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Bioimpedenziometria: cos’è e cosa calcola

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biompedenziometria

Negli ultimi anni nutrizionisti e personal trainer hanno cercato strumenti, semplici ed immediati per stimare la composizione corporea. Bilancia, circonferenze e plicometria, sono strumenti semplici ed economici per poter avere un’idea dalla massa magra e della massa grassa della persona.
Negli ultimi 20 anni è stata diffusa un’apparecchiatura che riesce a stimare lo stato nutrizionale del nostro corpo non prendendo in considerazione solo la FFM/FM (massa magra/massa grassa) ma anche l’idratazione corporea.

Questo strumento è la biompedenziometria, anche chiamata bia, o impedenziometria. Questa apparecchiatura stima il nostro stato corporeo attraverso la conduzione elettrica generata tra degli elettrodi (impedenza). Il passaggio dell’elettricità, nel nostro organismo, è facilitato dalla % d’acqua dei tessuti, la massa magra (priva del grasso) ha mediamente un’idratazione del 72-73% (passiamo dall’osso che ha il 30%, al muscolo il 75%, al polmoni l’80%, al plasma il 90%), mentre la massa grassa ma mediamente solo il 10%.

Il rapporto della resistenza e reattanza della conduzione elettrica stima la composizione delle cellule del nostro organismo.

Da questi semplici dati possiamo capire che la nostra idratazione è dipendente da quanto grasso corporeo abbiamo:

% d’acqua uomo % d’acqua donna
Magro 65 55
Normale 60 50
Grasso 55 45

L’uomo ha meno grasso essenziale della donna ed un maggior tessuto muscolare, quindi risulta più idratato.

Idratazione corporea età

Con l’avanzare dell’età si riduce l’idratazione della persona. Rimanere idratati è così un indice di giovinezza.

Ripartizione dei liquidi del corpo.

L’acqua nel nostro organismo è suddivisa da una componente intracellulare (60%) ed una extracellulare (40%). Quest’ultima a sua volta si divide in una componente interstiziale, plasmatica e linfatica. La biompedenziometria si prefigge, attraverso la conduzione elettrica di stimare anche la ripartizione idrica del nostro corpo. Una corretta idratazione indica una buona massa cellulare, la capacità di termoregolare l’organismo e di mantenere funzionanti tutti gli scambi chimici nel nostro corpo.

Per mantenere una corretta idratazione e ripartizione dei liquidi, la persona si dovrebbe mantenere attiva (preferibilmente anche allenandosi), dovrebbe mangiare correttamente frutta e verdura e non eccedere con il sodio (ma neanche escluderlo). L’EFSA (l’ente europeo preposto alla sicurezza alimentare) consiglia di bere:

  • Bambini da 1 a 3 anni: 1,1-1,3l/die
  • Bambini da 4-8 anni: 1,6l/die
  • Bambini maschi 9-13 anni: 2,1l/die, bambine femmine 9-13 anni 1,9l/die
  • Adolescenti, adulti anziani maschi 2,5l/die, nelle donne 2l/die

Massa corporea ripartizione acqua intracellulare extracellulare

Cosa calcola la biompedenziometria

In commercio esistono diverse apparecchiature, alcune con una solida letteratura scientifica, altre meno, altre ancora con nessuna. In generale quelle a più accreditate stimano la:

BCM: è la massa cellulare, la componente più attiva del nostro organismo. Un suo aumento vuol dire che stiamo aumentando il muscolo, una sua diminuzione che c’è un’erosione della massa contrattile e/o una sarcopenia.

TBW: è l’acqua totale del nostro organismo. Una corretta idratazione è un parametro importante della salute. Se siamo correttamente idrati riusciremo a fare più facilmente anche la plicometria (la pelle è costituita dal 70% d’acqua).

BCMI: è il rapporto tra la BCM e l’altezza del soggetto. Valori inferiori a 8 nella donna e 10 nell’uomo indicano una probabile malnutrizione.

PA: indica l’angolo di fase ed è il rapporto tra la resistenza e la reattanza. Normalmente il valore è tra 6-7. Risultati inferiori indicano una probabile ritenzione idrica o la rottura delle cellule, mentre valori superiori sono espressi da soggetti sportivi o disidratati.

Na/P: è lo scambio sodio/potassio. Questi sono gli elettroliti più presenti nei fluidi corporei intra ed extracellulari. Valori alti superiori a 1,6 indicano una forte iperidratazione al contrario valori intorno a 0,6 una forte disidratazione.

Alcune apparecchiature sostengono di poter misurare il pH del corpo, del densitometria ossea, il TDEE, ecc. sinceramente siamo molto dubbiosi dell’accuratezza di questi dati (se così non fosse verrebbero utilizzate in ospedale).

Considerazioni finali sulla biompedenziometria

Normalmente si considerano i classici metodi d’analisi della composizione corporea (circonferenze corporee e plicometria) dei parametri quantitativi del nostro corpo. La biompedenziometria invece dovrebbe aggiungere una componente qualitativa (passando da un modello bicompartimentale ad uno tricompartimentale). Anche se ormai quest’apparecchiatura è utilizzata normalmente da biologi e personal trainer, rimanere sempre una stima (spesso con una grossa % d’errore) della composizione del nostro corpo.

Un dato che dovrebbe far ragionare, sull’attendibilità dei risultati è che la biompendenziometria oggi non è più l’apparecchiatura gold standard per la valutazione dell’idratazione del nostro corpo, ma è stata sostituita dalla valutazione del colore delle nostre urine a digiuno

Valutazione idratazione colore urine

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Guida alla nutrizione
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Peso ideale: come si calcola

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Peso ideale e peso forma

Cos’è il peso ideale

Il peso ideale è un’obiettivo a cui tutta la popolazione dovrebbe ambire. Non soltanto per fini estetici, ma soprattutto perchè raggiungere il proprio peso forma, permette di abbassare tantissimi fattori di rischio:

  • malattie metaboliche (diabete ed insulino resistenza)
  • malattie cardiovascolari (alta pressione, ipercolesterolemia)
  • glicemia e trigliceridi sanguigni

Lo stato di salute e la nostra aspettativa di vita sono direttamente correlate col nostro stato nutrizionale. Essere fuori il peso ideale vuol dire semplicemente vivere peggio. In questo articolo vediamo quindi di scoprire perchè il peso forma è importante e come fare per calcolarlo e raggiungerlo.

Piccola premessa il peso corporeo è un indicatore alla portata di tutti, ma quello che realmente conta non è il peso sulla bilancia ma la % di grasso corporeo che abbiamo (soprattutto quello viscerale ed addominale). Possiamo anche raggiungere il nostro peso, ma se siamo magri con la pancia, potremmo soffrire ancora (lievemente) di alcuni fattori di rischio. Al contrario potremmo essere fuori il peso forma, ma se questo è dovuto ad un aumento della massa muscolare, non incorriamo in alcun rischio.

Il BMI

Il BMI o Body Mass Index è un indice utilizzato per calcolare il nostro stato nutrizionale. È alquanto impreciso ma rapidamente ci può dare alcune indicazioni sul nostro stato nutrizionale. Si calcola dividendo il  peso (in kg) per l’altezza (in m2).

BMI Min Max
Grave magrezza <16
Sottopeso 16 18,5
Normale 18,5 25
Sovrappeso 25,1 30
Obeso I classe (moderato) 30,1 35
Obeso II classe (grave) 35,1 40
Obeso III classe (molto grave) >40,1

Tabella BMI

Calcolo del peso ideale

Esistono diverse formule per calcolare il peso ideale, le più semplici ed immediate sono:

Formula di Lorenz Formula di Broca Formula di Berthean Formula di Keys
Peso ideale uomini altezza in cm – 100 – (altezza in cm – 150)/4 altezza in cm – 100 0,8 x (altezza in cm – 100) + età/2 (altezza in m)² x 22,1
Peso ideale donne altezza in cm – 100 – (altezza in cm – 150)/2 altezza in cm – 104 0,8 x (altezza in cm – 100) + età/2 (altezza in m)² x 20,6

Solo la formula di Berthean tiene in considerazione l’età, in generale dopo i 30 anni non dovremmo prendere più di 1-1,5kg ogni 10 anni d’età. Nelle persone sedentarie c’è già una diminuzione della massa magra a favore di quella grassa, con l’avanzare dell’età. Per questo è importante che il peso non vari in modo eccessivo, perchè facilmente, se siamo sedentari, sarà tutto a carico della massa grassa.

Calcolo del fabbisogno calorico giornaliero

Per rimanere dentro il peso ideale è importante conoscere il proprio fabbisogno calorico giornaliero. Quest’ultimo è formato dal nostro metabolismo basale (50-70%), dalla spesa indotta dalla digestione (10%), dall’attività sportiva (10-25%), dall’attività non sportiva (10-25%)
Le  formule più semplici per trovare il TDEE (il fabbisogno calorico giornaliero) sono:

Formula sui MET Range calorico Formula per atleti
Fabbisogno calorico uomini 24x peso ideale x 1,3 Peso ideale x 32-34 10xKg+6,25xh(cm)-5xetà+5 x1,45
Fabbisogno calorico donne  23x peso ideale x1,3 Peso ideale x 30-32 10xKg+6,25xh(cm)-5xetà-161 x1,4

Superati i 30 anni, soprattutto per le persone sedentarie, il metabolismo si abbassa di un 2-5% ogni decade d’età.
In questo articolo puoi trovare il calcolatore della calorie giornaliere da assumere (dedicato a chi si allena).

Per raggiungere il tuo peso ideale, qual ora hai dei kg in eccesso, l’unico modo è seguire una dieta ipocalorica, purtroppo non esistono segreti o trucchi magici, ma fare le cose per bene con costanza (per questo è tanto difficile dimagrire).

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Psicologia e sport: quanto conta il fattore mentale?

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I fattori mentali che influenzano la performance sportiva

Voglio migliorare la mia prestazione! Cosa faccio? Cambio dieta? Cambio allenamento? Cambio abbigliamento? Cambio preparatore? Cambio sport? Ok, forse cambiare sport è un po’ estremo e sicuramente non c’è bisogno di arrivare a tanto per ottenere la prestazione da medaglia d’oro che alcuni sognano.

Quando si parla di ottimizzazione della prestazione tutti pensano al risultato di gara, alla posizione in classifica. Ma è veramente quello l’indicatore che determina la qualità della nostra prestazione? Fare una prestazione eccellente e vincere una gara sono la stessa cosa?

Poco tempo fa mi è capitato di intervistare dei fighter all’interno di un importante evento di K1. Ho intervistato tutti i vincitori della serata. Ovviamente la maggior parte di loro era entusiasta e soddisfatta ma c’erano un paio di fighter che non erano felici della loro vittoria, non certo perché volevano perdere! Perché non erano pienamente soddisfatti della loro prestazione.

Quindi prestazione e vittoria non sono sinonimi. Si può vincere senza essere soddisfatti della propria prestazione, così come si può perdere essendo pienamente soddisfatti di sé stessi. Questo non vuol dire che non c’è un legame tra prestazione e risultato. Ovviamente, migliore è la prestazione maggiori sono le probabilità di vincere una gara. La differenza è che noi non abbiamo il controllo sul risultato di una gara, ma lo abbiamo sulla nostra prestazione e su come lavoriamo tutto l’anno per migliorarla e cercare di mantenerla costantemente ad alti livelli.

Quando si cerca di capire come migliorare la propria prestazione si entra in un campo minato, in cui la mente dell’atleta si affolla di domande e dei dubbi più disparati: c’è chi si arrovella cercando di capire se a fare la differenza non siano le attrezzature, la dieta o gli integratori. Altri, più semplicemente, si sono rassegnati dietro la convinzione che è una questione di genetica e non saranno mai in grado di fare meglio di quello che già fanno.

In quanto esseri umani, siamo spesso alla ricerca di quel qualcosa, della pillola magica, dell’ingrediente che può farci fare il salto di qualità verso il nostro Sé ideale in cui siamo atleti di successo, imbattuti e magari con qualche record superato alle spalle. Tutto questo per soddisfare uno dei nostri bisogni primari, quello di autorealizzazione, che anche nello sport ci spinge a voler essere la versione migliore di noi stessi.

Come per quasi tutti i fenomeni della vita, però, la risposta alla domanda: “come faccio a battere il mio record?” non è mai così semplice come vorremmo. Come ben sanno i grandi chef stellati, per fare una buona ricetta servono degli ingredienti di qualità, ma non basta, bisogna fare anche molta attenzione alle proporzioni e a come gli ingredienti vengono miscelati tra loro.

Molti allenatori, a questo punto, potrebbero obiettare che, l’unica cosa che conta è quella di allenarsi con costanza e dedizione, tutto il resto sono fronzoli. Non gli si può certo dare torto! L’allenamento è, effettivamente, uno dei pilastri di una prestazione eccellente, ma non solo! C’è anche altro su cui si può lavorare, e a dircelo è la scienza.

In questo articolo vedremo quali sono gli ingredienti che gli studiosi della performance hanno decretato essere indispensabili alla realizzazione di una prestazione atletica di successo.

I 4 fattori del modello integrato della prestazione umana di Gardner e Moore

Frank L. Gardner e Zella E. Moore sono due psicologi clinici statunitensi che hanno dedicato la loro carriera allo studio della prestazione umana, focalizzandosi soprattutto sulla prestazione sportiva, oltre che su quella lavorativa.

Questi studiosi hanno individuato 4 fattori che sono alla base della prestazione sportiva:

  • Competenze strumentali: Le quali includono il cocktail unico di abilità fisiche, sensomotorie e cognitive possedute da ciascun atleta e sulle quali si lavora durante l’allenamento.
  • Stimoli ambientali e caratteristiche della prestazione: in questa categoria rientrano tutte le circostanze, le domande e le sfide, siano esse di natura competitiva, interpersonale, situazionale o organizzativa, che l’atleta deve affrontare. Un’atleta di sci di fondo dovrà fare i conti con il freddo delle montagne innevate, un maratoneta sa che dovrà prepararsi a gestire la sensazione di fatica per molte ore, un fighter dovrà imparare a convivere con il dolore, un crossfitter sarà messo alla prova da alti carichi uniti ad un lavoro metabolico e così via. Ogni sport ha le sue domande e le sue sfide specifiche, capire quali sono è importante per prepararsi al meglio ad affrontarle.
  • Caratteristiche disposizionali: Le caratteristiche disposizionali comprendono le caratteristiche interne, proprie di ciascun atleta, come gli stili di coping e gli schemi. Per stile di coping si intende la modalità con cui ogni atleta affronta le difficoltà nello sport, che può essere, in generale, di evitamento, in cui l’atleta cerca di evitare le situazioni che lo mettono in difficoltà, ad esempio, mettendo scarso impegno nell’allenare quelle skill in cui è meno bravo o ritirandosi dalle gare per la troppa ansia da prestazione. Oppure di avvicinamento, in cui l’atleta si immerge nel disagio e affronta ogni sfida gli si pari davanti.

Oltre agli stili di coping ci sono gli schemi cognitivi e affettivi, che sono dei modelli, delle linee guida, delle tracce con cui lo sportivo percepisce, interpreta e risponde alle caratteristiche stimolo della prestazione. Un esempio potrebbe essere dato da un’atleta che ama avere un pubblico che lo incita e acclama, contro un’atleta che, nella stessa situazione, viene inibito e si agita. Probabilmente nel primo caso l’atleta penserà “wow, sono qui per me, mi vogliono bene, fanno il tifo per me”, nel secondo caso “vorrei che non ci fossero, ho paura di fare una figuraccia e di deludere tutti”. Stesso sport, stesso pubblico ma percezioni e schemi cognitivi differenti.

  • Autoregolazione comportamentale: L’ultimo pilastro include tutto l’insieme interconnesso di processi cognitivi, emotivi, fisiologici e comportamentali che sono alla base dei comportamenti finalizzati all’obiettivo. Cioè tutto quell’insieme di azioni che facciamo per raggiungere il nostro obiettivo sportivo (allenamenti, dieta, sonno etc.).

Secondo gli autori quando tutti questi fattori sono ben bilanciati si soddisfano i prerequisiti per ottenere una prestazione ideale.

Questo significa che per ottenere una prestazione eccellente le nostre competenze e abilità devono essere bilanciate alle sfide sportive che dobbiamo affrontare, dobbiamo essere in grado di autoregolare il nostro comportamento per superare anche i momenti più difficili, e dobbiamo sviluppare sili di coping e schemi cognitivi/affettivi funzionali, che supportino i comportamenti “buoni” a discapito dei comportamenti disfunzionali che ci allontanano dai nostri obiettivi.

Migliorare la prestazione: Misurare, Progettare, Monitorare

Misurare e monitorare la prestazioen

Abbiamo individuato i quattro pilatri alla base della performance:

  • Competenze strumentali
  • Stimoli ambientali e caratteristiche della prestazione
  • Caratteristiche disposizionali
  • Autoregolazione comportamentale

E adesso che abbiamo capito la teoria vediamo un po’ di pratica, degli strumenti concreti che puoi usare da subito per migliorare la tua prestazione.

Fortunatamente qui non ci sono segreti di pulcinella, devi limitarti a fare quello che hai (o avresti dovuto) sempre fatto: misuri il punto di partenza, pianifichi un percorso, monitori i risultati. Semplice no?

Vediamo pilatro per pilastro come si concretizza questa strategia:

Competenze strumentali

In questo caso dovresti già essere sulla buona strada! Insieme al tuo allenatore, ad inizio stagione, fai i test fisici e prestativi specifici del tuo sport, imposta un programma di allenamento, seguilo con costanza e monitora i progressi. È importante che lavori a stretto contatto con il tuo allenatore o con il team che segue te o la tua squadra. Chiedi feedback, affidati alle loro competenze, segui il programma che ti viene dato. Se durante il percorso hai dei problemi o dei dubbi non esitare a parlarne con il tuo allenatore. Solo così sarà in grado di creare il programma più adatto a te. Abbi rispetto del lavoro del tuo preparatore, segui le istruzioni, se hai dei dubbi o delle problematiche chiedi al tuo allenatore di potergli parlare o prima o dopo l’allenamento, cerca di non interrompere l’allenamento se non per chiedere spiegazioni sugli esercizi. Cerca di comunicare in maniera chiara quello che pensi e ascolta quello che ti viene detto.

Stimoli ambientali e caratteristiche della prestazione

In questo caso fai un elenco di quali sono le caratteristiche del tuo sport: è uno sport di squadra o individuale? uno sport indoor o outdoor? Uno sport di resistenza, di forza, di abilità? E via dicendo.

Cerca di essere il più dettagliato possibile e costruisci una tabella in cui nella prima colonna inserisci tutte le caratteristiche del tuo sport che ti vengono in mente. Nella seconda colonna l’equipaggiamento necessario per far fronte alle richieste, nella terza colonna quali abilità fisiche sono necessarie e nella quarta su quali abilità mentali devi fare affidamento per gestire quella specifica caratteristica.

Facciamo un esempio con la Boxe

CARATTERISTICHE EQUIPAGGIAMENTO SKILL ATLETICHE SKILL TATTICHE ABILITÀ MENTALI
Individuale Guantoni, paradenti, fasce, caschetto, conchiglia/paraseno, pantaloncini, scarpe, etc… forza,

resistenza, esplosività, etc…

 

colpi, sequenze, uscite, combinazioni, anticipazione etc… Attenzione, problem solving, concentrazione, lucidità, tempi di reazione, coordinazione, etc..
Indoor (principalmente) _ _ _ _
Round Acqua/integratori etc… Resistenza, etc… Gestione del tempo e della fatica, etc… Gestione del tempo e della fatica, etc…
Presenza di pubblico _ _ _ gestione dell’ansia da prestazione etc…
Dolore Bende, cerotti, etc… Condizionamento, etc… Evitare colpi, difesa…etc. Resistenza al dolore
Avversario Gestione dell’avversario Concentrazione, tempi di reazione, etc….

 

Questa tabella è molto personale, non solo cambia da sport a sport ma, nello stesso sport, cambia anche da atleta ad atleta. Non c’è un modo giusto o sbagliato per compilarla. Ci sono aspetti che si ripetono, altri a cavallo tra abilità fisiche e mentali, come ad esempio la coordinazione. Alcune caselle possono non essere compilate. Non è importante fare un lavoro perfetto.

La funzione principale di questo tipo di tabella è quella di spronarti a ragionare su quali sono le caratteristiche del tuo sport. Più è dettagliata più è efficace.

Grazie a questa tabella potrai capire quali sono i tuoi punti di forza o debolezza e se hai tutto il necessario per affrontare al meglio gli allenamenti e la gara.

Nel compilarla non esitare a farti aiutare dall’allenatore, dai compagni di squadra o dagli amici che praticano il tuo stesso sport!

Caratteristiche disposizionali

Il terzo pilastro è un po’ più tecnico. Come il primo, dedicato alle caratteristiche atletiche, il terzo è specifico di quelle psicologiche. In questo modello vengono presi in considerazione gli schemi mentali e gli stili di coping.

Ci sono strumenti ad hoc creati da psicologi, i test standardizzati, che servono proprio ad indagare questi aspetti. In questo caso si possono trovare online dei siti che ti permettono di autosomministrarti il test e che ti danno indietro un risultato che corrisponde alla tua fotografia attuale rispetto a schemi cognitivi e stili di coping. Sono strumenti di non facile interpretazione per i non addetti ai lavori, inoltre, nella maggior parte dei casi, c’è bisogno di un training specifico per poter somministrare e interpretare i test, che solo gli psicologi hanno, quindi non sempre i test sono disponibili online e spesso si trovano solo in inglese.

Data l’alta tecnicità degli strumenti in questione, il consiglio è quello di rivolgerti ad uno psicologo dello sport, che abbia le competenze per somministrare e interpretare i test e che sia poi in grado di inserire i risultati del test in una cornice più ampia, che inquadri il tuo funzionamento in senso generale e che sappia quindi aiutarti a costruire il percorso più adatto alle tue esigenze. Il risultato di un test è un po’ come il numero che leggi sulla bilancia. Ti da un’indicazione quantitativa che da sola può essere utile fino ad un certo punto, per questo è fondamentale rivolgersi ad un esperto.

La mente, al pari di un muscolo, può essere allenata se si vogliono migliorare le proprie prestazioni. Non solo per migliorare i propri stili cognitivi o creare nuovi schemi mentali, ma anche per allenare tutte quelle funzioni indispensabili alla prestazione: attenzione, memoria, visualizzazione e gestione dell’arousal (o attivazione fisiologica).

Autoregolazione comportamentale

Sotto questo aspetto, in estrema sintesi, potremmo inserire la nostra forza di volontà, la tempra, la stoffa, come alcuni la chiamerebbero. Per autoregolazione comportamentale si intende proprio la capacità di fare quello che si deve fare per raggiungere l’obiettivo, nonostante tutto. Allenarsi quando si è stanchi, mangiare sano anche quando siamo fuori con gli amici, andare a dormire presto anche nei we, non rispondere con rabbia all’allenatore anche quando ci fa imbufalire e via dicendo. Più siamo in grado di autoregolare il nostro comportamento più riusciremo a raggiungere il nostro obiettivo efficacemente e in breve tempo.

Anche in questo caso ci sono innumerevoli strumenti per misurare il punto di partenza, progettare un percorso e monitorare i risultati, te ne espongo alcuni che puoi usare da subito:

  • Misurare il punto di partenza: tieni un diario. Tieni, per una o due settimane, un diario di quello che fai: allenamenti, alimentazione, sonno, etc. Vedi su quale aspetto dovresti concentrarti per migliorare la tua prestazione. Sei un orologio svizzero in palestra, non salti neanche un allenamento ma l’alimentazione non è il tuo forte, mangi un po’ quello che capita o ti va. Ecco, concentrati sull’alimentazione. Ti rendi conto che tra una cosa e l’altra, che di solito si chiama Netflix, vai a dormire sempre tardi e durante il giorno ti mancano le energie, concentrarti sul sonno. Individua l’abitudine comportamentale sulla quale sei più carente e lavora su quella.
  • Progetta un percorso: datti degli obiettivi specifici, chiari e misurabili che ti consentano di fare il level-up nella tua quotidianità. Se vai a dormire tutte le sere alle 2 di notte datti come obiettivo quello di spegnere luci, tv e computer entro le 1. Una volta che avrai raggiunto questo obiettivo e per almeno 3 settimane sei riuscito nel tuo intento datti l’obiettivo di andare a letto entro mezzanotte e via dicendo fino ad arrivare al tuo orario target che potrebbero essere le 11 di sera.
  • Monitora i risultati: riprendi in mano il tuo diario. Lo stesso diario che hai usato per monitorare il tuo punto di partenza è un ottimo strumento per monitorare i tuoi progressi. Rimaniamo sull’abitudine del sonno. Segna tutte le notti a che ora vai a dormire. I giorni in cui non riesci ad andare a dormire all’orario prefissato scrivi anche il perché non ci sei riuscito. Questo ti aiuterà a riflettere su cosa lavorare e come, e ti darà un metro di giudizio per tarare i tuoi comportamenti.

Migliora la prestazione un passo alla volta

Miglioramento prestazione sportiva passo dopo passo

Si allenano i muscoli per renderli più performanti e si lavora in allenamento per arrivare preparati alla competizione (sia fisicamente che mentalmente) e quindi avere maggiori possibilità di vincere la gara.

La gara è un momento cruciale per ogni sportivo, in cui timori, ansie e pensieri negativi rischiano di mandare alle ortiche mesi e mesi di duro lavoro. Lavorare sulle tue abilità mentali e sulle tue caratteristiche disposizionali ti permette di accedere al tuo pieno potenziale anche durante le situazioni più stressanti, oltre a fornirti ulteriori strumenti per fare il salto di qualità a cui aspiri.

Migliorare la propria prestazione può sembrare difficile, ma è possibile se sai come farlo e se hai un metodo. Questo modello di performance non è l’unico e non è necessariamente il migliore sulla piazza. Sicuramente è supportato da innumerevoli evidenze scientifiche e, vista la sua complessità, si può ragionevolmente pensare che sia abbastanza buono da rispecchiare la realtà e quindi fornire indicazioni efficaci.

Un modello fornisce un metodo di lavoro e come tale è utile se viene seguito con intelligenza e per un arco di tempo sufficiente affinché possa apportare benefici.

Le cose su cui puoi lavorare, come hai visto, sono molte.

Concentrati su un aspetto alla volta. Parti dai 4 pilastri. Prendi il primo pilastro, misura il punto di partenza, progetta il percorso e solo quando sarai nella fase di monitoraggio passa al secondo pilastro. Anche in questo caso misura, progetta e monitora, poi passa al terzo e così via. Questo perché cercando di fare tutto insieme rischi di ritrovarti a gestire una quantità di informazioni e processi tali da entrare in una spirale di caos e non saper più dove mettere le mani. La conseguenza è ben rappresentata dalla classica meme dell’omino che ribalta il tavolo abbandonando tutti i suoi progetti e le sue attività.

Ricorda, migliorare la nostra prestazione prevede un lavoro su noi stessi. Migliorare la propria prestazione è un viaggio, un percorso, che come tale avrà i suoi alti e bassi. Non lasciarti scoraggiare e divertiti, divertiti a sperimentare e trovare soluzioni creative, a immergerti in attività che mai avresti pensato di fare per capire se effettivamente hai sempre fatto bene ad evitarle o se invece potrebbero essere delle nuove alleate. Sperimenta, tieni o abbandona e passa alla successiva. Riscopriti bambino esploratore e divertiti a sperimentare!

 

Autrice articolo

Dott.ssa Alessia Federiconi, Psicologa esperta in sport, benessere, ottimizzazione della prestazione e crescita personale.
Laureata in Psicologia con 110 e lode all’Università degli studi di Milano Bicocca con una tesi sul valore motivazionale delle nuove tecnologie nei percorsi sportivi riabilitativi. Appassionata di sport da combattimento, ho fatto ricerca sul fenomeno dell’anticipazione motoria nella boxe. Sono un’esperta di interazione uomo/macchina e ho lavorato per due anni come Project Manager all’interno di una Fondazione operante nel campo dell’innovazione tecnologica. Attualmente sto completando il Master in psicologia dello sport e collaboro con un ospedale per valutare l’utilizzo della Realtà Virtuale nella riabilitazione fisica dei pazienti.

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BMI: indice di massa corporea

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BMI

Che cos’è il BMI

Il BMI o IMC (Body Mass Index o Indice di massa corporea) è una misura antropometrica sullo stato di forma e nutrizionale della persona. Si calcola attraverso il peso corporeo (kg) fratto l’altezza in metri al quadrato: kg/m2. Il suo risultato, a costo zero, ci può dare una prima indicazione sul peso forma della persona.

Tabella BMI
Tabella per calcolare velocemente il proprio stato di forma attraverso l’IMC

Come calcolare l’indice di massa corporea

L‘indice di massa corporea è utilizzato per stimare, in maniera grossolana, lo stato di forma della persona. Si misura dividendo i kg della persona per la sua altezza in m al quadrato.

BMI Min Max
Grave magrezza <16
Sottopeso 16 18,5
Normale 18,5 25
Sovrappeso 25,1 30
Obeso I classe (moderato) 30,1 35
Obeso II classe (grave) 35,1 40
Obeso III classe (molto grave) >40,1

Un esempio su una donna di 65kg alta 1,62m è: 65/1,622=24,8 (al limite del normale)
Un esempio su un uomo di 90kg alto 1,80m è: 90/1,82= 27,7 (in sovrappeso)

Indice di massa coporea

Il peso ideale

L’IMC è una misura antropometrica che ha un valore statistico ma con una grossa % d’errore sulla composizione corporea. Non tenendo conto della % di grasso corporeo, facilmente rende in sovrappeso gli sportivi più muscolosi. Tende a sbagliare anche per le persone o molto basse o molto alte, aumentando l’errore. È in ogni caso uno strumento statistico molto utile a livello epidemiologico, per comprendere l’andamento della popolazione nel tempo ed i suoi fattori di rischio.

Difficile calcolare il peso ideale grazie al BMI, a questo andrebbero associate altre misure come le circonferenze corporee, la plicometria o la biompedenziometria.
È interessante comunque conoscere il proprio fabbisogno calorico giornaliero, per poter valutare come eventualmente raggiungere il peso forma.

Storia ed origine

Il BMI nasce dall’indice Quetelet ideato quasi due secolo fa dal matematico Belga. Lo studioso si accorse della relazione statistica tra il peso della persona e la sua altezza al quadrato. Questo indice è stato utilizzato per studiare a livello statistico l’obesità. L’indice di Quetelet è stato modificato negli anni 70 da Ancel Keys con il nome di Body Mass Index, oggi in uso.

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Guida alla nutrizione
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Calorie per dimagrire: quante calorie assumere?

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Quante calorie assumere per dimagrire?

Anche se continuamente veniamo bombardati da notizie che dicono che le calorie non contano, e sono un concetto superato, il bilancio calorico negativo rimane l’unica strada per la perdita di peso. Se ne scoprite un altro scriveteci che lo vogliamo conoscere anche noi. Fatta nostra questa verità (e purtroppo in pochi l’accettano), vediamo quante calorie dobbiamo assumere per perdere peso.

Il bilancio dovrebbe stare in un range che ci permetta di protrarlo nel tempo, ma che sia comunque sufficientemente rilevante da vedere dei progressi ogni 7-14 giorni (altrimenti perderemo di motivazione). Questo range si ipotizza sia tra le

  • Deficit calorie settimanali uomo: 3500-2500kcal (
  • Deficit calorie settimanali donna: 2500-1500kcal

Superare questi rangi diventa difficile per la maggior parte delle persone perchè o soffriamo troppo la fame, o dobbiamo essere troppo pazienti per vedere i risultati.

Va precisati che il taglio calorico dovrebbe essere settato in base al nostro TDEE (fabbisogno calorico giornaliero). Se sono un’impiegata, mi muovo quasi niente, mangio da anni poco (magari ogni tanto sgarro) e mi ritrovo con un TDEE di 1300kcal, difficilmente potrò ancora scendere tagliando le calorie. In questo caso dovrò investire 4-12 settimane per alzare il metabolismo. Dopodiché potrò procedere con una normale dieta ipocalorica.

Al contrario se sono un atleta, giovane, mangio tanti carboidrati e mantengono un’ottima sensibilità insulinica, ed ho un TDEE di 5000kcal, posso permettermi di fare tagli drastici (almeno inizialmente), continuando a mangiare in modo importante (magari assumo 3500kcal e dimagrisco).

Insomma per sapere quante calorie devo assumere per dimagrire devo prima sapere da dove parto.

Quante calorie assumere per dimagrire 1kg?

Fatte nostre le precedenti premesse, vediamo a livello fisiologico quante calorie dovrei assumere per dimagrire 1kg, o meglio che deficit occorre per perdere 1kg? La risposta è semplice 7000kcal +/-50%.

Cosa vuol dire? Un kg di grasso corporeo sono 7000kcal. I grassi alimentari sono 9kcal/1g, ma nel nostro corpo col grasso c’è un po’ d’acqua che ne abbassa il contenuto calorico (come nel burro). A seconda della nostra efficienza metabolica e del nostro set point, possiamo perdere più o meno velocemente i kg in eccesso, variando di +/- un 50%.

Questo vuol dire che inizialmente magari già con un deficit di 3500kcal perderemo 1kg, al contrario dopo diverse settimane di dieta dovremo raggiungere le 10500kcal per vedere scendere la bilancia. Non è detto che questo avvenga è molto soggettivo, ma diciamo che questo range ci da un’idea di quello che ci può aspettare.

Quante calorie al giorno per dimagrire 5kg?

È interessante capire non tanto quante calorie servono per dimagrire 5kg, ma piuttosto quanto ci vorrà a seconda del deficit calorico che seguiremo.

Con un taglio di 3500kcal ci vogliono 2 settimane per perdere 1kg, se il deficit è invece di 1500kcal serve poco più di un mese.
Appena ci mettiamo a dieta è facile togliere un paio di kg in eccesso, ma poi i tempi si dilatano.
Ricordiamoci sempre che per dimagrire non servono sporadici atti eroici, ma piccoli sacrifici quotidiani.

Come calcolare quante calorie assumere?

Per sapere come calcolare le calorie da assumere ogni giorno abbiamo creato questo calcolatore calorie adatto a persone sane e che già sanno districarsi con la dieta. Ricordati che l’importante è:

  1. partire dal tuo fabbisogno calorico giornaliero
  2. decidere quante calorie tagliare (a settimana e poi al giorno)
  3. settare i macronutrienti (prima le proteine, grassi ed infine i carboidrati)
  4. trasformare i macronutrienti in alimenti da mangiare (magari aiutandosi con un’app contacalorie)

Calorie alimenti

Quante calorie bisogna bruciare al giorno per dimagrire?

L’importante non è tanto il decificit calorico della giornata ma quello della settimana. Quindi concediti pure dei giorni dove mangerai di più (weekend, cene, feste, ecc.) ed altri dove recuperi l’eccesso.

Ricordati anche che il deficit è dato dalla dieta ma anche l’attività fisica brucia calorie. Puoi fare del cardio per dimagrire, dei pesi, o un mix tra i due. L’importante è non scordarti il NEAT, ovvero di rimanere attivo durante il giorno, è questo che alla lunga fa la differenza.

Quanti chili perdere in una settimana?

Le variazioni di peso non dovrebbero superare l’1% del nostro peso corporeo a settimana. Questo vuol dire che se pesi 60kg, dovresti perdere al massimo 600g a settimana. Variazioni più rapide portano più facilmente a stalli del peso.

A livello motivazionale dovresti vedere come minimo una perdita dello 0,5% del peso a settimana, sempre per 60kg sono 300g. Se stalli col peso ma sei sicuro di essere in deficit calorico (non stai sgarrando e continui a muoverti durante il giorno), aspetta almeno 2 settimane prima di variare il piano, a volte dei blocchi di 14-20 giorni sono fisiologici, poi la situazione si sblocca da sola.

In un mese possiamo aspettarci di dimagrire dal 4% al 2% del nostro peso corporeo.
Buon percorso!

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Che cos’è la caloria?

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Cos’è una caloria?

La caloria è semplicemente un’unità di misura. Nel gergo comune caloria e kcal sono la stessa cosa ma in realtà 1kcal sono 1000 piccole calorie. Questa è l’energia che occorre per aumentare di 1°C, da 14,5° a 15,5° 1kg d’acqua. Quando si sostiene che una caloria non è una caloria, bisognerebbe riflettere su questa affermazione che equivale a dire che un metro non è un metro o un litro non è un libro.

In nutrizione si considerano le calorie metaboliche, ovvero l’energia realmente utilizzata dal nostro organismo. Per esempio le proteine hanno 5,65kcal, ma avendo dell’azoto che non può essere metabolizzato, l’organismo lega atomi di H che vengono espulsi con l’urea, portando il potere calorico della proteina ad una media di 4kcal.

Qual è l’unità di misura della caloria

In Italia per indicare il potere energetico degli alimenti utilizziamo le calorie o meglio le kcal, a livello scientifico però l’unità di misura principale sono Joule.

1kcal corrisponde a 4,184 kilojoule. 

Quante calorie fornisce un grammo di zucchero (carboidrati)?

I carboidrati hanno un potere calorico medio di 4kcal/g. Più lo zucchero è semplice e più mediamente il suo potere calorico è più basso 3,8kcal/g, al contrario più è complesso come l’amido e più il suo potere calorico è leggermente più elevato 4,2kcal/g. Per semplificare si porta il potere calorico dei glucidi a 4kcal.

I carboidrati hanno un‘azione dinamica specifica intorno al 5-10%, questo vuol dire che il corpo impiega su 100kcal di zuccheri 5-10kcal per digerirle.
I glucidi, in soggetti sani e non insulino resistenti, vengono facilmente convertiti in calore quando sono in eccesso e si stima che in soggetti sani soltanto il 10% dell’eccesso si converta effettivamente in grassi (lipogenesi). Più è bassa l’affinità coi carboidrati della persona e più aumenta questa conversione.

Quante calorie fornisce un grammo di grasso?

Anche per i grassi abbiamo un’approssimazione intorno alle 9kcal/g. A seconda dell’acido grasso andiamo dalle 9,45kcal/g a valori leggermente inferiori a 9kcal/g.

L’azione dinamica specifica dei lipidi è la più bassa dal 2-5%. Questo vuol dire che su 100kcal di grassi il corpo impiega solo 2-5kcal per digerirli (ricordiamo che la loro assimilazione al contrario è la più lunga). I lipidi se sono presenti in piccole quantità con livelli bassi d’insulina vengono ossidati dal muscolo, al contrario se li assumiamo in grandi quantitativi, o l’insulina si alza sono depositati negli adipociti (cellule grasse).

Quante calorie fornisce un grammo di proteine?

Le proteine come abbiamo visto hanno teoricamente 5,65kcal/g ma realmente ne hanno mediamente 4kcal/g, anche qui è una media data dalla composizione degli aminoacidi che costituiscono la proteina.

L’azione dinamica specifica dei protidi è la più alta e mediamente è tra il 20-30%. Questo vuol dire che su 100kcal assunte dalle proteine ne consumiamo 20-30kcal per digerirle.
Anche se teoricamente i protidi possono trasformasi in glucosio che a sua volta può diventare acidi grassi, questo fenomeno non è mai stato osservato nella realtà. Attenzione che non vuol dire che le proteine non facciano ingrassare (a meno che non mangiamo solo protidi, ma in questo caso peggioreremo la nostra salute), perchè contribuiscono anche loro al conteggio calorico, facendoci così accumulare peso per via dei lipidi e carboidrati che assumiamo durante il giorno.

In ogni caso durante la dieta una buona quota proteica aiuta a mantenere l’aderenza al piano alimentare e facilita così la perdita di peso.

cosa sono le calorie

Considerazioni finali sulla calorie nella nutrizione

Anche se tutte le diete dicono che le calorie non contano, il bilancio calorico è l’unico fattore che può permettere una perdita di peso. Noi rispondiamo alle leggi della termodinamica, non possiamo creare molecole senza energia (ingrassare con una dieta ipocalorico), ne possiamo catabolizzare lipidi in un contesto energetico positivo.

Questo non vuol dire che nella dieta contano solo le calorie degli alimenti ma che sicuramente vanno considerate per poter ottenere il massimo del risultato.

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Ortoressia: cos’è, sintomi e rimedi

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Che cos’è l’ortoressia nervosa? Cosa significa?

L’essere umano è spesso caratterizzato da un pensiero dicotomico, in cui vediamo le cose in bianco o in nero. Anche l’alimentazione è spesso soggetta da estremismi (come la fame nervosa), da una parte abbiamo una larga fetta della popolazione golosa e poco attenta alla qualità del cibo, all’estremo opposto troviamo invece gli ortoressici, ovvero le persone “fissate” col cibo sano.
A prima vista l’ortoressia potrebbe anche non sembrare un problema, ma in realtà è un disturbo alimentare, scopriamo perchè!

Per atteggiamento ortoressico si intende un comportamento alimentare, che esclude a priori, anche senza vere e proprie ragioni biochimiche o fisiologiche, determinate categorie d’alimenti.
Tra le più comuni troviamo la carne, il latte, i cereali ed i carboidrati ed il glutine. Le persone ortoressiche sono convinte, anche per via della cattiva informazione che fa credere che la scienza abbia dimostrato che alcuni alimenti o sostanze facciano male, che non bisogna mangiare determinati alimenti.

Oggi, per fortuna, sappiamo che la nostra salute è si influenzata da quello che mangiamo, ma che è l’insieme del tutto a fare la differenza. Mangiare in modo saltuario e controllato, dolci, fritti o altri alimenti ipercalorici (ricchi di grassi e o zuccheri) non comporta nessun pericolo per il nostro organismo.

L’ortoressico nervoso è un individuo convinto e fanatico del cibo sano, che estremizza il concetto del mangiare bene, sacrificando relazioni sociali, per evitare di mangiare cibi calorici o “che fanno male”.

Sintomi dell’ortoressia

L’ortoressico può essere riconosciuto attraverso diversi sintomi:

  • sensi di colpa dopo aver mangiato alcuni alimenti
  • pensiero ossessivo verso il cibo
  • isolamento sociale
  • ricerca ossessiva del cibo sano
  • esclusione di alcune categorie d’alimenti non considerate pericolose dalle linee guida

L’ortoressico non ha la percezione d’essere tale, si considerano autorizzato ad avere determinati comportamenti perchè ci tiene alla propria salute. È spesso una sottile linee quella che divide uno stile di vita sano e raccomandato, da un’ossessione per il benessere.

Quali test fare per l’ortoressia?

Nel 1997 il medico inglese Steve Bratman diagnosticò per la prima volta l’ortoressia (su se stesso). Da questa autoanalisi elaborò un test per diagnosticare l’ortoressia, basato su 11 punti:

  1. Pensi per almeno 3 ore al giorno al cibo?
  2. Pensi a cosa mangerai il giorno dopo?
  3. Mangiando provi soddisfazione per la qualità del cibo e non tanto per il suo gusto?
  4. La percezione della qualità della tua vita cambia in relazione a cosa mangi?
  5. Da quando pensi al cibo è aumentata l’ansia nella tua vita?
  6. Sei diventato più severo con te stesso per quanto riguarda il cibo?
  7. Migliori la tua autostima se mangi bene?
  8. La prevenzione caratterizza le tue scelte alimentari?
  9. Provi sensi di colpa se non mangi sano?
  10. Pensi che l’autocontrollo sia associato al mangiare bene?
  11. Pensi sia necessario integrare l’alimentazione?

Se hai risposto affermativamente solo a 3 domande sei probabilmente normale, da 4-8 domande probabilmente sei ortoressico, con 9-11 domande ortoressico grave.

Cause dell’ortoressia

Le maggiori cause dell’ortoressia riguarda principalmente il bombardamento mediatico a cui siamo sottoposti. Da una parte i modelli estetici dei mass media, spingono sempre di più le persone verso fisici innaturali (troppo magri e/o muscolosi). Pertanto ci si sente inadeguati ed esteticamente poco gradevoli.

La televisione ed internet bombardano sempre di più sulla pericolosità del cibo (antibiotici, pesticidi, ormoni, conservanti, ecc.). Anche se bisognerà ancora lottare per una miglior qualità degli alimenti, dobbiamo ricordarci che i cibi non sono mai stati controllati e sono sicuri come ai giorni nostri.
Anche se il consumatore si sente sempre di più minacciato dagli interessi delle multinazionali del cibo, a livello normativo le regole, soprattutto in Europa, sono sempre più stringenti e severe. Questa falsa percezione, porta molte persone a preoccuparsi eccessivamente della qualità del cibo, escludendo a priori e senza ragione, alcune categorie di alimenti.

L’ipocondria e la paura di ammalarsi è la terza grande causa dell’ortoressia. Se il cibo ha una relazione diretta con la nostra salute, questo dipende sia dalla qualità ma soprattutto dalla quantità. Non sono gli zuccheri o i grassi ad essere pericolosi ma un loro eccesso. Non serve eliminarli completamente ma moderarli, senza ricorrere ad eccessi inutili.

Cure e rimedi per l’ortoressia

La miglior cura per l’ortoressia è la presa di consapevolezza. L’ortoressico spesso è preda dei suoi bias (pregiudizi) psicologici. Crede che il suo atteggiamento è funzionale alla sua salute e non vede motivo per modificarlo. È poco cosciente dell’aumentata ansia, rigidità e limiti che questo atteggiamento comporta e spesso ha una visione in bianco ed in nero.

A seconda della gravità dell’ortoressia può essere necessario l’aiuto di un medico e/o di uno psicologo, aiutando la persona attraverso un percorso, ad interpretare la dieta e lo stile di vita come qualcosa di flessibile e che al suo interno può avere una proponderanza di cibi sani ma con le dovute eccezioni.

Alan Aragon divide l’alimentazione in una torta composta da

  • 70% cibi sani di cui amiamo il sapore
  • 10% cibi sani di cui ci è indifferente il sapore
  • 10% cibi semi-spazzatura di cui amiamo il sapore
  • 10% cibi spazzatura che ci piacciono

In questo modo l’alimentazione sarà composta da un 80%-20% a favore della salute e del controllo del peso, senza rinunciare a nessun alimento.

Alan Aragon da un’indicazione su come comportarsi, in modo equilibrato, rispetto ai cibi sani, lavorati e spazzatura.

Conclusioni sull’ortoressia

Se da una parte la popolazione mondiale sta ingrassando e si sta ammalando sempre di più, all’estremo troviamo una percentuale di persone con sempre di più atteggiamenti ortoressici. La salute psicofisica della persona e la sostenibilità nel lungo periodo, di uno stile di vita sano, passano per i giusti atteggiamenti psicologici, che vedono nel cibo sano la corretta alimentazione, ma senza inutili estremismi.

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Della Dott.ssa Carolina Strada

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Sono una psicologa esperta in comportamento alimentare, mi occupo di benessere ed equilibrio a 360° tra il corpo e la mente, aiutando ad ottimizzare le risorse e a trovare le strategie per vivere serenamente.

Scopri il sito di Carolina: carolinastrada.it
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Sostanze nutritive: cosa sono e quali sono?

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Sostanze nutritive: cosa sono?

Le sostanze nutritive sono le sostanze che servono al nostro organismo per rimanere in salute. Possono avere diverse funzioni da quella energetica, fornendo calorie al nostro corpo, a quella plastica essenziale per la costruzione, riparazione, e sostituzione delle cellule. Infine hanno anche una funzione regolatrice sul nostro metabolismo e le nostre cellule.

Quali sono le sostanze nutritive?

Le sostanze nutritive sono divise in due categorie, quelle che apportano energia ovvero i macronutrienti: proteine, grassi, carboidrati ed i micronutrienti: sali minerali e vitamine. Tra queste troviamo anche l’acqua e l’alcol. Quest’ultimo apporta 7kcal/g ma non ha altre funzioni ed è tossico per l’organismo, quindi normalmente non viene annoverato tra i nutrienti.

Quali sono le sostanze non nutritive?

Tra le sostanze non nutritive spesso viene inserita l’acqua ma soprattutto le fibre e gli antinutrienti. Le fibre alimentari non apportano calorie o quasi (dipende dal tipo di fibra) ma hanno importanti funzioni per il nostro organismo, da quella antitumorale, pro microbiota, anorezzizante e nutrono gli enterociti (le cellule dell’intestino).

Oltre alle fibre alimentari tra le sostanze non nutritive troviamo gli antinutrienti. Diserbanti naturali (saponine, lectine, fitati, ossalati, nitrati, ecc.) che interagiscono col nostro organismo, sia in positivo: alcuni hanno un’azione antitumorale, ipocolesterolemizzante, che negativa essendo alcune tossiche o emolitiche.

Come avviene l’assorbimento delle sostanze nutritive?

Quali e cosa sono le sostanze nutritive

Le sostanze nutritive sono assimilate dall’apparato digestivo. Alcune iniziano ad essere digerite ed assimilate addirittura in bocca, altre nelle stomaco ed altre ancora nell’intestinotenue. I villi intestinali sono le cellule preposte ad assorbire la maggior parte delle sostanze nutritive. I grassi sono le molecole più lente ad essere digeriteed entrano nel nostro corpo attraverso il sistema linfatico, mentre gli zuccheri entrano nel circolo portale (che collega l’intestino al fegato) ad una velocità media di 1g/kg/h.

Il flusso arterioso porta tutti i nutrienti alle cellule, mentre quello venoso riprende i cataboliti del metabolismo e le sostanze di scarto per portarli agli organi che li metabolizzeranno (fegato) o espelleranno (reni).

Conclusioni sulle sostanze nutritive

Una dieta sana, varia e bilanciata apporta tutte le sostanze nutritive di cui abbiamo bisogno. Variare è importante per rimanere in salute, basando la propria alimentazione in primis su frutta e verdura, legumi, cereali integrali, pesci, uova e carne bianca e/o magra.

Normalmente gli alimenti meno lavorati e più disponibili in natura sono quelli con una bassa densità energetica ed un ricco apporto di nutrienti(vitamine, minerali, fibre, acqua). Al contrario cibi industriali, dolci, prodotti da forno, apportano molte calorie (grassi e zuccheri) ma poche sostanze nutritive.

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Carboidrati complessi: cosa sono e quali sono

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Carboidrati complessi quali sono

Cosa sono i carboidrati complessi?

I carboidrati complessi sono tutti quei glucidi formati da più molecole di zuccheri. Tutti i carboidrati sono costituiti da zuccheri semplici (monosaccaridi), quando questi si impacchettano in polimeri diventano carboidrati complessi (polisaccaridi) come l’amido, la cellulosa o il glicogeno.

Normalmente lo zucchero semplice utilizzato per la formazione di glucidi composti è il glucosio (omopolisaccaridi). A seconda della struttura che prende può essere più o meno digeribile dall’uomo. La fibra alimentare è un carboidrato composto indigeribile, mentre l’amido (spesso dopo la cottura) è invece scomponibile dai nostri enzimi digestivi.

Quali sono i carboidrati complessi?

I carboidrati complessi si dividono a seconda della loro origine. Nel regno animale troviamo solo il glicogeno, mentre tra i vegetali troviamo l’amido, cellulosa, inulina, chitina, emicellulosa, pectina, ecc. Il glicogeno e l’amido hanno una funzione energetica, mentre gli altri glucidi hanno una funzione strutturale nel regno vegetale.

Come si formano i carboidrati complessi?

I carboidrati complessi si formano attraverso la polimerizzazione dei monosaccaridi che vengono impacchettati in catena lunghe da 10 monosaccaridi fino a migliaia. In questo processo lo zucchero perde parte del suo potere osmotico. Questo è il motivo per cui noi accumuliamo zuccheri sotto forma di glicogeno e non glucosio, altrimenti dovremmo accumulare troppa acqua danneggiando le stesse cellule (muscolari ed epatiche).

A cosa servono i carboidrati complessi?

I polisaccaridi hanno una funzione energetica per l’essere umano, che gli sfrutta sia per ricavare energie, un grammo di amido ha 4,2kcal (non 4kcal/g), sia per immagazzinarla sotto forma di glicogeno. Nel regno vegetale invece hanno anche una funzione strutturale, fornendo assieme alle proteine, il sostegno meccanico alla pianta.

Quali alimenti contengono i carboidrati complessi? Dove trovarli?

Carboidrati complessi

I carboidrati complessi nell’alimentazione sono contenuti nei cereali, nei tuberi nei legumi. Sono queste le tre categorie d’alimenti che contengono principalmente i polissaccaridi. Troviamo ovviamente delle eccezioni come l’amido contenuto nella banana, per esempio. Il glicogeno contenuto nei muscoli degli animali che mangiamo non è più presente, perchè dopo la morte il metabolismo anaerobico delle cellule lo trasforma in acido lattico.

I carboidrati complessi fanno male?

I carboidrati composti non fanno male, ma non bisogna eccedere oltre al proprio fabbisogno. I cereali essendo alimenti calorici, devono essere ponderati nella giusta quantità nella nostra alimentazione. Le linee guida considerano un’alimentazione sana e salutare quella che si basa principalmente su cereali interi, legumi, frutta e verdura e che apporta dal 40% al 60% delle calorie giornaliere introdotte.

Ovviamente se esageriamo coi carboidrati (anche se complessi) introduciamo troppe energie nel nostro organismo e questo, soprattutto nel cronico non è ottimale. Oggi sempre più spesso si legge di carboidrati insulinogenici ad intendere che dopo l’ingestione di questi alimenti l’insulina si alza eccessivamente. Questo per fortuna non implica, su soggetti sani, nessun problema. L’insulina alzandosi abbassa fisiologicamente la glicemia. È un eccesso calorico a portare facilmente l’iperglicemia basale, non l’introduzione di carboidrati complessi nelle giuste quantità.

Carboidrati complessi a lento assorbimento

L’amido è generalmente indigesto quando non è stato cotto (amido resistente), l’alta temperatura (55-60°) gelatinizza i polimeri rendendoli commestibili (altrimenti l’amido si comporta come una fibra alimentare). È formato principalmente da due diversi tipi di polimeri. L’amilosio più difficile da digerire ed assimilare e l’amilopectina che al contrario ha un più rapido assorbimento. A seconda della % d’amilosio o amilopectina, il corpo riesce a spezzare la catena d’amido ed ad introdurre più velocemente glucosio nel circolo portale.

Alimento Amilosio Amilopectina
Frumento 28% 72%
Patata 21% 79%
Riso bianco 17% 83%

Anche la quantità di proteine, grassi e fibre contenute nell’alimento incide sulla velocità con cui vengono assimilati gli zuccheri.

I carboidrati complessi sono utili per dimagrire?

I carboidrati complessi possono essere utili ad un regime alimentare a patto che si scelgano i legumi e cereali integrali (cotti al dente). Al contrario di quello che si pensa non è tanto la pasta a far ingrassare, in quanto anche se ha un alto contenuto energetico, da cotta si idrata aumentando di 2,5 volte il suo peso, ma spesso è il condimento che si usa. Una pasta con zucchine ha 432kcal per porzione al contrario al ragù 615kcal per porzione.

Tanti alimenti considerati troppo calorici non lo sono per via dei carboidrati complessi, ma per il condimento grasso utilizzato, come nel caso della pizza.

Anche in una dieta dimagrante, i carboidrati complessi trovano assolutamente un loro posto, soprattutto se la persona è attiva e si allena.

Infine più le persona è insulino resistente e meno sentirà la sazietà per via dall’alzarsi dell’insulina (che è un ormone anoresizzante), in questi casi oltre ad una dieta ipocalorica può convenire valutare quanti carboidrati assumere in rapporto ai grassi e proteine. Questo per modulare il senso di sazietà post pasto.

Quali sono i carboidrati complessi a basso indice glicemico?

In questo articolo sull’indice glicemico abbiamo spiegato tutte le ragioni per cui pensare che la qualità di un alimento sia dovuto a questo fattore è fuorviante. In ogni caso i carboidrati complessi a basso indice glicemico sono quelli con più amilosio e meno amilopectina:

Alimento Indice

glicemico

Avena 40
Grano saraceno 40
Kamut 40
Pane integrale 40
Fagioli 35
Amaranto 35
Farina di ceci 35
Semi di lino 35
Quinoa 35
Ceci in scatola 35
Ceci 30

Va ricordato che non solo è più importante il carico glicemico, ma che soprattutto è il quantitativo glucidico a contare e non l’indice della qualità. Questo perchè i danni dell’iperglicemia non sono dati da fattori acuti, come il picco glicemico, ma cronici (iperglicemia basale).

Carboidrati complessi a colazione: ne vale la pena?

Carboidrati complessi ed indice glicemico

Un buon momento per introdurre i carboidrati interi durante la giornata è la prima colazione. L’importante è far attenzione che i cereali per la colazione non contengano eccessivi zuccheri o grassi. Molto spesso si legge sulla confezione “Fitnesss”, ma se andiamo a leggere i valori nutrizionali ci rendiamo conto che sono alimenti ipercalorici, troppo ricchi di zuccheri aggiunti e/o grassi.

L’avena o delle fette biscottate integrali sono ottimi glucidi complessi da introdurre a colazione. Al contrario i biscotti o i dolci sono alimenti che saziano meno e che contengono più calorie.
Al mattino anche la frutta e la frutta secca sono alimenti che anche se non complessi possono andare benissimo (e non dimentichiamoci la colazione proteica).

Quali verdure contengono carboidrati complessi?

Soltanto cereali e legumi contengono polisaccaridi, le verdure e la frutta sono costituite da monosaccaridi e disaccaridi (zuccheri semplici). Questo ovviamente non vuol dire che la verdura non faccia bene, anzi è ricca di fibre, vitamine e minerali. L’OMS consiglia di limitare gli zuccheri semplici (massimo 10% delle calorie giornaliere) ma non quelle derivanti da frutta e verdura (quindi principalmente si riferisce agli zuccheri aggiunti).

Quali sono i carboidrati complessi senza glutine?

I legumi sono carboidrati complessi senza glutine. Nei cereali invece troviamo quelli con e senza:

Cereali col glutine Cereali senza glutine
Frumento (grano) Amaranto
Farro Grano saraceno
Orzo Mais
Spelta Miglio
Kamut Riso
Segale
Tricale
Avena

Anche se si legge spesso che il glutine faccia male, in realtà è stato scagionato dalla scienza. La sensibilità al glutine non è in realtà causata da questa proteina ma o da le altre proteine dei cereali (oltre al glutine i cereali ne contengono mediamente altre 11) o da particolari zuccheri chiamati fruttani.

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HIIT: High Intensity Interval Training – Che cos’è? Esempi pratici

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hiit

L’HIIT (High Intensity Interval Training) è un’attività adatta all’essere umano e che vantaggi porta alla nostra composizione corporea (se ci fa dimagrire e “tonificare”). Un articolo che descrive tutto quello che c’è da sapere di scientifico su questa attività, dando spunti pratici ed esempi di allenamenti (workout) pratici per ricollegare la teoria all’allenamento quotidiano.

hiit

“There are two contrary impulses which govern this man’s brain. The one sane, and the other eccentric. They alternate at regular intervals.” – Franz Shubert.

Articolo del Dott Davide Marchese

Che cos’è l’HIIT (High Intensisy Interval Training)?

HIIT cos'è?

L’ High Intensity Interval Training (HIIT) descrive una modalità di esercizio caratterizzata da brevi e intermittenti esplosioni di vigorosa attività, inframezzate da periodi di riposo o di bassa intensità. Le modalità di esecuzione, così come gli adattamenti fisiologici indotti da questa forma di esercizio, sono variabili in relazione ad una molteplicità di fattori, quali la precisa natura dello stimolo utilizzato, l’ intensità, la durata e il numero degli intervalli eseguiti, così come anche la durata e il pattern di attività durante le fasi intercritiche di riposo (tra un burst e l’ altro). Le variabili coinvolte in un protocollo HIIT sono molteplici e sono elencate nella Tabella 1.

Tabella HIIT

“Se qualcosa non può essere espresso in numeri non è scienza: è opinione”.. diceva Robert Anson Heinlein.

Se correlato ad un tradizionale training di resistenza l’ HIIT si è dimostrato superiore nell’ indurre alterazioni positive a carico dei markers di performance e salute-correlati, sia nella popolazione sana che affetta da patologia (Wisloff et al. 2007; Tjonna et al. 2009; Hwang et al. 2011). Burgomaster et al (2008) e Gibala et al (2006) hanno dimostrato che solo 2 settimane di HIIT sono in grado di determinare un aumento della capacità ossidativa del muscolo scheletrico, come dimostrato sia da un incremento dell’ attività massimale che dall’ aumento del contenuto di enzimi mitocondriali. In aggiunta all’ aumento della capacità ossidativa, altri adattamenti documentati nel muscolo scheletrico dopo alcune settimane di HIIT sono stati:
– un aumento del contenuto di glicogeno a riposo,
– una riduzione del tasso di utilizzo del glicogeno e della produzione di lattato durante l’ esercizio,
– un incremento della capacità (sistemica e del muscolo scheletrico) di ossidazione dei lipidi,
– un miglioramento a carico di struttura e funzione del sistema vascolare periferico,
– un miglioramento della performance (misurata mediante “time-to-exhaustion” test),
– un aumento dell’ uptake massimale di ossigeno
(Burgomaster et al. 2005, 2008; Gibala et al. 2006; Rakobowchuk et al. 2008).

Senza dubbio la capacità dell’ HIIT di rimodellare il muscolo scheletrico è da mettersi in relazione con l’elevata capacità di reclutamento delle fibre (soprattutto le fibre di tipo II) e una buona parte dei meccanismi molecolari responsabili delle alterazioni (biochimiche e strutturali) del muscolo scheletrico nel training intervallato ad alta intensità risiedono nella sua capacità di incrementare la capacità mitocondriale, come dimostrato dall’influenza che il training intervallato ad alta intensità esplica sul (PGC)-1α (recettore attivato dai proliferatori dei perossisomi gamma) che è considerato il principale regolatore della biogenesi mitocondriale nel muscolo scheletrico. I mitocondri sono organuli deputati alla produzione di energia nelle cellule, e un aumento del loro numero e della loro funzione si rifletterà in un miglioramento della capacità di produrre energia, in particolare con l’avanzare dell’ età (la funzionalità mitocondriale si riduce con il passare degli anni).

Alcuni lavori (Norrbom et al. 2004; Egan et al. 2010) dimostrano che pochi minuti di HIIT provocano un aumento dell’ espressione di RNA messaggero del (PGC)-1α del tutto paragonabile a quello indotto dall’esercizio di resistenza continuativo. L’ aumento della concentrazione nucleare di (PGC)-1α osservato dopo HIIT coincide con l’incremento della espressione di RNA messaggero di numerosi geni mitocondriali, suggerendo che questi picchi di attività ad alta intensità inducano modifiche a carico della espressione mitocondriale (Little et al, 2011). I processi a monte in grado di attivare (PGC)-1α e la biogenesi mitocondriale in risposta ad un training intervallato di alta intensità non sono stati completamente chiariti, ma è probabile che siano legati alla notevole variazione nel rapporto ATP:ADP/AMP in seguito all’ esercizio e alla concomitante attivazione della 5’-adenosina monofosfato protein-chinasi attivata (AMPK) (Gibala et al 2009, Little et al 2011). L’ attivazione della p38-protein chinasi di attivazione mitogena (MAPK), verosimilmente mediata da una aumentata produzione di specie reattive dell’ ossigeno (ROS) potrebbe altresì essere coinvolta (Gibala et al. 2006; Little et al. 2011).

Burgomaster et al (2008) hanno messo in evidenza che 6 settimane di HIIT incrementano la produzione di (PGC)-1α del 100% in soggetti sani. Date le evidenze che mettono in relazione modesti incrementi nella (PGC)-1α muscolare con il miglioramento a carico di capacità ossidativa, sistema di difesa anti-ossidante, uptake del glucosio, capacità di contrastare la sarcopenia età-correlata e i vari pathways anti-infiammatori (Sandri et al. 2006; Benton et al. 2008; Wenz et al. 2009), l’ incremento nella (PGC-1)α che fa seguito alle sedute di HIIT è alla base dell’ enorme potenziale di benefici che esso ha in termini di salute. In aggiunta, l’ HIIT è caratterizzato nel post-workout da una maggiore dissipazione di calorie rispetto ad un allenamento aerobico tradizionale: si definisce EPOC (Excess Post-exercise Oxygen Consumption) l’ incremento del metabolismo totale e del dispendio energetico che fa seguito alle ore successive all’ allenamento, e l’ HIIT ha un EPOC del 15% superiore rispetto ad un classico training aerobico. E’ stato investigato anche l’ impatto del training intervallato ad alta intensità sulla funzione e sulla struttura cardiovascolare: un periodo pari a sole 2 settimane di HIIT Wingate-Based (picchi di 30 secondi di cyclette ad altissima intensità separati da pochi minuti di recupero, ripetuti 4-6 volte) ha incrementato la capacità cardiorespiratoria, come riflesso dalla variazione del più alto valore di consumo di ossigeno raggiunto durante test da sforzo (VO2 di picco) (Whyteet al. 2010). Sembra inoltre che il training intervallato ad alta intensità sia superiore allo Steady State Training (allenamento aerobico a frequenza cardiaca costante) nell’ aumentare il VO2max: 8 settimane di HIIT hanno infatti portato ad un aumento del VO2max del 15%, rispetto al training aerobico prolungato (che ha indotto un incremento del 9%). Per approfondire leggi anche l’articolo: per dimagrire meglio il cardio o l’HIIT?

Poiché il miglioramento del VO2max è uno dei principali outcomes nei soggetti affetti da patologia cardiaca, l’ Interval Training ad Alta Intensità sta diventando parte integrante dei protocolli di riabilitazione cardiologica (Bartels MN et al – 2010). Richards et al, nel 2010 hanno dimostrato che 16 minuti di “Sprint Interval Training” ad alta intensità (32 sprints distribuiti in 2 settimane) sono stati in grado di determinare un significativo miglioramento della sensibilità insulinica. I meccanismi alla base della riduzione dell’ insulino-resistenza sono 1) un incremento dell’ efficienza dei sistemi enzimatici aerobici, 2) l’ aumento della biogenesi mitocondriale e 3) il miglioramento dell’ espressione del trasportatore del glucosio GLUT4 (Burgomaster et al. 2005, 2006, 2007, 2008; Gibala et al. 2006; Rakobowchuk et al. 2008; Babraj et al. 2009). Una evidenza indiretta del miglioramento della sensibilità insulinica è stato fornito dal lavoro di Babraj et al (2009) che ha dimostrato come un High Intensity Sprint Interval Training ha ridotto l’ ampiezza e la durata della risposta glicemica che segue all’ assunzione di una bevanda arricchita di glucosio. L’ HIIT riduce la glicemia basale, la glicemia post-prandiale, la sensibilità all’ insulina nel tessuto muscolare e adiposo e si è dimostrato efficace nell’ inibire, attraverso una riduzione dell’insulina circolante, il trasporto di acidi grassi nell’ adipocita, migliorando al contempo l’ espressione del Glut-4 sulla membrana cellulare (si pensi che O Peter Adams nel 2013 ha stimato un incremento delle proteine di trasporto del Glut-4 pari a 369% dopo sole 2 settimane di HIIT!) (Bonen et al – 2006; O Peter Adams – 2013). Un lavoro pubblicato nel 2014 ha dimostrato che 4 mesi di HIIT, svolto mediamente per 20 minuti 2 volte a settimana, non solo hanno portato ad un significativo miglioramento della capacità aerobica, ma anche al dato interessante di una ipertrofia muscolare a carico del muscolo grande psoas, della muscolatura della parete addominale antero-laterale e del quadricipite femorale; dunque 16 settimane di HIIT inducono incrementi della massa muscolare riguardanti sia la porzione inferiore che quella superiore del corpo (Y. Osawa, et al – 2014).

Effetti HIIT composizione corporea

Scansioni assiali in Risonanza Magnetica Nucleare effettuate a livello del disco intervertebrale L3-L4 e del terzo medio diafisario di femore, prima (A,C) e dopo (B,D) un periodo di 16 settimane di HIIT. E’ evidente, nelle rilevazioni “post-training”, l’ ipertrofia muscolare del grande psoas e della muscolatura della parete addominale antero-laterale, nonché delle componenti del quadricipite femorale. Da: Effects of 16-week high-intensity interval training using upper and lower body ergometers on aerobic fitness and morphologycal changes in healthy men: a preliminary study. Y. Osawa, K. Azuma, Shogo Tabata, F. Katsukawa, H. Ishida, Y. Oguma, T. Kawai, H. Itoh, S. Okuda, H. Matsumoto. Journal of Sport Medicine 2014:5 257-265.

Un’ altra ricerca pubblicata sul Journal of Obesity ha riportato che 12 settimane di HIIT non solo possono risultare in una significativa riduzione del tessuto adiposo sottocutaneo a livello di addome e tronco oltre che di grasso viscerale, ma possono determinare un notevole incremento della massa magra (Heydari M. et al – 2012). Ancora, recentissimi lavori hanno messo in evidenza un marcato incremento della produzione endogena di HGH (Human Growth Hormon, un ormone con spiccata capacità lipolitica) al termine di una seduta di HIIT, con marcata riduzione della concentrazione di cortisolo plasmatico a lungo termine (Peake JM, 2014, Tsai CL et al 2014). Altre affascinanti evidenze pubblicate su Cell Metabolism hanno mostrato che picchi brevi e ripetuti di esercizio ad alta intensità producono immediati e misurabili variazioni nel DNA di soggetti sani e sedentari, e la maggior parte dei geni coinvolti dopo l’ esercizio acuto sono quelli coinvolti nel metabolismo del tessuto adiposo, così da risultare in una immediata attivazione genetica di enzimi lipolitici (Romain Barrès et al – 2012); ciò avverrebbe tramite una alterazione della metilazione del DNA e livello del “promoter” che identifica il punto di inizio della trascrizione del gene, come dimostrato da biopsia muscolare dopo esercizio acuto. Dunque, sulla base di un gran numero di studi recenti, l’ HIIT appare una modalità di esercizio estremamente efficiente, che induce gli stessi adattamenti metabolici che avvengono nel tradizionale training di resistenza, se non superiori, senza condividerne i rischi legati allo stress ossidativo e utilizzando volumi di lavoro dal 70% al 90% più bassi (Burgomaster et al. 2005, 2006, 2007, 2008; Gibala et al. 2006; Rakobowchuk et al. 2008; Babraj et al. 2009; Whyte et al. 2010).

HIIT: esempi di allenamento (workout) intervallato ad alta intensità

Ok, andiamo al lato pratico. Come si svolge una seduta di HIIT?

Nel video, il dott. Mercola effettua una dimostrazione del Peak 8, una valida variante di HIIT caratterizzata da 8 picchi di 30 secondi, intervallata da recuperi di 90 secondi. Nel caso specifico è stato utilizzato un cicloergometro, ma lo stesso workout può essere effettuato anche “on foot”. Il video successivo ne mostra un esempio.

Non vi sono regole precise da rispettare. Una formula comunemente utilizzata indica orientativamente un rapporto di 2:1 tra la durata della fase ad alta intensità e la durata della fase di recupero (ad esempio 20 secondi di esercizio e 10 secondi di recupero), ma il rapporto tempo attivo/tempo di recupero può essere ampiamente variabile. In relazione a questi due parametri, la durata di una seduta di HIIT può avere una durata variabile tra 4 e 30 minuti. Sconsiglio vivamente di superare i 30 minuti per non incorrere in fenomeni di eccessivo stress ossidativo, breakdown muscolare e aumento del rischio di infortuni.

L’ HIIT non rappresenta una novità di questi anni. Nella sua autobiografia “Running My Life”, Sebastian Newbold Coe, ex atleta britannico due volte olimpionico nei 1500 metri piani, ci rivela che il suo allenatore (nonché padre, Peter Coe), ispirandosi ai principi di un professore svedese di fisiologia (Per-Olof Astrand, pioniere della fisiologia dell’ esercizio), gli faceva effettuare scatti massimali di 200 metri con soli 30 secondi di recupero tra uno scatto e l’ altro.

Esempi di allenamenti HIIT

Attualmente i regimi maggiormente validati in ambito scientifico sono i seguenti:

  • Protocollo Tabata.
    Si tratta di una versione di HIIT basata su un lavoro scientifico del Prof. Izumi Tabata (1996). Il protocollo prevede 20 secondi di esercizio ultra-intenso, svolto approssimativamente al 170% del VO2max, seguiti da 10 secondi di riposo. Il loop deve essere ripetuto per 4 minuti, così da svolgere 8 picchi di attività ultra-intensa.
  • Protocollo Gibala.
    Basato su studi durati anni del team del Prof. Martin Gibala. Pubblicato nel 2009. Il protocollo prevede 3 minuti di riscaldamento, 60 secondi di attività fisica intensa (al 95% del VO2max) seguiti da un recupero di 75 secondi. Il tutto ripetuto per 8-12 volte. Nel 2011 Gibala ha pubblicato su Medicine & Science in Sport and Exercise una modalità più “soft” del suo regime, intesa per soggetti sedentari o inattivi da oltre un anno, costituita da un warm-up di 3 minuti, picchi di 60 secondi con 60 secondi di recupero ripetuti per 10 volte, e 5 minuti di defaticamento.
  • Protocollo Timmons.
    James Timmons, professore di Biologia dei Sistemi presso l’ Università di Loughborough, ha proposto nel 2012 un protocollo basato su 3 picchi di 20 secondi di pedalata sostenuta al massimo sforzo possibile, alternati da 2 minuti di pedalata blanda.

Il protocollo Tabata ha dimostrato, sulla scorta di lavori pubblicati, di poter indurre, svolto 4 volte a settimana, gli stessi benefici di uno Steady State Training (Endurance Training o allenamento aerobico a frequenza cardiaca costante) effettuato al 70% del VO2max 5 volte a settimana (Tabata et al -1996). Ovvero: 4 minuti di HIIT effettuati 4 volte a settimana hanno gli stessi benefici di un training aerobico prolungato svolto 5 volte a settimana (non solo: i lavori scientifici dimostravano che solo il “gruppo Tabata” otteneva un incremento della capacità anaerobica).

Il protocollo Gibala, che può essere effettuato anche su una cyclette, ha dimostrato di poter ottenere con 3 allenamenti a settimana gli stessi effetti di un Endurance Training svolto 5 volte a settimana (Gibala et al – 2010, 2011).

Il protocollo Timmons ha dimostrato di poter indurre drammatici miglioramenti nella sensibilità insulinica (incrementi del 24%) se effettuato 3 volte a settimana, per un totale settimanale di soli 21 minuti! Ovvero 3 (si, tre!!) minuti di esercizio intenso a settimana. Ad onor di cronaca, tuttavia, è il protocollo Gibala ad aver dimostrato il massimo beneficio sulla sensibilità insulinica, con un miglioramento pari addirittura al 35% dopo 2 settimane.

Crossfit HIIT con attrezzi

L’ HIIT è una modalità di allenamento estremamente versatile, che può essere svolta non solo sotto forma di scatti o alla cyclette, ma anche con ausilio di altri strumenti, come una corda per il salto, manubri, o anche in modalità CrossfitCalisthenics. Un esempio di HIIT workout che utilizzi le ultime 3 modalità, ad esempio potrebbe essere il seguente (attenzione.. dura 10 minuti, riscaldamento escluso, ma è un programma tosto!!):

  • 3-5 minuti di riscaldamento mediante salto con la corda;
  • 1 minuto di Jump Lunge e 1 minuto di salto con la corda;
  • 1 minuto di Box Jump (il supporto su cui saltare dovrebbe arrivare all’ altezza delle ginocchia) e 1 minuto di salto con la corda;
  • 1 minuto di Dumbbell Renegade con Push-ups e 1 minuto di salto con la corda (partire in posizione di push-up con le mani sui manubri, sollevare un manubrio, ritornare in posizione push-up, sollevare l’ altro manubrio, ritornare in posizione push-up, fare un push-up. Questa sequenza vale una ripetizione);
  • 1 minuto di Dumbbell Power Jerk e 1 minuto di salto con la corda (con i manubri all’ altezza delle spalle effettuare un semi-squat, quindi sollevare i manubri sopra la testa);
  • 1 minuto di Dumbbell Uppercuts e 1 minuto di salto con la corda (diverse modalità di esecuzione, per esempio: assumere una posizione come per sferrare un “montante” e da qui effettuare un semi-squat e dunque un “punch-up” verso il lato opposto, prima con un arto superiore e poi con l’ altro. Oppure portare da una posizione di montante un arto inferiore avanti, eseguire un semi-affondo e quindi un punch-up con l’ arto superiore).

Questo video, anche se in modalità “americanata”, rende molto bene come sia possibile applicare l’HIIT, in questo caso con un protocollo Tabata, ad un Calisthenics Workout.

Ma proprio tutti possono fare HIIT? E’ veramente sicuro?

Un’ ultima riflessione. L’ HIIT può essere considerato una forma di esercizio priva di rischi? Coloro i quali per lungo tempo non sono stati dediti ad alcuna forma di allenamento potrebbero sentirsi a disagio nell’ intraprendere una forma di attività motoria definita “intensa”. D’ altronde non vi è alcun dubbio che tali persone, prima di cimentarsi in questa modalità di allenamento, dovrebbero almeno conseguire un’ idoneità all’ attività sportiva con una semplice visita medica. A causa dell’ elevata (talvolta elevatissima) intensità richiesta, è necessario porre molta attenzione nel prescrivere o consigliare questo tipo di workout ad individui sovrappeso o obesi, provenienti da recenti infortuni, decondizionati o non sufficientemente allenati, o ad individui anziani affetti da una o più comorbilità. Si ricorda altresì che nell’ individuo affetto da ipertensione o patologia cardiaca l’ esercizio isometrico dovrebbe essere evitato. Per quanto la maggior parte delle persone possa trarre vantaggio da un training intervallato ad alta intensità, la chiave del successo è probabilmente quella di iniziare molto gradualmente (ciò vale soprattutto per le categorie sopra citate) e, se necessario, impiegare anche alcune settimane per arrivare ai livelli di intensità ottimali.

Se è vero che il nostro organismo richiede un certo apporto di stress sotto forma di attività fisica per mantenersi in salute, è altrettanto vero che sopravanzare questa richiesta può essere causa di deterioramento; dunque è molto importante imparare ad “sentire” il proprio corpo integrando questo feedback in ogni modalità di allenamento. Proprio a causa dell’ elevato stress imposto all’ organismo da una seduta di HIIT, ritengo sia consigliabile non effettuarlo più di 3-4 volte a settimana (non più di 2-3 volte a settimana se si svolge anche un’ altra attività). L’ elemento caratteristico che rende l’ HIIT differente da altre forme di training intervallato è che gli intervalli ad alta intensità avvengono con il massimo sforzo e non semplicemente ad una frequenza cardiaca elevata. Le fasi di recupero (ad intensità bassa o moderata) sfruttano maggiormente un metabolismo aerobico (ossidativo) prevalentemente orientato al consumo lipidico, mentre nelle fasi di picco (alta intensità) avviene uno shift verso un metabolismo anaerobico che sfrutta soprattutto i carboidrati. Esistono differenti approcci all’ HIIT, ognuno dei quali coinvolge un numero differente di intervalli, un differente livello di intensità in corrispondenza dei picchi, una variabile lunghezza di tempo per ogni intervallo, con una elevata variabilità di frequenza consigliata di sedute settimanali. Come sempre, la moderazione è chiave per il successo a lungo termine. Dunque, sfida te stesso, ma non stenderti al tappeto da solo. Se portato avanti con costanza, l’ HIIT è in grado di determinare significativi cambiamenti a livello fisico e metabolico… fanne buon uso!

 

Corsa di lunga durata o HIIT?

L’ 1 marzo del 2009 veniva pubblicato ad opera degli antropologi Daniel Lieberman e Campbell Rolian un articolo dal titolo “Walking, running, and the evolution of the short toes in humans” sul Journal of Experimental Biology. Questo lavoro evidenziava che l’ incremento della lunghezza delle dita del piede riscontrato nei nostri antenati ominidi aumentava del 20% il lavoro meccanico durante la corsa mentre non aveva alcun effetto nel cammino normale, suggerendo che le proporzioni moderne dell’ avampiede umano, con dita corte e sottili, potrebbero essere state selezionate in un contesto evolutivo atto a favorire la corsa su lunghe distanze. Un gruppo di scienziati iniziò a credere che “ultramaratoneti” quali Ann Trason e Matt Carpenter in realtà non farebbero altro che specializzare i loro corpi in una modalità affine a quella già utilizzata dai nostri antenati. Nacque così la “Endurance Running Hypotesis” secondo cui la capacità di correre su lunghe distanze, spaziali e temporali, non sarebbe altro che un tratto evolutivo correlato alla necessità di ricerca del cibo, arrivando addirittura ad ipotizzare che possa essere stato l’elemento chiave a spingere l’ evoluzione del genere Australopithecus verso l’ Homo Erectus. I nostri predecessori ominidi del genere Australopithecus, di cui Lucy rappresenta l’ esemplare più noto, avevano infatti dita del piede significativamente più lunghe rispetto a quelle che caratterizzano l’ avampiede umano; cosi fu facile per Lieberman affermare che il momento di forza generato a livello delle articolazioni metatarso-falangee avrebbe causato seri problemi in termini di efficienza nella corsa, e che l’ attuale adattamento evolutivo sia la risposta alla necessità che i nostri antenati avevano di correre su lunghe distanze (Rolian et al – 2009).

Non siamo fatti per correre su lunghe distanze….

HIIT corsa e uomini delle caverne

In realtà il genere umano si è evoluto per muoversi lentamente, sviluppando anche discrete capacità di muoversi molto rapidamente per brevi tratti, e NON per correre su lunghe distanze. E, ad essere realistici, credere che la selezione naturale abbia portato a ciò che siamo con lo scopo di poter affrontare la Western State Endurance Run, o la 100km del Passatore, suona abbastanza ridicola. La “Endurance Running Hypotesis” non ha alcun senso, sia ad un livello evoluzionistico, che ad un livello logico. Ammettiamo pure per un attimo che i nostri predecessori, perfettamente adattati sulla sintesi di ATP a partire dai grassi e sui sistemi Fosfocreatina-Adenosintrifosfato e Anaerobico Lattacido, ad un certo punto abbiano voluto prediligere la degradazione aerobica dei glucidi iniziando ad ingurgitare grandi quantità di carboidrati così da poter correre aggressivamente su lunghe distanze. Se ciò avveniva per cacciare, nella migliore delle ipotesi, catturando la preda, essi avrebbero avuto a disposizione solo proteine e grassi per rimpiazzare le scorte di glicogeno spese, mentre nella peggiore delle ipotesi avrebbero fallito la cattura dell’animale e il loro esausto sederino depleto di glicogeno sarebbe diventato il pranzo o la cena di qualche bestia affamata.

Perché non stiamo sfruttando al meglio i nostri sistemi energetici?

Evoluzione uomo

C’è ancora una cosa da sottolineare: gli stessi sistemi energetici che hanno consentito l’ evoluzione dei nostri predecessori 40.000 anni fa (fossero essi cacciatori o raccoglitori di bacche e radici) sono in grado di funzionare perfettamente anche ai giorni nostri. Se non fosse che siamo diventati bravissimi ad aggirarli con alcune infauste scelte di vita (alimentari e non). Il sistema anaerobico e la degradazione degli acidi grassi erano le due sorgenti energetiche primarie per gli spostamenti: su di esse i nostri progenitori impararono a muoversi lentamente e costantemente, o ad effettuare rapidi movimenti nell’ ambito di una Fight or Flight Response (risposta di fuga o combattimento). E attraverso questi due sistemi energetici diventarono sempre più forti e più sani. Ma nonostante NON ci siamo evoluti facendo affidamento su un sistema energetico basato quasi esclusivamente sui carboidrati, nella nostra epoca i carboidrati sembrano svolgere un ruolo fondamentale. E, se è vero che essi giocano un ruolo primario nella produzione di energia nel muscolo scheletrico, non possiamo ignorare che il miocardio e lo stesso muscolo scheletrico preferiscono gli acidi grassi quale carburante, rispetto al glucosio.

Carboidrati e uomo moderno

La disperata ricerca della salute e della forma fisica attraverso un prolungato, continuativo e instancabile training aerobico (vedi dimagrire correndo) richiede la continua assunzione di carboidrati, tali da provocare un aumento dei livelli plasmatici di insulina, un incremento del danno ossidativo (stimato di un fattore pari a 10-20 volte il normale), e alti livelli di cortisolemia (Bloomer RJ et al, 2006 – Budde et al, 2015), determinando un aumento della suscettibilità alle infezioni, ai traumi, alla perdita di massa ossea e muscolare, e favorendo la deposizione di tessuto adiposo. Tutto ciò è un po’ diverso dai sani propositi per i quali avevamo iniziato estenuanti sedute di cardio!

In considerazione delle attività svolte dai nostri antenati, sulla base delle quali si sono strutturati nel DNA i sistemi energetici che ne hanno consentito la sopravvivenza e l’evoluzione, l’ ideale sarebbe dunque disegnare un piano di allenamento caratterizzato da attività aerobica a basso-medio impatto (come camminare a passo sostenuto) intervallata da “picchi di intensità elevata” (“sprints”, o qualunque altra attività purchè effettuata ad alta intensità) della durata di 20-30-40 secondi.

NOTE SULL’ AUTORE

Dott Davide Marchese

Nato a Catanzaro nel 1977. Specialista in Medicina Fisica e Riabilitazione.

Appassionato di Functional Training, HIIT, Yoga, meditazione, EFT.

Email: davide.marchese@live.com

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Carboidrati complessi: cosa sono e quali sono

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Carboidrati complessi quali sono

Cosa sono i carboidrati complessi?

I carboidrati complessi sono tutti quei glucidi formati da più molecole di zuccheri. Tutti i carboidrati sono costituiti da zuccheri semplici (monosaccaridi), quando questi si impacchettano in polimeri diventano carboidrati complessi (polisaccaridi) come l’amido, la cellulosa o il glicogeno.

Normalmente lo zucchero semplice utilizzato per la formazione di glucidi composti è il glucosio (omopolisaccaridi). A seconda della struttura che prende può essere più o meno digeribile dall’uomo. La fibra alimentare è un carboidrato composto indigeribile, mentre l’amido (dopo la cottura) è invece scomponibile dai nostri enzimi digestivi.

Quali sono i carboidrati complessi?

I carboidrati complessi si dividono a seconda della loro origine. Nel regno animale troviamo solo il glicogeno, mentre tra i vegetali troviamo l’amido, cellulosa, inulina, chitina, emicellulosa, pectina, ecc. Il glicogeno e l’amido hanno una funzione energetica, mentre gli altri glucidi hanno una funzione strutturale nel regno vegetale.

Come si formano i carboidrati complessi?

I carboidrati complessi si formano attraverso la polimerizzazione dei monosaccaridi che vengono impacchettati in catena lunghe da 10 monosaccaridi fino a migliaia.
In questo processo lo zucchero perde parte del suo potere osmotico. Questo è il motivo per cui noi accumuliamo zuccheri sotto forma di glicogeno e non glucosio, altrimenti dovremmo accumulare troppa acqua danneggiando le stesse cellule (muscolari ed epatiche).

A cosa servono i carboidrati complessi?

I polisaccaridi hanno una funzione energetica per l’essere umano, che gli sfrutta sia per ricavare energie, un grammo di amido ha 4,2kcal (non 4kcal/g), sia per immagazzinarla come riserva energetica sotto forma di glicogeno. Nel regno vegetale invece hanno anche una funzione strutturale, fornendo assieme alle proteine, il sostegno meccanico alla pianta.

Quali alimenti contengono i carboidrati complessi? Dove trovarli?

Carboidrati complessi

I carboidrati complessi nell’alimentazione sono contenuti nei cereali, nei tuberi nei legumi. Sono queste le tre categorie d’alimenti che contengono principalmente i polissaccaridi. Troviamo ovviamente delle eccezioni come l’amido contenuto nella banana.
Il glicogeno contenuto nei muscoli degli animali che mangiamo non è più presente, perchè dopo la morte il metabolismo anaerobico delle cellule lo trasforma in acido lattico.

I carboidrati complessi fanno male?

I carboidrati composti non fanno male, ma non bisogna eccedere oltre al proprio fabbisogno. I cereali essendo alimenti calorici, devono essere ponderati nella giusta quantità nella nostra alimentazione. Le linee guida considerano un’alimentazione sana e salutare quella che si basa principalmente su cereali interi, legumi, frutta, verdura e che apporta dal 40% al 60% delle calorie giornaliere introdotte.

Ovviamente se esageriamo coi carboidrati (anche se complessi) introduciamo troppe energie nel nostro organismo e questo, soprattutto nel cronico non fa bene.
Oggi sempre più spesso si legge di carboidrati insulinogenici ad intendere che dopo l’ingestione di questi alimenti l’insulina si alza eccessivamente. Questo per fortuna non implica, su soggetti sani, nessun problema. L’insulina alzandosi abbassa fisiologicamente la glicemia.

È un eccesso calorico a portare facilmente l’iperglicemia basale, non l’introduzione di carboidrati complessi nelle giuste quantità.

Carboidrati complessi a lento assorbimento

L’amido è generalmente indigesto quando non è stato cotto (amido resistente), l’alta temperatura (55-60°) gelatinizza i polimeri rendendoli commestibili (altrimenti l’amido si comporta come una fibra alimentare). È formato principalmente da due diversi tipi di polimeri. L’amilosio più difficile da digerire ed assimilare e l’amilopectina che al contrario ha un più rapido assorbimento. A seconda della % d’amilosio o amilopectina, il corpo riesce a spezzare la catena d’amido ed ad introdurre più velocemente glucosio nel circolo portale.

Alimento Amilosio Amilopectina
Frumento 28% 72%
Patata 21% 79%
Riso bianco 17% 83%

Anche la quantità di proteine, grassi e fibre contenute nell’alimento incide sulla velocità con cui vengono assimilati gli zuccheri.

I carboidrati complessi sono utili per dimagrire?

I carboidrati complessi possono essere utili ad un regime alimentare a patto che si scelgano legumi e cereali integrali (cotti al dente). Al contrario di quello che si pensa non è tanto la pasta a far ingrassare, in quanto anche se ha un alto contenuto energetico, da cotta si idrata aumentando di 2,5 volte il suo peso, ma spesso è il condimento che si usa. Una pasta con zucchine ha 432kcal per porzione al contrario al ragù 615kcal per porzione.

Tanti alimenti considerati troppo calorici non lo sono per via dei carboidrati complessi, ma per il condimento utilizzato, come nel caso della pizza.

Anche in una dieta dimagrante, i carboidrati complessi trovano assolutamente un loro posto, soprattutto se la persona è attiva e si allena.

Infine più la persona è insulino resistente e meno sentirà la sazietà per via dall’alzarsi dell’insulina (che è un ormone anoresizzante), in questi casi oltre ad una dieta ipocalorica può convenire valutare quanti carboidrati assumere in rapporto ai grassi e proteine. Questo per modulare il senso di sazietà post pasto.

Quali sono i carboidrati complessi a basso indice glicemico?

In questo articolo sull’indice glicemico abbiamo spiegato tutte le ragioni per cui pensare che la qualità di un alimento sia dovuto a questo fattore è fuorviante. In ogni caso i carboidrati complessi a basso indice glicemico sono quelli con più amilosio e meno amilopectina:

Alimento Indice

glicemico

Avena 40
Grano saraceno 40
Kamut 40
Pane integrale 40
Fagioli 35
Amaranto 35
Farina di ceci 35
Semi di lino 35
Quinoa 35
Ceci in scatola 35
Ceci 30

Va ricordato che non solo è più importante il carico glicemico, ma che soprattutto è il quantitativo glucidico a contare e non l’indice glicemico. Questo perchè i danni dell’iperglicemia non sono dati da fattori acuti, come il picco glicemico, ma cronici (iperglicemia basale).

Carboidrati complessi a colazione: ne vale la pena?

Carboidrati complessi ed indice glicemico

Un buon momento per introdurre i carboidrati interi durante la giornata è la prima colazione. L’importante è far attenzione che i cereali per la colazione non contengano troppi zuccheri o grassi. Molto spesso si legge sulla confezione “Fitnesss”, ma se andiamo a vedere i valori nutrizionali ci rendiamo conto che sono alimenti ipercalorici, troppo ricchi di zuccheri aggiunti e/o grassi.

L’avena o delle fette biscottate integrali sono ottimi glucidi complessi da introdurre a colazione. Al contrario i biscotti o i dolci sono alimenti che saziano meno e che contengono più calorie.
Al mattino anche la frutta e la frutta secca sono alimenti che possono andare benissimo (e non dimentichiamoci della colazione proteica).

Quali verdure contengono carboidrati complessi?

Soltanto cereali e legumi contengono polisaccaridi, le verdure e la frutta sono costituite da monosaccaridi e disaccaridi (zuccheri semplici). Questo ovviamente non vuol dire che la verdura non faccia bene, anzi è ricca di fibre, vitamine e minerali.

L’OMS consiglia di limitare gli zuccheri semplici (massimo 10% delle calorie giornaliere) ma non quelle derivanti da frutta e verdura (quindi principalmente si riferisce agli zuccheri aggiunti).

Quali sono i carboidrati complessi senza glutine?

I legumi sono carboidrati complessi senza glutine. Nei cereali invece troviamo quelli con e senza:

Cereali col glutine Cereali senza glutine
Frumento (grano) Amaranto
Farro Grano saraceno
Orzo Mais
Spelta Miglio
Kamut Riso
Segale
Tricale
Avena

Anche se si legge spesso che il glutine faccia male, in realtà è stato scagionato dalla scienza. La sensibilità al glutine non è in realtà causata da questa proteina ma o dalle altre proteine dei cereali (oltre al glutine i cereali ne contengono mediamente altre 11) o da particolari zuccheri chiamati fruttani.

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Carboidrati semplici: cosa sono e quali sono

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Quali sono i carboidrati semplici?

Spesso c’è confusione tra carboidrati e zuccheri. In realtà sono la stessa cosa perchè tutti i carboidrati sono formati da zuccheri. Nello specifico si intende con carboidrati semplici o zuccheri semplici i monosaccaridi, ovvero le molecole glucidiche più piccole che troviamo in natura e che formano, unendosi, i carboidrati complessi (polisaccaridi).

I monosaccaridi comprendono (tra gli zuccheri più comuni) il:

I disaccaridi invece comprendono il:

  • saccarosio (glucosio+fruttosio)
  • destrosio e maltosio (glucosio+glucosio)
  • lattosio (glucosio+galattosio)

Carboidrati semplici formula chimica

Troviamo poi altri glucidi semplici meno presenti nella nostra alimentazione ed in natura (esistono oltre 200 zuccheri differenti). Il loro potere calorico è in generale 3,75kcal/g, leggermente inferiore alla media dei carboidrati che è intorno alle 4kcal/g. Il corpo impiega il 5% delle calorie degli zuccheri per digerirle ed assimilarle.

Una dieta sana e bilanciata non dovrebbe comprendere più del 5-10% delle calorie provenienti dagli zuccheri semplici aggiunti (25-50g).

Carboidrati semplici: in quali alimenti si trovano? Dove si trovano?

Gli alimenti in natura che comprendono i carboidrati semplici sono la frutta, la verdura ed il miele. La barbabietola rossa e la canna da zucchero sono tra i vegetali più ricchi di zuccheri, ma in generale tutti i frutti hanno saccarosio e monosaccaridi(glucosio e fruttosio). A livello industriale invece tantissimi prodotti hanno zuccheri semplici aggiunti: bevande zuccherate, merendine, dolci, torte, prodotti da forno, ecc.

Dal mais si ricava lo sciroppo di mais e di fruttosio, un carboidrato semplice molto utilizzato dall’industria alimentare, grazie al suo potere dolcificante doppio rispetto al glucosio.

Anche i cereali contengono piccole quantità di carboidrati semplici i fruttani (disaccaridi formati da due molecole di fruttosio). Questi zuccheri possono dare problemi intestinali nei soggetti sensibili ed in problematiche come il colon irritabile.

Ricordiamoci che non è tanto lo zucchero semplice a fare male ma in che alimento si trova. È impossibile esagerare con gli zuccheri mangiando solo frutta e verdura (viene prima mal di pancia) e questi alimenti sono ricchi di vitamine, minerali, fibre alimentari ed acqua. Al contrario nei prodotti industriali si esagera facilmente senza rendersene conto.

Carboidrati semplici ad alto indice glicemico.

zuccheri semplici ad alto indice glicemico

Mentre il glucosio ha un indice glicemico di 100, il fruttosio ce l’ha basso, intorno a 23 (questo perchè non stimola l’insulina e si ferma al fegato). Pertanto non tutti gli zuccheri semplici hanno un indice glicemico alto, il saccarosio (lo zucchero da cucina) ha un IG di 70 (quasi la media tra il glucosio e fruttosio), il miele ha 61.

Tra i carboidrati semplici a più alto indice glicemico troviamo:

Alimento Indice glicemico Carico glicemico
Maltosio 109 60
Datteri secchi 103 43
Glucosio 100 58
Maltodestrine 100 58
Carote  80 8
Zucca  75 3
Anguria  72 3
Saccarosio  70 52
Melone  65 5
Barbabietola  64 4
Banane  62 13
Miele  61 48
Ananas  59 6
Uva  59 9

Nella tabella abbiamo messo anche il carico glicemico. Questo per mostrare che quando frutta e verdure hanno un alto indice glicemico, il carico glicemico rimane basso. Questo perchè il quantitativo di zuccheri presente nell’alimento è basso.

Il carico glicemico a differenza dell’indice non tiene conto solo del tipo di zucchero ma anche della sua quantità in un alimento. È così sempre il rapporto tra quantità e qualità degli zuccheri ad influire sulla glicemia (troppo spesso ci scordiamo della quantità, quando è il fattore più rilevante)-

I carboidrati semplici fanno ingrassare? Fanno male?

I carboidrati semplici sono correlati ad obesità ed iperglicemia, non tanto perchè a parità di calorie portino di più a queste problematiche, ma perchè è molto più facile eccedere e non accorgersi del quantitativo ingerito.  Una lattina di Coca Cola da 33cl, contiene 35g di zucchero. La persona non si accorge delle calorie e zuccheri ingeriti. Al pari i biscotti, dolci, merendine ecc.

Per questo nelle linee guida si consiglia di limitare i carboidrati semplici ma non la frutta e verdura. Non sono tanto gli zuccheri semplici a portare infiammazione nel nostro corpo ma l’iperglicemia, le due cose sono correlate perchè spesso chi esagera con gli zuccheri, assume troppi glucidi e troppe calorie, portando la glicemia ad alzarsi.

Ricordiamoci sempre che il sovrappeso non è mai dato dai singoli alimenti ma dal bilancio calorico, se è in eccesso ingrasseremo, se è in deficit dimagriremo. Possiamo ingrassare mangiando solo carboidrati complessi come possiamo dimagrire mangiando solo carboidrati semplici. Il problema è che se a livello teorico questo è possibile, poi nel pratico è molto più semplice fare il contrario.

zucchero coca cola

Carboidrati semplici nel pre workout e nel post workout?

L’utilizzo dello zucchero con l’allenamento è un ottimo integratore energetico economico. Contrariamente a quanto si crede l’ingestione di carboidrati semplici preworkout non porta ad ipoglicemia reattiva. Durante l’allenamento l’ingresso del glucosio nelle cellule muscolari è mediato da processi insulinoindipendenti.

La glicemia durante l’attività fisica sale anche senza l’ingestione di carboidrati. Questo perchè gli ormoni controinsulinari (cortisolo, adrenalina, noradrenalina, GH) si alzano per aiutare le cellule a sfruttare al meglio i glucidi come fonte energetica. L’ingestione di zuccheri non alza ulteriormente la glicemia o non la abbassa in maniera riflessa.

Post workout l’ingestione di carboidrati semplici aiuta a recuperare prima le scorte di glicogeno. Tuttavia a parità di carboidrati ingeriti nelle 20h post allenamento, non ci sono differenze nelle riserve di glicogeno avendo ingerito carboidrati semplici o complessi (ad alto o basso indice glicemico).

Carboidrati semplici a rapido assorbimento

Il saccarosio a differenza di altri monosaccaridi, entra prima in circolo, questo perchè il glucosio è mediato da recettori che fanno entrare nel nostro corpo 1g/kg/h. Il fruttosio utilizza altri recettori permettendo così un ingresso più rapido nel circolo portale (il flusso sanguigno che collega l’intestino al fegato).

L’ingestione di carboidrati disciolti nell’acqua velocizza l’ingrasso rispetto a l’ingestione di cibi solidi. La velocità dei glucidi è rallentata ulteriormente se si assumono anche proteine, grassi o fibre nel pasto (unica eccezione riguarda alcune proteine in polvere, vedi quali sono le migliori).

I carboidrati semplici in forma liquida possono essere dalle bevande zuccherate (Coca Cola, Fanta, Sprite, Monster, Red Bull, ecc.), ai succhi di frutta, The, agli integratori (Vitargo, maltodestrine, destrosio, ecc.).

Quanti carboidrati semplici al giorno assumere?

L’OMS consiglia al massimo il 5-10% delle calorie da zuccheri semplici (siamo intorno ai 25-50g al giorno). Come abbiamo già detto queste non comprendono quelle proveniente da frutta e verdura. Il miele o altri dolcificanti naturali, sono considerati zuccheri semplici e non perchè naturali vanno considerati differentemente rispetto allo zucchero da cucina. Nello stesso modo lo zucchero di canna ha gli stessi effetti metabolici dello zucchero bianco.

Senza cadere nell’ortoressia, la persona dovrebbe limitare gli alimenti con carboidrati semplici aggiunti, basando la sua alimentazione principalmente su frutta e verdura, carboidrati complessi come cereali integrali e legumi, infine non escludere uova, carni bianche, magre ed il pesce.

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L’indice Glicemico: cos’è

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indice glicemico alimenti

Cos’è l’indice glicemico?

L’indice glicemico è un parametro che indica come varai la nostra glicemia assumendo 50g degli zuccheri di un determinato alimento. Attenzione perchè parliamo di 50g dei soli zuccheri ma non dell’alimento intero. Per comprendere meglio la questione, che è spesso fuorviante, facciamo un esempio: la carota cotta ha un indice glicemico alto ma al suo interno ha pochi carboidrati, così come l’albicocca, bisogna quindi mangiarne alti quantitativi per raggiungere 50g.

L’indice glicemico guarda alla qualità degli zuccheri, ne prende 50g e vede il rapporto con cui si altera, nelle 2h successive, la glicemia. Tutto questo avviene in laboratorio, non mangiando normalmente a tavola dove abbiamo sempre un mix di alimenti. Fibre, grassi, proteine, l’acqua, la cottura, ecc. possono variare sensibilmente la velocità con cui assorbiamo, nel tratto digerente, i carboidrati.

L’indice glicemico è così un parametro del tutto artificiale, impossibile da calcolare in un reale pasto della vita quotidiana.

Come funziona l’indice glicemico? Perché aggiornarlo col carico glicemico.

L’IG valuta la variazione della glicemia nelle 2h successive all’assunzione di 50g di carboidrati contenuti in un alimento. Valutare questo parametro è semplice se ingeriamo zuccheri semplici (glucosio, fruttosio, saccarosio), ma diventa impossibile con alimenti interi. In questo caso bisogna dividere gli zuccheri dal resto dei componenti che costituiscono il cibo. Per esempio nella pasta dobbiamo dividere l’amido dal glutine, proteine, grassi.

L’IG non è così un valore applicabile alla realtà quotidiana per questo motivo è stato introdotto il carico glicemico, che tiene conto sia del tipo di zucchero ma anche del quantitativo. La patata ha in indice glicemico più alto della pasta, ma un carico glicemico inferiore perchè è formata principalmente da acqua (ha 19g di carboidrati su 100g), mentre la pasta è costituita per la maggior parte da amido (ha 75g di carboidrati su 100g) .

Vediamo così la definizione di questi valori:

  • Indice glicemico= 50g degli zuccheri di un alimento come variano la glicemia nelle 2h seguenti
  • Carico glicemico= (IG x i carboidrati contenuti nell’alimento)/100

I due dati danno così; il primo un’indicazione solamente qualitativa degli zuccheri presenti, il secondo un insieme tra qualità e quantità. Per i diabetici (sia che si diabete I o II) è da tenere in considerazione il valore del carico e non l’indice di un alimento.

Come misura e calcola l’indice glicemico?

L’IG si misura prendendo la media della glicemia dopo l’ingestione di 50g di zucchero di un alimento. A questa si compara come varia la glicemia ingerendo 50g di glucosio. La differenza tra le due variazioni indica l’indice glicemico:

Indice glicemico= (area alimento / area glucosio)x100

Come si calcola l'indice glicemico

Indice glicemico alimenti

Infine vediamo attraverso alcune tabelle l’indice glicemico degli alimenti e se realmente sono predittive che quel cibo farà ingrassare o dimagrire, se ha realmente senso impostare un piano alimentare in base a questo parametro.

Quali alimenti hanno un alto indice glicemico

Alimento Indice

glicemico

Sciroppo di glucosio 100
Patate fritte 95
Patate al forno 95
Farina di riso 95
Fecola di patate 95
Carote cotte 85
Latte di riso 85
Farina bianca 85
Riso soffiato 85
Gallette di riso 85
Pane Bianco 85
Pop Corn 85
Zucca 75
Anguria/melone 75
Zucchero 70
Tagliatelle 70
Fette biscottate 70
Riso bianco 70

Tra gli alimenti ad alto indice glicemico sicuramente saltano all’occhio: sciroppo di glucosio, patate fritte, patate al forno, farina di riso, carote cotte e farina bianca.

Ma veramente una carota cotta può essere accumunata agli altri alimenti? La carota cotta ha mediamente 35kcal e 8g di carboidrati (indice glicemico 85), la farina bianca ha più di 10 volte le calorie ed ha 68g di carboidrati (indice glicemico 85). Metabolicamente stiamo parlando di due alimenti opposti. Le patate fritte o al forno possono essere considerate uguali?
Provate!

Quali alimenti hanno un medio indice glicemico

Alimento Indice

glicemico

Succo di mela 50
Bulgur 50
Cachi/Kiwi 50
Ananas 50
Muesli 50
Patate dolci 50
Farina di farro 45
Farro 45
Riso basmati 45
Segale 45
Succo di arancia 45
Succo di pompelmo 45
Pane integrale 40
Avena 40
Kamut 40
Grano saraceno 40
Thain 40
Prugne secche 40

Già in questa tabella troviamo l’indice glicemico della frutta. Abbiamo poi altri alimenti come la farina di farro, pane integrale, avena e tanti altri cereali. Ancora una volta ha senso paragonare cereali con frutti? Succo di mela (IG 50) con le patate dolci (IG 50), pasta integrale (IG 40), chi fa ingrassare di più?

Quali alimenti hanno un basso indice glicemico

Alimento Indice

glicemico

Arancia 35
Fagioli 35
Amaranto 35
Farina di ceci 35
Semi di lino 35
Pesche 35
Piselli 35
Prugne 35
Quinoa 35
Arancia 35
Salsa di pomodoro 35
Albicocche 30
Carote crude 30
Ceci 30
Latte di soia 30
Fruttosio 20
Cacao in polvere 20
Noci/ Nocciole 15
Sciroppo di agave 15

Troviamo in questa tabella quali sono gli alimenti a basso indice glicemico e diversi altri alimenti come: arancia, amaranto, farina di ceci, quinoa, carote crude, cacao in polvere, tofu.

Ancora una volta alimenti metabolicamente differenti come la quinoa (IG 35), salsa di pomodoro (IG 35), albicocche (IG 30) vengono inseriti nella stessa tabella.
I carboidrati a basso indice glicemico sono quelli contenenti più amilosio, un particolare tipo di amido resistente all’azione degli enzimi digestivi, rispetto amilopectina (l’altro componente dell’amido dei cereali). Infine farà ingrassare di più il fruttosio o la carota cotta (vista tra gli alimenti a più alto indice glicemico)?

Carico glicemico alcune indicazioni

indice glicemico che cos'è

Abbiamo visto all’inizio dell’articolo che il carico glicemico tiene conto della quantità degli zuccheri e non solo della qualità. È un indice leggermente più interessante perchè di solito la quantità ci dice quante energie ha un cibo. Più ha calorie e più dobbiamo stare attenti a non eccedere. In ogni caso anche questo dato può risultare molto fuorviante, quindi basarsi solo su questo è comunque sbagliato.

Tabella alimenti e carico glicemico

Alimento Carico glicemico
Riso Brillato 55
Pasta Raffinata 33
Biscotti Secchi 19
Pane 4 cereali 15
Banana 14
Kiwi 9
Carote cotte 5,7
Mele 5,7
Legumi 2,5
Lamponi 2,4
Pomodoro 2,1
Latte 1,8
Formaggi 0,1
Pesce e carne 0
Olio 0
Uovo 0

Dieta dell’indice glicemico: cos’è?

Negli anni passati sono nate moltissime diete dell’indice glicemico, tra le più famose abbiamo quella di Montignac, la Dieta a Zona, Dieta Dukan, ecc. Alla base di questi stili alimentari c’è l’ipotesi sull’insulina. Ovvero che a far ingrassare non siano tanto le calorie ma l’innalzamento dell’insulina. Questa ipotesi si è rivelata vera nella pratica alimentare ma falsa nella teoria biochimica e fisiologica.

Le diete a basso indice glicemico funzionano perchè limitano l’assunzione di cibo, evitando alimenti molto frequenti a tavola (pasta, riso, pane, patate, ecc.). Questo porta la persona ad autoregolarsi mangiando inconsapevolmente meno. La ricerca con studi sotto controllo ha dimostrato che non solo gli alimenti ad alto indice glicemico non fanno ingrassare di più, ma che anche diete con meno carboidrati e più grassi non apportano vantaggi nella perdita di peso.

La conclusione è che, purtroppo, conta il bilancio energetico, pensare di poter mangiare più calorie non alzando l’insulina per non ingrassare è sbagliato, questo perchè i grassi si possono depositare nel tessuto adiposo anche senza l’azione dell’insulina. Gli alimenti ad alto indice glicemico non fanno ingrassare di più di quelli a basso IG a parità di calorie. La dieta dell’indice glicemico non è più efficace metabolicamente ma può dare un controllo alimentare alla persona che la segue.

Cosa mangiare quando si ha la glicemia alta?

Persone con l’iperglicemia, con ridotta tolleranza al glucosio o diabetiche, devono fare attenzione a quello che mangiano. Nelle linee guida troviamo come primo consiglio quello di moderare l’alimentazione seguendo un regime ipocalorico. La persona con la glicemia alta non deve guardare all’indice glicemico ma al massimo al carico glicemico, non esagerando ne con le calorie ne coi carboidrati durante un pasto.

Più la persona è grassa e più mediamente ha una ridotta tolleranza al glucosio, più dimagrisce e più migliora la sensibilità insulinica. Nel caso d’iperglicemia dovremo prediligere legumi, frutta, verdura e cereali integrali (cotti al dente).

Perchè l’indice glicemico o il carico glicemico non fanno ingrassare?

L’errore di fondo è credere che quando si alza la glicemia gli zuccheri in eccesso si trasformino in grasso e che questa sia la ragione per cui accumuliamo peso. Purtroppo o per fortuna non è così.

  1. Noi accumuliamo grasso o dimagriamo nel cronico (settimane e mesi), variazioni giornaliere sono date dall’acqua non dai lipidi
  2. Un eccesso di zuccheri, nei soggetti sani attiva i mitocondri che gli bruceranno e trasformeranno in calore, mediamente solo il 10% degli zuccheri in eccesso si trasforma realmente in grasso.
  3. Anche se la glicemia si alza e lo zucchero diventa grasso, è il bilancio energetico totale della giornata a decretare se siamo ingrassati o dimagriti.

L’indice glicemico non è rilevante perchè una caloria è una caloria. Poi possiamo dire che ci siano cibi salutari ed insalubri, che le proteine abbiano un effetto migliore sulla composizione corporea rispetto ai grassi e carboidrati, ecc. Tuttavia di base c’è sempre l’equilibrio energetico.

Classificazione metabolica degli alimenti

Gli alimenti a livello organico e metabolico andrebbero classificati in ordine di:

  • Calorie (per quanto alcune persone pensano che questo dato sia superato, in realtà la scienza l’ha sempre supportato, al contrario le diete ed i loro autori l’hanno sempre demonizzato per trovare uno spazio commerciale).
  • Macronutrienti (più che l’indice glicemico, conta il rapporto tra carboidrati-proteine-grassi).
  • Fibre ed antinutrienti (due fattori chiave per l’equilibrio del micriobiota e per il senso di sazietà).
  • Micronutrienti (essenziali per la salute ed i processi biochimici).
  • Stile di vita (a seconda di che attività facciamo la risposta di un alimento può cambiare, l’assorbimento, da parte dei muscoli, dei carboidrati è più rapido se ci siamo allenati, pertanto alla domanda quando mangiare alimenti ad alto indice glicemico? La risposta dovrebbe essere dopo l’allenamento).

Questi sono i fattori rilevanti per decretare se un alimento è buono oppure no, in questo contesto l’indice glicemico basso o alto è irrilevante. Se uno volesse sapere come abbassare l’indice glicemico dovrebbe concentrarsi su:

  1. cuocere il meno possibile l’alimento
  2. mangiarlo tiepido o freddo
  3. aggiungere fibre e grassi al piatto

Indice glicemico: conclusioni

Fermarsi all’indice glicemico vuol dire credere che siano i carboidrati e l’insulina a far ingrassare. Ormai da diversi anni si è capito che non esistono macronutrienti buoni o cattivi e che l’insulina non è l’ormone chiave per ingrassare o dimagrire. Se usciamo dalla fisiologia e andiamo verso l’insulino resistenza o il diabete di tipo 2, allora la normale fisiologia si altera e l’insulinemia costantemente elevata, danneggia la nostra capacità di perdere peso.

In ogni modo è importate ricordare che se c’è un controllo calorico i carboidrati migliorano l’affinità del corpo col glucosio non lo peggiorano. Ricordatevolo la prossima volta che vedete un amico o amica mangiare carboidrati e rimanere magro ed in forma.

Non esistono colpevoli se non quello che vedete allo specchio.

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Alimenti a basso indice glicemico: quali sono?

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Alimenti a basso indice glicemico

Che cosa significa basso indice glicemico?

In questo articolo vedremo quali sono gli alimenti a basso indice glicemico. Tuttavia prima cercheremo di capire cosa vuol dire per un alimento avere un basso indice glicemico e se questo ha una relazione col dimagrimento e la nostra salute.

L’indice glicemico (IG) è un parametro della “qualità” degli zuccheri contenuti in un alimento non della quantità. Si prende un determinato alimento, si guarda che zuccheri (carboidrati) contiene e si vede come varia la nostra glicemia assumendo 50g di quegli zuccheri. Attenzione perchè tutto questo avviene in vitro, non stiamo mangiando l’alimento ma abbiamo preso artificialmente 50g di quegli zuccheri e gli abbiamo mangiati da soli. Le carote o la zucca cotte hanno un alto indice glicemico, ma contengono al loro interno pochi carboidrati. Le patate hanno un IG ben più alto della pasta ma sono molto meno caloriche (ed infatti le patate non fanno ingrassare)

Insomma l’IG non è predittivo se un alimento farà ingrassare oppure no e neanche sulla nostra salute, per esempio il fruttosio ha un IG basso (20) ma fa molto più male del glucosio che ce l’ha a 100 (vedi l’articolo il fruttosio fa male?).

Un alimenti per essere definito a basso indice glicemico deve avere un valore inferiore a 50-40.

Quali sono gli alimenti a basso indice glicemico

Gli alimenti con un basso IG generalmente sono quelli che contengono fruttosio (molti frutti e verdura) ed un rapporto tra amilosio ed amilopectina (due tipi di amido) a favore del primo. L’amilosio è molto più difficile da digerire ed assimilare e richiede periodi più lunghi.

Alcuni alimenti a basso indice glicemico sono: prugna (IG 39), albicocche (IG 38), pere (38), yogurt intero (IG 36), piselli (IG 32), latte magro  (IG 32), fagioli (IG 29), mela (IG 28), lenticchie (IG 22), arachidi (IG 13)

Perché mangiare cibi a basso indice glicemico?

Esiste una  ragione,  salutista e per il dimagrimento, per preferire alimenti a basso indice glicemico. Di solito vengono scelti perchè apportando poche calorie (tranne che nel caso del fruttosio, sciroppo di fruttosio o di agave) e la persona raggiunge velocemente un buon senso di sazietà. C’è una correlazione, ma non sempre, tra basso contenuto energetico, fibre alimentari ed alimenti a basso indice glicemico.

Scegliendo questo tipo di alimenti la persona inconsapevolmente si indirizza verso un’alimentazione più sana, ricca di sostanze nutritive con pochi grassi e zuccheri aggiunti.

Precisato questi concetti vediamo una tabella di alimenti a basso indice glicemico.

Tabella alimenti a basso indice glicemico

Alimento Indice

glicemico

Alimento Indice

glicemico

Arancia 35 Salsa di pomodoro 35
Fagioli 35 Albicocche 30
Amaranto 35 Carote crude 30
Farina di ceci 35 Ceci 30
Semi di lino 35 Latte di soia 30
Pesche 35 Fruttosio 20
Piselli 35 Cacao in polvere 20
Fichi 35 Yogurt di soia 20
Mela cotogna 35 Avocado  15
Senape 35 Zucchine 15
Prugne 35 Noci/ Nocciole 15
Quinoa 35 Sciroppo di agave 15
Ceci in scatola 35 Anacardi 15

Come possiamo notare il basso indice glicemico di questi alimenti è dato principalmente da due fattori: il fruttosio presente nella frutta e verdura (vedi l’articolo con l’indice glicemico della frutta) e l’amido resistente che si comporta come una fibra alimentare e non fa alzare la glicemia. Questi due fattori sono i responsabili del basso indice glicemico di questi alimenti.

alimenti a basso indice glicemico per dimagrire

Come abbassare l’indice glicemico?

La conservazione, la cottura e la composizione di un alimento altera l’IG. Per abbassare l’indice glicemico di un cibo conviene cuocerlo al dente (nel caso dei cereali), mangiarlo acerbo (nel caso della frutta), o in generale mischiarlo con proteine, grassi e fibre alimentari. Questi tre elementi abbassano il picco glicemico di un pasto, portando ad abbassare la velocità con cui il glucosio entra nel circolo portale.

Va comunque ricordato che il passaggio del glucosio nel flusso sanguigno avviene ad una velocità massima di 1g/kg/h.

Esempio di dieta a basso indice glicemico

Ecco un esempio di dieta a basso indice glicemico, Montignac è stato uno dei fautori, assieme a Sears della Dieta a Zona, di un’alimentazione basata su un basso IG.

GIORNO A
Colazione: fiocchi d’avena, yogurt intero + ciliegie o una mela.
Pranzo: insalata, salmone o petto di pollo, zucchine o finocchi, formaggio (poco)
Merenda: pera o frutta secca
Cena: minestrone di verdure, ceci o fagioli, manzo magro o platessa, macedonia di frutta.

GIORNO B
Colazione: 3 fette biscottate integrali, formaggio magro o uova, more o una mela.
Pranzo: insalata, funghi o noci, pesce spada e melanzane, 2-3 pezzi di cioccolato fondente
Merenda: pesca o mandorle
Cena: zucchine o carciofi, lenticchie e totani,  yogurt greco.

GIORNO C (ricarica glucidica)
Colazione
: pancake o avena, yogurt intero o greco, frutti di bosco
Pranzo: insalata con pomodori e tonno, asparagi o peperoni, panna cotta
Merenda: frutta secca
Cena: riso integrale e gamberetti o spaghetti al tonno, uva, o kiwi.

Esempio di colazione a basso indice glicemico

Un esempio di colazione a basso indice glicemico è la colazione proteica. Qui di seguito mettiamo cosa si può mangiare al mattino:

Colazione giorno A: Uova (in tutte le salse), avena, proteine in polvere, frutti di bosco, frutta secca

Colazione giorno B: Yogurt intero, pancake, mela, pere.

Colazione giorno C: Fiocchi d’avena, yogurt greco, burro di arachidi, salmone affumicato, ciliegie

Dimagrire con alimenti a basso indice glicemico

La risposta è si e non perchè l’indice glicemico sia predittivo se un alimento fa ingrassare o dimagrire, è sempre il bilancio energetico a decretarlo, ma forse proprio per questo motivo possiamo vedere che gli alimenti a basso indice glicemico apportano generalmente poche calorie, sono ricchi d’acqua, di fibre (che contribuiscono al senso di sazietà) e di vitamine e minerali.

Se andiamo a vedere l’eccezione alla regola e gli alimenti a basso indice glicemico a cui dobbiamo fare attenzione, per non ingrassare, troviamo lo sciroppo d’agave e la frutta secca, guarda cosa due alimenti con un alto contenuto calorico. Insomma l’indice glicemico può essere un parametro utile per capire se un alimento farà dimagrire, ma in realtà sappiamo che è il contenuto energetico il vero fattore che determina cosa ci farà perdere peso o meno, quindi occhio che esistono alimenti ad alto indice glicemico che non fanno ingrassare (le carote o zucca, anguria,  per esempio) ed alimenti a basso indice glicemico a cui bisogna far attenzione.

Diabete e alimenti a basso indice glicemico

Per i diabetici l’IG non è in realtà un parametro molto attendibile ma conviene guardare al carico glicemico. In ogni caso generalmente gli alimenti a basso indice glicemico vanno bene per i diabetici, per le ragioni che abbiamo scritto sopra (alimenti ipocalorici, ricchi di fibre e di acqua). Nel diabetico è si importante la qualità degli zuccheri che introduce ma soprattutto la quantità.

Va ricordato che non c’è moltissima differenza nel carico glicemico tra gli alimenti integrali e quelli raffinati e che spesso la cottura incide molto sulla velocità dell’assorbimento dell’amido.  Il diabetico, assieme al suo medico, deve imparare a controllare la glicemia in relazione a quello che mangia, per potersi così autoregolare al meglio e gestire l’insulina e la glicemia.

Alimenti a basso indice glicemico per celiaci

I celiaci sono limitati nella scelta dei cereali e degli alimenti contaminati dal glutine, per quanto riguarda le scelte alimentari. Alimenti senza glutine ed alimenti a basso indice glicemico sono: fagioli, lenticchie, ceci, amaranto, quinoa, mela, pera, anardi, fichi, yogurt greco o intero, ecc. (vedi la tabella sopra).

Va ricordato che nell’alimentazione senza glutine non possono essere inseriti alimenti a basso IG come:

  • Birra da malto d’orzo e/o di frumento
  • Cibi infarinati coi cereali vietati (carne, pesce, verdura, ecc.)
  • Cioccolato con cereali
  • Crusca da cereali vietati
  • Farine e derivati etnici: bulgur, couscous (da cereali vietati), cracked grano, frik, greis, greunkern, seitan, tabulè
  • Farine, amidi, semole, semolini, creme e fiocchi da cereali vietati
  • Germe di grano
  • Latte ai cereali, ai biscotti
  • Lievito naturale o lievito madre o lievito acido
  • Malto da cereali vietati
  • Orzo solubile e prodotti analoghi
  • Polenta taragna (se la farina di grano saraceno è miscelata con farina di grano)
  • Seita
  • Yogurt al malto, ai cereali, ai biscotti

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Alimenti ad alto indice glicemico

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Alimenti alto indice glicemico

Alto indice glicemico: cosa significa?

L’indice glicemico (IG) indica quanto 50g di zuccheri contenuti in un alimento aumenta la glicemia nelle 2h successive alla sua ingestione. Un alto indice glicemico è riferito a tutti quegli alimenti con valori superiori a 69 (IG).

Attenzione che l’indice glicemico è un valore puramente teorico, perchè tiene in considerazione solo gli zuccheri dell’alimento in una porzione di 50g, non il reale contenuto di carboidrati.
Come vedremo un cibo sano potrebbe avere un alto IG (carote o zucca cotta). Un parametro molto più utile, ma ancora impreciso è il carico glicemico che tiene conto sia della qualità degli zuccheri che della quantità.

Quali sono gli alimenti ad alto indice glicemico?

Gli alimenti ad alto indice glicemico sono generalmente quelli che contengono molto glucosio (IG 1oo) e poco fruttosio (IG) o nel caso degli amidi, che hanno un rapporto tra amilosio ed amilopectina a favore del secondo (l’amilopectina è un polimero di glucosio molto più digeribile e velocemente assimilabile rispetto all’amilosio).

Gli alimenti ad alto IG più comuni sono:

Alimento Indice

glicemico

Sciroppo di glucosio 100
Patate fritte 95
Patate al forno 95
Farina di riso 95
Fecola di patate 95
Carote cotte 85
Latte di riso 85
Farina bianca 85
Riso soffiato 85
Gallette di riso 85
Pane Bianco 85
Pop Corn 85
Zucca 75
Anguria/melone 75
Zucchero 70
Tagliatelle 70
Fette biscottate 70
Riso bianco 70

Sono da evitare gli alimenti ad alto indice glicemico?

Gli alimenti ad alto IG non sono da evitare, questo perchè è una falsa credenza quella di credere che sia l’aumento della glicemica e dell’insulina a far ingrassare o a far male alla salute.

L’omeostasi lipidica è influenzata da fattori cronici e non acuti, è il bilancio calorico settimanale a decretare se dimagriremo o ingrasseremo. Nello stesso modo a far male alla salute è l’iperglicemia e l’iperinsulinemia cronica, non la risposta fisiologica dopo un pasto. Facilmente una persona diabetica, rispetto ad una sana, dopo un pasto glucidico non avrà nessun picco e questo comporterà che la glicemia rimarrà elevata per molte più ore del normale.

A valutare la qualità di un alimento dovrebbe essere il rapporto tra calorie, nutrienti ed il potere saziante. Frutta e verdura sono alimenti con molte sostanze nutritive e poche calorie, al contrario le patatine fritte, i dolci, junk food sono cibi ricchi di calorie ma poveri di nutrienti.

Mangiare cibi ad alto indice glicemico non comporta nessun effetto negativo per la perdita di peso o la salute, se il bilancio calorico è controllato e assumiamo tutte le sostanze nutritive di cui abbiamo bisogno. Non c’è motivo di evitare le patate, la zucca, anguria, carote, ecc, per via del loro IG

quali sono gli alimenti ad alto indice glicemico

Conclusioni sugli alimenti ad alto indice glicemico

In generale si tende a consigliare alimenti a basso indice glicemico e non ad alto perchè, mediamente hanno più fibre alimentari, vitamine, minerali e meno calorie. Tuttavia ci sono eccezioni come nel caso della frutta e verdura ad alto IG o del fruttosio o sciroppo di agave, che anche se hanno un basso IG sono ipercalorici e non hanno sostanze nutritive.

Anche il senso di sazietà non è dato dall’IG ma da altri fattori spesso più presenti negli alimenti a basso IG, come le fibre alimentari, le proteine e gli antinutrienti.

In generale è un errore basare la propria dieta sull’indice glicemico pensando che controllandolo e non guardando al bilancio energetico dimagriremo. La dieta Montignac o la dieta a Zona, portano a dimagrire perchè la persona assume meno energie, non perchè a parità d’introito calorico, mangiando alimenti a basso IG si dimagrisca di più.

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Cibi integrali

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Cosa si intende per cibi integrali

In cucina ed in alimentazione si intende per cibi integrali, alimenti provenienti dalle farine (prodotti da forno), dove è ancora presente la crusca. Generalmente con cibi integrali si intende i cereali integrali, ovvero tutte le piante della famiglia delle graminacee (frumento, riso, farro, orzo, avena, segale, mais) ma anche i falsi cereali (quinoa, amaranto, chia, grano saraceno).

In Italia la legislazione permette di etichettare tutti i prodotti contenenti anche la crusca come integrali. Spesso l’industria alimentare raffina tutte le farine e successivamente aggiunge la crusca precedentemente tolta. Il prodotto si trova così arricchito si dell’involucro esterno del cereale ma perde il germe (la parte lipidica del cereale). Questo permette una maggior conservazione, ma impoverisce i valori nutrizionali del prodotto.

Cibi integrali: quali sono?

Gli alimenti integrali sono 13 cereali:

Cereali Speudo cereali
Frumento integrale Quinoa
Riso integrale Amaranto
Farro Chia
Segale Grano saraceno
Orzo
Miglio
Avena
Mais
Kamut

In generale solo il frumento ed il riso hanno una versione raffinata. Per quanto riguarda gli altri cereali normalmente sono venduti interi, perchè la raffinazione costerebbe troppo per immetterli ad un prezzo accettabile per il consumatore.

cibi integrali

Prodotti integrali fanno bene o fanno male? Pro e contro

I prodotti integrali sono da preferire rispetto a quelli raffinati, tuttavia hanno anche dei contro.

Pro cibi integrali

  • Hanno più nutrienti (vitamine e minerali)
  • Hanno più fibre alimentari
  • Saziano di più

Contro cibi integrali

  • Possono causare problemi in chi soffre di colon irritabile
  • Un eccesso di fibre alimentari causa problemi intestinali

Inizialmente, nel passato, tutti i cereali erano integrali, poi grazie alla raffinazione si è migliorato il gusto (in realtà questo è soggettivo) e si è migliorata la digeribilità. Diversi cereali interi risultano poco digeribili soprattutto se ne mangiamo alti quantitativi. La raffinazione ha anche perso mi aumentare i tempi di conservazione grazie all’eliminazione del germe interno.

Una dieta composta solo da cibi raffinati è considerata meno salutare, perchè più povera di sostanze nutritive e di fibre. Il più basso indice glicemico dei cereali integrali non è un fattore rilevante rispetto agli altri parametri sopra esposti, anche perchè il carico glicemico è invece molto simile.

Alimenti integrali e controindicazioni

I cibi integrali andrebbero limitati o esclusi in tutte le persone sensibili alle fibre alimentari, fitati ed antinutrienti. Chi soffre di colon irritabile e di intestino infiammato deve stare attento a non ingerire troppe fibre. In questi casi la versione raffinata è più indicata.

Va tuttavia ricordato che molto spesso è anche una questione di quantità, per cui inizialmente chi soffre di problematiche intestinali, potrebbe avere un beneficio nel limitare inizialmente cereali, legumi e latticini (vedi dieta FODMAP). La riduzione dei prodotti integrali, qual ora eccessiva, è tra i rimedi per sgonfiare la pancia.

Cereali interi per dimagrire

La scelta integrale è generalmente la più indicata per chi vuole dimagrire. Non tanto perchè a parità di quantità un alimento integrale faccia dimagrire di più. Le calorie che l’integrale riduce sono generalmente trascurabili. Tuttavia le fibre alimentari nutrono i nostri enterociti (le cellule dell’intestino). Questo segnala al centro della fame un maggior appetito.

L’integrale è tra i fattori dietetici anoressizzanti, ovvero che porta la persona a mangiare meno. Per questo c’è una correlazione tra l’obesità ed un’alimentazione raffinata ed al contrario tra chi è più magro e mangia integrale.

Attenzione tuttavia nel non ricadere nell’errore del cibo sano. Molte persone tendono a mangiare di più perchè è sano. Ribadiamo che a parità di calorie gli alimenti integrali non fanno dimagrire di più in modo rilevante. Raffinato ed integrale sono carboidrati complessi ed i loro benefici o problemi dipendono molto dalla quantità e non solo dalla qualità.

Cibi integrali e mal di stomaco

Generalmente i cereali integrali sono indicati in chi soffre di mal di stomaco e reflusso esofageo. Questo perchè le fibre integrali assorbono in piccola parte i succhi gastrici, diminuendo il reflusso. Attenzione a non abbinare ai cereali condimenti grassi. I lipidi aumentano i tempi di digestione aumentando le probabilità di soffrire di mal di stomaco.

alimenti integrali

Cibi integrali e diarrea

Durante la diarrea è preferibile non assumere cibi integrali che possono peggiorare la situazione. I cereali generalmente sono più ricchi di fibre insolubili che non aiutano chi ha attacchi di diarrea. Al contrario le fibre solubili (presenti nell’avena o orzo), aumentano la viscosità delle feci e potrebbero migliorare la situazione. La risposta è comunque soggettiva e se già siamo sensibili alle fibre conviene comunque evitare questi alimenti.

Alcuni consigliano durante gli attacchi di diarrea del riso bianco, ma al momento ci sono poche evidenze scientifiche che avvalorino questa scelta.

Cibi integrali e ferro

In chi soffre di anemia o può essere carente di ferro si prescrive normalmente di mangiare alimenti interi. Questi sono più ricchi di sostanze nutritive ed anche di ferro. Purtroppo però la presenza di fibre aumenta il contenuto di tannini che rendono poco biodispobile il ferro.

In chi segue una dieta vegetariana, vegana si consiglia quindi, di assumere assieme ai cereali integrali, anche un giusto quantitativo di legumi, funghi, frutta secca, verdure a foglia verde scura).
In chi segue invece una dieta onnivora, può integrare il ferro anche dal fegato e frattaglie, carni, pesce e dal tuorlo dell’uovo.

Va infine ricordato che il ferro è antagonista, per quanto riguarda la captazione a livello intestinale, col calcio ed alimenti ricchi di questo minerale (come i latticini) andrebbero limitati in concomitanza con l’assunzione di ferro, qual ora la nostra dieta sia povera di questo minerale.

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Cibi per dimagrire

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Cibi per dimagrire

Prima di affrontare singolarmente quali sono i cibi da mangiare per perdere peso, dobbiamo comprendere un concetto fondamentale. Non esiste un alimento che faccia ingrassare o dimagrire, l’alimentazione è l’insieme di tutto quello che mangiamo, non nel singolo pasto, ma nella giornata, nella settimana, mese, anno.

Non esiste un cibo che fa dimagrire o uno che fa ingrassare. Determinati alimenti hanno delle caratteristiche che rendono la dieta più sana e protraibile nel tempo, altri che ci portano ad accumulare peso più facilmente.

Compreso questo punto imprescindibile, lasciamo la visione d’insieme e focalizziamoci sui singoli alimenti, quali conviene mangiare per perdere grasso?

Quali sono i cibi sani per perdere peso

La dieta è uno stile di vita e pertanto deve essere perseguibile nel tempo e contemporaneamente deve essere salutare. In questo contesto i cibi più sani per dimagrire sono:

Guardando questa lista sembrerebbe che i grassi sono il macronutriente da evitare per essere magri. In realtà a far ingrassare non sono ne i grassi, ne i carboidrati ma l’eccesso calorico.
I cibi più sazianti sono quelli sopra esposti perchè hanno tante: fibre alimentari, proteine, antinutrienti ed una bassa densità energetica, ovvero i 4 fattori principali che portano al senso di sazietà.

I carboidrati danno un maggior senso di sazietà, rispetto ai grassi, nel breve termine, mentre i lipidi vincono nel medio lungo termine. Possiamo dimagrire benissimo mangiando anche del pesce grasso e della frutta secca, ma nella nostra lista abbiamo preferito dare priorità agli altri alimenti.

Ecco una lista di alimenti meno calorici divisiper la loro categoria:

Frutta kcal
Melone 34
Fragole 32
Anguria 30
Limone 29
Melone giallo 28
Verdura kcal
Pomodori 20
Asparago 20
Lattuga 17
Ravanelli 16
Cetriolo 16
Carne kcal
Cervo 120
Maiale filetto 110
Agnello 109
Petto di tacchino 111
Petto di pollo 100
Cereali kcal
Riso 358
Orzo 354
Grano saraceno 343
Segale 338
Farro 335

Quali cibi evitare per dimagrire

Quali cibi per dimagrire

Gli alimenti da evitare se vogliamo metterci a dieta sono quelli con un eccesso di zuccheri, carboidrati raffinati e grassi. L’industria alimentare, per aumentare il gusto degli alimenti sovente mischia carboidrati e grassi (come nei dolci e prodotti da forno). Una lista di prodotti da limitare per dimagrire sono:

  • dolci
  • merendine
  • biscotti
  • junk food
  • salse e condimenti calorici
  • formaggi grassi
  • insaccati grassi
  • olii vegetali
  • prodotti da forno

In generale possiamo dire che gli alimenti che fanno ingrassare sono quelli ad alta densità energetica, con poche fibre alimentari, poche proteine e molto palatabili.

Cibi da abbinare ed associare per dimagrire

Il miglior mix di cibi per perdere peso sono quelli che associano diverse categorie d’alimenti tra loro come i cereali integrali coi legumi, la carne magra con la verdura, il pesce con la frutta secca.
Mischiando i cibi sani possiamo migliorare il gusto e la varietà del piatto, assumendo poche calorie, ma mangiando sano ed in modo nutriente.

Ricordiamoci sempre di abbinare ai prodotti animali (carne e pesce), la verdura e di preferire un’alimentazione che sia prevalentemente basata sulle fonti vegetali (legumi, cereali integrali, frutta).

Lista di 10 cibi per dimagrire

cibi per perdere peso

Ecco una lista di 10 alimenti che non dovrebbero mai mancare per dimagrire:

1. Yogurt greco magro

Lo Yogurt magro è un ottimo prodotto dietetico, quello greco ha una quantità di proteine molto alta (9-11g) che lo rende un ottimo alimento per saziarsi e perdere peso. Al gusto non è molto appetibile perchè ha pochi zuccheri e zero grassi. Per questo possiamo abbinarlo con della frutta tagliata a pezzi o della frutta secca, ogni tanto anche con della marmellata light.

2. Mirtilli 

Tutti i frutti di bosco sono alimenti molto light, ricchi di sostanze nutritive e poveri di calorie. Abbiamo messo i mirtilli perchè sono ricchi di antiossidanti, sono antifiammatori e soprattutto sono buonissimi.

3. Lenticchie

I legumi sono i prodotti amidacei (contenenti amido) più sazianti. Questo grazie al loro contenuto proteico, di fibre e di antinutrienti. Le lenticchie sono ottime per un miglior controllo glicemico e per mantenere nel tempo, rispetto ad altri carboidrati, un buon senso di sazietà.

4. Petto di pollo

La carne bianca è da preferire rispetto a quella rossa. Il petto di pollo è uno dei tagli più magri, con 20g/100g di proteine è saziante, con un buon rapporto di ferro e di zinco. Cotto al forno o in padella, se abbinato a delle spezie può essere gustoso e non stopposo.

5. Broccoli

I broccoli possono essere mangiati sia crudi (tagliati in tanti piccoli pezzi) mantenendo così tutte le loro sostanze nutritive o anche cotti al vapore. Sono tra gli alimenti meno calorici in assoluto e si sono dimostrati tra gli alimenti antitumorali per eccellenza.

6. Uova

Le uova sono delle vere e proprie bombe nutritive. Sono rischiose per il loro alto contenuto di colesterolo solo se soffriamo di ipercolesterolemia familiare, ma negli altri casi addirittura abbassano i valori del colesterolo. Possiamo mangiare anche solo l’albume eliminando la parte grassa dell’uovo, ma se mangiato intero è più saziante .

7. Peperoncino

Il peperoncino è una spezia piccante utilizzata in cucina per aumentare l’appetibilità degli alimenti. È ricco di vitamine (C ed E) ed ha un effetto cardioprotettore. Contenendo solanina ha un effetto saziante oltre ad aumentare il potere termogenico del pasto. È sconsigliato in chi soffre di problemi e bruciori di stomaco.

8. Fiocchi di latte

I fiocchi di latte sono tra i formaggi più magri che possiamo trovare sono ricchi sia di caseine (che danno senso di sazietà a lungo termine) che di proteine del siero (che invece funzionano più a breve termine). Ideali sia nei pasti che come spuntini si possono abbinare con delle verdure o della marmellata light.

9. Fiocchi di avena

L’avena è un ottimo cereale integrale, ricchi di fibre solubili, migliora l’ipercolesterolemia ed il profilo glucidico. Anche se contiene glutine è generalmente ben tollerata anche dei celiaci. Al mattino i fiochi d’avena sono un ottimo ingrediente per la prima colazione.

10. Caffè

Il caffè un una bevanda che ha un effetto, lieve, sul nostro metabolismo (grazie agli effetti della caffeina). Aumenta la termogenesi indotta e migliora il senso di sazietà. Senza abusarne è molto utile per dimagrire.

Esistono cibi per dimagrire in fretta?

Non esistono cibi per dimagrire in fretta, perchè la perdita di peso è data dal deficit calorico, più sarà marcato e più peso perderemo velocemente.
Non conviene perdere più del 0,5-1% del proprio peso corporeo a settimana. Se pesiamo 70kg sono 350-700g a settimana. Cali più rapidi portano sia ad erodere più facilmente la massa magra, sia aumentano di molto il senso della fame quindi diventa impossibile continuare la dieta.

Ovviamente alla domanda quali sono gli alimenti per dimagrire pancia e fianchi? La risposta è nessuno, neanche l’ananas fa calare le maniglie dell’amore 🙂

 

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Esercizi calistenici: quali sono, quali fare a casa

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Esercizi calistenic

Gli esercizi calistenici sono esercizi di ginnastica a corpo libero che si possono fare a casa, appesi ad una sbarra o semplicemente sul pavimento.
Utilizzano il proprio peso corporeo come sovraccarico e possiamo trovarne di facili come difficili.

Esercizi calistenici per principianti

Chi inizia ad allenarsi nel Calisthenic si deve concentrare principalmente su due tipi di esercizi: dinamici e statici. Nei primi gli arti si flettono ed estendono come nei piegamenti o nelle trazioni, nei secondi si tengono le isometrie come nel plank o back lever. Vediamo di vedere assieme quali sono i più importanti e famosi, che possiamo fare benissimo a casa se possediamo una sbarra per trazioni e/o degli anelli.

Piegamenti sulle braccia

Sono l’esercizio base che tutti hanno fatto. Busto proteso, senza perdere l’assetto spalle-bacino, pieghiamo le braccia e le distendiamo. È un esercizio di resistenza; mano a mano che viene appreso e ne facciamo almeno 20, possiamo utilizzare delle varianti per renderlo più impegnativo, come coi i piegamenti stretti, archer push up, con applauso ed ad un braccio.

Primo obiettivo per i piegamenti sulle braccia arrivare a fare 4×20 (progressione da fare nel tempo 3×10, 4×10, 5>10×10, 8×12, 6×15, 5×16, 3×20, 4×20)

Body Rows

I body row, anche chiamati australian pull up o trazioni orizzontali, sono l’esercizio di trazione più facile perchè a seconda di quanto incliniamo il busto, rendiamo l’esercizio più o meno facile. Possiamo usare degli anelli da appendere se non abbiamo una sbarra bassa a casa. Anche per i body rows l’assetto del corpo è fondamentale e bisogna rimanere rigidi in linea, con il petto alto e le spalle basse.

Primo obiettivo per gli australian pull up arrivare a farne 3×10 (progressione da fare nel tempo 3>6×5, 5×6, 4×7, 3×8, 4>5×8, 3×10)

Dip

I dip alle parallele sono il secondo esercizio da affrontare di spinta. Richiedono un livello più alto rispetto ai piegamenti, se non riuscite a fare almeno 20 piegamenti aspettate ad affrontare questo esercizio. Per chi ha problemi di spalle non sono il massimo, ma se fatti in modo graduale risultano molto proficui per l’allenamento del petto, spalle e tricipiti.

Primo obiettivo per i dip arrivare a farne 3×8 (progressione da fare nel tempo 3>6×4, 5×5, 4×7, 3×8)

Trazioni alla sbarra 

Le trazioni sono il secondo esercizio da affrontare dopo i body row, richiedono di sollevare il proprio peso corporeo, quindi come per i dip, dobbiamo essere un minimo forti. La variante supina è quella muscolarmente più efficace, ma nel lungo periodo tende a fare male ai gomiti. Vedete se affrontare una propedeutica o partire subito con le trazioni prone.

Progressione (vedi l’articolo come arrivare a fare la prima trazione alla sbarra).

Plank

Il plank è uno dei principali esercizi per gli addominali, stabilizza tutto il CORE e permette anche di allenare le spalle. Via via che diventiamo più forti possiamo fare diverse varianti, come il plank laterale, a braccia distese, o supini. Si può iniziare ad approcciare la hollow position che ci serverà più in la per esercizi più complessi come il planche.

Black Lever

È il primo esercizio isometrico del calisthenics che si apprende. Non richiede grossi livelli di forza, ma una buona mobilità e soprattutto un’alta propriocezione del corpo nello spazio. Inizialmente penseremo di essere orizzontali rimanendo storti, riprendetevi quando provate questo esercizio a casa.

Il back lever allena principalmente la muscolatura estensoria del tronco.

Muscle up

I muscle up sono un esercizio molto coreografico e che distinguono un atleta intermedio da uno principiante. Si possono fare alla sbarra o agli anelli. Non sono difficilissimi ma bisogna lavorare sulla tecnica. Mediamente conviene avare almeno 20 di trazioni alla sbarra prima di introdurre i muscle up. C’è una propedeutica piuttosto semplice da seguire, ma se abbiamo la forza per fare le trazioni al petto ed all’addome (o quasi) risultano solo una questione di tecnica (non bisogna salire verticali ma col pendolo).

Front lever

Per quanto riguarda il front lever parliamo del primo vero esercizio per avanzati. Nella calistenia viene visto come un punto di svolta ed è tra le skill più ambite per gli intermedi.
In questo articolo sul front lever trovi tutta la propedeutica per arrivare a farlo gradualmente, ma a seconda del livello di forza ci vorranno alcuni mesi come anni.

Esercizi calistenici

Piegamenti in verticale

I piegamenti in verticale (HSPU) sono un ottimo esercizio di spinta. Per raggiungerli bisogna passare da una propedeutica ben definita che abbiamo descritto in questo articolo sulle HSPU. Certe persone non hanno forza nella spinta verticale e per loro sono un traguardo molto difficile, per altre invece si raggiungono abbastanza rapidamente. In generale dipende da quanto è lunga la clavicola.

Trazioni ad una mano

Le trazioni ad una mano sono una skill molto ambita nella calistenia. Tra gli esercizi a corpo libero sono uno dei più difficili e riuscire a farli distingue un atleta avanzato. Conviene iniziare ad approcciarle quando facciamo le trazioni zavorrate con almeno il 50-60% del nostro peso corporeo. Anche in questo caso ti rimandiamo al nostro articolo sulle trazioni ad una mano.

Planche

Tra tutti gli esercizi del calithenic, il planche è forse quello più difficile (per quanto riguarda gli esercizi classici). Bisogna avere un’ottima forza di spinta e due spalle fortissime. Ci possono volere anni per raggiungere questa skill della calisthenia e diverse persone non riusciranno mai a prenderla (quelle alte e/o pesanti). Anche in questo caso qui trovi la propedeutica al planche.

Conclusioni sugli esercizi delle calistenia

esercizi calistenia

Oggi abbiamo visto gli esercizi classici a corpo libero. Ce ne sono tantissimi altri e infinite varianti. L’importante è avere pazienza, allenarsi in multifrequenza con regolarità, senza saltare le tappe per evitare di farsi male. Non abbiamo messo esercizi per le gambe, ma a corpo libero i pistol o varianti non sono il massimo. Se a casa avete un rack conviene utilizzare lo squat che sicuramente risulta più proficuo per l’allenamento degli arti inferiori.

Se vuoi approfondire questi temi, guarda i nostri libri e videocorsi, ti faciliteranno molto la vita per migliorare e diventare più forte.

Buon allenamento 🙂

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Addominali scolpiti: come ottenerli

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Addominali scolpiti

Come avere gli addominali scolpiti

Gli addominali in vista sono un traguardo ambito da molti, ma purtroppo per alcuni sono una meta molto difficile da raggiungere. Il risultato dipende principalmente da due fattori genetica e costanza. Il grasso addominale è influenzato dai nostri recettori cellulari e dai nostri ormoni (androgeni e corticosteroidei) che determinano dove accumuliamo i kg in eccesso. Le giuste strategie possono intaccarlo ma richiedono tempo.

Per avere gli addominali scolpiti bisogna fare attenzione a diverse cose ma soprattutto bisogna essere costanti, perchè i risultati arriveranno soprattutto alla fine del percorso, scopriamo assieme qual è.

Cosa fare per tirare fuori la tartaruga

Per avere il six pack bisogna concentrarsi 70% sull’alimentazione 30% sull’attività fisica. Non esistono esercizi per dimagrire sulla pancia, non esistono creme bruciagrassi, diete magiche, il grasso sul ventre si riduce col deficit calorico. Probabilmente prima dimagriremo un po’ ovunque e solo alla fine sulla pancia.

Quindi la prima cosa da fare per avere gli addominali scolpiti è quella di seguire una dieta ipocalorica che abbia mediamente un deficit di 350-500kcal sul nostro fabbisogno calorico giornaliero.

Per far si che questo deficit intacchi principalmente il tessuto adiposo e non la massa magra, l’esercizio fisico diventa fondamentale. Non sarà tanto importante allenare gli addominali, ma piuttosto allenare tutto il corpo, in modo da preservare la massa contrattile dal catabolismo indotto dalla dieta. Anche il rimanere attivi facendo 10.000 passi al giorno, sarà una dei puzzle fondamentali per la riuscita del nostro piano (vedi il NEAT e la termogenesi indotta non dall’attività sportiva).

Esercizi per gli addominali scolpiti (a casa)

Anche se gli addominali si fanno principalmente a tavola e non con l’allenamento, anche psicologicamente motiva fare diversi esercizi. Plank, crunch, crunch inverso sono alla base degli esercizi per gli addominali. Eseguirli 2-3 volte a settimana con un 3×20 è il minimo sindacale per stimolare il retto dell’addome e gli obliqui.

Una volta raggiunto un livello di base possiamo allenare la tartaruga a casa facendo dei circuiti tra i vari esercizi: 20″ plank > 20 crunch > 20 crunch inversi > 20″ side plank (per lato).
Oppure possiamo inserire varianti più complesse come la dragon flag o L-sit.

In generale non esiste un esercizio completo per gli addominali, variare e stimolarli 2-3 volte a settimana è la cosa migliore da fare. Qui trovi 10 esercizi per gli addominali che puoi fare.

Dieta per gli addominali scolpiti (cosa mangiare)

La dieta per il six pack consiste principalmente in un regime ipocalorico. Dobbiamo scoprire il nostro fabbisogno giornaliero (reale) e da li se assumiamo sufficienti calorie (32-34/kg nell’uomo), (30-32/kg nella donna), facciamo un taglio calorico di 500kcal nei maschi e di 350kcal nelle femmine. In questo modo possiamo aspettarci di dimagrire dello 0,5-1% del nostro peso corporeo a settimana (una persona di 70kg sono 350-700g a week).

Non ci sono altri particolari segreti se non tenere una quota proteica intorno a 1,8-2,5g/kg e di variare tra i grassi e i carboidrati. La dieta per gli addominali scolpiti non ha altri particolari segreti, fare tanti o pochi pasti non cambia, come non cambia mangiare i carboidrati la sera o al mattino.

Purtroppo non esistono vantaggi metabolici da sfruttare con qualche particolare accorgimento. Mangiamo in modo sano, alimenti a bassa densità energetica: verdura, frutta, legumi, cereali integrali, pesce magro, carne bianca magra. Evitiamo gli insaccati, i formaggi grassi, condimenti, alimenti ad alta densità energetica come i dolci e prodotti da forno.

Purtroppo l’unico segreto è prendersi il tempo necessario per far uscire la tartaruga.

Addominali in un mese

Come avere gli addominali scolpiti

Qual ora si avvicini l’estate e vogliamo avere il six pack in vista velocemente possiamo provare qualche protocollo di ricomposizione corporea. Sono protocolli dietetici molto drastici, adatti a soggetti in salute, giovani e che hanno pochi kg da perdere, se sperano in un mese di vedere gli addominali.

Si tratta di fare per metà settimana un regime alimentare da fame (-50% del proprio fabbisogno giornaliero), tagliando fortemente i carboidrati ed allenandosi per depauperare le scorte di zuccheri muscolari. La seconda metà della settimana ricarichiamo i carboidrati e le calorie.

La ricomposizione corporea va benissimo nel breve termine e può essere usata prima dell’estate per superare la prova costume.

Creme ed integratori per il six pack

Purtroppo se non esistono allenamenti e diete magiche per la tartaruga, non esistono creme o integratori per gli addominali. Anche se diverse aziende pubblicizzano termogeneci o creme bruciagrasso queste non funzionano. Se proprio volete spendere dei soldi comprateci i libri, ma rimedi miracolosi non esistono.

Anche perchè se esistesse realmente un prodotto che fa perdere peso senza effetti collaterali, chi lo inventa diventerebbe l’uomo più ricco del pianeta. Quando comprate un integratore dimagrante, chiedetevi sempre perchè non costa centinaia o migliaia di euro e perchè non viene utilizzato in medicina.

Le aziende hanno sempre usato testimonial (di dubbia moralità), foto di ragazzi con gli addominali in vista, per attirare i consumatori più pigri e speranzosi.

La strada la sapete, potete girare come un criceto su una ruota per tutta la vita, alla ricerca del rimedio, della strategia migliore, oppure potete fare poche e semplici cose, con dedizione e costanza. Noi scommettiamo euro contro nocciole su quale strada vi renderà di più.

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Miochine: che cosa sono e che funzione svolgono?

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“Fare sport fa bene”, “il medico mi ha detto di iniziare a muovermi di più”, “mia mamma è anziana e si muove poco, il dottore dice che deve sforzarsi di camminare ogni giorno” sono frasi che si sentono dire spesso. Evidentemente fare attività fisica serve. Che tu sollevi pesanti bilancieri 5 volte a settimana, faccia chilometri in bici nei weekend o vada semplicemente a camminare qualche chilometro al giorno ti fa e farà stare bene. Perché? Quando ti muovi il muscolo si contrae e rilascia molecole che influenzano in modo positivo il tuo organismo: le miochine.

Che cosa sono le miochine?

Le miochine sono proteine che hanno tutti, ma sono più presenti in chi pratica attività fisica regolare, di qualsiasi tipo. Quindi, se già ti muovi abbastanza continua a farlo, se non lo fai, puoi sempre iniziare. Infatti, queste molecole sono secrete quando il tuo muscolo si contrae in risposta allo svolgimento di attività fisica.

La loro produzione dipende da molti fattori come la:

  • genetica;
  • età;
  • sesso;
  • tipo di esercizio fisico svolto;
  • la sua durata;
  • la sua intensità;
  • la tua massa muscolare.

La cellula muscolare rilascia queste molecole nel sangue, che le trasporta verso altri organi e tessuti. Le miochine arrivano all’organo-bersaglio e influenzano la sua attività portando, nel lungo periodo, a benefici.

Miochine: quali sono e che funzioni hanno?

Le miochine sono numerose (300-400 molecole differenti) e molte sono ancora da identificare. Proprio a causa della loro numerosità, è difficile fare un discorso omogeneo per descriverne la funzione: ogni miochina ha determinate caratteristiche e quindi uno specifico organo bersaglio su cui esercita una particolare funzione.

Per semplificare il discorso, possiamo suddividerle in due grandi categorie:

  • da una parte ci sono le miochine che agiscono sul muscolo (attività autocrina o paracrina) e che ne regolano la crescita;
  • dall’altra le miochine che agiscono su altri distretti del nostro organismo (attività endocrina), come tessuto adiposo, ossa, fegato e pancreas, sistema nervoso centrale, cuore.

La crescita muscolare in risposta all’allenamento grazie alle miochine

Miochine e crescita muscolare

Regolare la crescita muscolare è la principale azione che svolgono le miochine a livello del muscolo: favoriscono la proliferazione delle sue cellule e inibiscono un’eccessiva crescita delle fibre muscolari, chiamata iperplasia: una condizione patologica in cui la crescita è incontrollata, situazione che ben si allontana dall’ipertrofia ricercata nelle palestre.

Fare esercizi contro resistenza, esercizi eccentrici e corsa in discesa, in linea generale, inducono di più la produzione di queste miochine.

Il fattore di crescita insulino-simile 1 (IGF1) aiuta la crescita del muscolo scheletrico grazie ad una specifica serie di reazioni che avvengono nella cellula. Con l’invecchiamento questo meccanismo è alterato e non funziona più come prima: questo spiega perché da anziani il muscolo perde gran parte (non del tutto!) la capacità di rigenerarsi e perchè, quindi, si perde muscolo e forza.

Se IGF1 promuove la crescita, la miostatina, invece, la inibisce: se non ci fosse questa molecola il muscolo potrebbe (potenzialmente) crescere senza limiti e sfociare quindi nella iperplasia, pericolosa per l’organismo. Per fortuna questa molecola c’è e permette che la crescita non sia incontrollata, a meno che non ci siano difetti genetici nella sua struttura e/o regolazione dell’attività.

Un’altra miochina coinvolta è l’interleuchina 6 (IL6): interviene sia nello sviluppo del muscolo sia nel suo deperimento. IL6 è prodotta quando esegui un’attività fisica prolungata e porta ad un aumento della sintesi proteica e alla nascita di nuove cellule muscolari (porta quindi a ipertrofia), anche perché a causa di un allenamento intenso il muscolo risulta danneggiato e IL6 risulta fondamentale per la sua rigenerazione.

Miochine e dimagrimento: il rapporto con il tessuto adiposo

Irisina e tessuto adiposo

A livello del grasso corporeo ci sono più molecole che permettono di bruciare i grassi, direttamente o indirettamente. Tra queste troviamo di nuovo IL6 e la somatotropina, che interviene soprattutto alla fine dell’allenamento per regolare la disponibilità di acidi grassi.

Anche l’irisina agisce per diminuire le cellule del grasso, ma prima di analizzare la sua azione bisogna distinguere tra grasso bianco e grasso bruno. Il grasso bianco è una fonte di energia, infatti contiene gli acidi grassi, quelli che vogliamo eliminare per perdere peso, avere una migliore composizione corporea ed essere più magri. Il grasso bruno, invece, sempre grasso è, ma disperde energia sotto forma di calore. L’irisina ha il compito di trasformare il grasso bianco in grasso bruno (in una parola in inglese: browning).

Miochine e sistema nervoso centrale

Alcune miochine influenzano il sistema nervoso centrale, ma sono poche e selezionate perché è un tessuto delicato e che non deve essere assolutamente danneggiato: solo le molecole con determinate caratteristiche entrano in contatto con i neuroni, tra queste ci sono l’irisina, IGF e il lattato.

Nei neuroni c’è un fattore – il fattore di crescita neurotrofico (BDNF) – che permette la sopravvivenza della cellula nervosa e il suo collegamento con altre cellule nervose, azione che si traduce in sviluppo delle funzioni cognitive (come l’apprendimento, la memoria e la motivazione) e una maggior attività cerebrale.

Irisina e IGF permettono che BDNF sia attivo, quindi indirettamente sono le responsabili, insieme ad altri fattori, dello sviluppo cerebrale e del mantenimento della sua attività. Il lattato invece, insieme a un altro fattore (il fattore di crescita endoteliale), favorisce l’arrivo di sangue a livello nervoso.

A questo livello gli esercizi contro resistenza sono più indicati rispetto a quelli di endurance per ottenere miglioramenti.

L’esercizio fisico è uno dei pochissimi stimoli conosciuti in grado di stimolare la genesi di nuovi neuroni, oltre a favorire l’aumento delle dimensioni del cervello e il numero delle connessioni al suo interno. Ricordati che i miglioramenti ottenuti nella struttura nervosa si rispecchiano nel miglioramento della sua funzionalità.

Irisina: salute cardiaca e ossea

Miochine e salute cardiaca ed ossea

Sempre l’irisina interviene anche a livello del cuore: questa miochina va ad agire a livello nel nervo vago, responsabile della regolazione della frequenza del battito cardiaco. L’influenza dell’irisina sul nervo vago porta ad una diminuzione della frequenza del battito del cuore: infatti, chi pratica attività fisica di solito ha una frequenza cardiaca più bassa.

Per quanto riguarda le ossa, con l’avanzare dell’età è comune avere l’osteoporosi: una malattia che rende più fragile la struttura dell’osso. L’attività fisica – soprattutto quella contro resistenze – aiuta, perché l’irisina è in grado di contrastare questo indebolimento: un allenamento con i pesi costante e protratto nel tempo è ottimo per contrastare il deterioramento del tessuto osseo (utile per le donne che con la menopausa vanno incontro a una rapida diminuzione di questo tessuto). Infatti, si rileva un incremento della densità dei minerali presenti nell’osso e del numero delle cellule che costruiscono l’osso (osteoblasti).

Miochine e controllo glicemico

Miochine cervello e glicemia

La miochina che aiuta di più il controllo della quantità di zuccheri nel sangue (glicemia) e quindi il loro metabolismo è IL6. Da una parte IL6 agisce sul fegato, dove permette il rilascio di zuccheri (glucosio) mentre fai attività fisica, per permetterti di mantenere le fonti energetiche durante lo sforzo. Dall’altra, contribuisce a livello del pancreas a rilasciare insulina, l’ormone che fa entrare il glucosio nelle cellule.

Allenamento, prevenzione e salute

In un contesto generale, che non considera la risposta soggettiva e protocolli di allenamento specifici, sia gli allenamenti di forza che quelli di resistenza apportano benefici:

  • All’individuo sano che può mantenere il proprio stato di salute e prevenire alcune malattie;
  • All’individuo malato che può migliorare la situazione in cui si trova e rallentare il decorso della patologia.

Ad esempio, le malattie metaboliche (alterazione del metabolismo glucidico o lipidico, obesità, diabete) possono essere prevenute o migliorate grazie all’irisina, che aiuta il mantenimento del glucosio nel sangue e la sua captazione da parte del muscolo. In particolare, il controllo glicemico degli individui con diabete di tipo 2 giova della combinazione di allenamenti di resistenza e di forza.

Sempre dalla combinazione di queste due tipologie di allenamento, l’attività sportiva aiuta la prevenzione di malattie neurodegenerative, come morbo di Alzheimer e Parkinson, e di altri disturbi nervosi, come depressione, epilessia, ictus. Questo perché le miochine impediscono il deterioramento nervoso che progredisce naturalmente con l’invecchiamento.

Il deterioramento del sistema muscolo-scheletrico si presenta progressivamente con l’invecchiamento, soprattutto a causa del suo disuso. Nel 58% dei casi la sarcopenia è accompagnata da osteoporosi; per ridurle è opportuno praticare allenamenti di forza. Quando non è possibile l’allenamento, ad esempio per persone anziane o invalide, ma comunque è importante limitare questo deterioramento, la ricerca viene in aiuto: l’irisina è testata come futuro farmaco da somministrare in circolo per mimare gli effetti dell’attività fisica (anche se non svolta) nell’organismo.

Per migliorare i problemi a livello cardiocircolatorio, invece, meglio fare allenamenti di resistenza.

Conclusioni sulle miochine

Fare attività fisica è importante e adesso che conosci le miochine lo è ancora di più: l’allenamento, proprio perché permette la produzione di miochine, risulta il miglior trattamento non farmacologico per la prevenzione di molte malattie e per stare in salute il più possibile.

 

Nota sull’autore

Dott.ssa Lucia Ienco
Laureata in Biotecnologie presso l’università di Trieste e studentessa magistrale in Scienze dell’alimentazione presso l’università di Firenze. Certificata ISSA CFT3 ed esordiente di weightlifting a livello agonistico.

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