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Pettorale esterno e petto interno: miti da sfatare

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Il mondo della palestra e dei pesi si sa, è spesso e volentieri costellato di miti e leggende nate, cresciute e tramandate negli anni grazie a quel mix di scienza applicata, sensazione e “sentito dire” che facilmente sfuma in concetti poco chiari al pubblico e in possibili questioni mai effettivamente risolte. Tra queste, quella del reclutamento “a parti” di alcuni muscoli in particolare ne è sicuramente un emblema che attira gli appassionati alla ricerca dell’estetica perfetta. Il muscolo gran pettorale si presta sicuramente a tutto ciò, forse anche in virtù della su peculiare morfologia anatomica che lo vede aprirsi a ventaglio tra clavicola e sterno per andarsi ad ancorare a livello dell’omero e della aponeurosi addominale. Risulta facile così renderlo protagonista di esercizi mirati a sviluppare le sue specifiche parti: da quella alta e quella bassa, fino a quella interna e quella esterna. Facciamo ora un po’ di chiarezza a riguardo per comprendere se effettivamente è possibile reclutare il pettorale in questa maniera.

Anatomia del pettorale

Iniziamo col dire che ogni muscolo, e il gran pettorale non rappresenta affatto un’eccezione, possiede un suo particolare decorso anatomico con le fibrocellule muscolari disposte in fascicoli che prendono posto da un punto di origine fino a uno di inserzione a livello osseo, grazie a dispositivi anatomici adatti a tale scopo come i tendini. Possiamo dire con certezza che il suddetto decorso anatomico determinato dal punto di origine e da quello di inserzione conferisce al muscolo stesso alcune funzioni che non sono altre che il potere cinetico che esso possiede sulle articolazioni che sormonta. Ecco che possiamo paragonare, con un approccio semplicistico ma pur sempre credibile, il muscolo stesso a una corda che traziona i segmenti ossei a cui è fissato lungo la direzione delle sue fibre.

Così la contrazione muscolare ha un andamento centripeto, ovvero i filamenti di actina e miosina scorrono l’uno sull’altro verso il centro accorciando ogni singolo sarcomero. A livello macroscopico possiamo dire che il muscolo che si contrae, detto anche agonista, muove entrambe le inserzioni avvicinandole tra loro. Senza adeguati meccanismi di stabilizzazione un muscolo durante la contrazione compirebbe sempre tutte le sue funzioni, generando movimenti grossolani e non desiderati.

Visto il decorso infatti è accettabile e validata anche dalla letteratura la divisione del gran pettorale in due porzioni distinte sia a livello anatomico che a livello biomeccanico:

  • la porzione clavicolare, che origina dalla clavicola;
  • la porzione sterno-costale che origina dalle coste, dallo sterno e dall’aponeurosi addominale.

gran pettorale

In altre parole non è considerato concettualmente errato dividere il muscolo in “petto alto” e “petto basso” dal momento che effettivamente le due porzioni possono essere selettivamente attivate tramite differenti movimenti avendo non tutte le funzioni anatomiche in comune (la porzione claveare flette mentre la porzione sterno-costale estende l’omero).

Non è invece accettabile, sempre in base alle semplici nozioni appena esposte, la suddivisione astrusa che spesso è fatta nei riguardi di questo muscolo che prevede l’esistenza di un “petto esterno” e di un “petto interno”. Generalmente questa nasce come sempre dalla cultura della sensazione trasformata in conoscenza: eseguo un esercizio, “sento” dolore alla parte esterna/interna del pettorale e allora quell’esercizio serve ad allenare in maniera analitica e selettiva tale porzione. Niente di più assurdo e fuori dalla realtà.

Con l’aiuto delle foto possiamo sottolineare la totale infondatezza di quest’ultima suddivisione del gran pettorale. Le fibre del muscolo, come visto analizzando origine e inserzione, hanno un andamento orizzontale che dallo sterno e dalla clavicola vanno all’omero sulla cresta del tubercolo maggiore. Se il gran pettorale non avesse un tale andamento non potrebbe assolvere le funzioni di flessione, adduzione e intrarotazione dell’omero e non verrebbe stimolato con esercizi come Distensioni panca piana e Croci che richiamano appunto tali funzioni con un sovraccarico. Durante la contrazione le fibre si accorciano longitudinalmente generando tensione lungo tutta la loro lunghezza e non trasversalmente in una parte “interna” o “esterna”.

petto esterno e petto interno

Se il giorno dopo una routine per i pettorali avete dei dolori alla parte esterna o interna del muscolo non significa che l’esercizio o l’allenamento è stato specifico per queste zone. Spesso il dolore o la sensazione sono il risultato di microlesioni tissutali come conseguenza dei sovraccarichi utilizzati. Nella parte esterna e in quella interna sono collocati i tendini e le giunzioni mio-tendinee, zone delicate sensibili agli stiramenti e ricche di recettori del dolore. Non credete a chi vi inculca questa pseudo-conoscenza. È questo un esempio di come la semplice conoscenza di alcuni cenni anatomo-fisiologici possa affrancarci dalla cultura della sensazione che troppo spesso in palestra genera miti lontani dalla verità.

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