Questo articolo è un estratto di uno degli argomenti del corso avanzato di nutrizione sportiva di Vivereinforma, che grazie alla collaborazione anche col Project Invictus siamo in grado di offrire anche ai laureati/studenti ISEF e Scienze Motorie. Il corso ed ulteriori informazioni, le trovate al seguente link sulla nutrizione sportiva avanzata.
Articolo di Manuel Salvadori
Introduzione
Nella lotta al dimagrimento esistono moltissimi stereotipi, molte credenze ed altrettanti falsi miti cui poter attingere a proprio piacimento quando si scherza riguardo la scarsa capacità di dimagrire nostra o di qualche nostro amico. “Ho le ossa grosse!”, “Ho la tiroide lenta!” – sono solo due delle battute di un repertorio vastissimo, sicuramente molto noto. Il punto di cui oggi ci occuperemo è una giustificazione purtroppo veritiera della differenza di perdita di peso tra due soggetti apparentemente identici, problema molto noto a chi è stato sovrappeso/obeso e vuole ora provare (o è già riuscito) a cambiare vita.
A parità di peso, due soggetto alti 1.80m possono perdere peso molto diversamente. Durante l’anamnesi una delle prime cose da chiedere è: “Sei mai stato/a in sovrappeso?” e, se la risposta è affermativa, riusciamo effettivamente a dedurre quanti e quali problemi potranno principalmente svilupparsi.
In campo di ricerca sul tessuto adiposo siamo ancora agli albori, ed è per questo che è un argomento su cui si possono fare anche dei riferimenti empirici che sicuramente risulteranno comuni a tutti. In più ci baseremo su nozioni di fisiologia base della regolazione adiposa in grado di giustificare alcuni comportamenti, e per aiutarci maggiormente a creare un filo logico in un argomento ancora molto oscuro useremo una trattazione a punti.
Scaviamo dentro l’organo adiposo – parassita o simbionte?
Il grasso è l’essere più o meno senziente che ci ha permesso di sopravvivere a tutte le sfide che la natura ci ha presentato nel corso dei secoli, quando il concetto di “casa” e “riscaldamento” erano una lontana fantasia e molto del tempo era speso cercando di ottenere cibo e un ambiente caldo. La capacità degli adipociti (le unità funzionali del grasso) di replicarsi e la capacità di dare priorità ad altre cellule nei processi di dimagrimento troppo repentini, lo rendono un attore fondamentale della nostra sopravvivenza. Immaginate la situazione di un cacciatore-raccoglitore che per qualsiasi motivo non riesce a ottenere cibo per tanto tempo, un apporto di calorie adatto al suo mantenimento e anzi si trovi in una carestia completa. Pensare di perdere grasso e mantenere il muscolo è utopico – semplicemente perché il muscolo consuma più del grasso, che invece funge anche da deposito energetico. Trasliamo questa situazione ai giorni nostri e otteniamo lo stesso tipo di ragionamento quando si passa da regimi ipercalorici o eucalorici a regimi esageratamente ipocalorici (ad esempio una dieta PSMF o un Fat Fasting). La situazione che il nostro corpo deve affrontare è similare, se la prendiamo solo dal punto di vista dietetico (perché ovviamente le condizioni ambientali sono molto più favorevoli nel 2017 rispetto al vivere nella savana o nella giungla), e la risposta sarà la medesima: il grasso tenderà a mantenersi dando priorità alla degradazione aminoacidica muscolare. Questo avviene “da manuale”, diciamo. Ovviamente con strategie nutrizionali più volte citate sul Project siamo in grado di limitare al minimo questo processo. Una nozione da portare a casa però è che gli adipociti non muoiono, non vanno incontro a necrosi. Sono dei sacchi che si riempiono quando si ingrassa, si moltiplicano, proliferano. Quando si dimagrisce, questi sacchetti si svuotano ma non vanno incontro ad autodistruzione se non in casistiche particolari sotto stimoli ancora più particolari. Anche da vuoti, gli adipociti continuano a esercitare il loro effetto che è estremamente vario a livello endocrino.
Punto n°1: il grasso è progettato per “proteggerci” dalle carestie e dalla scarsità di cibo, dando la precedenza alla degradazione muscolare nei dimagrimenti troppo veloci. Gli effetti di una passata obesità si riflettono in una capacità di dimagrimento peggiorata a causa dei numerosi effetti endocrini che gli adipociti – unità funzionali del grasso non soggette a degradazione – continuano a esercitare.
La nostra capacità di alternare l’ossidazione di grasso o di carboidrati viene definita flessibilità metabolica, e può essere allenata attraverso manipolazioni dietetiche e allenanti. Essa viene definita da un insieme molto ampio di fattori biochimici che interdipendono l’uno dall’altro:
- Sensibilità insulinica;
- Sensibilità grelinica;
- Sensibilità leptinica;
- Sensibilità adiponectinica;
- Cascata recettoriale sensibile ad attivazione AMPK;
- Cascata recettoriale POMC/Agrp
Tutte queste caratteristiche rendono univoca la capacità di risposta a uno stimolo dietetico piuttosto che a un altro, e sono la causa principale della risposta “aumento grasso” vs “aumento muscolo”. La capacità del nostro corpo di alternare tra metabolismo glicolitico e ossidativo è una delle eredità più pesanti che ci lascia l’essere stati in sovrappeso, poiché sono proprio questi 6 meccanismi a essere particolarmente alterati anche negli anni successivi. Questo cambiamento di substrato, che avviene in maniera estremamente efficace in chi ha alternato tipologie di allenamenti e stimoli in maniera ragionata, sullo stesso soggetto che però ha un passato obeso non risulta essere così efficace. In particolare, chi ha una buona flessibilità metabolica e pesa 80 kg può pensare – con un esempio totalmente immaginario – di prendere peso pulito con una dieta da 3500KCAL con macro equamente distribuiti e magari una leggera ciclizzazione. La stessa persona di 80 kg, con 3500kcal e macronutrienti equamente distribuiti farà sicuramente più fatica a rimanere pulito e in qualche caso si andrà incontro al disastro che tutti conosciamo, cioè aumentare di peso con predominanza di grasso. E tutto dipende da quei 5 fattori e dalla loro up/down regolazione.
Teniamo presente che stiamo parlando in questo caso solo di ottica nutrizionale, e non correttiva con l’allenamento.
Punto n°2: a parità di condizione dietetica e composizione corporea, una persona con un passato di obesità porterà a lungo termine gli strascichi di sensibilità insulinica peggiorata, e quindi di flessibilità metabolica poco efficiente.
Ora, dalle ricerche sull’epigenetica sappiamo che siamo in grado, attraverso fattori come la dieta e l’attività fisica, di imprimere sul nostro DNA delle piccole modifiche in grado di influenzare poi il prosieguo della nostra esistenza – il campo cosiddetto dell’Epigenetica Nutrizionale. Senza illuderci di aver trovato l’ennesimo Sacro Graal – a meno di non procedere con stimolazione peptidica – possiamo ragionare su questo. Possiamo in effetti identificare quali sono i fattori influenti e quanto possono esserlo effettivamente. Intanto, i cosiddetti set-point adiposi, cioè il livello di % di grasso a cui il nostro corpo spontaneamente tende a portarsi, viene influenzato da:
- Alimentazione della madre durante la gravidanza (famine experiment);
- Percentuale di grasso durante l’infanzia, fino agli 8-10 anni nello specifico;
- Percentuale di grasso durante gli anni passati e per quanto tempo è stata mantenuta.
Inoltre, dei fattori che risultano evidenti dalla poca letteratura disponibile da correlare sono:
- Le alterazioni cognitive che l’obesità o il sovrappeso causano e che perdurano anche molti anni dopo l’avvento di un dimagrimento;
- L’influenza della dieta occidentale molto ricca di sapori altamente stimolanti, in grado di alterare i recettori presenti sul tessuto adiposo – ancora più sensibili dopo un passato di obesità;
- L’essere stati obesi o in sovrappeso porta ad alterazioni cognitive del controllo dell’introito calorico che rende molto pericolose le ricariche di carboidrati.
Punto n°3: la passata obesità/sovrappeso hanno influenze sia biochimiche che mentali, e giocano un ruolo che spesso ci porteremo dietro tutta la vita nel nostro rapporto col cibo.
Cosa fare?
Si possono trarre delle linee guida piuttosto generiche, ma possiamo trarre qualcosa di utile. Prima di tutto: si può fare qualcosa? In generale, sì. Uno studio di cui riporto le conclusioni in lingua originale per non incorrere in errori da traduzione scientifica, recita:
“In summary, we have demonstrated that ArcPomc-deficiency increases fat mass and the ratio of fat to lean mass, and it impairs the function of leptin to reduce body weight and food intake independently of body weight. Therefore, rescue of ArcPomc expression in weight-matched ArcPomc−/− mice, whether or not there is a history of previous obesity, reestablishes normal energy homeostasis and body weight set point under ad libitum feeding conditions by correcting the abnormal body composition and restoring leptin sensitivity. In contrast, massive hyperleptinemia induced by PASylated leptin administration prevents this normalization by blocking the complete restoration of ArcPomc expression. Therefore, our study reveals a strong reciprocal association between leptin levels and hypothalamic POMC in the regulation of energy homeostasis that is potentially relevant to explain the high recidivism rate for obesity after dieting that is commonly seen in clinical situations. Moreover, our data suggest that reversal of leptin resistance specifically on hypothalamic POMC neurons is a testable mechanism to explain the clinical findings that high dose leptin therapy is effective at maintaining weight loss after calorie restriction and reduction of endogenous leptin, but not for the primary treatment of obesity [2]. Collectively, our study demonstrates that the interaction between hypothalamic leptin sensitivity and Pomc gene expression regulates body weight set point, a phenomenon that can be applied to control obesity more efficiently than targeting either the leptin or POMC signaling pathways alone.”
Che nella pratica significa: attraverso somministrazioni di leptina clinica studiando l’equilibrio recettoriale della via POMC/Agrp, si è riusciti ad ottenere un normale set-point del peso corporeo.
Utilizzando questi dati per ragionare, collegando alcuni pezzi del puzzle tra loro, si evince (per deduzione e non ancora per dimostrazione scientifica) che tramite una corretta manipolazione dietetica/allenante e col passare degli anni è possibile ristabilire l’equilibrio sulle sei vie metaboliche citate in precedenza. Tutto ciò deriva dal fatto che sappiamo per certo che l’esercizio fisico ben calibrato e la dieta sufficientemente ricca di stressor riescono ad agire su tutti gli ormoni nominati e su tutti i meccanismi coinvolti – in un ex obeso faranno solo molta più fatica e combatteranno con una resa estetica non ottimale (causata dall’accumulo degli adipociti vuoti). Tuttavia dobbiamo avere l’accortezza di stabilire alcune variabili che saranno molto utili nel nostro percorso.
In primis, per capire la “gravità” del set-point è utile capire quando si è verificato “l’intoppo” – cioè quando la persona è stata in sovrappeso, o se la madre è stata esposta a carestia (es per povertà) o al contrario se è stata sovrappeso durante la gravidanza. Una volta identificato quando si è verificato e di che entità è stato, potremo fare una stima sulla difficoltà e sugli step con cui procedere. Un sovrappeso mediato dai genitori è molto più lieve, in linea di massima, di uno maturato in 20 anni di “pratica”. Il primo avrà un’origine biochimica più facile da ricalibrare con l’alimentazione, il secondo necessiterà anche di soluzioni psicologiche. Prima di tutto in ottica natural, un obeso di oltre 170 kg è quasi impossibile che arrivi al six-pack definito. Esistono dei casi in letteratura, ma sono estremamente rari e qualcuno è anche sospetto. In questi casi si sa che dovremo procedere a una rimozione chirurgica dopo aver preparato il metabolismo dimagrendo il più possibile e cercando di aumentare il muscolo allo stesso tempo. Un percorso possibile sarà quindi:
- Ricomposizione corporea nella migliore maniera possibile;
- Sostituzione mentale dei cibi spazzatura in regime eucalorico con cibi più sani (rieducazione del palato);
- Aumento della massa muscolare se possibile con esercizi ad hoc di rimobilizzazione;
- Rimozione chirurgica del grasso in eccesso;
- Fase di riadattamento (da 1 a 3 anni)
Nell’ultima fase avremo un evidente squilibrio tra quello che il nostro cervello percepisce come “il nostro peso” e quello che il nostro corpo effettivamente porta con sé. Il set-point cerebrale ragionerà ancora con i kg di adipociti addosso e vi porterà stimoli sazianti molto diversi da quelli che arriveranno dopo che il tempo avrà riequilibrato le vie sopra menzionate.
Punto n°4: il corpo ragiona in due modi, attraverso le quantità di adipociti che “indossa” come una maglietta protettiva e attraverso gli stimoli che al cervello arrivano. La rimozione chirurgica porta via con sé buona parte della stimolazione endocrina “di ritorno” dagli adipociti, ma non elimina a prescindere la via che proviene dall’ipotalamo, che impiegherà diverso tempo per ricalibrarsi.
Tenendo sempre ben presente la particolarità individuale, terminiamo con alcuni consigli pratici che possono essere applicati da chi è stato in sovrappeso e mira comunque a elevati risultati estetici:
- Variare le diete in modalità progressiva e non utilizzare variazioni eccessivamente drastiche se non si è già “fit” o sotto il 15% da più di 2 anni. Un esempio è la Reverse Diet.
- Cercare di utilizzare approcci a predominanza mono-substrato – cioè ad alti carboidrati o ad alti grassi;
- Pervenire a diete ipercaloriche con macro (carbo e grassi) equamente distribuiti solo dopo molte prove e tentativi per non vanificare parecchi mesi di lavoro;
- Utilizzare l’allenamento come jolly nella variazione dietetica: allenamenti fortemente glicolitici per migliorare la sensibilità insulinica quando è il momento di preparare il corpo a dosi maggiori di carboidrati;
- Fare particolare attenzione se si utilizzano regimi low-carb che prevedono ricariche di carboidrati – sono un trigger molto forte per l’ipotalamo abituato ad abbuffate, pertanto è possibile che lascino strascichi di appetito aumentato per molti giorni seguenti, rendendo l’aderenza alla dieta molto più complicata;
- In generale una persona ex sovrappeso/obeso, avendo più adipociti vuoti – comunque in grado di produrre più GLUT4 rispetto alle cellule muscolari – tollererà meno la dieta iperglucidica.
- In generale, la persona ex sovrappeso/obeso, avrà maggiori livelli di infiammazione sistemica che vanno indirettamente a peggiorare il metabolismo del muscolo;
- Molto più “lineare” e da linea guida può essere il suggerimento di attendere il 15% di massa grassa prima di provare un approccio high carb – il che ci assicurerà una sensibilità ormonale maggiore e quindi maggiore possibilità di convertire i carboidrati senza accumularli.
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L'articolo Sono stato grasso! – potrò diventare magro? E arrivare all’8%? proviene da Project inVictus.