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Otturatore interno: anatomia, funzioni ed esercizi

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Muscolo otturatore interno visione posteriore

L’otturatore interno, muscolo a forma di ventaglio, origina dalla superficie interna della membrana otturatoria e dall’osso adiacente che circonda il forame otturatorio. Gran parte dell’inserzione prossimale del muscolo si estende superiormente e poco posteriormente alla superficie interna dell’ischio, circa 2-3 cm sopra la spina ischiatica. Da questa vasta origine le fibre muscolari decorrono in maniera trasverso-laterale, convergendo in un tendine dopo essere uscite dal bacino attraverso il piccolo forame ischiatico.

La piccola incisura ischiatica, rivestita da cartilagine, funge da puleggia deviando il tendine del muscolo otturatore interno di circa 130 gradi nel suo decorso verso la superficie mediale del grande trocantere, dove si inserisce fondendosi con il tendine dei due muscoli gemelli superiore e inferiore.

Nella sua porzione intra-pelvica il muscolo otturatorio interno contribuisce a delimitare, insieme al muscolo elevatore dell’ano, la fossa ischio-rettale; nella parte extra-pelvica, dove decorre tra i muscoli gemelli, è coperto dal muscolo grande gluteo e, a sua volta, ricopre l’articolazione dell’anca. È situato sotto al piriforme e al gemello superiore, mentre sovrasta il gemello inferiore e il quadrato del femore.

A livello funzionale, come scopriremo tra poco, ha un ruolo nel regolare i movimenti dell’anca, ma soprattutto nella sua stabilizzazione. Andiamo ad analizzare in che modo.

ANATOMIA E FUNZIONI DEL MUSCOLO OTTURATORE INTERNO

Origine Lato interno della membrana otturatoria, margine interno del foro otturatorio, superficie ossea situata tra il foro otturatorio e la grande incisura ischiatica
Inserzione Superficie mediale del grande trocantere, appena antero-superiormente alla fossa trocanterica
Azione Ruota esternamente, stabilizza ed abduce l’articolazione dell’anca quando questa è in posizione neutra o estesa. Abduce l’anca quando questa è flessa 90 gradi

Otturatore interno: funzioni

Visto il suo decorso anatomico, l’otturatore interno fa parte del gruppo dei sei muscoli rotatori esterni brevi dell’anca, formato dai muscoli:

  • Piriforme
  • Otturatore interno
  • Otturatore esterno
  • Gemello superiore
  • Gemello inferiore
  • Quadrato del femore

Le linee di forza di questi muscoli sono orientate principalmente sul piano orizzontale. Questo orientamento è ottimale per generare un momento di torsione di rotazione esterna, poiché la maggior parte della componente di forza di ciascun muscolo ha un’intersezione perpendicolare con l’asse verticale di rotazione.

In modo simile al muscolo infraspinato e al  piccolo rotondo nella spalla, i muscoli rotatori esterni brevi sono anche ben allineati per comprimere e quindi contribuire a stabilizzare l’articolazione coxo-femorale.

Queste caratteristiche portano a considerare questi sei muscoli come un gruppo funzionale unico, in grado di ruotare esternamente l’anca ma soprattutto di fornire stabilità a quest’ultima, grazie alla loro localizzazione ravvicinata all’asse di rotazione.

Complesso muscolare dei rotatori esterni brevi dell’anca

Vista la localizzazione delle sue fibre, l’otturatore interno è quindi un rotatore esterno ed un debole abduttore dell’anca quando questa è in posizione neutra o estesa, ed è in grado di stabilizzare la testa del femore nell’acetabolo. Quando l’anca si trova in pozione di flessione a 90 gradi, la componente di rotazione esterna data dall’otturatorio interno è minima, mentre diventa predominante quella abduttoria, che rimane tuttavia di rilevanza estremamente minore rispetto a grandi muscoli come grande e medio gluteo. 

Con il femore saldamente fissato durante la posizione eretta, una forte contrazione del muscolo otturatore interno destro (ad esempio) può ruotare il bacino (e il tronco sovrapposto) controlateralmente verso sinistra rispetto alla testa del femore. Oltre a ruotare il bacino, la forza generata dal muscolo con le sue fibre quasi orizzontali comprime efficacemente la testa del femore nell’acetabolo.

In uno studio Hodges et al. hanno evidenziato che l’otturatore interno è solitamente il primo muscolo ad attivarsi durante uno sforzo isometrico crescente per abdurre e ruotare esternamente l’anca. Questa attivazione precoce può riflettere l’importante ruolo del muscolo nel generare stabilità sull’articolazione poco prima dell’attivazione di altri muscoli.

Esercizi per l’otturatore interno

 L’otturatore interno, grazie alle sue azioni di extrarotazione e di stabilizzazione d’anca, è chiamato in causa in molti esercizi in palestra in cui sono coinvolti gli arti inferiori, che richiedono tali  funzioni.

Agendo in maniera sinergica con il gruppo muscolare degli extrarotatori brevi, non esiste un esercizio in grado di attivare ed allenare selettivamente questo muscolo, che svolgerà la propria azione sempre insieme ai suoi “colleghi”. In base alle funzioni anatomiche che prima abbiamo analizzato, l’otturatore interno può essere rinforzato e allenato secondo due differenti modalità:

– come stabilizzatore dell’anca in esercizi multiarticolari come squat, affondi, stacco a gamba singola e step-up;

– come muscolo agonista assieme ai muscoli extrarotatori in esercizi monoarticolari come le abduzioni sul fianco, il clamshell, il fire hydrants, il macchinario abductor machine e la camminata laterale. Un buon metodo per stimolare l’attivazione di questi muscoli è utilizzare una banda elastica attorno alle ginocchia durante l’esecuzione degli esercizi.

Otturatore interno e pavimento pelvico: quale connessione?

 Uno strato relativamente denso di tessuto connettivo ricopre e aderisce a una porzione della superficie intra-pelvica del muscolo otturatore interno, spesso descritto come “fascia del muscolo otturatore”. Questa fascia funge da inserzione al muscolo elevatore dell’ano, il principale muscolo del pavimento pelvico, che spesso con l’avanzare dell’età risulta indebolito e/o parzialmente fibrotizzato.

A causa di questa connessione anatomica diretta, alcuni trattamenti per la sindrome o disfunzione dolorosa del pavimento pelvico prevedono esercizi di rinforzo dell’otturatore interno.

Diversi studi hanno infatti evidenziato che il rinforzo di questo muscolo aumenta la forza generale del complesso muscolare del pavimento pelvico, grazie ai suoi stretti rapporti fasciali con questo distretto, integrandosi in maniera importante nel percorso riabilitativo di quest’ultimo.

Muscoli del pavimento pelvico

 

Bibliografia

1- ​Neumann, D. A. (2017). Kinesiology of the musculoskeletal system, Foundations for rehabilitation (Third Edition.). St.Louis, Missouri: ELSEVIER.

2-Standring, S. (n.d.). Anatomia del Gray. Le basi anatomiche per la pratica clinica.Cook MS,

3-Bou-Malham L, Esparza MC, Alperin M. Age-related alterations in female obturator internus muscle. Int Urogynecol J. 2017;28(5):729–734. doi:10.1007/s00192-016-3167-5

4-Lori T., DeLozier E., The Role of the Obturator Internus Muscle in Pelvic Floor Function, 2016, doi: 10.1097/JWH.0000000000000043

5-Hodges PW, McLean L, Hodder J. Insight into the function of the obturator internus muscle in humans: observations with development and validation of an electromyography recording technique. J Electromyogr Kinesiol. 2014;24(4):489‐496. doi:10.1016/j.jelekin.2014.03.011

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Esercizi per la cellulite in palestra

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Esercizi per la cellulite

Anche a te sarà capitato di chiederlo a google aspettando con ansia la risposta, salvo poi perderti in un calderone di informazioni a cui non sai se dare credito o meno. Se non è capitato a te sarà capitato all’amica o alla moglie, perché la cellulite è questo, qualcosa che unisce e rende solidali le donne tra loro.

Parliamo infatti principalmente del mondo femminile. Si stima che quasi fino all’85% delle donne di età superiore ai 20 anni soffra di cellulite [1].

Donne vs Cellulite: approcci comuni in palestra

Salvo una piccola ma fortunatamente crescente parte di donne che si allena correttamente, l’approccio femminile alla palestra è ancora spesso confusionario e pieno di estremismi.

C’è chi fugge letteralmente dall’allenamento delle gambe in sala pesi e chi  allena sempre le gambe fino allo stremo delle forze quasi dimenticandosi di avere anche una parte superiore del corpo. A condire il tutto, sedute estenuanti di esercizi cardio.

L’inestetismo resta lì dov’era e la cellulite diventa un’altra croce da dover portare a vita come “il metabolismo lento” , “le osse grosse” e “i problemi alla tiroide”.

Ma davvero bisogna rassegnarsi di fronte alla cellulite oppure la si può affrontare con criterio?
Facciamo chiarezza.

Cellulite: definizione e fattori predisponenti

Formazione della cellulite

La cellulite è una lipodistrofia, la manifestazione di una vera e propria degenerazione del tessuto adiposo sottocutaneo che colpisce principalmente le zone in cui l’adipe si accumula di più nelle donne, cioè cosce, glutei, fianchi.

Una condizione di sovrappeso predispone quindi a tale fenomeno, ma non è l’unica. Fattori di natura ormonale, genetica o riconducibili ad uno stile di vita errato ne sono alla base.

Di nostro interesse per capire qual è il modo più indicato di allenarsi e perchè, sono due aspetti sempre associati alla cellulite: la ritenzione idrica e il malfunzionamento del microcircolo.

  • La ritenzione idrica

Un corpo correttamente idratato mantiene un equilibrio tra liquidi intracellulari contenuti nelle cellule e liquidi extracellulari contenuti negli spazi interstiziali tra una cellula e l’altra e nel plasma sanguigno.

L’eccesso di adipe è il primo fattore che può alterare questo equilibrio. Esso infatti induce uno stato infiammatorio nelle cellule alternandone la struttura, la funzione e ostacolando meccanicamente i tessuti circostanti.
Il ritorno venoso e linfatico non sono ottimali, i liquidi e le tossine non sono ben smaltiti e tendono a ristagnare negli spazi extracellulari. Si parla quindi di ritenzione idrica.

  • Il malfunzionamento del microcircolo

Il microcircolo è l’insieme dei piccoli vasi ematici quali capillari, venule, arteriole e metarteriole che forniscono ossigeno, ormoni, sostanze nutritive ai tessuti, rimuovono le sostanze di scarto come le tossine e grazie ai capillari linfatici drenano i liquidi extracellulari.

Fattori come la sedentarietà, problemi posturali, obesità, uso di calzature strette e tacchi, stile di vita sbagliato, possono compromettere il suo funzionamento causando uno stato infiammatorio ed un ristagno di liquidi negli arti inferiori.

Cellulite ed allenamento: considerazioni e consigli pratici

Esercizi per la cellulite

La buona notizia è che un corretto allenamento può migliorare entrambe le condizioni spingendo maggiormente i liquidi negli spazi intracellulari piuttosto che negli extra. I risultati saranno minore ritenzione e cellulite, oltre che un aspetto più tonico e asciutto. La cattiva notizia è che un allenamento non adeguato può aggravarle, accentuando quella fastidiosa sensazione nota a tante donne di avere le gambe gonfie, dolenti e pesanti, come si suol dire “imballate”.

Un’altra cattiva notizia per le meno pazienti è che individuare il corretto allenamento non è sempre facile ed immediato, soprattutto se sei una donna ginoide, che tende cioè ad accumulare adipe nella parte inferiore del corpo ed è più predisposta a ritenzione e cellulite.

Non esiste quindi un allenamento universale ma linee guida che possono aiutarti a trasformarlo in un tuo alleato.

Vediamole nella pratica.

Allenamenti con dei sovraccarichi

Allenarti contro delle resistenze come i pesi ti permette di costruire massa muscolare a discapito di quella grassa. Questo è fondamentale per ridurre la ritenzione idrica e la cellulite perchè la cellula del muscolo richiama liquidi al suo interno sottraendoli agli spazi extracellulari.

Quindi no, i pesi non aumentano la cellulite se sai come usarli!

Ok costruire muscolo, ma come si fa?

Allenati rispettando i parametri dell’ipertrofia

Pressa per le gambe

Questo significa allenarti rispettando e regolando dei parametri a cui ogni muscolo risponde per poter crescere, per diventare cioè ipertrofico.

I più importanti sono il volume d’allenamento, quindi quante serie e ripetizioni svolgi, e l’intensità di allenamento, cioè quanti kg usi (intensità assoluta) o quanto carico percepisci (intensità percepita).

In linea generale puoi regolare così queste variabili:

  • Volume -> tra le 6 e le 12 ripetizioni.
  • Intensità assoluta-> tra il 60% e l’ 80% del peso massimo con cui riusciresti ad eseguire una sola ripetizione di quel dato esercizio (1RM).
  • Intensità percepita-> vicino al cedimento muscolare

Soprattutto se sei un principiante ed il tuo obiettivo è l’ipertrofia, più che stabilire il tuo 1RM (massimale) o ricercare sempre un’intensità assoluta alta, è importante che impari a sviluppare una buona intensità percepita, cioè che impari a sentire di esser arrivato vicino al cedimento.

Infatti con un carico che va dal 30% al 90% del 1RM, con una serie portata molto vicina al cedimento l’ipertrofia muscolare è molto simile. [2, 3]

Tenendo come punto fermo una buona intensità percepita, la soluzione per muoverti in questo range di valori ma variando gli stimoli dati al muscolo è combinare allenamenti con alti carichi e basso volume, ad allenamenti con carichi medio/bassi ed alto volume.

  • Alta intensità, basso volume-> Allenamenti di forza in buffer

Allenamenti con basso volume e in buffer, cioè senza arrivare al cedimento muscolare completo ma lasciando poche ripetizioni di scarto, sono un’ottima strategia per lavorare sulla forza e per evitare ristagni di liquidi negli spazi extracellulari.

Essi infatti

  • ti permettono di utilizzare carichi più alti (alta intensità)
  • facilitano una progressione di intensità nel tempo perchè non conducono mai all’esaurimento muscolare completo, influendo positivamente sul recupero
  • non causano un eccessivo congestionamento muscolare ostacolando il deflusso dei liquidi come avviene negli allenamenti altamente lattacidi, in cui sia l’intensità che il volume sono molto alti.

Bassa/media intensità, alto volume -> Allenamenti metabolici

Esercizi metabolici per la cellulite

Contrariamente agli allenamenti altamente lattacidi, in quelli metabolici si utilizzano carichi medio-bassi. Essendo comunque allenamenti voluminosi non sono la strategia più immediata per veder ridurre ritenzione e cellulite perchè causano uno stato infiammatorio momentaneo, ma sono un investimento a lungo termine che è bene tu faccia ripetendoli con frequenza.

Essi infatti

  • portano alla creazione di nuovi capillari nel microcircolo
  • portano ad un aumento della densità dei mitocondri, organuli che stimolano la lipolisi e l’ossidazione dei grassi.

Puoi creare svariati circuiti in cui alterni senza riposo esercizi mirati per glutei e femorali come hip thrust, squat sumo, leg curl, ad esercizi cardio come lo stair master che hanno sempre un focus su questi gruppi muscolari.

Prepara i tuoi muscoli al circuito con esercizi di pre-attivazione e sfiniscili al termine con esercizi “finisher” per avere uno stimolo metabolico extra.

Più esercizi multiarticolari, meno cavigliere da 1kg

Esercizi per le gambe e glutei

Se hai seguito il discorso sull’ipertrofia avrai ridimensionato l’importanza delle cavigliere da 1kg che forse ancora usi o vedi usare.

Accaparrarsi le cavigliere o l’abductor machine ed iniziare a macinare infinite ripetizioni con carichi irrisori (magari mentre scorri instagram con un dito o ti guardi intorno) è molto comodo, ma se il grande gluteo è il muscolo più potente del nostro corpo come puoi pretendere di farlo crescere così?

Armati di pazienza e investi del tempo per apprendere correttamente la tecnica degli esercizi multiarticolari come squat o stacco. Sono questi che coinvolgendo più articolazioni permettono l’utilizzo di grandi masse muscolari e quindi di stimolarne adeguatamente la crescita aumentandone la forza.

Cavigliere o ancor meglio gli elastici sono utili per lavori a basse intensità e come rifinitura, ma se termini la serie riposato come prima di averla iniziata c’è qualcosa che non va

Su quali distretti muscolari è importante focalizzarsi?

Martella glutei e femorali

Lavora principalmente sui glutei e sui femorali perchè sono quelle le zone in cui si accumula maggiormente la cellulite.

Se al termine della serie senti bruciare molto più il quadricipite piuttosto che i glutei, probabilmente la tua esecuzione non è ottimale per il tuo obiettivo  oppure sei una di quelle persone in cui il quadricipite tende a predominare sugli altri muscoli in esercizi che di base lo coinvolgono.

Sperimenta varianti degli esercizi sopraelencati come gli affondi indietro o con passi più lunghi, la leg press con piedi alti e larghi, lo squat . Sarai facilitata nel sentir lavorare i glutei.

Niente contro il quadricipite, ma se i tuoi muscoli target sono altri devi  centrare il bersaglio. Immaginali e concentrati.

Regola n1: connessione mente-muscolo!

Non trascurate i polpacci

I polpacci fungono da vera e propria pompa muscolare. La loro contrazione infatti stimola il deflusso del sangue e dei liquidi nel sistema venoso e linfatico.

Dedica quindi del tempo ad attività che prevedono la rollata del piede quali la camminata o una corsa molto blanda. Unirai i benefici dell’utilizzo di questo muscolo a quelli dell’attività cardiovascolare.

A proposito di cardio … Cardio si, cardio no?

Preferisci attività aerobiche a basso impatto

Camminare per il microcircolo

Il cardio è uno di quegli aspetti su cui spesso ci si approccia in modo estremo. C’è chi lo demonizza, chi lo utilizza a sfinimento. C’è chi ha paura di camminare tanto (che tanto non è) perchè convinta che questo causi ritenzione, chi invece si fionda sul tapis roulant e non scende più.

Come sempre, la verità sta nel mezzo.

Se il tuo obiettivo è ridurre la cellulite, prediligi attività aerobiche a basso impatto come quelle sopraelencate che non generano microtraumi importanti dal contatto ripetuto del piede sul terreno, come accadrebbe invece con una corsa sostenuta o un HIIT (High Intensity Interval Training). Non aiuteresti il microcircolo.

Se però ami gli HIIT perchè ti divertono e ti permettono di bruciare qualche kcal in più in meno tempo, scegli esercizi come burpees, squat, piegamenti, trazioni, affondi, che spostando tutto il corpo stimolano la circolazione evitando che i liquidi ristagnino negli arti inferiori.

Per lo stesso motivo puoi anche alternare un esercizio per la parte alta ad uno per la parte bassa, seguendo il cosiddetto metodo PHA (Peripheral Heart Action).

E per concludere… Stretching?

Stretching per la cellulite

Migliora l’elasticità muscolare

Mantieni i muscoli elastici per farli lavorare al meglio e per favorire una circolazione ottimale, fondamentale in presenza di cellulite.

Puoi farlo con

  • stretching dinamico prima dei tuoi allenamenti e stretching statico dopo
  • foam roller: serve un pizzico di coraggio perchè la sensazione istantanea non è tra le più piacevoli, ma puoi trarne diversi benefici. Questo attrezzo cilindrico ti permette di eseguire autonomamente un massaggio miofasciale sciogliendo le aderenze nel tessuto connettivo che causano dolore alla pressione. Ridurre le aderenze significa anche migliorare l’elasticità muscolare e la circolazione, favorendo l’apporto di ossigeno nelle zone interessate dall’inestetismo. Questo aspetto lo rende preferibile per molti rispetto allo stretching statico, in cui il mantenimento prolungato della tensione riduce la concentrazione di ossigeno sfavorendo la circolazione.

Conclusioni sugli esercizi per la cellulite

Gli esercizi specifici per la cellulite non esistono così come possono esistere quelli per i bicipiti o per altri gruppi muscolari. Esiste però un filo conduttore che parte dagli aspetti su cui puoi agire attraverso l’allenamento, cioè la distribuzione dei liquidi ed il microcircolo, e arriva ad una strategia:

  • usa i sovraccarichi per costruire massa magra e migliorare il partizionamento dei liquidi.
  • alterna allenamenti di forza ad allenamenti metabolici per ottimizzare l’ipertrofia muscolare regolando i parametri del volume e dell’intensità.
  • aggiungi del cardio a bassa intensità per favorire il microcircolo.
  • dedica del tempo allo stretching o al massaggio miofasciale.

Ricorda che sono sempre la pazienza, la costanza e la conoscenza a far la differenza.

Più ti alleni con pazienza e costanza, più ti conosci. Più ti conosci, più trovi la strada giusta. 

BIBLIOGRAFIA

  • https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6232550/#cit0002
  • https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12436270
  • https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3404827
  • https://www.projectinvictus.it
  • https://m.my-personaltrainer.it
  • Liparoti F. (2018), Project Bodybuilding, Brescia, Project Invictus.
  • Ramazio G. (2019), Natural da 0 a 100

Note sull’autrice

Jessica Anellino

Dott.ssa Jessica Anellino, 29 anni, Gaeta (LT).

Laureata in fisioterapia, specializzata in rieducazione posturale e idrokinesi. Vive e lavora a Roma principalmente in ambito ortopedico. Personal Trainer Liv. 3 certificata Invictus.

L’allenamento, la conoscenza ed il lavoro sono miei punti fermi. Amo lo sport da sempre, amo allenarmi, amo studiare e trasmettere nel mio piccolo il mio sapere, amo lavorare per aiutare gli altri a riappropriarsi della loro salute.

I miei obiettivi più prossimi sono specializzarmi nella terapia manuale per crescere come fisioterapista ed iniziare ad affermarmi come personal trainer, unendo le mie due passioni.

Email: jessicanellino@hotmail.it

Ig: fisiojessi_pt

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Affondi laterali

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Affondi laterali in coppia

La stragrande maggioranza delle volte, quando si sente parlare di affondi, l’immagine visiva che si ha dell’esercizio si rispecchia su un movimento sul piano sagittale, ovvero facendo un passo avanti o uno indietro. La variante “affondi laterali” permette di andare a eseguire il movimento sul piano frontale, eseguendo l’esercizio alla destra e alla sinistra del corpo.
Che cosa comporta il cambiamento del piano di lavoro? Che muscoli alleni con questa variante? Qual è la corretta esecuzione?

Come eseguire gli affondi laterali

Esecuzione affondi laterali

Dalla posizione eretta con piedi uniti, si esegue un passo lateralmente lungo circa due volte e mezzo la larghezza delle spalle con entrambe le punte dei piedi dritte rivolte in avanti per tutto l’esercizio (o leggermente in fuori); a questo punto flettere contemporaneamente anca, ginocchio e caviglia della gamba che hai spostato, scendendo fino a formare un angolo di poco meno di 90° tra la gamba e la coscia.

Da questa posizione spingere sul terreno con la gamba flessa, come se dovesse appunto “affondare”, e ritornare alla posizione iniziale estendendo anca, ginocchio e caviglia. Il tronco va tenuto il più dritto possibile con il bacino in antiversione (ruotato in avanti) e la zona lombare con la sua normale lordosi.

Soggetti con problematiche al legamento crociato anteriore o alla rotula dovranno fare particolare attenzione a non crollare con la punta del piede oltre al ginocchio, cosa che andrebbe ad aumentare le forza di taglio in questi apparati, che, in soggetti sani, sarebbero assorbite tranquillamente.

L’esercizio può essere eseguito alternando le gambe o lavorando prima con la destra e in seguito con la sinistra.

Muscolo coinvolti negli affondi laterali

muscoli affondi laterali

La triplice estensione di anca ginocchio e caviglia assicurerà un lavoro globale degli arti inferiori, infatti, analizzando il movimento delle singole articolazioni possiamo notare che:

  • l’estensione della caviglia sarà garantita dal polpaccio (che non deve comunque sobbarcarsi più lavoro del dovuto evitando dunque di spingere con la punta del piede);
  • l’estensione del ginocchio avverrà per merito del quadricipite, con tutti e tre i suoi vasti (mediale, laterale ed intermedio) e col retto del femore,
  • l’estensione dell’anca avverrà grazie al simultaneo lavoro del grande gluteo e degli ischiocrurali (i muscoli posteriori della coscia)
  • L’adduzione dell’anca sarà a carico del compartimento dei muscoli adduttori.

Le caratteristiche di biarticolarità del retto del femore e degli ischiocrurali, garantiranno una lunghezza ottimale per esprime forza durante il movimento degli affondi laterali.
Il grande gluteo inoltre, ha un ruolo fondamentale nell’alzarsi dalla posizione seduta o accovacciata, viene in questo modo enfatizzato il suo lavoro ponendo il peso su un arto alla volta e dando al grande gluteo un carico più adeguato al suo potenziale (è il muscolo più forte del corpo umano).
I muscoli adduttori dell’anca (interno coscia) saranno attivati durante il movimento di risalita nella gamba flessa, e verranno allungati durante la discesa nella gamba tesa.
Medio e piccolo gluteo lavoreranno come stabilizzatori di bacino.

Affondi classici o laterali?

Affondi normali e laterali

Come detto prima, la principale differenza tra gli altri tipi di affondi (avanti,indietro e in camminata) è data dal cambio del piano di movimento,che comporterà appunto un maggior lavoro dei muscoli coinvolti nei movimenti di adduzione ed abduzione dell’anca. A conferma e in aggiunta di ciò, analizzando la letteratura scientifica, risulta che, da una revisione di diversi studi, nei quali venivano analizzate le attivazioni elettromiografiche di grande e medio gluteo in vari esercizi, gli affondi laterali sono stati classificati come uno degli esercizi che attiva maggiormente questi muscoli, anche più della classica e popolare variante (affondi avanti).

Inoltre mentre negli affondi classici sono riprodotti movimenti più facilmente riproducibili nella vita di tutti i giorni e durante gli allenamenti, il cambio del piano di movimento determinerà un nuovo stimolo motorio che sarà dunque più destabilizzante con una conseguente attivazione maggiore del core e degli stabilizzatori di bacino, che ti aiuterà anche a prevenire possibili futuri infortuni.

Sono inoltre un esercizio utile per chi pratica sport di situazione come ad esempio calcio, rugby, basket ecc. poiché comporta un’esecuzione laterale che va a “riprodurre” in parte i tipici cambi di direzione di questi sport.

Affondi laterali con manubri o bilanciere?

Una volta appreso il corretto schema motorio, per rendere l’esercizio allenante sarà utile l’aggiunta di un peso. È possibile eseguire gli affondi laterali con due manubri tenuti lungo i fianchi, o con un solo manubrio/kettlebell/palla medica  tenuta con entrambe le mani all’altezza del petto.

Per eseguirlo invece l’affondo laterale col bilanciere, è necessario un corretto posizionamento dello stesso sul trapezio superiore (e non come spesso erroneamente accade sul collo), per fare ciò, stringete le scapole e “incastrategli” il bilanciere appena sopra. I gomiti dovranno trovarsi sotto i polsi e per questo è necessaria una buona mobilità delle spalle in extrarotazione. Attenzione inoltre a non cifotizzare la zona cervicale.

Non ci sono sostanziali differenze a livello muscolare fra la scelta del tipo di sovraccarico, solitamente, per motivi logistici è più comodo utilizzare i manubri, che rispetto al bilanciere, richiedono meno spazio e meno tempo di preparazione (il bilanciere bisogna caricarlo). È anche vero che, per soggetti allenati che utilizzano alti carichi, la scelta del manubrio può essere scomoda, poiché aumenterà l’ingombro e la presa potrebbe non reggere l’affaticamento delle ultime ripetizioni.

Scegliete dunque la variante che più fa al caso vostro in base alle vostre esigenze, al vostro livello, e allo spazio che avete a disposizione.

Alcune varianti

Affondi laterali visione laterale

Per chi ha un ottimo controllo motorio e una schiena sana, è possibile focalizzare di più il lavoro sui glutei inclinando leggermente in avanti il tronco nella fase della discesa, ciò porterà ad un allungamento maggiore dei glutei che verranno così maggiormente stimolati.

Eseguire l’esercizio su superfici instabili come bosu o cuscinetti propriocettivi aumenterà l’enfasi sui muscoli stabilizzatori del bacino, quali adduttori e abduttori dell’anca, e renderà l’esecuzione più difficile.

La variante che è risultata la migliore a livello di attivazione dei glutei prevede un’esecuzione più complessa ed adatta ai più esperti: dalla posizione iniziale in stazione eretta con le punte dei piedi rivolte avanti, eseguire un passo lateralmente e, contemporaneamente, ruotare busto e gamba di circa 90° in direzione dell’arto allenato con arrivo al suolo con la punta del piede ed il troco che si ritroveranno perpendicolari rispetto al piede contro laterale che è rimasto fisso a terra con la punta rivolta avanti; da questa posizione estendere la gamba in affondo e tornare alla posizione iniziale.
È considerato un esercizio per avanzati ed è sconsigliato a chi si allena da poco tempo poiché la combinazione dei movimenti di abduzione, torsione e affondo, richiede buone capacità coordinative e un ottimo equilibrio.

Provate le prime volte queste varianti senza l’utilizzo di un sovraccarico, inseritelo e aumentatelo gradualmente con cautela solo dopo aver acquisito una buona padronanza dell’esercizio.

Come inserirlo nei tuoi workout

Affondi laterali

Pur essendo un esercizio multi articolare non viene considerato un fondamentale su cui focalizzare la maggior parte delle proprie energie, bisogna infatti notare che non permette l’utilizzo di carichi elevati come lo squat, sarà quindi utile integrarlo ad esso ed utilizzarlo come complementare.

Puoi inserirlo nella tua scheda per variare gli stimoli e imparare nuovi schemi motori,e, come abbiamo visto, è un valido sostituto dei classici affondi e per questo può essere un’alternativa ad essi da inserire nella tua scheda di allenamento durante la periodizzazione.

Puoi anche eseguirlo in alternativa di abductor e adductor machine, o altri esercizi ai cavi o sul tappetino che si focalizzano sui muscoli dell’interno e dell’esterno coscia, essendo gli affondi laterali ottimi per la stimolazione di questi gruppi muscolari.

Date le varietà esecutive dell’esercizio puoi anche scegliere delle progressioni che aumentino la difficoltà dell’esecuzione. Ad esempio affondi laterali:

  1. normali;
  2. su superfici destabilizzanti;
  3. con leggera inclinazione del busto;
  4. con leggera inclinazione del busto su superfici destabilizzanti;
  5. con torsione di gamba e busto;
  6. con torsione di gamba e busto su superfici destabilizzanti.

Ovviamente questo è solo un esempio delle infinite possibilità di progressioni che si possono realizzare, potresti ad esempio eliminare le fasi sulle superfici destabilizzanti come potresti invece focalizzarti sulla progressione dei carichi e solo dopo aver raggiunto un buon sovraccarico, aumentare la difficoltà esecutiva; o potrai progredire sul parametro volume aumentando passo passo serie e ripetizioni.

Abbi sempre buon senso nelle progressioni e assicurati di star eseguendo l’esercizio nel migliore dei modi senza forzare eccessivamente la mano. Hai adesso tutto ciò che ti serve per inserire gli affondi laterali nei tuoi allenamenti e nelle tue periodizzazioni, non ti resta che provare!

Note sull’autore

Davide Ventura. Studente di Scienze motorie. Da sempre appassionato di resistance training e all’approccio scientifico inerente all’allenamento e tutto ciò che lo riguarda.

Bibliografia

Project exercise volume 2-tronco e arto inferiore. Andrea Roncari

Reiman MP, Bolgla LA, Loudlon JK. “A literature review of studies evalueting gluteus maximus and gluteus medius activation during rehabilitation exercises”. Physioter Theory Pract.2012

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Le proteine fanno ingrassare?

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proteine fanno ingrassare

“Sono le proteine che fanno ingrassare” non l’ha detto l’esperto di fake news di turno, ma il professor Berrino in seguito a studi epidemiologici effettuati su larga scala. Proprio perché considerato un personaggio autorevole e con degli studi a supporto, questa frase è diventata automaticamente verità scientifica.

Ma è così? O forse protidi e ingrassamento non sono regolati dalla relazione causa-effetto?

Sempre da questa analisi, possono nascere domande in merito all’esistenza di cibi proteici che fanno ingrassare più o meno di altri o in merito agli integratori di proteine spesso utilizzati in palestra da chi fa bodybuilding: sono le proteine in polvere che fanno ingrassare? Gli alimenti animali? Quelli vegetali? Tutti o nessuno?

Le proteine fanno ingrassare veramente?

Normalmente, e giustamente, ci si sofferma su grassi e carboidrati quando si parla di macronutrienti che fanno ingrassare. Negli ultimi anni, tuttavia, anche grazie al dott. Berrino, alcuni studi epidemiologici hanno mostrato che le persone più grasse sono quelle che mangiano più proteine. Possibile?

Gli studi osservazionali sui quali si basa Berrino correlano due eventi ma non mostrano un nesso di causalità e questo è un po’ il limite di queste ricerche.

L’esempio classico, sugli studi statistici, è quello della colazione: mediamente chi non la fa è più grasso, ma è saltarla che fa ingrassare? In realtà, questo dato deriva dal fatto che mediamente se non la fai per abitudine, per pigrizia o per risparmiare tempo per andare a lavoro, poi a metà mattina hai attacchi di fame e finisci col riempirti al bar con un cappuccino e una brioche.

Quindi è il saltare la colazione che fa ingrassare o il mangiare male?

È ormai dimostrato che quello che fa ingrassare o dimagrire è la qualità e la quantità di quello che introduci (nell’intera giornata), non il saltare i pasti.

Perché le proteine fanno ingrassare?

le proteine fanno ingrassare

Quando mangi, i macronutrienti per venire metabolizzati ed ossidati devono superare due membraneuna cellulare ed una mitocondriale, grazie a trasportatori specifici che permettono il passaggio di glucosio, aminoacidi, acidi grassi.

Alcuni aminoacidi (quelli ramificati) stimolano i recettori GLUT4 a dirigersi sulla superficie di membrana senza la presenza del glucosio e questo migliora la sensibilità insulinica.

Tuttavia un eccesso ematico di aminoacidi abbinato ad un surplus calorico non influenza più in modo rilevante l’ingresso del glucosio nella cellula, la quale nel tempo, se l’eccesso energetico persiste, andrà verso un’insulino resistenza. Quest’ultima non ha effetto solo sulla membrana cellulare ma anche a livello mitocondriale. Qui l’eccesso energetico non verrà più dissipato in calore, ma darà il via a processi di lipolisintesi (vedi: quando ingrassiamo).

Oltre a questo importante effetto le proteine hanno un’azione anabolica (combinata all’insulina) sulle cellule: l’anabolismo, non porta soltanto il muscolo ad aumentare la sintesi proteica, ma aumenta anche la sintesi di glicogeno del fegato e la formazione d’acidi grassi nell’adipocita.

Va infine ricordato che molto spesso assieme alle proteine animali si aggiungono anche i grassi animali. La carne ed i formaggi del supermercato non sono sicuramente ricchi di grassi salutari come quelli dei bovini dei pascoli. Il grasso che la mucca stocca è dipendente da quello che mangia: se introduce mangimi industriali ricchi d’omega-6 sarà pro-infiammatorio, se pascola l’erba ricca naturalmente d’omega-3 sarà anti-infiammatorio.

  • Questi tre fattori legati alle proteine, inseriti in un contesto di sedentarietà e di ipernutrizione, possono contribuire nel far ingrassare maggiormente la persona.

Quando le proteine sono troppe?

Come sempre analizzare un solo fattore senza contestualizzarlo rispetto agli altri macronutrienti o le abitudini lavorative ed alimentari risulta piuttosto fuorviante. Infatti, è vero che mediamente chi mangia più proteine è più grasso.

Ma questo avviene non perché la persona si mangia due bistecche in più e due piatti di pastasciutta in meno, ma perchè mangia DI TUTTO di più: statisticamente chi assume più protidi assume anche più calorie.

Se stai seguendo una dieta per la massa, con un buon quantitativo glucidico e/o lipidico, non conviene esagerare con i protidi, molti autori consigliano range tra 1.5 – 2.1 g/kg peso corporeo: eccedendo con le calorie ti ritroverai non più grosso ma più grasso.

Al contrario, se stai seguendo un regime ipocalorico aumentare le proteine fino a 1.6 – 2.9 g/kg peso corporeo potrebbe consentire un ottimo vantaggio, sia per proteggere la massa magra, sia per sopportare meglio la fame.

Quali proteine fanno ingrassare di più?

le proteine fanno dimagrire

Le proteine fanno ingrassare davvero quando ne mangi in abbondanza e in un contesto ipercalorico. Perciò gli alimenti proteici a cui bisogna prestare più attenzione per evitare di eccedere rispetto al fabbisogno sono quelli densamente energetici (come ad esempio la frutta secca) e che oltre alla componente proteica hanno anche una considerevole frazione lipidica.

Proteine vegetali

La categoria di proteine vegetali che può farti ingrassare sono quelle della frutta secca, che insieme ai legumi sono le due tipologie di alimenti vegetali che presentano più proteine rispetto ad altri.

Perché arachidi, nocciole, pistacchi dovrebbero essere responsabili di un aumento di peso?

Questi, oltre, alle proteine, contengono anche molti grassi che li rendono alimenti densamente energetici: è facile mangiarne in quantità (magari salate durante un aperitivo) senza accorgersene. Ad accorgersene però sarà il fabbisogno calorico giornaliero, che, probabilmente in un fuori pasto, vedrà innalzare rapidamente le calorie introdotte.

Integratori di proteine in polvere

Gli integratori di proteine sono spesso oggetto di discussione, di spessore o meno: le proteine in polvere fanno male? Ma servono davvero o solo a spendere soldi? Fanno diventare più muscolosi? Non potevano quindi esimersi anche dalla questione del se facciano ingrassare o no.

Gli integratori in polvere sono un’arma a doppio taglio: da una parte sono positivi perché, quando serve, aiutano a raggiungere il fabbisogno protidico giornaliero, dall’altra però possono portare a prendere peso quando assunti in eccesso rispetto alle calorie già assunte con il cibo.

Se introduci già tutti macronutrienti di cui hai bisogno dal cibo solido, aggiungere le proteine in polvere non fa altro che incrementare l’intake energetico: il fatto che sia un “cibo in polvere” e non un alimento solido non significa che sia privo di calorie!

  • Quindi, integratori in polvere quando necessari nella dieta sì, ma da considerare nel conteggio calorico per evitare di sforare con le calorie.

Proteine animali

le proteine fanno ingrassare o dimagrire

La carne in generale è compresa tra gli alimenti proteici, anche se all’interno di questa categoria bisogna distinguere alimenti che sono più magri rispetto ad altri più grassi; i primi sono quasi totalmente proteici e da preferire come cibi da inserire in una dieta per dimagrire.

Infatti, a parità di quantità potrai mangiare di più, essere più sazio e aver assunto molti meno grassi, ad esempio:

  • se assumi 200 g di petto di pollo avrai (circa) 200 kcal, 46.6 g di proteine e solo 1.6 d di grassi,
  • mentre se preferisci 200 g di bistecca di maiale le calorie salgono a 314, le proteine sono 42.6 e i grassi decuplicano rispetto al pollo a 16 g.

Ecco perché determinati alimenti proteici animali potenzialmente possono fare ingrassare di più: oltre alle proteine apportano alla dieta anche più grassi e quindi più calorie, facendoti eccedere più facilmente dal fabbisogno calorico giornaliero e portandoti ad un più facile ingrassamento.

Una nota (non di merito) va ai prodotti carnei dei fast food: sebbene sempre di carni si tratti, i valori calorici aumentano a causa del contenuto lipidico e glucidico, a discapito di quello proteico, come puoi vedere nella tabella.

ALIMENTO (100 g) PROTEINE GRASSI CARBOIDRATI KCAL
hamburger (fast food) 13.1 9.1 30.1 251
chicken nuggets (fast food) 17.7 12.4 15.4 242
filetto di vitello 20.7 2.7 0 107
bistecca di maiale 21.3 8.0 0 157
fesa di bovino 21.8 1.8 0 103
petto di pollo 23.3 0.8 0 100
salame nostrano 23.6 35.7 1.1 420
fesa di tacchino 24.0 1.2 0 107
prosciutto crudo 26.2 22 0 303
bresaola 33.1 2.0 0.4 152

Lo stesso concetto vale per i formaggi grassi (stracchino, mascarpone, pecorino, brie) che rispetto a quelli magri (ricotta, fiocchi di latte, yogurt greco) hanno più grassi e più calorie.

In conclusione, le proteine fanno ingrassare o dimagrire?

Nelle persone attive che mangiano correttamente le proteine non portano assolutamente ad aumentare i processi di liposintesi e le ragioni sono principalmente 3:

  1. La spesa energetica del corpo per digerire ed assimilare le proteine è la più elevata tra i macronutrienti, tra il 10 e 35% (con una media del 22.5%): questo vuol dire che un quinto delle calorie introdotte con le proteine viene speso per digerirle. Per questa ragione viene detto che i protidi “alzano” il metabolismo, perchè metabolicamente lo fanno lavorare aumentando la termogenesi.
  2. La conversione dell’eccesso proteico in glucosio e successivamente in trigliceridi è un passaggio estremamente dispendioso e solo teorico: il corpo preferisce ossidare il surplus proteico, disperdendolo in calore, piuttosto che convertirlo in grasso.
  3. Il potere saziante delle proteine è il più elevato, molto di più degli zuccheri e dei grassi. E’ difficile essere affamati mangiando molte proteine ed è per questo motivo che la dieta proteica funziona.

 

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Guida alla nutrizione
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Colazione ideale: la guida completa

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Colazione ideale

Chi ben comincia è già a metà dell’opera. Allora perché non farlo con una buona colazione? Ma quale scegliere?

C’è chi si accontenta di un caffè, chi non riesce ad abbandonare il classico cornetto e cappuccino, chi la fa dolce, chi salata; tra miti e realtà la colazione è considerata il pasto più importante della giornata, ma non è di certo sufficiente l’atto di fare colazione, è necessario fare attenzione alla sua composizione, è molto importante combinare sapientemente i vari alimenti tra di loro, sulla base delle nostre esigenze!

Esiste una colazione ideale? Scopriamolo insieme!

Colazione perfetta: consigli ed esempi per la colazione ideale

In linea generale, la colazione dovrebbe risultare un equilibrio tra i tre macronutrienti: carboidrati, grassi e proteine, senza dimenticare i micronutrienti come vitamine ed antiossidanti.

Naturalmente se stai seguendo un protocollo dietetico specifico o ti trovi in una condizione particolare della tua vita, potrai certamente far pendere l’ago della bilancia a favore di uno o dell’altro nutriente, ma soprattutto ricordati che a contare è il bilancio giornaliero e settimanale. Se sbilanci la colazione dietetica su un macronutriente puoi comunque ribilaciare il bilancio con gli altri pasti della giornata.

Non trascurare l’idratazione corporea! Purtroppo non perderai 7 Kg in 7 giorni se bevi l’acqua a digiuno appena sveglio, né alcalinizzerai il tuo sangue se aggiungi qualche goccia di limone, ma senza dubbio dopo il digiuno notturno è importante reidratarsi correttamente.

Dal punto di vista calorico non c’è un valore preciso per una colazione ideale, potresti assumere dalle 100 Kcal alle 400 Kcal. Dipende dal tuo fabbisogno energetico giornaliero e da come decidi di ripartire le calorie tra i vari pasti.

Colazione salata e colazione proteica

Negli ultimi anni va sempre più di moda la colazione salata e la colazione proteica come esempio di colazione ideale. Ma è vero? Dipende.

Abitudine comune, soprattutto per noi italiani è il dolce a colazione, questo porta solitamente a scegliere alimenti ricchi solo in zuccheri, soprattutto semplici come glucosio o fruttosio, così facendo lo stomaco brontolerà poco dopo aver finito di mangiare e ti porterà alla continua ricerca di cibo.

La colazione salata potrebbe invece indirizzare la scelta verso alimenti con un contenuto proteico maggiore come uova o formaggi freschi, che ti aiuteranno a rimanere sazio più a lungo; d’altra parte se prendi spunto dagli americani, con bacon e pancetta farai il pieno di grassi saturi, sale e conservanti, il che è forse ancora peggio.

Tutto sta nella qualità, se selezioni accuratamente gli alimenti anche una colazione dolce andrà benissimo!

Colazione con yogurt 

Yogurt a colazione? Sì, ma impara a leggere le etichette. Sebbene la materia prima sia la stessa, non tutti gli yogurt sono uguali! A cosa devi fare attenzione?

  • Gli ingredienti: vige la regola meno sono meglio è! Idealmente lo yogurt dovrebbe contenerne solo due: latte vaccino o di capra e fermenti lattici (Streptococcus thermophilus e Lactobacillus bulgaricus).
  • Gli zuccheri: Lo yogurt bianco al naturale contiene un quantitativo di zucchero di circa 4,8 g per porzione (125g), dovuto alla presenza di lattosio. Se la quantità è superiore, vuol dire che è stato aggiunto zucchero, spesso mascherato sotto altri nome come destrosio, fruttosio, sciroppo di glucosio, sciroppo di fruttosio. Gli yogurt alla frutta sono solitamente più ricchi in zuccheri aggiunti, si arriva anche a 13g/125g. Se sei abituato al dolce, ti consiglio di scegliere uno yogurt al naturale e poi di aggiungere della frutta fresca.
  • La data di scadenza: dovrebbe essere il più possibile lontana, più passa il tempo, più i lattobacilli (i così detti batteri buoni) presenti nello yogurt diminuiscono fino a scomparire. 

Una valida alternativa a colazione è lo yogurt greco allo 0% o 2% di grassi. A differenza del classico yogurt, ha un buon quantitativo in proteine, ci aiuta quindi a raggiungere il nostro fabbisogno proteico giornaliero e a rimanere sazi più a lungo.

Per renderlo più sfizioso potresti abbinarlo a della frutta fresca o frutta secca, qualche scaglia di cioccolato fondente e un po’ di cannella.

Colazione con uova

Colazione uova

Iniziare la giornata con delle uova rappresenta una buona soluzione per chi non vuole rinunciare ad una sana colazione ma non ha tanto tempo da dedicarci, infatti sono molto versatili, pratiche e sono pronte in pochi minuti.

Offrono un apporto nutritivo di primo piano per l’elevato valore biologico delle proteine, che presentano un profilo amminoacidico ottimale per la sintesi delle proteine di cui il nostro organismo ha bisogno.

Un’altra caratteristica è che i grassi, contenuti per lo più nel tuorlo, pur essendo di origine animale, sono costituiti soprattutto da monoinsaturi e polinsaturi (quelli considerati benefici per l’organismo). Attenzione però, le galline producono e stoccano i grassi in base a quello che hanno mangiato! Non farti ingannare dalla dicitura “allevate a terra”, questo vuol dire solo che sono state allevate in un capannone con luce artificiale. Se non hai la possibilità di comprare le uova direttamente dal contadino di fiducia, ti consiglio di preferire quelle biologiche.

Apportano preziosi sali minerali come calcio, zolfo, potassio e soprattutto fosforo e ferro, non dimentichiamo le lipoproteine del tuorlo e le vitamine del gruppo B dell’albume. Per l’assimilazione della biotina (vitamina B7) è importante cuocere l’albume, al contrario del tuorlo che andrebbe consumato semi- crudo per non degradare la lecitina, un composto termolabile che limita l’assorbimento del colesterolo, per cui la cottura ideale dell’uovo è alla coque o all’occhio di bue.

Con un po’ di fantasia le ricette a base di uova sono infinite, al mattino potresti abbinarle a dei carboidrati come verdura o frutta così da completare il quadro dei macronutrienti, oppure se hai qualche minuto in più puoi preparare dei pancake proteici.

Quante uova puoi mangiare a settimana? Non c’è un numero preciso, dipende dagli altri alimenti che introduci. In linea di massima se non soffri di ipercolesterolemia familiare potresti mangiare anche un uovo al giorno o degli albumi.

Colazione con fette biscottate

Colazione fette biscottate

Le fette biscottate sono forse il più comune alimento per la prima colazione, se sei normopeso e senza particolari problemi, 2 – 3 al mattino non fanno male.

Tuttavia, non sono così “dietetiche” come si crede, se paragonate al pane contengono meno acqua e più calorie ed hanno una maggiore concentrazione di zuccheri semplici. In più vengono di solito abbinate a burro e marmellata, miele o nutella per i più golosi, rischiando in questo modo di andare ad eccedere con zuccheri e grassi! Per una variante più sana puoi spalmare sulle fette biscottate un po’ di avocado morbido, questo frutto, particolarmente ricco di vitamina E, carotenoidi, folati, vitamina C e potassio, darà del valore aggiunto alla tua colazione

Un accorgimento è quello di preferire le fette biscottate integrali in modo tale che la fibra presente ti aiuti a rimanere sazio più a lungo!

Colazione con latte

Colazione con latte e cereali

Il latte è uno degli alimenti maggiormente colpito da critiche e accuse, se ne sentono di tutti i colori, eppure ancora oggi è l’alimento che si consuma più frequentemente a colazione.
In realtà, non esiste un alimento che in assoluto fa bene o fa male, sta a noi informarci correttamente ed allontanarci dalle bufale (vedi se il latte fa male)!

Se leggiamo l’etichetta, ci rendiamo conto che il latte può essere un componente importante della nostra dieta e contribuisce a coprire il fabbisogno di proteine, zuccheri, acidi grassi, oligoelementi e vitamine, di cui è particolarmente ricco.

Può essere consumato a colazione, ma anche in questo caso la qualità è importante; il latte a lunga conservazione (U.H.T), per intenderci quello conservato a temperatura ambiente, è povero di nutrienti a causa dell’alta temperatura a cui è sottoposto prima del confezionamento. Il latte fresco è una valida soluzione!

Esempio di colazione a base di latte? Un buon frullato!

Colazione con frutta

Ricca di acqua, fibre alimentari, vitamine e sali minerali la frutta è ottima al mattino, affiancala preferibilmente ad una fonte proteica per aumentare il potere saziante della tua colazione.

Potresti ad esempio preparare una macedonia di frutta con dei fiocchi di latte e un pò di frutta secca.
Va bene sostituirla con una spremuta? Una porzione di succo ha una quantità quasi nulla di fibre, inoltre le calorie liquide non danno senso di sazietà. Valuta tu!

Cosa non mangiare a colazione

Cosa dovresti evitare o fare attenzione a colazione?

  1. 1. Biscotti : sono spesso tra i peggiori alimenti; calorici , pieni di zuccheri aggiunti e grassi saturi. In più uno tira l’altro, è difficile fermarsi a 2 o 3, in poco tempo ti ritroveresti ad aver consumato mezzo pacco senza neanche accorgertene!
  2. 2. cereali fitness: anche i comuni cereali per la prima colazione sono solitamente addizionati in zuccheri ed anche in questo caso è difficile limitarsi alla porzione suggerita (30g). I fiocchi d’avena sono un valido sostituto!
  3. Bacon e insaccati: tripudio di grassi “cattivi” conservanti e sale, meglio lasciarli per le occasioni e non introdurli nella quotidianità.
  4. Brioche: sicuramente perfetta per addolcire le nostre giornate ma purtroppo non per la salute! Soprattutto se farcita con crema o cioccolato è un alimento molto calorico e da consumare saltuariamente!

La colazione ideale per dimagrire 

Esiste la colazione perfetta per dimagrire? Il dimagrimento non è legato ad un singolo pasto, il nostro corpo infatti non ragiona nell’acuto, ma nel cronico. Dimagriamo se mangiamo correttamente durante tutta la giornata e durante tutta la settimana!

Perché allora si dice che chi fa colazione dimagrisce? Chi fa colazione non dovrebbe avere tanta fame nel corso della mattinata, eviterà quindi di introdurre continuamente cibo ed arriverà a pranzo meno affamato. Di conseguenza l’introito calorico giornaliero risulterà inferiore.

Questa non è però una regola, infatti chi fa ogni mattina colazione con cornetto e cappuccino, sicuramente a lungo andare tenderà ad ingrassare di più rispetto a chi la salta, questo perchè questi alimenti al posto di saziare mettono fame da metà mattina in poi.

Per il controllo del peso una buona abitudine è introdurre delle proteine, che come già ripetuto più volte, hanno un buon potere saziante.

Colazione ideale per atleti e sportivi

Le linee guida della colazione ideale per atleti e sportivi non si discostano tanto da chi non si allena. Anche in questo caso dovrà rientrare nel fabbisogno energetico della giornata e dovrà risultare sana, equilibrata e bilanciata.

Se fai colazione prima dell’attività sportiva, meglio puntare su carboidrati  e proteine a discapito dei grassi, i quali avendo una digestione più lenta potrebbero dare “dei disturbi” durante l’allenamento.

L’ideale sarebbe non allenarti subito dopo aver mangiato, in modo tale che il sangue non sia convogliato prevalentemente negli organi deputati alla digestione, ma sia a disposizione dei tuoi muscoli per permettere loro di lavorare in maniera ottimale.

Se la colazione coincide con il pasto post work –out  è necessario favorire il recupero muscolare e la ricostruzione delle scorte di glicogeno utilizzate. Uno shaker con delle proteine in polvere, un po’ di frutta secca e della frutta fresca, potrebbe essere un’idea per una colazione pratica e completa!

Colazione anticellulite

Colazione anti-cellulite

La famosa pelle a “buccia d’arancia” è un problema che affligge la maggior parte delle donne, pensare di poter risolvere la cellulite solo con una corretta colazione sarebbe un’utopia, infatti le cause che portano alla sua formazione sono tantissime.

Iniziamo col dire che non è dovuta ad un eccesso di acqua, ma ad una sua cattiva distribuzione nell’ambiente cellulare, l’acqua infatti tende ad accumularsi nella parte interstiziale delle cellule. Non ha senso quindi bere il meno possibile, al contrario è meglio bere un po’ di più!

Un altro fattore da considerare è il rapporto sodio/potassio, per migliorarlo aumenta frutta e verdura e riduci i cibi industriali. Una corretta redistribuzione di questi minerali tra interno ed esterno della cellula, aiuta l’idratazione. Alimenti come cavolfiori, finocchi ed ananas sono considerati dei veri e propri drenanti naturali!

Fai attenzione al carico glicemico del tuo pasto, un parametro che tiene conto della quantità e della qualità dei carboidrati introdotti. A colazione,  evita cibi ricchi in zuccheri a favore di alimenti proteici, un giusto apporto proteico favorisce lo sviluppo della massa cellulare e ti aiuterà indirettamente a sembrare  più tonica, naturalmente in abbinamento all’attività fisica!

Infine via libera a ribes, broccoli e kiwi, grazie alla ricchezza in vitamina C, stimolano la sintesi del collagene.

Conclusioni sulla colazione perfetta

La colazione è la prima coccola della giornata, scegli quindi qualcosa che ti piace e che ti dà soddisfazione, ma non dimenticare che una piccola attenzione quotidiana nel selezionare i giusti alimenti è fondamentale per il tuo benessere temporaneo e a lungo termine.

Buon senso, nuove conoscenze acquisite e fantasia, sono i principali ingredienti per formulare la tua colazione perfetta!

Bibliografia e Sitografia:

  1. CREA Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Tabelle di composizione degli alimenti.
  2. Dhurandhar et al. (2014). “The effectiveness of breakfast recommendations on weight loss: a randomized controlled trial”. Am J Clin Nutr.
  3. Juliet M. Pullar et al. (2017). “The Roles of Vitamin C in Skin Health”. Nutrients.
  4. https://www.consumatori.it/alimentazione/yogurt-come-scegliere/?output=pdf
  5. http://www.sicurezzanutrizionale.org/2017/07/01/vero-o-falso-lo-yogurt-fa-bene/
  6. file:///C:/Users/Utente/Downloads/_.._area_protetta_ceirsa_201310_1.5.2_Scheda__Uova.pdf
  7. http://old.iss.it/binary/publ/cont/Dispensa_latte_per_SITO.pdf

 Note sull’autrice

Giorgia Lerario

Dott.ssa Giorgia Lerario

Laurea magistrale in Scienze degli Alimenti e della Nutrizione Umana.
Biologa nutrizionista presso studio medico (Roma)

Contatti:

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Tabata training: come funziona

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Tabata training

Che cosa è il tabata training ?

Il Tabata training è nato negli anni ‘90, da un idea del Dr. Izumi Tabata e il suo team presso il National Institute of Fitness and Sports di Tokyo. L’idea di fondo è quella di un metodo di allenamento ad alta intensità (HIIT) .

Esistono varia classificazioni di HIIT, che prendono il nome dagli autori degli studi condotti su diversi atleti e metodi di allenamento, i quali differiscono essenzialmente per la durata dello sforzo, il consumo di ossigeno, percentuale di frequenza cardiaca, in rapporto alla propria frequenza cardiaca massima e attrezzi usati.

Tutti si caratterizzano per allenamenti cardiovascolari ad altissima intensità, per previ periodi, intervallati da pause altrettanto brevi.

Come funziona il tabata traning ?

Tabata

Il Tabata traning prevede 8 ripetute fino ad arrivare al 170% del VO2max, della durata di 20 secondi di lavoro + 10 secondi di recupero.

Questo metodo può essere usato solo da persone fisicamente preparate , poiché il consumo energetico di un circuito Tabata di 4 min è di 13.5 kcal al minuto (Olson , 2013), per intenderci come una camminata veloce di 20 min.
Questa metodica di allenamento utilizzata dall’inizio solo per bici e corsa , è stata poi trasferita anche per esercitazioni per il condizionamento generale con esercitazioni a corpo libero usando come sovraccarico o piccoli attrezzi o il proprio peso corporeo.

I principi generali del Tabata training prevedono cicli di 8 serie da 20 secondi di lavoro e 10 secondi di riposo ripetute per 8 volte.

Va compreso che a differenza della corsa o del cicloergometro, dove si raggiungono intensità massime nel VO2max, nei circuiti la componente coordinativa fa salire i battiti non in proporzione al consumo di ossigeno. Pertanto fare il Tabata coi burpees, per quanto la sensazione di impegno cardiovascolare sia altissima non può essere paragonato metabolicamente ad una pedalata ciclica alla massima intensità.

Quali vantaggi fornisce il metodo Tabata?

I vantaggi dell’allenamento Tabata sono chiari: sedute di pochi minuti sarebbero capaci di apportare gli stessi benefici di lunghe sessioni di allenamento a ritmo costante. Questo si fonda sul principio che sforzi brevi massimali, intervallati da brevi pause, obbligano il sistema aerobico a potenziarsi per poter recupera prima.

Mentre il sistema aerobico negli sport di durata si allena durante l’attività, gli allenamenti HIIT allenano i mitocondri durante le pause, obbligandoli a smaltire velocemente il debito d’ossigeno accumulato.

Tabata e mitocondri

A livello fisiologico comunque possiamo vedere che mentre la corsa di lunga durata aumenta il numero di mitocondri, il Tabata potenzia quelli già esistenti aumentandone volume e densità.

Quali ricerche sono state condotte?

L’High Intensity Training ha le seguenti basi teoriche:

  • Un esercizio condotto a frequenza cardiaca elevata (80-90% della FCMAX) modifica la composizione corporea (Brayner).
  • Nonostante il consumo energetico sia minore rispetto all’esercizio aerobico, l’HIT è altrettanto“efficace” per perdere grasso (Tremblay).

Un’altra ricerca recente condotta da Emberts et al. (2013) ha voluto stabilire l’intensità relativa e il dispendio energetico del Tabata training. La ricerca ha coinvolto 16 soggetti allenati 8 donne e 8 uomini, a cui vennero prescritti due protocolli Tabata su esercizi calistenici e pliometrici. I 4 esercizi venivano svolti in successione separati da 1 minuti di recupero totale. Il dispendio calorico di media era di 14.5 kcal/min, mentre il dispendio calorico totale variava tra le 240 e le 360 kcal per i 20 minuti di allenamento.

L’intensità media durante i due protocolli Tabata risultava a circa l’86% HRmax, a circa il 74% VO2max , un punteggio di 15 su 20 sulla scala RPE.

I ricercatori conclusero che una sessione di Tabata training da 20 minuti, utilizzando vari circuiti di esercizi calistenici e pliometrici, è conforme alle linee guida del ACSM, avrebbe constatato il miglioramento della resistenza cardio respiratoria. Inoltre, i vari cicli sono stati ben tollerati dai soggetti ed hanno comportato un aumento della spesa calorica rispetto a quello che normalmente è stato rilevato col completamento di un normale protocollo da 4 minuti (questo ci fa intuire che il mix tra intensità e volume è forse il metodo ideale).

Esempio di circuito Tabata traning?

Tabata circuit training

Un allenamento “tipo” di Tabata training, della durata di 15 minuti, può essere quindi così strutturato: si comincia con un breve riscaldamento di 2-5 minuti come per esempio saltellare con una corda oppure eseguire delle progressioni di mobilizzazioni dinamiche, seguito da esercizi di 6 minuti ciascuno.
In questi 6 minuti ogni serie prevista dall’esercizio scelto deve durare 20 secondi con 10 di riposo.

Si parte con la cyclette oppure il vogatore – alla massima velocità – per poi procedere con i successivi 6 minuti di esercizi con i pesi o a corpo libero che possono essere piegamenti, affondi o air squat con sempre 10 secondi di riposo tra ogni serie intensiva di 20.

Vi resterà così, alla fine dell’allenamento, 1 minuto di recupero: il defaticamento dovrebbe essere effettuato a bassa velocità sulla cyclette.

METODO PROTOCOLLO SERIE/TEMPO MEZZI
TABATA (170%FCmax) Lavoro 20’’
Rest 10″
8 (4′) Treadmill,
cyclette, corsa,
corpo libero.
CLINICO (85-95% FCmax) Lavoro 4’

Rest 3’

4 (28′) Cicloergometri,
treadmill,
cyclette.
CONVENZIONALE (90% FCmax) Lavoro 60’’

Rest 60’’

10 (20′) Cicloergometri,
treadmill,
cyclette, corsa,
corpo libero.

Conclusioni sul Tabata traning?

Anche se le prove scientifiche sull’efficacia dello svolgimento di allenamenti ad alta intensità allo scopo di dimagrire o di raggiungere una forma fisica più tonica non ci sono ancora, tutto lascia pensare che il Tabata training – o, per meglio dire, un appropriato HIIT – funzioni; a patto, però, di svolgerlo con costanza e sia affiancato al corretto regime alimentare.

Note sull’autore

Dott. Paolo Morrone
Dottore in scienze motorie , ha conseguito il master in preparazione atletica nel calcio giovanile presso l università cattolica sacro cuore di Milano,  preparatore atletico settore giovanile FIGC, studente in scienze motorie preventive ed adattate.
Profilo Instagram: https://www.instagram.com/pol88_pt

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Come accelerare il metabolismo

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come accelerare metabolismo

C’è chi da bambino voleva diventare un supereroe e chi da adulto vuole il ‘supermetabolismo’.

Per tanti sarebbe un sogno poter mangiare quanto vorrebbero, anche oltre la sazietà, e magari intanto non muoversi troppo durante la giornata per non fare fatica: c’è chi ammette di essere pigro e chi invece sostiene che non vuole contribuire ad aumentare l’entropia dell’universo.

Il modo migliore per riuscire in questo scopo di vita è sicuramente ottenere quello che comunemente viene definito metabolismo veloce, che in realtà altro non è che un normale metabolismo, dato che la biochimica è uguale per tutti, ma più efficace.

Puoi accelerare il metabolismo e arrivare a questo? Non dovrai mica iniziare a mangiare bene e andare in palestra per aumentare il metabolismo?!

Ma soprattutto, è possibile avere un ‘supermetabolismo’? O meglio ripiegare sul diventare un supereroe?

È possibile accelerare il tuo metabolismo per perdere peso?

attivare il metabolismo

Se hai sentito dire che i carboidrati fanno ingrassare e che sono da eliminare dalla dieta, qui capirai invece come in realtà sono fondamentali per dimagrire.

Tempo della lettura di due rapide premesse e andiamo avanti:

  1. Le proteine disaccoppianti UCP-2,3 sono le responsabili dell’aumento del metabolismo.
  2. Gli ormoni possono interagire con il DNA e decidere se stimolare l’attivazione di alcuni geni e/o inibirne altri. Quelli che saranno attivi potranno essere trascritti e diventare una proteina, come un enzima, un trasportatore di membrana o le appena conosciute proteine UCP-2,3.

I macronutrienti, come gli ormoni, sono in grado di modulare la risposta genica e attivare e/o inibire la formazione di determinate molecole.

I grassi disattivano nel lungo termine la sintesi delle UCP-2,3, mentre i carboidrati ne aumentano la sintesi. Nel pratico, questo significa che…

I glucidi sono il macronutriente che permette di far ripartire il metabolismo e accelerarlo!

Inoltre, i carboidrati agiscono sull’enzima deiodinasi, che converte l’ormone tiroideo T4 (poco attivo) in T3 (molto attivo). Quando le scorte epatiche e muscolari sono piene di glicogeno, la produzione enzimatica è alta e gli ormoni tiroidei vanno ad agire sulle proteine UCP.

Si può accelerare il metabolismo basale, a riposo, per dimagrire?

n fisiologia non si sente parlare di metabolismo ‘lento’ e metabolismo ‘veloce’, ma viene presa in considerazione l’efficienza (o inefficienza) metabolica. Anche se ad un primo impatto può sembrare paradossale, all’idea di metabolismo ‘veloce’ corrisponde l’inefficienza metabolica, mentre a quella di ‘lento’ corrisponde l’efficienza metabolica.

Il motivo di questa associazione è dovuto al concetto di capacità metabolica, cioè la capacità dell’organismo di compiere un lavoro in brevi lassi di tempo (40’’-2’):

  • Inefficienza metabolica = alta capacità metabolica = alto metabolismo
  • Efficienza metabolica = bassa capacità metabolica = basso metabolismo

In termini più pratici, se riesci a svolgere molto lavoro meccanico (muscolare) in brevi lassi di tempo significa che hai un grosso motore, che tuttavia ha un costo: anche quando stai fermo dissipi energia, che altro non è che la conversione di calorie in calore. Al contrario, chi è inefficiente metabolicamente, a riposo ha il motore al minimo e non dissipa energia.

Il concetto di inefficienza ora dovrebbe essere più chiaro: sei inefficiente perché “sprechi” energia e non la utilizzi.

Quindi, la domanda che non avresti mai pensato di porti è: “come faccio a diventare INefficiente?!”.

I fattori che influenzano e che sono principalmente responsabili del tasso metabolico sono:

  • massa magra
  • concentrazione degli enzimi glicolitico-ossidativi
  • densità mitocondriale
  • riserve di glicogeno

Più questi fattori sono presenti, più il metabolismo basale incrementa.

  • Quindi, incrementare il tasso metabolico e diventare inefficiente è possibile: per riuscirci, alimentazione e allenamento sono due fattori importanti da considerare.

Come aumentare il metabolismo? Come fare in pratica?

Come avrai forse già giustamente intuito, due grandi elementi a cui indirizzare i tuoi sforzi per avere il ‘supermetabolismo’ sono l’alimentazione e l’allenamento, che devono agire sinergicamente.

Camminando?

Una volta l’uomo era più attivo: camminava di più, svolgeva lavori manuali, percorreva in media 10.000 passi al giorno. Abitudini che con le comodità e il progresso tecnologico vengono abbandonate proprio perché implicano “più fatica”: è più facile prendere la macchina per andare a fare la spesa o a lavoro piuttosto che la bicicletta e l’ascensore al posto delle scale.

Cerca di fare almeno 7000 – 10.000 passi al giorno: camminare ed essere attivi aiuta a mantenere la spesa calorica giornaliera ad un livello sufficiente per non ingrassare.

Mangiando spesso?

Il metabolismo nel lungo periodo, che è quello che conta, non è influenzato dalla frequenza dei pasti: così come stare a digiuno non lo abbassa, allo stesso modo mangiare più spesso non lo alza. Se ti interessa l’argomento, in questo video trovi qualche informazione in più.

Con lo sport

Lo sport è un ottimo modo per alzare il metabolismo, per i motivi visti qualche paragrafo più in alto. Da non dimenticare, che del miglioramento metabolico ne gioverà anche la salute, la performance sportiva e anche l’aspetto fisico, quando all’esercizio abbini una corretta alimentazione.

Due o tre allenamenti alla settimana per iniziare sono sufficienti per ottenere miglioramenti, che siano esercizi di tonificazione muscolare, di resistenza o una combinazione dei due. Nel concreto, l’importante è iniziare a muoversi!

Con la palestra

In particolare, per l’allenamento in palestra, è fondamentale cambiare (in modo sensato) il programma di allenamento, in modo da dare sempre nuovi stimoli e svolgere allenamenti sempre più voluminosi e pesanti.

Se ti limiti sempre allo stesso volume di lavoro durante le settimane non puoi sperare di aumentare le calorie senza ingrassare: allenamento e alimentazione devono sempre andare di pari passo, anche perché grazie alle scorte di glicogeno piene potrai sostenere meglio l’allenamento.

Come accelerare il metabolismo al massimo con l’alimentazione?

Accelerare il metabolismo con l'alimentazione e la palestra

Scoperto che grazie ai carboidrati puoi incrementare il metabolismo, non ti resta che sapere come sfruttarli al meglio.

Se parti da un regime low-carb ad una dieta mediterranea (in cui i glucidi sono il macronutriente preponderante), il passaggio non deve essere brusco ma graduale, altrimenti l’organismo può essere ‘soffocato’ dall’improvvisa massiccia presenza di glucosio: ogni settimana incrementa i carboidrati di 20-25 g, che corrispondono a circa 80-100 kcal.

Di pari passo con l’incremento dell’apporto glucidico, tieni sotto controllo il tuo fisico e monitoralo tramite la misurazione delle circonferenze o la plicometria.

Se non ingrassi, continua pure ad aumentare i carboidrati la settimana successiva, altrimenti, non appena la massa grassa inizia a beneficiare del surplus calorico più della massa magra, inserisci una fase di 4 settimane di ipocalorica, per poi ricominciare a re-introdurre 20-25 g di carboidrati ogni settimana.

Alcuni soggetti mentre incrementano le calorie settimanali dimagriscono: non c’è nulla di magico in questo, semplicemente il blocco metabolico instaurato dall’assunzione di poche calorie è venuto meno, i meccanismi di dimagrimento hanno ripreso a funzionare e il soggetto è comunque ancora in deficit energetico (vedi: come sbloccare il metabolismo).

Per avere risultati tangibili e costruire con un senso il proprio percorso alimentare, avere un obbiettivo concreto è fondamentale. Qui ne trovi tre, scegli quello a cui ti avvicini di più:

  1. Livello base: 4 g/kg di peso corporeo di glucidi al giorno
  2. Livello intermedio: 5-6 g/kg di glucidi al giorno
  3. Livello avanzato: +7 g/kg di glucidi al giorno

Se parti da 3g/kg peso corporeo/die è inutile puntare subito a raggiungere il livello avanzato: l’obbiettivo è troppo distante, richiede molto tempo e il non vederlo arrivare facilmente induce al fallimento. Andando per gradi, invece, il livello prefissato sarà più facile da raggiungere: un gradino alla volta.

Cosa mangiare per aumentare il metabolismo

Man mano che aumenti i carboidrati dovrai parallelamente diminuire le proteine, se superiori a 2 g/kg peso corporeo. Queste ultime saranno fondamentali durante la fase di definizione perché proteggono il muscolo dal catabolismo. Tuttavia, tenere la quota proteica cronicamente elevata non è consigliabile.

Per tenere alto il metabolismo non è possibile mantenere elevati livelli di carboidrati e grassi: dato che i glucidi sono il macronutriente su cui focalizzarsi per l’incremento metabolico, in questa fase i lipidi sono da diminuire. Se stai assumendo 0.8 g/kg (uomini) – 1g/kg (donne), cala gradualmente la quota. Infatti, il metabolismo lipidico ostacolo quello glucidico.

Chi segue il regime low-carb per anni ha una pessima affinità con il glucosio ed è consigliabile arrivare anche fino a 0.4-0.5 g/kg di grassi al giorno perché senza tanti lipidi è più facile migliorare la captazione del glucosio da parte delle cellule. Chiaramente, sempre in modo graduale.

Non preoccuparti per gli ormoni steroidei (che derivano dai grassi), una volta che il metabolismo si è rialzato puoi incrementare la quota dei grassi.

Esistono integratori che possono aumentare il metabolismo?

L’unico integratore naturale che accelera il metabolismo è la caffeina ed i prodotti simili (alcaloidi). Tuttavia, le ultime ricerche scientifiche mostrano che l’aumento del metabolismo basale è intorno al 1-3% e scende rapidamente per via dell’assuefazione.

Non ci sono integratori naturali in grado di velocizzare il metabolismo, in quanto al massimo la caffeina ha un effetto anoressizzante (toglie la fame) ed aiuta ad allenarsi meglio (abbassa la percezione della fatica e del dolore).

  • Quindi, i prodotti legali (integratori) non fanno dimagrire direttamente ma al massimo aiutano indirettamente a perdere peso.

È possibile aumentare il metabolismo a 40, 45 e 50 anni?

È noto che l’età influenza il metabolismo: ogni 10 anni, a partire dai 20 anni fino ai 70, il tasso del metabolismo basale diminuisce dell’1-2%. Questo calo è attribuito alla diminuzione della massa muscolare che fisiologicamente decresce con gli anni, soprattutto negli individui sedentari.

Motivo per il quale, tendenzialmente chi ha più massa magra da giovane poi ne ha di più anche da anziano rispetto a chi ha passato la vita da sedentario, dato che parte da una base muscolare maggiore.

La buona notizia è che anche in età adulta si può aumentare il metabolismo: i parametri incrementabili mantengono la loro validità ad ogni età e la loro efficacia sia nelle donne che negli uomini.

Se ad esempio da sedentario inizi, un passo alla volta, a cambiare le tue abitudini e diventare più attivo sicuramente avrai un vantaggio metabolico: dal punto di vista del movimento anche iniziare con una passeggiata un giorno sì e uno no è un inizio. Magari successivamente si trasformerà in una passeggiata giornaliera e più avanti in una corsa.

Lasciare le vecchie e consolidate abitudini è difficile, ma non impossibile, soprattutto quando la motivazione a voler cambiare c’è.

Come puoi migliorare il metabolismo dei grassi (lipidi)?

In tanti sicuramente sono ancora convinti che più fai fatica e più sudi più dimagrisci! Una formula perfetta per fare fatica e non ottenere i risultati tanto sperati.

Infatti, non è assolutamente così, anzi: può sembrare paradossale, ma consumi più lipidi… quando dormi! Quindi dormendo perdi grasso?! Un sogno! Meglio fare chiarezza: più l’attività fisica è intensa e più c’è disponibilità di carboidrati più l’organismo tende ad utilizzare il glucosio e il glicogeno come fonte di energia.

Al contrario, quando fai attività fisica più blanda o a riposo vengono preferiti i grassi. “Preferiti” perché il corpo non ragiona a compartimenti stagni e consuma o solo lipidi o solo esclusivamente glucosio: sfrutta una miscela dei due, in cui una frazione o l’altra è preponderante a seconda della condizione.

Questo non significa che non fare nulla ed essere sedentari faccia dimagrire perché il metabolismo lipidico viene maggiormente sfruttato e migliora. Allo stesso modo, anche correre “nella fascia lipolitica” non è poi così utile per bruciare più grassi: anche se durante la corsa a quella determinata frequenza cardiaca saranno il substrato più utilizzato, quando termini la corsa, il metabolismo glucidico avrà la meglio su quello lipidico.

Un aspetto interessante del metabolismo dei lipidi è che gli stessi adipociti sono una fornace brucia-grassi. Non si tratta del classico adipocita bianco accumulatore di grasso, ma di suo fratello: l’adipocita bruno, che contiene grassi e li utilizza disperdendoli in calore. Il tessuto adiposo bruno è incrementabile grazie allo stimolo dato dall’attività fisica e da alcuni ormoni (miochine).

 

Come aumentare il metabolismo in modo naturale?

In conclusione, mangia i cibi che preferisci (ovviamente salutari), fai quanti pasti vuoi, distribuisci i macronutrienti come ti trovi meglio, non essere pigro e sedentario: alla fine aumentare il metabolismo è estremamente semplice, basta seguire poche indicazioni e fare un passo alla volta.

Bisogna tuttavia impegnarsi ed essere costanti.

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Guida alla nutrizione
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Le patate fanno ingrassare? Sì o no?

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Patate fanno ingrassare

Quando ti metti a dieta, una delle prime domande che ti poni e a cui cerchi una risposta è se un determinato alimento puoi mangiarlo oppure no. Tra questi cibi ci sono anche le patate: fanno ingrassare? O puoi mangiarle tranquillamente ad libitum?

Un altro dubbio, più sottile del primo ma pur sempre lecito, riguarda la cottura: cambia qualcosa se mangi le patate al forno o le patate lesse? Bisogna rinunciare al purè o al ‘giovedì gnocchi’? O meglio provare l’ebbrezza di mangiarle crude?

Le patate fanno veramente ingrassare?

le patate al forno fanno ingrassare

Se già hai letto un po’ di articoli sul sito, saprai già che non esistono cibi che fanno dimagrire o ingrassare solamente per il fatto di esistere… e meno male! Questo permette di poter inserire davvero qualsiasi alimento nella dieta in modo da renderla il più sostenibile possibile – e magari non chiamarla più ‘dieta’, perché sarà diventato il tuo normale stile di vita.

Rispetto ai cereali, alla pasta o al pane, le patate hanno una densità calorica molto più bassa: la patata ha meno di 20 g di carboidrati su 100 g di prodotto e mediamente 72 kcal/100g, veramente poche. Valore che però cambia a seconda del metodo di cottura, come puoi vedere nella tabella. In questo articolo trovi il confronto tra il consumo di pasta, riso e patate.

Il consiglio è quello di mangiare le patate, tenendo conto dei loro macronutrienti, calorie e soprattutto dell’eventuale condimento. In una dieta sana, varia e bilanciata, le patate non hanno motivo di non essere presenti (ovviamente se ti piacciono).

100 g Kcal g carboidrati g grassi g proteine
Patate crude 72 16.0 0.1 2.0
Patate senza buccia bollite 74 16.9 0.1 1.8
Patate con buccia bollite 88 17.9 1.0 2.1
Gnocchi cotti 147 34.0 0.2 3.5
Patate arrosto 152 25.7 4.5 2.9
Patate fritte 192 29.9 6.7 3.9
Patatine fritte fast food 283 36.3 13.7 3.3
Patatine fritte confezione in busta 521 5.4 29.6 5.4

 

Patate lesse e al forno

Le patate lesse sono il miglior modo per consumare le patate a dieta, in quanto le calorie restano basse rispetto a quando cucinate con altri metodi di cottura (frittura) o di preparazione con l’aggiunta di altri ingredienti (es. purè). Inoltre, sono molto sazianti.

Nel caso delle patate al forno, invece, l’alimento si disidrata e conseguentemente, a parità di quantità consumata, aumentano leggermente le calorie.

Crocchette di patate

Le crocchette di patate hanno più calorie rispetto alle patate lesse o al forno sia a causa della preparazione dell’impasto sia e soprattutto per il metodo di cottura: la temuta frittura.

L’olio è densamente calorico e durante la cottura la crocchetta in parte lo assorbe: in questo modo le crocchette hanno più calorie delle patate lesse, appesantiscono la digestione ma sono sicuramente anche più gustose!

Da un punto di vista nutrizionale e salutistico, in ogni caso, la frittura non è indicata, ma se occasionale è chiaramente concessa!

Gnocchi di patate

100 g di gnocchi (una porzione solitamente sono 130 g) corrispondono a 147 kcal e contengono 34 g di carboidrati, valori più elevati rispetto alle patate lesse e ulteriormente incrementati dal sugo di accompagnamento.

Infatti, come tutti i carboidrati da primo piatto, gli gnocchi, come anche la pasta o il riso, con il condimento sono più buoni: l’aggiunta di sughi e di un filo d’olio li rendono più palatibili, cioè più “attraenti” al gusto e al palato. Più buoni e anche più calorici, ma

Patate dolci

La patata dolce (o americana) è chiamata così a causa del suo sapore molto dolce dovuto all’alta presenza di glucidi. Da un punto di vista calorico apporta circa 80 kcal/100g, come la patata comune, mentre, a differenza di questa, presenta una maggiore quantità di vitamina A – fattore che si può dedurre anche solo dal diverso colore dei due tuberi! Infatti, la vitamina A è caratterizzata dal colore arancione, tipico dei carotenoidi come il beta-carotene.

Inoltre, il suo contenuto di fibre e di micronutrienti fanno della patata dolce un alimento interessante, una buona alternativa alla patata comune.

È possibile dimagrire con le patate?

Alcuni sostengono che non si dovrebbero mangiare le patate, magari con la giustificazione dell’indice glicemico. Ma per fortuna (o purtroppo), non è l’indice glicemico a determinare se ingrassi o dimagrisci ma l’eccesso calorico.

Quindi, puoi mangiare le patate sostanzialmente sempre: in ipercalorica, in normocalorica e anche quando vuoi dimagrire! Il presupposto per mangiare patate e perdere peso è considerarle nel totale calorico della giornata.

Presta attenzione, però, anche al condimento, da usare con moderazione: un cucchiaio da cucina di olio sono circa 10 ml che corrispondono a 90-100 kcal (più delle patate!).

Il purè di patate fa ingrassare?

Contorno classico italiano in cui oltre alle patate solitamente ci sono anche latte, burro e grana: tutti e tre alimenti che contengono grassi, che alzano decisamente le calorie del purè.

Questo cosa vuol dire? Che come tutti gli alimenti può far parte di una dieta, ma, solitamente, quando sei in ipocalorica, è meglio preferire cibi meno calorici in modo da poter mangiare di più (non in termini calorici ma di quantità di cibo) e soffrire di meno la fame. Infatti, anche l’ingombro gastrico è uno dei fattori che contribuisce alla sazietà. 150 kcal di patate rispetto a 150 kcal di purè apportano sì le stesse calorie, ma nel primo caso ci saranno meno grassi introdotti e la quantità di cibo ingerita sarà maggiore.

In conclusione, il purè di patate fa ingrassare solo quando mangi troppo e male durante la settimana!

Le patate fanno bene o fanno male?

Le patate sono un’ottima fonte di carboidrati, non c’è motivo per il quale non possano far parte della tua alimentazione, nemmeno a causa della solanina o dell’indice glicemico, che, a prescindere dalla cottura, le fanno rientrare nella categoria degli alimenti ad alto indice glicemico.

Inoltre, quando consumate con la buccia introduci più fibra alimentare, che contribuisce al senso di sazietà e alla salute della flora intestinale.

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Donne e pesi in palestra: come allenarsi correttamente

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Ancora oggi gli stereotipi di genere e la paura di diventare “grosse” e mascoline tengono molte donne lontane dalla palestra. Tuttavia l’allenamento con i pesi, se abbinato ad un’alimentazione sana e bilanciata, è fondamentale per promuovere e mantenere la salute psicofisica e per migliorare la composizione corporea (e quindi ridurre il grasso). Detto così sembra semplice, ma come bisogna allenarsi per ottenere questi vantaggi? In che direzione devono andare l’alimentazione e la dieta? Proviamo a vedere nel dettaglio questi aspetti.

Donne e pesi in palestra sono compatibili?

Probabilmente se stai leggendo questo articolo è perché associ l’allenamento con i pesi a immagini di donne bodybuilder dopate con muscoli ipersviluppati. Sappi che se non assumi sostanze dopanti, raggiungere quel livello è praticamente impossibile. Questo perché le donne hanno una quantità di testosterone 10 volte più bassa rispetto agli uomini e questo rende il processo di costruzione di massa muscolare lungo e difficile.

Effetti pesi sulle donne

Tuttavia, l’allenamento contro resistenza è fondamentale perché consente di:

  • migliorare la composizione corporea (aumenti il muscolo e riduci il grasso) e il metabolismo basale (bruci più calorie a riposo);
  • migliorare la densità ossea riducendo il rischio di osteopenia e osteoporosi;
  • mantenere la salute cardiovascolare e ridurre il rischio di diabete II.

È chiaro che per ottenere tutti questi benefici devi usare carichi stimolanti, devi essere costante e seguire una dieta bilanciata che sia funzionale al tuo obiettivo. Per la costruzione della massa muscolare sei autorizzata ad usare anche carichi pesanti e puoi abbandonare le tanto amate cavigliere, perché non diventerai un uomo.

Quale fisico può ottenere una donna in palestra?

Se il programma di allenamento e la dieta che segui sono corretti, puoi ottenere un fisico forte, funzionale, atletico e performante. Gli stereotipi di genere probabilmente ti portano a sottostimare le tue capacità in fatto di sollevamento pesi. Anche se le donne possiedono meno forza rispetto agli uomini (70-75% negli arti inferiori e 40-60% negli arti superiori), questo non le esula dal potersi allenare con bilancieri e manubri così da ottenere un corpo tonico. Se scegli di allenarti contro resistenza avrai, oltre ai benefici estetici, anche benefici nella vita quotidiana: meno dolori articolari, meno difficoltà a sollevare o tenere in braccio i figli, più energia per svolgere tutte le attività che ti competono. Non dimenticare però che il risultato estetico che vuoi ottenere deve essere compatibile con la tua genetica  e non con le immagini che hai visto sui social.

Perchè vado in palestra, ma non dimagrisco?

Quello che conta nel dimagrimento è il deficit calorico:

  • se assumi più calorie di quelle che consumi = ingrassi
  • se assumi tante calorie quante quelle che consumi = rimani stabile
  • se assumi meno calorie di quelle che consumi = dimagrisci.

L’approccio migliore, se hai bisogno di perdere peso, è quello di associare una dieta equilibrata alla palestra. Pensare che solo l’allenamento sia sufficiente a ridurre i kg dalla bilancia è scorretto. Il compito dell’allenamento con i pesi è quello di aumentare la massa muscolare, ed è questa che ti consente di aumentare il metabolismo a riposo. Questo vuol dire che anche se sei sul divano a non fare nulla, consumi più calorie.

L’allenamento con i pesi di per sé non consuma un gran numero di calorie, ma agisce a livello metabolico, ed è questo ciò che conta. Inoltre, tutto deve essere rapportato all’ alimentazione. Puoi anche allenarti frequentemente e bruciare molte calorie, ma se quello che mangi è superiore a quello che consumi, il risultato sarà comunque un aumento del peso. Può essere che, arrivata fino a qui, ti stia chiedendo: “Sì, ma io mi alleno e mangio pochissimo, eppure non riesco a dimagrire”.

Questo problema è molto frequente  e nasce dal fatto che hai abituato il tuo corpo ad una dieta ipocalorica per un lungo periodo di tempo. Il risultato che ne deriva è un blocco del metabolismo. In questi casi, la soluzione è paradossalmente quella di aumentaremolto gradualmente il consumo calorico fino a quando non raggiungi il corretto fabbisogno energetico giornaliero.

Quando arrivi a questo punto, devi mantenere lo stesso introito calorico fino a quando il tuo peso non rimane stabile. Solo da questo momento in poi puoi cominciare un percorso di riduzione della massa grassa.

Alimentazione e dieta efficaci per le donne in palestra

Come hai appena letto, seguire per un lungo periodo una dieta restrittiva e ipocalorica può essere controproducente in termini di salute e performance fisica. Se vuoi fare dei progressi in palestra è giusto che tu dia al tuo corpo l’energia sufficiente per poterlo fare. Questo vuol dire che puoi seguire qualsiasi dieta ti faccia sentire bene, l’importante è che ci sia un giusto equilibrio tra i macro e i micronutrienti e che la quantità di calorie introdotte copra il tuo fabbisogno giornaliero.

Carboidrati, grassi e proteine sono fondamentali per mantenere la salute psicofisica, ormonale e per costruire massa muscolare, così come vitamine e minerali. Ridurre drasticamente uno o più di questi nutrienti può portare a lungo termine a problematiche di salute e quindi alla riduzione dei progressi in palestra. Gli approcci alimentari sono infiniti, ma attualmente la dieta che risulta essere tra le migliori in fatto di salute a lungo termine è quella mediterranea.

Secondo quest’ultima, il rapporto tra i macronutrienti è il seguente:

  • 55-60% carboidrati
  • 25-35% grassi
  • 10-15% proteine.

È chiaro che le proporzioni tra i macronutrienti possono variare in relazione all’obiettivo che vuoi raggiungere. Se per esempio hai bisogno di perdere peso puoi scegliere diversi approcci: uno studio del 2009 ha preso in considerazione un gruppo di 811 soggetti sovrappeso e li ha sottoposti a 4 tipi di diete differenti, manipolando diversamente i macronutrienti.

Al termine della ricerca si è dimostrato che tutte le diete prese in considerazione risultavano funzionali per la perdita di peso, perché in tutte era previsto un deficit calorico. Infine, non dimenticare che anche l’acqua svolge un ruolo fondamentale, ancor di più se rimedi per la ritenzione idrica e cellulite. Secondo le linee guida una donna adulta sana dovrebbe bere di base almeno 2 L di acqua, e questo fabbisogno aumenta quando ti alleni in palestra.

Quante calorie brucia una donna in palestra?

La risposta è: dipende. Dipende dall’attività che stai facendo e dal tuo peso. Per calcolare le calorie bruciate puoi usare delle app, un cardiofrequenzimentro che stimi il consumo calorico oppure puoi utilizzare i MET.

Per MET (Equivalente Metabolico) si intendono i ml di ossigeno che consumi a riposo al minuto per kg di peso corporeo. Un MET equivale a 3.5 ml/kg/min. In base al tipo di attività che stai svolgendo, i MET cambiano. E’ bene che tu tenga presente che tutti questi metodi sono stime, e quindi hanno un margine d’errore. Uno studio del 2011 riporta un elenco con i MET consumati per uno svariato numero di attività. Eccone  alcuni esempi:

Attività MET
Circuit Training 4.3
Circuit Training con Kettlebell (ridotto recupero, intensità alta) 8.0
Sollevamento pesi (8-15 ripetizioni, carico variabile) 3.5
Sollevamento pesi (bodybuilding o comunque sforzo vigoroso) 6.0

Una volta che conosci i MET puoi calcolare in modo semplice il dispendio calorico con la seguente formula:

Kcal = MET x Peso (Kg) x durata in h

Facciamo un esempio. Una donna di 55 kg solleva pesi per 30 minuti con un’intensità alta.
Secondo la formula, la stima delle calorie che consuma è: kcal = 6 MET x 55 Kg x 0.5 h = 165 Kcal.
In ogni caso, cerca di focalizzarti meno sulle calorie e più sullo “spingere” in sala pesi.

Qual è l’allenamento giusto per le donne in palestra

Per migliorare lo stato di salute l’approccio migliore è quello di combinare l’esercizio con i pesi con quello cardiovascolare. L’allenamento contro resistenza è fondamentale sia da un punto di vista estetico sia funzionale, e deve comprendere sia l’ allenamento degli arti superiori sia quello degli  inferiori. Allenare solo e sempre le gambe sperando di migliorarne l’estetica può essere controproducente, soprattutto se tendi ad accumulare ritenzione idrica e cellulite negli arti inferiori. Quando ti alleni devi tenere conto quindi del tuo biotipo, che può essere:

  • androide (forma a mela): accumuli tessuto adiposo a livello dell’addome, degli arti superiori e del seno;
  • ginoide (forma a pera): accumuli tessuto adiposo sui fianchi, sulle cosce e sui glutei;
  • misto: hai caratteristiche comuni ad entrambi i biotipi precedenti.

Se sei ginoide puoi mettere in atto qualche strategia per non peggiorare lo stato infiammatorio delle gambe:

  • nella seduta in palestra allena prima le gambe e poi le braccia in modo da evitare il ristagno delle tossine negli arti inferiori oppure alterna un esercizio per le gambe con uno per le braccia in modo da favorire la circolazione sanguigna (allenamento PHA);
  • evita di fare troppi allenamenti lattacidi (sensazione di bruciore o pesantezza delle gambe) perché aumentano in acuto il ristagno di liquidi;
  • non esagerare con il cardio perché potrebbe aumentare il cortisolo con peggioramento dello stato infiammatorio degli arti inferiori. Prediligi la camminata rispetto ad attività ad alto impatto in modo da stimolare le strutture che nel piede facilitano il ritorno venoso (soletta di Lejars).

Se sei un soggetto androide non hai particolari problemi infiammatori, per cui puoi permetterti di lavorare più intensamente sulle gambe. Infine se sei mista, devi tenere in considerazione gli accorgimenti dei biotipi precedenti adattandoli su di te. Tieni presente che queste sono solo delle linee guida generali. Tutto va personalizzato  e per questo ti consiglio di rivolgerti a un trainer che possa aiutarti.

Andare ogni giorno in palestra ha senso? Quante volte a settimana?

Donne e pesi

Puoi ottenere risultati ottimi anche senza allenarti tutti i giorni. Il segreto è essere costanti e avere un programma di allenamento ben formulato che sia compatibile con il tuo stile di vita. Se il tuo desiderio di “vivere in palestra” nasce da una forma di dipendenza da sport o da un disturbo alimentare, allenarsi tutti i giorni non solo peggiorerà il problema, ma non ti consentirà di migliorare fisicamente in modo sano. Se invece vuoi allenarti molto perché sei una donna dinamica e hai energia da vendere, allora allenati pure frequentemente.

L’importante è sempre trovare il giusto equilibrio  e dare tempo al corpo per recuperare. Ricorda che la massa muscolare si costruisce a riposo. Proprio per queste ragioni è consigliabile mantenere sempre un minimo di 1 o 2 giorni di recupero nella settimana, in modo da far riposare il sistema e le articolazioni. In ogni caso, una frequenza ideale di allenamento potrebbe essere di 3 sedute settimanali.

Quanto tempo ci vuole ad ottenere dei risultati?

Questa è una domanda da un milione di dollari, perché ancora una volta la risposta è:  dipende. Dipende da come e quanto ti alleni, dallo stile di vita che segui e soprattutto dalla tua costanza. Qualunque sia il tuo obiettivo, non avere fretta e goditi il processo.

Quello che stai imparando con l’allenamento è uno stile di vita  e non una cosa da fare fino a quando raggiungi l’obiettivo che ti sei prefissata e poi stop. Sia che tu ti stia allenando per aumentare la massa muscolare,  sia che tu lo stia facendo per perdere peso, ci vuole tempo. Se sei una neofita dell’allenamento con i pesi vedrai rapidi progressi in fatto di carichi e forza, ma prima o poi raggiungerai uno stallo. È normale, perché i miglioramenti avvengono a “onde”. Stessa cosa vale per la perdita di peso, ma questo non deve demoralizzarti, perché fa parte del processo.

Esempio di scheda per donne in palestra

Un esempio di scheda base per una donna che vuole aumentare la massa muscolare potrebbe essere la seguente:

Questo è un esempio molto semplice di un protocollo PHA con focus sui principali movimenti. È un allenamento total body con esercizi che coinvolgono grandi masse muscolari.

Come fare il riscaldamento?

Il riscaldamento è fondamentale per preparare il corpo all’allenamento e ridurre il rischio di infortuni. L’obiettivo è quello di aumentare la temperatura corporea e la produzione di liquido sinoviale nelle articolazioni per affrontare l’allenamento. Puoi riscaldarti prima con una macchina cardiofitness per 5/10′ e poi fare qualche esercizio di mobilità articolare per collo, spalle, schiena, anca e ginocchia.

Quante ripetizioni fare?

Sulla base delle linee guida per l’allenamento volto all’ ipertrofia, il range di ripetizioni consigliato è tra le 6 e le 12. Se vuoi fare a fine allenamento un lavoro più lattacido con un carico basso le ripetizioni possono essere alte (>15).

Quanto recupero fare tra una serie e l’altra?

Il recupero consigliato è tra i 60” e i 90″. Se stai eseguendo un set con l’obiettivo di aumentare lo stress metabolico,  il recupero può essere anche più breve (30″).

Gambe gonfie dopo l’allenamento

Se ti alleni in palestra è probabile che tu abbia sperimentato una sensazione di “gonfiore” post allenamento. Questa sensazione è corretta, ma non deve allontanarti dai pesi, perché è una fase temporanea. Quando ti alleni crei un danno a livello degli arti inferiori  e questo non fa altro che richiamare sostanze e trattenere acqua per poter riparare il tessuto muscolare danneggiato. Per limitare questo effetto ci sono degli accorgimenti che puoi prendere in considerazione. Per approfondire il tema, leggi questo articolo sul microcircolo e le gambe gonfie.

Quali sono gli esercizi più efficaci per le donne in palestra?

donne e trazioni

Per migliorare da un punto di vista estetico e funzionale gli esercizi migliori sono quelli a corpo libero con bilancieri o manubri (squat, stacco, hip thrust, panca piana, lento avanti, affondi, etc.) e le macchine isotoniche (lat machine, leg press etc). È bene anche inserire esercizi complementari e di isolamento per lavorare sui gruppi muscolari più carenti. Non dimenticare che per evitare infortuni, la tecnica di esecuzione deve essere sempre pulita.

Donne in palestra e zumba: quanto è efficace?

Se il tuo obiettivo è quello di divertirti, allora la zumba è l’attività che fa per te, ma se il tuo fine è quello di perdere peso o di costruire massa muscolare, forse non è la strategia giusta da seguire. Meglio dare la priorità all’allenamento con i pesi.

Palestra e gravidanza: cosa è bene evitare e cosa si può fare?

Se sei sana e il tuo medico non ti ha dato controindicazioni, sappi che l’attività fisica prenatale è da considerarsi come una terapia fondamentale per ridurre il rischio di complicazioni durante il parto e per migliorare la tua salute psico-fisica. L’attività fisica controllata, infatti, non è associata ad aborto spontaneo, morte neonatale, nascita pretermine e altre complicazioni.

Le linee guida consigliano di praticare almeno 150 minuti di attività aerobica moderata alla settimana e associarla all’esercizio contro resistenza. E’ utile anche praticare gli esercizi di Kegel per il rinforzo del pavimento pelvico, yoga e pilates. Sono da evitare gli addominali, perché potrebbero peggiorare la diastasi (separazione della muscolatura dell’addome), gli sforzi eccessivi e un’ intensa sollecitazione articolare. Evita di mantenere la posizione supina per più di 5/10′ perché comporta un restringimento del flusso di sangue verso il feto.

Conclusioni

L’allenamento con i pesi porta molti benefici alle donne. Non avere paura ad allenarti con carichi stimolanti, perché sono quelli che ti fanno ottenere dei risultati in termini estetici, di forza e funzionalità. Rimani costante e segui un programma sensato che tenga conto del tuo stile di vita, in modo da avere la giusta proporzione tra allenamento e riposo. Non demoralizzarti se non riesci sempre a migliorare o a perdere peso, perché i progressi arrivano a “onde”. Alimentati e bevi in modo adeguato, perché se non dai energia al tuo corpo questo non riuscirà a progredire.

Bibliografia:

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Current Sports Medicine Reports 2012 July/August; 11(4): 209-216
Ebben WP, Jensen RL
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– CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’ analisi dell’ economia agraria)
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Note sull’autrice

Dott.ssa Chiara Fezzardi

Mi chiamo Chiara Fezzardi, ho 28 anni e lavoro come PT e insegnante di Pilates a Brescia. Sono laureata magistrale presso l’ Università di Scienze Motorie a Milano e ho frequentato corsi di formazione con diverse scuole (FIF, SFSM, Power Pilates). Amo muovermi, ridere, viaggiare, leggere e aiuto le persone a migliorare il loro benessere e a riscoprire il loro potenziale fisico e mentale.”

Instagram: chiara.fez

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Quante proteine per la massa muscolare?

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cosa fa crescere i muscoli

Un ragionamento molto semplice è questo: le cellule muscolari hanno molte proteine (più di tutte le altre tipologie cellulari), quindi mangiando tante proteine il muscolo diventerà più ipertrofico.

Un ragionamento tanto facile quanto sbagliato! O, almeno, in buona parte sbagliato: è chiaro che le proteine che vanno a costituire il muscolo derivano dagli aminoacidi assunti tramite l’alimentazione e che, quindi, senza proteine (e un contesto alimentare-allenante idoneo) sicuramente la massa muscolare non cresce.

Il concetto sbagliato è pensare che più proteine introduci più la massa magra aumenti in modo proporzionale alla loro assunzione.

Quante proteine servono per mettere su muscolo? Cosa fa crescere i muscoli? Sono tra le domande più frequenti in palestra.

Con questo articolo capirai dove finiscono i miti e dove inizia la realtà scientifica, capendo realmente di cosa e quanto ha bisogno il tuo organismo per essere in uno stato anabolico ottimale.

Quante proteine assumere per la massa muscolare?

Sapere quante proteine assumere è uno dei grandi dubbi che assalgono chi inizia a voler sviluppare la massa muscolare – ma rimane una domanda fondamentale anche per chi vuole solo mantenersi in salute.

“Quante proteine devo mangiare?” rappresenta la classica visione distorta dell’ambiente della palestra, perché pone il focus sull’ultima parte di un processo complesso: si vede la punta dell’iceberg senza accorgersi della parte sommersa.

La quantità di proteine che servono strettamente ‘per la massa muscolare’ non è definibile, ma, come leggerai, non è neanche un elemento essenziale da conoscere per sviluppare il tessuto contrattile.

Più o meno da sempre, il muscolo viene equiparato alle proteine, d’altronde tra glucidi, lipidi e protidi da cosa sarà principalmente composto?

Acqua! La componente proteica costituisce solo circa il 20% del muscolo. Per i bodybuilder, infatti, è possibile variare esteticamente moltissimo, senza aggiungere o togliere una proteina, ma semplicemente variando l’acqua. Quindi, 1 kg di muscolo = 200 g di proteine e non 1 kg di muscolo = 1 kg di proteine.

Per mettere su 1 kg di massa magra in un mese, servono 200 g di protidi in 30 giorni, cioè 6.66 g in più al giorno. In ogni caso, anche questa considerazione non ha molto senso e capirai perché.

Ma quindi le proteine servono per mettere muscoli?

Bisogna smettere di chiedere “cosa fa crescere i muscoli?” perché è una domanda banale, che non può che portare a risposte di altrettanto livello (banale). Nell’estrema semplificazione della palestra, invece, è più facile cercare di risolvere un problema complesso semplicemente aumentando la materia prima (le proteine), senza preoccuparsi di ottimizzare i processi biochimici che portano alla sintesi di nuovo materiale contrattile.

Il surplus calorico aumenta l’anabolismo del corpo, ma questo non comprende solo la sintesi di nuove proteine del muscolo, ma anche di nuovo glicogeno nel fegato e di nuovi trigliceridi negli adipociti.

Per questo motivo quando c’è il periodo di massa oltre al muscolo anche il grasso aumento: crescere “sporcandosi” è estremamente facile.

Il corpo misura i livelli energetici attraverso il metabolismo glucidico-adipocitario ed il livello di glicogeno epatico. Tutti i tessuti sono interconnessi e si influenzano a vicenda. Molto spesso c’è un antagonismo tra adipocita-miocita per lo stoccaggio dei nutrienti.

Dal momento che è la capacità di utilizzare in modo ottimale gli zuccheri a determinare tutta una cascata di eventi, l’abilità di metabolizzare questo carburante diventa fondamentale anche per potenziare la crescita muscolare.

  • Se il tuo scopo è migliorare la composizione corporea ed aumentare la massa magra, la prima attenzione dev’essere riservata a migliorare i processi di turnover: è inutile focalizzarti sul fare il pieno di benzina se poi la macchina non funziona.

Quante proteine servono per il turnover proteico?

Il turnover proteico non è altro che un meccanismo di riciclo: il corpo è in grado di assemblare, distruggere e riassemblare in un modo diverso le proteine, a seconda della necessità che ha l’organismo.

Immagina di fare una serie di squat da 20 ripetizioni, il testosterone e il GH salgono! Poi finisci la serie, gli ormoni calano perché non servono più e vengono degradati.

Il discorso vale anche per gli enzimi: ad esempio se non sei abituato a bere alcol le prime sere basta poco per essere ubriaco, mentre continuando la tolleranza aumenta e per avere gli stessi effetti è necessario aumentare la dose assunta. Questo perché con un aumento graduale della quantità di alcol il sistema enzimatico è diventato più efficiente nel metabolizzare l’etanolo e gli enzimi si sono adeguati a questa nuova condizione diventando più numerosi.

Lo stesso discorso vale anche per tutti gli altri enzimi del metabolismo, che aumentano o diminuiscono: il corpo lavora per adeguarsi alle tue abitudini alimentari e per permetterti di assimilare e sintetizzare al meglio quello che riceve.

Ormoni, enzimi, trasportatori di membrana, neurotrasmettitori, filamenti strutturali sono tutti formati da proteine: le proteine non sono quindi solo nei muscoli, ma sono presenti in tutto l’organismo con funzioni diverse (plastica, catalitica, di trasporto,…).

Il corpo in continuazione degrada le proteine che non gli servono e ne ri-sintetizza di nuove a partire da quelle degradate inutilizzate: sostanzialmente, la proteina inutile viene scomposta nei singoli aminoacidi, gli aminoacidi sono quindi liberi e a disposizione e vengono ri-assemblati in una nuova proteina utile. Questo concetto di equilibrio dinamico è molto spesso presente nei meccanismi che regolano l’organismo.

Un uomo di 80 kg ha un turnover proteico di più o meno 350 g al giorno, cioè 10.500 g (10 kg e mezzo) al mese di proteine che non sono da calcolare in più rispetto al fabbisogno, ma che sono presenti nell’organismo e che vengono ri-assemblate. Di queste solo una piccola parte (meno del 5%) viene completamente persa e dev’essere sostituita con l’alimentazione.

Quante proteine bisogna assumere nel bodybuilding?

proteine e muscoli

Dopo questa lunga premessa per capire meglio a cosa servono le proteine e come queste non siano il solo fattore fondante della costruzione muscolare, sapere qual è il fabbisogno proteico contribuisce a garantire il corretto funzionamento dell’organismo e dei suoi processi energetici.

Un organismo nutrito correttamente, una buona ripartizione dei macronutrienti e un adeguato allenamento agiscono sinergicamente e garantiscono la crescita muscolare. Le proteine di cui hai bisogno, quindi, sono da assumere nell’ottica del buon funzionamento dell’organismo e non perchè capaci di far crescere direttamente il tessuto magro.

Di quante proteine hai bisogno? Dipende da molti fattori!

  • In ipercalorica 1.5 g sono più che sufficienti (tranne per i soggetti che faticano a crescere a causa della resistenza all’anabolismo).
  • In normocalorica 2 g.
  • In ipocalorica 2.5 g sono sufficienti.
  • Le donne hanno meno bisogno di proteine rispetto agli uomini.
  • I vegani, per via della minor biodisponibilità delle proteine vegetali, devono aggiungere mediamente 0.4 g/kg.
  • Chi è grasso ha bisogno di meno proteine in definizione rispetto a chi ha già una BF bassa (ma tenere alti i protidi aiuta con la fame).
  • I valori a seconda della persona possono variare di +/- 0.5 g/kg.

 

Quante proteine deve assumere una donna per mettere massa muscolare?

La donna in generale ha bisogno di meno proteine rispetto all’uomo perchè tendenzialmente pesa di meno e ha fisiologicamente meno massa muscolare.

Nonostante questa differenza valgono gli stessi principi, cioè allenamento e alimentazione sana in generale (senza il focus diretto solo alle proteine). In una fase di massa per la donna sono consigliati 1-1.6 g/kg peso corporeo di proteine.

Calcolo proteine per la massa muscolare

È ancora abbastanza frequente veder utilizzare le percentuali per distribuire i macronutrienti: ad esempio, se hai un fabbisogno calorico di 2000 kcal/giorno e decidi che il 50% di queste devono provenire dai glucidi, il 25% dai lipidi e il 25% dai protidi.

In realtà, questo è un metodo superato perché meno specifico rispetto al considerare i grammi di macronutriente per kg di peso corporeo. Per quanto riguarda le proteine, sarebbe ancora meglio calcolare i grammi in base alla massa magra, ma per questioni di praticità (basta una bilancia!) si considera sul totale del peso corporeo.

Durante una fase di massa in cui costruisci anche tessuto magro, non serve eccedere con le proteine (il range suggerito è 1.6-2.2 g/kg peso corporeo) per lasciare più spazio ai carboidrati.

  • Questo supporta quanto detto all’inizio dell’articolo. Non è la proteina in sé a far crescere il muscolo, ma il contesto generale di allenamento e alimentazione: nella fase in cui si cerca di incrementare il tessuto magro, infatti, le proteine non sono il macronutriente più presente!

Quando prendere le proteine?

Finisci l’allenamento, neanche il tempo di mettere a posto i pesi che devi assumere le proteine, altrimenti catabolizzi e non sia mai che gli sforzi fatti vengano annullati!

Buona notizia: puoi mettere a posto i pesi!

L’esempio dell’iceberg torna utile anche in questo caso: scervellarsi per capire quale sia il secondo più vantaggioso per l’assunzione di proteine per favorire la crescita muscolare assume poca rilevanza nel momento in cui non viene considerato il fabbisogno proteico giornaliero.

Infatti, prendere le proteine in un determinato momento senza raggiungere la quota giornaliera totale necessaria non serve esattamente a nulla per la crescita muscolare. Dai primaria importanza alla quantità totale da raggiungere nell’arco della giornata e solo poi distribuisci questa quota.

Per gli sportivi è solitamente una quota alta da raggiungere: risulta, quindi, più facile suddividere questa quota nei vari pasti durante la giornata, soprattutto vicino all’allenamento – piuttosto che ritrovarti la sera a cena con 250 g di proteine da ingurgitare.

Quante proteine assumere dopo l’allenamento (post-workout) per la massa?

20-30 g sono la dose sufficiente per massimizzare la sintesi muscolare proteica, dato che è sufficiente per “saturare” il muscolo.

Mangiarne di meno non stimola al massimo questo processo, mentre il mangiarne di più ha bisogno di un paio di spiegazioni: cosa succede se sfori dai 20-30 g?

L’organismo non spreca le proteine “in più” che riceve, ma le utilizza successivamente: in questo modo, la spinta anabolica perdura più a lungo. È anche importante ricordare che se invece di 25 g ne assumi 50, il tessuto magro automaticamente non raddoppia di dimensioni o riceve il doppio del beneficio.

Quali sono le migliori proteine per la massa muscolare

L’anabolismo muscolare risponde meglio alle proteine di origine animale, che, rispetto a quelle vegetali, presentano un maggior quantitativo di aminoacidi essenziali (soprattutto leucina) e sono più digeribili, oltre al generale spettro amminoacidico più completo.

Tuttavia, anche con le proteine vegetali è possibile comunque avere una spinta anabolica, anche se in misura minore. Quindi per sopperire a questo, se segui una dieta vegetariana o vegana, dovrai aumentare il tuo fabbisogno proteico.

Inoltre, le proteine vegetali sono consigliate anche a chi segue una dieta onnivora in modo da non esagerare con la quantità di carne consumata e da ottenere benefici dal consumo di alimenti proteici vegetali in termini di salute.

Quali proteine assumere per mettere massa?

Tra le proteine che derivano da un cibo solido e quelle in polvere per l’organismo non ci sono sostanziali differenze: sempre di amminoacidi utilizzabili si tratta. Può variare la composizione, i tempi di assimilazione e la digeribilità a seconda dell’assunzione, ma dal punto di vista nutrizionale 20 g di proteine restano 20 g di proteine, che derivino da petto di pollo, fagioli o dal siero del latte.

In questo capitolo vengono analizzate alcune tipologie di proteine in polvere che puoi trovare in commercio e che puoi utilizzare per comodità se non riesci a consumare un pasto solido o non riesci a raggiungere la quota proteica prefissata della giornata.

Proteine della soia

Le proteine della soia tra quelle vegetali sono quelle che hanno una maggior qualità, comunque minore rispetto alle proteine derivanti da latte, manzo e uova in quando fonti animali con uno spettro amminoacidico che meglio risponde alle esigenze umane.

In polvere o come integratori sono, quindi, un’ottima fonte per chi segue una dieta vegetariana o vegana.

Proteine siero del latte

Le proteine del siero del latte (whey protein) sono sicuramente tra quelle più famose ed utilizzate tra gli integratori proteici. Il motivo è che hanno un’elevata qualità biologica, più alta rispetto ad altri tipi di proteine di polvere.

Oltre alle proteine (circa 80% del totale), il restante 20% è costituito da grassi e zuccheri (lattosio).

Proteine isolate

Le proteine isolate sono sostanzialmente una sotto-categoria delle precedenti e hanno un maggior grado di purezza: se confrontate con le classiche whey protein, le proteine isolate a parità di peso hanno una percentuale proteica più alta e quella lipidica molto più bassa.

Proteine vegetali per la massa muscolare

Anche se le proteine del siero del latte sono le più famose, per chi segue una dieta vegetariana o vegana queste non sono poi così importanti. L’alterativa ai protidi animali prevede una vasta gamma di proteine in polvere vegetali, come le proteine della soia, dell’avena, del riso, del grano, della canapa, del pisello, ecc.

Queste sono una valida alternativa per chi esclude dalla propria alimentazione i prodotti animali, anche perché la loro minor qualità amminoacidica può essere superata grazie ad un incremento della quantità assunta.

La minor qualità amminoacidica corrisponde, rispetto alle proteine animali, ad un minor potenziale di stimolo alla sintesi proteica muscolare e, quindi, ad una maggior produzione di urea (un prodotto di scarto).

Per la massa muscolare meglio le proteine o la creatina?

Quante proteine assumere per la massa muscolare nel bodybuilding

Sia le proteine che la creatina sono superficialmente considerate come veri fautori della crescita muscolare. Prova a mangiare proteine in abbondanza ad assumere creatina senza allenamento e senza una dieta bilanciata e vedrai che non è così: in questo modo, infatti, la massa magra sicuramente non aumenta.

Entrambe, con funzioni diverse, sono degli ausili alla crescita della massa contrattile:

  • L’importanza e la funzione delle proteine per il muscolo è già stata più che analizzata nel corso dell’articolo;
  • La creatina, assunta nel cronico, garantisce un miglioramento della qualità del volume di allenamento durante sforzi anaerobici lattacidi. Migliora la captazione del glucosio per la formazione del glicogeno muscolare, che a sua volta richiama acqua all’interno del miocita: in questo modo la fibra muscolare aumenta di volume e di peso.

Conclusioni sulle proteine per la massa muscolare

Il tuo organismo ragiona per priorità e mettere massa muscolare non è sicuramente tra le prime. Portare l’organismo in un range di salute ottimale ripagherà con il miglioramento di tutti i processi metabolici. Se il tuo corpo è ingolfato, aumentare le proteine non è la strada corretta.

Il messaggio da portare a casa è che hai tre strade per ottimizzare la sintesi proteica:

  1. Il doping
  2. Mangiare quantità esagerate in modo da aumentare anche l’anabolismo adipocitario
  3. Concentrarti sullo stato di salute del corpo, sui livelli ematici, sullo scambio sodio/potassio, sulla sensibilità insulinica, sull’idratazione e sull’efficienza mitocondriale.

Approfondisci l’argomento dieta, dimagrimento e ricomposizione corporea, con la nostra guida gratuita per cominciare a farti delle solide basi su cui poi approfondire:

Guida alla nutrizione
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Dieta Plank: cos’è e come funziona

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dieta planck fa dimagrire

La dieta plank è una strategia alimentare per dimagrire considerata una dieta lampo, cioè uno di quei protocolli alimentari che permettono di perdere peso in modo piuttosto veloce con la garanzia di mantenere poi nel tempo i risultati raggiunti, anche senza palestra.

Chiaro che diventa subito una dieta molto attraente agli occhi dei più!

Dall’altra faccia della medaglia, è una dieta rigida, che non lascia spazio a variazioni, adattabilità alla persona o che fornisce più esempi di menù, sia per il soggetto sedentario che vuole dimagrire sia per quello che va in palestra e vuole migliorare la sua forma fisica.

Cos’è la dieta plank? Chi l’ha inventata e in cosa consiste?

La dieta Plank è una delle tante diete iperproteiche che dovrebbe garantire una perdita di peso di 10 kg in circa due settimane. I suoi sostenitori le attribuiscono anche la garanzia di permettere il mantenimento della forma fisica raggiunta negli anni successivi.

In America è conosciuta come “dieta Planck” in quanto attribuita al fisico tedesco Marx Planck, sebbene la fondazione Max Planck si sia dissociata completamente. In sintesi, quindi, questa dieta non è stata inventata da Planck e, al momento, è sconosciuta l’identità del suo creatore.

È chiaro che una dieta del genere è attraente un po’ per tutte le persone che vogliono iniziare una dieta e che pretendono risultati immediati.

Ma funziona veramente?

La vera domanda non è se la dieta Plank funziona, ma piuttosto se questo protocollo alimentare permette una buona forma fisica in salute e se, effettivamente, garantisce il mantenimento del peso corporeo ottenuto con il primo periodo votato al dimagrimento.

Come funziona la dieta Plank?

dieta iperproteica

La premessa è che per perdere peso non c’è bisogno di alcun astruso procedimento o miracolosa strategia, basta instaurare un deficit energetico nel tempo. Sostanzialmente, creare una situazione in cui l’assunzione di energia (calorie) è minore della spesa energetica (spesa calorica) settimanale, mensile.

Settimanale e mensile perché il dimagrimento viene valutato sul medio-lungo periodo e non a breve termine. È per questo motivo che qualsiasi figura professionale o strategia alimentare che ti promette una perdita di grasso elevata in pochissimo tempo, ti sta, in parole povere, in qualche modo ingannando.

Infatti, una drastica riduzione del peso non è dovuta primariamente alla perdita di grasso corporeo, ma piuttosto ad una riduzione dei liquidi. Inoltre, una perdita di peso troppo veloce pone un maggior rischio di perdere anche massa muscolare.

Quest’ultima non è importante “solo” dal punto di vista della salute metabolica e dell’estetica, ma ha una certa rilevanza anche come fattore predittivo del recupero o meno del peso perduto in precedenza. Infatti, più riesci a preservare la massa muscolare durante il dimagrimento e più facilmente potrai mantenere quel peso.

Non a caso molte persone che sperimentano sulla loro pelle l’efficacia della dieta Plank asseriscono che effettivamente riescono a perdere peso abbastanza velocemente ma mettono in dubbio l’utilità di questa dieta perché poi in poco tempo riprendono il peso perduto in poco tempo.

Questo accade sia per quanto precedentemente illustrato, sia perché qualsiasi dieta che non pone il focus sull’apprendimento di nuove abitudini alimentari è fallimentare nel medio-lungo periodo.

Regole della dieta Plank

La dieta Plank originale è una strategia alimentare ben definita, che lascia poco spazio alle interpretazioni – nella tabella più avanti trovi il menù ufficiale.

In generale, permette di mangiare solo alimenti ricchi di proteine e poveri di grassi e carboidrati. I pasti principali sono colazione, pranzo e cena, i quali variano per composizione ogni giorno ma che prevedono sempre una fonte proteica e della verdura.

Posso invertire pranzo e cena?

I cibi da consumare a colazione, pranzo e cena sono ben specificati. Solamente la domenica è possibile invertire pranzo e cena: sostanzialmente, il settimo giorno è consentito fare un pasto libero.

Pasto libero e sgarro: cosa mangiare?

Nella sua restrittività, la dieta Plank prevede un pasto libero a settimana, la domenica a cena. Per questo pasto non ci sono alcun tipo di indicazioni, è possibile mangiare qualsiasi cosa preferisci sia per quantità che scelta degli alimenti.

Controindicazioni della dieta plank

dieta plank

Per valutare un regime dietetico bisogna fare una serie di considerazioni.

In primo luogo, è indispensabile che una dieta riesca a soddisfare i fabbisogni di macronutrienti e micronutrienti di chi la segue. Nel caso dei carboidrati c’è poco da criticare perché il corpo è capace di produrre glucosio a partire da altri nutrienti, aminoacidi inclusi. Anche se, una dieta povera o priva di carboidrati non è certamente equilibrata.

Discorso diverso per quanto riguarda i micronutrienti e altri composti che hanno dimostrato di apportare numerosi benefici alla salute. Pensa ad esempio all’assurdo divieto di consumare fibre e verdure: le prime sono indispensabili per il mantenimento di una buona salute del microbiota, mentre le seconde contengono vitamine, micronutrienti e altri composti ad azione antiossidante, antiinfiammatoria, antineoplastica.

La dieta Plank è controindicata per tutti i soggetti che hanno patologie renali o epatiche, in virtù dell’apporto proteico elevato. Inoltre, è controindicata per chi soffre di patologie infiammatorie, perché promuove prevalentemente il consumo di grassi e proteine animali e soprattutto non permette l’introduzione di composti vegetali che potrebbero invece migliorare la situazione.

Inoltre, è controindicata in gravidanza e per i bambini, in virtù del fatto che certamente non è una strategia alimentare equilibrata e che garantisce il soddisfacimento di tutti i fabbisogni (soprattutto di micronutrienti).

Infine, questa dieta è ovviamente controindicata in chi soffre di dislipidemie, diabete e colesterolo alto, perché gli alimenti permessi nella dieta Plank possono essere ricchi di grassi saturi e colesterolo, e di certo possono portare a peggiorare la situazione, soprattutto se non sotto osservazione medica.

Tenendo in considerazione quanto appena affermato, bisogna dire che la dieta Plank non fa male in assoluto e non è pericolosa: il rischio di creare danni è proporzionale alla durata della sua applicazione. Motivo per il quale non è da seguire per mesi o anni, in modo da non creare danni, e non è una dieta equilibrata e quindi da consigliare.

Ogni quanto si può fare?

La dieta Plank non fa male in termini assoluti e non è pericolosa quando protratta per brevi periodi tempo e non certamente in termini di mesi o anni. Questo perché il rischio di creare danni è proporzionale alla durata della sua applicazione: più si protrae più il rischio aumenta in quanto non si tratta di una dieta equilibrata e da consigliare.

Dopo quanto arrivano i risultati?

La dieta Plank permette una grande perdita di peso iniziale, che va da 6 a 9 kg nelle prime due settimane, in base all’aderenza del soggetto alla rigidità della strategia alimentare.

Tuttavia, è importante ricordare che la perdita di peso che si verifica non è dovuta a una rilevante perdita di grasso e sicuramente non è espressione di un dimagrimento equilibrato e salutare, per il quale è necessario più tempo e gradualità.

Quali alimenti posso mangiare nella dieta plank?

La dieta Plank come già visto è una dieta iperproteica e inoltre con un rigido schema alimentare: preferisce gli alimenti proteici, poveri in lipidi e glucidi e questi sono ben specificati. Solo nel caso della frutta non è specificato quale consumare perciò è a libera scelta.

L’unica regola flessibile è rappresentata dalle uova, che possono essere cucinate come preferisci, ma senza olio.

Esempio di dieta plank di 7 giorni

Giorno Colazione Pranzo Cena
Primo Caffè amaro Due uova sode e spinaci Una bistecca grande alla griglia, insalata e sedano
Secondo Caffè nero amaro e un panino Una bistecca, insalata, frutta Prosciutto cotto
Terzo Caffè nero amaro e un panino Due uova sode, insalata e pomodori Prosciutto cotto e insalata
Quarto Caffè nero amaro e un panino Un uovo, carote crude o bollite, formaggio svizzero Frutta a piacere e uno yogurt
Quinto Caffè amaro, limone e carote Pesce al vapore e pomodori Una bistecca con insalata
Sesto Caffè nero amaro e un panino Pollo alla griglia 2 uova sode, carote
Settimo Tè con succo di limone Una bistecca alla griglia, qualsiasi tipo di frutta Tutto quello che desiderate

Dieta Plank e mantenimento

La dieta Plank non prevede alcuna dieta di mantenimento, cioè alcun protocollo alimentare che permetta di mantenere il peso raggiunto in precedenza, nel lungo periodo. Questo è anche il motivo per cui molte persone non si trovano bene con tale dieta: anche se effettivamente sperimentano una soddisfacente perdita di peso nelle prime due settimane di dieta, poi, nel tempo, tendono a riacquistare il peso perduto.

Dieta plank, palestra e bodybuilding

Se cerchi una miglior forma fisica, che ottieni grazie ad allenamento e alimentazione, la dieta Plank non è adatta. Solitamente chi ricerca una miglior composizione corporea vuole ridurre la percentuale di massa grassa, un processo che richiede molto tempo e non sicuramente due settimane come questa strategia alimentare.

Insieme al calo del grasso corporeo, cercare di non perdere e almeno mantenere la massa muscolare è fondamentale: altro aspetto che la dieta Plank, soprattutto se protratta del tempo, potrebbe mettere a rischio. L’alto apporto proteico, infatti, non è una garanzia di mantenimento del muscolo, anche se in periodi ipocalorici avere le proteine in un quantitativo maggiore aiuta a minimizzare questo rischio.

Dieta plank e cellulite

Come tutte le diete, anche quella Plank non è sufficiente per eliminare la cellulite. Già lo slogan “perdi 10 kg in 2 settimane” sembra promettere tanto, se fosse stato “perdi 10 kg e la cellulite per sempre in 2 settimane” sarebbe stato decisamente troppo.

La cellulite, che interessa soprattutto le donne, è dovuta a più fattori (genetica, stile di vita, esercizio fisico) e non è quindi conseguenza esclusiva dell’alimentazione, anche se è sicuramente un fattore che contribuisce a combatterla quando anche gli altri fattori lavorano sinergicamente per ridurla.

Particolarmente in questo caso, cambiare le proprie abitudini alimentari per due settimane seguendo la dieta Plank non può togliere la cellulite, accumulata in mesi e anni.

Conclusioni sulla dieta plank: pro e contro

La Dieta Plank è una cosiddetta dieta lampoche elimina quasi del tutto i carboidrati (che saranno introdotti in minima parte solo mangiando verdura e frutta) e i grassi vegetali. Molte persone la utilizzano per perdere peso in poco tempo ed effettivamente è una strategia alimentare che permette ciò che promette. Il problema principale è che tale “dimagrimento” non perdurerà che per pochi giorni o settimane, dopodiché riacquisterai tutto il peso perduto in precedenza e ritornerai al punto di partenza, se non peggio.

Co-autore: Daniele Esposito, autore di Project Diet

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Metabolismo lento: cosa fare?

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metabolismo lento cosa fare

Basta che annusi il profumo di una torta appena sfornata e subito aumenti di 1 kg, senza neanche mangiarla. Il tuo amico, invece, prende l’aperitivo, si mangia due piatti di pasta e mangia anche tranquillamente il dolce. E continua ad essere magro.

Hai difficoltà nel dimagrire, nonostante gli sforzi fatti con la dieta e gli allenamenti in palestra. Metabolismo lento, sfortuna o c’è qualche altro motivo?

Che cosa significa metabolismo lento?

Incredibilmente nei libri universitari di alimentazione e nutrizione il “metabolismo lento” non esiste. Infatti, nella letteratura scientifica, quando viene misurato il metabolismo basale dei soggetti in sovrappeso, che dichiarano di avere il metabolismo bloccato, in realtà si scopre che ce l’hanno assolutamente normale.

Chi pensa di avere un metabolismo rallentato nel 99% dei casi è solamente una questione psicologica e non fisiologica: non si rende conto di quello che mangia, dimentica cosa assume e quanto, magari fa attenzione a prediligere alimenti sani (giustamente), ma poi si lascia andare con le porzioni (sbagliando).

Al contrario, chi magari mangia di tutto, si trattiene con le quantità (il famoso detto: poco di tutto) ed è una persona attiva.

È il bilancio calorico a fine settimana a decretare se dimagrirai e purtroppo, le calorie non guardano alla qualità degli alimenti – mentre la salute sì invece!

Metabolismo lento: perché si ingrassa?

perchè non dimagrisco

Con metabolismo si intendono tutte le reazioni biochimiche che avvengono nell’organismo, che essenzialmente disassembla macromolecole per crearne di più piccole (catabolismo) o, al contrario, assembla micromolecole per crearne di più grosse (anabolismo). Questi due processi sono garantiti dagli enzimi che catalizzano reazioni chimiche con una specifica velocità a determinate condizioni.

Come una tela di Penelope è un continuo costruire e disfare: solo con il passare del tempo capisci se prevale il trend del catabolismo (e del dimagrimento) o dell’anabolismo (e dell’ingrassamento).

Quando ingrassi vuol dire che fornisci energia in eccesso (mangi troppo o troppo e male) al tuo corpo, che fa la cosa più logica dal suo punto di vista e cioè accumularla nelle riserve. Perché mai dovrebbe sprecare energia se senza non può sopravvivere? Il corpo non sa che vuoi dimagrire o che vuoi mantenere un certo peso, così ad un introito calorico superiore al necessario l’organismo non si tira indietro e prende ciò che gli metti a completa disposizione mangiando.

Esiste realmente il metabolismo lento?

È quanto consumano il nostro organismo per sopravvivere, da sveglio, stando a letto con una temperatura confortevole. La cosa interessante (anche se deprimente) è che gli organi interni pesano solo il 6% del nostro peso, ma hanno un dispendio del 60-70%, al contrario i muscoli pesano il 40% del peso corporeo, ma consumano solo il 18-20%. Insomma chi pensa che aumentando il muscolo aumenterà il metabolismo, sarà deluso. I muscoli aiutano sul quadro metabolico ma non alzano il metabolismo!

Il metabolismo basale incide intorno al 60% sul nostro dispendio totale giornaliero

Cause del metabolismo lento: quando il metabolismo rallenta?

Alla fine calcoli alla mano il metabolismo durante regimi ipocalorici (nel cronico) facilmente può scendere di un 15-25%, il che vuol dire che se il nostro TDEE (fabbisogno calorico giornaliero) era di 2500 kcal arriva a 2125 – 1875 kcal, una bella differenza.

Questo è il motivo per cui le diete falliscono, perchè semplicemente quello che consumavamo prima, nel tempo si riduce e l’ipocalorica diventa la normocalorica. È inutile andare a cercare problemi e motivi ormonali, è tutto molto più semplice.

Il metabolismo lento solitamente viene “auto-diagnosticato” quando sei grasso, pensi di mangiare poco e non riesci a trovare nessun motivo per il quale la bilancia segna sempre un numero troppo alto. Peccato che la verità risiede in un semplice ‘mangiare male e muoverti (troppo) poco’.

Dieta per sbloccare il metabolismo lento

È quanto consumi nel digerire ed assimilare quello che mangiamo. Mediamente intorno al 10% del nostro metabolismo è dato dalla digestione degli alimenti. Quando ci mettiamo a dieta e tagliamo le calorie di un 30-50% inevitabilmente stiamo riducendo il metabolismo di un 3-5%.
A questo si aggiunge, nel tempo, una miglior efficacia degli enzimi (protesi, amilasi, lipasi) deputati alla digestione, il che ci permette di migliorare l’assorbimento dei macronutrienti che introduciamo, assorbendo così più calorie dai cibi

Come velocizzare il metabolismo lento? Come accelerarlo? Cosa fare?

Per prima cosa devi controllare quante calorie assumi. Se stai introducendo troppe poche calorie è meglio smettere di stare a dieta e alzarle gradualmente.

  • Se una donna assume: kg* x 18-20 e non dimagrisce (esempio: 60kg x 18-20=1080-1200kcal)
  • Se un uomo assume: kg* x 20-22 e non dimagrisce (esempio: 80kg x 20-22= 1600-1760kcal)

*  il peso è riferito a soggetti normopeso o in leggero sovrappeso. 

Conviene risalire settimanalmente con le calorie introducendo gradualmente 200 kcal in più ogni settimana. È inutile continuare a stressare ulteriormente l’organismo se si è arrivati ad uno stallo metabolico. Conviene risalire ed in seguito ricreare le condizioni per tagliare (che è l’unico modo per “svegliare il metabolismo”).

Altro punto fondamentale è quello di mangiare si una buona quota di proteine (2-3 g/kg), ma non togliere nel medio-lungo termine i carboidrati. Le scorte di glicogeno epatico, segnalano quanto il corpo deve convertire gli ormoni tiroidei (la desiodasi converte il T4 poco attivo in T3), quindi se c’è un modo per abbassare il metabolismo è quello di non mangiare mai carboidrati.
Chi viene da dieta chetogeniche, impiegherà anche mesi ed anni a ritrovare una buona affinità coi carboidrati ma è un percorso che val la pena di fare.

Infine l’ultimo fattore è l’allenamento. Non c’è modo migliore per bloccare il metabolismo che allenarsi troppo. È inutile andare a correre o in palestra tutti i giorni se poi non si recupera bene. Meglio andare 3-4 volte a settimana e rimanere attivi il resto dei giorni. Per approfondire leggi l’allenamento abbassa il metabolismo.

Qui trovi un articolo più specifico su come accelerare il metabolismo.

Metabolismo lento e attività fisica

metabolismo lento

L’attività fisica è intorno al 20-30% del tuo metabolismo e quando sei a dieta è il fattore che precipita di più. Da una parte fare sport consuma sempre meno, perchè migliori l’economia del gesto, dall’altra a riposo ti muove inconsciamente meno. Alla fine si può anche dimezzare e scendere ancora di più. Per questo quando sei a dieta è importante continuare a muoversi (vedi dimagrire camminando)

Metabolismo lento in menopausa

La donna tra i 46 e i 55 anni (in Italia in media 50-51 anni) va incontro ad un cambiamento ormonale fisiologico che, tra le altre complicanze, incide anche sul metabolismo.

Infatti, a causa dell’abbassamento dei valori ormonali degli estrogeni, corrisponde un aumento della massa grassa e una riduzione della massa magra, in contemporanea ad una redistribuzione del grasso sottocutaneo. Entrambi questi aspetti portano all’aumento della circonferenza della vita, che è correlato al rischio cardiovascolare, indipendentemente dal BMI o dal peso corporeo.

Il grasso a livello viscerale addominale è connesso all’insulino-resistenza: le cellule non rispondono più adeguatamente all’azione dell’insulina e quindi non sono in grado di catturare il glucosio e, quindi, di utilizzarlo a scopi energetici. Il glucosio resta inutilizzato e in eccesso.

Inoltre, per precisione, dato che questo evento coincide circa con i 50 anni, c’è da considerare che, in modo altrettanto fisiologico, il metabolismo da dopo i 20 anni tende gradualmente a calare di un minimo tasso percentuale (1-2%).

L’esercizio fisico (perché sì, anche a 50 anni ci si può allenare, anzi!) giova perché è in grado sia di contrastare sia la perdita di massa muscolare sia di migliorare la sensibilità all’insulina.

Un altro aspetto interessante è correlato ai disturbi durante il sonno, che molto frequentemente la donna in menopausa riscontra: infatti, una restrizione delle ore e della qualità del sonno comporta un aumento degli ormoni della fame (grelina) e un calo di quelli della sazietà (leptina, PYY). Questo nel contesto porta ad un’ulteriore predisposizione all’ingrassamento (perché mangia di più) e ad un peggioramento del profilo metabolico.

Inoltre, la leptina regola gli ormoni tiroidei: meno leptina implica una minor attività di questi ormoni, i quali a cascata, diminuiscono la dispersione in calore a livello mitocondriale.

Quando si cambia metabolismo?

Il metabolismo non ha un momento preciso in cui viene stravolto, ma è piuttosto il risultato di anni di abitudini di vita: così come viene costruito gradualmente e con costanza, allo stesso modo una modifica dello stile di vita può portare ad abbassarlo.

Sei sportivo da quando sei nato, hai sempre mangiato bene e avuto una vita attiva. Adesso hai 50 anni e sei ancora in ottima forma: il minimo abbassamento fisiologico del metabolismo non ha poi avuto così tanto questo impatto dato che hai perseverato (e stai perseverando) con delle buone abitudini che hanno costruito nel tempo un buon metabolismo.

Sei poco attivo da quando sei nato, in sovrappeso e mangi male: sperare che il metabolismo migliori da un giorno all’altro per un’azione divina serve a ben poco. Sono anni che continui a non dimagrire, perché dovrebbe cambiare qualcosa se continui a vivere come hai sempre fatto?

L’unico modo per far sì che le cose cambino è VOLERE un cambiamento (in meglio) e conseguentemente INIZIARE a modificare qualcosa, a piccoli passi.

Metabolismo lento e integratori

Gli unici integratori naturali in grado di aumentare il metabolismo sono gli alcaloidi, prima fra tutti la caffeina, ma anche la teofillina del tè. Tuttavia, l’incremento del metabolismo basale garantito dalla caffeina è minimo, senza poi contare che l’organismo si adatta e quindi il metabolismo scende nuovamente a livelli normali.

La caffeina è comunque utile perché aiuta a sentire di meno la fame (effetto anoressizzante), la fatica e il dolore, ad esempio durante l’allenamento.

Conclusioni sul metabolismo lento

In definitiva, il metabolismo non si alza e non si abbassa. Sono gli errori ripetuti nel tempo che portano a non ottenere i risultati e alla domanda ”perchè non dimagrisco?”. Come sempre il segreto è che non esistono segreti. Non c’è nessuna dieta per accelerare il metabolismo, non ci sono cibi per velocizzarlo. Non è colpa della tiroide, delle ossa grosse o della Luna in corrispondenza di Saturno.

Approfondisci l’argomento dieta, dimagrimento e ricomposizione corporea, con la nostra guida gratuita per cominciare a farti delle solide basi su cui poi approfondire:

Guida alla nutrizione
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Sternocleidomastoideo: anatomia e funzione

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Sternocleidomastoideo

In questo articolo parliamo del muscolo sternocleidomastoideo: qual è la sua anatomia, quali funzioni ha, cosa devi sapere su questo muscolo se ti alleni in palestra e quali sono gli esercizi più utili per allenarlo e mantenerlo in buona salute. Andiamo con ordine e vediamo nel dettaglio questo muscolo.

Che cos’è lo sternocleidomastoideo? Dove si trova?

Lo sternocleidomastoideo è un muscolo del collo che si trova nella parte anteriore e laterale del collo stesso. È ovviamente presente su entrambi i lati.

Anatomia sternocleidomastoideo: origine e inserzione

Anatomia Sternocleidomastoideo

Origina con due capi, uno dallo sterno e l’altro dalla clavicola. Il capo sternale origina dal manubrio dello sterno, quello clavicolare dalla faccia superiore della clavicola. I due capi si uniscono in un solo tendine che si inserisce sul processo mastoideo, cioè sull’osso temporale del cranio.

Muscolo  sternocleidomastoideo Origine Inserzione
Capo sternale Parte alta ed anteriore del manubrio dello sterno Processo mastoideo
Capo clavicolare Quarto mediale e superiore della clavicola Processo mastoideo e linea nucale superiore

Il muscolo sternocleidomastoideo è innervato dal nervo accessorio per la sua azione motoria e dai rami del plesso cervicale che provengono da C2-C4 per la sua componente sensitiva.

Funzione dello sternocleidomastoideo: quale azione svolge?

Lo sternocleidomastoideo ha diverse funzioni.

  • Quando il muscolo si attiva da un solo lato, questo ruota la testa dal lato opposto, la inclina dallo stesso lato e estende il capo.
  • Quando il muscolo si attiva da entrambi i lati flette il collo se il punto fisso è il torace oppure solleva il torace se i punto fisso è la testa. In quest’ultimo caso il muscolo sternocleidomastoideo funziona da muscolo inspiratorio.

Come allenare lo sternocleidomastoideo

Ti alleni in palestra e vuoi saperne di più sul muscolo sternocleidomastoideo?
Innanzitutto cerchiamo di capire insieme quando entra in gioco durante i comuni esercizi che fai in sala. Poi vediamo come allenare questo muscolo.

Il muscolo sternocleidomastoideo, insieme anche ad altri muscoli del collo, entra in azione per tenere ferma la testa e sollevare il torace (stabilizzatore della testa sul collo ed elevatore del torace) mentre esegui gli esercizi per la parte alta del corpo (upper body). Per esempio quando fai panca, military press, spinte coi manubri, trazioni, alzate laterali. In questi casi cerchi di mantenere il petto alto e all’infuori mentre la testa sta ferma: il torace si eleva appunto grazie al contributo di questo muscolo.

Puoi renderti conto anche che questo succede in numerosi altri esercizi in cui fai una inspirazione forzata nella fase preparatoria dell’esercizio…pensa allo squat e allo stacco quando cominci a salire coi carichi. In questi casi di cui abbiamo parlato il muscolo sternocleidomastoideo agisce come muscolo inspiratorio accessorio, cioè va in aiuto ai muscoli respiratori che lavorano già normalmente per aumentare l’effetto desiderato.

Ti puoi facilmente ricordare di questo muscolo anche dopo aver fatto esercizi per gli addominali, primi tra tutti i grandi classici: crunch, sit up, plank prono. Infatti, dopo aver fatto questi esercizi puoi sentire un po’ di indolenzimento al collo a fine allenamento o il giorno dopo.

Nei casi che abbiamo appena visto lo sternocleidomastoideo si attiva contemporaneamente da entrambi i lati. In quali esercizi invece questo muscolo si attiva solo da un lato?
Quando ruotiamo la testa (per dire di no) o quando flettiamo lateralmente il collo a destra ed a sinistra.

Esercizi di rinforzo del sternocleidomastoideo

Veniamo ora alla fatidica domanda. Come alleno nello specifico lo sternocleidomastoideo?

La risposta viene da sé. Lo alleni direttamente insieme agli altri muscoli nei movimenti principali che abbiamo già visto: movimenti di spinta e trazione per la parte alta del corpo e esercizi per gli addominali. Lo alleni indirettamente con movimenti di espansione e sollevamento del torace (funzione respiratoria).

Lo sternocleidomastoideo è un muscolo piccolo e – pensando a chi pratica bodybuilding natural – non ha particolari finalità estetiche. Ecco perché non consiglierei mai ad una persona sana che vuole allenarsi in palestra di fare esercizi specifici di isolamento per questo muscolo con l’idea di migliorare forza, consistenza e volume dello sternocleidomastoideo.

Più interessante e utile è invece pensare ad un allenamento per la salute e il benessere di questo muscolo e più in generale del collo. Mi spiego meglio.

Stretching sternocleidomastoideo

Sternocleidomastoideo stretching

Diverso invece è il discorso per quanto riguarda l’ambito della mobilità e dello stretching. Qui appunto troviamo diversi movimenti ed esercizi in cui il collo si muove verso un lato piuttosto che l’altro grazie all’azione del muscolo sternocleidomastoideo. Movimenti di rotazione e di inclinazione, o veri e propri esercizi di stretching in cui si mantiene la posizione per facilitare l’allungamento.

Ecco, fino a qui abbiamo visto insieme i movimenti e gli esercizi principali in cui agisce il muscolo sternocleidomastoideo.

Esercizi di allungamento dello sternocleidomastoideo

Alcuni esercizi che facciamo in palestra potrebbero lasciare qualche strascico come indolenzimento, rigidità e tensione al collo. Spesso i muscoli del collo si trovano in questa situazione perché aiutano gli altri muscoli nel movimento principale e il loro contributo aumenta quando si alzano i carichi e di conseguenza aumenta l’impegno muscolare. È proprio come dicevamo prima nel caso degli esercizi per gli addominali e l’aiuto che dà lo sternocleidomastoideo. Ecco perché sarebbe utile dedicare un piccolo spazio al nostro collo a inizio e/o a fine allenamento: per migliorare e mantenere la mobilità e per eliminare le tensioni inutili.

Stretching muscolo sternocleidomastoideo

Fai riscaldamento prima di iniziare a spingere?
Fai defaticamento al termine della tua seduta di allenamento e lasci al tuo corpo il tempo di riprendersi?

Questi sono due ottimi momenti per programmare uno o due esercizi per il collo che coinvolgono anche lo sternocleidomastoideo.

In fase di riscaldamento puoi inserire un paio di esercizi di mobilità funzionale. Questo tipo di esercizi sono utili per garantire un buon movimento del collo e prepararlo allo sforzo che seguirà in allenamento. Mi riferisco, per esempio, a movimenti di rotazione e/o inclinazione laterale senza pause e senza tempi di tenuta statica – tipici invece dello stretching. Inclina la testa a destra e a sinistra (meglio farlo non troppo velocemente) cercando di guadagnare ogni volta un po’ più movimento e ripeti 5-10 volte per lato alternando destra e sinistra.

La seconda strategia che mi sento di consigliarti è quella dell’auto- massaggio. Può essere eseguito con le mani oppure con una pallina da tennis stando in piedi appoggiato al muro. Posiziona la palla nella zona alta del collo, a livello della nuca, dove si inserisce lo sternocleidomastoideo.
Massaggia la zona usando il muro come appoggio. Puoi anche procedere col massaggio più in basso verso la base del collo e coinvolgere anche i muscoli trapezi. Questa tecnica, che può rientrare nel massaggio miofasciale, è molto utile per migliorare la circolazione dei muscoli del collo, ridurre quel senso di rigidità che magari ti accompagna dalla mattina ed evitare di portartelo in allenamento. Se ti piacciono entrambe queste proposte in cinque minuti puoi farle tutte e due alternandole come preferisci.

Automassaggio sternocleidomastoideo

In fase di defaticamento sarebbe ottima cosa dedicare ancora qualche minuto di attenzione al tuo collo. Mentre scende l’adrenalina degli alti carichi o del pompaggio estremo, puoi appoggiarti al muro e con la pallina e andare a sciogliere i nodi della fatica che poi scompariranno definitivamente con una bella doccia calda. In questo caso puoi abbinare un vero e proprio stretching, con posizioni statiche in rotazione o inclinazione laterale mantenute per 10-20” e ripetute almeno 3 volte per lato.

Muscolo Sternocleidomastoideo

Sternocleidomastoideo e dolore cervicale

Alcuni esercizi che facciamo in palestra potrebbero lasciare qualche strascico come indolenzimento, rigidità e tensione al collo. Spesso i muscoli del collo si trovano in questa situazione perché aiutano gli altri muscoli nel movimento principale e il loro contributo aumenta quando si alzano i carichi nell’ upper body e di conseguenza aumenta l’impegno muscolare. È proprio come dicevamo prima nel caso degli esercizi per gli addominali.

Una situazione estrema in questo senso è l’aumento eccessivo della rigidità muscolare dello sternocleidomastoideo e degli altri muscoli anteriori del collo che si trovano dietro la clavicola. Questo aumento marcato della rigidità si può accompagnare alla compressione dei nervi che dal collo arrivano al muscolo. Le fibre nervose che attraversano quella zona non riescono più a scorrere come dovrebbero per assecondare i movimenti ma rimangono intrappolate e schiacciate nel ventre dei muscoli coinvolti. Spesso lo avvertiamo come pizzicore a livello di clavicola e sternocleidomastoideo, pesantezza al braccio e alla spalla.

Altro caso che possiamo considerare è il mal di testa cervicale. Anche questo ha origine per aumento della rigidità muscolare in seguito a serraggio estremo del morso e al coinvolgimento massiccio della muscolatura cervicale durante lo sforzo in abbinata a un aumento del carico in seduta o all’esecuzione di un massimale.

Ci sono poi situazioni diverse in cui il dolore che avverti sul collo è di tipo riflesso. Sì, è vero, avverti un dolore superficiale proprio in corrispondenza del ventre muscolare dello sternocleidomastoideo. Questo stimolo però non proviene direttamente dal muscolo, ma dipende dalla zona tra le vertebre del collo. A livello di C2-C4, escono le fibre nervose che passano attraverso le vertebre cervicali e poi si dirigono al muscolo per fornire sensibilità al muscolo stesso. Si dice che il muscolo rappresenta il MIOMERO di quelle radici nervose cioè la zona muscolare dove si va a riflettere il messaggio del nervo. Quando c’è un’ ernia cervicale con infiammazione diffusa della zona, il nervo mantiene intatta la sua funzione ma trasmette il dolore a distanza verso il muscolo. Per fortuna l’allenamento in palestra non è causa frequente di ernie cervicali.

Conclusioni sullo sternocleidomastoideo

Concludendo, lo sternocleidomastoideo è un importante muscolo del collo che consente di muovere la testa in diverse direzioni. Non devi dedicare a questo muscolo un allenamento specifico in palestra perché già lo alleni in tanti esercizi per la parte alta del corpo e non solo.

È utile dedicare un po’ di tempo al tuo collo e pensare al suo benessere anche in funzione dell’allenamento. Puoi inserire alcuni esercizi di mobilità, stretching e automassaggio che coinvolgono non solo lo sternocleidomastoideo ma tutti i muscoli del collo per ridurre rigidità e tensioni e raggiungere un livello di performance migliore.

Come sempre: allenati! Alla prossima.

Note sull’autore

Dott. Giuseppe Molinari
Laureato in Scienze Motorie (indirizzo preventivo e adattato) e in Fisioterapia.
Titolare dello Studio Physiotrainer a Piacenza.
Specializzato in allenamento posturale e ricondizionamento per il mal di schiena e allenamento clinico per la popolazione speciale.
Appassionato di running, arrampicata e sport outdoor. Spartan racer neofita.

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Ogni quanto mangiare per dimagrire?

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Frequenza dei past

Uno dei più famosi falsi miti nel mondo della nutrizione riguarda la frequenza dei pasti (meal frequency), con la convinzione che ci sia un certo vantaggio (aumento del metabolismo) nel mangiare più volte al giorno, con pasti piccoli e frequenti rispetto all’assumere le stesse calorie in pochi pasti ma più abbondanti.

Potresti dimagrire, incrementare il metabolismo, aumentare il fabbisogno calorico giornaliero, ridurre la fame e controllare l’appetito, avere più energia per l’allenamento in palestra!

Non saltare la colazione, fare 3 pasti giornalieri, 8 spuntini al giorno, mangiare ogni 2 ore, … Ogni quanto mangiare?!

O non ha senso prestare troppa attenzione al numero e alla frequenza dei pasti?

Mangiare poco o spesso attiva il metabolismo?

Frequenza dei pasti

C’è l’idea che aumentare il numero dei pasti porti ad incrementare il metabolismo ed incentivare così la perdita di massa grassa.

C’è l’idea che stare troppe ore senza consumare un pasto causi un rallentamento del metabolismo e una condizione metabolica (starvation mode) che conduce al blocco della perdita di peso. Un’idea del tutto infondata: infatti, anche chi pratica il digiuno intermittente e sta molte ore senza mangiare dimagrisce.

In realtà pochi studi nel passato avevano appoggiato queste teorie. Uno di questi è stato condotto sugli animali e ha dimostrato che i cani che mangiavano 4 pasti al giorno presentavano una risposta termogenica maggiore rispetto ai cani che consumavano un solo pasto giornaliero. In un altro studio, lo stesso gruppo di ricercatori ha dimostrato lo stesso effetto sugli uomini, giustificandolo tramite la maggior attivazione del sistema nervoso simpatico. Numerosi altri studi non hanno invece trovato differenze significative.

Il fatto che negli animali si siano riscontrati certi risultati non dovrebbe però stupire: soprattutto quelli più piccoli, hanno una durata di vita media molto inferiore rispetto agli uomini e stare già alcune ore senza mangiare potrebbe equivalere ad una intera giornata e più di digiuno per l’uomo.

Gli aumenti della termogenesi dovuti alla frequenza dei pasti sono spesso correlati al TEF (termic effect of food) o effetto termico indotto dal cibo (chiamata anche DIT da dietary induced thermogenesis). Il TEF rappresenta una piccola parte dell’energia consumata dal corpo durante la giornata. Per l’esattezza si tratta della quantità di energia consumata dopo un pasto. Essa rappresenta in pratica la quantità di energia che viene utilizzata dal corpo per digerire ed assorbire i macronutrienti.

Il TEF differisce a seconda del tipo di macronutriente digerito: il consumo di energia per la digestione dei carboidrati è pari infatti al 5-10%, quello delle proteine arriva fino al 20-30% circa mentre per i grassi si aggira intorno allo 0-3%. In generale l’effetto termico indotto dal cibo con un pasto misto si stima abbia un valore pari al 10% circa del metabolismo: ogni volta che consumi un pasto viene bruciato il 10% circa delle calorie contenute al suo interno.

In una meta-analisi condotta da Bellisle nel 1997, non era stata però trovata alcuna correlazione tra la frequenza dei pasti e l’aumento della spesa energetica del corpo. Questa risulta essere uguale indistintamente dal numero dei pasti che si sceglie di consumare durante la giornata.

Infatti, più ricco è il pasto maggiore è anche il TEF.

Per fare un esempio pratico, quando con una dieta di 1800 kcal consumi sei pasti al giorno di 300 kcal ciascuno il valore del TEF per ogni pasto è pari a 30 mentre il TEF totale durante la giornata avrà un valore pari a 180. Se consumi la stessa quantità di calorie però in tre pasti da 600 kcal ciascuno in questo caso il TEF per ogni pasto sarà di 60 mentre quello totale sarà sempre di 180.

Ha senso mangiare ogni ora, ogni 2 o ogni 3 per dimagrire?

E’ stato più volte ipotizzato che l’aumento della frequenza dei pasti possa essere direttamente collegato con la perdita della massa grassa e che possa anche favorire il mantenimento della massa muscolare (ideale quindi nelle diete per dimagrire). Esistono infatti diversi studi osservazionali che indicano una correlazione inversa tra frequenza dei pasti e la percentuale di tessuto adiposo.

Uno dei pochi casi in cui la frequenza dei pasti può risultare rilevante è quando la quantità di proteine consumate durante la giornata è insufficiente. In questo caso dividere le proteine in più pasti sembra permettere di risparmiare più massa magra.

Nella prima meta-analisi in assoluto condotta sulla correlazione tra frequenza dei pasti e composizione corporea era emerso in una prima battuta un piccolo vantaggio nel consumare più pasti al giorno. Fatta eccezione per alcuni studi che comunque presentavano limitazioni, è emerso invece che non sembra esserci alcuna differenza tra chi consuma più o meno pasti al giorno.

Da tener conto però che la meta-analisi ha raccolto una serie di studi esclusivamente su soggetti sedentari. È stato diverse volte ipotizzato – anche attraverso alcuni riferimenti scientifici – che dopo un allenamento i muscoli sono più recettivi al consumo di proteine mostrando quindi un possibile maggior vantaggio nell’aumentare la frequenza dei pasti nell’incremento della massa muscolare nelle 24 ore successive l’allenamento.

  • Fare più pasti ravvicinati tra loro (ogni 1, 2, 3 ore) non aumenta il metabolismo e quindi non fa dimagrire di più: a meno che questo non ti aiuti, in regime ipocalorico, a mantenere più aderenza alla dieta.

Ogni quante ore mi conviene mangiare?

La frequenza migliore, da mantenere nel corso della settimana, è quella che riesci a seguire a seconda del tuo stile di vita e delle tue abitudini. La mattina devi correre a lavoro e non hai tempo o voglia di prepararti la colazione? Non farla. Hai invece tempo a disposizione e ti piace cucinarti un pancake o fare colazione in tranquillità a casa? Fai colazione.

E vale lo stesso per gli altri pasti: ognuno ha i suoi tempi, i suoi impegni e preferisce mangiare poche volte e con pasti consistenti o fare numerosi piccoli spuntini durante la giornata.

L’importante non è quante volte mangi, ma quanto e come mangi nel lungo periodo!

Ogni quanto mangiare per la palestra e il bodybuilding?

Per quanto detto finora la frequenza dei pasti non ha alcuna importanza dal punto di vista di modificazioni a carico della composizione corporea. Questo perché negli studi sono state considerate persone sedentarie.

Per chi fa palestra o bodybuilding è consigliato consumare circa 3-4 pasti al giorno per massimizzare i guadagni ipertrofici soprattutto con pasti proteici (almeno 20 g di proteine a pasto). Gli effetti anabolici di un pasto durano infatti circa 6 ore e sono dovuti soprattutto all’effetto dell’aminoacido leucina, fattore importante da considerare se stai seguendo una dieta per la massa.

20-30 g di proteine contengono circa 2-3 g di leucina che è stato dimostrato essere la quota ottimale per massimizzare la sintesi proteica, eccetto in soggetti anziani dove la soglia aumenta fino a 35-40 g di proteine (3-4 g di leucina).

Saltare la colazione fa ingrassare?

frequenza pasti importante

Uno dei consigli cardine di quasi ogni dieta e delle varie linee guida nutrizionali è di non saltare mai la colazione perché considerato da molto tempo il pasto più importante della giornata.

Questo perché diversi studi osservazionali mostrano una certa correlazione tra il consumo di un pasto al mattino, la perdita di peso e il miglioramento della composizione corporea. Questo perché la colazione potrebbe avere effetti positivi nel migliorare il controllo della fame durante il corso della giornata, avere più energie a disposizione e fornire un quadro metabolico migliore.

Però gli studi osservazionali non implicano la presenza di una relazione causa-effetto. Molti di questi non tengono conto del fatto che le persone che tendono a fare una colazione ricca e sostanziosa sono anche quelle più meticolose nel controllare il proprio apporto calorico. Pare infatti che queste siano più abituate a consumare frutta, verdura ed alimenti ricchi di fibre.

Le persone che saltano la colazione solitamente tendono spesso a mangiare di più e/o male e di conseguenza ad ingrassare.

  • In conclusione, non sembra esistere una posizione univoca riguardo all’importanza della colazione e la scelta sul farla o meno può basarsi sulla preferenza personale e sulle tue abitudini alimentari e non. E’ sempre l’introito calorico giornaliero/settimanale a far da padrone.

Infrequenza e frequenza dei pasti

Non sembra esserci differenza nella scelta del numero dei pasti giornalieri, mentre cosa succede se c’è una certa infrequenza nel corso della settimana?

Questa può portare a squilibri metabolici, soprattutto a livello glucidico e lipidico. Inoltre, in alcuni studi su donne è emerso che l’infrequenza comporta un peggioramento della sensibilità insulinica  con un incremento dell’insulino resistenza e una riduzione dell’effetto termico del cibo (TEF), con tutti gli effetti negativi sulla composizione corporea e sul quadro metabolico che ne conseguono (aumento del colesterolo totale e LDL in particolare).

Al di là della scelta del numero dei pasti che risulta quasi del tutto ininfluente ai fini dei nostri risultati, è preferibile e raccomandabile quindi mantenere costantemente più o meno lo stesso numero dei pasti durante il corso della settimana per evitare possibili effetti negativi sulla salute.

Fame e sazietà

Alcuni studi hanno mostrato che quando le stesse quantità di calorie vengono consumate in piccoli pasti durante il corso della giornata si riesce ad avere un maggior controllo dell’appetito correlando tale risultato probabilmente ad una attenuazione della risposta all’insulina.

Altri studi invece hanno mostrato proprio l’esatto contrario, rivelando che l’aumento della frequenza dei pasti potrebbe causare un aumento della fame e del desiderio di mangiare.

Proprio per il fatto che le posizioni non sono univoche e non esiste una soluzione che vada bene per tutti, è consigliato semplicemente mangiare quando hai fame in base anche alle tue necessità e allo stile di vita.

Se hai problemi a controllare l’appetito puoi comunque ricorrere all’ormai noto “digiuno intermittente”, che è uno strumento utile per riuscire a distinguere la fame limbica o appetito da quella somatica (quella vera).

Conclusioni sulla frequenza dei pasti giornalieri

In realtà non esiste una frequenza migliore; o meglio, la frequenza migliore è quella che si inserisce meglio nelle tue abitudini alimentari. Se per impegni lavorativi o di studio ti trovi più a tuo agio a fare solo 2 pasti o invece preferisci farne 5 o 6, sappi che sostanzialmente dal punto di vista del dimagramento o ingrassamento non cambia nulla.

Non ti resta quindi che scegliere e trovare la frequenza migliore che più si adatta a te, ricordandoti comunque che sono sempre le quantità di calorie e la ripartizione di macro e micronutrienti ad avere la priorità.

Co-autore: Ivan Pitrulli

Classe ‘92 laureato in scienze delle attività motorie e sportive presso l’università di Palermo, ha sviluppato durante gli studi la passione verso la letteratura scientifica attraverso la quale cerca di combattere i falsi miti che girano nelle palestre su allenamento e nutrizione.                                            ivan.pitrulli@gmail.com

1) Leidy et al 2011 – The effect of eating frequency on appetite control and food intake: brief synopsis of controlled feeding studies.

2) Fabry et al 1964 – The frequency of meals: its relation to overweight, hypercholesterolaemia, and decreased glucose tolerance

3) Fabry et al 1966 – Effect of meal frequency in school children: changes in weight-height proportion and skinfold thickness

4) Hejda et al 1964 – Frequency of food intake in relation to some parameters of the nutritional status.

5) Dubois et al 2009 – Breakfast skipping is associated with differences in meal patterns, macronutrient intakes and overweight among pre-school children

6) Deshmukh-taskar et al 2010 – The relationship of breakfast skipping and type of breakfast consumption with nutrient intake and weight status in children and adolescents: the National Health and Nutrition Examination Survey 1999-2006.

7) Giovannini et al 2010 – Symposium overview: Do we all eat breakfast and is it important?

8) Rampersaud et al 2005 – Breakfast habits, nutritional status, body weight, and academic performance in children and adolescents.

9) Dhurandhar et al 2014 – The effectiveness of breakfast recommendations on weight loss: a randomized controlled trial.

10) Piccini 2015 – La dieta più antica del mondo

11) Bellisle et al 1997 – Meal frequency and energy balance.

12) LeBlance et al 1986 – Effect of meal size and frequency on postprandial thermogenesis in dogs.

13) LeBlance et al 1993 – Components of postprandial thermogenesis in relation to meal frequency in humans.

14) McCrory et al 2011 – Eating Frequency and Energy Regulation in Free-Living Adults Consuming Self-Selected Diets

15) Palmer et al 2009 – Association between eating frequency, weight, and health

 

16) Cameron et al 2010 – Increased meal frequency does not promote greater weight loss in subjects who were prescribed an 8-week equi- energetic energy-restricted diet.

17) Westerterp et al 2004 – Diet induced thermogenesis

18) http://www.lookgreatnaked.com/blog/are-frequent-meals-beneficial-for-body- composition/

19) Iwao et al 1996 et al – Effects of meal frequency on body composition during weight control in boxers.

20) McDonald Lyle 2007 – Protein Book

21) Benardot et al 2005 – Between-meal energy intake effects on body composition, performance, and total caloric consumption in athletes

22) Arciero et al 2013 – Increased protein intake and meal frequency reduces abdominal fat during energy balance and energy deficit.

23) Stote et al 2009 – A controlled trial of reduced meal frequency without caloric restriction in healthy, normal-weight, middle-aged adults.

24) http://www.vivereinforma.it/alimentazione/item/la-frequenza-ottimale-dei-pasti

25) Schoenfeld et al 2015 – Effects of meal frequency on weight loss and body composition: a meta-analysis.

26) Layman 2004 – Protein quantity and quality at levels above the RDA improves adult weight loss.

27) Schouler & Aragon 2015 – Lean muscle diet

28) Farshchi et al 2004 – Regular meal frequency creates more appropriate insulin sensitivity and lipid profiles compared with irregular meal frequency in healthy lean women.

29) Farshchi et al 2004 – Decreased thermic effect of food after an irregular compared with a regular meal pattern in healthy lean women.

30) Speechly et al 1999 – Greater appetite control associated with an increased frequency of eating in lean males.

31) Smeets et al 2008 – Acute effects on metabolism and appetite profile of one meal difference in the lower range of meal frequency.

32) Ohkawara et al 2013 – Effects of Increased Meal Frequency on Fat Oxidation and Perceived Hunger

33) Munsters et al 2012 – Effects of meal frequency on metabolic profiles and substrate partitioning in lean healthy males.

35) http://www.bodyrecomposition.com/muscle-gain/meal-frequency-and-mass-gains.html/

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Amido resistente: che cos’è e benefici

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Perché la pasta ha un indice glicemico differente dal pane se sono entrambi costituiti da farina di grano (amido)? E perché la banana (frutto amidaceo) se acerba ha un certo indice glicemico mentre se matura questo diventa più alto?

Le risposte a queste ed altre domande riguardano l’amido resistente, vediamo di conoscerlo!

Amido resistente: che cos’è?

amido resistente banana

L’amido è un polisaccaride, cioè una molecola formata da più unità di glucosio legate tra loro. Questo carboidrato complesso è alla base dell’alimentazione e viene raccomandato a discapito degli zuccheri semplici. Tuttavia, nell’organismo possono penetrare solo sostanze semplici (glucosio, fruttosio, galattosio).

Quindi, tutti gli alimenti amidacei devono prima essere scissi in glucosio per poter essere assorbiti ed entrare nel circolo ematico.

L’amido resistente è una frazione dell’amido, che ha la peculiare caratteristica, come specifica il nome, di resistere a questo processo di scissione e viene fermentato a livello dell’intestino crasso, la porzione terminale del tratto gastro-intestinale dove risiede la flora batterica (microbiota).

Quante calorie contiene

I carboidrati in media contengono 4 kcal/grammo, quindi potenzialmente questo vale anche per l’amido resistente. “Potenzialmente” perché effettivamente possiede questo potere energetico, ma l’organismo non è in grado di ricavarle e sfruttarle energeticamente proprio perché l’amido resistente non viene digerito e assimilato.

Aristotele direbbe che l’amido resistente ha calorie in potenza.

Proprietà

L’amido, assimilabile o resistente, è costituito da due differenti polimeri di glucosio: amilosio e amilopectina. Il primo ha una forma chimica lineare poco attaccabile dagli enzimi digestivi, mentre il secondo è molto più digeribile.

I farinacei sono costituti da entrambi, ma a seconda di quale prevale, l’indice glicemico risulta più o meno alto: ecco spiegata la differenza tra il pane (ricco di amilopectina) e la pasta (più ricca di amilosio).

L’amilopectina ha una struttura ramificata, mentre l’amilosio possiede una struttura più lineare. Entrambi sono la conseguenza dell’unione di più monomeri di α-D-glucosio.

A cosa serve l’amido resistente? Che funzioni svolge?

gallette di riso amido resistente

L’amido resistente è considerato una fibra solubile allo stesso modo di altri oligosaccaridi come le pectine, le gomme, le mucillagini. In termini di utilità per l’organismo umano, questo particolare glucide svolge più funzioni, tutte garantite dalla sua struttura: in biologia vale sempre la regola che la struttura chimica della molecola determina la sua funzione.

In questo caso, quindi, la molecola dell’amido resistente ha la caratteristica di non poter essere attaccata dagli enzimi che normalmente rompono i carboidrati. Questo da subito fa sì che il bolo alimentare sia più viscoso, mentre a livello intestinale viene sfruttato dai batteri simbiotici per dare complessivamente benefici, illustrati successivamente, all’organismo.

4 tipi di amido resistente

L’amido può essere classificato in assimilabile e amido resistente. Il primo è facilmente digeribile ed assimilabile, il secondo invece resiste all’azione degli enzimi digestivi.

In biochimica, l’amido resistente viene suddiviso in 4 sottotipi.

RS1 (amido resistente fisicamente incluso)

È contenuto nei cereali e nei legumi cotti ma non completamente masticati. Gli enzimi non riescono a digerirlo completamente e raggiunge il colon intatto dove viene poi scomposto dai batteri producendo fermentazione.

RS2 (amido resistente granulare nativo)

Necessita di cottura per essere digerito ed assimilato. Alcuni alimenti sono i cereali, tuberi, castagne, banane acerbe.

RS3 (amido resistente retrogradato)

Una volta cotto tende a tornare alla sua forma originale: solo una piccola percentuale riesce a retrogradarsi, mediamente il 10%. Motivo per il quale, la pasta o il riso freddi hanno “meno calorie” di quando consumati appena cotti.

Alimenti tipici sono il riso freddo, le gallette di cereali, il riso del sushi e tutti i prodotti da forno a temperatura ambiente.

RS4 (amido resistente chimicamente trasformato)

È un amido profondamente alterato da processi chimico-strutturali.

Dove si trova l’amido resistente? In quali cibi?

amido e cottura

Ecco una lista di alimenti contenenti amido resistente:

  • Amido di patate (più viene cotto e più si riduce)
  • Patate bianche (più vengono cotte e più si riduce, fino a 5g ogni 100g)
  • Legumi (fagioli, lenticchie, ceci)
  • Riso basmati
  • Riso (bianco ed integrale)
  • Frumento
  • Mais
  • Banana (più è acerba e più ne contiene)

Il riso basmati che compri al supermercato è raffinato, ma viene considerato un riso integrale perché l’alto quantitativo di amilosio (una componente dell’amido) ne conferisce caratteristiche chimiche simili al riso integrale (vedi: cereali integrali e raffinati).

Alimenti naturali contenenti amido resistente, ma che puoi mangiare da crudi, sono molto ricercati nella dieta paleo.  I frutti amidacei cambiano il loro tipo di amido da resistente ad assimilabile con la maturazione e per questo motivo si modifica anche il loro indice glicemico, come ad esempio la banana: quando è acerba (verde) ha molto più amido non utilizzabile rispetto a quando è matura.

La cottura aumenta l’indice glicemico (IG) perché porta alla gelatinizzazione dell’amido rendendolo più facilmente assimilabile. Al contrario, il raffreddamento lo riporta alla cristallizzazione: fenomeno che lo conduce verso l’amido resistente.

Mediamente i farinacei che compri mantengono un 10% di amido resistente anche dopo la cottura. Questa percentuale può variare a seconda della durata del tempo di cottura: la pasta al dente (o fredda) ha meno calorie della pasta ben cotta perché una porzione maggiore di amido rimane non assimilabile.

La stessa cosa succede per il pane secco.

Benefici dell’amido resistente

L’amido resistente apporta diversi benefici all’organismo, sia a livello del sistema digerente, sia a livello sistemico, cioè di tutto l’organismo. Ragione per cui, viene considerato a tutti gli effetti una fibra alimentare solubile.

Digestione

Il beneficio diretto che trai dal consumare l’amido resistente lo riscontri nella digestione del pasto. Infatti, la macromolecola aumenta la viscosità del bolo alimentare e rallenta i tempi di svuotamento gastrico. Questo secondo punto è importante perché implica un maggior tempo di contatto tra il cibo ingerito e il sistema digerente, che si traduce in un miglior assorbimento dei nutrienti.

Inoltre, un grande beneficio è il permettere un abbassamento del contenuto di glucosio e colesterolo degli alimenti: l’amido resistente chela (“nasconde” all’organismo) queste molecole, che non vengono digerite.

Azione prebiotica

La flora batterica intestinale negli ultimi anni riscuote sempre più interesse perché implicata nella salute dell’uomo. I prebiotici, come l’amido resistente, sono così coinvolti in quanto molecole in grado di favorire la crescita dei batteri, utili all’organismo.

L’amido resistente è classificato come prebiotico (che è diverso da probiotico) perché è una molecola organica che non viene digerita e che raggiunge il colon. Qui, viene metabolizzato dai microrganismi presenti tramite fermentazione, che porta alla formazione di acidi grassi a catena corta.

Sensibilità insulinica

L’amido resistente è correlato ad una maggior sensibilità insulinica ed una minor resistenza all’insulina. Questo potrebbe essere semplicemente la conseguenza dell’assumere fibra: le fibre danno sazietà, anche inconsciamente mangi di meno e quindi migliori i parametri metabolici.

In ogni caso, una dieta ricca di amido resistente e di fibre alimentari, ti aiuta a dimagrire e migliorare la risposta glicemica.

Ricorda comunque che non sono i singoli alimenti a far dimagrire o ingrassare ma l’alimentazione nel suo insieme. È il bilancio tra le entrate e le uscite, in periodi di tempo medio-lunghi a decretare la perdita o l’acquisto del grasso corporeo, quindi occhio alle quantità e non solo alla qualità degli alimenti.

Controindicazioni ed effetti collaterali: fa male?

carboidrati ed amido

In quanto fibra alimentare, l’amido resistente può sia migliorare la salute dell’intestino, ma anche peggiorarlo quando ci sono problematiche come il colon irritabile o l’intestino infiammato.

Ad esempio, proprio a causa della fermentazione indotta come tutte le altre fibre, potrebbe provocare gonfiore e fastidio a livello addominale.

Quando le pareti dei villi sono alterate, la microflora intestinale è molto suscettibile e spesso è soggetta a disbiosi fermentativa (che peggiora con l’assunzione di fibre alimentari) o ad altre disbiosi come quella putrefattiva (in questo caso le fibre migliorano la sintomatologia).

L’utilizzo dell’amido resistente deve quindi essere ben ponderato perché, come tutto, non fa bene o fa male in termini assoluti: potrebbe sia dare effetti collaterali che apportare benefici.

Quindi, se soffri di problematiche intestinali, conviene parlare col proprio medico o con un professionista sanitario indicato dalla legge italiana.

Amido resistente in polvere

A livello nutrizionale, per migliorare il microbiota intestinale ed aumentare il senso di sazietà si consiglia di utilizzare l’amido resistente in polvere sotto forma di fecola di patate o di farina di banana. L’aggiunta agli alimenti di questo “integratore” sembrerebbe poter migliorare l’aderenza al piano dietetico, portando a ridurre il contenuto calorico del pasto.

Ovviamente non bisogna esagerare ricordandosi che un eccesso di amido resistente o di fibre può peggiorare le sintomatologie legate all’apparato digerente

Conclusioni sull’amido resistente

L’amido resistente è naturalmente presente in molti alimenti che probabilmente consumi. A meno che di condizioni non fisiologiche dell’organismo o assunzione di quantità esagerate di questo particolare carboidrato, l’amido resistente apporta molti benefici, così come le altre fibre solubili.

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Thor Björnsson quanto è forte?

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Thor Björnsson

Qualche settimana fa Thor Björnsson, quello nella foto qua sopra, ha sfondato il muro della mezza tonnellata sollevata nello stacco da terra, con un record assoluto di 501 kg, scavalcando il precedente di Eddie Hall che aveva 500 kg.

Nessun uomo sul pianeta ha mai sollevato da terra e si è messo in piedi con più di questo carico e l’evento ha avuto risonanza oltre i confini della nicchia degli appassionati, diventando un piccolo fenomeno mediatico per qualche giorno.

Thor è uno atleta strongman, e lo strongman negli ultimi anni ha avuto una incredibile diffusione, ampliando notevolmente il suo bacino di utenza. Personalmente, adoro lo strongman che si compone di prove stimolanti come il tyre flip, le atlas stones, la farmer walk, il yoke, l’apollon axel e anche lo stacco da terra. Prove anche nettamente differenti tra di loro per quello che riguardano gli schemi motori, la tipologia di sistemi energetici utilizzata dal corpo e anche sotto il profilo tecnico delle singole prove.

Lo strongman di pari passo con la sua diffusione ha sdoganato le fascette nello stacco, se si vuole.

Nel 2005 se facevi la presa mista eri considerato un viscido baro, non come i veri uomini che facevano la doppia prona o la presa ad uncino, da veri veri veri verissimi uomini.

Nel 2010 se usavi le fascette nello stacco eri considerato un debole, uno con le manine delicate piccinino lui che senza fascette non ce la faceva. Oggi se Thor usa le fascette… allora le fascette sono da veri uomini. In questo caso si aggiunge all’essere un vero uomo anche il voler preservare la salute, dato che con le fascette non hai squilibri perché sei simmetrico bla bla bla, come se a girare una manina ti si torcesse la colonna vertebrale 3 volte, che lo stacco si fa da oltre 100 anni e di gente avvolta a spirale non se ne è vista poi tanta…

Ok, diciamo che è un bene che lo strongman amplii la sua base di praticanti perché questo lo fa evolvere e l’evoluzione è sempre positiva.

Nello stacco, ad esempio, anni fa si vedevano, mi perdonino gli amici strongmen, delle esecuzioni oggettivamente raccapriccianti con strattonate ai limiti del delirio, perché il regolamento lo permette (così come permette le fascette e corpetti, questo è semplicemente il regolamento del loro sport!). Ma i nuovi strongmen non fanno più così, la loro tecnica è molto più simile ad un classico stacco da terra regular senza infilate e strattoni, con una dinamica molto più lineare, sebbene in situazioni limite siano sempre presenti queste dinamiche, ma se vogliamo in una versione “standardizzata” e con dinamiche molto meno stressanti per gli atleti.

Nella selezione naturale di ciò che funziona e ciò che non funziona, evidentemente, le vecchie dinamiche sono state abbandonate indipendentemente dalla possibilità di applicarle in favore di una maggiore performance e risultato agonistico… sì, rimane una infilata ma funzionale alla chiusura.

Ma ogni ampliamento del bacino dei praticanti aumenta anche il numero degli esperti denoartri e l’italiota medio che spazia dalla virologia agli assetti geopolitici non può esimersi da essere un provetto tecnico dello strongman e del powerlifting insieme e spesso si leggono posizioni assurde della serie: “eh, ma Thor (che pesa 205 kg su 206 cm di altezza) in fondo ha sollevato poco meno di 2,5 volte il suo peso corporeo” per poi aggiungere, che so… “AndreJ Komaski dalla steppa con furore o Cirin Cian Pai sotto la grande muraglia hanno fatto…” perché c’è sempre un russo, un cinese, un coreano, un tizio a millemila miliardi di km che ha fatto di più, se non tirare fuori coefficienti wilks o IPF points per una smerdata ancora più scientifica; che poi se andassimo ad analizzare veramente i numeri non sarebbe così, anche contestualizzando un atleta che esprime la sua massima prestazione agonistica su tutte le prove dello sport che pratica e non su una singola specialità.

Tutto nella norma, cioè.

Mai capito questo modo di voler sputtanare gli altri, cioè lo capirei se uno dicesse “io sono più forte di lui in proporzione”, ci sta… allora mi si passi che un confronto equo con un soggetto che so di 80 kg di peso corporeo lo vedrebbe forte quanto Thor se sollevasse, mi sembra, 360 kg. Ma dato che nessuno di chi critica ce li ha questi kg, di che cazzo parlano questi? La vedo come un complesso di inferiorità latente, in alcuni sfocia nel solito SUV fallocompensativo, in altri nel desiderio irrefrenabile di criticare chiunque.

Bene, ma non è di questo che voglio parlare e su cui verte questo articolo, anche se servirebbe più una analisi sociale che una fisica.

Ritornando alla questione iniziale: Quanto è forte Thor.

Nella foto di apertura vedete il bilanciere quanto flette?

 

Thor afferra il bilanciere

Thor stacca il bilanciere

Qua invece è ancora più evidente perché il bilanciere è un tipo speciale, è una elephant bar che viene usata in ambito strongman all’Arnold Strongman Classic Ohio, un bilanciere più lungo del normale per poter mettere più dischi. Una modalità provata direttamente da Thor in competizione con pari carico rispetto al record menzionato sopra; però con esito negativo fallendo l’alzata.

Infatti un bilanciere perfettamente rigido che viene tirato via dal suolo o è a terra perché la forza di trazione è minore della forza peso, oppure è sollevato dal suolo perché si distacca tutto insieme.

Una elephant bar non ha questo comportamento, cioè si flette ai lati e i dischi interni si sollevano prima di quelli esterni.

Alla luce di questa considerazione che viene tirata continuamente in ballo, il tormentone è: la elephant bar aiuta il sollevatore? E di quanto? Thor quanto è stato avvantaggiato in questo tentativo? E quanto lo è stato rispetto al sollevamento da 501kg che gli è valso il record?

In questo mi vengono in aiuto due miei carissimi amici, Lorenzo Geri e Augusto Pedron. Lorenzo è il responsabile tecnico della Federazione Italiana Strongman e preparatore specializzato in questa disciplina mentre Augusto oltre che istruttore di Strongman è un ingegnere civile specializzato nel calcolo strutturale (edifici, ponti ecc): ecco pertanto le risposte alle domande che tutti gli appassionati di strongman si fanno.

Lascio ad Augusto la parola.

La flessione del bilanciere

Un oggetto sottoposto a delle forze si deforma, non fanno eccezione i bilancieri che tutti noi usiamo in palestra. Come si può vedere delle immagini, in uno stacco da terra la flessione del bilanciere inizialmente sta a terra, poi man mano che saliamo il carico passa progressivamente alle mani fino che a un certo punto si stacca dal terreno ed è tutto nostro.

Il bilanciere quando è poggiato sul terreno sta a una altezza generalmente di 225mm (i dischi sono da 45cm), ma quanta altezza di partenza guadagna il buon Thor con l’Elephant Bar prima che si stacchi dal terreno?

Per saperlo ci servono alcuni dati poi da inserire in una formula che ci dà direttamente questa misura:

  • Carico per lato
  • Lunghezza del pacco dischi
  • Distanza tra le mani
  • Diametro bilanciere
  • Lunghezza dei collari

Il modulo elastico della barra è praticamente uguale per tutti gli acciai, sia di alta qualità che di scarsa qualità, ed è pari a circa 210 GPa.

 

Modello comportamento barra

Nel disegno qua sopra il modello: le mani, i punti A e B, sono i punti fissi dove il bilanciere si appoggia, mentre F è la forza peso da considerare. La formula che ci serve per calcolare l’altezza aggiuntiva salta fuori dal modello di trave deformabile alla Eulero-Bernoulli

Ora, non è importante da dove questa salti fuori, quanto che ci permette di capire quanto vale f, la distanza fra bilanciere non deformato e bilanciere deformato nell’istante in cui questo si distacca dal terreno, a patto di inserire le distanze corrette e i parametri giusti del bilanciere, E (modulo elastico di Young) e J (inerzia della sezione trasversale che tiene conto della forma, per il bilanciere dipende solo dal diametro).

Grafo flessione-carico

Qua sopra il grafico che risulta dalla formula ipotizzando di utilizzare i dischi della Eleiko bumper da 25kg (dimensioni similari ai dischi utilizzati in gara per la Elephant Bar) e di tenere la distanza tra le mani di 60cm, quello che si legge sull’asse delle ascisse è il carico totale sul bilanciere e sulle ordinate l’altezza aggiuntiva che avremmo nello stacco.

I pallini in corrispondenza di 200 kg indicano che un atleta che utilizza un carico di 200 kg avrà una flessione, a seconda del tipo di bilanciere, che va 1 mm circa, cioè nulla, a 35 mm che sono 3,5 cm, che non sono pochi.

La tabella mostra gli stessi dati numerici, per avere una percezione quantitativa migliore. Quello che si nota subito è che all’aumentare del carico la flessione aumenta più che proporzionalmente, questo perché ogni disco che aggiungo sul bilanciere, non solo sto mettendo più carico, ma lo sto anche allontanando dalle mani.

Per chiarezza faccio presente che la dinamica riportata da questo grafico è una condizione uniformata per tutte le barre, se in gara si utilizzano dischi differenti e posizione delle mani differenti cambiano anche i risultati.

Si noti come il bilanciere Eleiko olimpico da weightlifting femminile sia veramente flessibile con i sui 25mm di diametro, infatti la sua curva blu che è sopra tutte le altre, sia quella che cresce con maggior rapidità in assoluto. Ma questo non risulta essere un problema, perché ogni bilanciere è studiato ed adeguato alla competizione nella quale viene utilizzato. Ovviamente non ne vedremo utilizzare uno nelle competizioni di Strongman Pro Open, visto che sarebbe inadeguato e probabilmente non sarebbe utilizzabile; sia per la flessione sia per le limitazioni di caricamento dischi.

L’altra cosa che si nota è che sotto i 100kg qualunque cosa usi non si avranno grandi differenze percettibili, a 200kg cominciano a notarsi differenze sostanziali e a salire si fanno evidenti; che andranno a crescere sempre più con l’aumentare del carico.

Thor facilitato rispetto ad Hall?

Record del mondo di Eddie Hall

Il record del mondo fino al 2 Maggio 2020 era di 500kg di Eddie Hall, ha utilizzato la Okie Deadlift Bar e dischi della Eleiko da powerlifting calibrati, la distanza tra le mani è circa 72cm, mettiamo tutto nella formula e risulta 73 mm di flessione.

Ora Thor ha superato la barriera che sembrava impossibile della mezza tonnellata con 501 kg, prima che lo facesse si sono sentite critiche mosse sul set up utilizzato, la barra è più flessibile e così via. Rogue sponsor del tentativo di record ha ovviamente fornito la sua attrezzatura, quindi vediamo le differenze

Ecco i dati dei bilancieri

Dati sul bilanciere

Questi invece sono i dati dei dischi

Dati sul disco

Effettivamente ci sono leggere differenze, la distanza tra i collari è 12mm di più per il bilanciere Rogue e i collari stessi sono 3,6 mm più spessi, questo allontana il carico e quindi ci si aspetta che fletta di più. Inoltre, i dischi stessi calibrati della Rogue sono 1 mm più spessi, e se ne metti 9 uno a fianco all’altra fanno altri 9 mm che aumentano certamente la flessione, quindi le critiche erano fondate e l’equipaggiamento sembra a favore del tentativo di Thor, sempre se la flessione maggiore è da considerarsi un aiuto. Infatti, se andiamo a dare ipoteticamente questa attrezzatura all’alzata di Eddie Hall la flessione sarebbe stata di 78 mm, quindi ben 5 mm in più.

Thor prende un bilanciere a 81cm

Ma poi andiamo a vedere che Thor prende il bilanciere sulla tacca degli 81 cm, perché lui è una cazzo di montagna… risultato: una flessione di 70 mm, addirittura inferiore a quella del record di Eddie che andava a superare. Per fare un confronto apprezzabile ai più, c’è stata una differenza di flessione come nel passare da 100kg a 180kg di stacco con una powerlifting bar e dei bumper, e qua solo mm di differenze sull’attrezzatura e posizionamento delle mani diverso.

Questo serve a farci capire che quando i pesi diventato così alti anche i mm generano differenze sostanziali di flessione, si sentono spesso discorsi sulla rigidezza di un bilanciere rispetto a un altro basandosi solo sulle sensazioni che dà o le impressioni nel vederlo usare dagli atleti, ora avete tutto quello che vi serve per calcolare esattamente la flessione e poter fare confronti basati su dati quantitativi.

Più flette e più è semplice?

Questa è una domanda molto ostica a cui rispondere perché si finisce dentro a piè pari nella dinamica dell’alzata, il punto cardine di questo problema è lo Sticking Point, ovvero il punto più difficile dell’alzata (circa all’altezza del ginocchio ma varia da persona a persona), il bilanciere va accelerato il più possibile prima di arrivarci per avere abbastanza velocità (quantità di moto per la precisione) per superarlo. E qui i bilancieri flessibili non aiutano in questo direttamente, infatti se si utilizzasse il solito schema motorio anche per le barre flessibili si avrebbe solo uno spazio effettivo di accelerazione inferiore, che andrebbe a inficiare sulla possibilità di chiudere l’alzata.

Questa dinamica va a favore di atleti che riescono ad accelerare più velocemente il bilanciere nella parte bassa, sfruttandone le dinamiche stesse che esso genera durante il sollevamento, però causandone altre negative che andremo ad esporre più avanti.

Ma è anche vero che il carico totale viene sollevato nella sua totalità da un’altezza differente, che va a modificare in modo teoricamente favorevole le angolazioni biomeccaniche sulla partenza effettiva del sollevamento, andando ancora una volta ad aggiungere variabili e difficoltà.

Ma andiamo a vedere come questo avviene.

Grafico carico-altezza-suolo

Il grafico qua sopra esemplifica il tutto: il carico che Thor ha sollevato nel suo record è aumentato linearmente da 0 a 501 durante tutta la flessione del bilanciere, pertanto quando le sue mani si erano sollevate di 35 mm lui non teneva 501 kg, ma circa la metà, 250kg.

Prima di dire “eh facile così…” va considerato un altro aspetto che è invece negativo: chi ha provato l’Elephant Bar hanno detto che è più difficile da sollevare anche se flette di più, come mai?

Il punto fondamentale è che il bilanciere oscilla in alto e in basso, e questa oscillazione va gestita.

I più temerari si devono addentrare adesso in quello che è il tempo di sollevamento prima di staccare il bilanciere da terra e la frequenza propria di questo.

Prendiamo come esempio il caso di Thor alle prese con i 501 kg: conoscendo la freccia, cioè la flessione che abbiamo calcolato prima, si può calcolare in maniera semplificata il periodo di oscillazione proprio del bilanciere (il tempo che impiega a fare una oscillazione completa se lasciato oscillare, per renderla semplice prendete un bilanciere, posizionatelo su un rack, caricatelo e date un colpo hai dischi, questo si mette a oscillare, il tempo che impiega a fare giù, su e di nuovo giù si chiama periodo di oscillazione proprio).

Non riporto la formula, nemmeno in una apposita appendice potete scrivermi se volete il dettaglio, mi interessa far vedere che cosa succede.

Grafico carico-altezza

Il grafico qua sopra mostra cosa accade quando il bilanciere si solleva e si distacca, la curva rosa indica infatti come va ad aumentare la forza:

  • Progressivamente alla flessione del bilanciere il carico sulle mani va ad aumentare per rimanere costante quando tutti i dischi, fino a quelli più esterni, si sono staccati dal suolo.
  • La curva verde è invece l’andamento della forza con l’oscillazione dovuta alla flessibilità del bilanciere. Thor pertanto non ha sentito in mano 501 kg, il bilanciere oscillando fa variare questo valore e se allo sticking point ti becchi il punto in cui l’oscillazione tende a trascinare il carico verso il basso… potresti fallire l’alzata.

Con l’Elephant Bar succede esattamente questo perché, essendo molto deformabile, è facile che le oscillazioni si amplifichino, vediamo di seguito il grafico che avremmo ottenuto con l’Elephant bar

Grafico carico-altezza2

Quello che si vede è che le oscillazioni sono molto più amplificate del caso precedente, con differenze anche del 20%, vuol dire che il carico in mano per il poveretto varia teoricamente tra 400kg e 600kg una cosa assurda (in realtà una parte di questo comportamento viene dissipato dall’atleta stesso che funge inconsciamente da ammortizzatore). Le entità delle oscillazioni dipendono sia dal tempo di oscillazione proprio, precedentemente calcolato, che dal tempo di sollevamento, infatti un consiglio che danno per sollevare l’Elephant è partire “lentamente” andando a tendere il bilanciere per poi ricercare una accelerazione adeguata al sorpassare lo sticking point, senza però andare ad aggravare le oscillazioni; vediamo infatti cosa succede se aumentiamo il tempo per staccarlo da terra.

Carico-altezza-suolo

Decisamente meglio, e se stacchiamo ancora più lentamente?

Carico-altezza-suolo

Si sono amplificate di nuovo? Ma come? Questo accade perché esiste un intervallo di tempo di sollevamento, in pratica, dove le oscillazioni tendono a minimizzarsi, ma al di fuori di questo, troppo velocemente o troppo lentamente, aumentano. Il bilanciere teoricamente non oscilla affatto se il tempo di oscillazione proprio e quello di sollevamento coincidono. Questo è il problema dei sistemi dinamici, che sono difficili da controllare, infatti la sensazione che da una barra molto flessibile è quella di essere instabile.

Oltre a questo, c’è anche la possibilità di andare a creare oscillazioni sul piano trasversale, ovvero il bilanciere oscilla avanti e indietro rispetto all’atleta portandolo fuori traiettoria.

Il consiglio principe per sollevare questi bilancieri flessibili sarebbe quello di staccarli da terra esattamente con il loro tempo di oscillazione proprio, questo in via teorica restituisce una amplificazione nulla. Restano comunque oggetti difficili da controllare, sopra certi carichi.

Conclusioni

Concludendo possiamo dire, pertanto, è che la Elephant Bar sia un aiuto nel sollevamento, ma quell’aiuto non è gratis: va gestito e ci si deve allenare per farsi una esperienza, per dominare il mezzo. Un po’ come per fasce e corpetti da squat: è vero che effettuare un sollevamento in questo modo permette di sollevare minimo 40 kg in più, e c’è chi guadagna 100 kg, ma non è che uno si mette questa roba e magicamente i carichi aumentano, anzi, senza esperienza si fanno nulle su nulle se non ci si fa male.

Perciò, Thor quanto avrebbe sollevato se il bilanciere fosse stato di altro tipo? Non lo sa nessuno, ragazzi… quello che ci aspettiamo è che con la diffusione di questo splendido sport nel tempo si sviluppi anche una standardizzazione delle prove, con bilancieri a caratteristiche simili. Poi può piacere o meno, ma se le regole sono fisse per tutti… quelle sono e a quelle ci riferiremo.

L’unica controprova sarebbe quella di prendere un forte stacchista e farlo allenare con la Elephant Bar per fargli prendere confidenza, in modo da capire, empiricamente, quanta differenza c’è.

Per dire, la quadra bar rende più semplice lo stacco, ma solo perché le maniglie sono più alte del normale bilanciere: posizionate le mani alla medesima altezza tutto questo vantaggio non c’è, con sommo stupore di chi pensa che sia facilissimo.

Analogamente, campioni del WL che sono passati allo strongman hanno fatto fin dai primi allenamenti degli splendidi risultati negli eventi di press, pur dimostrando però grandi difficoltà in esercizi che vertono su schemi motori non reclutati nella pratica della pesistica olimpica. Atleti che per eccellere si sono dovuti comunque allenare specificamente per gli eventi strongman.

Quando Max Biaggi passò alle SuperBike ci mise un po’ ad ingranare, eppure le SuperBike erano considerate di serie B. Come sempre, la specializzazione necessita di… specializzazione! In altre parole, quelli forti saranno sempre forti in movimenti simili al loro, ma non così forti: lo diventeranno se avranno l’umiltà di capire i nuovi mezzi e i nuovi contesti, di fare un passo indietro considerandosi dei principianti.

Autori: Augusto Pedron e Lorenzo Geri

Augusto Pedron, Laureato in Ingegneria Civile presso l’Università di Trento. Libero professionista specializzato in analisi e calcolo di strutture, istruttore di Strongman e appassionato di allenamento della forza. Attualmente 210-145-240 kg in squat, panca e stacco

Augusto Pedron

Lorenzo Geri, Cofondatore della F.I.S.Man e responsabile tecnico per la progettazione e l’organizzazione degli eventi del campionato italiano di strongman.

Responsabile tecnico dell’area didattica e del corso di formazione istruttori Strongman.

Preparatore di atleti Strongman/woman amatoriali e professionisti.

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Proteine: cosa sono e quali sono?

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Le proteine sono uno dei tre macronutrienti di cui il tuo organismo ha bisogno per funzionare. Prima di varie considerazioni del tipo “fanno male!” o “chi fa palestra o bodybuilding ne mangia troppe!”, il consiglio è di tenere queste ipotesi (o certezze infondate?) a fine della lettura di questo articolo.

Scopri dalle basi cosa sono e quali sono le proteine, a cosa servono e come funzionano nell’organismo, senza tralasciare anche dove le puoi trovare e quali alimenti sono i più adatti come fonte protidica.

Proteine: cosa sono e quali sono?

aminoacidi

Il termine “proteine” deriva dalla parola greca πρώτειος (proteios = che occupa il primo posto), ad indicare il ruolo di primaria importanza che queste molecole rivestono per l’organismo.

Dal punto di vista chimico, sono composte da carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto. Ogni proteina ha una struttura diversa dalle altre e specifica a seconda della funzione che andrà a svolgere, ma tutte sono sempre il risultato dell’unione di più aminoacidi (AA) tramite legame peptidico.

Gli aminoacidi sono le unità base delle proteine e a seconda del loro numero e della loro sequenza (l’ordine è determinante!) danno origine a quella specifica proteina.

Nel corpo umano ci sono decine di migliaia di proteine diverse e per sintetizzarle c’è bisogno di solo 20 aminoacidi – di questi 9 sono essenziali. In modo autonomo, il tuo apparato enzimatico è in grado di fabbricare 11 aminoacidi, mentre gli altri 9 devono essere per forza assunti tramite l’alimentazione e sono definiti “essenziali”. Questi ultimi sono: fenilalanina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, treonina, triptofano, valina.

Struttura delle proteine

Ogni proteina è il risultato del legame di più aminoacidi (legame peptidico): il gruppo carbossilico di un AA si lega al gruppo amminico (contenente azoto) di un altro AA tramite l’eliminazione di una molecola di acqua. In questo modo, viene data origine ad una struttura lineare.

Ma questa catena “a collana di perle” è solo la base di partenza per la proteina: il filo amminoacidico può ripiegarsi su se stesso, assumere una struttura tridimensionale e anche legarsi ad altre catene per formare una struttura complessiva più elaborata.

Quando ci sono solo aminoacidi uniti tra loro la proteina è definita semplice, mentre se alla struttura peptidica vengono aggiunte unità tipicamente non di natura amminoacidica (zuccheri, grassi) è definita complessa. Queste “aggiunte strutturali” sono funzionali: servono a caratterizzare la proteina per garantirle maggior specificità nella sua azione.

Quante calorie contengono

Dal punto di vista energetico 1 g di proteine libera nell’organismo in media 4 kcal, ma qualitativamente ogni proteina è diversa.

Valore biologico di una proteina

Il valore biologico (VB) dipende dalla presenza di tutti gli aminoacidi essenziali (EAA) nelle giuste proporzioni e viene calcolato come il rapporto tra l’azoto assunto e quello trattenuto dall’organismo.

In base a questo, si distinguono:

  • Proteine ad alto VB: contengono tutti gli EAA e in quantità nutrizionalmente valide (carne, pesce, latte, uova, formaggi)
  • Proteine a medio VB: ci sono tutti gli EAA ma qualcuno è in quantità ridotta (legumi)
  • Proteine a basso VB: mancano di uno o più EAA (cereali).

Il valore di riferimento è l’uovo, che ha VB = 100.

Proteine animali e vegetali

proteine alimentari

I prodotti animali hanno un maggiore valore biologico rispetto a quelli vegetali, ma non per questo le proteine vegetali sono da considerare inutili da un punto di vista nutrizionale e biochimico: sempre proteine sono.

Un mito che aleggia sulle proteine è il non mescolare le diverse fonti proteiche; in realtà vale proprio il contrario: mischiare le fonti proteiche ne aumenta il valore biologico, perché ci sarà uno spettro amminoacidico più completo.

Funzioni svolte dalle proteine: a cosa servono?

Le proteine hanno la grande proprietà di essere duttili e, quindi, di assolvere a molte funzioni:

  • Funzione plastica: queste proteine fanno parte della struttura dell’organismo in cute, tendini, organi, ossa. Esempi sono l’elastina nella pelle o il collagene nei tendini.
  • Funzione regolatrice: sono proteine enzimatiche indispensabili per i processi metabolici, come l’insulina, il glucagone, la tiroxina.
  • Funzione di trasporto ed omeostasi dei fluidi corporei: l’emoglobina trasporta ossigeno, i citocromi gli elettroni, le lipoproteine i lipidi, l’albumina nel sangue ha funzione oncotica e lega numerose sostanze endogene o esogene (es. farmaci).
  • Funzione contrattile: queste proteine (actina e miosina) permettono la contrazione muscolare e si trovano nelle (fibrocellule).
  • Funzione recettoriale: molti recettori sulla membrana cellulare sono proteine, che sono in grado di riconoscere e legare un fattore specifico (ligando), che induce un cambiamento conformazionale del recettore che a sua volta dà il via ad una risposta cellulare.
  • Funzione immunitaria: gli anticorpi sono proteine.
  • Funzione energetica: quando le riserve di glicogeno scarseggiano, l’organismo può utilizzare alcuni amminoacidi (AA glucogenici) a scopo energetico.

Benefici delle proteine

Dal momento che le proteine sono protagoniste di tutte le funzioni appena elencate è chiaro come assumere il giusto apporto proteico garantisce il funzionamento di questi meccanismi biochimici e cellulari: processi che sono alla base dell’omeostasi dell’organismo e della vita.

Dal punto di vista sportivo, di solito il protide è il macronutriente più ricercato dagli sportivi, soprattutto per chi vuole aumentare la massa muscolare.

Spesso resta una ricerca non giustificata, in quanto l’equazione più proteine = più muscoli non è vera: i muscoli sono costituiti solo per il 20% della loro massa totale da proteine (la maggior parte è acqua) e la quota più favorevole per la massa magra non è deve seguire il “di più è meglio”, ma “il giusto è il meglio”.

Controindicazioni delle proteine: fanno male?

Le proteine fanno male solo a determinati soggetti: quelli che hanno già una patologia che non permette una fisiologica esplicazione della funzione renale. In soggetti sani, invece, non ci sono dati a dimostrazione del fatto che un quantitativo proteico elevato nella dieta faccia male.

Un maggior apporto protidico porta ad alterazioni adattative nelle dimensioni e nelle funzioni del rene, ma non c’è correlazione con un declino della funzione renale nel tempo.

Quindi, in generale, il consumo di proteine dovrebbe essere stabilito in funzione delle caratteristiche del soggetto in base a composizione corporea, condizioni fisiologiche, stile di vita e livello di attività fisica.

Dove si trovano le proteine?

proteine vegetali

Normalmente, i cibi proteici sono quegli alimenti in cui almeno il 30% delle calorie deriva da protidi:

  • Petto di pollo e di tacchino (ma anche tutta la carne in generale, preferibilmente magra)
  • Albume e l’uovo
  • Tonno e merluzzo (ma anche tutto il pesce in generale)
  • Soia e legumi
  • Lupini e germogli
  • Formaggi (preferibilmente quelli magri)
  • Interiora (fegato, cuore, reni)
  • Frutta secca
  • Integratori proteici (proteine in polvere, whey e caseine)
PROTEINE ANIMALI  SU 100G
Insaccati magri >30g
Tonno al naturale 24g
Petto di pollo 22g
Manzo magro 21g
Tagli di carne magra 18-20g
Pesce 18g
Gamberi 18g
Albume d’uovo 10g
Yogurt greco magro 8-10g

 

PROTEINE VEGETALI  SU 100G
Lupini 36g
Lenticchie 26g
Seitan 24g
Fagioli 20g
Ceci 19g
Avena 16g
Anacardi  15g
Farro 15g
Soia 13g (36,9g secca)

Quante proteine assumere: fabbisogno proteico e corretta assunzione delle proteine

I livelli per sapere quante proteine assumere al giorno raccomandati per la popolazione italiana relativi alle proteine, sono riportati nella tabella dei LARN (Livelli di Assunzione giornalieri Raccomandati di Energia e Nutrienti per la popolazione italiana) elaborata dalla SINU (Società Italiana di Nutrizione Umana).

  • Adulti (compresi gli anziani): 0.90 gr per kg di peso corporeo al giorno.
  • Lattanti, bambini e adolescenti: da 1.32g a 0.90g per kg di peso corporeo al giorno, a seconda dell’età.
  • Donne in gravidanzaassunzione supplementare di 1g, 8g e 26g al giorno rispettivamente per il primo, secondo e terzo trimestre.
  • Donne in allattamento: assunzione supplementare da 21 a 14g al giorno fino al secondo semestre.

Le quantità proposte sono in riferimento a un’alimentazione che prevede sorgenti miste di proteine, sia animali che vegetali.

Il fabbisogno varia con età (più diventi anziano e più sale rispetto allo 0.9 basale), momento fisiologico, attività sportiva più o meno intensa e per un atleta può arrivare anche a 2.5-3 g/kg peso corporeo/die: un valore ben distante dal 0.9 g/kg raccomandato di base.

Ecco perchè chi fa palestra agli occhi di uno non sportivo ne “mangia troppe”, anche se sicuramente in molti ne assumono più del dovuto sperando di avere miracoli a livello ipertrofico, ma senza risultati: l’introito proteico non è direttamente proporzionale alla crescita del tessuto muscolare.

Carenza di proteine

Andare incontro ad una carenza di proteine è molto più facile che andare in carenza di carboidrati e grassi: nel corpo ci sono depositi di grasso (tessuto adiposo) e di glucosio (glicogeno epatico e muscolare), ma non esistono riserve di proteine a cui attingere in caso di necessità.

I protidi sono sottoposti ad un continuo processo dinamico di demolizione e sintesi, che richiede energia e prende il nome di turnover proteico. Questo processo modula il traffico intra- ed inter-cellulare degli aminoacidi e il loro utilizzato in base alle esigenze dell’organismo: ogni giorno vengono degradati circa 250-300 g di proteine e la maggior parte dei loro aminoacidi vengono riciclati.

A cosa può portare una carenza di alimenti proteici? Può determinare diminuzione della resistenza immunitaria, aumento della suscettibilità alle infezioni, edemi e sindrome di Kwashiorkor (dimagrimento e riduzione delle masse muscolari).

Assorbimento proteine

La prima fase di digestione delle proteine avviene a livello dello stomaco grazie alla pepsina, che rompe i legami peptidici: si formano i peptoni, che a loro volta sono ulteriormente scomposti in aminoacidi nell’intestino tenue dalle proteasi pancreatiche ed enteriche.

Quindi, gli aminoacidi raggiungono il fegato e il circolo ematico, per essere utilizzati in base alle esigenze dell’organismo. Solo una piccola quantità non viene assorbita e viene eliminata con le feci.

Conclusioni sulle proteine

Le proteine sono dei mattoncini indispensabili ed essenziali per garantire il corretto funzionamento dell’organismo, non più o non meno importanti da assumere rispetto a carboidrati, grassi, micronutrienti e acqua: ognuno ha la sua funzione.

Il fabbisogno proteico è importante da raggiungere per il mantenimento della salute nel lungo periodo e per gli sportivi anche per sostenere al meglio l’esercizio fisico.

 

Bibliografia

Burke & Deakin (2015). “Clinical Sports Nutrition”. Chapter 4: Protein p. 95-113. Mc Graw Hill.

Nelson & Cox (2014). “I principi di biochimica di Lehninger”. Zanichelli.

 

Co-autore: dott.ssa Paola Ierussi

Laureata in farmacia ha lavorato per 15 anni presso il laboratorio galenico. Da sempre appassionata di nutrizione, ha deciso di ampliare il suo percorso universitario conseguendo la laurea in Biologia Molecolare, Sanitaria e della Nutrizione e attualmente si dedica a tempo pieno all’attività di nutrizionista, approfondendo in particolare l’aspetto dell’alimentazione e integrazione in ambito sportivo.
Riceve a Velletri, Nettuno e Formello.

Contatto mail: paierussi@yahoo.it
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Anatomia spalla: com’è fatta e come funziona?

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spalla

La spalla è una delle articolazioni più complesse del corpo umano e per questo anche più soggetta ad infortuni e dolori. La spalla è un’articolazione capace di eseguire un ampio range movimenti che permettono di svolgere attività di tutti i giorni e gesti sportivi specifici che coinvolgono l’arto superiore. In questo articolo approfondiamo l’anatomia e la funzione della spalla, scopriamo quali sono i muscoli che ne permettono i movimenti e in ultimo analizziamo tali movimenti e la loro biomeccanica.

Anatomia e biomeccanica della spalla

Immagini anatomia spalla visione frontale
Immagini anatomia spalla visione frontale
Immagini anatomia spalla visione posteriore
Immagini anatomia spalla visione posteriore

La spalla è un complesso articolare che prende vita grazie all’insieme di quattro ossa: la parte prossimale dell’omero, la scapola, la clavicola e lo sterno. Queste quattro ossa distinte concorrono a formare quattro articolazioni distinte che insieme formano tutto il complesso articolare della spalla. Le quattro articolazioni principali della spalla sono:

  • la sterno-clavicolare, formata dallo sterno e dall’estremità mediale della clavicola;
  • la acromion-claveare, formata dall’acromion della scapola e dall’estremità laterale della clavicola;
  • la scapolo-toracica, formata dalla scapola che giace sulla gabbia toracica posteriormente;
  • la gleno-omerale, formata dalla glena della scapola e dalla testa dell’omero.

La sinergia di movimento tra queste quattro articolazioni permette alla spalla di compiere movimenti di grande ampiezza lungo tutti i piani.

L’articolazione sterno-clavicolare è rinforzata anteriormente e posteriormente dai legamenti sterno-clavicolari, dal legamento interclavicolare e dal legamento costo-clavicolare che appunto unisce la prima costa con la clavicola. Tramite questa articolazione la clavicola è in grado di eseguire movimenti di elevazione e depressione, protrazione e retrazione e rotazione intorno al proprio asse. L’insieme di questi movimenti contribuisce alla buona riuscita dei movimenti globali del cingolo scapolare.

L’articolazione acromion-claveare possiede delle superfici articolari pressoché piatte ed è rinforzata da legamenti superiori e inferiori e dal cosiddetto legamento coraco-clavicolare che si divide in due fasci robusti: il legamento trapezoide, più laterale, e il legamento conoide, più mediale. A questo livello avvengono piccoli movimenti di rotazione e aggiustamento che supportano i movimenti della scapola che tra poco vedremo e che risultano determinanti per il sollevamento dell’intero braccio sopra la testa.

spalla
Articolazioni sterno-claveare e acromion-claveare

L’articolazione scapolo-toracica non è un’articolazione vera e propria non essendo composta da superfici articolari ricoperte di cartilagine. È invece un piano di scorrimento anatomico tramite il quale la scapola giace letteralmente sulla cassa toracica, dalla quale è separata da uno strato di muscoli comprendente il muscolo sottoscapolare, il gran dentato e gli erettori spinali. In posizione anatomica la scapola è posizionata sul torace secondo coordinate spaziali ben precise che possono variare leggermente a seconda della postura del soggetto: essa si ritrova estesa tra la seconda e la settima costa, distante circa 6-7 cm dalla colonna e  leggermente rivolta verso l’avanti secondo un piano specifico di movimento, detto piano scapolare, che in media forma un angolo di 30° con il piano frontale. È lungo questo piano che generalmente avvengono la maggioranza dei movimenti della spalla. La scapola, quale osso triangolare posto sul torace, può compiere numerosi movimenti lungo tutti i piani. È infatti in grado di effettuare movimenti di elevazione e depressione, di retrazione e protrazione (avvicinandosi e allontanandosi dalla colonna), di rotazione craniale e rotazione caudale (la scapola “guarda verso l’alto o verso il basso), di rotazione interna ed esterna (movimento di scapole alate nel primo caso e adese al torace nel secondo caso ) e di tilt anteriore (spalle in avanti) e tilt posteriore (bascula in avanti e indietro in visione laterale).

spalla
Articolazioni scapolo-toracica e gleno-omerale

L’articolazione gleno-omerale è forse la più famosa del complesso articolare della spalla. Essa si compone dall’incastro tra la convessità della testa dell’omero e la leggera concavità della glena della scapola. La glena della scapola è rivolta in avanti e lateralmente, mentre la testa dell’omero è rivolta medialmente e posteriormente (retroversione omerale). L’articolazione è rinforzata da una robusta capsula articolare (un “manicotto” di tessuto connettivo fibroso) anteriore, inferiore e posteriore e da legamenti importanti tra i quali i legamenti gleno-omerale il legamento coraco-omerale. La discreta instabilità dettata dalla forma delle superfici articolari (la testa dell’omero è molto più estesa e convessa della concavità della glena della scapola) è parzialmente compensata da un labbro o cercine glenoideo, un anello fibrocartilagineo che ha la funzione di aumentare la concavità della glena e favorire una maggiore stabilità dell’articolazione. A supportare ulteriormente la stabilità articolare viene in soccorso anche un complesso muscolare fondamentale come la cuffia dei rotatori. I movimenti dell’articolazione gleno-omerale permettono al braccio di orientarsi in ogni direzione della spazio e prendono vita grazie al contributo anche delle altre articolazioni. Questi movimenti verranno analizzati nei paragrafi seguenti.

spalla
Legamenti e muscoli stabilizzatori

Alcuni autori inseriscono una quinta articolazione all’interno del complesso della spalla: l’articolazione acromion-omerale. Questa articolazione non possiede superfici articolari vere e proprie ma può essere considerata anch’esso un piano di scorrimento anatomico. Esso mette in stretta relazione omero e acromion a formare il cosiddetto spazio sub-acromiale delimitato appunto da omero, acromion e dal legamento coraco-acromiale. All’interno di questo spazio sono presenti alcuni tessuti tra cui il tendine del muscolo sovraspinato, la borsa sub-acromiale, il capo lungo del bicipite e parte della capsula superiore. Lo spazio sub-aromiale nell’adulto ha un’ampiezza di circa 1 cm quando il braccio è lungo il corpo e tale ampiezza può variare a seconda del movimenti. L’ampiezza in questione se ridotta eccessivamente può alla lunga creare pressioni e stress eccessivi sui tessuti sfociando in sindromi dolorose come la periartrite scapolo omerale, la lesione della cuffia dei rotatori e la borsite. La borsa in particolare è spesso protagonista di quadri infiammatori. A questo livello inoltre è presente una seconda borsa tra il sovraspinato e il muscolo deltoide chiamata borsa sotto-deltoidea. Le borse sono estensioni della membrana sinoviale dell’articolazione che fungono da strutture in grado di diminuire gli attriti in alcuni punti cruciali soggetti a eccessiva frizione e potenzialmente più a rischio infiammazione. Se la borsa si infiamma può gonfiarsi ed evocare dolore in un quadro di borsite.

Quali muscoli compongono la spalla?

Essendo un complesso articolare con un’ampia capacità di movimento e con una sofisticata funzionalità, la spalla è caratterizzata dalla presenza di numerosi muscoli aventi numerose funzioni anatomiche a diversi livelli. In particolare, in questo paragrafo, ci occuperemo di suddividere i muscoli in tre grandi gruppi, per chiarirne di ognuno le peculiarità e le funzioni principali di nostro interesse.

Muscoli che muovono la scapola

I muscoli che muovono la scapola garantiscono sia i movimenti puri scapolari analizzati in precedenza, sia i movimenti della spalla in toto.

  • Il muscolo trapezio è suddiviso in tre porzioni, fuse da un punto di vista anatomico ma distinte da quello funzionale: trapezio superiore, trapezio medio e trapezio inferiore. Il trapezio superiore, a livello scapolare, determina un movimento di elevazione e rotazione craniale. Il trapezio medio si occupa invece dei movimenti scapolari di retrazione e rotazione esterna, mentre il trapezio inferiore è attivato nei movimenti di depressione, tilt posteriore, rotazione craniale e rotazione esterna di scapola.
Trapezio
Visione posteriore e laterale del muscolo trapezio
  • Il muscolo elevatore della scapola si estende dall’angolo superiore della scapola fino alle prime quattro vertebre cervicali, e la sua funzione è di elevare e ruotare caudalmente la scapola.
Elevatore della scapola
Elevatore della scapola in visione postero-laterale
  • I muscoli romboidi (piccolo e grande) originano dalle vertebre cervico-toraciche e si inseriscono sul margine mediale della scapola, determinando su quest’ultima movimenti di elevazione, retrazione e rotazione caudale.
Romboidi
Visione posteriore e postero-laterale dei muscoli romboidi
  • Il muscolo piccolo pettorale parte dal processo coracoideo della scapola e si inserisce sulla terza, quarta e quinta costa. La sua funzione è di generare depressione, rotazione caudale e tilt anteriore della scapola.
Piccolo pettorale
Piccolo pettorale in visione antero-laterale, anteriore e laterale
  • Il muscolo gran dentato (o “dentato anteriore”) origina dalla prima alla nona costa e si inserisce lungo il margine mediale della scapola. Possiede più funzioni a livello scapolare: nella sua totalità è un protrattore e con le fibre più basse è un importante rotatore craniale. Inoltre, ruota esternamente e porta in tilt posteriore la scapola.
Gran dentato
Gran dentato in visione postero-laterale, posteriore e laterale

Muscoli della cuffia dei rotatori

La cuffia dei rotatori è un complesso muscolare fondamentale nella biomeccanica e nella funzionalità di tutta la spalla. Spesso protagonista di insulti articolari, infortuni e tendinopatie, la cuffia dei rotatori è formata da quattro muscoli che per loro localizzazione letteralmente “abbracciano” la testa dell’omero, favorendone la stabilità e i movimenti “accessori” nella glena grazie alla propria contrazione. Questi muscoli sono:

  • Il piccolo rotondo, extrarotatore della spalla.
  • Il sottospinato (o infraspinato), anch’esso un potente extrarotatore della spalla.
  • Il sovraspinato, importante abduttore della spalla e debole rotatore esterno con le sue fibre più posteriori.
  • Il sottoscapolare, unico dei quattro muscoli ad avere la funzione di intraruotare la spalla.
Cuffia dei rotatori
Visione posteriore dei muscoli della cuffia dei rotatori. Da sinistra verso destra: sottoscapolare, piccolo rotondo, infraspinato, sovraspinato

Alcuni autori considerano parte attiva della cuffia anche il tendine del capo lungo del bicipite brachiale il quale, per via del suo decorso sopra la testa dell’omero, contribuisce in maniera determinante alla stabilità articolare.

Bicipite brachiale
Bicipite brachiale: a sinistra evidenziato il capo breve, a destra evidenziato il capo lungo

Oltre alle funzioni selettive appena citate la cuffia dei rotatori ha, nel suo complesso, un ruolo determinante nella salute e nella funzionalità della spalla. Come visto precedentemente, infatti, l’articolazione gleno-omerale della spalla si contraddistingue per la sua naturale instabilità (che rappresenta il “prezzo da pagare” per la grande mobilità di cui dispone la spalla) e per la scarsa congruenza delle sue superfici articolari. Se da un lato abbiamo importanti contromisure passive come il labbro (o cercine) glenoideo e l’apparato capsulare e legamentoso, dall’altro abbiamo anche contromisure attive, come per l’appunto la cuffia dei rotatori.

cuffia dei rotatori
Visione posteriore dei muscoli della cuffia dei rotatori

La localizzazione specifica dei muscoli della cuffia dei rotatori determina un vero e proprio “abbraccio contenitivo” con un’azione di controllo e stabilità diretta sulla testa dell’omero. In questo contesto possiamo quindi la cuffia dei rotatori come un “manicotto” contenitivo la cui contrazione muscolare attiva sopperisce all’instabilità dettata dalle caratteristiche strutturali e articolari della spalla.

Muscoli che muovono la spalla

I muscoli che muovono la spalla, intesa come articolazione gleno-omerale, sono tra i più famosi in ambiente fitness, in quanto più superficiali, voluminosi ed esteticamente influenti.

  • Il muscolo deltoide può essere suddiviso in tre porzioni distinte: deltoide anteriore, deltoide intermedio e deltoide posteriore. Questi tre fasci originano rispettivamente dalla clavicola, acromion e spina della scapola, e si uniscono per inserirsi a livello della tuberosità deltoidea dell’omero. Il deltoide nella sua totalità è il più potente abduttore di spalla. I suoi fasci anteriori flettono e intraruotano l’omero, i suoi fasci intermedi abducono l’omero, e i suoi fasci posteriori si occupano di estendere, addurre sul piano frontale, abdurre sul piano trasversale ed extraruotare l’omero.
Deltoide
Visione laterale e posteriore del muscolo deltoide
  • Il muscolo grande pettorale è caratterizzato da un ventre muscolare esteso a ventaglio, anch’esso diviso in più fasci: le fibre più alte sono dette “clavicolari”, mentre la porzione intermedia e inferiore è definita “sterno-costale”. Il gran pettorale è un potente intrarotatore e adduttore di spalla lungo il piano frontale e trasversale, flette con i suoi fasci più alti (clavicolari) ed estende dalla posizione di massima flessione con quelli più bassi (sterno-costali).
grande pettorale
Visione frontale del gran pettorale
  •  I muscoli gran dorsale grande rotondo hanno localizzazioni diverse ma funzioni comuni. Entrambi infatti determinano a livello della spalla movimenti di adduzione, estensione ed intrarotazione. Il gran dorsale è molto più voluminoso e potente del grande rotondo, che può essere visto come un “gran dorsale in miniatura”.
Gran dorsale e grande rotondo
Visione posteriore dei muscoli gran dorsale (a sinistra) e grande rotondo (a destra)
  • Anche il bicipite brachiale influenza i movimenti della spalla. La sua origine a livello della scapola, infatti, lo rende un muscolo bi-articolare, che garantisce movimenti di flessione di spalla con entrambi i capi e di abduzione di spalla con il suo capo lungo (in particolare quando l’omero parte in extrarotazione).

Bicipite brachiale

  • Il capo lungo del tricipite brachiale risulta l’unica porzione di questo muscolo ad avere un’influenza sulla spalla, determinando a livello di quest’ultima un’assistenza negli ultimi gradi del movimento di estensione e di adduzione.
muscolo tricipite
Visione posteriore del tricipite: prima con i suoi 3 fasci, poi isolando il capo lungo, il capo mediale e il capo laterale

Biomeccanica e movimenti della spalla: come funziona?

La spalla nel suo complesso è in grado di effettuare movimenti lungo tutti i piani attraverso i muscoli che la compongono. L’articolazione gleno-omerale in particolare, grazie alla sua morfologia, permette di portare il braccio sopra la testa, dietro la schiena e davanti al tronco in un’infinità di combinazioni che permettono innumerevoli attività di vita quotidiana. L’articolazione gleno-omerale è la protagonista in questione ma la sua funzionalità non può esprimersi al massimo del potenziale senza il determinante contributo delle altre articolazioni. Vediamo come tutto ciò diventa possibile.

spalla

L’articolazione gleno-omerale è in grado di compiere quattro coppie di movimenti lungo tre differenti piani.

  • Il movimento di abduzione permette al braccio di allontanarsi lateralmente dal corpo e avviene lungo il piano frontale. Ha un’ampiezza di 180°. L’escursione completa è garantita da movimenti omerali e scapolari. In particolare i movimenti omerali sono garantiti dal muscolo deltoide e dal sovraspinato che permettono all’omero di ruotare verso l’alto, e dalla cuffia dei rotatori che stabilizza e fa scivolare l’omero permettendo un’ottimale allineamento con la scapola. I movimenti scapolari, che sono favoriti dai movimenti della clavicola, permettono di portare il braccio sopra la testa. Nella fattispecie la scapola ruota verso l’alto e si eleva leggermente grazie all’azione del muscolo trapezio superiore e dentato anteriore. Nella fase finale del movimento l’escursione è completata da un movimento di estensione toracica che è limitato in caso di ipercifosi. In generale possiamo dire che l’abduzione è governata da un ritmo scapolo-omerale di 2:1 con la prima parte del movimento caratterizzata dal movimento omerale e la seconda parte del movimento caratterizzata da movimenti scapolari. Dei 180° totali possiamo dire che 120° sono determinati dall’omero e 60 dalla scapola e dalla clavicola assieme.
Ritmo scapolo-omerale
Ritmo scapolo-omerale
  • Il movimento di adduzione permette al braccio di avvicinarsi al corpo e avviene lungo il piano frontale. Ha un’ampiezza di pochi gradi solo quando associata alla flessione o all’estensione (braccio davanti o dietro al corpo). Il movimento è garantito da numerosi e potenti muscoli tra i quali il gran dorsale, il gran pettorale e il grande rotondo.
Abduzione spalla
Movimento di abduzione di spalla (da sinistra verso destra) e di adduzione di spalla (da destra verso sinistra)
  • Adduzione e abduzione possono avvenire anche lungo il piano trasversale quando portiamo rispettivamente il braccio davanti e dietro al tronco mantenendolo sollevato all’altezza della spalla. Hanno un’ampiezza di 140° e 30°. Il movimento di adduzione orizzontale è garantito dal gran pettorale, mentre il movimento di abduzione orizzontale dal muscolo deltoide posteriore.

 

Abduzione orizzontale spalla
Movimento di abduzione orizzontale di spalla (da sinistra verso destra) e di adduzione orizzontale di spalla (da destra verso sinistra)

 

  • Il movimento di flessione permette al braccio di sollevarsi davanti al corpo e avviene lungo il piano sagittale. Ha un’ampiezza di 180°. Il movimento è garantito muscoli come il deltoide anteriore, il gran pettorale con i suoi fasci più alti e il bicipite brachialeIl movimento di estensione permette invece al braccio di sollevarsi dietro al corpo e avviene anch’esso lungo il piano sagittale. Ha un’ampiezza di 50°. Il movimento è garantito muscoli come il deltoide posteriore, il gran pettorale con i suoi fasci più bassi, il tricipite brachiale, il gran dorsale e il grande rotondo.
Flesso-estensione spalla
Movimenti di flessione di spalla a 80° (dal centro verso sinistra) e di estensione di spalla a 30°(dal centro verso destra)
  • Il movimento di rotazione esterna avviene lungo il piano trasversale e si valuta a gomito flesso a 90°. Prevede di portare l’avambraccio verso l’esterno partendo con il gomito lungo il fianco. Ha un’ampiezza di 80°. Il movimento è garantito muscoli come il deltoide posteriore, il piccolo rotondo, il sovraspinato e il sottospinato. Il movimento di rotazione interna avviene lungo il piano trasversale e si valuta a gomito flesso a 90°. Prevede di portare l’avambraccio verso l’interno davanti alla pancia partendo con il gomito lungo il fianco. Ha un’ampiezza di 100° che per essere completata necessita di portare il braccio dietro alla schiena. Il movimento è garantito muscoli come il gran pettorale, il gran dorsale, il grande rotondo e il sottoscapolare.
Rotazioni di spalla
Movimenti di intrarotazione di spalla ad omero in posizione neutra (sinistra) e di extrarotazione di spalla ad omero in posizione neutra (destra)

Conclusioni sulla spalla

In conclusione possiamo affermare che la spalla è un’articolazione estremamente complessa e sofisticata, dotata di grande mobilità e implicata nella quasi totalità dei movimenti quotidiani a carico dell’arto superiore. Il corretto funzionamento di questa articolazione è garantito da un vasto insieme di ossa, articolazioni, legamenti e muscoli che agiscono in sinergia per preservare un’ottimale biomeccanica in un complesso articolare così affascinante ed evoluto.

 

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Proteine vegetali per la palestra

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fonti proteine vegetali

Le proteine animali fanno male, le proteine vegetali non servono a niente.

Eppure, sia gli onnivori che i vegani sopravvivono.

Come sempre, ragionare in termini assoluti e semplificati non è la strada giusta per capire davvero come funziona il tuo organismo, di cosa ha bisogno, quali sono i nutrienti che servono e quali no. Anche se, affidarsi al “sentito dire”, a (ig)noti siti internet poco scientifici o a pubblicità che promettono tanto ma non mantengono niente va molto di moda.

Le proteine vegetali sono considerate “poco utili” (e probabilmente per questo motivo spesso non conteggiate nelle calorie giornaliere) a causa del loro valore biologico.

Come puoi fare se sei vegano o vegetariano e anche uno sportivo, uno che va in palestra o uno che fa bodybuilding?

Proteine vegetali: cosa sono?

Le proteine vegetali sono macromolecole costituite da aminoacidi presenti in alimenti vegetali, come i legumi, i cereali, la frutta secca. Dal punto di vista nutrizionale fanno parte della famiglia delle proteine (insieme a quelle animali) e vanno pertanto sempre considerate nel calcolo del fabbisogno proteico e calorico, anche se con qualche accorgimento dovuto alle loro caratteristiche di assimilazione.

Una volta assorbite, i loro aminoacidi vengono messi a disposizione dell’organismo per garantire la funzionalità.

A cosa servono?

Dal punto di vista dell’organismo, le proteine vegetali hanno lo stesso scopo di quelle animali: principalmente, apportare aminoacidi per la biosintesi di proteine utili all’organismo.

Infatti, l’origine della proteina ingerita importa ben poco alla digestione e all’assorbimento a livello del tratto gastro-intestinale. Il (qualsiasi) protide assimilato subisce sempre lo stesso destino: la macromolecola costituita da più subunità (aminoacidi) legate tra loro viene scissa in unità più piccole, singoli aminoacidi o di/tri-peptidi. Proprio questi, poi entrano nel circolo sanguifero a disposizione dell’organismo.

Rispetto all’assorbimento di zuccheri e lipidi, questo processo richiede molta più energia e tempo all’organismo, in quanto le proteine sono strutturalmente più complesse.

Valore biologico e valori nutrizionali

Argomento tra i più scottanti sulle proteine: il valore biologico (VB). È usato come parametro per valutare la qualità delle proteine introdotte tramite l’alimentazione. Il suo impatto metabolico viene calcolato tramite il conto dell’azoto introdotto tramite il cibo e quello eliminato tramite feci e urine. Sostanzialmente rappresenta la quantità di azoto utilizzato e assorbito al netto delle perdite tramite le escrezioni.

Considera la quantità, la qualità e il rapporto degli aminoacidi essenziali (EAA), indicando quanto la composizione amminoacidica sia sbilanciata. Gli EAA sono nove e sono quelli che il corpo non è in grado di sintetizzare: indispensabile, quindi, introdurli tramite l’alimentazione.

Il riferimento per valutare se una proteina è ad alto o basso VB è la composizione delle proteine umane: più lo spettro amminoacidico di una proteina è simile a quello umano, maggiore è il VB. Le proteine animali hanno un maggior valore biologico, mentre quelle vegetali minore.

In realtà è un parametro da prendere con le pinze: dedurre direttamente da questa informazione che le proteine vegetali non servono all’uomo è una conclusione affrettata.

Alimento Valore biologico
Uovo 100
Pane di segale 75
Granoturco 75
Soia 74
Fagioli 73
Riso 59
Pane di frumento 56
Patata 34

Come assumerle

Le proteine vegetali le trovi sia in veri e propri alimenti (soprattutto legumi) che in polvere, da assumere come utile spuntino in caso di atleta vegano o in generale per raggiungere il fabbisogno proteico se tramite i pasti solidi non riesci a raggiungerlo.

I protidi vegetali puoi consumarli normalmente ai pasti, meglio ancora se in abbinamento a altre fonti vegetali proteiche, a cereali o ad altre fonti amminoacidiche animali, per avere uno spettro amminoacidico più funzionale: dalla varietà c’è solo che da trarne beneficio.

Quali sono le proteine vegetali

proteine nei vegetali

Le proteine vegetali non derivano da un’unica fonte alimentare (come leggerai successivamente) e inoltre possono rispondere a più esigenze: per i celiaci esistono quelle senza glutine, per chi tiene di più a comprare prodotti biologici ci sono quelle bio, senza contare che esistono quelle a basso o alto contenuto di carboidrati e/o grassi.

Proteine vegetali biologiche (bio)

La scritta “bio” su un qualsiasi prodotto spesso suscita più interesse del prodotto che non ce l’ha scritto: sembra un prodotto sano a prescindere, che fa dimagrire, che non fa male, con chissà quali miracolose proprietà nutrizionali. Magari la dicitura “bio” lo rende privo di calorie.

Naturalmente, (quasi) niente di tutto questo: le proteine vegetali biologiche non sono altro che normali proteine vegetali dal punto di vista nutrizionale, calorico e organolettico. La differenza sussiste nel fatto che quelle bio hanno una garanzia in più, che assicura che nella loro produzione sono stati escluse sostanze chimiche come pesticidi o diserbanti.

Idrolizzate

Le proteine in polvere idrolizzate sono in generale le più veloci da assorbire e quindi le migliori per quanto riguarda l’assunzione prima dell’allenamento o di una gara, ma anche per chi ha difficoltà di digestione: infatti, non appesantisco il sistema digerente, garantendo comunque un’ottimale assimilazione.

Senza glutine

Gli alimenti che contengono glutine e che sono quindi da escludere dalla dieta sono sostanzialmente frumento, kamut, segale, orzo e farro, alimenti che contengono proteine per il 10-15% del totale. Anche se sei celiaco, puoi comunque avere una gamma di alimenti abbastanza ampia a cui fare riferimento e comprendere nella tua alimentazione legumi (soprattutto la soia e derivati), frutta secca, semi e cereali come il grano saraceno, il riso, la quinoa, l’amaranto.

Con pochi carboidrati

Tra gli alimenti vegetali quelli con un maggior profilo proteico e lipidico sono sicuramente tutte le tipologie di frutta secca (noci, mandorle dolci, pistacchi) con i loro derivati come il latte vegetale o le arachidi, che non fanno parte della frutta secca ma della famiglia dei legumi.

Non si tratta di alimenti vegetali privi di carboidrati dato che questi restano comunque un macronutriente in media abbastanza rappresentato, ma tra i cibi proteici vegetali sono sicuramente quelli con meno carboidrati.

Proteine vegetali e animali a confronto: quali sono le differenze?

Le proteine di origine animale hanno un buon bilanciamento di tutti gli aminoacidi e non hanno nessuna carenza dei nove aminoacidi essenziali (EAA). Le proteine vegetali, invece, non hanno un quadro amminoacidico completo perché alcuni EAA mancano. Più tecnicamente, queste ultime presentano aminoacidi limitanti, cioè quell’aminoacido essenziale assente (o presente nella concentrazione più bassa rispetto al fabbisogno), la cui mancanza (o bassa concentrazione) limita o impedisce l’utilizzo degli altri amminoacidi nella sintesi proteica.

Ad esempio, i cereali sono generalmente carenti di lisina e triptofano, mentre i legumi sono carenti di metionina e cisteina: motivo per il quale vengono considerati alimenti a basso/medio VB.

Alimenti ricchi di proteine vegetali: dove si trovano?

Le proteine vegetali le puoi trovare in diverse famiglie di alimenti: legumi, cereali, pseudo-cereali, semi, frutta secca, alghe e derivati della soia.

In queste tabelle e quelle successive relative a legumi e cereali, trovi alcuni esempi e riferimenti riguardo al contenuto proteico per 100 g di prodotto.

SEMI

Alimento Proteine su 100g
Canapa 31,5g
Girasole 21g
Zucca 19g
Chia 15,6g

ALGHE

Alimento Proteine su 100g
Spirulina essiccata 57g
Wakame 3,1g

FRUTTA SECCA

Alimento Proteine su 100g
Arachidi 26g
Mandorle 16g
Anacardi 15g
Nocciole 15g
Pinoli 13,7g
Noci 10,5g

DERIVATI DALLA SOIA E ALTRI ALIMENTI

Alimento Proteine su 100g
Seitan 24g
Tempeh 19g
Hamburger di soia 17g
Tofu 15,8g
Yogurt di soia 4g
Latte di soia 3,3g
Latte di avena 0.3g

Cereali con più proteine

Tra i cereali più proteici ci sono l’avena (16.4 g proteine) e il farro (15.1). A seguire con 12-10 g di protidi ci sono tutti i prodotti a base di orzo, grano, miglio, segale, farina di mais.

Interessanti per contenuto proteico anche gli pseudocereali come quinoa, amaranto e grano saraceno, che ben si adattano ad una dieta priva di glutine.

CEREALI

Alimento Proteine su 100g
Avena 16,4g
Farro 15,1g
Orzo 12,5g
Grano 12g
Miglio 11g
Segale 10,3g
Farina di Mais 9,4g
Riso 6,5g

PSEUDO-CEREALI

Alimento Proteine su 100g
Quinoa 14,2g
Amaranto 13,5g
Grano Saraceno 13,2g

Qual è il legume più proteico?

Alimento Proteine su 100g
Lupini 36g
Lenticchie 26g
Fagioli 20,2g
Ceci 19,3g
Soia secca/idratata 36/13g
Fave 8g
Piselli 5,4g
Fagiolini 1,8g

I legumi in assoluto più proteici sono i lupini e la soia. A parità di peso secco (100 g) entrambi contengono circa 36 g di protidi e differiscono di una trentina di calorie. I lupini contengono circa il doppio dei carboidrati rispetto alla soia e viceversa per i grassi: la soia contiene circa il doppio dei lipidi presenti nei lupini.

Proteine vegetali per il bodybuilding e la palestra

Timing proteico, BCAA, creatina, integratori vari, ecc. sono diventati indispensabili per la crescita muscolare e l’ottimizzazione delle performance sportiva. Che peso possono avere le povere e a basso valore biologico in palestra? Meglio scartarle!

Naturalmente non è così. La priorità, anche per la palestra, non è comprare l’integratore di marca di successo di turno: prima di tutto, alla base della piramide per la crescita muscolare e in generale per la salute, c’è l’introito proteico totale. Prima di pensare ad altro (timing proteico, BCAA, creatina, integratori vari, ecc.) è bene assicurarti di star assumendo il giusto quantitativo di proteine.

Meglio mangiare un bel piatto di pasta e fagioli a pranzo che 40 g di barrettina proteica con proteine dei legumi 13 minuti e 27 secondi prima di iniziare l’allenamento.

Proteine vegetali e muscoli

Tutte le volte in cui le proteine vegetali vengono definite inutili, un atleta vegano perde 1 kg di massa muscolare e 10 kg di massimale di squat.

A causa del valore biologico, è chiaro che una proteina vegetale non fornisce l’ottimale profilo amminoacidico che può darti una proteina animale, ma dev’essere anche chiaro allo stesso modo che, con più impegno, anche tramite amminoacidi derivanti da cibi vegetali puoi avere gli stessi risultati – grazie ad un aumento delle quantità e una maggior varietà delle fonti alimentari.

Proteine vegetali per la massa muscolare

Alla massa muscolare per crescere serve, in un contesto anabolico, che ci sia uno stimolo alla sintesi proteica muscolare (MPS). La MPS è garantita in misura minore dalle proteine vegetali per più motivi:

  1. Il già considerato valore biologico
  2. La minor digeribilità: a parità di quantità, l’organismo riesce a ricavare meno aminoacidi dagli alimenti vegetali rispetto a quelli animali
  3. La tendenza delle proteine vegetali ad essere più facilmente convertite in urea, una sostanza metabolica di scarto eliminata tramite le urine.

Per sapere quante proteine servono per la massa muscolare, puoi approfondire con questo articolo.

Quando assumerle?

Dopo esserti assicurato di raggiungere la quota necessaria di proteine giornaliere, puoi iniziare a pensare come è meglio distribuirle nella giornata e nei pasti. Non c’è un limite di assunzione (assolutamente anche più dei famosi “20-30 g alla volta”) per ogni pasto, infatti anche se gli amminoacidi assimilati non verranno immediatamente utilizzati, comunque restano disponibili nel flusso ematico per garantire una concentrazione stabile – lo stesso concetto che vale per i livelli di glucosio nel sangue (glicemia).

Puoi distribuire le proteine in ogni pasto, dalla colazione alla cena, o accumularle in 1 o 2 pasti principali, eventualmente meglio in prossimità dell’allenamento.

Benefici delle proteine vegetali

alimenti vegetali ricchi di proteine

Rispetto alle proteine animali, le proteine vegetali non hanno particolari benefici se le consideri come macronutriente a sé, dato che, una volta assimilate, sempre e solo di amminoacidi da utilizzare si tratta.

La differenza sta nelle caratteristiche dell’alimento completo che contiene le proteine. L’alimento proteico vegetale, rispetto a quello proteico animale, contiene più fibre e meno lipidi – fatta eccezione per la frutta secca che è densamente lipidica e calorica.

Questo corrisponde ad un doppio beneficio: le fibre sono importanti per l’equilibrio della flora intestinale e inoltre aumentano il senso di sazietà, mentre il basso contenuto lipidico consente a questi alimenti di poter essere consumati più spesso o in maggior quantità rispetto ad esempio ai tagli di carne rossa o formaggi grassi, fonti di proteine animali e contenenti grassi saturi.

Da un punto di vista meno nutrizionale ma più green, c’è da considerare che in generale i cibi di origine vegetale richiedono hanno un minor impatto ambientale e richiedono meno energia rispetto a quelli derivanti da animali.

Fanno dimagrire?

Come ogni alimento preso singolarmente, anche il cibo proteico vegetale in sé non fa dimagrire così come non fa ingrassare.

La condizione per la quale i protidi vegetali fanno dimagrire è una dieta ipocalorica, nella quale le proteine vegetali (come quelle animali) possono avere un ruolo importante perché aiutano a raggiungere il fabbisogno proteico giornaliero e a garantire sazietà.

Controindicazioni: fanno male?

Le proteine vegetali non fanno più bene o più male di quelle animali: non assumere il giusto quantitativo proteico è più “pericoloso” che mangiare alimenti proteici vegetali. Infatti, contrariamente a quanto forse hai sentito dire, non fanno ingrassare, non fanno male al fegato e neanche ai reni.

Fanno ingrassare?

Fai finta che esistano cibi composti esclusivamente da proteine vegetali e che mangi solo questi per un mese. Sfori con le calorie settimanali: ingrassi. Mangi meno di quello che ti serve: perdi peso.

Quindi?

I protidi vegetali fanno ingrassare solo quando inseriti in un contesto ipercalorico: non nel senso che se mangi troppo sono proprio loro a farti ingrassare, ma bensì è l’eccesso calorico stesso il vero e unico responsabile dell’ingrassamento.

Qui trovi un articolo di approfondimento.

Fanno male ai reni?

È scientificamente assodato che le proteine in generale, anche in regimi iperproteici, non costituiscono un rischio per la funzione renale in soggetti sani, sebbene incrementino il lavoro a carico di questi organi escretori.

Discorso analogo non può essere fatto per individui che presentano già patologie e con i quali è necessario porre più attenzione al contenuto proteico della dieta, per evitare ulteriori danneggiamenti a carico renale che poi potrebbero ripercuotersi a livello sistemico.

Digeribilità

Un’importante differenza tra proteine vegetali e animali, spesso non considerata o conosciuta quando si stila un regime alimentare vegetale, è che le proteine vegetali hanno difficoltà ad essere assimilate a causa della presenza nell’alimento di fibre alimentari, antinutrienti e fitocomposti.  Infatti, la presenza di acido fitico (inibitore della tripsina) e altri anti-nutrienti rendono queste proteine meno digeribili e di conseguenza assimilabili.

Cosa fare, quindi, quando vuoi calcolare il fabbisogno proteico nel vegano?

  1. Tenere conto di introdurre anche gli amminoacidi mancanti (mix cereali legumi, utilizzare diverse fonti alimentari vegetali dalle quali ottenere gli EAA, integratori di proteine o EAA);
  2. Tenere conto della minore digeribilità delle proteine da fonti vegetali.

Come intervenire in relazione al punto 2? Semplicemente puoi “sovrastimare” la quota di proteine che vuoi introdurre di 0.6 g/kg: ad esempio se ad un onnivoro daresti 1.8 g/kg, il corrisponde proteico per il vegano è 2.4 g/kg.

Altro metodo consiste nel tenere conto del fatto che le proteine vegetali hanno circa il 20-35% di digeribilità in meno (è una stima ovviamente). Quindi, dovrai aumentare del 20-35% la quota proteica giornaliera assegnata.

Proteine vegetali in polvere

In termini pratici puoi ovviare con proteine vegetali in polvere o integratori di EAA a carenze proteiche, che possono verificarsi in diete vegetariane o vegane come in quelle onnivore.

Utili anche per chi ha un rapporto conflittuale con il lattosio sono le proteine in polvere della soia, della canapa, del pisello e del riso – esistono altre fonti ma sono meno comuni e usate. Le proteine della soia presentano un’alta concentrazione di BCAA, lisina e glutammina e sono ad alto assorbimento (molto simili alle whey in questo), hanno un’alta qualità proteica e sono abbastanza economiche. Di contro hanno il sapore: quello neutro ricorda il fieno, mentre quelle aromatizzate sanno di legumi. Tendono a formare un coagulo e non sono quindi facilmente miscelabili.

Le proteine di riso, pisello e canapa sono abbastanza economiche e di buona qualità, come buona alternativa a quelle della soia. In particolare, quelle della canapa sono anche interessanti per il contenuto di fibre e acidi grassi essenziali.

Le migliori proteine vegetali

Se ad inizio articolo eri concorde con l’affermazione “le proteine vegetali sono inutili”, adesso forse hai cambiato idea: le proteine vegetali sono utili tanto quanto quelle animali, richiedono solo un po’ più di attenzione nel gestire le quantità per ottenere al massimo i vantaggi, a prescindere dalla fonte da cui derivano.

A seconda della richiesta, la migliore proteina vegetale è quella che la soddisfa e che risponde alle tue esigenze: ad esempio, quelle non contenute nei cereali con glutine per i celiaci o a quelle della frutta secca se devi raggiungere un’alta quota di grassi e di calorie giornaliere.

Ma la vincitrice assoluta resta la varietà delle fonti!

Co-autore: dott. Francesco Ragone 

Biologo nutrizionista. Appassionato al mondo della nutrizione ed interessato particolarmente al mondo della nutrizione sportiva. Uscito dall’università e abilitato alla professione, decide di frequentare fin da subito i corsi della Scuola di Nutrizione Salernitana di Francesco Buoniconti. Attualmente segue diversi pazienti e atleti di varie discipline sportive. Collabora con Luca usai, il Dojo Team Carvelli Perreca, Gym Palestra e Ars Movendi.

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E-mail: nutrizionistaragone@gmail.com
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Muscolo deltoide: anatomia, funzioni ed esercizi

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deltoide

Deltoide anteriore, laterale e posteriore: anatomia, funzioni ed esercizi efficaci

Il deltoide è uno dei muscoli più famosi che muove il complesso articolare della spalla, nonché uno dei muscoli più desiderati nel panorama del fintess e del bodybuilding. In questo articolo affronteremo in maniera sintetica ma incisiva l’anatomia del deltoide, il ruolo dei fasci anteriori, laterali e posteriori che lo compongono, le sue funzioni nei movimenti della spalla e gli esercizi utili a stimolarlo e rinforzarlo. Come è fatto il deltoide? Quali esercizi per le spalle eseguire ? Scopriamolo insieme.

Muscolo deltoide: che cos’è?

deltoide anatomia

Il deltoide è un voluminoso e potente muscolo della spalla, che ricopre e protegge le articolazioni principali di questo distretto anatomico, conferendovi inoltre la tipica rotondità che lo caratterizza.  Prende il nome dalla sua forma, appunto “a delta”, che ne conferisce caratteristiche geometriche davvero peculiari. Tale forma è il diretto risultato di una struttura anatomica complessa e particolare, quasi unica tra i muscoli del corpo umano.

Deltoide: anatomia, origine e inserzione

Semplificando il discorso al suo primo approccio, possiamo dire che i deltoidi sono divisi in tre porzioni muscolari distinte, aventi localizzazione differente e funzionalità differente. Le tre porzioni in questione sono il:

Le tre componenti qui elencate aventi origini scheletriche differenti trovano inserzione tramite un tendine comune a livello della tuberosità deltoidea dell’omero.

Anatomia e funzioni del muscolo deltoide
Origine  Terzo laterale della clavicola (porzione anteriore), acromion (porzione intermedia), spina della scapola (porzione posteriore)
Inserzione  Tuberosità deltoidea dell’omero
Azione Abduce la spalla, flette e intraruota la spalla (porzione anteriore), estende ed extraruota la spalla (porzione posteriore)

Muscolo deltoide: funzioni

Il muscolo deltoide, nell’esplicare la sua funzionalità sulle spalle, è strettamente influenzato dalla sua topografia e dalla sua composizione in tre parti differenti. Se infatti da un punto di vista più generale, visto il suo andamento, è considerato il principale motore dell’abduzione della spalla, è pur vero che, le tre porzioni che lo compongono possiedono funzioni distinte e anche opposte tra loro (all’interno del medesimo ventre muscolare abbiamo parti antagoniste tra loro). Analizziamo nel dettaglio tali funzioni, differenziandole per ciascuna delle tre componenti del deltoide.

anatomia capi del deltoide

Deltoide anteriore

Partendo dalla posizione anatomica del corpo umano, il deltoide anteriore flette e intraruota l’omero e lo abduce con le sue fibre più vicine al deltoide intermedio.

Flessione e intrarotazione
Movimento di flessione di spalla (a sinistra) e di intrarotazione di spalla (a destra)

Deltoide laterale

Partendo dalla posizione anatomica del corpo umano, il deltoide intermedio abduce l’omero con la totalità delle sue fibre muscolari.

Abduzione
Movimento di abduzione di spalla a 90°(da sinistra verso destra)

Deltoide posteriore

Partendo dalla posizione anatomica del corpo umano, il deltoide posteriore estende ed extraruota l’omero, lo abduce lungo il piano trasversale, lo abduce lungo il piano frontale con le sue fibre più vicine al deltoide intermedio e lo adduce con le sue fibre più lontane dal deltoide intermedio.

Movimenti deltoide posteriore
Da sinistra verso destra, movimenti di estensione di spalla, extrarotazione e abduzione sul piano trasversale

Alzate laterali e deltoide: quale fascio è più attivo?

Il deltoide è uno di quei muscoli del corpo che subisce una forte influenza dalla posizione dei segmenti anatomici da lui mossi nell’esplicare le sue funzioni. Ciò essenzialmente significa che, a seconda della posizione di partenza dell’omero, le porzioni che lo compongono possono cambiare funzione e intervenire in maniera differente nella biomeccanica dell’abduzione. Nello specifico:

  • Se l’omero parte in extrarotazione il deltoide anteriore è il principale abduttore, coadiuvato dal deltoide intermedio;
  • Se l’omero parte in posizione neutra il deltoide intermedio è il principale abduttore, coadiuvato dal deltoide anteriore e posteriore;
  • Se l’omero parte in intrarotazione il deltoide posteriore è il principale abduttore, coadiuvato dal deltoide intermedio.

Allenamento deltoidi alzate laterali

Ciò si ripercuote anche nella pratica durante l’esecuzione di esercizi famosi per la sua stimolazione come lento avanti e alzate laterali.

Dolore al deltoide in palestra: cause comuni

Nell’allenamento in palestra infortuni e dolori a livello della spalla sono molto comuni. Il muscolo deltoide non è quasi mai la sorgente primaria del dolore. Dolori e fastidi nella zona del deltoide, infatti, sono dovuti nella stragrande maggioranza dei casi a quadri patologici come le tendinopatie della cuffia dei rotatori e/o del capo lungo del bicipite, infiammazione delle borse (borsiti), insufficiente gestione funzionale delle pressioni tra testa omerale e acromion (“dolore sub-acromiale”, che sostituisce l’oramai obsoleto termine “conflitto/impingement subacromiale”) e instabilità articolare di spalla.

Dolore spalla

Le strutture che causano dolore comprendono quindi nella maggior parte dei casi i muscoli della cuffia dei rotatori e i loro tendini, le borse, il capo lungo del bicipite, le strutture capsulari e legamentose.

Il deltoide non è incluso fra questi, non avendo quasi mai un ruolo diretto nella genesi del dolore, ma può agire su di esso in maniera indiretta: quando i muscoli della cuffia dei rotatori non sono abbastanza forti e/o resistenti può accadere che il deltoide, eccessivamente più forte di questi ultimi (rispetto alla normalità), provochi un anomala ed eccessiva traslazione superiore della testa omerale durante la sua attivazione; traslazione che normalmente verrebbe neutralizzata e stabilizzata dalla cuffia dei rotatori, che però in questi casi è troppo debole per svolgere il proprio ruolo.

Questa traslazione eccessiva della testa omerale può portare nel tempo a stress eccessivi e anomalie artrocinematiche nella spalla, arrivando talvolta a causare dolore.

Il dolore evocato nelle condizioni patologiche appena elencate è generalmente molto localizzato, insorto lentamente, senza un trauma apparente, e che via via può acutizzarsi nel tempo, presentandosi spesso durante esercizi di spinta e sollevamento come il Lento Avanti, la Panca Piana e le Alzate Laterali.

Panca piana

Le cause che portano a queste condizioni possono essere molte, ma nella maggior parte dei casi i principali responsabili sono i fattori che rientrano nella categoria dell’”overuse” (volumi e/o intensità di allenamento eccessivi, progressioni negli allenamenti troppo affrettate poco graduali, esecuzioni scorrette di esercizi con conseguente incremento dei fattori di rischio infortuni). Altri fattori che possono avere un ruolo diretto o indiretto nella genesi del dolore (si parla di “fattori contribuenti”) sono debolezze e disequilibri muscolari, rigidità articolari, età, fattori e predisposizioni genetiche, stili di vita, livello di salute e fitness generale, qualità del sonno, alimentazione, presenza di altre patologie, storia passata di dolore di spalla ecc…

Dolore spalla

Rimedi per il dolore ai deltoidi

Una volta scoperte le possibili cause di dolore nella zona dei deltoidi (anche se abbiamo visto che le cause non sono attribuibili a questi ultimi), andiamo ad analizzare i possibili rimedi.

Dato che il principale responsabile dell’insorgenza di tendinopatie e infiammazioni in ambito fitness è l’”overuse”, il primo accorgimento fondamentale sarà sicuramente la correzione del dosaggio dei parametri allenanti (volume, intensità, frequenza…), pianificando una programmazione individualizzata che rispetti il principio della gradualità dello stimolo in base alle proprie attuali capacità funzionali.

Istruttore

In secondo luogo sarà importante inserire negli allenamenti esercizi di rinforzo per i distretti muscolari riscontrati deboli ed esercizi di allungamento per le strutture eccessivamente rigide. Spesso nei quadri di dolore di spalla si riscontrano debolezze nei muscoli della cuffia dei rotatori (in particolare infraspinato e piccolo rotondo) e nei muscoli periscapolari (in particolare il trapezio medio e inferiore), mentre rigidità eccessive sono frequenti nella porzione posteriore della capsula articolare della spalla.

L’aumento delle capacità funzionali del complesso della spalla, ottenuto in tal modo, porterà nel tempo alla riduzione del dolore e alla minimizzazione del rischio di future recidive.

Come allenare il deltoide anteriore in palestra e a corpo libero

Passati in rassegna caratteristiche strutturali e funzionali del muscolo deltoide, vediamo ora qualche cenno sull’allenamento. Come per le funzioni, anche l’esecuzione degli esercizi è influenzata dall’anatomia peculiare di questo muscolo. Nello specifico, molta attenzione è riposta nell’allenare il deltoide anteriore ed il deltoide posteriore. Gli esercizi per queste due porzioni muscolari prendono vita essenzialmente da quella regola base che per l’allenamento di un muscolo prevede sempre di eseguire la funzione anatomica contro gravità con un sovraccarico.

Alzate frontali

Per quanto concerne gli esercizi specifici mirati al deltoide anteriore abbiamo le cosiddette alzate frontali. Questo famoso movimento deve seguire alcuni concetti chiave per essere eseguito nel migliore dei modi senza errori, veicolando al massimo lo stimolo meccanico e diminuendo il rischio infortunio:

  • l’esercizio può essere eseguito con manubri, bilanciere o al cavo;
  • in tutti i casi il movimento previsto è una flessione pura di spalla fino a 90°, eseguita in maniera controllata e senza slanci. Durante l’esercizio il gomito si mantiene lievemente flesso per evitare di sovraccaricare eccessivamente l’apparato legamentoso;
  • può essere eseguito in piedi (con tutti i tipi di sovraccarico) o seduto (solo con manubri);
  • nella variante con manubri può essere eseguito alternato o insieme, evitando in tutti i casi di perturbare la corretta postura limitando i compensi. Si possono inoltre associare rotazioni dell’omero alla flessione. Può essere sensato associare una lieve intrarotazione durante il movimento (il deltoide anteriore è un intrarotatore), senza tuttavia esasperare il movimento pena un aumentato rischio infortunio alla spalla. Anche le varianti in rotazione neutra e in extrarotazione sono tuttavia altrettanto utili ai fini di un’efficace stimolazione muscolare.

deltoide anteriore alzate frontali

E’ inoltre importante sottolineare che anche alcuni esercizi multiarticolari spesso eseguiti per stimolare altri muscoli, come la panca piana o inclinata, il lento avanti e i piegamenti sulle braccia, attivano in maniera indiretta il deltoide anteriore e possono essere considerati a tutti gli effetti esercizi utili a stimolarlo.

lento avanti

Nel Calisthenics (allenamento a corpo libero) il deltoide anteriore è molto attivo in esercizi come i Dip alle parallele, la verticale e i piegamenti in verticale (e le varie propedeutiche come i “Pike push up”), e in “skill” come la Planche (e tutte le sue propedeutiche e varianti), il Back Lever, L-Sit, Human Flag ed in generale in tutti i lavori di spinta.

Planche

Come allenare il deltoide intermedio in palestra e a corpo libero

Per quanto concerne gli esercizi specifici mirati al deltoide intermedio (o laterale) l’esercizio principe sono le famose Alzate Laterali, eseguite in piedi o da seduto, con manubri o ai cavi. Sebbene molti esercizi multiarticolari allenino indirettamente il deltoide anteriore (esercizi di spinta) e il deltoide posteriore (esercizi di tirata), i fasci intermedi del deltoide (seppur attivati anch’essi in tali esercizi) non ricevono uno stimolo allenante pari a quello ricevuto dagli altri due fasci durante questi esercizi. Le alzate laterali, in particolare se eseguite con rotazione neutra dell’omero, sono forse l’unico esercizio veramente in grado di stimolare in modo importante il deltoide intermedio. Affinchè ciò sia possibile l’esecuzione dovrà rispettare alcuni principi:

  • Il movimento eseguito è un’abduzione lungo il piano scapolare (inclinato anteriormente di circa 30° rispetto al piano frontale) eseguita in maniera controllata e senza slanci. Durante l’esercizio il gomito si mantiene lievemente flesso per evitare di sovraccaricare eccessivamente l’apparato legamentoso
  • Per evitare errori il movimento deve mantenersi sempre lungo il piano scapolare
  • Per focalizzare lo stimolo allenante sul deltoide intermedio si dovrà eseguire l’esercizio con una rotazione neutra dell’omero

Come allenare il deltoide posteriore in palestra e a corpo libero

Per quanto concerne gli esercizi specifici mirati al deltoide posteriore abbiamo le cosiddette alzate posteriori o laterali proni su panca o con busto flesso a 90°, le aperture ai cavi e il macchinario rear delt. Tutti e tre le modalità seguono gli stessi principi:

  • in tutti i casi il movimento eseguito è un’abduzione lungo il piano trasversale eseguita in maniera controllata e senza slanci. Durante l’esercizio il gomito si mantiene lievemente flesso per evitare di sovraccaricare eccessivamente l’apparato legamentoso;
  • per evitare errori il movimento deve mantenersi sempre lungo il piano trasversale coi gomiti alla stessa altezza delle spalle. Mai tenere i gomiti sotto la linea delle spalle. Durante la rear delt è importante mantenere sempre dritto il tronco senza mai inclinarsi in avanti;
  • nelle alzate laterali proni su panca l’utilizzo dei manubri permette di associare rotazioni dell’omero al movimento in oggetto. L’esecuzione consigliata è quella in rotazione neutra, mentre l’intrarotazione se è vero che favorisce il deltoide posteriore è altrettanto vero che alza il rischio infortunio alla spalla. L’extrarotazione associata invece, se è vero che rispetta maggiormente la funzionalità del muscolo (il deltoide posteriore è un extrarotatore) è altrettanto vero che favorisce la linea di azione del deltoide intermedio come attore principale nel movimento.

esercizi alzate posteriori

E’ inoltre importante sottolineare che anche alcuni esercizi multiarticolari spesso eseguiti per stimolare altri muscoli, come il pulley a presa larga, le trazioni, la lat machine e il rematore attivano in maniera indiretta il deltoide posteriore e possono essere considerati a tutti gli effetti esercizi utili in tal senso.

100 trazioni 200 piagmenti 400 squat

Nel Calisthenics (allenamento a corpo libero) il deltoide posteriore è molto attivo in esercizi come i Pull-up (e le varie propedeutiche come gli Australian Pull Up), Muscle Up, Icecream Maker, e in “skill” come il Front Lever (e tutte le sue propedeutiche e varianti), ed in generale in tutti i lavori di tirata.

Esercizi di stretching (allungamento) per i deltoidi

Il muscolo deltoide può aver bisogno di essere allungato. Le spalle spesso diventano rigide, sia per una componente muscolare, sia capsculare. In questi due casi è consigliato fare dello stretching e della mobilità articolare.

Per lo stretching del deltoide ci sono diversi esercizi che allungano i vari capi in modo specifico:

  • flettendo la spalla in avanti allunghiamo il capo e la capsula posteriore
  • abducendo in alto le braccia allunghiamo il capo laterale
  • estendendo indietro le braccia allunghiamo il capo e la capsula frontale

Esercizi di stretching deltoide

Oltre allo stretching statico è importante eseguire esercizi di mobilità per le spalle, come le circonduzioni libere e col bastone.

Conclusioni sul deltoide

In conclusione possiamo affermare che il deltoide è un muscolo estremamente importante sia da un punto di vista prettamente funzionale che da un punto di vista estetico. Conoscere la sua anatomia e il suo funzionamento ci renderà in grado di ottimizzarne l’allenamento, evitando di cadere in errori molto frequenti che possono vanificare ogni sforzo, e di ridurre al minimo la possibilità di infortuni e dolori alla spalla.

Video Anatomia muscoli del tronco:

L'articolo Muscolo deltoide: anatomia, funzioni ed esercizi proviene da Project inVictus.

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