Della Dott.ssa Carolina Strada
Proviamo ad immaginare un mondo popolato da individui normopeso, in grado di nutrirsi sapendo esattamente cosa e quanto mangiare, con la capacità di autoregolarsi in relazione alle risorse provenienti dall’esterno, riuscendo ad ascoltare e ad assecondare i naturali meccanismi di fame e sazietà. Pensandoci bene quel mondo già esiste ed è intorno a noi. Si chiama “natura”. Ogni animale, a parte l’uomo, si comporta così. Perché il “nutrirsi” per gli altri esseri viventi è un atto ordinario, spontaneo e difficilmente mediato da variabili che ne vizino il processo. Questo è il motivo per cui in natura è quasi impossibile trovare animali in sovrappeso. Le uniche vittime di tale situazione sono infatti coloro che patiscono l’influenza dell’uomo: quelli domestici. Ma perché per noi esseri umani è diverso? Perché dobbiamo combattere coi chili di troppo? Perchè tra nutrirsi ed alimentarsi vi è una differenza sostanziale. L’alimentazione non è il mero atto di introdurre all’interno del proprio corpo i nutrienti necessari alla sopravvivenza ma un comportamento che in quanto tale, come qualsiasi altro, viene appreso e mediato da una serie di altre variabili quali i pensieri, le emozioni, gli stimoli esterni, la disponibilità e può essere più o meno funzionale ad un obiettivo (alla salute, al mantenimento del peso ecc..). Prima di chiederci perché scegliamo determinati alimenti dovremmo chiederci cosa rappresenta il cibo per noi: nell’uomo infatti non è solo importante capire cosa e quanto mangiare, ma soprattutto come.
Mangiare è una necessità vitale e quotidiana, dipendente dallo stile educativo familiare appreso, dal tipo di società in cui viviamo, dai propri gusti e da altri fattori che costituiscono appunto le nostre “abitudini alimentari”.
Nella nostra società la percentuale delle persone in sovrappeso o obese è piuttosto allarmante. Perché? Per un’errata educazione alimentare acquisita da piccoli e sedimentata nel tempo, per l’elevata disponibilità di alimenti, per il vizio dei naturali meccanismi di fame e sazietà causato dall’alternarsi di diete ed eccessi o dal gusto per gli alimenti palatabili (naturalmente i grassi e gli zuccheri in primis), per l’inconsapevolezza di quello che effettivamente si ingerisce. Ultima ma non per importanza la gratificazione. Il cibo è appagante, è premio, è consolazione. Il cibo riempie non solo lo stomaco, troppo spesso la mente. Riempie le giornate vuote, cura l’insoddisfazione, seda la rabbia. Ci aiuta a gestire certe situazioni sfogando su di esso le emozioni che ad esso non sono attribuite. Diventa un canale disfunzionale per tentare illusoriamente di risolvere problemi che invece rimangono, addizionati dal senso di colpa dello “scivolone”.
Ma al netto dei possibili problemi emotivi, perché mangiare è così bello? Il gusto è uno dei cinque sensi, e viene necessariamente stimolato in modo costante.
Il sovrappeso è determinato, come anticipato, da diverse variabili: biologiche, cognitive, comportamentali, emotive.
Talvolta diventa necessario perdere alcuni chili, vuoi per questioni di salute o per una necessità estetica. Ma perdere peso, per alcuni, è a sua volta un peso. Dunque ci si aggrappa a diverse scuse: “è la genetica/ho disfunzioni ormonali” (potrebbe essere, assolutamente, ma forse sarebbe opportuno verificare con esami obiettivi le proprie convinzioni al fine di confermarle o meno, per evitare di trascinarle per anni senza fare niente a riguardo, visto e considerato che la genetica impatta sul sovrappeso in una percentuale di casi piuttosto irrisoria), “non potrò più andare fuori a cena”, “dovrò vivere a pollo e zucchine bollite per tutta la vita”, “meglio grassa e felice che magra e triste”, “io non riesco”, “mi piace troppo mangiare”, “eppure non mangio tanto, non capisco”. Tutto questo può essere vero, ma cercare scuse non aiuta a trovare soluzioni. La percezione di quanto effettivamente mangiamo è modulata dal confronto con gli altri, dal quello che noi valutiamo come “tanto” o “poco” secondo parametri autocostituiti e da ciò che assumiamo in modo consapevole o inconsapevole. Dunque potrebbe darsi che il nostro “mangiare poco” contrasti con il vero, perché forse ci confrontiamo con gli altri solo in occasioni particolari (dunque parzializzando la nostra valutazione senza prendere in considerazione tutto), o perché la maggior parte delle volte che mangiamo lo facciamo senza pensare. L’essere sinceri con noi stessi, favorendo un buon esame di realtà e tutte le variabili in gioco, è il primo passo per apportare delle modifiche ad una situazione che non ci aggrada. Si tratta di una questione di approccio al problema. È a dir poco sconsiderato pensare che tutte le persone normopeso siano tristi, abbiano la genetica a favore e vivano di verdure bollite segregati in casa per paura di sgarrare. Semplicemente essi riescono ad autogestirsi, ad autoregolarsi con un naturale equilibrio praticato negli anni. Dunque sanno “come”, oltre a scegliere “cosa” mangiare.
Sradicare abitudini errate reiterate nel lungo periodo non è affatto facile, e come qualsiasi processo di cambiamento deve prevedere una buona dose di motivazione, di forza di volontà e di costanza. È un processo di apprendimento fluido che avviene col tempo, impossibile da imparare in pochi giorni. Il problema ulteriore è che si desiderano i risultati “tutto e subito”. Perdere molti chili drasticamente in poco tempo. La dieta è troppo spesso vista come un supplizio di cui diventare martiri, incatenati al sacro vincolo del broccolo a vapore. Una macchina della tortura da cui liberarsi il prima possibile per tornare alle vecchie, “sane” abitudini (questo il motivo per cui la maggior parte delle diete fallisce facendo tornare al peso di partenza). Ma come già anteriormente esplicitato, è la gestione complessiva dell’alimentazione abituale, non in un range di tempo circoscritto, a determinare il proprio peso nel lungo periodo. Perdere chili implica apprendere un nuovo stile alimentare non rinunciando a ciò che ci piace (anche possono, anzi devono, tranquillamente rientrare alimenti che appagano il gusto) ma imparando la “giusta misura”. Alimentarsi non è un automatismo o un impulso, anche se la paura di certi cibi non è determinata dal cibo in sé, ma dal terrore di perdere il controllo di fronte ad esso. La dieta non deve essere una rigida tabella di marcia scandita da cibi tristi e piatti vuoti, ma un processo di cambiamento e di apprendimento, un fluido intrecciarsi tra le proprie necessità, i propri gusti e il proprio obiettivo, apportando piccole modifiche quotidiane nella scelta degli alimenti, variando, sperimentando ed inserendo alternative altrettanto gustose ma più funzionali ad un’alimentazione “giusta per noi”. Come sappiamo qualsiasi dieta lievemente ipocalorica e ben bilanciata funziona, è pur vero che la scelta di cibi a bassa densità calorica appaga la fame, mentre la scelta di cibi palatabili ricchi di calorie appaga il gusto. Il focus sta nel riuscire ad imparare a ponderare i diversi aspetti. Categorizzare gli alimenti in due tipologie che si autoescludono (concessi e non concessi) non farebbe altro che incrementare la desiderabilità dei secondi, con buona probabilità di eccedere nel caso in cui la frustrazione del broccolo al vapore prendesse il sopravvento. E se la scelta di un cambio di alimentazione vede minata la nostra allegra vita sociale? Se iniziamo a vedere con sospetto e timore gli inviti a cena e i ristoranti? La risposta è sempre una: apprendere moderazione e autoregolazione. Imparare ad ascoltare lo stomaco oltre che la gola, a sentirsi piacevolmente appagati ma non irrimediabilmente satolli, a scegliere i cibi, a valutare sia la qualità che la quantità, a mangiare con la testa.
Apparirebbe più facile avere un libretto di istruzioni a cui attenersi, sapere cosa e quanto mangiare al minimo dettaglio, ma sarebbe insostenibile e non applicabile alla vita di tutti i giorni oltre che poco gratificante. In questo risiede la sottile differenza tra l’essere passivi fruitori di regole e diventare attivi e consapevoli artefici della propria alimentazione, non necessariamente da autodidatti ma con l’obiettivo di imparare l’autonomia e la flessibilità. Può accadere di sbagliare, di inciampare, di eccedere. Ma perdere una battaglia non fa perdere la guerra. Gli errori servono a comprendere, ad invertire la rotta, ad aggiustare il tiro: non sono fallimenti se impariamo a visualizzarli come lezioni.
La vera vittoria di un cambiamento alimentare non è vietarsi il cibo, ma imparare a “concederselo”, perché la dieta non è una violenza auto inflitta ma deve diventare un atteggiamento mentale efficace.
Della Dott.ssa Carolina Strada
Sono una psicologa specializzata nei disturbi dell’alimentazione, mi occupo di benessere ed equilibrio a 360° tra il corpo e la mente, aiutando ad ottimizzare le risorse e a trovare le strategie per vivere serenamente.
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