per voi seguire una dieta mediterranea ipocalorica vuol dire soffrire la fame.
  • I carboidrati fanno dimagrire perché migliorano l’assetto ormonale aiutando la leptina e gli ormoni tiroidei a rimanere attivi. Il giusto apporto di glucidi migliora la sensibilità insulinica e ci allontana dal diventare insulino resistenti. Al contrario un loro eccesso porta all’esatto opposto. Quando il nutrizionista alla televisione esalta il ruolo dei carboidrati specifica spesso nel giusto quantitativo, che tradotto per la persona comune sedentaria vuol dire: piccole quantità (lo so, mai una gioia). Eliminare i carboidrati dall’alimentazione è un errore e non andrebbe mai fatto per medi e lunghi periodi.
    Anche eliminare gli amidi non va bene, perché gli zuccheri della frutta non apportano gli stessi benefici metabolici e non influenzano positivamente la leptina.

Quanti carboidrati assumere?

In questi ultimi due video vedremo quanti carboidrati bisognerebbe assumere e come gestire i carboidrati (nel secondo video).

Speriamo con questo articolo d’avere iniziato a far comprendere quali sono i carboidrati e che ogni fattore in nutrizione va letto nel complesso e non a compartimenti stagni.

L'articolo Quali sono i carboidrati, quelli semplici e complessi proviene da Project inVictus.

Panca inclinata e petto alto: veramente così fondamentale?

$
0
0

Panca inclinata

La panca inclinata è un ottimo esercizio per il petto alto” è una delle affermazioni più quotate in palestra; tuttavia, attualmente, non vi è nessuna conferma scientifica a riguardo. L’obiettivo di questo articolo è fare il punto della situazione, dal punto di vista scientifico, di come stiano realmente le cose riguardo all’allenamento del petto alto e più in generale del petto, per capire, in pratica, che cosa puoi fare per stimolarlo al meglio.

Perché in palestra senti dire che la panca inclinata stimola di più il petto alto?

La parte superiore del petto è molto spesso un punto carente in molti atleti. Questo ha portato a porre una certa attenzione agli esercizi per il grande pettorale in cui viene sollecitata la sua porzione superiore. Il perché la parte alta del petto appaia carente è molto probabilmente spiegato dalla forza di gravità: il braccio viene attirato verso il basso, pertanto è logico che la parte superiore risulti stirata mentre i fasci medi e inferiori siano passivamente più contratti. Se un atleta si posizionasse a testa in giù con le braccia penzolanti, noterebbe che i fasci superiori si “riempirebbero” mentre i fasci inferiori si appiattirebbero. Allo stesso modo ciò si può notare elevando il braccio in verticale. Pertanto, il petto alto non è effettivamente un punto carente di per sé, piuttosto la sua pienezza è penalizzata da questioni gravitazionali e dalla posizione del bracco rispetto al corpo. Ciò nonostante, è interesse dell’atleta fare in modo che in normale posizione eretta con le braccia ai fianchi l’effetto visivo del grande pettorale sia quello di un muscolo pieno e gonfio anche nella sua parte alta.

Inclinare la panca sugli esercizi dedicati al gran pettorale (distensioni, croci) è una pratica che avrebbe il fine di aumentare l’attivazione o il reclutamento dei fasci superiori del muscolo in questione(1). Questa ipotesi è basata sul fatto che durante il movimento di flessione orizzontale della spalla (piano trasversale), l’inclinazione della panca altera il piano di lavoro. Questa modifica cambia quindi la direzione del movimento della spalla, determinando una differente attivazione delle unità motorie innervate nel grande pettorale(2)(3).

allenamento pettorale

Il gran pettorale è responsabile nel compimento di molti movimenti della spalla su diversi piani anatomici, ma l’attivazione dei tre fasci che lo compongono – clavicolari, sternocostali e addominali – varia in base al piano di lavoro specifico. Poiché l’inclinazione della panca favorisce un movimento su un piano bidimensionale, intermedio cioè tra la flessione e la flessione orizzontale (2 – o tra i piani trasverso e sagittale) questo sembrerebbe essere più adatto per la stimolazione specifica dei fasci superiori del gran pettorale in quanto segue la direzione delle sue fibre. Su queste basi è stata supportata la comune teoria secondo cui il grado di inclinazione della panca determina l’attivazione dei tre fasci: la panca inclinata per il “petto alto”, e la panca declinata per il “petto basso”. In passato questa ipotesi era sostenuta da basi prettamente teoriche di anatomia e biomeccanica, fino a quando alcuni studi degli anni ’90 non effettuarono delle misurazioni dirette rivelando alcuni dati inaspettati(2)(3).

Anatomia funzionale del petto (gran pettorale)

Fasci gran pettorale

Il grande pettorale è un muscolo a fasci paralleli della tipologia a ventaglio. Origina dalla metà mediale anteriore della clavicola, dalla faccia anteriore dello sterno, dalla sesta e settima costa, e dalle aponeurosi (origini) del retto dell’addome e dell’obliquo esterno dell’addome. Le definizioni sulle varie origini del muscolo non sono perfettamente coerenti tra le varie fonti, ma tali differenze non hanno importanza in questa sede. Il muscolo si inserisce con un robusto tendine appiattito nel labbro esterno del solco bicipitale dell’omero, lateralmente alle inserzioni del grande dorsale e del grande rotondo. È interessante notare che l’inserzione dei diversi fasci è invertita o incrociata, a significare che il tendine è avvolto su se stesso cosicché i fasci bassi sono inseriti più prossimalmente (in alto), al di sotto dei fasci alti che sono inseriti più distalmente (in basso).

Come funziona il petto (gran pettorale)?

Il gran pettorale ha diverse funzioni nel movimento della spalla su molti piani di lavoro, cioè flessione, estensione, flessione orizzontale (o adduzione orizzontale), adduzione, intrarotazione, e naturalmente in movimenti intermedi tra quelli citati. Essenzialmente questo muscolo interviene in una buona parte dei movimenti della spalla intesa come articolazione gleno-omerale. In realtà esso ha altre funzioni secondarie indirette, mobilizzando tutto il cingolo scapolo-omerale prevalentemente tramite anteposizione e depressione delle spalle. Per quanto riguarda i fasci clavicolari del gran pettorale, questi sono ampiamente coinvolti durante la flessione orizzontale (piano trasversale), predominano sugli altri capi durante la flessione pura della spalla (piano sagittale), e sono sono antagonisti durante l’estensione della spalla(4).

Qual è la funzione più importante del gran pettorale?

Tra i vari movimenti anatomici citati, il gran pettorale è il più importante muscolo agonista nella flessione orizzontale della spalla(5)(6), un movimento caratterizzante le distensioni e le croci, o macchinari come la chest press o la pectoral machine. Durante la flessione orizzontale, i fasci clavicolari hanno una loro specifica direzione nella contrazione (line of pull o line of action) che, guardando il soggetto in piedi, va dal basso verso l’alto. Anatomicamente, i fasci clavicolari originano dal punto più alto su torace, ma si inseriscono nel punto più basso sull’omero, pertanto nella flessione orizzontale questi vengono generalmente più coinvolti quando omero parte da un livello di abduzione tra i 45° e i 60°, muovendosi diagonalmente verso il viso(7). Questo meccanismo, noto come differenziazione funzionale, riconosce come il sistema nervoso centrale sia capace di attivare selettivamente o preferenzialmente alcuni fasci di un muscolo piuttosto che altri in base alla line of pull(4).

Esistono molti altri muscoli sinergici nel movimento di flessione orizzontale della spalla, prevalentemente il deltoide anteriore, il coracobrachiale, il bicipite brachiale (specie il capo breve) e, in minor misura, il sottoscapolare. Una particolare attenzione in questo caso merita il capo anteriore del deltoide, il più comunemente citato tra i muscoli sinergici in questo movimento, la cui attività viene regolata dall’inclinazione della panca(2)(8)(9).

Panca inclinata: cosa comporta l’inclinazione della panca per il gran pettorale?

panca inclinata petto alto

L’inclinazione della panca porta il grande pettorale in svantaggio meccanico, e ciò si riflette su una generale perdita di forza nella distensione rispetto alla panca piana e declinata(2)(3)(10). La riduzione della forza risulta essere proporzionale all’inclinazione al di sopra dell’orizzontale(2)(8). Questo perché la forza viene trasferita preferenzialmente su una selezione più ristretta dei fasci del gran pettorale portandone alcuni fuori gioco. A causa della dipendenza dalla gravità, l’inclinazione della panca è capace di modificare l’angolo di trazione del muscolo (angle of pull) in maniera da favorire l’attività ottimale dei fasci clavicolari. La flessione orizzontale in diagonale (partendo da omero più addotto), comporta una maggiore attivazione dei fasci clavicolari perché questi sono in vantaggio meccanico: oltre ad essere più prestirati, “tirano” l’omero da un’angolazione ad esso perpendicolare verso la loro origine (clavicola). Ciò significa che l’omero sta compiendo esattamente il movimento che compete a questa porzione in una posizione favorita dalla gravità, riuscendo anche a consentirne un maggiore allungamento nella fase eccentrica. Questo angolo di lavoro non rispetta invece la line of pull dei fasci sternocostali e addominali, che oltre ad essere più precontratti, tirano l’omero in direzioni differenti e in alcuni casi opposte, ma sono svantaggiati anche perché meno perpendicolari alla leva (omero – 11).

In ultima istanza, l’inclinazione della panca altera le curve della forza e della resistenza (strength curve e resistance curve) lungo il range di movimento (ROM) previsto. La resistenza e la forza muscolare durante il movimento non sono costanti, ma variano in base ai punti del ROM a causa della gravità(12). Questo significa che i punti più difficili del ROM previsto dalle due varianti sono differenti, collocandosi a livelli diversi durante la flesso-estensione orizzontale della spalla.

Guida panca piana
Guida panca piana

Attivazione (EMG) del gran pettorale: quali porzioni del petto si attivano in base agli angoli di lavoro?

Negli anni ’90 vennero pubblicati i primi due studi che confrontarono le differenze di attivazione del gran pettorale tra varie inclinazioni della panca (Barnett et al., 1995; Glass e Armstrong, 1997 – 2,3). Entrambi registrarono un’attivazione del petto clavicolare non significativamente differente tra la panca piana e l’inclinata, quando l’inclinazione era rispettivamente di +40° e +30°. In entrambi i casi i soggetti erano giovani e allenati, e i carichi utilizzati corrispondevano ad intensità di carico medio-alte (70-80% 1-RM).

Fino a tutti gli anni 2000 la letteratura ufficiale sembrava confermare che l’inclinazione della panca non influenzasse l’attività dei fasci clavicolari, fino al 2010, anno in cui viene pubblicato lo studio di Trebs et al(8). In questa analisi i ricercatori paragonarono diverse inclinazioni della panca per verificare se le osservazioni precedenti potessero essere confermate anche con maggiori inclinazioni di quelle testate. Qui vennero confrontate 4 differenti inclinazioni: 0°, +28°, +44°, +56°. Si osservò che un aumento dell’attività del fascio clavicolare avvenisse da +44°, ma le differenze tra la panca piana e l’inclinata a +28° non erano significative. Queste osservazioni erano coerenti con i risultati precedenti, lasciando concludere che fino a circa +40° il petto alto non venisse molto influenzato dall’inclinazione della panca. Il quarto studio fu quello di Luczak et al. (2013 – 9), dove, nonostante diverse limitazioni (tra cui carichi <30% 1-RM), vennero riconfermate le osservazioni di Trebs: un’inclinazione di +45° produceva un aumento significativo dell’attività del gran pettorale clavicolare rispetto alla panca piana. È importante tenere presente che 3 su questi 4 studi, analizzando l’attività del deltoide anteriore, osservarono che essa aumentava in proporzione all’inclinazione. Un’altra osservazione rilevante fatta da Barnett, fu che la presa stretta aumentava l’attività del fascio clavicolare rispetto alla presa larga in tutte le varianti testate, tra cui la panca piana.

Le varie analisi organizzarono i protocolli in maniere differenti. Gli studi di Barnett e di Trebs usarono la smith machine, Glass e Armstrong usarono il bilanciere libero, mentre Luczak prescrisse l’uso dei manubri. I primi tre studi usarono carichi realistici per l’attività in palestra (70-80% 1-RM), mentre Luczak usò manubri da 4.5 kg. Ad ogni modo, le conclusioni generali sono state che il petto clavicolare aumenta significativamente la sua attività, rispetto alla panca piana, solo quando l’inclinazione raggiunge circa +45°. Questo livello di inclinazione può essere però svantaggioso per diversi motivi, tra cui, un generale decremento dell’attività del gran pettorale con i fasci sternocostali e addominali, un grande trasferimento della forza sui deltoidi anteriori, e un’importante perdita di forza nella distensione.

Elettromiografia esercizi gran pettorale

La panca inclinata può aumentare veramente l’attivazione della parte alta del petto?

La panca inclinata può essere effettivamente capace di aumentare l’attivazione del fascio clavicolare, ma solo se l’inclinazione raggiunge circa i 45°. Questo è dovuto sostanzialmente all’alterazione del piano di lavoro e al diverso angolo di trazione. Poco considerato è il fatto che anche sulla panca piana il piano di lavoro può essere alterato a tal punto da ricreare all’incirca queste premesse. Queste ipotesi sono state confermate da un’analisi non pubblicata di Paoli et al, in cui venne osservato che a 60° di abduzione della spalla, l’attività EMG dei fasci clavicolari durante la flessione orizzontale fosse maggiore che a 30° o a 90°(7). Proprio Barnett, in precedenza, rilevò che in tutte le varianti della panca testate, la presa stretta attivasse di più i fasci clavicolari rispetto alla presa larga, anche su panca piana(2). Si osservò che la presa stretta tendesse ad orientare i gomiti verso l’esterno, imponendo una flessione orizzontale su un piano bidimensionale come descritta da Paoli. Sempre secondo Barnett, su panca piana la presa stretta produceva un’attivazione simile dei fasci sternocostali, ma maggiore dei fasci clavicolari. Un altro studio degno di nota fu quello di Lehman (2005 – 13), dove si registrò un aumento dell’attività del fascio clavicolare del 30% sulla panca piana con la presa inversa (supina) rispetto alla normale presa prona. Anche in questo caso è largamente probabile che ciò fosse dovuto ad una traiettoria dell’omero alterata, poiché la presa inversa impone in partenza una grande adduzione dell’omero rispetto alla presa prona. Si creano quindi le condizioni per seguire un piano di lavoro più funzionale ai fasci clavicolari del gran pettorale, come confermato da Barnett e Paoli.

Panca presa inversa

La teoria proposta riconosce che la flessione orizzontale della spalla che parte con omero più addotto (45-60°), allontani origine e inserzione dei fasci clavicolari portandoli in una posizione di maggiore prestiramento, e questo avviene anche sulla panca piana(7). Un altro aspetto rilevante in questo senso è che la traiettoria a due dimensioni permette di rispettare perfettamente la line of pull caratteristica di questi fasci, cosa che non avviene allo stesso modo con le distensioni a presa larga o con le croci a braccia molto aperte.

In conclusione, il fattore condiziona l’attività del fascio clavicolare del gran pettorale sembra essere il piano di lavoro specifico dell’omero, e non necessariamente o solo l’inclinazione della panca. Sulla panca piana è possibile massimizzare l’attività dei fasci clavicolari solo modificando la traiettoria dell’omero, partendo quindi da un minore livello di abduzione (circa 45-60°). L’inclinazione della panca riesce ad aumentare l’attivazione dei fasci superiori solo a partire da circa 45°, ma non è dato sapere se questo effetto possa essere simile alla semplice modifica dell’angolo dell’omero su panca piana. Anche questa modifica porta ad una leggera riduzione della forza, ma minore di quanto imponga la panca inclinata(2).

Il piano anatomico dei fasci clavicolari

Nella pratica, sulla panca inclinata non sempre gli omeri vengono addotti di proposito. Molto più spesso l’utente medio tende a mantenere un livello di abduzione della spalla non dissimile da quello adottato su panca piana (70-90°). La maggiore abduzione della spalla nella panca inclinata comporta una riduzione del ROM in fase eccentrica, con la differenza che il massimo stiramento del grande pettorale avviene prima, cioè ad un minore grado di estensione orizzontale. Questa variante risulta facilitata, perché il ROM è ridotto e i fasci del gran pettorale riescono a raggiungere più facilmente un maggiore livello di stiramento. Se le spalle vengono più addotte (45-60°), l’omero riesce a scendere più in profondità (maggiore iperestensione orizzontale), permettendo di compiere una traiettoria dell’omero più adatta alle fibre dei fasci clavicolari come sopra descritta.

In questo caso i fasci clavicolari sono maggiormente reclutati, mentre i deltoidi anteriori lo sono meno(2). Inoltre, se già di per sé l’inclinazione della panca impone una leggera extrarotazione degli omeri, con una maggiore adduzione in partenza l’extrarotazione è maggiore. Questo può tradursi in un ulteriore prestiramento dei fasci superiori.

Come eseguire “in sicurezza” la panca inclinata?

Durante gli esercizi su panca inclinata è suggerita una maggiore adduzione della spalla (chiusura dei gomiti) per rispettare la linea di trazione delle fibre clavicolari e per portarle in prestiramento, ma tale scelta ha anche il vantaggio per preservare la salute articolare. Questa modifica è suggerita per prevenire lo stress sui legamenti gleno-omerali e sulla capsula articolare, che con la spalla abdotta a circa 90° sono sottoposti ad una grande tensione se il gomito si trova posteriormente al corpo(10)(14). Un altro vantaggio della panca inclinata è quello di impedire un’eccessiva iperestensione della spalla dovuta al diverso angolo di lavoro: grazie all’inclinazione del busto, l’omero raggiunge un minore livello di iperestensione rispetto alla panca piana.

In linea teorica, i movimenti di flessione e flessione orizzontale dell’omero oltre i 60°-80° possono determinare impingement subacromiale se la scapola non si muove correttamente secondo il ritmo scapolo-omerale. Nella panca inclinata si potrebbe supporre questo rischio, perché le scapole sarebbero intrappolate tra il torace e lo schienale, e non sarebbero quindi capaci di muoversi liberamente in elevazione. Alcune analisi della panca inclinata a 45° hanno osservato che il trapezio superiore intervenga in maniera piuttosto significativa(9), ma non è dato sapere se questa attivazione corrisponda effettivamente ad un ampio movimento di elevazione scapolare. Non si può quindi escludere il rischio di impingement subacromiale ad un livello di flessione orizzontale di almeno 80-90° se la panca è piuttosto inclinata (~45°). Per ovviare a questo problema si può semplicemente ridurre il grado di inclinazione (~30°), e/o arrestare il movimento poco prima degli 80-90° di elevazione della spalla. Quest’ultima scelta permette di rispettare il principio della tensione continua a vantaggio dell’ipertrofia, perché una volta che l’omero raggiunge il perpendicolare al terreno, il carico interno viene ridotto ai livelli minimi(12), mentre i fasci clavicolari si trovano in una posizione di svantaggio meccanico(11). Si avrebbe quindi il doppio vantaggio di prevenire l’impingement subacromiale e enfatizzare il lavoro e lo stress meccanico-metabolico dei fasci clavicolari.

Quali esercizi puoi eseguire per stimolare il “petto alto” ?

Conclusioni e consigli pratici sul petto alto e la panca inclinata

– Anche su panca piana è possibile modificare l’esecuzione per enfatizzare l’attivazione dei fasci clavicolari, stringendo l’impugnatura(2). Le varianti specifiche per i fasci clavicolari dovrebbero prevedere un’impugnatura all’ampiezza delle spalle, ma con i gomiti orientati esternamente(2) e non lungo i fianchi come nelle distensioni a presa stretta per tricipiti. Un’altra valida alternativa è la panca a presa inversa (supina), la quale impone una traiettoria dell’omero simile(13). Le distensioni con manubri o le croci, essendo ad arti indipendenti, necessitano di un maggiore controllo volontario della traiettoria dell’omero per riproporre questo movimento specifico, mantenendolo addotto nelle prime fasi della contrazione concentrica.

panca stretta

– Una terza possibilità è quella di eseguire gli esercizi su panca meno inclinata di 45°, ma mantenere una presa stretta o i gomiti chiusi durante l’esecuzione. Pur essendo l’inclinazione tra 30° e 40° non significativamente efficace per aumentare l’attivazione del gran pettorale rispetto alla panca piana, con queste stesse inclinazioni è comunque possibile ottenere tale effetto stringendo l’impugnatura alla larghezza delle spalle e mantenendo i gomiti orientati esternamente(2). Questo rappresenta un valido compromesso per permettere di aumentare l’attivazione dei fasci sternocostali e addominali, ridurre l’attività dei detoidi anteriori, e mantenere una maggiore espressione della forza.

Non è stato possibile verificare le differenze nell’attivazione del fascio clavicolare tra la panca piana a presa stretta e la panca inclinata a 45°, ma entrambe possono essere usate per lo stesso scopo. Le principali differenze tra le due varianti sono da riconoscere nel fatto che la prima permette di sollevare carichi maggiori, di coinvolgere relativamente meno i deltoidi anteriori(2) e di permettere uno stiramento dei fasci clavicolari leggermente maggiore (maggiore iperestensione della spalla) ma una minore contrazione. Che si tratti di panca piana o inclinata, è il piano di lavoro specifico condiviso da entrambe le varianti che si è rilevato più idoneo per l’attivazione specifica dei fasci clavicolari. In questo senso le due modalità trattate possono essere complementari tra loro per stimolare il petto alto. La varietà degli angoli di lavoro è infatti generalmente suggerita come strategia per massimizzare l’ipertrofia muscolare(1).

È bene terminare l’articolo sollevando dei dubbi sulla relazione tra attività elettromiografica (EMG) e ipertrofia muscolare a lungo termine. Nonostante si tenda a dare per scontato che una maggiore attivazione area-specifica si traduca in una maggiore risposta ipertrofica della stessa area in cronico(1), queste relazioni sono solo ipotetiche. Di conseguenza tali dati non confermano che la panca inclinata sia la migliore scelta per sviluppare il petto alto, poiché per verificarlo sarebbero necessari studi a lungo termine sull’effettiva crescita muscolare regionale, attualmente non esistenti a riguardo.

panca inclinata

Ringraziamenti:

Un ringraziamento speciale al Dott. Giose Ussia, Medico ortopedico, ha offerto la sua supervisione e fornito diversi suggerimenti per la stesura dell’articolo. Un altro grande ringraziamento va a Paolo Evangelista, autore del libro DCSS. Power mechanics for power lifters e di altri articoli secifici dal quale ho attinto diverse informazioni, e che si è presentato molto disponibile nel darmi qualche suggerimento e la possibilità di utilizzare le sue immagini.

Riferimenti:

1. Fleck SJ, Kraemer WJ. Designing resistance training programs (4th ed). Human Kinetics, 2014. pp. 184.
2. Barnett et al. Effects of variations of the bench press exercise on the emg activity of five shoulder muscles. J Strength Cond Res. 1995 9(4), 222-227.
3. Glass SC, Armstrong Ty. Electromyographical activity of the pectoralis muscle during incline and decline bench presses. J Strength Cond Res. 1997 11, 163–167.
4. Paton et al. An electromyographic analysis of functional differentiation in human pectoralis major muscle. J Electromyogr Kinesiol. 1994;4(3):161-9.
5. Kuechle et al. Shoulder muscle moment arms during horizontal flexion and elevation. J Shoulder Elbow Surg. 1997 Sep-Oct;6(5):429-39.
6. Terry GC, Chopp TM. Functional anatomy of the shoulder. J Athl Train. 2000 Jul-Sep; 35(3): 248–255.
7. Paoli A, Neri M. Principi di metodologia del fitness. Elika, 2010. pp. 315.
8. Trebs et al. An electromyography analysis of 3 muscles surrounding the shoulder joint during the performance of a chest press exercise at several angles. J Strength Cond Res. 2010 Jul;24(7):1925-30.
9. Luczak et al. Shoulder muscle activation of novice and resistance trained women during variations of dumbbell press exercises. J Sports Med. 2013 Dec.
10. Evangelista P. DCSS. Power mechanics for power lifters. Olympian’s News, 2011. pp. 537-540, 565.
11. Evangelista P. Attivazione selettiva del pettorale. smartlifting.org, 19 mag 2012.
12. Keogh et al. Practical applications of biomechanical principles in resistance training: Moments and moment arms. J Fit Res. 2013 Dec;2(2):39-48.
13. Lehman GJ. The influence of grip width and forearm pronation/supination on upper-body myoelectric activity during the flat bench press. J Strength Cond Res. 2005 Aug;19(3):587-91.
14. Durall et al. Avoiding shoulder injury from resistance training. Strength Cond J. 2001 23:10-18.
15. Weitz B. Minimizing weight training injuries in bodybuilders and athletes. In: Mootz RD, McCarthy KA. Sports chiropractic. Jones & Bartlett Learning, 1999. pp. 17-23.

Note sull’autore:

Lorenzo Pansini nasce a Trieste nel 1988. Oltre a praticare da un decennio bodybuilding natural, consegue i titoli di Personal Trainer, Istruttore di fitness e bodybuilding, e partecipa a diversi seminari presso lo CSEN-CONI. Da diversi anni autopromosso come gestore e principale contributore nel progetto fitness e bodybuilding su wikipedia, è autore di centinaia di articoli sulla nota enciclopedia online inerenti al bodybuilding, al fitness, e ad argomenti correlati come l’alimentazione, la supplementazione e la fisiologia. Uno dei suoi principale obiettivi come autore, è quello divulgare informazioni aggiornate, complete e rigorosamente su base scientifica sfatando i dogmi, i falsi miti e i luoghi comuni molto diffusi nell’ambiente fitness e bodybuilding, tramite analisi critiche e oggettive fondate solo su una ricca bibliografia scientifica.”

Collabora e scrive articoli per la rivista Body Science Magazine

Contatto FB

Mail: lorenzo.pansini@gmail.com

L'articolo Panca inclinata e petto alto: veramente così fondamentale? proviene da Project inVictus.

Addominali bassi: come allenarli

$
0
0

addominali bassi

Gli addominali bassi scolpiti sono l’obiettivo di molti appassionati di allenamento. Per capire quali sono gli esercizi più efficaci da fare a casa o in palestra e quanto valga realmente la pena allenarli devi innanzitutto capire come sono fatti i tuoi addominali (anatomia). In questo modo scoprirai esattamente come allenarli con esercizi utili.

Ma partiamo dall’anatomia.

Come sono fatti gli addominali bassi?

come sono fatti gli addominali

Come possiamo vedere gli addominali alti sono formati da uno spesso strato di esoscheletro, duri e che riflette i colpi. Gli addominali bassi invece sono più morbidi e vulnerabili. Tuttavia permettono una maggior mobilità del busto.

Perché la distinzione addominali bassi e addominali alti non ha senso?

Gli addominali bassi non esistono! A livello anatomico il retto dell’addome è un muscolo unico poligastrico, ovvero è suddiviso da 3-4 inserzioni tendinee trasversali, che gli conferiscono l’aspetto a tartaruga tanto agognato.

La distinzione addominali alti/ addominali bassi esiste solo a livello connettivale dove la guaina che unisce i muscoli dell’addome, sopra l’ombelico ricopre sia davanti che dietro il retto addominale, mentre sotto l’ombelico passa solo anteriormente.

In piccola parte anche per questo è più difficile vedere gli addominali bassi scolpiti, perchè statisticamente ci sono meno inserzioni tendinee e più connettivo. Tuttavia per il 98% della popolazione è solo una questione di grasso corporeo ostinato nella zona sotto ombelicale (grasso tipico nell’uomo). Finché il grasso ostinato rimane non si vedranno mai gli addominali bassi.

guaina retto dell'addome

Anatomia retto dell’addome

Origine Inserzione Innervazione
Cartilagine costale
Processo Xifoideo
Parte superiore del pube
tra il tubercolo e la sinfisi pubica
Nervi intercostali
Nervo ileipogastrico

Il retto dell’addome (la tartaruga), ha un’origine craniale ed un’inserzione caudale. A seconda del punto fisso o l’origine tira l’inserzione o viceversa. Vedremo pertanto che gli esercizi posso così essere suddivisi anatomicamente come:

  • esercizi addominali alti: avvicinano il tronco al pube (classico crunch)
  • esercizi addominali bassi: avvicinano il pube al tronco (classica flessione delle gambe)

In questi movimenti è soprattutto la direzione delle fibre dei muscoli obliqui (obliquo esterno ed obliquo interno) a fare la differenza. A seconda del punto fisso l’intervento degli obliqui camibia.
Vediamo di scoprire assieme nello specifico i secondi esercizi.

4 esercizi per gli addominali bassi

Come abbiamo visto, studiando l’anatomia, se proprio vogliamo classificare quali sono gli esercizi per gli addominali bassi prenderemo tutti quelli che avvicinano il pube all’origine.

4 esercizi molto efficaci in palestra o a casa:

(Se pensi che ci siano esercizi migliori condividili nei commenti 🙂 )

esercizi addominali bassi

Ribadiamo non esistono gli esercizi per gli addominali bassi, al massimo esistono esercizi che mettono più in tensione la zona d’inserzione rispetto all’origine, del retto dell’addome.

Tra l’altro tutti gli esercizi per gli addominali bassi, hanno una forte sinergia con l’ileopsoas che spesso è il motore primo del movimento ed il retto segue, compensa e stabilizza l’esercizio. Per questo è facile sentire male alla schiena quando si fanno, perchè l’ileopsoas tira sulle vertebre lombari.

sinergia ileopsoas retto addominale

Se cerchi un esercizio completo per gli addominali ti rimandiamo al link, troverai diverse informazioni su come allenare questo distretto muscolare.

Gli esercizi per gli addominali bassi fanno dimagrire?

L’ultimo mito da sfatare è ovviamente quello relativo al dimagrimento localizzato nel basso ventre. Per dimagrire la pancia o i fianchi è inutile fare gli addominali, serve un deficit energetico. È il rapporto tra le calorie in entrata ed in uscita che decreterà quanto calerà la pancia, non il numero di crunch che fate.

Gli uomini (e anche qualche donna), hanno il grasso ostinato proprio sotto l’ombelico. Purtroppo sarà l’ultimo ad andarsene quando dimagrirete!

gli addominali fanno dimagrire

L'articolo Addominali bassi: come allenarli proviene da Project inVictus.

Esercizi tricipiti: i migliori esercizi per allenare i tricipiti

$
0
0

allenamento tricipiti

Qualsiasi uomo che entra in palestra generalmente ha due obiettivi primari: un petto enorme e bicipiti a palla per mostrare fieramente il braccio grosso. Commette già quantomeno un errore di valutazione, perchè: non è il bicipite, infatti, a rendere voluminoso un braccio, ma il tricipite.

L’allenamento e gli esercizi dei tricipiti risultano quindi di primaria importanza per un ampio numero di soggetti che si recano in palestra per allenarli. Dall’aspirante bodybuilder in cerca di massa muscolare ed estetica al powerlifter che necessita di tricipiti forti per la panca piana, passando per sportivi di ogni genere.

Selezionare gli esercizi ed il tipo di lavoro, quindi, è fondamentale, in quanto la specificità regna sovrana in palestra.

Anatomia del Tricipite

Prima ancora di iniziare a parlare di allenamento dei tricipiti, sarebbe bene conoscerli a fondo.

Il tricipite si divide in tre capi:

  • capo laterale
  • capo mediale
  • capo lungo

Ma lascio la parola al Dr. Andrea Roncari, che ha scritto un interessante articolo sull’anatomia dei tricipiti e dei bicipiti. È bene precisare, però, che essendo diviso in tre capi, il tricipite necessita di più esercizi e da più angolazioni per svilupparsi al meglio.

Un altro fattore da tenere a mente è che il tricipite è costituito in larga parte da fibre muscolari di tipo II, motivo per il quale risponde così bene anche a serie pesanti e basse ripetizioni rispetto ad altri muscoli.

anatomia tricipite

I migliori esercizi per Tricipiti

esercizi tricipiti

Preferisco suddividerli in due gruppi diversi, gli esercizi multiarticolari e quelli di isolamento.

Migliori esercizi per tricipiti con bilanciere multiarticolari:

Migliori esercizi per tricipiti con manubri e bilanciere o cavi in isolamento:

  • French Press con bilanciere e manubri
  • Tricipiti ai cavi alti (supinazione e pronazione)
  • Estensione verticale con manubri o bilanciere (in piedi o da seduti)
  • Push-down per i tricipiti

Esercizi Tricipiti a corpo libero

esercizi tricipiti a corpo libero

Se vuoi allenare a casa, o comunque a corpo libero i tricipiti, la tua soluzione migliore è quella di eseguire con frequenza:

 

Il problema più grande dell’allenamento a corpo libero per muscoli piccoli è la difficoltà nel sovraccaricarli nel corso del tempo. Se sei agli inizi, però, sicuramente i piegamenti sulle braccia ed i dips alle parallele costituiscono di per sé un sovraccarico, e ti permetteranno di crescere sia a livello di forza che di massa muscolare per lungo tempo.

Per sovraccaricare i tricipiti a corpo libero, oltre ad aggiungere zavorra, puoi aumentare la densità di allenamento, oppure provare a rendere sempre più complessi gli esercizi cambiando angolazioni e tempi di esecuzione.
Non c’è un solo ed unico modo per sovraccaricare, ma diversi.

Allenamento Tricipiti Massa e Forza

La selezione degli esercizi è fondamentale per l’allenamento dei tricipiti e di ogni altro muscolo del corpo, ma dobbiamo pur sempre ricordarci l’importanza che ha la specificità nell’allenamento di ogni atleta. Quello che può essere il miglior esercizio per i tricipiti per un powerlifter, ad esempio, può essere invece un esercizio del tutto sconosciuto ad un bodybuilder, o ad un giocatore di tennis.

Per questo vedremo come allenare i tricipiti in soggetti diversi, con scopi diversi. Non cambierà quindi solo la selezione degli esercizi, ma anche gli schemi, la frequenza, ed altre variabili ancora.
Possiamo però fissare alcuni punti fondamentali, che possono accomunare powerlifters, bodybuilders, powerbuilders, e sportivi di ogni genere.

Come crescono (ipertrofia) i tricipiti?

I due fattori fondamentali per l’ipertrofia sono:

  • tensione meccanica
  • stress metabolico
  • (il danno muscolare è stato ridimensionato molto secondo le ultime ricerche scientifiche)

Particolare enfasi nella tensione meccanica (in particolar modo per il powerlifter o nello strongman). Per far crescere i tricipiti dobbiamo quindi stimolarli a sufficienza, dar loro tempo di recuperare, ed indurre poi l’adattamento.

Questo processo è definito SRA: Stimolo, Recupero, Adattamento.

Senza questa sequenza, indipendentemente dalla selezione degli esercizi o dallo schema utilizzato, i tricipiti NON cresceranno. Se lo stimolo non è sufficiente, puoi fare tutta la french press che vuoi, ma i tricipiti non cresceranno. Se il recupero non è sufficiente, puoi creare tutta la tensione meccanica del mondo, ma otterrai più infortuni che massa muscolare.

Come stimolare la massa muscolare dei tricipiti

esercizi per i tricipiti

Il volume allenante è il fattore maggiormente associato alla crescita muscolare, e dovrà quindi essere alla base dell’allenamento dei tricipiti. Nel corso del tempo, il volume di allenamento a carico dei tricipiti, indipendentemente dal tuo scopo e dalla scelta degli esercizi, dovrà tassativamente aumentare.

Così come dovrà esserci sovraccarico progressivo:

  • l’allenamento deve farsi più duro e/o voluminoso
  • per ipertrofia devono aumentare serie e/o ripetizioni
  • per l’incremento della forza deve aumentare intensità

Alcuni punti fondamentali da tenere in considerazione quando alleniamo i tricipiti per indurre ipertrofia muscolare sono:

  • I set di allenamento devono stare prevalentemente tra il 60 e l’85% del massimale
  • Il range di ripetizioni più comodo per l’ipertrofia è tra le 8 e le 20 ripetizioni
  • Non necessariamente dobbiamo lavorare a cedimento, ma andarci vicino
  • Possiamo allenare i tricipiti 2-4 volte a settimana

Attenzione, però: i tricipiti non sono piccoli quanto i bicipiti, e rischiano di essere troppo allenati se esageriamo con il lavoro diretto e lo sommiamo alla panca piana ed altri multiarticolari.

Quante serie e quante ripetizioni fare per allenare i tricipiti?

È impossibile rispondere a domande simili. Dipende dal tuo livello di partenza, dai tuoi scopi e da mille altri fattori.
Non solo… Dipende anche da quale esercizio stiamo eseguendo.
È generalmente più intuitivo usare range medio-bassi di ripetizioni in multiarticolari pesanti, ed alte ripetizioni negli esercizi di isolamento.

Ecco, però, alcune linee guida di base, pur tenendo a mente che ognuno di noi regge un volume allenante diverso. Vediamo il numero di set da eseguire nell’arco di una settimana per stimolare i tricipiti in maniera ottimale:

  • minimo di 8-10 serie allenanti
  • massimo di 15-20 serie allenanti

Ed il range di ripetizioni consigliato è dalle:

  • 3 alle 6 per stimolare la forza
  • 8 alle 20 ripetizioni se il focus è l’ipertrofia

È bene ricordare che possiamo anche creare una combinazione di questi stimoli, a livello di macrocicli così come nei microcicli, e quindi stimolare i tricipiti sia a livello di forza che di massa all’interno della stessa settimana.
È proprio la combinazione di range di ripetizioni alte e basse a garantirci il miglior risultato possibile a livello ipertrofico.

Allenamento Tricipiti Forza per Powerlifters

Un powerlifter ricerca prevalentemente forza nei tricipiti, ma una discreta massa muscolare aiuterà a reggere carichi elevati in particolar modo nella panca piana.

Per questo, da sempre, i migliori esercizi per powerlifters in cerca di forza e massa del tricipite sono:

  • Panca Presa Stretta
  • Board Press
  • Dip alle Parallele
  • Floor Press

Anche la panca piana stessa risulta essere un ottimo esercizio per i tricipiti, a seconda di come la eseguiamo. Alcuni powerlifters di scuola americana, infatti, prediligono una presa non troppo ampia, mantengono i gomiti relativamente chiusi, e lasciano che siano proprio i tricipiti a sobbarcarsi gran parte del carico nell’alzata. Dave Tate, tra i tanti, ha tricipiti iper sviluppati ed un pettorale non all’altezza della massa delle sue braccia, ad esempio.

Questi sono però esercizi multiarticolari che includono anche altri muscoli e sui quali possiamo lavorare principalmente a livello di tensione meccanica utilizzando carichi elevati. Se stiamo ricercando forza pura, che sia di ausilio nella panca piana, esercizi come Board Press ad alta percentuale di carico e panca a presa stressa sono scelte primarie.

Se invece vogliamo indurre ipertrofia, allora aggiungere lavoro più mirato come french press o di isolamento come tricipiti ai cavi può essere una valida idea.

E’ importante ricordare come massa muscolare e forza siano comunque correlate, e che quindi aumentare la massa muscolare dei tricipiti può portare, nel tempo, anche ad un aumento della forza negli stessi.

Un esempio pratico per l’allenamento dei tricipiti nel Powerlifting

Proviamo a vedere come potrebbe essere strutturata una programmazione di powerlifting che preveda del lavoro dedicato proprio ai tricipiti.
Frequenza di 2 allenamenti con focus diretto sull’allenamento dei tricipiti a settimana, pensato per atleti di livello intermedio e che già sopportano un discreto volume allenante.

Giorno A:

  • Dip alle Parallele 3×8 con 1 o 2 ripetizioni in riserva
  • French Press 3×10 con 1 o 2 ripetizioni in riserva
  • Pushdown con la fune 3×15 a cedimento muscolare

Giorno B:

  • Board Press 3×3 con 2 ripetizioni in riserva
  • Panca Presa Stretta 5×5 con 2 ripetizioni in riserva

Nel corso delle settimane, se siamo in un blocco dedicato all’ipertrofia potremmo aumentare in particolar modo il numero di serie allenanti, o le ripetizioni, o entrambe le cose.

Se siamo invece in un blocco dedicato all’aumento della forza, potremmo aumentare l’intensità e, quando necessario, diminuire le ripetizioni totali, pur mantenendo un discreto volume allenante sugli esercizi di isolamento.

Nel mesociclo di allenamento successivo potremmo introdurre altri esercizi per tricipiti come floor press, estensione delle braccia sopra la testa con manubri, ecc. Come puoi notare, il focus si sposta sulla forza ma senza tralasciare una discreta dose di volume allenante per far sì che le braccia crescano anche di massa muscolare.

Allenamento Tricipiti Massa per BodyBuilders

esercizi per le braccia

Un bodybuilder ricerca primariamente la massa muscolare dei tricipiti, ed indirizzerà quindi la maggior parte del proprio lavoro su range medi di lavoro, pur consapevole che multiarticolari a basse reps ed isolamento ad alte ripetizioni inducono ipertrofia.

I migliori esercizi per lo sviluppo dellla massa muscolare dei tricipiti per bodybuilders sono:

  • Panca a presa stretta
  • Dip alle parallele
  • French Press
  • Estensioni sopra la testa
  • Esercizi di isolamento ai cavi

E’ bene non limitarsi solo ed esclusivamente, come spesse volte accade, agli esercizi di isolamento.
I tricipiti rispondono particolarmente bene a carichi elevati, da utilizzare maggiormente su esercizi multiarticolari come panca piana a presa stretta o dip alle parallele.

Nell’old school bodybuilding, quando ancora il bilanciere rivestiva un ruolo primario nell’allenamento in palestra del culturista, anche la Military Press veniva indicata come necessaria per un corretto e pieno sviluppo del tricipite.

Riservare un lavoro a ripetizioni più elevate ai cavi è poi un ottimo modo per incementare il volume allenante totale.
Non spaventiamoci poi davanti alla frequenza multipla settimanale dello stimolo: anche un bodybuilder può allenare un minimo di due volte a settimana i tricipiti per svilupparli al meglio. In questo caso deve correttamente variare lo stimolo allenante, magari riservando un giorno alle ripetizioni più basse, ed uno a quelle più alte.

Un esempio pratico per Bodybuilding

Giorno A:

  • Dip alle parallele 5×5 con 2 ripetizioni in riserva
  • Panca a presa stretta 4×8 con 2 ripetizioni in riserva

Giorno B:

  • French Press 3×10 con 1 ripetizione in riserva
  • Pushdown con corda 3×12 con ultima serie a cedimento muscolare
  • Tricipiti ai cavi alti 3×15 con ultima serie a cedimento muscolare

Nel corso delle settimane, logicamente, dovrà esserci sovraccarico progressivo sia nella programmazione per powerlifters che in quella per bodybuilders.
Nel corso dei mesi, invece, possiamo far ruotare la selezione degli esercizi per assicurarci di trovare stimoli nuovi per i nostri muscoli che si “adattano” allo stesso stimolo protratto nel tempo. Questo non significa fare un esercizio diverso ad ogni seduta, ma selezionare un determinato numero di esercizi e farli ruotare di mese in mese, mantenedo costanti 1-2 esercizi multiarticolari importanti.

Un bodybuilder di livello avanzato può anche introdurre tecniche avanzate come drop-sets, stripping, e via dicendo, ma reputo che atleti di livello principiante ed intermedio farebbero bene a focalizzarsi in primis sull’aumento del carico e del volume totale di lavoro sugli esercizi multiarticolari.

Conclusione sugli esercizi per tricipiti

Sono da sempre un appassionato dell’allenamento dei tricipiti, sia per scopi ipertrofici ed estetici che per motivi di forza. In definitiva, non esiste un solo ed univoco allenamento ottimale dei tricipiti, ma svariati metodi, programmazioni ed esercizi.

I tricipiti sono muscoli che possiamo allenare più volte a settimana, che recuperano relativamente in fretta, e che rispondono bene ad un ampio range di ripetizioni.

Assicurati di provare metodiche ed esercizi diversi pur dando ad ogni metodo ed ogni esercizio tempo a sufficienza per essere realmente efficace.
Le tue braccia risponderanno a dovere sia in termini di massa muscolare che di forza.

Buon allenamento!

 

Articolo a cura di Nicholas Rubini

Se dovessi definirmi, userei il termine Powerbuilder: a metà strada tra un powerlifter ed un bodybuilder.
Cerco di diventare un atleta più forte ed un uomo migliore.
Amo tutto ciò che riguarda il mondo della forza e dell’allenamento.
Diventiamo forti assieme!

 

L'articolo Esercizi tricipiti: i migliori esercizi per allenare i tricipiti proviene da Project inVictus.

Panca piana: come eseguirla correttamente?

$
0
0

panca piana

La panca piana con il bilanciere (o distensione su panca) è uno degli esercizi più utilizzati per allenare il petto (gran pettorale). Ma quanto è efficace la panca piana nel bodybuilding? Quali sono i muscoli coinvolti maggiormente? Petto, tricipiti, spalle? Scopri qui sotto come allenare in modo efficace la panca piana, per sviluppare i muscoli che desideri in modo efficace.

panca piana bodybuilding

Panca piana: esecuzione corretta per evitare i dolori e infortuni

Lavorando a stretto contatto con i clienti della palestra, accade sempre più frequentemente che vengano a lamentarsi per dei fastidi alla spalla, o meglio alle cuffie dei rotatori, la causa è il 99% delle volte sempre la solita: proprio la panca (fatta di merda). Per guarire dai dolori alla spalla leggi il nostro articolo e ricordati di lavorare lungo tutto il ROM d’abduzione della spalla (vedi: esercizi spalle)

Se vuoi continuare a farla senza sfracellarti le spalle guarda questo tutorial:

Nonostante si raccomandi di non farla per un breve periodo o di ridurre notevolmente i carichi, niente da fare, piuttosto la fanno di nascosto (scena accaduta più volte); d’altronde la panca piana è must nella routine per i pettorali oltre ad essere un vero esercizio da maschio alpha, alla fine per sfidarsi ci si chiede “quanto fai di panca?” mica “quanti leg raise riesci a fare?”.

I fastidi però si evolvono in dolori sempre più insopportabili fino ad essere obbligati a dover sospendere momentaneamente gli allenamenti.

Panca piana e ipertrofia: in quali soggetti è più efficace per sviluppare la massa muscolare?

Non tutti i soggetti  traggono benefici dalla panca piana – in termini di ipertrofia del muscolo pettorale – dalla panca piana, le possibili cause (ma ne potremmo aggiungere molte altre) del suo “fallimento” possono essere:

– panca piana e biotipi clavicolari

se utilizzata da biotipi estremamente clavicolari (struttura del cingolo scapolo-omerale abbastanza accentuata e larga sul piano frontale, che gli conferisce appunto, clavicole larghe, petto piatto e generalmente tricipiti e deltoidi già ben sviluppati);

– panca piana e conformazione delle spalle

se utilizzata da soggetti che hanno un’escursione antero-posteriore più accentuata della media (ovvero le spalle sporgono in avanti e gli omeri sono intra-ruotati), per il semplice motivo che anche nel punto più basso dell’alzata (bilanciere al petto) il pettorale non sarà mai allungato completamente (al contrario del deltoide!), questo si traduce in un lavoro non ottimale del muscolo pettorale mentre il deltoide è costretto a fare gli straordinari;

– panca piana in soggetti con tricipiti deboli

se utilizzata da soggetti con tricipiti troppo deboli rispetto a tutta la catena motoria che si attiva durante la distensione (una carenza di questi ultimi grava in particolare sulla chiusura dell’alzata); se a cedere (o a stancarsi) per primi sono proprio i tricipiti sottoallenerete il pettorale;

– panca piana e ROM incompleto

ricordo che la panca piana è un movimento incompleto se paragonato all’azione che svolgerebbe il gran pettorale (flessione della spalla su piano sagittale, adduzione dell’omero sul piano frontale, rotazione interna della spalla sul piano frontale); se poi ad un ROM incompleto aggiungiamo una pessima esecuzione (magari togliendo ulteriormente escursione) vanificheremo ulteriormente l’efficacia di questo esercizio.

Perché è importante usare una tecnica impeccabile nella panca piana?

Ai suddetti punti appena descritti possiamo aggiungere un’altra problematica, o meglio un altro “limite” che ha questo esercizio: la panca piana – per essere sicura ed efficace – richiede una tecnica davvero impeccabile, dalla prima all’ultima ripetizione di ogni serie e praticamente quasi nessuno in palestra ce l’ha.

Partiamo da qua: “per attivare il singolo bisogna saper coinvolgere il tutto”.

È assodato che la tecnica più sicura (articolarmente) ed efficace (muscolarmente) è la cosiddetta panca con scapole addotte e curve della colonna rispettate (arco lombare fisiologico o di poco accentuato, mai appiattito!) con piedi ben saldi a terra.

Questo settaggio ci consentirà di proteggere le articolazioni della spalla ampliando lo spazio sub-acrominale grazie all’adduzione delle scapole oltre a garantirci una tensione muscolare interna più elevata grazie al maggior allungamento del muscolo pettorale nel punto più basso del movimento.

Guida panca piana
Guida panca piana

L’ampiezza della presa non deve essere eccessivamente larga, le prese molto larghe le utilizzano i Powerlifter ma in quella disciplina lo scopo è riuscire ad alzare il massimo carico non stimolare il muscolo pettorale!

L’ampiezza ottimale dell’impugnatura nelle distensioni su panca con bilanciere non dovrebbe superare la distanza bi-acromiale • 1,5 (una volta e mezza la distanza bi-acromiale).

Già leggendo questa brevissima descrizione viene da sé capire che questo tipo di alzata è tutt’altro che semplice da eseguire, e anche che dovendo impiegare molta attenzione al tutto (il gesto) riusciremo a concentrarsi poco sul singolo (il pettorale).

Mi spiego meglio, con una tecnica non ottimale e consolidata provando a spingere una serie al limite potremmo cedere per molti motivi senza aver “spremuto” al 100% il pettorale, oltre a scomporci ed aumentare il rischio infortuni.

panca piana gran pettorale

Come eseguire, quindi, la panca piana?

Ok, ma quindi? La facciamo? Non la facciamo più?

Fate la panca piana da molti anni con ottimi risultati sui vostri pettorali e non avete fastidi alle spalle? Fate come se non aveste letto e continuate a farla.

Se invece i vostri risultati lasciano un po’ desiderare, se avete fastidi alle spalle e il problema è più che altro posturale (atteggiamento cifotico) è consigliato eseguire la panca imparando a tirare mentre si spinge. Nel Bench Press dovete iniziare a sentire la schiena, il petto è soltanto il punto d’unione tra due estremi: il bilanciere ed il dorso appoggiato allo schienale. Solo in questo modo, scaricando il peso sui muscoli posteriori del tronco, potrete continuare a svolgere l’esercizio togliendo l’atteggiamento cifotico. L’altra soluzione è semplicemente quella di non fare più la panca piana e di prediligere gli esercizi in apertura (per i romboidi) rispetto a quelli in chiusura.

Se invece i risultati in termini di ipertrofia lasciano un po’ a desiderare la soluzione potrebbe essere quella di adottare esercizi con manubri in modo che svincolino gli arti uno dall’altro, aumentando il ROM e lo stiramento muscolare. Maggiormente allungate un muscolo e più l’eccentrica creerà danni al tessuto contrattile con una maggior risposta ipertrofica. In alternativa si potrebbe eseguire la tecnica del pre-affaticamento precedendo la panca orizzontale con delle croci o con la pectoral machine, in modo da arrivare col pettorale già pre-affaticato avendo così la certezza che sarà il primo muscolo a stancarsi durante l’esecuzione della panca e non gli agonisti e sinergici.

Panca piana e gran pettorale: “petto alto o petto basso”?

Questa nota non è del tutto inerente al tema della panca piana, ma dato che si parla di distensioni per il muscolo pettorale mi premeva precisarlo.

Il muscolo Gran Pettorale ha un forma a ventaglio (quasi triangolare) e si suddivide in tre capi:

  • capo clavicolare: origina dalla metà mediale del margine anteriore della clavicola;
  • capo sternocostale: origina dalla faccia anteriore dello sterno e dalle prime tre cartilagini costali;
  • capo addominale: origina dalla guaina dei muscoli anteriori dell’addome nella sua parte superiore, dalle cartilagine della 4a, 5a e 6a

I tre fasci si inseriscono con un unico tendine (largo e piatto) alla cresta del tubercolo maggiore dell’omero.

Nel Bodybuilding si è sempre attribuita la panca inclinata all’allenamento dei pettorali “alti” (fasci clavicolari) e la panca declinata alla stimolazione di quelli “bassi”, un po’ per passaparola e un po’ perché si è sempre fatto così.

Va precisato che non è l’inclinazione della panca a determinare l’enfasi di un capo piuttosto che un altro, ma bensì è l’ampiezza dell’impugnatura (o meglio, la traiettoria che compie l’omero)!

Per farla più semplice, più la presa sarà stretta più attiverete i fasci clavicolari mentre più sarà larga più utilizzerete quelli addominali.

Tuttavia occorre sottolineare che non si potrà mai parlare di isolamento puro di una zona piuttosto che di un’altra dato che i tre fasci si inseriscono in un unico tendine, ma al massimo di spostare l’enfasi della contrazione muscolare.

Gran pettorale (petto): quali sono le sue funzioni nella panca piana?

Esempio di allenamento per la panca piana per l’ipertrofia del petto

Come strutturare un allenamento dei muscoli pettorali in split-routine senza la nostra panca piana? Questa potrebbe essere un’idea per un atleta non più principiante che ha già sviluppato un buon grado di forza:

  • Distensioni con manubri su panca piana
    • 3 x 6-8
    • @2’
  • Croci con manubri su panca inclinata
    • 3 x 8-10
    • @1’30”
    • fermo nel max stretch 2”
  • Dip alle parallele:
    • 2 x max
    • @1’30”
    • tensione continua
  • Pectoral machine o croci ai cavi
    • 2 x 15
    • @1’
    • peack contraction 2”

Autore dell’articolo:  Marcello Delfitto

Conclusioni sulla panca piana per l’ipertrofia nel bodybuilding (note finali della redazione)

Sappiamo che molti di voi rabbrividiranno nel leggere: Croci e Pectoral Machine, ma un conto è l’allenamento  per l’ipertrofia funzionale,  in cui si guarda al carico sollevato, alla tecnica migliore per farlo e l’ipertrofia è solo una conseguenza secondaria a questo (la strada che seguiamo col project inVictus), un conto è il bodybuilding dove la ricerca interiore è finalizzata esclusivamente all’estetica  e dove i fattori chiave sono: il carico interno (e non quello esterno), il danneggiamento muscolare, l’acidità cellulare. Voler mischiare le due cose è un errore di fondo, un atleta non perché è NATURAL dovrà fare solo multiarticolari se vuole crescere, ma dovrà mischiare TUTTI gli esercizi, perché escluderne qualcuno a priori è limitare il proprio sviluppo muscolare. È logico che se pensiamo che i cavi o il bilanciere danno lo stesso stimolo c’è qualcosa che non va, ma nessuno ha mai affermato questo.

L'articolo Panca piana: come eseguirla correttamente? proviene da Project inVictus.

Viewing all 1309 articles
Browse latest View live