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Calisthenic Workout: schede e programmi per il calisthenics

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workout calisthenic

Nel calisthenics, soprattutto quando si tratta di esercizi base abbiamo una tipologia praticamente infinita di allenamenti. I programmi che trovi qui vanno benissimo per allenare:

Molto meno per le skills isometriche come il front lever o la planche che richiedono altri lavori basati sul tempo.

Dobbiamo innanzitutto distinguere quegli allenamenti che ci permettono di fare legna, di macinare volume (cioè portarci a casa tantissime ripetizioni), e quelli invece che puntano a farci toccare ripetizioni più alte nella singola serie.
Per fare un esempio pratico, con 10 serie da 5 ripetizioni abbiamo un volume totale di 50 ripetizioni, con 1×12, 1×10, 1×8 abbiamo un volume totale di 30 ripetizioni, ma nel singolo set arriviamo molto più vicini all’esaurimento.

Cos’è meglio?
Entrambi!

In base alla periodizzazione dei nostri allenamenti possiamo avere più bisogno di macinare un alto volume totale, oppure di toccare ripetizioni più vicine al massimale.
In questo articolo andremo a vedere diversi metodi che ci permettono di immagazzinare un alto volume di ripetizioni o intensità allenanti per fare il salto di qualità.

Workout calisthenics: programmi per macinare ripetizioni

schede calisthenics

Piramidale

Un ottimo schema per macinare molto volume è la piramide. Prima di perderci in parole, vediamola.

Esempio schema: 3x 1-2-3-2-1

Il 3x rappresenta il numero di serie, 1-2-3-2-1 le ripetizioni da effettuare. Tra le ripetizioni teniamo una pausa fissa (consiglio tra i 10” e 20”), ed un recupero tra le serie variabile tra uno e due minuti.

Per quanto riguarda il numero di serie, consiglio di stare tra  3 – 4, in base al volume della piramide: se la piramide completa è circa il nostro massimale di ripetizioni, allora possiamo stare sulle 4 serie totali, se è maggiore di questo, consiglio di non superare le 3.
Per quanto riguarda la lunghezza, con il classico esempio andata e ritorno consiglio non più di 5 salti.

Consiglio come punta della piramide circa la metà, 60% del nostro massimale di ripetizioni. Se le ripetizioni da eseguire sono entro le 8-10, suggerisco salti di una reps, altrimenti consiglio salti maggiori

Esempio programma: 3x 4-5-6-5-4 ; oppure 4x 10-12-14-16-14-12-10

Come recupero tra le ripetizioni stiamo tra i 10” e i 20”: consiglio recuperi bassi in quanto l’obiettivo di questo metodo è un alta densità (il lavoro che facciamo nell’unità di tempo).
Anche tra le serie consiglio un recupero non più alto di 2′-2’30”.

La progressione può essere data da diversi fattori: possiamo diminuire prima i recuperi tra le serie, poi quelli tra le ripetizioni, infine aumentare quest’ultime.
Per l’incremento, consiglio questo tipo di aumento: si parte per esempio da 2-3-4-3-2, ed il passo successivo è 4-3-2-3-4; quello successivo ancora è 3 4 5 4 3: si parte quindi con uno schema, poi nel passo successivo la punta della piramide diventa la base, ed in quello successivo si torna allo schema originale aumentandolo di una reps, in questo modo si avranno incrementi graduali

Le variabili con cui possiamo giocare con questo programma per il calisthenics sono:

  • numero di serie della piramide
  • lunghezza della piramide
  • ripetizioni e salti tra di esse
  • recupero tra le ripetizioni
  • recupero tra le serie
  • progressione

EDT

workout calisthenics

La sigla EDT sta per Escalating Density Training, il cui obiettivo è quello di eseguire un alto volume totale di allenamento entro un range di tempo stabilito.
Nell’EDT vengono svolti 2 esercizi in maniera alternata con pause molto brevi, fra i 15-30 secondi, passando da uno all’altro fino a terminare il tempo totale.

Per i soggetti poco allenati e poco resistenti alla fatica, consiglio di partire con 10 minuti, mentre i più avanzati possono farlo durare anche 20 minuti.

Per quanto riguarda la scelta del numero di ripetizioni, consiglio di partire a circa la metà del massimale (5 trazioni se il massimale è 10), andando magari ad incrementare ogni volta che si completa l’EDT mantenendo invariate le ripetizioni.
Al contrario, se si riescono a reggere le ripetizioni solamente per un paio di serie, siamo partiti troppo forti e meglio scalare per avere una progressione nel tempo. L’ideale è arrivare a cedere qualche reps verso la fine del tempo stabilito.

Esempio schema: EDT 15’ Trazioni prone al mento 5  reps – Piegamenti 10 reps

Faccio per 15 minuti, intervallati tra loro di 30”, 5 trazioni e 10 Piegamenti. Se dopo i primi 5 minuti già calo le ripetizioni, dalla volta successiva le abbasso, se calano dopo il decimo minuti resta inviariato, se arrivo alla fine senza che calino aumento.

EMOM

Metodologia presa dal crossfit: EMOM sta per Each Minute on Minute.
Quando seguiamo questa scheda lavoriamo sempre a tempo, eseguendo un tot di ripetizioni allo scoccare di ogni minuto che passa. Vediamo un esempio chiarificatore.

Esempio programma: Trazioni prone al petto 5 reps  EMOM 10 minuti

Facciamo partire il nostro cronometro, facciamo le 5 trazioni, una volta che le abbiamo chiuse, controlliamo il cronometro e riposiamo fino allo scatto del minuto: poi ripartiamo con un’altra serie fino ad arrivare allo scadere dei 10′. Avremo fatto così 10 serie in 10′.
Ad ogni scatto del minuto, quindi, dobbiamo eseguire gli esercizi ed il recupero è dato dallo scarto di tempo per arrivare al minuto successivo.

Possiamo anche svolgerlo in maniera diversa, per esempio ad ogni scatto del minuto facciamo due esercizi invece che uno solo: in questo modo sicuramene alleniamo di più il fiato e la parte cardiovascolare.

Come è abbastanza chiaro, è un programma per macinare davvero tanto volume.

AMRAP

programma calisthenic

Altra metodologia tipica del crossfit, che però può essere usata con profitto anche nel calisthenics. AMRAP sta per As Many Reps As Possible, nel caso di un esercizio solo; nel caso di due esercizi in superset, As Many Round As Possible.

Vediamo la versione con un esercizio.
Si prende una skill (es. trazioni), ci si da un limite di tempo (es. 12 minuti), ed in questo tempo si cerca di macinare più ripetizioni possibili.

Importante usare la testa: se arrivate a cedimento completo nelle prime due o tre serie poi andrete davvero a rallentatore, e riuscirete sicuramente a macinare molte meno ripetizioni rispetto a quello che avreste potuto fare andando avanti a piccoli passi ma in maniera costante. Potete fare tutte e due le versioni ed alternarle. Io consiglio di partire con circa il 30% del proprio massimale e andare spediti con 30” di pausa tra le serie, per poi diminuire le reps come si comincia ad avvertire molta fatica.

Versione due esercizi.
Prendiamo due esercizi (es. trazioni e piegamenti), prendiamo il tempo limite (es. 12 minuti) e diamo le ripetizioni alternando gli esercizi. L’obbiettivo sarà effettuare più giri nel tempo limite.
Possiamo stabilire le regole, per esempio se permettere di spezzare le reps o doverle eseguire unbroken.

Anche l’AMRAP è un metodo che permette di effettuare un ottimo volume di lavoro in un tempo ristretto

Ripetizioni Totali

In questo metodo dobbiamo eseguire un numero predeterminato di ripetizioni nel minor tempo possibile. Simile al precedente, la differenza è che prima fisso era il tempo, mentre ora fisse sono le ripetizioni.

Come facciamo a calcolare un buon numero totale?
Si prende come riferimento il massimale dell’esercizio, e lo si moltiplice per tre, quattro o cinque volte (dipende anche dal resto del programma). Per esempio, con una decina di trazioni come massimale, si può cercare di completare un 50 ripetizioni totali nel minor tempo possibile. Se fate invece 30 ripetizioni come massimale, potrete moltiplicarle per 3 arrivando a 90. Più è alto il massimale e meno lo moltiplicherete.

Anche in questo programma consiglio di andare avanti macinando “poche” ripetizioni alla volta, come nell’AMRP, senza arrivare a cedimento.

In questa scheda possiamo impostare una semplice progressione, per esempio ogni volta che completiamo le ripetizioni in un tempo prestabilito, le andiamo ad aumentare dalla volta successiva.

Programmi basati sull’intensità

Normalmente si fanno 1-3 mesi incentrati sul volume, in cui si prediligono allenamenti voluminosi per macinare ripetizioni ed adattare il corpo all’esercizio. Tuttavia se non variamo gli stimoli rischiamo di diventare bravissimi nel volume ma rimanere scarsi sull’intensità. È comune in chi pensa d’aumentare solo le serie arrivare a fare un 20×5 ma non riuscire a fare più di 15 ripetizioni massimali.

Per ovviare a questo difetti ecco 3 programmi di Calisthenic basati sull’intensità.

Max + 3×50%

Con questa scheda dall’allenamento dobbiamo iniziare con una serie massimale (dopo che ci siamo ben scaldati), aspettiamo dai 2′ a 3′ e facciamo altre 3 serie col 50% del massimale che abbiamo appena concluso. Il programma è semplice ma efficace e si basa sul massimale giornaliero.

1xmax

Con questa versione alleniamo l’esercizio con una sola serie ma 5 giorni a settimana. Vedrete che nella sua “banalità” essere un programma estremamente efficace, anche se è difficile tenerlo per più di 2-4 settimane di fila.

Ladder

Partiamo con 1 ripetizione ed ad ogni serie ne aggiungiamo una (1-2-3-4-5-6-ecc.). Partiamo con 15-30″ di pausa ed ad ogni serie aggiungiamo 15″. Arriveremo a fare numeri importanti avendo però accumulato un certo volume. Da provare.

Programmi calisthenic: conclusioni

programma calisthenics

Queste schede erano degli esempi di come possiamo macinare ripetizioni negli esercizi del calithenics. Ci sono poi tanti altri programmi. La differenza tuttavia non la fa la scheda ma la progressione. Non esiste il programma perfetto, esiste quello che ci fa progredire nelle settimana e nei mesi. Il segreto in fondo è tutto li, piccole progressioni per periodi lunghi di tempo. Non abbiamo messo, in questo articolo, come intervallare gli allenamenti nella settimana, quanti farne di volume e quanti di intensità. Ci riserviamo, in un prossimo articolo, di mettere la periodizzazione dei programmi appena descritti. Facci sapere nei commenti se ti interessa 😉

Ah, importante, ricorda che anche la goccia che cade, finisce per spaccare la roccia (il segreto è questo qui).

Articolo del Dott. Erik Neri autore del libro Project Calisthenics.

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Ferritina: alimenti, livelli, consigli

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Ferritina

Se non avessi la ferritina non staresti leggendo questo articolo. Questa molecola è una riserva di ferro: il nostro organismo cerca di avere a disposizione quello che gli serve per funzionare al meglio e avere risorse da cui attingere, sono un ottimo modo per ovviare a questa necessità.

I livelli di ferritina nella norma hanno un ampio range, che va da 18 a 250 ng/ml circa. Però, potresti avere valori più bassi o più alti a seconda di cosa mangi e di cosa dice la tua genetica (come per tante altre cose dopotutto).

Per assumere ferro non hai che l’imbarazzo della scelta: ci sono numerosi alimenti che lo contengono e proprio per questo – a prescindere dal tuo stile alimentare (carnivoro, vegetariano o vegano che sia) – puoi trovare un’ampia gamma di cibi che a seconda delle tue esigenze contengano questo importante elemento.

Che cos’è la ferritina?

La ferritina è una proteina che serve ad immagazzinare il ferro nell’uomo: se non ci fosse, il nostro corpo non sarebbe in grado di trattenere questo importante elemento che è fondamentale per molte funzioni biologiche, come il trasporto dell’ossigeno nel sangue tramite l’emoglobina.

Strutturalmente possiamo immaginarla come un pallone da calcio (minuscolo ovviamente, deve stare dentro ad una nostra cellula!) che contiene atomi di ferro.

Ogni molecola di ferritina ‘vuota’ è chiamata apoferritina, ma non appena inizia a riempirsi (basta anche un solo atomo) si parla di ferritina vera e propria, che può contenere fino a 4500 atomi di ferro, anche se di solito sono presenti solo 800-1500.

La ferritina è presente in più distretti del nostro organismo:

  • fegato,
  • mucosa intestinale,
  • milza,
  • midollo osseo,
  • tessuti scheletrici.

Non appena nel nostro organismo c’è bisogno di ferro, questo viene rilasciato dai depositi di ferritina appena elencati e viene trasportato a destinazione tramite il sangue. Ad esempio, il ferro potrebbe arrivare a livello del muscolo scheletrico dal fegato per la sintesi di mioglobina.

Come si misurano i valori della ferritina?

Per scoprire i tuoi valori di ferritina è sufficiente che tu ti sottoponga ad un prelievo, di cui sarà misurata la ferritinemia, cioè la concentrazione di ferritina nel plasma – che è una frazione del sangue.

Questo perché la quantità di ferritina presente nel plasma è specchio della presenza più o meno abbondante di ferritina nelle cellule: bassi livelli di proteina nel plasma corrispondono a scarsi livelli nelle riserve. Analogamente, alti livelli di proteina plasmatica (di solito) sono sinonimo di depositi pieni di ferro.

Quali sono i valori normali?

In un adulto la concentrazione normale di ferritina nel plasma è 18-250 ng/ml.

In caso di patologie, errata assunzione e/o assorbimento questo valore può essere alterato: sia che si abbassi o che si alzi non porta l’organismo ad essere in una situazione ottimale.

Nel caso in cui la ferritina sierica sia < 12 ng/ml allora si può parlare di carenza di ferro, situazione analizzata nei paragrafi successivi anche nel caso di atleti.

Quando si ha la ferritina alta? Che cosa significa?

Se hai la ferritina alta significa che assumi troppo ferro o che il tuo intestino assorbe questo elemento in quantità superiori alla norma (in questo caso si tratta di un’alterazione genetica: emocromatosi).

Un eccesso può portare a:

  • depositi di ferritina esagerati, che danneggiano il tessuto o organo in cui si trovano;
  • rischio di cancro epatico;
  • malattie cardiache e infarto del miocardio;
  • generazione di radicali liberi: molecole pericolose per l’organismo perché danneggiano le membrane cellulari, le proteine, il DNA.

Bisogna però fare attenzione: nel caso di malattia o infezione alti livelli di ferritina possono non corrispondere a sufficienti riserve di ferro. In questo caso la carenza è mascherata.

Quando si ha valori bassi di ferritina?

Hai valori bassi di ferritina nel caso opposto al precedente: non assumi o non assorbi abbastanza ferro. Oppure ti trovi in una situazione (rapida crescita tipica di neonati e adolescenti, gravidanza) che richiede un apporto di ferro maggiore.

I sintomi sono:

  • stanchezza;
  • apatia;
  • cefalea (la sintesi dei neurotrasmettitori è alterata);
  • diminuita resistenza alle infezioni;
  • alterata funzione tiroidea;
  • risposta alterata alle temperature.

Correlazione tra sport e valori di ferritina

Chi pratica sport in modo intenso può andare incontro a carenza di ferro e quindi ad una diminuzione della performance (fino al 20% in meno), a causa di un’alterazione dell’efficienza aerobica ed energetica e quindi una minore capacità di resistenza.

Chi rischia di più di andare incontro a questo?

  • Donne, a causa del ciclo mestruale e delle minori scorte di ferro rispetto agli uomini;
  • atleti che percorrono lunghe distanze, a causa dello sforzo protratto nel tempo;
  • vegetariani, dato che ottenere ferro dai vegetali è più difficile rispetto agli alimenti di origine animale.

Per ovviare a questo problema è sempre opportuna una consulenza nutrizionale e medica.

Se hai i valori normali di ferritina e vuoi aumentare la tua performance, supplementare il ferro è inutile, non andresti incontro a nessun beneficio o miglioramento sulla prestazione.

Durante allenamenti che richiedono molto sforzo, soprattutto di resistenza, puoi andare incontro a ‘sport anemia’, situazione di momentanea carenza di ferro. Questa è dovuta alla morte di globuli rossi – indispensabili per il trasporto di ossigeno e contenenti ferro – e ad un aumento del volume del plasma: la concentrazione di ferritina diminuisce.

Risolvere questa condizione con la supplementazione di ferro non serve. È molto più utile il recupero dei valori normali tramite l’alimentazione: se assumi poche proteine recuperare la ‘sport anemia’ è molto più difficile rispetto a chi ne introduce di più, in giusta quantità.

Quali sono gli alimenti ricchi di ferro?

Alimenti ricchi di ferro

Braccio di Ferro è forte perché mangia gli spinaci (perché contengono il ferro)!

Da qui generazioni di bambini costretti dai genitori a mangiare questa verdura. Ma è la più ricca di ferro? No. E Braccio di Ferro avrebbe potuto essere ancora più forte se solo avesse letto questo articolo: avrebbe mangiato altro probabilmente (vedi tabella).

Il ferro si trova in molti alimenti, sia vegetali che animali, i più ricchi sono il fegato, la carne rossa, i legumi, le verdure a foglia verde.

C’è una grande differenza tra il ferro che assumiamo mangiando e quello che effettivamente il nostro corpo trattiene. Al massimo il 10% del ferro introdotto viene assorbito e quindi utilizzato: il ferro è un elemento poco biodisponibile. Ad esempio, se sei un uomo che ha bisogno di 1,3 mg/die, devi assumerne 10 volte di più: 13 mg ogni giorno.

Da ricordare che il ferro contenuto negli alimenti animali – a causa di un meccanismo di assorbimento più efficiente rispetto a quello a cui va incontro il ferro contenuto nei vegetali – è più facilmente assimilabile dall’organismo.

Inoltre, più le riserve di ferritina sono piene, meno ferro sarà captato. Se invece ‘il piatto piange’ e le riserve sono scarse, verrà assorbito molto più ferro.

Alimento mg
Fegato di suino 18
Bistecca di soja 9.2
Fegato di bovino 8.8
Radicchio verde 7.8
Pistacchi secchi 6.8
Fagioli secchi 6.7
Ceci 6.1
Tofu 5.4
Piselli 4.5
Pasta di semola integrale 3.9
Spinaci 2.9
Tacchino 2.5
Bresaola 2.4
Tonno 1.5
Rucola 1.5

Contenuto (mg) di ferro negli alimenti (su 100 g di alimento). Banca Dati di Composizione degli Alimenti per Studi Epidemiologici in Italia, Istituto Europeo di Oncologia (IEO).

L’assorbimento del ferro è influenzato da diversi fattori, alcuni aiutano la sua assimilazione, altri la rendono più difficile.

Fattori che influenzano l’assorbimento del ferro

Fattori che promuovono l’assorbimento intestinale del ferro sono:

  • acido ascorbico (= vitamina C) e acido citrico (agrumi),
  • acidità gastrica,
  • alcuni aminoacidi.

Nei neonati l’assorbimento è molto aiutato dalla lattoferrina, proteina presente nel latte materno.

Fattori che ostacolano l’assorbimento del ferro a livello dell’intestino sono:

  • fibre alimentari (crusca, cereali integrali),
  • calcio e fosforo (latticini);
  • acido tannico (tè, cioccolato),
  • polifenoli (tè, caffè),
  • uso di farmaci antiacidi.

Perciò quando sei a tavola, mettere un po’ di limone (acido citrico e ascorbico) sulla tua porzione di carne rossa sarà un ottimo modo per aiutare il tuo intestino a captare più ferro.
Dall’altra parte, se abbini il tuo secondo di carne ad un formaggio, questo latticino ti renderà più difficile estrarre il ferro presente nella carne.

Conclusioni

Come spesso succede, l’equilibrio sta nel (giusto) mezzo: non devi né esagerare né limitarti nel mangiare alimenti con il ferro.

In caso di patologia, un parere medico e nutrizionale ti aiuterà a migliorare la situazione.
I tuoi livelli di ferritina ti ringrazieranno e la tua performance, se sei uno sportivo, anche.

Nota sull’autore

Dott.ssa Lucia Ienco
Laureata in Biotecnologie presso l’università di Trieste e studentessa magistrale in Scienze dell’alimentazione presso l’università di Firenze. Certificata ISSA CFT3 ed esordiente di weightlifting a livello agonistico.

Bibliografia

  • Burke L., Deakin V. (2010). Clinical Sports Nutrition. McGraw-Hill Australia Pty Ltd. Pagg. 224-232.
  • Clènin G., Cordes M., Huber A., Schumacher YO, Noack P., Scales J., Kriemier S. (2015). “Iron deficiency in sports – definition, influence on performance and therapy”. Swiss Med Wkly.
  • Gropper S., Smith J. (2012). Advanced Nutrition and Human Metabolism. Wadsworth, Cengage Learning. Pagg. 490, 497-499.
  • Liguri G. (2015). Nutrizione e dietologia – Aspetti clinici dell’alimentazione. Bologna, Zanichelli editore S.p.A. Pagg. 91-93, 291.
  • Shiraki K., Yamada T., Yoshimura H. (1977). “Relation of protein nutrition to the reduction of red blood cells induced by physical training”. Jpn J Physiol.

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Amido: cos’è? Caratteristiche e proprietà

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Amido

Amido: che cos’è?

L’amido è un carboidrato complesso (polisaccaride) formato da tante unità di glucosio (polimeri). In natura ha un funzione di riserva energetica nei vegetali, anche se a volte svolge comunque una funzione strutturale. Lo troviamo nei tuberi (manioca e patate), nei semi delle graminacee (riso, frumento, mais, orzo, farro, ecc), nei falsi cereali (quinoa, amaranto, grano saraceno, ecc.) ed in alcuni frutti maturi come la banana e le castagne.

L’amido ha 4,2kcal/g ed è la fonte energetica primaria nell’alimentazione dell’uomo. È formato da due unità: l’amilosio 20% (che ha una forma lineare ripiegata su se stessa) e resistente per più tempo all’azione dei nostri enzimi digestivi e l’amilopectina 80% (che ha una forma ramificata) ed è più facilmente scomponibile in glucosio.

Assieme alla cellulosa ed il glicogeno, l’amido costituisce i polisaccaridi ovvero composti organici formati da carboidrati complessi (una molecola di amido è forma da 300-6000 unità di glucosio).

Qual è la formula dell’amido?

La formula chimica dell’amido è (C6H10O5) dove n indica le molecole di glucosio attaccate tra loro per costituire l’amido. A differenza del glucosio l’amido ha una molecola in meno d’acqua che viene persa durante la sua creazione, catalizzata dall’enzima amido sintetasi. Questa è la ragione per cui l’amido, essendo più “disidratato” ha un potere calorico maggiore (4,2kcal/g) rispetto al glucosio (3,74kcal/g)

Il polisaccaride è costituito 1/5 da amilosio e da 4/5 da amilopectina. Questo lo rende resistente all’azione dei nostri enzimi digestivi e solo attraverso la cottura e la gelatinizzazione dell’amido possiamo digerirlo ed assorbirlo. Altrimenti parliamo di amido resistente , il quale si comporta come una vera e propria fibra alimentare.

Formula chimica amido

Il contenuto di amilosio ed amilopectina determinano l’indice glicemico (IG) degli alimenti amidacei. Maggiore è la quantità di amilopectina più l’IG è alto. Attenzione a considerare troppo l’indice glicemico come un fattore importante per decretare la salubrità di un alimento. È molto più rilevante il carico glicemico anche se pure questo fattore in realtà non è così importante (tranne che per i diabetici di tipo I).

Alimento Amilosio Amilopectina Indice glicemico Carico glicemico
Frumento 28% 72% 54 21
Patata 21% 79% 74 15
Riso bianco 17% 83% 79 19

L’indice glicemico dell’amido non è influenzato solo dal rapporto tra amilosio/amilopectina ma anche dalla cottura e della temperatura con cui viene mangiato. L’amido crudo è resistente all’azione degli enzimi digestivi. La temperatura intorno ai 60° inizia a scindere la struttura dell’amido e lo porta a reidratarsi (gelatinizzazione) rendendolo assimilabile.

Al contrario se l’amido si raffredda tende a ritornare in parte alla sua forma originale retrogradandosi e cristallizandosi.

Come si forma l’amido?

L’amido si crea attraverso la fotosintesi clorofilliana che sintetizza glucosio a partire dall’anidride carbonica, acque e luce, producendo così ossigeno e glucosio. A partire da questo l’enzima amido sintetasi impacchetta il glucosio in tanti polimeri. L’operazione permette alla pianta di perdere per ogni due molecole di glucosio legate, una molecola di acqua, rendendo così il vegetale meno pesante e voluminoso.

Formazione glucosio: anidride carbonica + acqua + luce > glucosio + ossigeno (6 CO2 + 6 H2O + Luce > C6H12O6 + 6 O2)
Formazione glicogeno: Glucosio + enzima > glicogeno + perdita di acqua (n C6H12O6 + enzima > H- (C6H10O5)n-OH + n-1 H2O)

Che funzione ha l’amido? A cosa serve?

L’amido in natura ha proprietà principalmente energetiche, serve come riserva alla pianta e come energia all’essere umano. La nostra alimentazione si basa principalmente sul consumo di amido (dal mais, frumento e riso). L’amido ha diverse funzioni anche nella cosmesi ed in cucina (soprattuto per preparare dolci, torte, biscotti, ecc.). Si utilizzano principalmente 4 tipi di amido:

  • Amido di mais viene usato per creme e salse, si usa soprattutto nei dolci
  • Amido di riso viene usato come addensante soprattuto per le ricette senza glutine e rende morbido il preparato
  • Fecola di patate ha il maggior potere collante ed addensante
  • Amido di frumento si ottiene dal grano tenero, contenente glutine (anche se ha pochissime proteine) e non è adatto ai celiaci

Tipi di amido

Cosa contiene l’amido? In quali alimenti si trova?

L’amido contiene principalmente polimeri di glucosio, anche se si tratta di un carboidrato complesso per venire assorbito dal nostro intestino deve essere scisso in glucosio. Il nostro corpo riesce a captare 1g/kg/h di glucosio.

Gli alimenti contenenti amido sono:

  • Tuberi: patate, batate, manioca
  • Cereali: frumento, mais, riso, farro, segale, orzo, miglio, avena, kamut
  • Falsi cereali: quinoa, amaranto, grano saraceno, chia
  • Legumi: ceci, fagioli, lenticchie, soia, lupini, face, piselli
  • Frutta: castagne, banane

L’amido fa male?

L’amido non fa male, anzi una sua corretta assunzione è correlata ad una buona sensibilità insulinica. Il problema avviene se si assumono troppi alimenti amidacei in un contesto di eccesso calorico. La popolazione moderna oggi assume un eccesso di carboidrati/grassi che portano al sovrappeso e a diverse malattie metaboliche. I carboidrati sono erroneamente incolpati di fare male e far ingrassare.

Nella realtà quotidiana gli amidi per diventare appetibili devono essere accompagnati da sughi e condimenti. L’abbinamento carboidrati-grassi rende il piatto gustoso e palatabile. Un piatto di pastasciutta può raddoppiare il suo contenuto calorico a seconda del sugo che mangiamo.

Un eccesso di carboidrati e grassi nella dieta porta ad insulino resistenza, ma la colpa non è dell’amido ma dell’eccesso calorico. Ricordiamo anche in questo articolo che i carboidrati in un contesto normo-ipocalorico migliorano la tolleranza al glucosio e la sensibilità insulinica, mentre in un contesto ipercalorico portano ad insulino resistenza.

Amido e digestione

La digestione dell’amido inizia nella bocca grazie agli enzimi α-amilasi salivari (ptialina). La loro azione è comunque blanda e dipende da quanto mastichiamo gli alimenti. Gli amidi vengono scissi in maltosio e destrine. Successivamente la digestione dei glucidi si arresta nello stomaco per via dell’acidità dei succhi gastrici, per riprendere nell’intestino dove i succhi pancreatici e intestinali finiranno di scindere gli amidi.

Le cellule epiteliali dell’intestino contribuiscono a scindere i disaccaridi per assorbire i monosaccaridi (glucosio, fruttosio, galattosio) e veicolarlo attraverso il circolo portale al fegato.

L’assorbimento dell’amido dipende dalla sua composizione, dalla cottura e con cosa mangiamo i carboidrati (fibre, grassi, proteine). Mediamente mezzora-un’ora dopo il pasto abbiamo l’ingresso massimo del glucosio nel sangue (130mg/100ml) per poi calare nelle due ore successive.

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Cibi che fanno ingrassare: quali sono?

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Cibi che fanno ingrassare

Uno degli argomenti più diffusi nel mondo dell’alimentazione è quello che si riferisce alle potenzialità intrinseche di un alimento di far ingrassare o dimagrire. Alla base di quest’idea c’è una visione riduttiva di quelle che sono la fisiologia del dimagrimento e le scienze della nutrizione umana che tende a relegare i cibi in “cattivi” o “buoni”, cioè in “cibi che fanno ingrassare” e “cibi che fanno dimagrire”.

Sebbene tale classificazione non ha realmente motivo di esistere, perché a determinare una variazione del peso e del grasso corporeo è in primis il bilancio energetico e poi tutta una serie di fattori anche correlati (come la proporzione dei macronutrienti, lo stato nutrizionale di base dell’individuo, il suo stile di vita complessivo e i livelli di attività fisica), possiamo sicuramente fare delle riflessioni pratiche che ci portino poi ad applicazioni pratiche semplici e dirette per poter impostare una dieta con cibi che fanno dimagrire e per potere riconoscere una dieta con cibi che fanno ingrassare.

Quali sono i cibi che fanno ingrassare?

I cibi che fanno ingrassare possono essere riconosciuti sommariamente sulla base della loro densità energetica. Nello specifico, i cibi che fanno ingrassare, o che possono far ingrassare, sono quelli con un’alta densità energetica e con scarso potenziale saziante.
Inoltre, i cibi che fanno ingrassare sono quei cibi che non ci appagano mai totalmente e che ci spingono a mangiare sempre di più (vedremo che ci sono determinate sostanze contenute in alcuni cibi o prodotti alimentari che contribuiscono a una “pseudo-dipendenza” e che quindi spingono le persone a consumarli in maniera eccessiva.

Abbiamo quindi tre parametri fondamentali per poter riconoscere i cibi che fanno ingrassare:

  • la densità energetica: tale che più un cibo sia denso energeticamente (e caloricamente) e più alto è il rischio che faccia ingrassare;
  • il potenziale saziante: tale che meno un cibo è saziante e più è alto il rischio che ci porti a ingrassare:
  • la palatabilità; maggiore è la palatabilità di un cibo e maggiore è il rischio che faccia ingrassare per un eccessivo consumo alimentare.

Quali sono i cibi che fanno mettere su più peso in assoluto?

I cibi che fanno mettere su peso di più in assoluto sono i cibi ad alta densità energetica che, inoltre, mostrano anche un basso potenziale saziante e un’alta palatabilità per il soggetto.

La palatabilità dipende ancora una volta dal contenuto di grassi (un cibo maggiormente ricco di grasso è maggiormente palatabile), dal contenuto di zuccheri (o meglio, dal suo gusto “dolce”) e / o dal contenuto di sale (un cibo più salato è tendenzialmente più palatabile di un cibo insipido).

La densità energetica di un alimento o di una bevanda può variare da 0 calorie per grammo a 9 calorie per grammo e varia in base alle proporzioni dell’acqua (0 calorie per grammo), fibra (circa 2 calorie per grammo), carboidrati (4 calorie per grammo ), proteine ​​(4 calorie per grammo), alcol (7 calorie per grammo) e grassi (9 calorie per grammo).

Quindi, banalmente, un cibo ricco di fibre alimentari e acqua è a bassa densità energetica e un cibo ricco di grassi è ad alta densità energetica. Sulla base di questi dati possiamo distinguere i cibi in alta – media e bassa densità energetica, e quindi, per estensione, in cibi che fanno ingrassare, cibi un po’ meno ingrassanti, e cibi che fanno dimagrire.

Chiariamo sempre, però, che tecnicamente nessun cibo in sé fa ingrassare e nessun cibo fa dimagrire, è la somma che fa il totale, quindi l’intera alimentazione che va considerata, nel contesto dell’apporto energetico e calorico totale.

Alimenti che fanno ingrassare

Quali sono i cibi che saziano di più?

Il potenziale saziante di un cibo può dipendere da tantissimi fattori, ma in primis può essere riconosciuto analizzando la proporzione dei macronutrienti che costituiscono l’alimento. Nello specifico, in una teorica gerarchia dei macronutrienti per quanto riguarda il potenziale saziante troviamo:

  1. le proteine e le fibre al primo posto;
  2. i carboidrati complessi sono al secondo posto;
  3. i grassi sono all’ultimo posto.

Inoltre, se volessimo approfondire la questione, dovremmo dire che i carboidrati e i grassi hanno una dinamica di azione sulla sazietà che è sostanzialmente diversa: i carboidrati, in generale, saziano leggermente di più dei grassi (comparando l’apporto calorico) ma hanno un effetto più acuto, mentre i grassi agiscono sulla sazietà più nel medio – lungo termine, contribuendo ad allungare l’intervallo di tempo tra un pasto e l’altro piuttosto che alla cessazione del pasto, Figura.

Potere saziante macronutrienti

Il meccanismo d’azione con cui i grassi alzano la sazietà più a lungo termine è rappresentato dalla loro capacità di aumentare i tempi di svuotamento gastrico (per cui “lo stomaco è pieno per più tempo” – e la pienezza dello stomaco segnala “sazietà” ai centri nervosi che sovrintendono il comportamento alimentare.).

Elenco dei cibi che fanno ingrassare

Come detto precedentemente, i cibi che fanno ingrassare sono quelli ad alta densità energetica. Inoltre, se questi cibi sono anche poco sazianti e molto palatabili (la palatabilità è data proprio da una combinazione di zuccheri e grassi, oppure da un gusto “dolce” o “salato”) saranno ancora potenzialmente più pericolosi per la nostra linea.

Se volessimo fare un breve elenco dei cibi che fanno ingrassare dovremmo sicuramente menzionare le categorie di cibi che sono ricchi di grassi e / o poveri di acqua e fibre. Un po’ più giù, invece, troveremmo i cibi che, anche poveri di grassi, sono comunque ricchi di carboidrati e poveri di fibre:

Cibi ricchi sia di zuccheri che di grassi
Dolci, merendine, biscotti
Prodotti da forno con burro e farciti di creme ricche di grassi e dolci
Cibi poveri di grassi ma comunque molto ricchi di zuccheri e poveri di acqua
Frutta essiccata / disidratata
Cereali e derivati poveri di fibre (in genere prodotti raffinati)
Cibi poveri di zuccheri e carboidrati ma molto ricchi di grassi
Olio, burro, lardo, strutto e tutti i condimenti grassi
Carne rossa e tagli di carne ricchi di grassi
Formaggi stagionati (ricchi di grassi e sale)
Frutta secca / oleosa*
  • Dolci, biscotti, merendine e prodotti da forno fatti con burro e farciti di creme a base di grassi e zuccheri.
  • Olio, burro, lardo, strutto e tutti i condimenti grassi.
  • Carne rossa e tagli di carne più ricchi di grassi.
  • Formaggi stagionati (ricchi di grassi e sale).
  • Frutta oleosa (in teoria noci, mandorle, nocciole, pistacchi e via dicendo sono molto ricchi di grassi, per cui sono densi energeticamente. Per il loro contenuto di fibre, però, stando attenti alle quantità possono anche essere annoverati tra i cibi “non ingrassanti”).
  • Frutta secca / disidratata (sono cibi poveri di acqua e fibre e quindi molto concentrati di zuccheri).
  • Cereali e derivati (in particolare quelli più poveri di fibra).

Quali sono i cibi che non fanno ingrassare?

I cibi che non fanno ingrassare sono, al contrario, i cibi meno ricchi di grassi e zuccheri semplici e più ricchi di acqua e fibre, con una buona proporzione carboidrati: proteine. Quindi:

Cibi ricchi di fibre e acqua e poveri di grassi
Verdure
Ortaggi
Frutta fresca
Cibi con medio – alto contenuto di carboidrati ma ricchi di fibre e/o acqua
Cereali integrali
Legumi
Patate
Cibi ricchi di proteine ma poveri di grassi
Pesce (anche il pesce più grasso è comunque considerabile magro)
Uova
Tagli di carne magri (in genere carne bianca, ma anche alcuni tagli di carne rossa)
Latticini a basso contenuto di grasso e formaggi magri
  • La quasi totalità di verdure e ortaggi
  • La quasi totalità della frutta fresca (sebbene ci siano frutti più zuccherini e poveri di fibre e frutti più fibrosi e meno dolci)
  • I legumi
  • I cereali e derivati più ricchi di fibre, in generale quelli “integrali”
  • Le patate (non sono così ricche di calorie come si potrebbe pensare, e bollite sono molto sazianti)
  • I tagli di carne magri
  • Il pesce
  • Le uova
  • I latticini e i formaggi magri

Conclusioni sui cibi che fanno ingrassare

Alla fine di questo articolo abbiamo appreso degli aspetti importanti per poter classificare – in maniera abbastanza generale – gli alimenti in cibi che fanno ingrassare e cibi che fanno dimagrire. C’è sicuramente da chiarire, di nuovo, che nessun cibo ha un potenziale ingrassante intrinseco, e nessun cibo può far dimagrire.
Ciò che conta realmente è la quantità di cibo che si mangia e, nello specifico, la quantità di calorie che si assumono ogni giorno per un periodo di tempo lungo (mesi e anni).

Poiché la composizione in macronutrienti e la quantità di acqua in un cibo possono rappresentare una misura surrogato della sua densità energetica, del suo potenziale saziante e della sua palatabilità, allora su queste basi possiamo parlare di cibi che fanno ingrassare (quelli più ricchi di grassi e poveri di fibre) e cibi che fanno dimagrire (quelli poveri di grassi e zuccheri e molto ricchi di acqua e fibre).
Nel mezzo, poi, ci possono stare tutti i cibi esistenti, in funzione del loro contenuto di proteine, del rapporto grassi/carboidrati, del loro contenuto di sale e via dicendo.

Un’implicazione pratica importante è di non evitare assolutamente i cibi molto densi energeticamente, quindi  “i cibi che fanno ingrassare”, perché in realtà possono contribuire al nostro fabbisogno nutrizionale (e poi si mangia anche per “piacere”, e un’alimentazione senza cibi che ci piacciono o che sono palatabili è un’alimentazione, in genere, poco sostenibile nel lungo periodo); piuttosto, bisogna riconoscerli e quindi fare attenzione alle dosi e alle porzioni di questi cibi.

Viceversa, con i cibi poco densi energeticamente (verdure e ortaggi in primis), possiamo maggiormente osare con le porzioni, aumentando la sazietà dell’intero pasto (stando attenti a non esagerare perché un apporto eccessivo di fibre può anche causare disturbi gastrointestinali come gonfiore, dolori addominali e via dicendo).
Inoltre, tenete presente che se a un cibo classificato come “cibo che fa dimagrire” aggiungiamo un condimento grasso, allora quel cibo non è più poco denso energeticamente ed è quindi pericoloso per il nostro peso forma.

Ciò che bisogna fare, dunque, è creare un’alimentazione che sia composta sia da cibi densi energeticamente che cibi meno densi energeticamente, e riuscire ad abbinarli nella maniera migliore possibile per ognuno di noi, facendo chiaramente più attenzione ai “cibi che fanno ingrassare”.

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Libri sull’alimentazione: quali scegliere

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In commercio si trovano diversi libri che trattano l’argomento: alimentazione, nutrizione, diete. Spesso si legge tutto e l’opposto di tutto, la carne va evitata, no sono i carboidrati da togliere, bisogna mangiare secondo il proprio gruppo sanguigno, ecc. Potremmo dire che i libri vengono scritti, se l’autore si inventa qualcosa di nuovo da dire, che vada in conflitto con i libri e le convinzioni precedenti.

Perchè succede questo, come scegliere un libro sull’alimentazione?
La risposta è dipende, perchè dipende dal nostro livello, ci sono tre categorie di libri sulla nutrizione:

  1. universitari (trattano di argomenti specifici e tecnici, sono poco pratici)
  2. divulgativi (non vendono nessuna dieta e provano a semplificare i concetti universitari)
  3. diete (parlano di una dieta specifica, spesso come la migliore del mondo, sono estremamente pratici)

L’errore di fondo, quando si cerca un libro sulla nutrizione è pensare che quelli messi nella terza categoria dicano il vero. Spesso confondiamo il marketing dell’autore con la fisiologia e la biochimica. Citare studi scientifici non fa di un libro un testo scientifico. Ogni autore seleziona gli studi a lui più comodi, o semplicemente porta come bibliografia studi che dicono altro, sapendo che tanto il 99,9% di chi legge non andrà mai a controllare.

In questo articolo sui libri di alimentazione sana, vi diamo i testi da noi consigliati, per avere un’idea sulla nutrizione umana, ed essere più consapevoli.
Li divideremo nelle 3 categorie mettendo il link ad Amazon per consultarli (non abbiamo nessun programma di affiliazione e non percepiamo nessun guadagno da questo).

Libri sull’alimentazione universitari

Premesse, diversi libri per essere compresi al 100% richiederebbero lo studio di testi di chimica, chimica organica e biochimica. Metteremo dei manuali che siano comprensivi, almeno in parte, anche a chi non ha queste nozioni, quindi non vi metteremo i Principi di biochimica di Lehninger o Introduzione alla chimica organica di Brown.

Le basi molecolari della nutrizione (Arienti)

le basi molecolari della nutrizione

Libro storico dell’università, riesce a fornire spiegazioni chiare sul come e perchè la nutrizione interagisce con la nostra biochimica. Saltuariamente (e per i libri universitari non è scontato) da anche spunti pratici per comprendere come comportarsi a tavola. Consigliato a chi vuole avere una solida base.

Biochimica medica (Siliprandi)

Biochimica medica

Testo di biochimica ma con delle forte connotazioni sull’alimentazione. Importanti i capitoli sul digiuno, la chetosi ed il metabolismo glucidico, per comprendere meglio i macronutrienti nella nutrizione. 50% del libro è biochimica ed è comprensibile solo per chi l’ha studiata. Consigliato comunque a tutti quelli che vogliono approfondire.

Alimentazione e nutrizione umana (Costantini)

Alimentazione e nutrizione umana

Libro di base dell’università Italiana spiega le ragioni per cui la dieta mediterranea è un ottimo regime alimentare (la vera dieta mediterranea). Mostra perchè i carboidrati non facciano ingrassare e da le linee guida di una sana alimentazione.

Alimentazione nello sport (Mc Ardle)

Alimentazione nello sport

Libro di nutrizione applicata allo sport. Testo un po’ datato ma spesso si cercano nuove soluzioni, nuove strategie, per poi, una volta studiato ed applicato, riscoprire che quello che si sapeva 40 anni fa, è ancora oggi alla base della nutrizione sportiva.

Nutrizione umana (Rivellese)

Nutrizione umana

Bellissimo libro, ma non l’ho letto 🙂 L’abbiamo messo perchè è stato segnalato da molti biologi nutrizionisti come testo essenziale da includere.

Libri di nutrizione divulgativi

Questi probabilmente sono i libri migliori per gli appassionati o chi non viene da un percorso universitario. La cosa difficile è spesso capire qual è un libro divulgativo da uno commerciale che vuole venderti le idee del suo autore. Purtroppo il marketing delle diete, viene oggi visto dalle persone come se fosse scienza. Pertanto si crede che le calorie non contino, che determinate categorie d’alimenti facciano male, ecc.

Project Diet (Esposito)

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Anche se il titolo può trarre in inganno, Project Diet è il nostro libro più tecnico ed approfondito. Attraverso una lettura di tutte le diete famose al mondo, le smonta mostrando i principi biochimica e di fisiologia per cui l’autore forza, per portarla dalla sua parte, la scienza. È un libro che affronta l’alimentazione a 360°, un manuale da avere sia per i professionisti che per chi vuole realmente comprendere. Unico difetto sono 1200 pagine, quindi non è adatto a tutti.

Project Nutrition

Project Nutrition

Il nostro libro di base, scritto da oltre 20 autori, che spiega tutti i concetti di nutrizione, nel modo più semplice e chiaro possibile. Solo un paio di capitoli sono forse troppo tecnici. Non adatto a chi non vuole studiare ma solo leggere, ma un’ottima base per poi poter affrontare la lettura di tutti gli altri testi universitari.

Collana di Bressanini

Contro natura

Bressanini è un professore universitario di chimica. Da anni fa il divulgatore scientifico su temi che riguardano l’alimentazione ma non solo. I suoi libri sfatano diversi miti riguardanti il cibo ed insegnano a mangiare in modo gustoso e sano. Consigliato per chi vuole avere una visione completa della nutrizione che non riguarda il dimagrimento.

Principi della nutrizione (Albanesi)

Principi della nutrizione

Libro di base, spiegato bene che aiuta ad impostare una dieta sana ed equilibrata. Contiene alcune inesattezze, come che i carboidrati si trasformano in grassi (mito perpetrato da quasi tutti), ma comunque un libro da leggere per iniziare a comprendere meglio di sana alimentazione.

Alimentazione, fitness e salute (Neri)

Alimentazione, fitness e salute

Libro di base che spiega macronutrienti, micronutrienti e principi generali sulla nutrizione. Ha un riflesso sul mondo del fitness e della palestra.

300 inVictus (Tacconi, Soliman)

300 invictus

Il nostro libro sull’alimentazione sportiva. Adatto a chi pratica sport misti (di squadra, combattimento, Crossfit, Calithenics, ecc.) e vuole avere indicazioni pratiche sia per migliorare la performance sia la composizione corporea.

Libri sulle diete

Questa sezione è praticamente infinita. Ogni mese nasce qualche dieta nuova e qualche luminare “scopre” qualche segreto metabolico sconosciuto. Mettiamo qualche libro comunque da leggere per avere una cultura generale, anche se il consiglio è quello di crearsi degli anticorpi coi libri sopra consigliati.

La dieta della longevità (Longo)

La dieta della longevità

È possibile vivere più a lungo curando l’alimentazione? La risposta è si e per farlo basta seguire una dieta ipocalorica. Il ricercatore scientifico Longo mostra i risultati delle sue ricerche sul digiuno, tirando un po’ la scienza a suo favore perchè il digiuno è semplicemente una dieta ipocalorica ed a parità di deficit nel tempo, non ci sono reali vantaggi nel digiunare rispetto al mangiare meno.

La grande via (Berrino)

La grande via

Un’alimentazione sana è un’alimentazione basata principalmente sul consumo di piante. Anche se gli autori a nostro avviso sono troppo estremisti, un libro per comprendere come si possa adottare uno stile di vita sano.

La chetodieta (Tommasini)

La chetodieta

Libro completamente opposto dai precedenti, mostra in modo scientifico e non arbitrario come approcci opposti possano portare al medesimo risultato. Se volete conoscere meglio una dieta povera di carboidrati, questo è un libro non fazioso o di parte.

 

Ecco una lista di libri sull’alimentazione sportiva ma non solo, che per noi devi leggere e conoscere. Se pensi che manchi ancora qualche testo fondamentale segnalacelo nei commenti. Se vedremo che siete in diversi ad indicarlo lo metteremo tra questi, grazie 🙂

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Alimenti ricchi di proteine

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Quali sono gli alimenti più ricchi di proteine?

Esistono tantissimi alimenti ricchi di proteine, sia da fonti animali che da quelle vegetali. Nella prima categoria tuttavia troviamo alimenti proteici ricchi anche di grassi, nella seconda di carboidrati. Pertanto quando ci apprestiamo a scegliere dei cibi proteici, possiamo cercare di selezionare o soli quelli ricchi di proteine, o anche quelli che abbiano altri macronutrienti.

Elenco alimenti ricchi di proteine

Con sole proteine Con grassi Con carboidrati
Albume Carni grasse Legumi
Bresaola e Fesa di tacchino Pesci grassi Soia e derivati (è un legume)
Proteine in polvere Formaggi e uova intere Formaggi magri
Petto di pollo e di tacchino (carni magre) Frutta secca e semi Yogurt greco magro
Merluzzo (e pesci magri) Insaccati

Quali sono i cibi ricchi di proteine e poveri di grassi?

Gli alimenti ricchi di proteine ma poveri di grassi sono le carni e pesci magri, gli integratori proteici, alcuni affettati (fesa e bresaola), l’albume i legumi (compresa la soia e derivati) e tutti i latticini magri (in primis lo yogurt greco).

Alimenti ricchi di proteine

Quali alimenti sono ricchi di proteine vegetali?

Anche nel regno vegetale troviamo diversi alimenti con tante proteine, è un vecchio mito che le possiamo assumere protidi solo dalla carne. Ecco un elenco di cibi proteici senza carne.

  • Lupini, soia e legumi in generale (ceci, fagioli e lenticchie), hanno contenuti importanti.
    I legumi con più proteine sono:
Alimento Proteine su 100g
Lupini 36g
Lenticchie 26g
Fagioli 20,2g
Ceci 19,3g
Soia secca/idratata 36/13g
  • Nei cereali troviamo buoni contenuti nell’avena (16g/100g), farro, orzo e frumento.
  • Anche i falsi cereali come la quinoa, grano saraceno, amaranto hanno 13-14g/100g.
  • La frutta secca, pur contenendo tanti grassi e fibre alimentari ha un 26-10% di proteine.
  • Infine i derivati della soia col il seitan ed il tempeh arrivano a 24-19g/100g.
  • Non dimentichiamoci poi tutti le proteine in polvere vegetali che vanno ad integrare gli altri alimenti

Quali sono gli alimenti ricchi di proteine nobili?

Le proteine col più alto valore biologico sono quelle considerate come proteine nobili. Sono presenti nel regno animale (sono i cibi che contengono proteine animali) perchè sono più completi e meno carenti di uno o più aminoacidi. Ai primi posti troviamo l’uovo, seguito dai latticini, dalla carne ed infine dal pesce. Tutti questi alimenti hanno alti valori biologici e vengono considerati proteine nobili.

Attenzione che mischiando le varie fonti alimentari si ottengono proteine nobili partendo anche dalle fonti vegetali. Quindi in una dieta vegetale o vegana basta tenere un buon quantitativo proteico senza preoccuparsi della qualità delle proteine (o di completare lo spettro aminoacidico nello stesso pasto).

Alimenti ricchi di proteine a colazione?

Per chi cerca una buona colazione con un buon quantitativo proteico, può indirizzarsi verso l’avena, yogurt greco, uova, frutta secca, pancackes proteici, salmone affumicato e proteine in polvere. Leggi questo articolo sulla colazione proteica se ti interessa approfondire il tema.

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Benefici della pasta integrale: fa realmente dimagrire?

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Pasta integrale

La pasta integrale oggi “va di moda”, ma è veramente un alimento valido? Sì! Mangiare integrale è meglio. Non perché contiene una molecola miracolosa che ti fa dimagrire, ma perché le caratteristiche della pasta integrale la rendono un alimento “più ricco” e con più benefici rispetto alla pasta non integrale!
Infatti, ci sono molti più micronutrienti – come vitamine e minerali – e più fibre alimentari.

Pasta integrale: che cos’è?

La pasta integrale è un tipo di pasta che si distingue dalla pasta non integrale per il colore più scuro, il gusto più amaro e le caratteristiche nutrizionali.

La pasta si ottiene dall’unione di semola di grano duro e acqua. La peculiarità è che – a differenza della non integrale – non avviene il processo di raffinazione: quasi tutte le parti del chicco sono mantenute, anche le più esterne. Proprio queste, che nei prodotti raffinati sono scartate, sono le responsabili delle caratteristiche tipiche della pasta integrale.

Nella pasta integrale trovi più fibre, più minerali (come ferro, magnesio, zinco, selenio) e più vitamine del gruppo B, rispetto al corrispondente prodotto che ha subito raffinazione.

Questa pasta ormai puoi trovarla in ogni supermercato, ma per essere sicuro che sia veramente integrale, nella tabella dei valori nutrizionali riportati sulla confezione, devono esserci almeno 7 g di fibre su 100 g di prodotto! Se ci sono meno grammi di fibre non è davvero integrale.
Inoltre, oltre alle fibre ci dovrebbe essere una quota lipidica almeno superiore ai 2g. Altrimenti è una pasta raffinata, a cui è stato tolto il germe (la parte lipidica del cereale) e successivamente è stata aggiunta nuovamente la crusca.

Quando poi cucini la pasta, un buon indice di qualità di cottura è la presenza nell’acqua di cottura di una rete continua di proteine del glutine coagulate (= addensate), che intrappolano le molecole di amido.

Benefici della pasta integrale

La semplice abitudine di comprare la pasta integrale al posto di quella non integrale può aiutarti a mantenere la tua salute.
Infatti, ha tanti benefici che – in linea con uno stile di vita sano – concorrono a prevenire l’insorgenza di numerose patologie:

  • malattie cardiovascolari;
  • cancro, che insieme alle precedenti, oggi è tra le principali cause di morte;
  • malattie respiratorie;
  • malattie metaboliche, come il diabete;
  • allergie.

Il sistema nervoso, invece, non trae beneficio dall’apporto di cibi integrali.

Inoltre, il consumo di carboidrati complessi contribuisce a mantenere l’omeostasi del glucosio e dell’insulina (in soggetti sani) subito dopo ai pasti: i livelli ematici di glucosio restano più bassi. A differenza dei carboidrati raffinati, che, invece, innescano un rapido aumento della concentrazione di glucosio – e di insulina – nel sangue.

Quindi, questo prodotto aiuta nel controllo del peso corporeo, con conseguente riduzione dell’incidenza della condizione di sovrappeso e obesità. Questo aspetto è meglio chiarito nel capitolo successivo!

Da un punto di vista meno clinico e più strettamente nutrizionale, la pasta integrale ti aiuta anche a raggiungere il fabbisogno giornaliero di fibre, circa 25-35g.

Benefici pasta integrale

La pasta integrale fa dimagrire

Presupposto fondamentale: non è il singolo alimento con le sue calorie e le sue proprietà a farti perdere peso, ma come questo alimento è inserito correttamente in un contesto di vita sana.

Se non eccedi nel tuo fabbisogno calorico giornaliero, la pasta integrale sicuramente aiuta a farti dimagrire.
Perché?
Nella pasta integrale, come negli altri prodotti integrali, ci sono le fibre: carboidrati che non puoi digerire ma che portano effetti positivi al tuo organismo.

Vediamo subito quali sono.
La presenza delle fibre nel canale digerente aumenta:
– il senso di sazietà: se mangi un piatto di pasta non integrale o la stessa quantità di integrale, nel secondo caso avrai poi meno fame;
– il tempo di transito del cibo: lo stomaco si svuoterà in tempi più lunghi e questo concorre al senso di sazietà.

Se sommi questi due fattori, puoi accorgerti che mangiare la pasta integrale – in alternativa alla pasta non integrale – ti aiuta a controllare la fame e quindi il peso, limitando il rischio di andare incontro alla condizione di sovrappeso.

Quali sono le proprietà della pasta integrale?

Rispetto al corrispettivo non integrale, la pasta integrale è caratterizzata da un indice glicemico più basso e dalla presenza di fibre. Le fibre presenti sono soprattutto di natura insolubile (es. cellulosa) e sono fondamentali per la salute del microbiota: la flora batterica che si trova nel nostro intestino.

Molto importante è anche la maggior quantità di micronutrienti, che di “micro” hanno solo il suffisso e non i benefici; nella pasta integrali trovi:

  • vitamina E: un antiossidante necessario per la funzione cellulare;
  • vitamina B: fondamentale per molte reazioni metaboliche;
  • minerali (calcio, ferro, magnesio, zinco, selenio): che concorrono a permettere un corretto funzionamento dell’organismo, sia in quanto co-fattori di reazioni del metabolismo, sia in quanto normali componenti di fluidi e tessuti corporei (es. calcio nel tessuto osseo).

Proprio per questi attributi, la pasta integrale è un valido alimento per chi è in una fase di riduzione del peso. Infatti, quando diminuisci la quantità di cibo ingerito, non diminuiscono solo le calorie, ma anche i micronutrienti di cui il corpo ha sempre bisogno.
Quindi – a parità di calorie introdotte – mangiare prodotti integrali ti permettere di mantenere il tuo fabbisogno di micronutrienti, nonostante il taglio calorico.

Quali sono i benefici della pasta integrale biologica?

Cos’è un prodotto biologico? È un prodotto che deriva da un processo rispettoso di standard etico-ambientali (come l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali) e che esclude l’utilizzo di sostanze chimiche (come diserbanti, concimi, pesticidi).

Quindi, quando compri la pasta biologica (ma anche qualsiasi altro prodotto biologico) compri un po’ di salute in più, perché chi ti vende il prodotto ti assicura che mangerai qualcosa con meno sostanze chimiche rispetto ai prodotti non biologici.

È anche vero che se preferisci il biologico sei una persona che tendenzialmente ha uno stile di vita più sano: acquisti più frutta, verdura e prodotti integrali, fai attività fisica e non fumi. La somma di tutti questi elementi ci dice che ‘mangiare biologico’ fa bene perché è una scelta accompagnata da altre scelte sane.

Mangiare biologico e avere uno stile di vita sbagliato (alimentazione scorretta, stile di vita sedentario, fumo, alcol) non aiuta la tua salute.

In termini più medici, meno sostanze chimiche (come i pesticidi) introduci e meno rischio di andare incontro ad alcune malattie hai. Ad esempio, hai meno probabilità di sviluppare il morbo di Parkinson, il diabete di tipo 2, alcuni tipo di cancro.

Ultima ma non meno importante osservazione: è sbagliato pensare che la pasta biologica sia nutrizionalmente migliore perché i macronutrienti, le vitamine e i minerali sono gli stessi, che il prodotto sia biologico o no.

Conclusioni sui benefici e i vantaggi della pasta integrale

La pasta integrale è sicuramente un alimento valido, da provare ad introdurre nei tuoi pasti se non l’hai già fatto: contribuirà a migliorare (o a mantenere) il tuo stato di salute. Altrettanto certo è che pensare di mangiare integrale perché magicamente ti farà perdere grasso è sbagliato.

Con un bel piatto di pasta sarai sicuro di introdurre non solo i macronutrienti di cui hai bisogno, ma anche vitamine, sali minerali e fibre: indispensabili per il corretto funzionamento del tuo organismo!

Alla fine dei conti la nostra salute è sempre il risultato di più fattori che concorrono: la pasta integrale può essere uno dei tanti e di facile applicazione.

Nota sull’autore

Dott.ssa Lucia Ienco
Laureata in Biotecnologie presso l’università di Trieste e studentessa magistrale in Scienze dell’alimentazione presso l’università di Firenze. Certificata ISSA CFT3 ed esordiente di weightlifting a livello agonistico.

Bibliografia/sitografia

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Giacco R., Della Pepa G., Luongo D., Riccardi G. (2011). “Whole grain intake in relation to body weight: from epidemiological evidence to clinical trials”. Nutr Metab Cardiovasc Dis.
Marti A., Cattaneo S., […], Pagani MA (2017). “Characterization of Whole Grain Pasta: Integrating Physical, Chemical, Molecular and Instrumental Sensory Approaches”. J Food Sci.
Marventanp S., Vetrani C., […], Grosso G. (2017). “Whole grain intake and glycemic control in healthy subjects: a sysitemic review and meta-analysis of randomized controlled trials”. Nutrients.
Medeiros D & Wildman R. (2019). Advanced Human Nutrition. Jones & Bartlett Learning.
Melanson KJ, Angelopoulus TJ, Nquyen VT, Martini M., Zukley L., Lowndes J., Dube TJ, Fiutem JJ, Yount BW, Rippe JM (2006). “Consumption of whole-grain cereals during weight loss: effects on dietary quality, dietary fiber, magnesium, vitamin B-6 and obesity”. J AM Diet Assoc.
Mie A., Andersen R., […], Grandjean P. (2017). “Human health implications of organic food and organic agriculture: a comprehensive review”. Environmental Health.
aiab.it/il-bio
www.treccani.it

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Acidi grassi saturi: fanno bene o male?

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Acidi grassi saturi

 “I grassi fanno male”: affermazione troppo generale di cui siamo saturi, come i grassi che stai per conoscere meglio. 

Gli acidi grassi sono in grado di influenzare lo stato di salute e il rischio di malattia, perciò è bene conoscerli e prendere le giuste misure. 

Gli acidi grassi saturi non fanno bene, soprattutto al tuo cuore e al tuo sistema circolatorio.  È anche vero però che escluderli totalmente dalla propria alimentazione è difficile e che se la loro quantità è minore del 10% del tuo fabbisogno energetico giornaliero puoi vivere comunque tranquillo!

Sicuramente più salutari sono gli insaturi: sono grassi che fanno bene (in giusta quantità), chi l’avrebbe detto?

I ricercatori che hanno studiato e stanno studiando questo, per esempio. 

Che cosa sono i grassi saturi?

Gli acidi grassi saturi sono un membro della grande famiglia dei lipidi. Hanno una struttura abbastanza semplice: ci sono più atomi di carbonio (C) legati tra loro in modo lineare e con legame singolo (= saturo), oltre che ad un gruppo carbossilico (R – COO –) che caratterizza tutti gli acidi grassi. 

La maggior parte di questi acidi grassi ha una catena corta o media (al massimo 12 atomi di C), ma ce ne sono anche alcuni a catena lunga (più di 12 atomi di C).

Li troviamo prevalentemente in alimenti di origine animale, che sono allo stato solido a temperatura ambiente (pensa al burro o allo strutto, per esempio): una caratteristica conferita proprio dalla presenza dei legami singoli. 

Qual è la differenza tra grassi saturi e grassi insaturi?

La differenza tra i due consiste nella struttura: gli insaturi lungo la loro catena carboniosa oltre ai legami singoli presentano anche legami doppi (= insaturazioni).

Le insaturazioni si trovano su acidi grassi a catena lunga (con più di 12 atomi di carbonio) e possono essere una o più: quando ce n’è una sola si parla di acidi grassi monoinsaturi (MUFA), mentre – se ce ne sono di più – li definiamo polinsaturi (i famosi PUFA, come ω-3 e ω-6).

Una diversità minima ma che per il nostro organismo fa la differenza, infatti svolgono una funzione opposta sulla nostra salute:

  • i grassi saturi favoriscono la genesi di patologie cardiovascolari;
  • i grassi insaturi, invece, la limitano e prevengono.

Qualche informazione in più sui PUFA: li trovi principalmente negli oli vegetali, come l’olio di girasole, di mais, di cartamo, di lino, di soia e negli oli di pesce, poiché contengono acido linoleico, linolenico e arachidonico. 

In particolare, le migliori fonti alimentari di ω-3 sono i pesci dei mari freddi e i semi di lino; mentre quelle di ω-6 sono gli oli di semi, la frutta secca e i legumi.

I grassi saturi fanno male?

Sì, se nella tua dieta sono troppo presenti. Considera il tuo fabbisogno energetico totale della giornata: se più del 10% dell’energia che ti serve deriva dagli acidi grassi saturi è meglio iniziare a ridurli! 

Come fanno male? In eccesso, questi favoriscono l’insorgenza dell’aterosclerosi, che di brutto non ha solo il nome: in modo progressivo e cronico il vaso sanguigno arterioso si ostruisce. La parete interna del vaso si inspessisce a causa di un accumulo lipidico, che non può che peggiorare se continui ad eccedere con gli alimenti ricchi di acidi grassi saturi. 

Questi agglomerati (che in termini tecnici definiamo placche aterosclerotiche) non permettono al sangue di scorrere correttamente, con conseguenze sicuramente negative per l’organismo. Quindi, tramite questo meccanismo, i saturi aumentano la probabilità di andare incontro a patologie cardiovascolari.

Se inoltre sei già geneticamente predisposto a questa tipologia di malattie, è ancora più necessario stare attenti al consumo dei saturi.

Acidi grassi saturi fanno male

In quali alimenti si trovano i grassi saturi?

Gli alimenti che presentano una maggiore quantità di acidi grassi saturi sono i grassi di origine animale, le carni rosse grasse, i derivati del latte e i prodotti da forno industriali. Per più dettagli è meglio dare un’occhiata alla tabella sottostante.

Per avere un altro punto di riferimento, considera che la maggior parte della frutta e della verdura contengono pochissimi acidi grassi saturi: tra 0 e 1 g per 100 g di prodotto.

Alimento (100 g) Acidi grassi saturi totali (g)
Burro  48.67
Olio di palma 47.10
Margarina panetto vegetale 42.59
Strutto  42.47
Lardo  33.12
Pancetta di maiale 23.70
Cioccolato fondente 20.25
Emmenthal  17.83
Costoletta di agnello con grasso visibile 17.66
Pasta sfoglia 15.77
Feta  14.19
Burro di arachidi 10.62
Croissant 10.20
Salsiccia di suino fresca 9.44
Biscotti integrali 5.96
Yogurt greco 4.83
Pollo intero con pelle 3.27
Latte di vacca intero 2.11
Latte di vacca parzialmente scremato pastorizzato 0.89

Estratto della Banca Dati di Composizione degli Alimenti per studi epidemiologici in Italia.

I grassi saturi fanno ingrassare?

Se introducendoli nella dieta superi il tuo fabbisogno calorico sicuramente

Presa questa come regola generale della biochimica del nostro organismo, aggiungiamo un dettaglio: un eccesso di acidi grassi può portare anche a malattie di tipo metabolico. Quindi, se questa malattia del metabolismo ci predispone all’accumulo di lipidi, possiamo dire che i grassi ci fanno ingrassare.  

Quali sono i grassi saturi “buoni”?

Gli acidi grassi saturi a catena media, che sono presenti soprattutto nell’olio di cocco (che comunque non rimane un olio vantaggioso rispetto a quello d’oliva). A differenza degli altri saturi questi sono “buoni” perché sono facilmente assorbibili dall’intestino e convertiti in corpi chetonici, che forniscono energia al cervello in alternativa al glucosio. Questa tipologia di grasso si trova anche in latte e latticini.

Questi grassi sono talmente ‘buoni’ che sono addirittura previsti come nutrienti importanti per i soggetti che sono predisposti a problemi di memoria, ad esempio a causa del morbo di Alzheimer. 

Anche l’acido grasso saturo stearico viene desaturato dal nostro organismo in acido oleico (un acido grasso insaturo) e pertanto non fa male al nostro corpo.

L’acido palmitico che tanto è stato osteggiato dai sostenitori che l’olio di palma faccia male, è in realtà il primo acido grasso che il nostro corpo si produce da s’è dalla neolipogenesi (a conversione del glucosio in acidi grassi). Se non eccediamo con la sua assunzione, non ha particolari effetti negativi, al contrario l’eccesso porta ad insulino resistenza ed aumenta anche la predisposizione per alcuni tipi di cancro.

Grassi saturi e insaturi: quali fanno più male?

A questo punto la domanda diventa quasi retorica.

Un altro aiuto per rispondere: è molto consigliato sostituire gli alimenti ricchi di saturi presenti nella dieta con quelli ricchi di grassi polinsaturi. Infatti, se attui questa strategia, il rischio di patologie alle coronarie (le arterie che portano il sangue ricco di ossigeno al cuore) si riduce addirittura del 26%!
Sostituire i saturi con carboidrati raffinati, invece, non sortisce nessun miglioramento.

Quindi, la risposta è: in termini generali fanno più male i saturi.

Gli acidi grassi insaturi sono infatti considerati grassi “buoni”, perché sono capaci di abbassare significativamente i livelli di colesterolo nel sangue. Ad esempio, i PUFA sono impiegati nel trattamento delle ipercolesterolemie e nella prevenzione dell’aterosclerosi.

Acidi grassi saturi e colesterolo

I grassi saturi fanno male al colesterolo?

Solo se li assumi in eccesso! Se mangiando introduci troppi lipidi (soprattutto questi grassi saturi) hai più probabilità di vedere i tuoi livelli di colesterolo nel sangue aumentati. 

Cosa succede nel lungo periodo? Come già illustrato (ma meglio ripetere), nei tuoi vasi sanguigni si formano delle placche, che impediscono al sangue di scorrere correttamente: avrai più probabilità di andare incontro a patologie, soprattutto cardiocircolatorie. 

I grassi saturi vegetali fanno male?

Non c’è una risposta univoca, dipende da cosa consideriamo, ricordando che i grassi saturi vegetali sono solo una piccola parte e che li trovi in maggior quantità in alimenti di origine animale.

Tra i pochi saturi vegetali troviamo sia il già citato olio di cocco che l’olio di palma. Il secondo è una sostanza costituita fino al 40-50% da grassi saturi: una percentuale molto più elevata rispetto agli altri oli vegetali, che sono composti da una frazione polinsatura maggiore. 

Caratteristico dell’olio di palma è l’acido palmitico (da cui prende il nome), acido grasso saturo a 16 atomi di carbonio e responsabile, quando assunto in eccesso, di un significativo aumento del livello di colesterolo totale nel sangue. 

Conclusioni: i grassi saturi fanno male o bene?

Se nel tuo stile alimentare gli acidi grassi saturi hanno solo un ruolo di comparsa e il loro consumo è limitato, puoi vivere tranquillo senza il terrore di andare incontro a patologie cardiovascolari dovute al loro consumo. 
Attento che questo non ti porta dover eccedere dall’altro lato con carboidrati raffinati e zuccheri. A danneggiare l’organismo è in primis l’eccesso calorico, che venga dai grassi saturi o dai carboidrati raffinati.

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Guida alla nutrizione
Guida alla nutrizione

Nota sull’autore

Dott.ssa Lucia Ienco
Laureata in Biotecnologie presso l’università di Trieste e studentessa magistrale in Scienze dell’alimentazione presso l’università di Firenze. Certificata ISSA CFT3 ed esordiente di weightlifting a livello agonistico.

Bibliografia/sitografia

Aquileira CM, Ramirez-Tortosa MC, Mesa MD, Gil A. (2001). “Protective effect of monounsaturated and polyunsaturated fatty acids on the development of cardiovascular disease”. Nutr Hosp.

Calder PC (2015). “Functional Roles of Fatty Acids and Their Effect on Human Health”. JPEN J Parenter Enteral Nutr.

Fernando WM, Martins IJ, Goozee KG, Brennan CS, Jayasena V, Martins RN (2015). “The role of dietary coconut for the prevention and treatment of Alzheimer’s disease: potential mechanisms of action”. Br J Nutr.

Kris-Etherton P. & Fleming J. (2015). “Emerging Nutrition Science on Fatty Acids and Cardiovascular Disease: Nutritionists’ Perspectives”. Adv Nutr.

Liguri G. (2015). Nutrizione e dietologia – Aspetti clinici dell’alimentazione. Bologna, Zanichelli editore S.p.A. Pagg. 66-70

Sun Y., Neelakantan N., Wu Y., Lote-Oke R., Pan A., van Dam R. (2015). “Palm Oil Consumption Increases LDL Cholesterol Compared with Vegetable Oils Low in Saturated Fat in a Meta-Analysis of Clinical Trials”. The Journal Of Nutrition.

https://sinu.it/2019/07/09/lipidi/

http://www.bda-ieo.it/wordpress/?page_id=96

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Erik Neri: gli albori del calisthenics

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Erik Neri

La mia stori atletica e personale

La prima volta che misi piede in un palestra fu nel settembre del 2005: fino a quel momento il massimo di attività “fitness” che avevo fatto era un corso di ginnastica posturale per la scoliosi.

Durante gli anni in palestra non fui mai particolarmente appassionato (come si può diventare appassionati quando si ha un obiettivo solo estetico?), ma fui molto costante: in quasi 6 anni saltai gli allenamenti solo quando la palestra era chiusa, quando ero in gita o via per le vacanze, ed in ogni caso mi portavo dietro, quando potevo, il mio fido manubrio da 6kg con cui fare qualcosa. 

Per quanto riguarda gli allenamenti, erano i classici da 3xweek in monofrequenza, con petto e bicipiti il lunedì, spalle e gamb..spalle e basta il mercoledi, schiena e tricipiti il venerdì.

A conti fatti, però, si trattava di una “finta” monofrequenza, almeno per quanto riguarda la spinta: bene o male avevo panca il lunedì e panca stretta/dip il venerdi, nel giorno delle spalle avevo sempre un lento e variante e via cosi. Il gruppo muscolare davvero in monofrequenza era la schiena, in quanto facevo movimenti di tirata solamente una volta a settimana, ed infatti era quello più indietro a livello di forza e di performance generale, e me ne sarei accorto soprattutto nel momento di cambio di disciplina.

L’allenamento in palestra mi ha lasciato sicuramente un ottima base di spinta, perché come detto bene o male avevo sempre dei multiarticolari di questa catena cinetica, mi piacevano molto i dip, che già zavorravo in maniera considerevole, e adoravo le spinte sopra la testa: non ho mai fatto military press perché non c’era un rack adatto, ma comunque spinte coi manubri sopra la testa, lento dietro (grazie al cielo non mi sono distrutto), lento avanti al multipower, erano sicuramente tra i miei esercizi preferiti, e mi diedero un ottimo transfert nel momento in cui passai al calisthenics, in quanto la forza di spinta verticale è fondamentale, molto di più di quella orizzontale data da esercizi come la panca piana. 

Andai avanti ad allenarmi cosi, da guerriero del lunedi-mercoledi-venerdi, fino ad aprile 2011, quando mi sono imbattuto in un video di Hannibal for king e, complice l’arrivo dell’estate e della bella stagione, mi presi un periodo di stop dalla palestra per iniziare ad allenarmi al parco a corpo libero.

Come ho detto, mentre negli esercizi di spinta andavo piuttosto bene, avendo già una decina di piegamenti in verticale al muro, negli esercizi di trazioni ero a dir poco drammatico, visto che non avevo neanche dieci di trazioni prone; cosa, questa, che noto tra altro sempre quando qualcuno che fa “palestra” decide di cambiare per darsi al corpo libero.

Comunque, essendo i primi video visti quelli di HFK, i miei obbiettivi iniziali erano..diventare come lui, facendo gli esercizi che riusciva a fare.
Fortunatamente, erano tutti esercizi con un senso ed una progressione, non come le disfunzioni motorie che si vedono a volte oggi, nella spasmodica ricerca di movimenti strani e arzigogolati.

Erik Neri allenamento

Nella fattispecie erano:

Contemporaneamente a questi, iniziai a seguire anche i barbarians, e subito ebbi l’obbiettivo di chiudere i famosi requirement, allenandomi quindi anche in quella direzione oltre che per gli obbiettivi di cui sopra. 

Visti i modelli presi a riferimento, visto gli obbiettivi che volevo raggiungere, la priorità fu ovviamente data al muscle ups, quello che nella mia mente rappresentava lo spartiacque tra “mi sto allenando” e “faccio calisthenics”.

Prima di andare avanti, vi dico come avevo strutturato il mio “primo” allenamento, in maniera generica perché ovviamente essendo passato un secolo non ricordo tutto gran che bene.

Era davvero semplice: facevo 3x week tutto in EDT, che mi permetteva di raggiungere un buon volume di allenamento, sugli esercizi base, trazioni, dip, piegamenti in verticale, drago flag, mentre gli altri giorni di allenamento della settimana tenevo focus più sulle “skill”, quindi magari facevo front lever raises, slanci in bandiera, trazioni esplosive per il muscle ups, frigo stand per la planche e via dicendo. Facendo cosi, coniugavo la parte utile a quella divertente, e l’allenamento risultava sempre molto stimolante 

Tornando alla storia, continuo raccontando dell’ultimo personaggio conosciuto nel periodo iniziale che mi segnò molto per la direzione degli allenamenti: un ragazzo francese che aveva creato i “super sayan requirement”, che erano una combinazione di skill ed esercizi base di forza, ed anche questo entrò nella mia lista di obbiettivi, che comunque si sposavano bene coi precedenti in quanto appunto collegava base e skill. Fu comunque grazie a questa “scoperta” che virai fortemente verso verticali e planche, che diventarono negli anni a seguire sicuramente il mio punto di forza. Inoltre fu uno dei primi che vidi allenare seriamente le zavorre, e questo mi motivò molto: feci infatti qualche ricerca per capire come allenarmi da quel punto di vista, e capitai per caso su rawtraining, dove scoprii la programmazione per la forza che mi appassionò subito e mi accompagnò in tutti i miei allenamenti.

Cosa possiamo dedurre dalla mia storia iniziale? Che sono stato MOLTO fortunato, perché mi sono scelto i modelli giusti (scelto…l’alternativa era poca), sviluppando l’allenamento nella direzione che rappresenta ancora quella che ritengo la più valida in assoluto.

Non fraintendete, non è sempre stata tutto rosa e fiori, anzi ho collezionato una serie di errori clamorosi e sviste incredibili: si, per un pò sono stato assorbito anche io nelle disfunzioni motorie, nei movimenti storti, strani e particolarmente discutibili, soprattuto durante il biennio 2013-2014, ma per fortuna allenandomi e sbattendoci la testa ho capito che andare in quella direzione mi avrebbe portato solo a grossi rischi articolari (non perché facciano male in assoluto, ma per la combinazione angoli di lavoro rischioso, mobilità limitata di spalle e peso corporeo considerevole) e a movimenti ultra ultra specifici che non rappresentavano la mia visione di allenamento.

Passato questo periodo, ho iniziato anche a fare quello che qualsiasi calisthenico evita come la peste: allenare le gambe!

Ammetto che sono partito in maniera molto blanda e incostante, ma anche qui l’obbiettivo era quello degli allenamenti di calis: diventare più forte, essere un atleta completo, facendomi rispettare sia a corpo libero che con il bilanciere.

L’apice di questa combinazione l’ho raggiunta nei primi mesi del 2019, dove stacco e squat cominciavano ad avere pesi interessanti, negli esercizi a corpo libero andavo molto bene nonostante il peso corporeo fosse salito abbastanza e tutto andava per il meglio.

Perché uso il passato? Perché poi ad inizio estate un fastidio “infortunio” (tra virgolette perché non ho avuto nessun dolore o impedimento motorio, non mi fossi allenato non mi sarei accorto di nulla) mi ha bloccato, e tutt’ora ne risento senza essere tornato al livello precedente, soprattuto negli esercizi di trazione: in compenso, sono aumentato moltissimo con gli esercizi per il lower con il bilanciere, che anche da un punto di vista psicologico si sono rivelati fondamentali; perché alla fine non importa cosa si allena, l’importante è riuscire a farlo e a spingere.

Prima di passare all’analisi di come mi alleno attualmente, vi lascio, in un impeto di vanità, i miei best off di questi anni di allenamenti. Per la massima trasparenza, dico che quelli a corpo libero gli ho ottenuti con un peso tra i 75 e i 77kg, mentre quelli con il bilanciere tra gli 80 e gli 83kg, visto che più o meno durante i periodi dell’anno switcho tra questi pesi corporei

  • Trazioni 1rm: Prone 1x85kg, Anelli 1×82.5kg
  • Trazioni max reps: 40
  • Dip zavorrati: 2x100kg
  • Muscle ups max reps: 17/18 
  • Muscle ups zavorrato 3x20kg
  • Piegamenti in verticale al muro full rom su parallele: 1×37.5kg
  • Piegamenti in verticale liberi mani a terra: 25 reps
  • Piegamenti in verticale liberi full rom: 15 reps
  • 90 degree push ups: 7 reps
  • Full planche: 15”
  • Full planche push ups: 10 reps
  • Maltese alle parallele: 5”
  • Front lever: 20”
  • Front lever pull ups full rom: 2/3 reps 
  • Military press 1rm 105kg, 3 rm 100kg
  • Squat 1rm 200kg
  • Stacco 1rm 250kg

L’allenamento di Erik Neri di adesso

Come appena detto, purtroppo ad inizio estate mi ha colpito un noioso infortunio, che mi ha messo k.o. il braccio sinistro negli esercizi di trazione e di spinta sopra la testa: questo, per forza di cose, ha rivoluzionato il mio modo di allenarmi, perché mi sono dovuto adattare al problema.

In altri casi, in altri infortunio, giravo attorno al dolore, cambiano per esempio impugnatura nelle trazioni, o riducendo il range di movimento in modo che non mi provocasse fastidio e via dicendo, in modo comunque da tenere sempre allenato il movimento e alla fine della fiera non perdere praticamente nulla a livello di forza. Purtroppo questa volta è stato diverso, e non ho potuto attuare questa tecnica, e mi sono ritrovato molto regredito. 

Ne consegue che i miei allenamenti degli ultimi mesi sono volti al recupero della forza passata, e quindi diversi magari da quelli che avrei fatto mi fossi trovato in un altra situazione.

Gli obbiettivi, però, non sono cambiati rispetto all’ultimo anno: sviluppare una buona forza con gli esercizi fondamentali col bilanciere, nella fattispecie squat, stacco e military press (la panca non mi piace); migliorare negli esercizi base a corpo libero, come trazioni, piegamenti in verticale al muro; migliorare negli esercizi più avanzati, quali trazioni ad un braccio, muscle ups, planche, piegamenti in verticale al muro ed evoluzioni; infine, perché no, anche cercare di portare a casa qualche miglioramento estetico.

Come vedete, dal primo giorno di allenamento a corpo libero l’obiettivo è sempre stato il medesimo, e nonostante qualche sbandamento sono sempre restato abbastanza coerente alla mia linea di pensiero. Inoltre, diventare forte su tanti esercizi multiarticolari mi ha anche permesso di avere una resa estetica discretamente buona, che si raggiunge sicuramente più con questa tipologia di allenamenti rispetto alla versione “solo skill” di questa disciplina. 

Vediamo ora la mia ultima programmazione, e spieghiamola in modo che magari possa essere di aiuto a qualcuno 

Workout Erik Neri

Lunedì

  • Hspu liberi 3×5
  • Military press 5×5 70kg 
  • Adv. Tuck planche push ups con elastico e tenuta in alto momentanea 3×5 
  • Squat (non atg ma profondo) 5×2 165kg
  • Trazioni supine anelli 5 4 3 2 1 40kg, 1 2 3 4 5 35kg

Martedì

  • Hspu liberi 3×5
  • 90 degree push ups 3 singole
  • Hspu full rom 5×5 10kg
  • Stacco sumo RC
  • Australian pull ups anelli 10kg 50RT

Mercoledì

  • Hspu liberi 3×5
  • Military press 8×2 75kg (pausa corta) 
  • Adv. Tuck planche push ups con elastico e tenuta in alto momentanea 3×5
  • Front Squat 6×2 120kg
  • Trazioni supine Ramping 2 partendo da 20kg e aumentando di 5kg (ogni reps stacca le mani)

Giovedì 

  • Hspu liberi 3×5
  • 90 degree push ups 3 singole
  • Hspu full rom 6×2 10kg fermo in basso 2″
  • Stacco regular 5×2 180kg
  • Australian pull ups anelli 10kg 50RT

Venerdi 

  • Hspu liberi 3×5
  • Military press 6×2 80kg 
  • Adv. Tuck planche push ups con elastico e tenuta in alto momentanea 3×5
  • Squat Ramping
  • Trazioni prone al mento 5×10

Sabato

  • Libero

Come vedete gli esercizi non sono tantissimi, e come ho detto sono abbastanza limitato per l’upper a causa della forza ancora non ripresa per via dell’infortunio.

Per esempio non posso allenare oap perché c’è un dislivello di forza ancora enorme (3 oap col destro e neanche sblocco col gomito col sinistro), e nelle trazioni si nota subito che tendo ad andare storto, cosa che inizialmente mi capitava anche negli esercizi di spinta sopra la testa, ma che ora è rientrato ed è rimasto solo negli esercizi di trazione verticale.

Erik Neri workout

Gli handstand push ups liberi ad inizio allenamento svolgono sia una funzione di serie di avvicinamento per gli esercizi successivi più pesanti, sia mi servono per tenere il feeling con la verticale senza stancarmi troppo.

Alterno poi la military press ai piegamenti in verticale al muro come esercizi di forza di spinta. Mancano come avrete notato esercizi di spinta orizzontale. Come ho detto panca non mi piace, mentre i dip probabilmente sono una concausa dell’infortunio avuto e comunque mi creano sempre noie articolari quindi aspetto ancora un pò prima di ricominciare ad allenarli.

Per le gambe alterno banalmente ogni giorno Squat e stacco (non sto a spiegare le progressioni usate perché sarebbe lungo e completamente fuori contesto), mentre per le trazioni alterno lavori in presa supine zavorrate, in cui noto un andamento meno storto, e quelle prone a classiche e senza zavorre, per cercare di reimparare il movimento e tornare a non essere storto. Durante l’esecuzione.

L’allenamento della planche può sicuramente risultare comico, ma ancora non mi sento di spingere su un esercizio statico e mi limito ai piegamenti con miniblocco in alto per tenere una parvenza di schema motorio ma per non rischiare di andare a contrarmi nelle zone del trapezio. Si, probabilmente è una paranoia dovuto allo stop, ma se vieni investito sulle strisce pedonali passerai il resto della vita a guardare più volte prima di attraversare.

Come vedete si tratta di una programmazione molto semplice, dove evito magari di spingere al limite e tutto è focalizzato su un buon controllo tecnico in modo da poter riprendere gradualmente forza. 

Sicuramente avrei lavorato in maniera molto diversa fossi stato in perfette condizioni, ma quest’anno va cosi e bisogna imparare anche che non si può essere sempre al massimo e che anche per lunghi periodi si può essere lontani da quello che è il proprio standard.

Quello che spero passi è la visione di forza a 360° che cerco di avere nel mio allenamento, combinando movimenti di più discipline e cercando di dare loro la stessa dignità, poter essere considerato un atleta completo.

Ovviamente questo rende la programmazione più difficile creando anche equivoci, perché comunque spingendo per esempio nelle gambe vado a creare ipertrofia e aggiunta di peso in porzioni del corpo che per fare corpo libero non solo sono inutili, ma anzi dannose. Va poi considerato il dispendio energetico per riuscire a distribuire bene gli allenamenti: se mi metto a fare stacco pesante, che neuralmente mi mette ko, non posso di certo mettere dopo di esso planche che è anch’esso un esercizio che mi tassa parecchio da quel punto di vista. Diventa quindi un gioco ad incastri dove fare disastri, soprattuto quando si alza il livello, diventa davvero molto facile.

Questo “mix” cali-alzate fondamentali sta prendendo abbastanza piede, e alleno molti ragazzi che si sono fatti contagiare da questa visione dell’allenamento; inoltre, diverse gare all’estero hanno introdotto lo Squat tra i movimenti di gara, segno che anche fuori si sta andando verso questa direzione; sicuramente, quindi, mi vedrete ancora parlare di questi argomenti.

Di Erik Neri

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La palestra: quale scegliere e perchè

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Storia della palestra

Gli uomini si sono sempre allenati, soprattutto per prepararsi alla guerra. In passato le esercitazioni avvenivano sia sul campo, simulando le battaglie, sia in luoghi dedicati alla preparazione fisica.
Il termine palestra deriva dal greco palàistrai ed indicava luoghi dove i fanciulli ellenici, allenavano il loro corpo per prepararsi dal passaggio da efebi (giovani) ad opliti (soldati).

Anche nelle Roma antica la cultura del corpo e del suo allenamento troverà sedi dedicate, dove i giovani si eserciteranno. A differenza però della cultura greca, che prevedeva anche la preparazione per gare sportive (le antiche olimpiadi), quella romana avrà ancora un indirizzo più pratico, dedicato esclusivamente alla guerra (pancrazio, lotta, pugilato, lancio del giavellotto).

La cultura del corpo verrà meno esibita durante il medioevo e ritroverà un suo pieno riconoscimento alla fine del XIX secolo (1896) con la nascita delle olimpiadi moderne.

Origini della palestra

La palestra moderna

Oggi le palestre sono sale ricreative, dove  le persone vanno “anche per allenarsi”. In Italia la forma più comune sono le ASD (società sportive dilettantistiche), atte teoricamente a promuovere il benessere e l’attività fisica non essendo a fini di lucro (ovviamente nella pratica non è così).

La palestra fino alla fine degli anni 60 era un luogo prettamente maschile dedicata prima alla forza, poi alla costruzione muscolare del corpo (bodybuilding). Negli anni 70 inizia ad arrivare dagli Stati Uniti l’aerobica. Le palestre iniziano a riempirsi anche di donne, mutano da scantinati polverosi a centri sempre più multifunzionali (oggi molte hanno piscine, saune, bar, ecc.).

La palestra oggi è suddivisa in 5 principali aree:

  • Muscolazione:  dedicata all’allenamento contro resistenza, con macchine isotoniche, pesi liberi (bilancieri e manubri), o altre attrezzature come cavi e pistoni. L’obiettivo è l’aumento della massa muscolare, una miglior composizione corporea ed il rafforzamento muscolare. Contrariamente a quanto comunemente si pensi, questo tipo di allenamento è assolutamente indicato anche per le donne, adolescenti ed anziani. I livelli di forza di una persona sono correlati direttamente col suo stato di salute.
  • Cardio: la zona cardio è quella dedicata al dimagrimento. In realtà il miglior beneficio delle macchine cardio (tapis roulant, cyclette, vogatore, ecc.) è quello di migliorare l’efficienza cardiovascolare. Una buona salute cardiaca è importante per lo stato di salute generale. Il fine del dimagrimento, in chi si dedica a queste macchine, dovrebbe essere intenso come un aumento del consumo calorico giornaliero. È il bilancio calorico a decretare se dimagriremo, pertanto se consumiamo 500kcal in palestra ma poi le recuperiamo a tavola, gli sforzi saranno vani. Per approfondire leggi l’allenamento cardio per dimagrire.
  • Sala corsi: queste sale sono dedicate principalmente al sesso femminile, qui troviamo step, aerobica, zumba ed anche lo spinning. Questi corsi portano a consumare calorie  e come nel caso del cardio vanno ad incidere sul bilancio calorico giornaliero. Il fatto di svolgerle in gruppo, aumenta la motivazione della persona a trovare nell’andare in palestra.
  • Sala funzionale: da qualche anno, prima coi kettlebells, poi col Crossfit, l’allenamento funzionale si è aggiudicato uno spazio a sé nel mondo del fitness. Alcune palestre come i Box Crossfit si dedicano solo a questo. Qui troviamo allenamenti brevi ad alta intensità, che mischiano allenamenti di pesistica, ginnastica, col cardio.

Come funziona la palestra

Come scegliere la palestra giusta

La scelta della palestra è fondamentale per poter ottenere i giusti risultati e sfruttare al meglio il tempo che ci dedichiamo. Va ancora ricordato che se il nostro fine è una miglior composizione corporea, all’allenamento bisogna associare una dieta per la palestra. Introducendo meno calorie se vogliamo dimagrire, mangiandone di più se vogliamo mettere su massa muscolare. L’errore più grande che si fa, quando ci si iscrive in palestra, è quello di non considerare tutto il resto che faremo durante la settimana. Se ci alleniamo 3 volte a settimana, ma poi facciamo aperitivi, cene e sgarri, i risultano non saranno mai realmente visibili.

Ma vediamo di capire cosa conta realmente in una palestra:

  1. Il personale. Questo è il fattore più sottovalutato in assoluto, ma il vero valore di una palestra è il personale (istruttori e personal trainer) che ci lavorano dentro. Le macchine e gli strumenti al suo interno sono assolutamente in secondo piano. Un bravo trainer saprà sviluppare e creare un programma adatto alle esigenze della persona e saprà creare il giusto clima per motivarla ed invogliarla a tornare.
  2. La distanza. La cosa difficile in palestra non è l’allenamento, che per quanto faticoso passa, ma andare in palestra. Se impieghi troppo tempo ad arrivare, la motivazione facilmente scemerà, sarai incostante ed alla fine smetterai di frequentarla. Per questo è importante guardare anche gli orari della palestra che siano compatibili coi nostri.
  3. I macchinari. È giusto scegliere una palestra che abbia l’attrezzatura adatta a noi. Ammesso e non concesso che per allenarsi non serve molto: un bilanciere, dei manubri ed una panca, alcuni clienti (anziani o con problematiche specifiche), potrebbero aver bisogno di macchine guidate, oppure le ragazze di una sala corsi con molta offerta. Valuta la palestra a che target di clienti sta mirando e guarda se è quella che rispecchia le tue esigenze attraverso la sua attrezzatura.
  4. Pulizia. Infine la palestra deve essere pulita, se entri in una palestra sporca, vuol dire che il titolare sta cercando di risparmiare il più possibile e probabilmente lo sta facendo a 360°. Ti alleni uguale anche se sporco per carità, ma andresti a mangiare se ti servono un piatto già usato?
  5. Community. La palestra non è formata solo dal locale ma anche dalle persone che la riempiono. Che clima si respira, c’è voglia di dialogare e di condividere le proprie passioni. È vero che in palestra ci sono persone che passano più tempo a parlare che ad allenarsi, ma un buon clima rende l’allenamento più piacevole e stimolante.

Quale palestra scegliere

Come fare una palestra a casa

Per chi non ha intenzione di uscire per andare in palestra ma vuole comunque allenarsi, può pensare di farsi una propria palestra personale. In questo caso di cosa avremo bisogno:

  1. Pesi liberi. Bilancieri, manubri, panca, rack o cavalletti, sono indispensabili per avere una varietà di carico per poter progredire con gli allenamenti. Le palestre di una volta non avevano macchinari ed i risultati arrivano comunque, anzi in media, i pesi liberi sono migliori delle macchine isotoniche.
  2. Sbarra per trazioni e parallele. Se vuoi allenarti a corpo libero in casa, ti serviranno soltanto 2-3 cose, una sbarra per le trazioni, delle parallele per i dip e se vuoi degli anelli per gli esercizi a corpo libero.
  3. Macchina cardio. Se vuoi fare del cardio in casa puoi pensare ad una cyclette, un tapis roulant o un vogatore. Gli abbiamo scritti in ordine crescente di impegno. Il vogatore è sicuramente il più efficace ma anche il più stancante.
  4. Altra attrezzatura. Potrebbero poi serviti attrezzi speciali come i kettlebells, sandbag, palle mediche o svizzere, tappetino yoga, elastici, ecc. A seconda delle tue esigenze puoi completare la tua palestra homemade come meglio preferisci.

Conclusioni sulla palestra

A differenza di tantissimi sport, la palestra può essere un’attività adatta a tutti, varia e sicura. Generalmente si compiono gesti controllati a basse velocità, il che porta la % d’infortuni al minimo. Per questo la palestra promuove la salute fisica ed in generale, il suo abbandono è perchè le persone non riescono a costruire un percorso allenante.
Senza comprendere cosa fanno e perchè lo fanno, non vedono progressi e questo le porta a stancarsi, annoiarsi e smettere.

Per questo a prescindere da cosa farai in palestra, l’obiettivo dovrebbe essere quello di progredire, perchè come diceva un famoso fisiologo: “il corpo risponde a stimoli costanti, con adattamenti decrescenti”, quindi allenati!

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Il culturismo: come nasce e come iniziare

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Il culturismo è quella disciplina che mi ra allo sviluppo muscolare ed alla riduzione del grasso. Ha un fine puramente estetico, quindi non si ricerca la massima crescita muscolare se questa comporta anche un aumento del tessuto adiposo (come avviene invece nel sumo o in altre disciplina come lo strongman o nelle categorie più pesanti del powerlifting).
Normalmente gli atleti di bodybuilding (il termine americano) alternano fasi di massa a fasi di definizione e mirano a raggiungere il picco della forma soltanto in determinati periodi dell’anno.

Questa pratica non viene vista come sportiva, in parte perchè non ha un vero gesto atletico e prestativo, dall’altra perchè le varie federazioni non concordano sul regolamento.
Infine il fattore doping rimane una pratica molto in voga sia tra gli atleti che gli amatori, e nelle federazioni non si è sottoposti ai controlli WADA come avviene per gli sport olimpici.

Storia del culturismo moderno

Il culturismo moderno nasce negli Stati Uniti alla fine della seconda guerra mondale (1946), i fratelli Weider, Ben e Joe, fondando la IFBB (International Federation of Bodybuilding & Fitness). Successivamente nacquero altre federazioni internazionali come la NABBA (1956), ma tuttavia il riferimento mondiale rimane il Mr Olympia dei fratelli Weider.
Negli anni 70 grazie a campioni come Larry Scott, Sergio Oliva, Arnold Schwarzenegger e tanti altri ancora, il culturismo diventa un fenomeno di massa.

A questo segue, purtroppo, anche la diffusione di sostanze dopanti molto diffuse in questa pratica. Oggi esistono anche federazioni natural che cercano di arginare il fenomeno con controlli antidoping, come la WNBF.

Storia del culturismo antico

Il culto del corpo nasce e si espande nell’antica Grecia. Qui l’eroe non era solo forte e coraggioso ma anche bello. La bellezza era promessa di felicità ed armonia.
Questa concezione verrà già meno con l’impero romano e sarà osteggiata dalla chiesa durante il medioevo. Con l’avvento del XIX secolo il culturismo riprenderà forza, prima all’interno dei circhi, poi nei circoli privati ed infine nelle palestre di ginnastica. Verso la fine dell’800 Eugen Sandow sarà l’uomo simbolo del nuovo culturismo.

Negli anni 20 si inizierà a separare dalla ginnastica e dalla pesistica, prendendo via via strade e finalità diverse. L’origine rimane tuttavia comune, un corpo sano, forte e bello.

Storia del culturismo

Alimentazione nel culturismo

Mentre fino a qualche anno fa si pensava che a renderti grosso e muscoloso erano determinati alimenti: uova, latte, riso, pollo, broccoli, oggi la scienza  ha mostrato che le regole per la crescita della massa muscolare e della definizione muscolare sono poche e inderogabili.

Il bilancio calorico

Per la massa muscolare dobbiamo assumere un 10-15% in più delle nostre calorie giornaliere. In media andiamo dalle 300kcal a massimo 700kcal. L’obiettivo è quello di crescere “puliti”, cercando di prediligere la massa muscolare rispetto a quella grassa.

Per la definizione invece bisogna creare un deficit calorico dal 15% al 20%, parliamo in media di 350-550kcal. Tagli calorici drastici rischiano di erodere eccessivamente la massa muscolare perdendo parte di quanto abbiamo costruito con la fase di massa.

I macronutrienti

I macronutrienti posso essere tarati sia sulla massa magra, sia sul peso totale (tenendo conto che la persona sia normopeso). Siccome è difficile stimare la reale massa magra, impedenziometria e plicometria hanno margini d’errori rilevanti, useremo delle formule sul peso totale.

Proteine: le proteine andrebbe bilanciate in base al quantitativo calorico. Più calorie assumiamo meno ne servono e viceversa. In media un atleta di bodybuilding assume 1,4-2,6g/kg di proteine. Quantitativi ben superiori alle quote raccomandate per i sedentari (0,8g/kg)

Carboidrati: gli atleti natural hanno benefici nel tenere alta la quota di carboidrati. Questo perchè questo macronutriente assieme alle proteine ha un effetto anabolico ed anticatabolico. Le indicazioni variano dai 3-6g/kg di carboidrati.

Lipidi: i grassi sono stati per anni spinti dalle diete per la palestra. Oggi sappiamo che la produzione ormonale massima del testosterone si raggiunge con quantitativi di 0,8g/kg. Assumerne di più non porta ad ulteriori vantaggi. Molti atleti, per preservare la massa contrattile preferiscono tagliare questo macronutriente ed in media andiamo da quantitativi da 0,4-1,2g/kg di grassi.

L’allenamento

Spesso in palestra si dice che i risultati sono dati da un 70% alimentazione, 30% allenamento. In realtà, in chi non fa uso di sostanze dopanti, l’allenamento è fondamentale e potremmo dire che tutti i due fattori contano nello stesso modo.

I parametri allenanti

L’allenamento nel culturismo dovrebbe basarsi sul migliorare i parametri allenanti. Il doping ha portato a credere che la prestazione in palestra non contasse e che il carico era solo un mezzo e non un fine. In realtà il culturista che non usa farmaci, deve diventare anche più forte ma deve concentrarsi sul migliorare:

Volume: è il tonnellaggio dei kg allenanti sollevati. Si può calcolare moltiplicando le serie per le ripetizioni allenanti (ovvero con un buffer massimo di 3, se il nostro cedimento arriva a 10 ripetizioni, contano solo le serie dove arriviamo almeno a 7).

Intensità: è data dal carico, più il carico è alto e più è alta l’intensità. Spesso in palestra si fa confusione perchè si parla di intensità percepita, ovvero quanto facciamo fatica. La ricerca scientifica ha mostrato che più il carico è vicino al nostro massimale e meno serve arrivare a cedimento per indurre ipertrofia muscolare, mentre più il carico è basso e più il cedimento è un fattore determinante per l’aumento della massa muscolare.

Densità: è quanto lavoro facciamo in un’unità di tempo. Questo è il fattore meno importante, ma comunque da contare perchè spesso diventa difficile aumentare solo il volume o l’intensità. Riuscire a fare lo stesso allenamento in meno tempo aiuta a migliorare indirettamente l’ipertrofia. Allenamenti densi, in superserie, EDT, EMOM, ecc. aiutano a migliorare la sensibilità insulinica con l’allenamento.

Infine va ricordato che i fattori che producono ipertrofia non sono la connessione mente-muscolo, il cedimento (vedi sopra l’intensità) o altro ma la:

  1. tensione meccanica
  2. stress metabolico
  3. danno muscolare

Metodi e tecniche d’intensità

Mentre il culturismo antico era un mix di pesistica e ginnastica, il bodybuilding moderno si è spostato su metodi come il PHAT, Heavy Duty, Hatfield, ecc. e sulle tecniche d’intensità con lo stripping, xrep, rest pause, superserie, ecc.

Oggi sappiamo che nessuno di questi è il segreto per la crescita muscolare, ma ogni metodo o tecnica semplicemente va a lavorare sui parametri allenanti esposti sopra.
Una scheda dall’allenamento per essere efficace dovrebbe avere per ogni gruppo muscolare:

  1. Il primo esercizio multiarticolare con una progressione settimanale dei parametri (4×6>5×5>6×4>8×3)
  2. Il secondo esercizio complementare con una progressione mensile dei parametri (3×10)
  3. Il terzo esercizio d’isolamento con tecniche ad alta intensità (una serie stile Heavy Duty)

Monofrequenza o multifrequenza

bodybuilding e culturismo

Mentre agli albori del culturismo ci si allenava in fullbody, ovvero in ogni seduta si faceva tutto il corpo, con l’avvento del bodybuilding moderno si è iniziato ad usare le split routine ovvero dividere il corpo per distretti muscolari allenati separatamente in monofrequenza. Un esempio classico è:

Lunedì: petto, bicipiti
Mercoledì: schiena, tricipiti
Venerdì: Gambe, spalle

Questa visione, comunque efficace è vantaggiosa soprattutto per chi fa uso di doping, in quanto l’aumento della sintesi proteica, indotto dall’allenamento dura massimo 72h. Per questo conviene mediamente allenare i muscoli grandi almeno 2 volte a settimana in multifrequenza:

Lunedì: petto, bicipiti, gambe (richiamo)
Mercoledì: schiena, petto (richiamo), tricipiti
Venerdì: Gambe, schiena (richiamo), spalle

In un allenamento si possono prediligere alti carichi e basse ripetizioni a buffer (tensione meccanica), mentre nell’altro l’opposto con medio-bassi carichi a cedimento (stress metabolico).

 

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Il catabolismo muscolare: cosa sapere

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Catabolismo muscolare

Cos’è il catabolismo muscolare e come si relaziona con il nostro metabolismo

Il nostro metabolismo è basato su due grandi processi, antagonisti ma sinergici tra loro. Senza l’uno non potrebbe esistere l’altro, proprio come una medaglia ha bisogno di due facce. Parliamo dell’anabolismo e del catabolismo.

  • L’anabolismo prende molecole più piccole per formare macromolecole: il glucosio forma il glicogeno, gli acidi grassi i trigliceridi e gli aminoacidi le proteine.
  • Il catabolismo prende macromolecole e le scompone via via in parti più piccole, seguendo un processo inverso a quello precedente che si esaurisce con la trasformazione della molecola in calore

Il catabolismo muscolare o proteico, riguarda la fisiologia delle proteine del nostro corpo. È un passaggio fondamentale e naturale che avviene costantemente per assicurare il pieno funzionamento delle proteine del nostro corpo. Quando i geni attivano la formazione di nuovi protidi, se ne formano costantemente alcune (su milioni) difettose. Per questo tutte le nostre proteine ciclicamente sono catalibolizate, disassemblate e ricreate. Questo fenomeno è noto come il turnover proteico.

In 24h il corpo catabolizza, se seguiamo una dieta normocalorica, 300g di proteine che successivamente riassembla. In questo processo mediamente si perdeno intorno ai 33g per una persona di 70kg. In biochimica si stima che, per bilanciare il turnover proteico, una persona dovrebbe mangiare 0,75g/g di proteine al giorno, il dato viene approssimato a 0,8g/kg.

Tutto questo funziona, teoricamente, per persone sane, giovani e sedentarie, ma cosa avviene al catabolismo della fibra muscolare per chi si allena? Dobbiamo sempre rispettare il quantitativo di 0,8g/kg?

Come evitare il catabolismo muscolare

In palestra esiste lo spauracchio del catabolismo proteico. La persona viene spinta a credere, visto che un pasto proteico ha il massimo effetto anabolico per 4-6h, di dover continuamente mangiare, per evitare la perdita della massa muscolare. È noto a molti il catabolismo notturno e l’eventuale integrazione serale, per evitarlo, delle caseine (ne parleremo nel paragrafo specifico).

Possiamo subito rassicurare che a contare, per il catabolismo proteico, non è il timing con cui mangiamo, ma il quantitativo proteico giornaliero. Studi sul digiuno intermittente su atleti di bodybuilding, non hanno constatato differenze tra chi faceva i classici 4-5 pasti e chi soltanto 2. Chi catabolizzava di più di notte, supercompensava quando tornava a mangiare.

Per questo è importante assumere il giusto quantitativo di proteine. Le linee guida, mano a mano che passano gli anni, aumentano sempre di più la quota proteica. Oggi siamo ad un limite massimo di 2,4g/kg, ma alcuni studi la portano addirittura a 3,3g/kg di massa magra.

Ma cerchiamo di capire quali sono i fattori che incido sul catabolismo muscolare.

Catabolismo proteico

Alimentazione e catabolismo

L’alimentazione svolge un ruolo chiave sulla sintesi proteica aumentandola o abbassandola. Una dieta ipocalorica abbassa i fattori di crescita e lo stimolo alla crescita muscolare. Di rimando aumenta il catabolismo del tessuto contrattile. Al contrario una dieta per la massa aumenta i fattori di crescita e l’anabolismo proteico.

Oltre a questo, un altro fattore chiave sono i carboidrati. I glucidi sono il macronutriente che stimola di più l’insulina che è un ormone con un potentissimo effetto anticatabolico. Più carboidrati mangiamo e meno catabolismo proteico abbiamo.

Per questo i range proteici per chi si allena sono:

  • dieta ipocalorica: 1,8-2,6g/kg
  • dieta normocalorica: 1,6-2,2g/kg
  • dieta ipercalorica: 1,4-2g/kg

Allenamento e catabolismo

L’allenamento ha un effetto duplice sul catabolismo muscolare. Ma prima dobbiamo distinguere se parliamo di allenamento aerobico o coi pesi.

Il cardio aumenta il catabolismo muscolare (anche se non in modo realmente rilevante finché non superiamo i 30km a settimana e non seguiamo una dieta fortemente ipocalorica). I suoi effetti negativi sulla massa muscolare, sono soprattutto per quanto riguarda l’anabolismo. Il cardio tende a spegnere i fattori di crescita che spingono il muscolo a crescere.

I pesi, al contrario, in acuto aumentano il catabolismo proteico, ma poi hanno un effetto di rebound ed aumenta la sintesi proteica. Ovviamente stiamo parlando di una curva gaussina, se ci alleniamo troppo poco l’allenamento non produrrà particolari effetti, ma se ci alleniamo troppo rischiamo il sovrallenamento e l’over reaching, l’overtraining, aumentando il catabolismo muscolare.

I sintomi di un eccessivo effetto catabolico si associano alla mancanza di voglia di allenarsi, perdita del sonno, diminuzione delle performance, aumentata risposta agli stress in generale, abbassamento del sistema immunitario, ecc.

Cortisolo e catabolismo

Spesso il cortisolo è associato al catabolismo muscolare. Questo ormone ha un effetto sia sul tessuto adiposo  , diminuendolo in un contesto ipocalorico o facendo indirettamente depositare i grassi sull’addome quando eccediamo con le calorie, sia sul tessuto contrattile, catabolizzando i muscoli degli arti.

Tuttavia, non ci dobbiamo concentrare su questo ormone allenandoci o alimentandoci per paura di variare i suoi livelli. Se l’allenamento e l’alimentazione sono tarate correttamente le variazioni del cortisolo rimangono fisiologiche e propedeutiche ad una miglior composizione corporea.
Mangiare proteine aumenta il cortisolo ma non per questo fa perdere muscoli!

Differente è il discorso per chi prende cortisone (un precursore del cortisolo) o chi dorme cronicamente male o è sottoposto a stress eccessivo e si ritrova con livelli ematici di cortisone fuori dalla norma.

Integrazione e catabolismo

Abbiamo parlato all’inizio dell’articolo del catabolismo notturno e della paura di catabolizzare. Ovviamente l’industria dell’integrazione ha proposto tutta una serie di integratori con un effetto anticatabolico. Arrivati a questo punto diventa facile comprendere che se mangiamo il giusto quantitativo di proteine, carboidrati e calorie, l’integrazione diventa superflua.

Gli aminoacidi ramificati non fanno recuperare prima e non hanno un effetto anticatabolico, più di una bistecca, ma neanche più di una zolletta di zucchero.
Le caseine per il catabolismo serale non servono se abbiamo mangiato correttamente.

Questo non vuol dire che l’integrazione sia inutile, se sei più comodo ad integrare fallo pure. L’importante sono le aspettative che uno si crea. Dal nostro punto di vista bastano le semplici proteine in polvere.

Come evitare il catabolismo muscolare

Conclusioni

Il catabolismo muscolare è un processo fisiologico, propedeutico all’anabolismo. Durante periodi di restrizione calorica, è importante mangiare il corretto quantitativo di proteine ed eventualmente di carboidrati, non esagerando con l’allenamento e soprattutto con l’attività cardio.

Per evitare di perdere eccessiva massa muscolare non dovremmo mai perdere più del 0,5-1% del nostro peso corporeo a settimana, arrivando ad un deficit settimanale massimo di 3500kcal (500kcal in media al giorno).

In fisiologia si considera ottimale un dimagrimento che catabolizzi 70% il tessuto adiposo, 30% la massa magra.

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Frutta secca migliore: benefici a dieta e in palestra

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Frutta secca

La frutta secca è un alimento che ha molte calorie ma anche altrettanti benefici dato che, a seconda dell’alimento scelto, contiene vitamine, minerali, fibre, omega-3 …

Proprio per questo il consiglio è quella di inserirla nella tua dieta, senza eccedere, sia che tu faccia attività fisica in palestra per stare meglio sia che tu sia un bodybuilder alla ricerca della miglior composizione corporea: in entrambi i casi e in una dieta bilanciata la frutta secca è una buona alleata.

Sicuramente però non è un alimento valido per quanto riguarda le proteine, presenti in piccola quantità e di basso valore biologico. Discorso opposto per la frazione lipidica, in quanto la frutta secca ha un buon profilo lipidico (grassi polinsaturi).

Che cos’è la frutta secca?

Che cos’è la frutta secca?

La frutta secca è una categoria di alimenti che può essere suddivisa in:

  • Frutta secca glucidica o frutta disidratata/essiccata: albicocche, prugne, uva, datteri,…
  • Frutta secca lipidica (oleosa): noci, mandorle, macadamia, nocciole,…

In entrambi i casi abbiamo alimenti molto “calorici” in quanto presentano pochissima acqua all’interno e quindi una maggiore densità di nutrienti in rapporto al peso.

Se consideriamo un frutto e il suo corrispettivo essiccato, i nutrienti vengono mantenuti praticamente inalterati dal processo di essiccatura: cambia solo la quantità di acqua. Per questo, se hai già un carente apporto di liquidi e devi scegliere se fare uno spuntino con albicocche fresche o albicocche essiccate è meglio se scegli le prime.

Quali sono i benefici e le proprietà della frutta secca

La frutta secca disidratata (albicocche, banane, prugne, …) è ottima per ricaricarsi di zuccheri, dato che contiene fruttosio e glucosio, e avere un introito di fibre solubili. Inoltre, ogni frutto scelto ha particolari proprietà che si ripercuotono positivamente sulla salute: ad esempio, l’uva sultanina e la prugna sono ottimi antiossidanti, il kiwi contiene vitamina C, il dattero contiene ferro. Altre proprietà sono riportate successivamente.

I benefici che possiamo attribuire alla frutta secca lipidica (noci, mandorle, nocciole, …) sono:

  • riduzione del colesterolo “cattivo”,
  • protezione cardiovascolare,
  • contrasto di radicali liberi (dannosi per l’organismo),
  • apporto di vitamine e minerali.

Caratteristica principale di questa tipologia di alimenti sono i grassi insaturi e le fibre insolubili.

Le noci contengono acido alfa-linoleico: un acido grasso omega-3, essenziale per l’organismo (il corpo non lo produce). Le mandorle, invece, contengono magnesio e le nocciole una discreta quantità di fitosteroli, i quali contribuiscono a ridurre il colesterolo LDL.

Tra i polinsaturi c’è anche omega-6, che a seconda dei soggetti (nutrigenomica) può avere sia effetti antinfiammatori che infiammatori.

Ps. Non utilizzate la scusa che la frutta secca faccia bene quando siete in un pub, accompagnando pistacchi, anacardi e arachidi a copiosi boccali di birra!

Quante calorie contiene la frutta secca? Quali sono i valori nutrizionali della frutta secca?

Come già accennato, la frutta secca è molto calorica. In quella oleosa le calorie derivano principalmente dai grassi, mentre in quella disidratata dai carboidrati. Ad eccezione però delle castagne (frutto oleoso), con un profilo nutrizionale più simile alla frutta disidrata, e del cocco (frutto disidratato) che nutrizionalmente assomiglia di più alla frutta oleosa.

Alimento (100g) Energia (kcal) Proteine (g) Carboidrati (g) Grassi (g) Fibra (g)
FRUTTA OLEOSA
Macadamia 718 7.9 13.8 75.7 8.6
Nocciole 628 15 16.5 60.7 9.7
Arachidi 571 26 11 47 7.3
Anacardi 598 15 33 46 3
Castagne 189 3.5 42.4 2 9
Mandorle dolci 542 16 4 52 14
Noci 582 10.5 5.5 58 5
Pistacchi 601 18 8 55 6
FRUTTA DISIDRATATA
Albicocche 188 5 43 0.7 22
Banana 270 3 63 1 6
Cocco 604 6 6 62 14
Datteri 253 3 63 0.6 9
Fichi secchi 242 3.5 58 3 10
Prugne 240 2.1 63 0.3 7
Uva 283 2 72 0.6 7

La frutta secca fa ingrassare?

frutta secca dieta

In una dieta bilanciata no. Ma eccedere mangiando una manciata di noci in più a merenda o finire la ciotolina di arachidi durante l’aperitivo può fare la differenza, proprio perché essendo molto caloriche rischiano di portarti ad un eccesso energetico rispetto al tuo fabbisogno.

Inoltre, hanno un potere saziante a ‘scoppio ritardato’, perciò se raggiungi la sazietà con la frutta secca significa che ne hai mangiata una grande quantità (e quindi che hai assunto tante calorie)!

Quando si mangia la frutta secca? Prima o dopo i pasti?

Il momento ideale per assumere la frutta secca è lontano dai pasti, ad esempio come spuntino.

In realtà questo accorgimento non è indispensabile, ma può essere utile perché la frutta secca oleosa contiene anche i fitati. I fitati sono antinutrienti che chelano alcuni minerali (calcio, ferro, zinco, …): questo significa che non li rendono disponibili all’organismo quando mangi (quando invece sarebbe opportuno venissero assorbiti).

Elenco della frutta secca

Frutta secca essiccata (o disidratata):

frutta secca ingrassa

  • Albicocca secca: ricca di carotenoidi, indicata per chi è anemico e sempre stanco.
  • Ananas secco: diuretico naturale, utile in caso di ritenzione idrica data da stati infiammatori silenti.
  • Banana secca: contiene fibre particolarmente utili per riequilibrare il microbioma intestinale.
  • Castagna secca: rispetto agli altri frutti è ricca di amido, proteine e zolfo.
  • Ciliegina secca: ha un’azione simile all’aspirina nel diminuire i segnali dolorifici associati a stati infiammatori.
  • Fico secco: ha un effetto lassativo in alte dosi, mentre in piccole dosi aiuta l’azione del microbiota.
  • Dattero secco: ricco di ferro, contribuisce ad abbassare le LDL.
  • Kiwi secco: è tra i frutti più ricchi di vitamina C, ancora più dell’arancia.
  • Mela secca: ricca di fibre importanti contiene molte vitamine e acido folico.
  • Pera secca: indicata durante gli stati febbrili perché aiuta a far scendere la temperatura corporea.
  • Mirtillo secco: ricco di acidi organici e coinvolto nella salute dei capillari.
  • Papaya secca: contiene la papaina che aiuta le persone che fanno difficoltà a digerire le proteine.
  • Pesca secca: possiede proprietà lassative e aiuta chi ha problemi di vescica.
  • Prugna secca: tra i frutti più antiossidanti in assoluto, le sue fibre hanno proprietà lassative.
  • Uva sultanina: ha un’azione antiossidante, riduce il colesterolo cattivo e ha un effetto antitumorale.

 

Frutta secca oleosa

frutta secca oleosa

  • Anacardi e arachidi: ricche di niacina, utile per il cervello e la circolazione sanguigna, sono anche ricche di omega-6.
  • Noci: contengono omega-3, abbassano il colesterolo e migliorano la qualità della pelle.
  • Mandorle: ricche di magnesio e vitamina E, hanno un ottimo profilo lipidico.
  • Noci di macadamia: contengono flavonoidi utili per la salute cardiovascolare.
  • Noci del Brasile: contengono piccole quantità di radio e possono interagire con la tiroide.
  • Pinoli: ricchi di grassi positivi monoinsaturi, hanno un effetto antiossidante.
  • Pistacchi: hanno un blando effetto antitumorale, il profilo dei grassi non è particolarmente positivo come il resto della frutta secca.
  • Nocciole: ricche di fitosteroli, hanno un buon quantitativo di vitamina E.
  • Cocco: non ha un profilo lipidico particolarmente vantaggioso, ma possiede acidi grassi a corta catena che migliorano il metabolismo lipidico.

 

Quale frutta secca scegliere? Qual è la migliore?

La frutta secca può andare da un contenuto calorico medio come quello delle castagne (189 kcal) ad un contenuto calorico elevatissimo come le noci di macadamia (718 kcal), ma bisogna saper paragonare l’effetto saziante con il contenuto calorico.

Quindi, in diete leggermente ipocaloriche la frutta secca può essere presa in considerazione, ma se il regime è particolarmente restrittivo probabilmente conviene optare per alimenti più sazianti e meno calorici. Se invece avete bisogno di un aumento ponderale, integrare negli spuntini o nel pasto prima di andare a dormire una MODERATA quantità di frutta secca oleosa è un’idea ottima.

Oltre al motivo calorico, puoi scegliere la frutta secca in base alle tue esigenze. Ad esempio, se hai una carenza di vitamina C preferisci il kiwi secco, se di vitamina E le nocciole o le mandorle. Puoi usare l’elenco soprastante per aiutarti nella scelta. La migliore frutta secca sarà quella che ti è più utile.

Quante proteine contiene la frutta secca?

Le proteine della frutta secca non sono il nutriente più rappresentato e, inoltre, sono di bassa qualità, cioè non hanno un ottimo valore biologico: la composizione amminoacidica è sbilanciata e non tutti gli aminoacidi sono assorbiti dall’organismo.

Per valori più precisi puoi sempre fare riferimento alla tabella, in cui sono indicati i grammi di proteine per 100 g di prodotto. Ad esempio, i più ricchi di proteine (tra i 26 e i 15 g su 100 g di alimento), in ordine decrescente, sono: arachidi, pistacchi, mandorle dolci, nocciole e anacardi.

Qual è la migliore frutta secca da mangiare per la palestra e il bodybuilding?

La “migliore” in termini assoluti non esiste e dipende da cosa hai bisogno. Sicuramente se assumi frutta secca basandoti sull’apporto proteico, considera sempre che quelle proteine portano con sé molti grassi e molte calorie. Oltre al fatto che non hanno uno spettro amminoacido completo e che la frazione proteica non è preponderante.

La frutta secca oleosa è principalmente una fonte di grassi, che di per sé come categoria di macronutrienti sono limitati in chi ricerca una migliora composizione corporea, per avere più muscolo e meno grasso. Per questo motivo, è bene tenere sotto controllo la quantità di frutta secca consumata, in modo da non eccedere.

Quindi, mangiare frutta secca è una buona opzione per i benefici e le proprietà elencate, ma attenzione alle quantità.

Quanta frutta secca mangiare prima di allenarsi?

Non c’è un quantitativo preciso, è sempre importante ricordarsi che deve rientrare nelle calorie della tua giornata.

Inoltre, mangiare molta frutta secca ricca di grassi (se combinata ad un pasto con anche altri macronutrienti) contribuisce a rallentare il processo digestivo: un po’ più di sangue sarà convogliato a livello del tratto gastro-intestinale per permettere la digestione e meno sarà disponibile per i tessuti e organi deputati allo svolgimento dell’attività fisica. Quindi, se pasto e allenamento sono ravvicinati, potrebbe esserci una ricaduta (niente di esagerato) sulla performance.

In ogni caso, per avere un miglioramento della performance e della composizione corporea, prima di allenarsi piuttosto che un consumo di grassi è più indicato un pasto o uno spuntino costituito da carboidrati (una risorsa energetica preferibile rispetto ai grassi) e proteine.

Per la palestra è meglio mangiare la frutta secca prima o dopo?

Se vai in palestra probabilmente uno dei tuoi motivi è quello di perdere grasso e aumentare la massa muscolare (che possiamo tradurre in “tonificare” o “migliorare la composizione corporea”).

Detto ciò, considerando la frutta secca oleosa sostanzialmente come una fonte di grassi, è meglio evitarla nel lasso di tempo vicino all’allenamento, a meno che non sia in piccola quantità. In ogni caso nel pre- e/o post-workout è meglio consumare carboidrati e proteine, per un miglior recupero del glicogeno e una sintesi proteica più efficiente.

Non da tralasciare, però, che la frutta secca può rivelarsi un buon modo per integrare sali minerali e vitamine dopo uno sforzo intenso.

Frutta secca benefici e conclusioni

In un’alimentazione varia ed equilibrata, la frutta secca non dovrebbe mai mancare, date le sue proprietà di apporto di vitamine e minerali e di supporto alla tua salute.

Ovviamente, visto il suo contenuto calorico non bisogna eccedere, altrimenti i benefici si trasformeranno in difetti.

Autori articolo

Dr Maurizio Pezzutti

Maurizio ha due lauree (Scienze motorie e Nutrizione) e possiede una palestra a Roma
maurizio.pezzutti@gmail.com

Dott.ssa Lucia Ienco
Laureata in Biotecnologie presso l’università di Trieste e studentessa magistrale in Scienze dell’alimentazione presso l’università di Firenze. Certificata ISSA CFT3 ed esordiente di weightlifting a livello agonistico.

Bibliografia

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Legumi: quanti sono e quali sono i migliori?

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Legumi

Legumi come i fagioli, i ceci, le lenticchie sono alimenti nutrizionalmente validi dato il loro contenuto di carboidrati, proteine vegetali, fibre e micronutrienti. Un ulteriore punto a favore è dato dai legumi decorticati, adatti se hai problemi digestivi.

Sono un buon alimento anche per chi frequenta la palestra, dato il bassissimo contenuto di grassi e zuccheri, il buon apporto proteico (meglio se abbinati a qualcos’altro per ottenere un pool amminoacidico completo) e il basso carico glicemico.

Vantaggi di cui puoi godere anche se non sei uno sportivo, in quanto in generale i legumi, in quantità non eccessiva, possono aiutarti a dimagrire data la composizione nutrizionale e il potere saziante.

Che cosa sono i legumi? Proteine o carboidrati?

Con il termine legumi ci riferiamo ai frutti commestibili o bacelli in genere della famiglia delle Leguminose o Fabaceae, con frutto aperto (frutto deiscente) o chiuso (lomento) a maturazione completa (come ceci, fagioli, lenticchie, piselli, fagiolini, fave, lupini, soia, anacardi,…).

I legumi contengono sostanzialmente carboidrati e proteine, in proporzioni diverse a seconda che il legume sia secco o fresco: in media per 100 g di legumi secchi il 40-65% è costituito da carboidrati e il 21-36% da proteine; mentre per i legumi freschi i valori corrispondono alla metà o ad un terzo rispetto alle percentuali di quelli secchi.

Legumi proprietà: quali sono i valori nutrizionali?

I legumi hanno proprietà nutrizionali caratterizzate da un apporto calorico non elevato, con valori energetici che oscillano per quelli freschi ed inscatolati da circa 70 kcal a 140 kcal su 100 g in base al tipo di legume, mentre per quelli secchi in media si tratta di 300 kcal/100 g.

La necessaria cottura dei legumi secchi li porta ad aumentare di circa 3 volte il peso iniziale e pertanto i valori nutrizionali andranno normalizzati dividendo per il coefficiente di idratazione (andranno divise le calorie e tutti i valori nutrizionali presenti in etichetta per 3).

I legumi hanno un valore calorico principalmente costituito da fonti glucidiche, rappresentate da amido, pentosani, galattani e destrine. La quota proteica risulta abbondante e apporta una discreta quantità di alcuni aminoacidi essenziali come lisina, treonina, valina e triptofano, ma non si tratta di un pool amminoacidico completo in quanto proteine vegetali.

100 g di alimento SECCO Kcal g carboidrati (di cui zuccheri) g proteine g grassi
Lupini 371 40,3 (1,5) 36,2 9,7
Lenticchie 353 60 (2) 25,8 1
Fagioli 343 64 (2,1) 21 1,3
Fave 336 62,5 (2,2) 21,1 1,2
Ceci 316 46,9 (3,7) 20,9 6.3
Piselli 286 48,2 (9) 21,7 2
Soia 398 23,3 (11,0) 36,9 18,1
Arachidi tostate 598 8,5 (3,1) 29,0 50,0

 

Quali sono i legumi più ricchi di proteine?

La soia contiene 37 g di proteine/100 g di prodotto secco ed è il legume più proteico, insieme ai lupini che si meritano un secondo posto con 36,2 g di proteine/100 g di prodotto secco. Valori che si discostano abbastanza dagli altri legumi secchi, i cui valori proteici si aggirano tra i 20 e i 26 g di proteine, arachidi comprese (29 g proteine/100 g prodotto).

Quante proteine ci sono in 100 g di piselli?

Contenuto proteine nei piselli

In 100 g di piselli secchi ci sono 21,7 g di proteine, valore comune per molti tipi di legumi e poco superiore alla metà delle proteine contenute in 100 g di lupini o soia. Nei piselli freschi invece la quota si abbassa a 5,4 g.

Quanti carboidrati contengono i legumi?

Nella maggior parte dei legumi (lupini, lenticchie, fave, ceci, fagioli, piselli) i carboidrati costituiscono il 40-64% del peso totale dell’alimento, quindi una parte considerevole, a discapito dei grassi che sono solitamente una minima percentuale e delle proteine che sono comunque ben rappresentate.

Solo una piccola parte dei carboidrati presenti è costituita da zuccheri.

Quali sono i legumi con meno carboidrati?

I legumi con meno carboidrati sono la soia e le arachidi, che presentano rispettivamente 23 e 8,5 g di carboidrati su 100 g di alimento: una quota molto minore rispetto agli altri membri della famiglia delle leguminose.

Non per questo hanno meno calorie, infatti, a parità di peso, la soia fornisce circa le stesse kcal degli altri legumi, in quanto presenta più grassi e più proteine. Discorso a parte per le arachidi, che hanno un potere energetico molto maggiore in quanto la quota di grassi è considerevole (50 g).

Quali legumi contengono più carboidrati complessi?

I legumi secchi contengono più carboidrati complessi a parità di peso. In particolare, i fagioli sono quelli più ricchi: contengono 61.9 g di carboidrati complessi. Seguono le fave con 60.3 g e le lenticchie con 58 g.

Piselli, ceci e lupini si discostano un po’ da questi valori, contendendo circa 40 g di carboidrati complessi.

Indice glicemico dei legumi

I legumi hanno un basso indice glicemico, anche il carico glicemico resta basso. Questo è dovuto nel primo caso ad un’alta presenza di amilosio, un amido resistente all’azione dei nostri enzimi, nel secondo caso invece al contenuto di carboidrati presenti nei legumi che rimane medio-basso.

Alimento Indice glicemico Carico glicemico
Ceci in scatola 38 6
Fagioli 29 5
Lenticchie 29 3
Anacardi 27 6
Piselli secchi 22 10
Soia 18 3

 

Quali vitamine contengono i legumi

Le vitamine presenti nei legumi (soprattutto in quelli freschi) sono:

  • folati: necessari per la sintesi di globuli rossi e DNA;
  • vitamina B3: importante per reazioni metaboliche;
  • biotina: fondamentale per molte reazioni metaboliche;
  • vitamina C: funzione antiossidante.

La presenza di queste vitamine e di altri micronutrienti (come potassio, magnesio, fosforo, ferro) fanno dei legumi alcuni degli alimenti vegetali più completi, anche se non sono del tutto biodisponibili.

 

Tipi di legumi: quanti e quali sono?

Tipologie di legumi: quali sono e proprietà

Ci sono diverse tipologie di legumi, spesso alcuni di questi sono erroneamente inseriti tra le verdure o la frutta secca.

I legumi sono: piselli, ceci, fagioli, fagiolini, lenticchie, fave, lupini, soia, carruba, tamarindo, roveja. Nell’elenco vanno comprese anche le arachidi, scambiate molto spesso per frutta secca, che contengono circa il 25% di proteina ma anche il 50% di grassi, caratteristica che li differenzia notevolmente dagli altri legumi.

Legumi freschi

Tra i legumi freschi distinguiamo i più comuni fagioli, piselli, fagiolini, fave e lupini, ma anche cicerchie, soia, carruba, tamarindo e la quasi dimenticata roveja.

Protagonista assoluta degli ultimi anni è la soia, che ha assunto una maggiore importanza in seguito ai benefici legati ai fitoestrogeni ed isoflavoni che contiene. Questo aumentato consumo può essere attribuito anche ai valori nutrizionali, tra cui spicca il maggior contenuto proteico ed una migliore digeribilità rispetto ad altri legumi, oppure alle innumerevoli varianti tra cui germogli di soia o il latte di soia molto spesso utilizzato in sostituzione del latte vaccino.

100 g di alimento

FRESCO

kcal g carboidrati (di cui zuccheri) g proteine g grassi
Fagioli 143 26,2 (0,3) 9 0,6
Lupini 116 10 (0,5) 15 3
Piselli 81 14,4 (5,5) 5,4 0,4
Fave 72 11,7 (0,7) 5,6 0,6
Arachidi 571 11,2 (6,7) 26,0 47,2

 

Legumi in scatola

Proprietà dei legumi in scatola

In commercio è possibile acquistare legumi in scatola sia secchi sia già cotti, con la possibilità di consumarli direttamente.

I legumi in scatola sono conservati in acqua di cottura o liquido di governo che si consiglia di eliminare per limitare il più possibile i residui di acido fitico, un elemento antinutrizionale capace di legarsi chimicamente a diversi minerali.

La presenza di sale nel liquido di governo inoltre non permette di avere un’integrità ottimale dei valori nutrizionali rispetto ai legumi secchi. Molto spesso capita di trovare nei semi di soia venduti in scatola, una sorta di gelatina, risultato finale del processo di gelificazione causato dalla fuoriuscita di amilosio dai semi, in seguito alla loro idratazione in cottura.

Legumi decorticati

Per poter limitare gli effetti spiacevoli (soprattutto per chi soffre di colon irritabile) in seguito alla digestione dei legumi, molto spesso si ricorre ai legumi decorticati, meccanicamente con passaverdure o già decorticati.

Una pratica sensata sarebbe quella di abituare la flora batterica intestinale (microbiota) a ricevere dosi crescenti di legumi, con una frequenza sempre maggiore, tenendo conto delle indicazioni di ammollo e cottura analizzate precedentemente.

Elenco legumi con più carboidrati

Per 100 g di legumi, i più ricchi di carboidrati sono:

  • fagioli secchi (64 g),
  • fave secche (62,5 g),
  • lenticchie secche (60 g),
  • piselli secchi (48 g),
  • ceci secchi (46,9 g),
  • lupini secchi (40,3 g).

Elenco legumi proteici

Per 100 g di legumi, i più proteici sono:

  • soia (36.9 g),
  • lupini secchi (36,2 g),
  • arachidi (29 g),
  • lenticchie secche (25,8 g),
  • fagioli, fave, ceci, piselli secchi (circa 21 g).

I legumi fanno ingrassare?

Mangiare i legumi fa ingrassare?

Non è mai corretto attribuire ad un singolo alimento la capacità di far ingrassare o dimagrire, in quanto quello che conta primariamente risulta essere l’introito calorico medio nel lungo periodo.

Nello specifico avendo una bassa densità calorica e una buona quantità di fibra insolubile, i legumi sono dei validi alleati nel raggiungimento sia di un buon senso di sazietà a lungo termine, sia a causa della buona massa e consistenza che arrecano al pasto.

Le sensazioni al pasto che ne deriveranno saranno di pienezza e distensione gastrica ed un migliore controllo della fame nelle ore successive, soprattutto se associati a cereali e/o ad altre fonti proteiche nelle giuste quantità.

I legumi a cena fanno ingrassare?

No, puoi mangiare i legumi anche di sera se rientrano nelle tue calorie giornaliere. Che siano parte del tuo pasto a pranzo o cena è indifferente, le calorie e i nutrienti apportati sono gli stessi.

Quali legumi fanno ingrassare?

Non esiste un alimento, e quindi anche un legume, che abbia la caratteristica intrinseca di far aumentare di peso. Tendenzialmente gli alimenti più ricchi di grassi e carboidrati se assunti in quantità eccessive portano ad eccedere nel fabbisogno energetico giornaliero e quindi ad ingrassare.

I legumi, avendo pochi grassi, in quantità corrette rimangono un valido alimento. Non solo non fanno ingrassare di per sé, ma hanno anche potere saziante e aiutano a controllare la fame.

Quanti legumi si possono mangiare al giorno?

I legumi sono un buon alimento dati i suoi valori nutrizionali, si possono mangiare anche ogni giorno. Una porzione di legumi freschi corrisponde a 150 g, mentre una di legumi secchi a 50 g. Entrambe le quantità sono aumentate rispetto ad alcuni anni fa, quando le porzioni erano rispettivamente 100 g e 30 g.

Quanti legumi mangiare in una dieta dimagrante?

Quanti ti servono per raggiungere la quota ipocalorica della giornata (o della settimana).

Sono sicuramente un buon alimento da inserire in una dieta dimagrante sia perché contengono micronutrienti (i cui livelli vanno mantenuti anche in ipocalorica, nonostante il taglio degli alimenti), sia perché hanno potere saziante e quindi aiutano ad evitare attacchi di fame, più facili da avere quando sei a dieta.

Quante volte a settimana si dovrebbero mangiare i legumi?

I legumi potrebbero fare parte dei nostri pasti anche tutti i giorni. Gli abbinamenti ottimali (anche non necessariamente nello stesso pasto) dovranno tenere conto che i legumi non hanno uno spettro amminoacidico completo: scarseggiano di metionina e cisteina. Perciò gli alimenti da abbinare sono cereali (pasta, riso), zucca, semi di sesamo, broccoli o proteine di fonte animale come uova, pollame o pesce.

Quali sono i legumi migliori per l’allenamento e la palestra

Legumi da inserire nella dieta di chi va in palestra o fa bodybuilding

I legumi sono davvero un ottimo alimento per gli sportivi dato il quantitativo di micronutrienti, la bassissima quantità di grassi e zuccheri, il buon apporto glucidico e proteico.

Tra i legumi secchi più proteici annoveriamo la soia e i lupini (che però rispetto agli altri legumi secchi hanno anche una maggior quantità di grassi); tra quelli più ricchi di carboidrati i fagioli, le fave e le lenticchie, che rispetto ai precedenti hanno un po’ meno proteine ma anche molti meno grammi di grassi.

In generale, sono un ottimo pasto prima e/o dopo l’allenamento: prima dell’allenamento i loro carboidrati complessi ti assicurano energia per lo sforzo muscolare che andrai a compiere; dopo l’allenamento i carboidrati e le proteine presenti ti garantiscono la ri-sintesi di glicogeno e di proteine, importante per il recupero muscolare.

Conclusioni

I legumi sono un’importante categoria alimentare grazie alle loro proprietà nutrizionali ed al basso costo che li caratterizza. Sono in grado di migliorare il profilo glucidico, rilasciando lentamente gli zuccheri nel flusso ematico, migliorano il profilo del colesterolo e quello lipidico.

Un loro consumo abituale è consigliato all’interno di una dieta varia e bilanciata e anche nell’alimentazione degli sportivi come pre- o post-allenamento.

 

Autori articolo

Gamal Soliman

Il Dr. Soliman si è laureato in Biologia Applicata alla Ricerca Biomedica a pieni voti, nel 2011, all’Università degli Studi di Milano, e ha ampliato la sua formazione in medicina (corsi ECM). È stato relatore in numerosi corsi per la formazione di equipe di chirurgia bariatrica presso Ospedale Cantù di Abbiategrasso. Si è diplomato a pieni voti al corso SINSeB – Società Italiana Nutrizione Sport e Benessere, con ottenimento della certificazione internazionale di Nutrizionista Sportivo (CISSN) ed ha ottenuto la Certificazione di Fitness Trainer Csen/Coni.

Dott.ssa Lucia Ienco

Laureata in Biotecnologie presso l’università di Trieste e studentessa magistrale in Scienze dell’alimentazione presso l’università di Firenze. Certificata ISSA CFT3 ed esordiente di weightlifting a livello agonistico.

Sitografia

https://sinu.it/wp-content/uploads/2019/07/20141111_LARN_Porzioni.pdf

http://www.bda-ieo.it/

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Esercizi di stretching: routine di 10 esercizi efficaci

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Stretching quadricipite

In questo articolo vediamo i migliori esercizi di stretching da eseguire a fine allenamento per consentire alla muscolatura di rilassarsi e al contempo guadagnare range muscolare.

Disclaimer: il titolo è volutamente provocatorio. Non esistono esercizi “migliori” o “peggiori” ma solo esercizi che hanno uno scopo e portano un determinato risultato. Quelli esposti saranno esercizi che esistono assieme a tanti altri.

Partiamo con la nostra routine di esercizi di stretching.

Esercizi di stretching per i polsi

I polsi sono un’articolazione molto sollecitata in diverse discipline che includono la presa, l’afferrare oggetti o lavorare sul pavimento. Qualunque tipo di questi movimenti va a sollecitare le muscolature che agiscono sul polso. In questo caso vediamo due tipi di stretching: per gli estensori e per i flessori del polso.

 Stretching degli estensori

Esercizi stretching estensori polso

Poggiare mano e avambraccio a terra. Chiudere la mano a pungo e serrarla con l’altra mano. Sollevare l’avambraccio da terra tenendo la spalla sempre sopra la mano. Stendere fino a che non si avverte la sensazione di allungamento desiderata da avvertire sugli estensori del polso.

Esercizi stretching estensori polso fase 2

Stretching dei flessori

Esercizi flessori fase 1

Posizionarsi in ginocchio con le mani davanti a sé con le dita che guardano verso di sè. Sbilanciarsi verso dietro, alzare solo il palmo della mano da terra restando con le dita e la base delle dita ben pressate a terra, mentre si piegano i gomiti verso le ginocchia. Le spalle si trovano circa sopra le ginocchia. Scendere con i gomiti più in basso che si può fino ad avvertire l’allungamento sui flessori degli avambracci.

Esercizi flessori fase 2

Esercizi di stretching per il petto

Esercizi stretching petto

Posizionarsi tra due muri che si incrociano formando un angolo di 90°. Poggiare i gomiti sui due muri, uno opposto all’altro, ad altezza spalle. Tenere le braccia flesse a 90°. Retrarre leggermente le scapole e aprire il petto, come per volerlo gonfiare. Spingere lo sterno verso l’avanti e leggermente verso l’alto. Moderare la spinta verso avanti fino ad avvertire la sensazione desiderata di stretch.

Esercizi di stretching per i dorsali

Esercizio stretching dorsale

Posizionare un anello circa ad altezza testa mentre si è in ginocchio. Posizionarsi di lato all’anello, perpendicolari ad esso. Afferrare con una mano l’anello, quella dello stesso lato sul quale si ha quest’ultimo. Chiudere anche l’altra mano sopra l’altra. Posizionare le gambe entrambe tese di lato, con il corpo perfettamente perpendicolare al terreno. A questo punto solo i piedi dovrebbero toccare il terreno. Lasciare cadere verso il basso il bacino e le costole del lato in stretch (quello che

punta verso il basso). Rilassare entrambe le spalle e lasciarsi cadere verso il basso.

Esercizi di stretching per le spalle

Esercizio stretching spalle

Afferrare un bastone tra le mani in presa supina (palmi rivolti verso di sé). Poggiare i gomiti su una panca posta davanti a sé e raccogliere le mani ed il bastone dietro la testa, scendendo verso il basso. Posizionare le gambe a circa 90° con il terreno, allontanando o avvicinando le ginocchia alla panca se necessario. Una volta in posizione, cercare di non inarcare la schiena ma rimanere piatti e spingere verso il basso le ascelle, massimizzando l’apertura tra braccio e busto.

Se l’esercizio risulta particolarmente facile, si può utilizzare un peso da mettere sul bastone per consentire un più profondo allungamento.

Puoi trovare altri esercizi per le spalle qui.

Esercizi di stretching per gli ischiocrurali

Chiusura a gamba tesa supino

Esercizio stretching ischiocrurali

Posizionarsi a terra stesi supini. Una gamba a terra, completamente tesa. Afferrare il piede dell’altra con una loop band o attrezzo simile. Tirare verso l’alto la gamba fino ad avvertire l’allungamento desiderato da avvertire posteriormente alla gamba. Durante l’esercizio è fondamentale non sollevare la gamba che resta in basso da terra, altrimenti risulterebbe come un compenso. Non sollevare le spalle da terra, rimanere con tutto il corpo e la schiena completamente adagiati a terra. La gamba posta in stretch, quella afferrata dalla loop band, va tenuta completamente tesa.

Chiusura gamba a terra

Chiusura gamba a terra

Secondo esercizio, leggermente più impegnativo, ha un funzionamento simile. Una gamba piegata a 90°, perpendicolare al terreno. L’altra gambe tesa di fronte a sé. Le anche devono restare esattamente allineate, una con l’altra (se si tiene la gamba destra davanti ad esempio, l’anca destra non deve andare più avanti della sinistra, cosa che spesso succede). Anterovertere il bacino e appiattire la schiena, iniziando a scendere verso il basso, fino ad avvertire l’allungamento desiderato nel punto di massimo allungamento.

Pike a terra

Pike a terra

Terzo esercizio, Pike a terra. Uno degli esercizi di allungamento più difficili, destinato a chi ha già un buon livello di flessibilità. Posizionarsi seduti a terra con entrambe le gambe tese di fronte a sè. Flettere il busto sulle gambe avendo cura di tenere la schiena dritta ed il bacino in anteroversione.

Non pensare a toccare la testa con le ginocchia, ma l’ordine è: pancia alle gambe, petto alle ginocchia, testa verso i piedi!

Esercizi di stretching per i quadricipiti

Esercizio quadricipiti

Posizionare un ginocchio vicino al muro o attaccato, a seconda del grado di flessibilità, con la punta del piede sul muro. L’altra gamba viene posta in affondo, in linea con l’altra, con la tibia a 90° con il terreno. Alzare il corpo verso il muro, fino a quando non si ha quest’ultimo perfettamente perpendicolare al terreno: se il ginocchio era staccato dal muro, questo si tradurrà nella possibilità

di avvicinarlo, viceversa, si toccheranno le spalle al muro e si avrà completato la posizione.

Durante l’esecuzione di questo esercizio, non inarcare eccessivamente la schiena ma cercare di mantenerla neutra o preferibilmente con il bacino in retroversione.

Esercizio di streching per gli adduttori (frog stretch)

Frog Stretching

Posizionare le ginocchia su due superfici scivolose. Le gambe devono esser a 90° con il busto e le ginocchia flesse a 90° in modo tale che i saloni Iano sempre in linea con le ginocchia. Da questa posizione, scivolare verso l’esterno con le ginocchia mantenendo il bacino continuamente in anteroversione e con la schiena inarcata, senza mai permettere al bacino di spostarsi dalla sua posizione corretta: in linea con le ginocchia!

Una volta passati 10/20 respiri in posizione, stendere una gamba verso l’esterno, rimanendo con una in frog stretch e l’altra tesa. La gamba tesa va mantenuta il più possibile extraruotata ma con il piede che guarda verso il basso. Non perdere mai l’anteroversione del bacino. Ripetere prima su una gamba, poi sull’altra.

Esercizio per il collo

Esercizio di base

Esercizio stretching collo

Da seduti sui talloni, posizionare una mano sotto una caviglia, in modo tale da bloccare il braccio.e far restare la spalla spinta verso il basso. A questo punto, flettere il collo di lato nella direzione opposta come per voler andare a toccare l’orecchio con la spalla, afferrando la nuca con l’altra mano, delicatamente con la sola pressione dei polpastrelli. Tirare dolcemente ed avvertire lo stretch sul collo.

Variante in torsione

Esercizio stretching collo in torsione

Da questo variante, quella base, si ricava quella successiva, più profonda ed interessante. Bloccare nella stessa maniera la mano sotto la caviglia, flettere il collo di lato nella direzione opposta. Una volta con la testa inclinata di lato, spingere il mento di lato e verso l’alto, ruotando la testa di lato come per voler guardare verso il lato dove si ha la mano ancorata sotto la caviglia. Non solo guardare di lato ma anche in alto. Fondamentale è ruotare solo la testa e cercare di non compiere nessun movimento rotatorio con il busto. Rimanere in posizione dai 10 ai 20 respiri per ogni posizione. Questo tipo di stretching, oltre ad agire sui muscoli trapezio fasci superiori e scaleni, tipicamente coinvolti nella prima versione, agisce anche in maniera forte sul muscolo sternocleidomastoideo.

Conclusione sugli esercizi di stretching e consigli pratici

Questi esercizi, messi assieme, rappresentano una routine di stretching per tutto il corpo da eseguire prima o dopo l’allenamento oppure in momenti separati della giornata. Ricordatevi che la cosa più importante quando si parla di stretching non è tanto quali esercizi si fanno (anche questo ha ovviamente una sua importanza) ma prima di tutto farlo. Non fatevi quindi paralizzare dalla domanda “quando posso fare questi esercizi?”. Eseguiteli negli spazi più consoni a voi e con regolarità e costanza, solo così saranno in grado di portarvi buonissimi risultati nel corso del tempo.

La routine può impiegare più o meno tempo per essere portata al termine, dipende dai respiri in cui rimanete in posizione e dalle transizioni tra un esercizio e l’altro. Partite con il minimo, 10 respiri, e constatate quanto è onerosa in termini di tempo. Se si adatta alle vostre esigenze, benissimo! Se invece è troppo lunga, diminuite i respiri di 2 respiri a posa fino a fargli rientrare nelle vostre esigenze. Viceversa, se è troppo corta, potete prolungarli fino a 20. Insomma, anche quì la parola d’ordine è personalizzazione.

Le pose sono da tenere con la metodologia di stretching passivo.

Non mi resta che augurarvi buon allungamento, sperando di essere stato minuzioso e chiaro nella spiegazione di ogni esercizio da andare ad eseguire. Se eseguite la routine, non dimenticatevi di farmelo sapere attraverso i miei social, su facebook (Elia Bartolini) oppure su Instagram (elia_bodyweight).

Grazie per la lettura e per la visione!

Autore articolo

Elia Bartolini

Sono un ragazzo di 20 anni che si allena da anni nella ginnastica e nel corpo libero. Credo in un allenamento graduale, sensato e sicuro, volto alla riscoperta delle vere potenzialità e movimenti del corpo umano. Amo muovermi, scoprire movimenti nuovi e allenare la forza del mio corpo. Seguo un discreto numero di atleti. Allenarmi ed allenare sono due costanti nella mia vita.
Elia segue diverse persone nella zona di PESARO – Tavullia – Cattolica e dintorni ma anche ONLINE

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Femore: ossa e particolari anatomici

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femore

Immagine osso femorale
Immagine osso femorale

Il femore è un osso della gamba pari che contribuisce a comporre la struttura anatomica dell’arto inferiore (vedi immagine sopra). È un osso lungo che si estende tra il bacino e la tibia. Vista la sua localizzazione fornisce con le sue due estremità le superfici di contatto per due articolazioni distinte: l’anca e il ginocchio. Il femore ospita l’inserzione di numerosi muscoli che determinano i movimenti dell’anca e del ginocchio. Analizziamo ora la morfologia del femore più nello specifico, premessa fondamentale per comprenderne l’importanza per la funzionalità di tutto dell’arto inferiore.

Anatomia del femore

Per descrivere l’anatomia dobbiamo necessariamente comprendere dove si trova il femore. Il femore è l’osso più lungo del corpo, è il più grosso della gamba e insieme a tibia e perone forma l’arto inferiore e ne garantisce supporto per il movimento. Il femore è composto da un corpo e da due estremità. L’estremità prossimale (o epifisi prossimale) è formata dalla testa del femore che è in continuità col corpo grazie al collo del femore. La testa del femore è una sfera rivolta verso l’interno e leggermente in avanti, mentre il collo del femore è posto obliquamente andando a formare con il corpo del femore un angolo che nell’adulto è di circa 125°.  Se guardiamo la testa del femore dall’alto osserviamo un secondo angolo, detto angolo di torsione femorale, il quale nell’adulto è di circa 12° e viene a formarsi appunto per la direzione leggermente anteriore della testa rispetto all’estremità distale del femore. Questa disposizione gli permette di articolarsi con la superficie articolare concava del bacino, chiamata acetabolo, andando a formare l’articolazione dell’anca detta anche coxo-femorale. L’estremità prossimale del femore anteriormente è caratterizzata da una linea, detta intertrocanterica, e posteriormente dalla cresta intertrocanterica. Esse fanno da confine per l’ancoraggio della capsula articolare dell’anca.

L’estremità prossimale del femore è caratterizzata da due processi ossei: il grande trocantere e il piccolo trocantere. Il grande trocantere è situato lateralmente e posteriormente alla testa del femore e ospita l’inserzione di numerosi e importanti muscoli come il piriforme, il medio gluteo, il tensore fascia lata e il piccolo gluteo. Il grande trocantere è anche caratterizzato sulla sua superficie mediale dalla fossa trocanterica che fornisce sede di inserzione al muscolo otturatore esterno. Il piccolo trocantere è invece situato all’interno in leggera direzione posteriore. Su di esso si inserisce il muscolo ileopsoas (vedi la foto sotto).

foto particolari anatomici del femore
foto particolari anatomici del femore

Il corpo del femore (o diafisi) è caratterizzata da tre facce: una anteriore, una laterale e una mediale. La faccia laterale e quella mediale sono separate posteriormente dalla linea aspra del femore che ospita l’origine del capo breve del muscolo bicipite femorale e l’inserzione di alcuni fasci dei muscoli adduttori. La linea aspra si continua superiormente con un labbro che sfocia nella tuberosità glutea, una prominenza ossea che è sede di inserzione di alcune fibre del muscolo grande gluteo. Medialmente alla tuberosità glutea troviamo la linea pettinea sede di inserzione del muscolo pettineo.

L’estremità distale del femore (o epifisi distale) è formata da un condilo mediale e da un condilo laterale, uniti anteriormente dalla faccia patellare e separati in senso posteriore dalla fossa intercondiloidea. Medialmente e lateralmente ai due condili, superiormente ad essi, troviamo l’epicondilo mediale e l’epicondilo laterale. In particolare l’epicondilo mediale è caratterizzato da una sporgenza ossea chiamato tubercolo adduttorio che ospita alcuni fasci dei muscoli adduttori dell’anca. I due condili differiscono nella loro morfologia. Il condilo laterale si presenza più largo in avanti che indietro, mentre il condilo mediale possiede una larghezza piuttosto uniforme. In visione laterale si può notare come entrambi i condili presentino un raggio di curvatura differente da anteriore a posteriore: la curvatura è più accentuata posteriormente con il raggio di curvatura che diminuisce verso l’indietro. La convessità di entrambi i condili femorali poggia sul piatto tibiale andando a formare l’articolazione femoro-tibiale del ginocchio. La faccia anteriore situata sui condili femorali ospita invece la patella, o rotula, andando a formare l’articolazione patello-femorale del ginocchio. I due condili posteriormente ospitano l’origine dei due capi del muscolo gastrocnemio (gemello mediale e gemello laterale), uno dei muscoli che compone il cosiddetto polpaccio.

Funzioni e struttura dell’osso del femore

Il femore ha essenzialmente tre funzioni principali: fornisce le superfici articolari di due articolazioni fondamentali dell’artoinferiore come l’anca e il ginocchio, si presta come punto di inserzione ossea di numerosi muscoli che muovono sia l’anca, sia il ginocchio, e infine è determinante come struttura portante che fa da ponte tra il tronco e il suolo in attività di vita quotidiana importanti come il cammino e la corsa. Nella fattispecie il femore, soprattutto a livello prossimale tra collo e testa, possiede una struttura ossea peculiare che gli permette di opporsi in maniera adeguata alle forze compressive e di taglio, alle tensioni e alle torsioni che vengono prodotte nel sorreggere il peso del corpo camminando o correndo. Tale struttura si compone di due tipologie di tessuto osseo disposte in punti strategici: l’osso compatto e l’osso spongioso.  

femore

L’osso compatto è molto denso e tipicamente distribuito a livello corticale, nel corpo del femore e nella parte bassa del collo femorale. Le sue caratteristiche peculiari gli permettono di rispondere a carichi molto elevati e alle forze in torsione. Diversamente l’osso spongioso è più più poroso e spugnoso, caratteristiche che lo rendono più elastico e più adatto ad assorbire le forze esterne. Questa tipologia di tessuto si dispone a livello del femore seguendo le linee di stress generate in particolare a livello della struttura “a sbalzo” del collo del femore. A questo livello l’osso si dispone secondo due reti di trabecole differenti, una rete mediale e una rete arcuata.

Frattura del femore

La frattura del femore può interessare principalmente l’estremità prossimale o il corpo. Soprattutto a livello prossimale (teste e collo del femore) la rottura del femore è un’eventualità tipicamente riscontrabile negli anziani con o senza trauma (caduta). La frattura del femore negli anziani è quindi spesso conseguente a un quadro di osteoporosi avanzata. Le più frequenti sono quelle che interessano la zona del collo. Le fratture dell’estremità prossimale si dividono in due tipologie:

  • fratture mediali, il 40% del totale (dette anche intracapsulari). Questa tipologia prevede fratture della testa del femore e del collo che coinvolgono l’articolazione dell’anca. Interessano i vasi che irrorano la testa femorale (possibile necrosi della testa del femore). Nelle fratture composte il grado di interessamento dei vasi è minimo mentre è molto più importante in quelle scomposte. La necrosi della testa del femore è tanto più probabile quanto più la fratture è mediale e maggiore lo spostamento;
  • fratture laterali, il 60% del totale (dette anche extracapsulari). Questa tipologia prevede fratture che non coinvolgono l’articolazione dell’anca e vengono a loro volta suddivise in fratture basicervicali, fratture pertrocanteriche e fratture sottotrocanteriche.

Le fratture del corpo del femore sono invece eventi molto più rari che possono coinvolgere anche soggetti più giovani. La frattura è di solito conseguenza di un violento trauma sulla coscia per esempio in un incidente stradale. La paralisi del nervo femorale è una delle complicanze più gravi di questa tipologia di frattura ad alto impatto.

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Femore rotto: diagnosi e trattamento

In caso di frattura di femore nell’anziano la sintomatologia tipica prevede impossibilità di camminare o muovere l’anca, dolore localizzato a livello della coscia o sull’inguine, l’accorciamento dell’arto e il suo atteggiamento in rotazione interna o esterna. La diagnosi è tipicamente basata su una radiografia che può mettere in luce il livello e la gravità della frattura. Il trattamento viene scelto in base all’ età del paziente, al tipo di frattura e alle condizioni generali del paziente. Possono essere utilizzati dei mezzi di sintesi o una protesi. I mezzi di sintesi sono generalmente utilizzati per fratture stabili che non coinvolgono l’anca e in soggetti giovani (post trauma ad alto impatto). La protesi è un’eventualità presa in causa in caso di fallimento del mezzo di sintesi in fratture alte e instabili nei giovani, e nelle fratture del femore instabili e alte negli anziani. Le protesi della sola testa del femore sono generalmente utilizzate per soggetti molto anziani e con patologie associate invalidanti. Le protesi complete (femore e acetabolo) sono generalmente utilizzate invece per fratture del femore in soggetti tra i 60 e i 70 anni ancora attivi.

femore

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Termogenesi: cosa sapere a riguardo

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Cos’è la termogenesi

La termogenesi indotta dalla dieta (TID), anche conosciuta come Azione Dinamica Specifica degli alimenti (ADS), è la spesa metabolica che il nostro corpo impiega per digerire ed assimilare quello che mangiamo.

Il nostro metabolismo è composto, in media, da:

  • 40-70% metabolismo basale
  • 6-15% termogenesi (ADS)
  • 10-25% NEAT (attività non sportiva)
  • 10-30% attività sportiva

La termogenesi è determinata geneticamente, alcune persone assimilano facilmente tutto quello che mangiano, mentre altre hanno un’alta dispersione in calore. Individui obesi o in sovrappeso possono soffrire della termogenesi adattativa, ovvero tendono ad assorbire facilmente la maggior parte delle calorie che introducono, al contrario molte persone magre, hanno una ADS molto elevata.

Le calorie liquide, abbassano la termogenesi, questo avviene anche per alimenti facilmente digeribili come quelli ad alto indice glicemico.

Termogenesi fissa

Il TID degli alimenti può essere diviso in termogenesi fissa e facoltativa. Il primo riguarda i macronutrienti che mangiamo (carboidrati, grassi, proteine e l’alcol). Queste macromolecole apportano energie al nostro organismo, ma hanno un costo metabolico per poter essere digeriti ed assimilati.
In generale possiamo dire che la termogenesi dei macronutrienti è:

  • carboidrati 5-10% (7,5% in media)
  • grassi 3-5% (3,5% in media)
  • proteine 10-35% (22,5% in media)
  • alcol intorno al 15%

Azione dinamica specifica carboidrati

I glucidi possono variare la loro ADS (5-10%) a seconda del grado di cottura, più sono cotti e più si abbassa, al contrario più sono al dente e più si alza. Anche l’indice glicemico ed il quantitativo di fibre alimentari può variare il TID. I cereali integrali rispetto a quelli raffinati hanno un’ADS più elevata, lo stesso avviene per i carboidrati complessi rispetto ai carboidrati semplici.

La regola generale è che più il glucide è digeribile e più il costo metabolico si abbassa.

Oltre al costo della digestione e assorbimento, i carboidrati hanno anche un dispendio metabolico nella formazione e ricostruzione del glicogeno muscolare ed epatico.

Azione dinamica specifica grassi

I lipidi sono il macronutriente col minor costo metabolico (3-5%). Anche se sono quello che impiega di più la digestione, il loro dispendio è molto basso. I grassi a seconda della lunghezza della loro catena carboniosa, se sono CIS o TRANS, cambiano leggermente il loro TID.

I grassi non impiegano praticamente energie nel depositarsi nel tessuto adiposo.

Azione dinamica specifica proteine

I protidi hanno il maggior costo metabolico (10-35%). Le proteine in polvere sono quelle con la ADS minore, mentre le proteine vegetali sono quelle più indigeste e dal costo metabolico più alto. I protidi hanno anche un forte impatto metabolico stimolando ormoni come: insulina, glucagone, GH, fattori di crescita, cortisolo, testosterone. Grazie a questo migliorano la sintesi proteica. Tutto questo aumenta il loro dispendio metabolico.

Infine contenendo azoto, devono essere deaminate (formando urea) per poter essere metabolizzate, ed anche questo alza la loro termogenesi.

Diete proteiche sfruttano questo fattore, oltre all’effetto anoressizante, per aiutare a dimagrire.

Azione dinamica specifica alcol

Anche l’alcol ha un suo costo metabolico (15%). È difficile da valutare perchè gli effetti di questo macronutriente sul grasso corporeo dipendono molto se viene assunto da solo o con gli altri macronutrienti. Da solo l’alcol ha il paradosso dell’alcolista, ovvero facilmente si disperde in calore. Al contrario contribuisce al bilancio calorico quando viene assunto con altri macronutrienti.

Termogenesi dell’acqua

Capitolo a parte ha l’acqua che teoricamente non ha nessun costo metabolico. Tuttavia le ultime mode per perdere peso, portano a consigliare di bere acqua fredda per alzare la termogenesi del nostro corpo. Questa pratica ha sicuramente un dispendio energetico, ma non è così rilevante per la perdita di peso e se ne sconsiglia la pratica.

Bere quando fa caldo un bicchiere d’acqua fresca può aiutare a dissetarsi prima, ma bere acqua fredda per dimagrire ha poco senso.

Ci si chiede anche se bere molti litri d’acqua (>6l) aumenti la spesa dinamica specifica, ma su questo la scienza ancora si interroga ed interessa principalmente soltanto chi fa gare di bodybuilding.

Termogenesi indotta dalla dieta

Termogenesi facoltativa

La termogenesi facoltativa riguarda quelle sostanze che non apportano direttamente calorie ma stimolano il sistema simpatico. L’alcaloide più famoso è la caffeina, che esplica i suoi effetti sul TID. Stiamo parlando di un 2-3% sul metabolismo basale (40-70% del dispendio giornaliero), una quantità non molto rilevante soprattuto perchè l’organismo va in assuefazione se beviamo costantemente caffè, the, energy drink, ecc.

Prodotti per la termogenesi: i termogenici

Alla termogenesi facoltativa si associano tutta una serie di integratori termogenici che promettono di far dimagrire. Funzionano? Più no che si. Il loro effetto positivo lo esplicano indirettamente non tanto aumentando il metabolismo e la ADS facoltativa, ma più che altro aiutando a migliorare il focus sull’allenamento. Se ci alleniamo meglio consumiamo anche di più.

Attenzione ai sovradosaggi o all’effetto opposto che si possono avere su alcuni soggetti. Le sostanze che eccitano il sistema simpatico hanno un range in cui apportano un beneficio, se si eccede, l’effetto è contrario.

Termogenesi notturna

Può capitare di sudare durante la notte. Questo avviene perchè dopo la cena si attiva la termogenesi ed il corpo aumenta la sua temperatura corporea. Questo succede soprattuto se a cena abbiamo abbondato o sgarrato. Nei cheat meal l’aumento del TID può essere percepito, molto meno invece se la cena è moderata.

Come aumentare la termogenesi per dimagrire

Termogenesi indotta dall'attività fisica

Non esiste un modo per alzare il metabolismo e il TID. L’unico modo è mangiare di più e muoversi di più. La perdita di peso arriva quando seguiamo una dieta ipocalorica ma se mangiamo meno la ADS scende (anche questo contribuisce a far stallare i risultati). Purtroppo non esistono segreti se non quello di aumentare il NEAT (la spesa energetica non indotta dallo sport), quando stiamo a dieta.

Aumentare il numero di pasti non incide sul TID, è un vecchio mito quello di credere che facendo tanti pasti si aumenta il metabolismo. Purtroppo il TID dipende dal quantitativo che introduciamo durante la giornata e non se lo suddividiamo in pochi o tanti pasti.

Termogenesi indotta dall’attività fisica

Esiste anche una termogenesi non indotta dalla dieta ma dall’esercizio fisico. L’attività fisica stimola in positivo il metabolismo e anche quando finiamo d’allenarci abbiamo un’azione positiva (grazie all’attivazione degli adipociti bruni) sulla nostra termogenesi. Purtroppo stiamo parlando di poche calorie. Negli anni anche sull’EPOC sono circolate parecchie bufale; ovvero che facesse dimagrire in modo rilevante.

Essere attivi durante il giorno ed allenarsi correttamente (ne in difetto ne in eccesso) sono i segreti per preservare il metabolismo e con questo la termogenesi indotta dall’attività fisica.

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Stacchi a gambe tese: come farli correttamente

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Stacchi gambe tese

Gli stacchi a gambe tese sono uno degli esercizi più utilizzati per allenare i glutei e la catena cinetica posteriore in generale. La loro esecuzione, a differenza dello stacco da terra, è piuttosto semplice ma ci sono dei particolari importanti da conoscere:

Mantenere le curve fisiologiche

Negli stacchi a gambe tese aumentano le forze di taglio sul rachide. Questo vuol dire che le forze di compressione, si trasformano, mano a mano che ci flettiamo in avanti in forze di taglio, molto più pericolose per la nostra colonna vertebrale.

Stacchi gambe tese infortuni

Per limitare tutto questo dobbiamo semplicemente mantenere le curve fisiologiche della colonna, come quando stiamo in piedi. Non dobbiamo iperestendere il collo ma mantenere la curva cervicale, non dobbiamo ingobbirci, ne appiattire il troppo lombare.

Se la colonna rimane naturale, mantiene la giusta tensione dei paravertebrali (multifido, lunghissimo del dorso, ileocostale, ecc.) preservando e riducendo i fattori di rischio.
Chi soffre di mal di schiena in fase acuta deve evitare l’esercizio, mentre negli altri casi (ernie e protusioni) è da valutare sul singolo soggetto (in molti possono farlo comunque).

Stacchi a gambe tese: che muscoli coinvolgono?

In questo esercizio viene coinvolta tutta la catena posteriore, ovvero tutti i muscoli posteriori del nostro corpo, dai polpacci, ai paravertebrali, romboidi, e trapezi. Ma i due muscoli più sollecitati che attivamente estendono la schiena sono:

Esiste una rivalità tra questi due muscoli per chi lavora di più nell’estensione dell’anca. In generale la forza degli ischiocrurali è maggiore a gambe tese e minore nelle gambe flesse come durante l’hip thrust. Quindi possiamo dire che durante gli stacchi a gambe tese prevalgono i muscoli posteriori della coscia rispetto al gluteo. Comunque per farlo lavorare bene è importante mantenere una buona lordosi lombare, in questo modo ci assicuriamo che lavori in allungamento e che così possa generare la corretta forza.

muscoli stacchi gambe tese

Alcuni particolari tecnici da considerare

Per concludere vediamo alcuni particolari tecnici per ottimizzare il lavoro negli stacchi a gambe tese:

  1. tensione continua: se riesci non riposarti durante la serie, se non nelle ripetizioni finali. Mantieni la tensione tra le ripetizioni senza scaricarla distendendo completamente il busto
  2. il respiro: se fai poche ripetizioni con alti carichi puoi fare la manovra di Valsalva mentre sali, altrimenti espira senza perdere la postura
  3. le scapole: tieni il petto in fuori, non devi contrarre eccessivamente i romboidi tra le scapole ma neanche perderle completamente.
  4. piedi: non tenere il peso ne eccessivamente sulla punta dei piedi, ne sul tallone, ma distribuisci uniformante su tutta la pianta il peso
  5. glutei: poni attenzione ai tuoi glutei ed immagina di far partire il lavoro da li, sono i glutei che si contraggono e che ti riportano su, non perdere la curva lombare
  6. ROM: il movimento non deve essere ne eccessivo (magari facendolo da una panca o sopra uno step) ne troppo corto magari usando dei kettlebell col manico molto lungo. Devi sentire la giusta tensione muscolare. Se perdi la schiena fermati prima.
  7. Ginocchia: anche se l’esercizio si chiama a gambe tese, conviene piegare leggermente le ginocchia per riuscire a lavorare meglio col gluteo.

Conclusioni

Gli stacchi a gambe tese sono un bell’esercizio che può essere messo come complementare in una scheda da palestra. Lo puoi così fare dopo uno squat, stacco sumo o regolare, pressa.
Essendo un complementare si sposa bene con tutti gli esercizi di second’ordine delle gambe come gli affondi, gli squat bulgari, leg extention, ecc.

Normalmente un suo schema allenante è un 3×8, 3×10, 2×12, 1×15.

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Somatotipo e somatocarta: come siamo fatti realmente?

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Somatotipi

Solitamente, quando si sente parlare di somatotipo, viene spontaneo pensare alla classica suddivisione in endomorfo, mesomorfo, ectomorfo.
Quindi ognuno di noi corrisponde realmente ad UNO di questi 3 tipi morfologici? Putroppo la questione non è cosi semplice.

Origine del somatotipo

L’idea di classificare gli uomini per categorie è molto antica ma il termine somatotipo viene coniato nel 1940 da William Herbert Sheldon.
Sheldon è uno psicologo che analizzando il temperamento dei pazienti, valuta la loro indole partendo dall’embriologia. La sua classificazione prende spunto dai foglietti embrionali.
Il mesoderma (che da origine ai muscoli, cuore e vasi) caratterizza i mesomorfi, l’endoderma (che da origine l’apparato digestivo e respiratorio) gli endomorfi ed infine l’ectoderma (che da ordine alla sistema nervoso ed alla pelle) gli ectomorfi.

Ovviamente questa correlazione non è mai stata dimostrata.

Il significato di somatotipo, studiato attraverso la somatometria (materia facente parte dell’antropometria) ha lo scopo di creare un orientamento verso quella che potrebbe essere la stima della condizione morfologica di un soggetto.
Il somatotipo, infatti, è espresso attraverso 3 numeri (ognuno dei quali va da un minimo di 1 a un massimo di 7) che rappresentano rispettivamente il “grado” di endomorfia, mesomorfia ed ectomorfia di un individuo.

Queste tre macro-tipologie furono presentate da Carter e Heath nel 1990 (e confermate da Isak nel 2001) in seguito ad una moltitudine di studi eseguiti su un ampio numero di soggetti; decisero di identificare queste figure come:

  • –  Endomorfo: presenta delle forme grosse e arrotondate; gli arti tendono ad essere più corti in relazione al rachide (leve corte); facilità nell’aumento di massa muscolare accompagnata però da una grande adiposità e difficoltà nella perdita tessuto adiposo con un bacino molto largo; questi soggetti presentano una grande forza massima ed esplosiva.
  • –  Mesomorfo: presenta una buona densità ossea, clavicole leggermente più lunghe che fanno in modo che le spalle siano più larghe rispetto al bacino; risponde bene agli stimoli ipertrofici pur mantenendo un livello di massa grassa basso; muscolatura ben distribuita e dispendio energetico nella media.
  • –  Ectomorfo: presenta delle forme molto allungate, leve molto lunghe rispetto al rachide, mani grandi, emblema del classico soggetto longilineo; difficoltà nell’aumento di massa muscolare con una percentuale di massa grassa molto bassa; presenta un dispendio energetico di base molto elevato.

Inoltre, secondo Heath e Carter il modello antropometrico di un individuo non può essere interamente incentrato su uno dei tre tipi di somatotipo, ma ogni soggetto presenta un rapporto specifico delle tre tipologie corporee.

Per stabilire il somatotipo di un individuo vengono utilizzati diversi metodi; la maggior parte di quest’ultimi utilizza dei parametri che vengono inseriti in delle equazioni che daranno, come risultato, i 3 valori precedentemente citati; tra i parametri si possono notare: altezza, peso, pliche del tricipite, sottoscapolare e sopraspinale, larghezza di gomito e ginocchio, circonferenza di bicipite flesso e polpaccio.

In conclusione di un’attenta analisi si avrà, quindi, un “codice” che identifica il soggetto morfologicamente; ad esempio un soggetto che presenterà un somatotipo di 3.5.2 presenterà un livello di endomorfia pari a 3, di mesomorfia pari a 5 e di ectomorfia pari a 2. Ciò sta a significare che presenta diverse caratteristiche, più o meno elevate, di tutti e 3 i tipi morfologici.

Generalmente un valore che oscilla da 1 a 2.5 è considerato minimo, da 3 a 5 è considerato medio e da 5.5 a 7 è considerato elevato (senza contare che in casi molto particolari alcuni soggetti possono presentare dei livelli anche più elevati di 7 riguardo ad uno dei tre parametri morfologici catalogandosi, così, come “soggetti estremi”).

In seguito all’assegnazione di un valore, il somatotipo viene rappresentato nella somatocarta (figura sottostante)

Somatotipo e somatocarta

Fonte: SOMATOTYPES IN SPORT

Si tratta di un grafico a forma di triangolo con i lati curvi che ai vertici presenta le 3 tipologie di somatotipo: nel posizionamento all’interno del grafico, quindi, più ci si posiziona vicino ad un vertice e più l’espressione di quella tipologia morfologica sarà elevata.
Sono, inoltre, stati identificati delle corrispondenze tra i posizionamenti all’interno del grafico (quindi le diverse espressioni morfologiche) e il successo in determinati sport.

  • Zona A: soggetti talentuosi in vari sport (in particolare sport di squadra)
  • Zona B: individui talentuosi in sport di endurance ed eleganza (ginnastica)
  • Zona C: si hanno bassi livelli di successo nello sport in generale a causa di una componente mesomorfa troppo bassa
  • Zona D ed E: individui con i peggiori risultati nelle attività sportive
  • Zona F: individui con buone possibilità di successo in sport di potenza.

A cosa serve il somatotipo?

Da molti anni, ormai, il somatotipo è utilizzato per stabilire il grado di affinità del soggetto con un determinato sport; questo metodo, aiuta molto nella scelta di un atleta, soprattutto se in giovane età, trattandosi quindi di un “investimento” della società/squadra.

Molte società sportive si basano, infatti, sul riconoscimento del talento nei giovani sportivi attraverso il calcolo del somatotipo o l’analisi della maturazione biologica e cronologica: si tratta di analizzare quella che è la maturazione fisica del soggetto in confronto all’età; due soggetti, con stessa età ed altezza, che presentano una maturazione biologica differente, otterranno risultati differenti sia in termini di performance che in termini di miglioramento (il soggetto meno maturo biologicamente ha più margine di miglioramento e, di conseguenza, maggiori potenzialità).

Linee guida ectomorfo

Allenamento alimentazione ectomorfo

Per quanto riguarda il soggetto ectomorfo, possiamo generalmente dare queste indicazioni pratiche.

Alimentazione

Sono soggetti che di solito hanno un’alta termogenesi, quindi hanno difficoltà a mettere su peso perchè facilmente convertono in calore quello che mangiano.
È pertanto fondamentale essere sicuri di assumere più calorie del proprio TDEE, qual ora si vuole aumentare la massa muscolare, introducendo spesso un quantitativo superiore a >500kcal rispetto al fabbisogno calorico giornaliero.

I carboidrati devono essere alti ma se il soggetto supera i 6-7g/kg conviene aumentare le calorie da proteine (1,4-3g/kg) e grassi (0,8-1,2g/kg).

Allenamento

I soggetti ectomorfi rispondono male agli stimoli allenanti e riescono a sopportare meno volume. L’allenamento deve quindi essere incentrato sul migliorare la frequenza e volume dell’allenamento. Conviene per l’ectomorfo allenarsi spesso per continuare a stimolare l’organismo.

È importante, nel tempo raggiungere un buon livello di forza che viene indicato in:

  • Panca piana: 1,5BW
  • Squat: 2BW
  • Stacco da terra: 2,5BW
  • Trazioni: >12 ripetizioni

Il volume dall’allenamento abbinato a buoni carichi permetterà agli ectomorfi d’ottenere i risultati in palestra.

Linee guida mesomorfo

Allenamento alimentazione mesomorfo

Questi soggetti hanno un tessuto muscolare prevalente rispetto a quello adiposo, quindi tendono a indirizzare quanto mangiano al muscolo e non al grasso

Alimentazione

Non ci sono particolari indicazioni da dare ai mesomorfi, se non quelle di seguire le linee guida dell’alimentazione sportiva

  • Proteine: 1,4-2,6g/kg
  • Carboidrati: 4-7g/kg
  • Grassi: 0,6-1,2g/kg

Allenamento

Anche per l’allenamento il mesomorfo non trova particolari difficoltà. Generalmente questi soggetti sopportano maggiori volumi di lavoro e rispondono bene a tutti gli stimoli allenanti.

Linee guida l’endomorfo

Allenamento alimentazione endomorfo

Questi soggetti hanno generalmente una bassa termogenesi indotta dagli alimenti ed accumulano facilmente peso.

Alimentazione

In generalmente l’endomorfo ingrassando facilmente dovrà seguire un’alimentazione prevalentemente ipocalorica. Per quanto riguarda i macronutrienti non ci sono particolari accorgimenti ma tendenzialmente questi soggetti mal sopportano alti quantitativi di carboidrati (1,5-4g/kg). Proteine (1,4-2,6g/kg) e grassi (0,6-1,2g/kg) rimangono in dei range normali.

Allenamento

È importante per questi soggetti aumentare la capacità metabolica dell’organismo. Allenamenti coi pesi densi (circuiti, EMOM, EDT, ecc.), cardio, HITT possono aiutare la biogenesi mitocondriale, migliorando lo stato metabolico dell’endomorfo.

Recenti studi sul somatotipo

Vi sono recenti studi a proposito del somatotipo: in uno studio del 2009 tratto da “The Social Science Journal” viene analizzata la possibilità di stabilire il somatotipo attraverso il BMI: i risultati ottenuti sono stati negativi in quanto il BMI non tiene conto di massa magra e massa grassa e quindi si hanno delle corrispondenze negative nell’identificare il somatotipo con il solo calcolo dell’indice di massa corporea.

Altri studi, invece, cercano di analizzare e stabilire dei parametri generali a proposito del somatotipo corrispondente a determinati sport: uno studio del 2015 pubblicato su “Science Direct” analizza i diversi somatotipi in vari sport di squadra (calcio e basket) o individuali (kayak) arrivando alla conclusione che in entrambi i tipi di sport, i soggetti con maggior successo e potenzialità sono quelli che presentano una dominanza della componente mesomorfica a discapito delle altre due componenti.

In un altro studio è stato analizzato il somatotipo ideale per gli atleti Ironman: i risultati ottenuti, come è facile immaginare, espongono come modello un somatotipo con valori pari a 1,7.4,9.2,8: i livelli di endomorfia risultano minimi lasciando spazio a leggeri livelli di ectomorfia ed una predominanza della mesomorfia. È facile ricollegare questi risultati anche al modello di prestazione dello sport in quanto alti livelli di endomorfia rischierebbero solo di rallentare il soggetto peggiorando la prestazione.

Infine, altri studi a proposito dell’attività anaerobica e del bodybuilding continuano a segnalare come, in entrambi i casi, la componente mesomorfica risulta avere un’importanza decisamente elevata; in particolare negli sport anaerobici a scatti si rileva una discreta importanza della componente ectomorfica per gli arti inferiori (arti più lunghi) unita ad un buon livello di mesomorfia; nel bodybuilding risulta essere fondamentale un basso (o assente) livello di ectomorfia a favore di alti livelli di mesomorfia e discreti di endomorfia (in quanto la componente ectomorfica potrebbe “ostacolare” l’aumento dei volumi muscolari e il miglioramento della forza muscolare a causa delle leve decisamente più lunghe).

Somatotipi: conclusioni

Il somatotipo, differentemente da quella che è l’idea comune, viene stabilito da un’attenta analisi effettuata attraverso misurazioni che daranno come risultato il grado di espressione dei 3 diversi tipi morfologici. Tranne se non si aspira a raggiungere livelli di élite, il somatotipo nello sport può essere preso in considerazione ma con molta attenzione: molti studi rappresentano anche delle precise tipologie di allenamento in base al somatotipo di appartenenza, ma è sempre più logico e razionale affidarsi ai feedback e ai risultati che si ottengono nel tempo attraverso le varie programmazioni di allenamento messe in atto (a partire dagli sport di squadra fino ad arrivare alla pesistica e al bodybuilding). Ognuno di noi è diverso a proprio modo e reagisce e in modo differente ai diversi stimoli. L’unico modo per raggiungere risultati è PROVARE, TESTARE e MONITORARE, tre azioni che daranno poi vita a quella che è l’ESPERIENZA.

BIBLIOGRAFIA

  • –  Jeremy E.C. Genovese, Can Body Mass Index (BMI) be used as a proxy for somatotype?, The Social Science Journal 46 (2009) 390–393.
  • –  Boris Gutnik et al., Body physique and dominant somatotype in elite and low-profile athletes with different specializations, Science Direct, 2015.
  • –  Teodor TÓTH et al., SOMATOTYPES IN SPORT, acta mechanica et automatica, vol.8 no.1 (2014).
  • –  Michel Kandel et al., Somatotype, training and performance in Ironman athletes, EuropeanJournal of Sport Science (2014).
  • –  Ardeshir Zafari, Somatotype and body composition of Iranian elite bodybuilders, ANNALS OF BIOLOGICAL RESEARCH · April 2013.
  • –  Helen Ryan-Stewart e co., The influence of somatotype on anaerobic performance, Department of Sport, Exercise, and Health, University of Winchester.
Note sull’autore
L’articolo sui somatotipi è del Dott. Gianluca de Giorgi
Laureato in scienze motorie e iscritto alla specialistica STAS di Bologna.
Ha scritto per la rivista”Scienza e Movimento”.
Personal trainer e appassionato di nutrizione umana.
È responsabile della sezione “fitness e allenamento” del blog curarsicongusto.it
Profilo INSTAGRAM: gian.degio

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Tessuto adiposo: cos’è e come eliminarlo?

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Essere grassi non piace e non è il massimo per la propria salute. Questi chili in più che in tanti vogliono eliminare sono proprio di tessuto adiposo. Ne esiste solo una tipologia? Ha un’unica funzione? Pranzi a base di zenzero e curcuma lo bruciano? In condizioni normali di salute questo tessuto è da eliminare completamente perché fa male? La risposta breve a tutte queste domande è no.

Che cos’è il tessuto adiposo?

Il tessuto adiposo è un deposito di energia accumulata sotto forma di lipidi (trigliceridi), che sono immagazzinati nelle cellule adipose (adipociti). Oltre a questa funzione, il grasso del nostro corpo svolge un ruolo attivo: è in grado di secernere molecole coinvolte nella regolazione dell’omeostasi ormonale, metabolica, cardiovascolare, infiammatoria.

In fisiologia si parla sempre più dell’adipocita come una vera e propria fabbrica molecolare: per questo è più corretto parlare di ‘organo’ adiposo piuttosto che di ‘tessuto’ adiposo.

Dove si trova il tessuto adiposo?

Possiamo classificare il tessuto adiposo in base a dove si trova, perciò distinguiamo:

  • Grasso sottocutaneo: che come dice il nome si trova sotto alla cute e quindi lungo tutta la superficie corporea;
  • Grasso viscerale: situato tra gli organi della cavità addominale e più in profondità rispetto al sottocutaneo;
  • Grasso intramuscolare: presente tra le fibre muscolari e che può portare ad insulino-resistenza se in eccesso.

Per quanto riguarda la localizzazione, alcune persone tendono ad accumulare le riserve di tessuto adiposo in punti caratteristici: c’è chi accumula grasso soprattutto a livello addominale (soggetti androidi, più comune tra gli uomini), chi su cosce e fianchi (soggetti ginoidi, specialmente le donne) e chi è una via di mezzo tra i due (soggetti misti).

Il punto in cui accumuli più grasso sarà lo stesso punto in cui farai più fatica a perderlo se vuoi diminuire di peso e in cui i risultati del dimagrimento faranno più fatica ad emergere. Si tratta del cosiddetto grasso ostinato.

Costanza e regime ipocalorico sono una chiave per iniziare a rimuovere l’eccesso indesiderato!

Aspettare di perdere il grasso ostinato grazie al sale rosa dell’Himalaya in sostituzione al comune sale da cucina o al consumare chili di bacche di Goji come snack quotidiano è un’ottima strategia per non ottenere nulla. Strano ma vero, l’alimento che fa dimagrire non esiste!

Quali sono i tipi di tessuto adiposo?

Ci sono più tipi di tessuto adiposo: il più conosciuto sicuramente è il tessuto adiposo bianco, quello che comunemente chiamiamo “grasso” e che vogliamo eliminare per dimagrire. Un altro tipo è il tessuto adiposo bruno, quantitativamente meno presente nel nostro corpo rispetto al precedente e con una funzione diametralmente opposta, anche se sempre di cellule che contengono lipidi si tratta.

Questi due tessuti sebbene abbiano struttura e funzione diversa, sono parenti: entrambi derivano da una cellula progenitrice comune (pre-adipocita), che tramite segnalazioni cellulari diventa una cellula adiposa bruna o bianca.

Oltre a questi due principali ce ne sono anche altri con caratteristiche intermedie tra i due, ad esempio il tessuto adiposo beige, che grazie a determinati stimoli (come l’attività fisica o le basse temperature) si trasforma in cellula bruna.

Tessuto adiposo bruno

Le cellule di questo tessuto presentano un accumulo di trigliceridi compartimentati in più goccioline lipidiche (è definito quindi multiloculare) e numerosi mitocondri, organuli cellulari fondamentali per il metabolismo e la produzione di ATP (energia).

I mitocondri insieme all’alta vascolarizzazione del tessuto sono responsabili della sua colorazione (bruna).

Dove lo troviamo? Si trova soprattutto nei neonati (come meccanismo di protezione dal freddo), mentre nell’adulto è meno presente e limitato alla zona sottoscapolare, ascellare e pubica.

Negli individui obesi ce n’è di meno rispetto agli individui non obesi e inoltre, teoricamente, una perdita di peso è anche associata ad una maggior attività degli adipociti bruni: entrambi fattori che inducono a pensare ad un collegamento tra la quantità di tessuto adiposo bruno e l’obesità.

La principale funzione degli adipociti bruni è la termogenesi: queste cellule sono come delle fornaci che sviluppano calore bruciando i grassi che contengono. Se le cellule adipose bianche accumulano energia, queste brune la disperdono.

Il processo di ‘imbrunimento’ induce la trasformazione del tessuto adiposo bianco in tessuto adiposo bruno; meccanismo che può essere stimolato dal freddo o dall’esecuzione di attività fisica.

Tessuto adiposo bianco

Tessuto adiposo bianco e struttura adipocita

La struttura di questo tessuto prevede voluminosi adipociti che accumulano trigliceridi in un’unica grande goccia lipidica (tessuto uniloculare) che sostanzialmente occupa la maggior parte del volume cellulare (85%): il nucleo e i vari organuli vengono spinti verso la periferia della cellula, proprio per l’ingombro provocato dai lipidi presenti.

La goccia lipidica non è una struttura statica, ma è soggetta ad una condizione dinamica di turnover (ricambio): quando abbiamo bisogno di energia i lipidi vengono prelevati dall’adipocita, mentre tramite l’alimentazione vengono re-integrati i depositi energetici.

Oltre alla funzione di riserva di energia, questo tessuto ti isola termicamente dall’esterno (quindi chi ha meno adipe avrà tendenzialmente più freddo) e protegge le strutture anatomiche interne, facendo da “cuscinetto”. Da qui risulta come avere la giusta quantità di tessuto adiposo sia indispensabile.

Tessuto adiposo sottocutaneo

Si tratta di tessuto adiposo bianco situato sotto alla pelle, quindi lungo tutta la superficie corporea, anche se prevalentemente si trova a livello dell’addome e dei fianchi.

Il tessuto sottocutaneo è più soggetto ad accumulare lipidi perché più sensibile all’azione dell’insulina, ormone pancreatico la cui concentrazione ematica aumenta in risposta all’aumento della glicemia (es. dopo un pasto).

Tessuto connettivo adiposo

Non si tratta di un ulteriore tipo o sottocategoria di tessuto adiposo, ma è solamente un altro modo per definire il tessuto adiposo: il tessuto adiposo è di per sé definito un tessuto connettivo.

In generale il tessuto connettivo ha una funzione strutturale, di protezione e di deposito di grasso, caratteristiche a cui il tessuto adiposo infatti risponde.

Tessuto adiposo addominale

Caratteristiche del tessuto adiposo addominale

Il grasso dell’addome è bene tenerlo sotto controllo: un suo aumento è indice di un maggior rischio cardiovascolare, oltre che di insulino-resistenza e conseguenti complicanze.

Si tratta di un accumulo di grasso bianco sottocutaneo a livello superficiale dell’addome, più caratteristico degli uomini rispetto alle donne. Caratteristica che con l’avanzare dell’età va persa, a causa delle modificazioni ormonali a cui la donna va incontro con la menopausa.

È molto sensibile all’insulina e quindi tendenzialmente sito di accumulo di grassi: l’insulina sopprime la lipolisi a favore della lipogenesi, in seguito ad un suo aumento nel sangue.

Come eliminare il tessuto adiposo addominale?

Un regime alimentare ipocalorico e pazienza sono la risposta, dimagrire velocemente in poco tempo non corrisponde ad una sostanziale ed effettiva perdita di grasso.

Bisogna raggiungere un deficit calorico tagliando le calorie ingerite e/o aumentando il dispendio energetico. Ad esempio, prendere l’abitudine di camminare un’ora ogni giorno o rinunciare al dolcetto a fine pasto o a porzioni troppo abbondanti.

Chiaro che chi parte da un fabbisogno calorico di per sé basso, con un taglio calorico farà più fatica a mantenere questo regime alimentare: un ristretto apporto calorico è difficile da mantenere nel tempo, soprattutto per motivi psicologici.

È perciò avvantaggiato chi parte da un introito calorico più elevato, perché potrà effettuare tagli graduali e anche più consistenti (a seconda della necessità) delle calorie giornaliere.

Tessuto adiposo viscerale

È la parte di tessuto adiposo bianco che si trova nella cavità addominale tra gli organi (intestino, reni, fegato), perciò non è visibile (al contrario del palpabile grasso sottocutaneo).

È connesso all’insulino-resistenza: condizione in cui le cellule non sono più (o lo sono di meno) sensibili all’azione dell’insulina, che ha la funzione di far internalizzare nelle cellule il glucosio assunto con la dieta, dove poi viene utilizzato a scopi energetici.

Un eccesso di glucosio comporta la produzione di grassi, che si accumulano anche a livello viscerale.

Rispetto al grasso sottocutaneo, questo è meno sensibile all’insulina e più soggetto all’azione di adrenalina e noradrenalina: entrambe queste caratteristiche fanno sì che il grasso viscerale sia più soggetto a lipolisi piuttosto che lipogenesi.

Come eliminare il tessuto adiposo viscerale?

Come dimagrire ed eliminare il tessuto adiposo in eccesso

Come sempre per perdere peso la regolazione del bilancio energetico è la chiave: vuoi perdere peso? Regime ipocalorico.

Rispetto al tessuto adiposo sottocutaneo, quello viscerale è più facile da perdere, proprio perché come già accennato gli ormoni coinvolti comportano una più facile induzione del catabolismo dell’adipe situato tra gli organi piuttosto che di quello superficiale.

Perciò in caso di dieta ipocalorica, questo tessuto sarà più facilmente metabolizzato, a differenza del sottocutaneo che intanto permarrà.

Tessuto adiposo ed effetto whooshing

Il tessuto adiposo possiede una % di acqua variabile mediamente tra 18-25%. Un kg di grasso corporeo sono 7000 kcal e non 9000 kcal proprio per l’acqua legata al tessuto adiposo (la composizione tra acqua e grasso è molto simile a quella dei valori nutrizionale del burro).

Quando dimagriamo l’adipocita inizialmente tende a svuotarsi di acidi grassi, ma dopo le prime settimane tende a sostituirli con l’acqua, aumentando la sua % idrica. La cosa non è stata ancora dimostrata, ma nella pratica la si può vedere frequentemente.

  1. La persona si mette a dieta e taglia i carboidrati.
  2. Perde grasso (e acqua).
  3. Il dimagrimento dopo le prime settimane si blocca.
  4. Taglia ulteriormente i carboidrati, aumenta le proteine, ma dopo poco tempo aumenta la ritenzione idrica.
  5. Si effettua una ricarica e sotto un controllo calorico si introducono nuovamente i carboidrati.
  6. Si perdono improvvisamente gli ultimi kg ed i muscoli si ritrovano pieni. La ricarica di glicogeno ha richiamato acqua dalla parte interstiziale e dagli adipociti portando all’effetto whooshing.

Ovviamente quanto descritto è pura speculazione mentale, magari erano solo liquidi interstiziali e l’effetto whooshing non esiste. Purtroppo, non lo possiamo misurare neanche la impedenziometria. Quello che comunque dobbiamo portarci a casa è che molto spesso la resistenza al dimagrimento non è data dalla difficoltà di consumare acidi grassi, ma di ritenere maggiormente l’acqua che annulla la perdita di peso (sulla bilancia ma anche a livello estetico).

Qual è la differenza tra tessuto adiposo viscerale e sottocutaneo?

La sostanziale differenza tra i due è la sensibilità diversa nei confronti dei mediatori chimici del nostro organismo, in particolare insulina e catecolamine (adrenalina e noradrenalina).

In termini generali e schematici, l’insulina (prevalentemente presente in risposta all’ingerimento di carboidrati) sopprime la lipolisi, ovvero il rilascio di grassi dagli adipociti. Al contrario le catecolammine sono associate alla lipolisi.

Il tessuto viscerale è meno sensibile (o resistente) all’attività insulinica, quindi è più facile che rilasci acidi grassi nel sangue rispetto al sottocutaneo. Il viscerale, così, avrà un maggior turnover di lipidi, mentre il sottocutaneo avrà un minor ricambio. Questo anche perché il sottocutaneo è meno sensibile alle catecolammine.

Conclusioni sul tessuto adiposo e su come eliminarlo

Come eliminare il tessuto adiposo in eccesso e dimagrire

In condizioni fisiologiche fondamentale da avere, in eccesso da eliminare.

Come sempre, la genetica ha la sua parte: c’è chi ha più facilità ad ingrassare e chi meno, chi perde più facilmente i chili indesiderati in più e chi ci mette più tempo. Poi c’è anche chi passa una vita a sperare di perdere grasso in modo miracoloso e pseudo-scientifico: la perfetta vittima del marketing.

Per eliminare il grasso è fondamentale un regime ipocalorico e pazienza, per dimagrire ci vuole tempo e una buona consapevolezza di come siamo fatti e funzioniamo.

Nota sull’autore

Dott.ssa Lucia Ienco

Laureata in Biotecnologie presso l’Università di Trieste e studentessa magistrale in Scienze dell’Alimentazione presso l’Università di Firenze. Certificata ISSA CFT3 ed esordiente di weightlifting a livello agonistico.

lucia.ienco97@gmail.com

Bibliografia

Gartner & Hiatt (2014). “Istologia”. EdiSES.

Gropper & Smith (2013). “Advanced Nutrition and Human Metabolism”. Wadsworth Cengage Learning.

Liguri (2015). “Nutrizione e dietologia – Aspetti clinici dell’alimentazione”. Bologna, Zanichelli editore S.p.A.

Symonds (2012). “Adipose Tissue Biology”. Springer

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