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Crunch vs Plank: qual è il migliore?

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Plank e crunch

Avere degli addominali scolpiti è solitamente uno dei principali obbiettivi estetici di tutti coloro che si allenano in palestra. Negli anni sono state proposte un’infinità di strategie, tecniche ed esercizi per allenare questo distretto, creando e diffondendo in molti casi falsi miti e promesse illusorie.

Il crunch è forse il più famoso esercizio per allenare l’addome. Per molto tempo, infatti, è stato considerato il re degli esercizi per questo distretto muscolare, ritenuto da molti indispensabile in un qualsiasi programma di allenamento che si rispetti. Negli ultimi anni, tuttavia, la fama di questo esercizio è andata via via sbiadendo, al contrario del plank, la cui popolarità è andata a crescere esponenzialmente. Questo probabilmente è dovuto ad alcuni fattori come la diffusione del functional training, la paura diffusa dei rischi associati alla flessione del rachide (che avviene durante il crunch), e l’idea generale che il plank alleni i muscoli addominali meglio del crunch.

Ma è proprio così? Il plank è davvero migliore del crunch sotto tutti i punti di vista? Quale esercizio è migliore per allenare i muscoli addominali? Quale dei due attiva maggiormente questi muscoli? Quale è più sicuro e meno rischioso? Analizziamo la questione, basandoci come sempre sulla più recente letteratura scientifica.

Analisi e biomeccanica del crunch e del plank

Partiamo con l’analizzare questi due esercizi. Ad una prima occhiata, sembrano molto differenti: nel crunch siamo distesi a pancia in su (supini), tipicamente con le ginocchia flesse e le braccia tenute dietro la testa, incrociate sulle spalle o tese in avanti, e da qui si solleva parzialmente il tronco attraverso un movimento di flessione del rachide, per poi ritornare in posizione di partenza.

Al contrario, nell’esercizio plank siamo a pancia in giù (proni) con i gomiti e le punte dei piedi in appoggio sul pavimento, a scaricare il peso del corpo, mantenuto in posizione orizzontale. Nonostante possano sembrare movimenti così diversi, entrambi gli esercizi hanno come target il retto addominale, obliqui interni, obliqui esterni e trasverso dell’addome. Anche altri muscoli verranno attivati, come il retto femorale, l’ileopsoas e gli erettori spinali.

Se facciamo un passo indietro e guardiamo questi due esercizi alle fondamenta, siamo in realtà di fronte a due esercizi molto simili, uno isotonico e uno isometrico. Nel crunch, infatti, assistiamo ad una contrazione muscolare concentrica ed eccentrica, con accorciamento e allungamento ripetuto dei muscoli, mentre nel plank (esercizio isometrico) la lunghezza del muscolo viene mantenuta uguale durante la durata dell’esercizio, mentre questo rimane comunque in contrazione.

Va detto che esistono un’infinità di varianti di questi due esercizi, in grado di modificare la tipologia di contrazione scelta, il grado di difficoltà e il livello di attivazione muscolare. A fini didattici, in questo articolo saranno analizzate le due varianti classiche di crunch e di plank.

Retto addominale e obliqui: chi è più attivo?

Analizziamo i risultati degli studi che hanno confrontato questi due esercizi, ed in particolare quanto i singoli muscoli addominali siano attivati in uno e nell’altro. Partiamo con una importante premessa: maggior attivazione muscolare non vuol dire necessariamente anche maggiore stimolo ipertrofico.

Partendo dal retto addominale (di gran lunga il più famoso muscolo addominale, responsabile della tanto desiderata “tartaruga”), la cui principale azione è quella di flessione del tronco (portando lo sterno verso la pelvi e viceversa) e la retroversione del bacino (che durante il plank deve essere mantenuta attivamente, in quanto la gravità porterebbe verso l’antiversione).

Retto addominale
Muscolo retto addominale

Alcuni recenti studi hanno confrontato l’attività del retto in questi due esercizi, concludendo che il retto addominale è più attivo nel crunch rispetto al plank (54% della massima contrazione volontaria vs 30%). Questi risultati possono variare ampiamente in base alla variante di plank e crunch che si svolge (anche in questo contesto ci stiamo riferendo alle esecuzioni standard di plank e di crunch). Basandoci su questi risultati, se il nostro obbiettivo è targettizzare quanto più possibile il retto addominale, il crunch sembrerebbe più efficace rispetto al plank.

Crunch

Passiamo ora ai muscoli obliqui interni ed esterni degli addominali. Questi muscoli sono comunemente associati all’azione di inclinazione laterale e rotazione del tronco, ma in realtà oltre a queste funzioni assistono anche il retto addominale nella flessione e nella retroversione del bacino.

Addominali obliqui
Addominali obliqui esterni (sinistra) e interni (destra)

Dagli studi è emerso che i muscoli obliqui sono più attivi nel plank rispetto al crunch. Nel plank, infatti, è stato visto che questi hanno un grado di attivazione del 45% (della massima contrazione volontaria), mentre nel crunch solamente del 32%. Anche il retto femorale è più attivo nel plank, in quanto costretto dalla gravità a mantenere un’estensione isometrica di ginocchio.

Plank

In conclusione, pare che il retto addominale sia più attivo nel crunch, mentre gli altri muscoli (obliqui, retto femorale, paraspinali) siano più attivi nel plank.  Analizziamo ora la questione da un punto di vista riabilitativo e di rischio infortuni.

Crunch, plank e mal di schiena: quale è più efficace?

Consultando la letteratura che ha analizzato il ruolo di questi due esercizi nella riabilitazione del mal di schiena è emerso che nessuno dei due sembra essere superiore dell’altro. Tale conclusione è sicuramente sensata e pronosticabile, in quanto il mal di schiena è un problema altamente soggettivo e variabile, multifattoriale e dipendente da numerosissime variabili, comprendenti sia fattori prettamente biomeccanici che fattori psico-sociali, per cui sarebbe riduttivo pensare solamente a quale è il più efficace fra questi due esercizi in questo contesto. Non sorprende, pertanto, che gli studi non abbiano riscontrato sostanziali differenze tra questi due esercizi in casi di mal di schiena.

Mal di schiena

Crunch, plank e mal di schiena: quale è meno rischioso?

E parlando di fattore di rischio? Quale dei due è più sicuro per la salute della nostra schiena?

Al momento non vi è alcuna evidenza di qualità che dimostri che il crunch abbia un rischio di infortuni più elevato rispetto al plank, nonostante sia stato spesso demonizzato sotto questo aspetto. La colonna vertebrale è stata infatti per anni oggetto di miti e concetti che guardavano questa struttura come fosse “di cristallo”, mentre sappiamo oggi che il rachide è estremamente forte ed adattabile.

Entrambi gli esercizi, in ogni caso, hanno un livello di rischio molto basso (considerando anche che i carichi e le forze in gioco sono molto bassi). Molti pensano che il crunch sia di default un movimento dannoso per la schiena, ma se analizziamo questa tematica in letteratura riscontriamo che i risultati sono estremamente variabili, eterogenei e inconsistenti (basandoci sulla struttura degli articoli e dei parametri analizzati in questi ultimi). Per tale ragione possiamo affermare che al momento nessuna evidenza di qualità dimostra che il crunch sia un esercizio dannoso per la schiena.

Sit up

Quale migliora di più la performance?

Spostandoci in ottica “performance”, i risultati sono simili tra i due esercizi: entrambi apportano miglioramenti, che negli studi analizzati sono stati misurati con il sit-up test, il plank test (essenzialmente in questi test si confrontavano i parametri registrati durante un sit-up e un plank), e con lo sprint a 20 metri. In quest’ottica quindi non possiamo dire quale fra i due esercizi sia più efficace.

Sprint

Conclusioni su crunch e plank

In conclusione, possiamo affermare che la strategia più sensata per ottimizzare l’allenamento dei muscoli addominali sia quella di strutturare programmi di allenamento che includano sia esercizi isometrici che esercizi isotonici, inserendo eventualmente sia il plank che il crunch, in base alle esigenze, al livello funzionale e ai gusti del soggetto, fornendo in tal modo stimoli allenanti di vario tipo ai muscoli di questo tanto desiderato distretto.

Crunch e plank

Bibliografia

– Escamilla, Rafael F., et al. “Muscle activation among supine, prone, and side position exercises with and without a Swiss ball.” Sports health 8.4 (2016): 372-379
– Stenger, Edward M. Electromyographic comparison of a variety of abdominal exercises to the traditional crunch. Diss. 2013.
– Pierce, S. E. (2017). Electromyographical comparison of the abdominal crunch to planks performed with and without a suspension trainer (Doctoral dissertation, California State University, Fresno).
– Childs, J. D., Teyhen, D. S., Benedict, T. M., Morris, J. B., Fortenberry, A. D., McQueen, R. M., … & George, S. Z. (2009). Effects of sit-up training versus core stabilization exercises on sit-up performance. Medicine & Science in Sports & Exercise, 41(11), 2072-2083.
– Parkhouse, K. L., & Ball, N. (2011). Influence of dynamic versus static core exercises on performance in field based fitness tests. Journal of bodywork and Movement Therapies, 15(4), 517-524.
– Wade, K. R., Robertson, P. A., Thambyah, A., & Broom, N. D. (2014). How healthy discs herniate: a biomechanical and microstructural study investigating the combined effects of compression rate and flexion. Spine, 39(13), 1018-1028
– Gooyers, C. E., McMillan, E. M., Noguchi, M., Quadrilatero, J., & Callaghan, J. P. (2015). Characterizing the combined effects of force, repetition and posture on injury pathways and micro-structural damage in isolated functional spinal units from sub-acute-failure magnitudes of cyclic compressive loading. Clinical Biomechanics, 30(9), 953-959.
– Veres, S. P., Robertson, P. A., & Broom, N. D. (2010). ISSLS prize winner: how loading rate influences disc failure mechanics: a microstructural assessment of internal disruption. Spine, 35(21), 1897-1908

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Abbuffate di dolci e cibo: ingrasso tanto?

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Abbuffate di dolci

Chi dopo abbuffate di dolci non ha mai pensato di stare a digiuno per un giorno o di andare a correre a sfinimento per rimediare allo sgarro? Funziona fare così? Serve?

Fare abbuffate di cibo, per un motivo o per un altro, capita ed è normale: tanto vale capire cosa sono e imparare a gestirle nel modo migliore!

Che cosa significa abbuffate?

Quando mangi un pasto abbondante fino all’eccesso puoi considerarlo una vera e propria abbuffata. Può essere il pranzo di Natale, di un matrimonio o di altre occasioni, quando lo spazio nello stomaco (non solo per il dolce) lo trovi sempre. Ma oltre a queste cause che potrebbero essere definite sociali, ci sono quelle fisiologiche: hai finito allenamento, hai una fame esagerata e finisci con lo svuotare il frigo.

Oppure, ci sono motivazioni più nascoste, quelle psicologiche, legate alle emozioni (fame nervosa): sei depresso e una vaschetta di gelato sembra l’unica cosa che possa farti sentire gratificato. Ma appena la finisci, anche la sensazione di appagamento termina. E allora ti mangi qualche quadratino di cioccolato, senza una reale necessità se non quella di sentirti meglio.

Quando gli episodi di abbuffata diventano frequenti e collegati al fattore psicologico si può parlare di un disordine del comportamento alimentare, che non verrà trattato in questo articolo.

Insomma, le abbuffate sono ormai un vero e proprio sfogo della nostra società e il cibo assume, sempre di più, il ruolo di gratificare la persona.

Abbuffata di dolci: conseguenze

Super abbuffata serale, il giorno dopo ti pesi e vedi 2 kg in più sulla bilancia rispetto al solito. E in effetti anche allo specchio ti sembri più voluminoso, oltre alla sensazione di gonfiore. Arrivi subito alla conclusione di essere ingrassato. È davvero così?

In realtà, questo ragionamento è sbagliato e deriva dal comune errore del considerare “chili in più sulla bilancia = più grasso corporeo”. Il bello e il brutto della bilancia è che non dice nulla sulla composizione corporea. I chili sono dati dalla somma di grasso, muscolo, organi, acqua e, perché no, quantità di cibo accumulata nel canale digerente in attesa di essere digerita. Nel caso delle abbuffate, gli ultimi due sono quelli sostanzialmente interessati: i carboidrati (presenti nei dolci) richiamano acqua e più il pasto è abbondante più tempo stanzierà nel tubo digerente in attesa di essere assimilato. Il volume idrico è spesso il maggior responsabile dei cambiamenti di peso nel breve periodo. Infatti, è anche facile perdere 1 kg in un giorno (basta non bere): peso che non è di grasso bruciato ma di liquidi corporei in meno.

Tra le conseguenze nell’acuto, quindi, oltre al pesare un pochino di più, il mangiare molto in poco tempo lascia una sensazione di nausea e di sonnolenza, forse di senso di colpa e, si spera, di sazietà che ti farà avere meno fame il giorno dopo.

Quali conseguenze ci sono invece nel cronico?

Dipende! Se si tratta di uno sgarro occasionale a livello di composizione corporea non cambia molto se sai come gestirlo (vedi questo articolo)  ed ha ancora meno impatto se sei sportivo. Al contrario, più hai grasso più è facile accumularlo (mai una gioia).

Quando invece l’abbuffata di dolci diventa un’abitudine… C’è poco da fare: ingrassi! Accumuli moltissime calorie derivanti da alimenti ricchi di grassi e zuccheri che senza troppa difficoltà ti fanno arrivare ad un eccesso calorico e ad adipociti sempre più rimpinguati di acidi grassi stipati al suo interno.

Va bene essere costanti, ma non nell’eccedere con le calorie se vuoi restare normopeso, in salute o dimagrire.

Abbuffata notturna di dolci

abbuffate di dolci

Tra i disturbi dell’alimentazione c’è anche la sindrome dei mangiatori notturni: il soggetto interrompe il sonno, tende a fare uno spuntino prima di riaddormentarsi, mangia almeno il 25% delle calorie dopo cena e durante la notte. Di conseguenza, è facile e normale non avere fame a colazione e nella prima parte della giornata.

Oltre alle ripercussioni sullo stato alimentare, in relazione all’eccesso calorico e relative conseguenze, ci sono anche altri elementi da considerare: infatti il disturbo è definito “sindrome”, che per definizione indica l’insieme di più sintomi in un quadro clinico multifattoriale e non solo di un unico segno clinico.

Quindi, oltre al disturbo dell’alimentazione, il mangiatore notturno ha anche:

  • disturbi legati al sonno, dato che lo interrompe,
  • disturbi correlati all’umore, poiché l’individuo prova depressione, ansia, senso di colpa, scarso autocontrollo, soprattutto nei casi in cui non ricorda di aver mangiato durante le ore notturne.

Se mi abbuffo di dolci dopo cena ingrasso?

Quando abbuffarti di dolci dopo cena diventa un rituale… Sì, decisamente ingrasserai! I dolci sono tra gli alimenti più calorici, ricchi di zuccheri e grassi, e mangiarne in quantità dopo cena incrementa non di poco le calorie che assumi giornalmente.

In questo modo, è molto facile che in una giornata mangi più di quello che ti serve: l’eccesso calorico cronico non sparisce nel nulla, ma va (anche) a riempire gli adipociti.

Non ingrassi, quindi, perché mangi dolci e perché li mangi dopo cena (il malfamato “dopo le 18…”), ma perché eccedi con le calorie. Se ti capita di abbuffarti, che sia a colazione, a pranzo, a cena o prima di andare a dormire dal punto di vista dell’ingrassamento/dimagrimento non cambia nulla.

Come smaltire un’abbuffata di dolci?

Fai uno sgarro da 1500 kcal, quantità che per alcune ragazze potrebbe corrispondere addirittura ad un intero fabbisogno calorico di una giornata. Poi scopri che quando cammini veloce consumi 0.5 kcal/kg/km.  Fai un attimo due calcoli (la matematica della prima elementare torna sempre utile): pesi 70 kg, quindi per smaltire quei biscotti dovresti camminare per 42 km e qualcosa. Vai a New York e fai la maratona?

Non è sicuramente la via più facile (e sensata) per la maggior parte delle persone, anche se sportive.

Di solito, il giorno o i due giorni dopo l’abbuffata si tende a mangiare pochissimo per bilanciare. In questo modo è probabile che data la grande restrizione che attuerai, ti verrà più facile sgarrare di nuovo, preso dalla fame del grande deficit energetico creato. Per evitare di incorrere in una nuova abbuffata, è meglio considerare più giorni per “diluire” quell’eccesso calorico: così bilancerai le calorie settimanali (sgarro incluso), ma senza soffrire troppo la fame e senza ritrovarti di fronte ad una nuova improvvisa abbuffata. Anche muoverti di più, se già non lo fai, aiuta a creare deficit energetico.

Consigli per evitare le abbuffate di dolci

Dato che è il bilancio calorico settimanale a contare, non ingrassi solo perché una sera o un weekend esageri con i dolci e il cibo: aumenti di peso perché nell’arco della settimana e del mese hai mangiato troppo. Un’abbuffata occasionale conta poco, ma non conta nulla.

Il consiglio, quindi, è quello di programmare: sai che il weekend avrai cene e pranzi impegnativi per la mandibola? Mangia un po’ di meno durante la settimana, in modo tale che comunque le calorie della settimana non eccedano e che l’introito calorico venga pareggiato.

Il metodo del digiuno intermittente (trovi qui un articolo di approfondimento) è una strategia utile nel caso delle abbuffate: tutte le calorie dell’abbuffata le condensi in poche ore e in uno o due pasti, mentre nelle restanti ore digiuni, in modo da bilanciare così l’introito calorico giornaliero.

Inoltre, in modo naturale se un giorno ti capita di mangiare tanto, in quello seguente tenderai inconsapevolmente a mangiare di meno.

Un altro consiglio è preferire le ore dopo l’allenamento per lo sgarro: le cellule muscolari dovranno ripristinare le proprie scorte e quindi priveranno, almeno in parte, le cellule del tessuto adiposo dell’energia in eccesso.

Conclusioni sulle abbuffate

Le abbuffate svolgono un ruolo psicologico importante di sfogo. Il consiglio è quello di leggerle nel contesto dei 365 giorni; piuttosto che far prevalere il senso di colpa, fai vincere il buon senso: se abitualmente durante l’anno mangi bene, un’abbuffata occasionale o un cheat day non saranno i veri responsabili dell’ingrassamento!

 

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Guida di base alla nutrizione

Guida di base alla nutrizione

Come mangiare correttamente per dimagrire

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Gastrocnemio: anatomia, funzione ed esercizi in palestra

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Gastrocnemio

Spesso chiamati “i gemelli”, i due ventri muscolari del gastrocnemio sono la parte più superficiale ed in vista dei muscoli posteriori della gamba. Gli esercizi per il gastrocnemio sono un punto fermo delle classiche schede da palestra ma anche i più bistrattati: i più intrepidi ne fanno un uso smoderato, i rassegnati che non vedendo risultati li trascurano, e chi li fa per “senso del dovere” ma senza realmente renderli allenanti. Partendo dall’anatomia del gastrocnemio per capirne la sua funzione andremo a comprendere le differenze fra i vari esercizi, che tipologia di stretching utilizzare e in che caso può tornare utile, e come allenarlo per ottenere il massimo dai tuoi allenamenti.

Muscolo gastrocnemio

Gastrocnemio anatomia

L’inconsueto accostamento di sillabe che va a comporre il nome del suddetto muscolo ha origine dal greco gastroknḗmion, parola composta da gastḗr che significa ventre e da knḗmē ovvero gamba; a differenza di quello che potrebbe lasciare intendere l’origine del nome il gastrocnemio è in realtà composto da ben due ventri muscolari:
il gastrocnemio laterale e quello mediale che originano dalla parte posteriore dei rispettivi epicondili femorali e dalla parte adiacente della capsula articolare.

Entrambi i ventri confluiscono assieme al solèo in un unico tendine (comunemente chiamato tendine d’Achille) che va ad inserirsi nella faccia posteriore del calcagno. I 3 ventri muscolari che vanno a confluire nel tendine d’Achille, nel loro insieme, vengono chiamati tricipite della sura.

Funzione ed azione

Dalla conoscenza dell’origine e dell’inserzione si può intuire la funzione del muscolo gastrocnemio: i due ventri, accorciandosi, determineranno un’estensione del piede (flessione plantare) ovvero il movimento che la caviglia effettua posizionandosi in punta di piedi.

Riflettendo sull’origine del gastrocnemio si può notare come esso coinvolge oltre all’articolazione della caviglia, anche quella del ginocchio ed è dunque considerato un muscolo bi-articolare.

Il suo coinvolgimento durante la flessione del ginocchio è minimo, tuttavia la sua efficienza è fortemente influenzata dal grado di flessione del ginocchio, infatti, a ginocchio completamente flesso lo spostamento dell’inserzione superiore lo disporrà in una posizione sfavorevole con conseguente perdita d’efficacia. Viceversa a ginocchio completamente esteso i gemelli saranno in grado di sfruttare appieno il proprio potenziale e inoltre questa posizione permetterà di trasferire alla caviglia parte della potenza del quadricipite.

Dunque, tutti i movimenti che comprendono sia una planti-flessione che un’estensione del ginocchio, come ad esempio la corsa, favoriscono l’espressione di forza del gastrocnemio.

Differenze tra gastrocnemio e soleo

Soleo gastrocnemio

Abbiamo appena visto come l’efficienza del gastrocnemio raggiunge l’apice a ginocchio esteso mentre, a ginocchio flesso risulta praticamente nulla. A chi è deputato allora il compito di estendere il piede quando il ginocchio è flesso? I più attenti di voi ricorderanno che oltre ai gemelli anche il solèo confluisce nel tendine d’Achille e per questo svolge anch’esso un ruolo di planti-flessore, ma a differenza del vicino gastrocnemio non è un muscolo bi-articolare, infatti, originando da tibia e perone non coinvolge l’articolazione del ginocchio ed il suo ruolo è fondamentale a ginocchio flesso. Diversi studi hanno valutato l’attivazione elettromiografica dei ventri muscolari del tricipite della sura in relazione al grado di flessione del ginocchio, e si evince che:

  • i gemelli sono più efficienti a ginocchio esteso (180°), con il gastrocnemio laterale che risulta meno influenzato (rispetto al mediale) dalla posizione del ginocchio;
  • il soleo è più attivo a ginocchio flesso a 90°;
  • l’attività del gastrocnemio mediale decresce dai 110° in poi di flessione del ginocchio;
  • il solèo risulta più attivo in contrazioni isometriche a ginocchio flesso a 90° e 130°, agendo in modo più selettivo rispetto ai gemelli in posizione isometrica a ginocchio flesso di 130° e caviglia in posizione neutra.

Da questi studi si deduce che il coinvolgimento dei vari componenti del tricipite della sura varia in base alla posizione di partenza del ginocchio con protagonista principale il gastrocnemio, il quale, man mano che perde di efficienza al crescere del grado di flessione del ginocchio, delega il lavoro al solèo che sobbarcandosi il carico con il minimo coinvolgimento dei gemelli dovrà esprimere il suo massimo potenziale.

Allenamento gastrocnemio 

ipertrofia Gastrocnemio

Il gastrocnemio è inquadrato come un muscolo il cui sviluppo è quasi del tutto impossibile e strettamente collegato e dipendente dalla genetica. Seppur in parte questa affermazione è vera, poiché capita di vedere gente che non ha mai allenato i polpacci averli enormi e viceversa vedere chi nonostante li alleni li abbia carenti e sproporzionati rispetto al resto del corpo, non si può affermare che essi non siano ipertrofizzabili.

Le caratteristiche del tipo di fibra dei polpacci che, genericamente presentano un’alta percentuale di fibre a contrazione lenta, portano molti ad affermare che l’allenamento di questo gruppo muscolare deve avvenire con serie lunghe e pause brevi. Ma siamo sicuri che questo sia l’approccio giusto e l’unico da seguire? Ha senso allenare un muscolo in base al tipo di fibra che maggiormente lo compone? La resistenza a sforzi poco intensi e prolungati è l’unica capacità di questo muscolo?

Spesso queste affermazioni vengono consolidate prendendo come esempio i polpacci dei ciclisti o dei ballerini che nei loro allenamenti li utilizzano per gran parte del tempo con sforzi poco intensi rispetto alle loro capacità. Chi però afferma ciò non tiene in considerazione che questi atleti oltre ad allenare il muscolo in maniere aerobica, lo allenano anche con sforzi più intensi, come un ciclista durante una salita, o i ballerini durante i salti.

Vengono invece spesso omessi i maratoneti i quali pur svolgendo un lavoro prettamente aerobico sono solitamente esili.

Prendiamo invece ad esempio i polpacci di atleti di sport di potenza: centometristi e weightlifter hanno, solitamente, polpacci ben sviluppati. Anche calciatori, cestisti, rugbisti e atleti di sport che prevedono la ripetizione di scatti e salti (gesti di potenza), presentano generalmente polpacci grossi.

Escludendo il fatto che si parla di atleti d’elite e non del tutto paragonabili ai comuni frequentatori di palestra, e evidenziando il fatto che esistono anche i casi di atleti di questi sport che hanno polpacci carenti; possiamo notare che:

  • la genetica è un parametro importante ma non un ostacolo insuperabile,
  • tutti questi atleti (maratoneti e eccezioni di campioni con polpacci carenti) hanno in comune dei polpacci tonici (poiché comunque allenati)
  • tutti si allenano con costanza e con alte frequenze puntando a migliorare la prestazione nel loro sport e non l’ipertrofia senza tener conto del tipo di fibre che compone i loro muscoli
  • il gastrocnemio ed il tricipite della sura non hanno l’unica capacità di essere resistenti a sforzi poco intensi e prolungati ma sono anche un muscolo forte e capace di sviluppare gran potenza.

Paolo evangelista nel suo libro DCSS Power mechanics for power lifters dedica un capitolo per comprendere se quello che si sente dire comunemente in palestra sugli allenamenti per colpire un determinato tipo di fibra sia sensato, e se sia possibile modificare la percentuale di fibre in favore di quelle a contrazioni rapida per ottenere risultati più evidenti dato che esse sono più atte ad ipertrofizzarsi.

Eviterò di spiegare tutti i concetti da lui intrapresi nel libro per non diventare prolisso e per non distaccarmi dal fine ultimo dell’articolo; arriviamo dunque alle conclusioni:

  1. Negli esercizi svolti in palestra la legge di Henneman fa da padrone se si ricerca di colpire determinati tipi di fibre: ovvero utilizzando un carico intorno all’80% del proprio massimale (dalle 6 alle 12 ripetizioni circa) verranno utilizzate tutte le tipologie di fibra
  2. Il muscolo cambia la sua composizione di fibre in base agli stimoli che gli vengono imposti
  3. Le fibre a contrazione veloce possono anch’esse adattarsi e diventare a contrazione lenta
  4. Per sollecitare tutte le tipologie di fibre è necessario utilizzare carichi medio-elevati con serie medio-lunghe. Nel caso in cui alcune fibre non venissero sollecitate l’organismo si adopererà per trasformarle in fibre sollecitabili.

Uno studio ha trattato l’allenamento dei muscoli del tricipite della sura in relazione al carico utilizzato, facendo eseguire a soggetti diversi allenamenti con stimoli diversi: il primo gruppo si allenava con serie di poche ripetizioni (6-10), ed il secondo gruppo con serie a ripetizioni lunghe (20-30). I risultati hanno mostrato che i guadagni a livello ipertrofico erano simili per entrambi i gruppi sia per i gemelli che per il soleo, con il gastrocnemio laterale che mostrava maggiori guadagni rispetti agli altri.

Bisogna comunque considerare che i soggetti dello studio non erano persone allenate e ciò non vuol dire che accada lo stesso con gente che si allena da tempo.

Concludendo questo paragrafo, allenare il gastrocnemio non deve risultare differente dall’allenamento di altri gruppi muscolari, delle programmazioni sensate e delle buone progressioni sui volumi e sulle intensità daranno i loro frutti. Utilizzare serie lunghissime può essere produttivo nel breve termine e in alcune fasi della programmazione, ma non deve essere l’unica via da percorrere.

Per chi rivede nel gastrocnemio un suo punto debole può aumentare la frequenza e variare gli stimoli durante il microciclo stesso (nelle varie sedute nell’arco della settimana), tenendo in considerazione che viene stimolato anche durante esercizi come squat, stacchi e affondi, ove agisce da stabilizzatore e anche come estensore del piede, nei giorni in cui allenate le gambe può quindi essere sensato inserire qualche serie medio-lunga a fine seduta dedicata al gastrocnemio; ed optare per serie più intense nei giorni in cui non si allenano le gambe.

Esercizi per il gastrocnemio

Analizzate le differenze fra gastrocnemio e soleo, dovremo sicuramente escludere tutti quegli esercizi eseguiti a ginocchio flesso che allenano principalmente il soleo. I seguenti esercizi saranno quindi tutti eseguiti a ginocchio esteso.

Tutti gli esercizi sono varianti del calf raise, in altre parole quel movimento che si fa con la caviglia quando ci si dispone in punta di piedi.

Standing calf raise

Gastrocnemio calf raises

Su di una pedana, la posizione di partenza prevede i piedi poggiati solo sulle punte con caviglia in posizione neutra, scendi in allungamento col tallone che andrà man mano a scendere più giù rispetto al livello della punta dei piedi, da qui, la sensazione deve essere quella di tirar su il tallone e di conseguenza spostarti sulla punta dei piedi.

Un errore comune è, infatti, quello di deputare gran parte del movimento alle dita dei piedi e ciò determinerà un coinvolgimento minore del gastrocnemio.

Può essere eseguito a corpo libero, su multipower, o sull’apposita macchina (standing calf raise machine). Un’altra variante può essere quella in cui l’esercizio è eseguito con un piede alla volta, in modo da scaricare tutto il peso corporeo su di un solo arto ed aumentare il carico, ed eventualmente se ciò non bastasse basterà impugnare un manubrio.

Lo svantaggio di eseguire il calf raise con un solo piede è che sarà richiesto un maggiore equilibrio e utilizzo del core, e, in caso di utilizzo di carichi elevati, potrebbero essere inconsciamente eseguiti movimenti compensatori, portando l’attenzione anche altrove piuttosto che alla sola attivazione del gastrocnemio.

Calf raise alla leg press

 

Il movimento resterà il medesimo, con la differenza di dover poggiare i piedi sulla pedana della leg press e da una posizione seduta. Il vantaggio sta nel poter utilizzare carichi molto elevati senza stancare eccessivamente altri distretti muscolari e focalizzarsi principalmente sul gastrocnemio.

Donkey calf raise

Calf raise seduto

Si differenzia dagli altri esercizi e può dare stimoli differenti poiché la posizione iniziale che prevede l’inclinazione del busto in avanti a 90° allunga tutta la catena cinetica posteriore che garantirà il massimo allungamento del polpaccio. Può essere eseguita all’apposito macchinario se siete fortunati e ne trovate uno nella vostra palestra (donkey calf machine), oppure semplicemente a corpo libero e, se necessitate un sovraccarico potrete utilizzare dei dischi poggiati sulla zona lombare, il multipower, o una cintura per sovraccarichi.

Uno dei luoghi comuni più discussi riguardo all’esecuzione degli esercizi per i gemelli riguarda la posizione della punta dei piedi,secondo la quale rivolgendo le punte dei piedi all’interno sarà

attivato maggiormente il gemello laterale, e viceversa, rivolgendo le punte dei piedi all’esterno sarà più attivato il gemello mediale; sostanzialmente troviamo due fazioni:

  • chi sostiene che la rotazione delle punte dei piedi a ginocchio esteso è solo una conseguenza di una rotazione d’anca esterna o interna, e di conseguenza, non è coinvolto nessun capo d’origine o d’inserzione del muscolo gastrocnemio, e la sua attivazione resta quindi invariata.
  • chi invece sostiene che l’effettuare una rotazione delle punte dei piedi comporterà anche movimenti di pronazione o supinazione, e ciò determina gradi di allungamento diversi per i due ventri muscolari con conseguenti variazioni in termini di attivazione.

Nel 2010 uno studio monitorò l’attivazione elettromiagrafica del gastrocnemio laterale e mediale durante movimenti oscillatori in avanti dalla posizione eretta. I risultati mostrarono come non sempre i gastrocnemi (mediale e laterale) si attivassero simultaneamente. È quindi forse possibile ricercare un’attivazione maggiore di uno dei due ventri muscolari durante l’allenamento?

In seguito, nel 2011, fu esaminata l’attivazione dei gemelli durante l’esercizio calf raise eseguendolo in tre varianti diverse: piedi in posizione neutra, ruotati esternamente e internamente. I risultati mostrarono come ruotando il piede esternamente il gastrocnemio mediale risultasse più attivo rispetto al laterale; e viceversa il gastrocnemio laterale risultava più attivo rispetto a quello mediale durante l’esecuzione con punte dei piedi ruotate internamente.

Nonostante questi risultati siano interessanti, una maggiore attivazione non è traducibile in ogni caso in adattamenti ipertrofici migliori di un capo rispetto all’altro. La conoscenza di queste tecniche può essere applicata da chi è alla costante ricerca della cura dei dettagli. Avrebbe però poco senso per un comune frequentatore di palestra o per un semplice appassionato soffermarsi su queste minuziosità.

Stretching gastrocnemio

Stretching gastrocnemio

Per portare in allungamento il gastrocnemio occorrerà eseguire il movimento opposto alla planti-flessione, in altre parole la dorsi-flessione, in pratica quel movimento in cui la punta del piede tende ad avvicinarsi alla tibia. Anche in questo caso per enfatizzare il lavoro sui gemelli piuttosto che sul soleo, tutti gli esercizi dovranno essere eseguiti a ginocchio esteso.

  • In posizione eretta, rivolti verso il muro, poggiare le mani su di esso con le braccia tese e, gradualmente, inclinandoti avanti, piega i gomiti fino a poggiare gli avambracci sul muro. I talloni dovranno restare fissi a terra, non ci dovranno essere movimenti compensatori di schiena/ginocchio/anca. L’unica articolazione coinvolta è la caviglia.
  • In posizione eretta, rivolti verso un muro, porta un piede avanti e scendi in posizione di affondo. Da qui, senza mai staccare da terra il tallone del piede che sta dietro, inclinati col busto in direzione del muro poggiandoti su di esso e aumentando gradualmente l’inclinazione fin quando non si avverte la sensazione di allungamento.
  • In piedi, su uno step/gradino, poggia un piede sul bordo e scendi giù col tallone mantenendo il ginocchio esteso. Puoi eseguirlo anche con entrambi i piedi, in tal caso un supporto dove tenerti sarà indispensabile.

Capita spesso di vedere squat o affondi eseguiti male con compensi a livello della caviglia, (come in chi alza i talloni); a volte, questi compensi sono frutto di una scarsa mobilità di caviglia.

Un polpaccio corto non vi permetterà di avere molti gradi di movimento in dorsi flessione. In questi casi degli esercizi di stretching mantenuti per 30-60 secondi circa per 3-4 serie aiutano a migliorare l’ampiezza di questo movimento. Non è consigliato percepire un allungamento intenso, ma piuttosto abituarsi gradualmente ad allungamenti lievi che non stressano eccessivamente il muscolo e i tessuti coinvolti. Sarà comunque necessario allungare anche il soleo e non esclusivamente il gastrocnemio.

Conclusioni

Se vi date per sconfitti in partenza, e non impiegate del tempo e delle energie per allenare il gastrocnemio, forse dovreste chiedervi se è veramente colpa della genetica.

Non affliggetevi se i risultati non si noteranno in poco tempo e cercate sempre di allenare il gastrocnemio con costanza, cercando di modulare i parametri allenanti (frequenza,volume,intensità) e trovando ciò che fa per voi. Se un muscolo è resistente alla crescita siate testardi e più resistenti di lui continuando ad allenarlo senza demordere. Dei minimi guadagni saranno comunque superiori ai risultati che avrete se continuate ad allenarlo senza impegno.

Bibliografia

– A comparison of electrical activity in the triceps surae at maximum isometric contraction with the knee and ankle at various angles. Miaki et al. (European Journal of Applied Physiology and Occupational Physiology 1999)
-Selective Recruitment of the Triceps Surae Muscles With Changes in Knee Angle. Signorile et al. (J Strength Cond Res 2002)
-Fisiologia articolare. Kapandji, 2002.
– Effect of Different Ankle- And Knee-Joint Positions on Gastrocnemius Medialis Fascicle Length and EMG Activity During Isometric Plantar Flexion. Arampatzis et al. (J Biomech. 2006)
-Is the Stabilization of Quiet Upright Stance in Humans Driven by Synchronized Modulations of the Activity of Medial and Lateral Gastrocnemius Muscles? Vieira et al. (J appl physiol. 2010)
-Medial and Lateral Gastrocnemius Activation Differences During Heel-Raise Exercise With Three Different Foot Positions. Riemann et al. (J Strenght Cond Res. 2011)
-DCSS. Power mechanics for power lifters. Paolo Evangelista,2011.
-Do the anatomical and physiological properties of a muscle determine its adaptive response to different loading protocols? Schoenfeld et al. (The Physiological Society,2020)

Note sull’autore

Davide Ventura.

Studente di Scienze motorie. Da sempre appassionato di resistance training e all’approccio scientifico inerente all’allenamento e tutto ciò che lo riguarda.

L'articolo Gastrocnemio: anatomia, funzione ed esercizi in palestra proviene da Project inVictus.

Come dimagrire mangiando?

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La pizza con l’ananas è il cibo perfetto per dimagrire mangiando: la pizza fa ingrassare, l’ananas fa dimagrire e se la matematica non è un’opinione la somma dei due ti fa restare normopeso.

Starai pensando che piuttosto è meglio qualche taglia in più e qualche teglia (di pizza con l’ananas) in meno. Per fortuna, non è l’associare “cibi che fanno ingrassare” a “cibi che fanno dimagrire” il vero segreto per il quale dimagrisci mangiando – e non solo perché così la pizza con l’ananas ha un ulteriore motivo in meno di esistere: il corpo non ragiona in questi termini, ma in altri più complessi e che non prevedono infusi al finocchio, bastoncini di liquirizia e limone a colazione.

Dimagrire mangiando tanto e a volontà quello che si vuole

Di solito chi ti promette di “dimagrire mangiando” ti dà un colpevole, anzi, due: ad esempio, i carboidrati e l’insulina. Non sei grasso perché mangi troppo ma perché introduci i cibi sbagliati! Così diventa sicuramente facile (quasi scontato!) cosa fare per perdere i chili di troppo: evita certi cibi, non mangiare quelli che fanno alzare l’insulina.

Così facendo, sembra che grazie a questa dieta potrai mangiare quello che vuoi (tranne gli “alimenti colpevoli”) e quanto vuoi. E in più anche dimagrirai!

In realtà, non funziona così. Prova a mangiare all’eccesso e vedrai che non perderai peso: il surplus calorico non farà altro che aumentare il peso che vedrai sulla bilancia, nonostante tu abbia minuziosamente abolito i carboidrati dai tuoi pasti. Com’è possibile?

La risposta, per una volta, è molto semplice: alla base della piramide della regolazione del peso c’è sempre, comunque e solo il bilancio calorico. Quali alimenti scegli per raggiungere il fabbisogno designato sono il passo successivo e non quello fondante.

insulina e dimagrimento

In generale, nessun macronutriente è da demonizzare e neanche una loro combinazione (ad esempio, carboidrati e grassi insieme): scagionati i carboidrati, puoi perdere peso anche se ogni giorno a cena mangi un risotto o a colazione lo yogurt con della frutta secca!

Dimagrire mangiando a sazietà

dimagrisci mangiando

La sazietà è sicuramente un fattore (uno dei tanti) che influenza la buona riuscita dell’aderenza alla dieta. Più sarai soddisfatto del pasto, più è difficile che ti venga voglia di mangiare qualcosa “in più” e quindi di non essere in deficit energetico.

Purtroppo, quando sei a dieta e stai davvero perdendo peso, sentire la fame è fisiologico: quando perdi grasso si abbassano i livelli della leptina, che è un ormone che induce la sazietà – questo succede perché è proprio il tessuto adiposo a sintetizzarlo.

Come tamponare questo effetto?

  1. Non fare un taglio calorico troppo drastico. Se in un primo momento sarai in grado di sostenere un piano alimentare molto rigido, a lungo andare non sarà così e sarà più facile cadere nella tentazione di mangiare di più (anche inconsciamente) o in qualche abbuffata improvvisa dovuta proprio ad una restrizione eccessiva. È consigliato creare un deficit del 15-20% del fabbisogno calorico giornaliero: se per mantenere il peso introduci 2500 kcal/die, per dimagrire basteranno 2000-2125 kcal/die.
  2. Scegli i cibi che saziano di più, come quelli che contengono fibra alimentare, che sono poco densamente energetici e che a parità di calorie sono più voluminosi: riempirai, nel vero senso della parola, lo stomaco, che invierà dei segnali di sazietà a livello nervoso. 200 g di olio rispetto a 200 g di insalata occupano molto meno spazio ma sono molto, molto più calorici: la verdura sazia più della stessa quantità di olio. Questi alimenti sazianti sono verdura, frutta, legumi, avena, orzo, cereali integrali. Inoltre, la digestione di cibi fibrosi richiede più tempo rispetto a quelli che non lo sono: altro fattore che induce sazietà.
  3. Bevi! A volte l’organismo confonde il senso di sete con quello della fame e bere acqua è una soluzione low-cost, low-carb, low-fat e a zero calorie. Il miglior fit-drink che puoi trovare.

Dimagrire mangiando poco di tutto (qualsiasi cosa)

Se sei sicuro di essere in deficit energetico, il gioco è fatto: puoi mangiare davvero qualsiasi cosa e dimagrire. La teoria poca teorica ma molto pratica del “mangiare poco di tutto” funziona: implica un’alimentazione varia. Alimentazione varia intesa sia come nessuna esclusione di macro e micronutrienti, sia come la possibilità di concedersi qualche sfizio “non sano” o una cena fuori.

La varietà non è un fattore di poco conto, anzi: è la chiave per aderire alla dieta. In realtà, infatti, sarebbe più corretto dire che è la dieta che deve aderire a te: in base a cosa ai nutrienti di cui hai bisogno, alle tue abitudini, ai cibi che preferisci. Motivo per il quale la migliore di tutte le diete, è la dieta personalizzata!

Dimagrire mangiando poco e spesso

Avrai sicuramente sentito che è meglio fare più pasti durante il giorno piuttosto che pochi: si alza il metabolismo? No. Ma quando mangi spesso durante la giornata, con degli spuntini oltre ai canonici pasti principali, riesci a controllare meglio la fame ed eviti eventuali abbuffate.

Per questo motivo, anche quando sei in restrizione calorica per dimagrire, inserire degli spuntini a metà mattina e pomeriggio può aiutarti a perdere peso perché soffrirai di meno la fame. Spuntini che andranno chiaramente conteggiati nel fabbisogno calorico giornaliero: solo perché non sono un pranzo o una cena non significa che siano privi di calorie.

A volte però, quando devi mangiare davvero poco, è meglio fare pochi pasti ma più abbondanti. In ogni caso, come sempre, sarà la soggettività a scegliere qual è la strategia migliore: cioè quella che funziona di più sul lungo periodo.

Come perdere peso mangiando in ufficio o in mensa?

Non essere a casa a mangiare non può essere una scusa per non dimagrire. Anche se devi pranzare dove lavori o dove studi ci sono dei modi per riuscire comunque a mangiare in modo sano e perdere peso. Questo soprattutto perché non è il pranzo a farti ingrassare, ma cosa mangi nell’arco dell’intera giornata. Quindi, oltre a fare attenzione a cosa scegli in mensa a pranzo, considera anche cosa hai mangiato a colazione e cosa cucinerai per cena.

Una buona, pratica e semplice idea è il piatto unico: in un’unica porzione tutti i nutrienti che ti servono. Immagina di dividere il piatto in 4 quadranti: uno per una fonte di carboidrati (pasta, riso, orzo, un pezzo di pane, patate), uno per un cibo proteico magro (tonno, ricotta, pollo, tacchino, bresaola, legumi) e gli altri due per la verdura (che è più ingombrante).

E i grassi? Sicuramente nelle mense i grassi “nascosti” non mancano e sono presenti nei sughi, nelle verdure cotte o crude quando già condite o nel metodo di cottura del cibo (es. frittura).

Così in linea generale avrai un piatto completo, senza contare e pesare gli alimenti, non in quantità eccessiva. La stessa tattica vale anche se ti porti il pranzo da casa.

E ultimo ma non meno importante… Attenzione al numero dei caffè (o, meglio, dello zucchero in ogni caffè) al bar nelle pause o alle merendine alle macchinette. Abituati a portarti o scegliere uno snack più salutare come frutta secca, un frutto fresco, uno yogurt, un pacchetto di cracker o una barretta proteica.

Conclusioni su come dimagrire mangiando

Per dimagrire puoi scegliere tra:

  • pillola rossa: mangi un po’ di meno di quello che ti serve, ma senza escludere nessun cibo specifico, neanche il tuo preferito;
  • pillola blu: fai una dieta estremamente restrittiva, mangi pochissimo ed esclusivamente precisi alimenti per evitare “quelli che fanno ingrassare”.

Con entrambe perdi peso (il deficit energetico c’è), in base a quali parametri devi fare la tua scelta? Basati sulla sostenibilità nel lungo periodo e, di conseguenza, sui risultati che riuscirai ad ottenere.

Suggerimento tra amici: pillola rossa.

 

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Guida di base alla nutrizione

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Come mangiare correttamente per dimagrire

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Flessibilità metabolica: perchè è fondamentale per essere magri

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Flessibilità metabolica

È il metabolismo che controlla te o sei tu che controlli il metabolismo? Oltre alla componente genetica che comunque è sempre presente per forza di cose, sei tu ad influenzare il metabolismo: come mangi? A quale macronutriente dai più spazio nella dieta? Ti muovi? Che tipo di allenamento fai?

Un metabolismo che funziona bene (in gergo altamente tecnico-scientifico: super-metabolismo o metabolismo veloce) è sinonimo di flessibilità metabolica e anche di salute.

Dato che i parametri per migliorare la flessibilità metabolica ci sono, non resta che scoprire quali sono e come intervenire a livello pratico per dare una botta di vita e più funzionalità anche alle vie metaboliche più arrugginite.

Definizione di flessibilità metabolica: che cos’è?

La flessibilità metabolica è la capacità di adattare in modo efficiente il metabolismo a seconda della disponibilità e del fabbisogno di determinati substrati energetici. È una condizione essenziale per mantenere il corpo in equilibrio in ogni situazione: quando sei in eccesso o restrizione energetica, quando c’è una minore o una maggiore richiesta di energia, come durante l’esercizio fisico!

Fegato, tessuto adiposo e muscolo sono i tre protagonisti che regolano la flessibilità metabolica: sono tutti e tre coinvolti nella gestione dei nutrienti, nel loro stoccaggio, nel rilasciarli quando c’è necessità in risposta a segnali endocrini.

Da un punto di vista molecolare, la flessibilità metabolica consiste in numerose vie metaboliche, regolate finemente da altrettanti enzimi e co-enzimi.

La flessibilità è regolata da questi meccanismi interni, ma è anche influenzata da stimoli esterni, che sono, quindi, quelli su cui puoi direttamente intervenire:

  • Distribuzione dei macronutrienti nella dieta
  • Esercizio fisico
  • Uso di farmaci: in caso di necessità e consiglio medico

Che cos’è l’inflessibilità metabolica?

Al contrario della precedente, come facilmente intuibile, l’inflessibilità metabolica non è indice di un metabolismo efficace.

L’apporto di alimenti trasformati e ad alta densità calorica e la sedentarietà sono ormai all’ordine del giorno (una insalubre ma attuale normalità) e favoriscono l’inflessibilità metabolica. Questa a sua volta è associata a molte condizioni patologiche come la sindrome metabolica, il diabete di tipo 2 e anche il cancro.

E pensare che tante malattie del sistema cardiovascolare (es. ipertensione), endocrino (es. PCOS), metabolico (es. diabete, obesità, dislipidemie), muscolo-scheletrico (es. sarcopenia, osteoporosi), quando non causate da alterazioni genetiche, hanno come primo intervento per migliorare lo stato patologico una cosa molto semplice, quasi banale ed erroneamente trascurata: il cambiamento dello stile di vita – dieta sana e bilanciata, vita attiva.

Così, oltre alla prevenzione (inutile piangersi addosso a danno fatto), la prima scelta deve essere cambiare: fumi, bevi alcol, sei seduto tutto il giorno, mangi cibo spazzatura ad ogni pasto, dormi 2 ore a notte,… Sono tutte situazioni reversibili, se vuoi che lo siano.

  • In pratica, limita i cibi processati e ad alta densità calorica (biscotti, merendine, formaggi, prodotti in scatola, salsicce, hamburger, cioccolato,…) e cerca di avere una vita attiva!

Switch metabolico: che cos’è?

Lo switch metabolico (interruttore metabolico) fa subito pensare ad una sorta di meccanismo che in modo repentino e istantaneo permette di passare dal metabolismo glucidico a quello lipidico e viceversa, come se nell’organismo fosse presente un pulsante on/off che decide in quel momento se usare solo il glucosio o esclusivamente gli acidi grassi.

Non è proprio così: il passaggio avviene gradualmente, non c’è mai l’utilizzo esclusivo di un solo macronutriente! A fornire l’energia necessaria è sempre una miscela energetica in cui sono presenti più substrati: miscela in cui a volte la frazione maggiore è costituita dai carboidrati e una minore dai grassi o viceversa.

C’è infatti una preferenza per il substrato energetico utilizzabile in quel momento: sei a riposo? Stai facendo un circuito ad alta intensità? Un 3×8 con 20 kg? I 1000 m? Una passeggiata rilassante? L’ottimizzazione delle risorse “va di moda” per il funzionamento degli esseri viventi da sempre: il nutriente giusto in quantità sufficiente per l’esigenza presente.

E chi decide se bruciare più lipidi o più glucidi?

L’insulina! Infatti, quando è ad alte concentrazioni favorisce il consumo dei carboidrati, quando a basse, invece, quello dei grassi. Quando hai appena mangiato un bel piatto di pasta, in risposta all’innalzamento della glicemia (zuccheri nel sangue), l’insulina si alza e limita la lipolisi favorendo lo sfruttamento dei glucidi. Al contrario, quando sei lontano da un pasto e la glicemia torna a livelli basali è più favorito l’utilizzo degli acidi grassi.

Per eventuali dubbi sull’insulina e convinzioni come “l’insulina mi fa ingrassare”, puoi leggere questo articolo.

Flessibilità metabolica: come fare per ritrovarla

Per essere dei buoni ossidatori ed accelerare il metabolismo, devi adottare tutte quelle strategie che insegnano all’organismo ad utilizzare in modo preferenziale un solo macronutriente: o grassi o zuccheri.

Flessibilità metabolica ed attività fisica

Allenamenti molto intensi portano l’organismo a consumare esclusivamente gli zuccheri. Attività come l’HIITsedute coi pesi metaboliche e tutte quelle attività che non hanno il tempo di utilizzare l’ossigeno per ossidare i grassi, aiutano l’organismo a ritrovare l’affinità con gli zuccheri. La chiave di volta è l’intensità e la persona deve essere preparata fisicamente.

Allo stesso modo è anche vero però che allenamenti molto blandi fatti quando le riserve di glicogeno epatico sono quasi esaurite, aiutano il muscolo ad aumentare la sua capacità d’ossidare meglio i grassi. Prende così un senso la corsa o la camminata in salita a digiuno mentre segui una dieta low-carb o chetogenica. L’obiettivo è aumentare l’ossidazione lipidica per un periodo di tempo rilevante (almeno 30′).

L’attività a basso impatto prende sempre di più un senso quanto più le riserve di glicogeno epatico sono basse, questo perché l’organismo inizia a preservare il glucosio ed aumenta il metabolismo lipidico. In soggetti con una inflessibilità metabolica (col metabolismo bloccato), l’attività fisica moderata rischia di continuare ad usare un mix di grassi e carboidrati.

Flessibilità metabolica e dieta

Per l’alimentazione gli approcci sono simili all’allenamento: o preferisci una dieta che stimoli il consumo di zuccheri oppure una che migliori quello dei grassi. Nel momento in cui il corpo riesce a sfruttare bene uno dei due metabolismi, anche la strada per sbloccare l’altro è in discesa.

Gli approcci possono essere quello di una dieta low-fat come nel natural peaking, in cui gradualmente vengono abbassati i grassi a favore dei glucidi. Va comunque ricordato che i carboidrati migliorano la sensibilità insulinica e che la peggiorano solo in un contesto ipercalorico. Più grasso hai, più sei poco affine ai carboidrati.

Se vuoi utilizzare questo approccio la gradualità è la chiave: ogni settimana fai uno shift di 40-70 kcal tra grassi e carboidrati.

La strada opposta è quella di seguire una dieta low-carb o addirittura chetogenica: in questo modo migliori il metabolismo lipidico. È importante in questi casi programmare delle ricariche glucidiche, pena peggiorare l’affinità col glucosio.

Introdurre grassi a media catena, come quelli che trovi nell’olio di cocco, possono ulteriormente stimolare i mitocondri ad utilizzare i grassi. Anche il digiuno intermittente può essere un’ottima strategia per obbligare il corpo a sfruttare bene i lipidi.

Shift metabolico: insegnare al corpo a bruciare i grassi

Chi non ha una buona sensibilità insulinica tende a sfruttare di meno le riserve energetiche del tessuto adiposo, preferendo i carboidrati per ricavare energia, anche a riposo. In altre parole, più sei insulino-resistente e meno consumerai i lipidi. In altre parole ancora, vuol dire fare più fatica a perdere massa grassa rispetto a chi ha una buona sensibilità insulinica.

Come hai letto prima, puoi influenzare il tuo metabolismo tramite la modulazione dell’alimentazione e/o dell’allenamento: quindi, come insegnare al corpo a bruciare più grassi?

1 Restrizione energetica: il deficit di energia consente al corpo di depletare gradualmente le proprie scorte e quindi di dover, per forza di cose, attingere anche dagli adipociti.

2 Digiuno intermittente: per la stessa motivazione precedente.

3 Diete low-carb: premesso che una dieta a basso contenuto glucidico (es. chetogenica) non fa “dimagrire di più” di altre diete ugualmente ipocaloriche, resta comunque una valida strategia per insegnare all’organismo a sfruttare di più il metabolismo lipidico nel breve termine.

4 Allenamento: in generale l’esercizio fisico (ad alta intensità, anaerobico mirato alla crescita muscolare) è il miglior modo riconosciuto per contrastare efficacemente l’insulino-resistenza.

Questo, in pratica, in cosa può anche tradursi? Se un soggetto ha un po’ di chili da perdere, vuole migliorare la propria forma fisica ma è insulino-resistente… Quando si iscrive in palestra, anche se magari continua a mangiare come mangiava prima di allenarsi, migliora la sua sensibilità insulinica senza saperlo e impara a gestire meglio i nutrienti. E se poi inizierà anche a mangiare più sano, meglio!

Quindi, l’esercizio fisico costante è più utile nel lungo termine per questo aspetto piuttosto che per le sempre sopravvalutate calorie bruciate durante l’allenamento.

Migliorare l’affinità ai carboidrati

Flessibilità metabolica per bruciare i carboidrati

Il glucosio è per eccellenza il carboidrato che viene utilizzato dall’organismo. Ma non basta assumerlo con la dieta per poter ricavare energia: bisogna anche avere gli strumenti per poterlo utilizzare. Altrimenti, è come una grande industria (organismo) che ha molta materia prima (carboidrati dalla dieta) ma non ha abbastanza macchine ed operai (vie metaboliche efficienti) per arrivare al prodotto finito (energia), magari ottimizzando costi e tempi.

Per migliorare l’affinità con i carboidrati, bisogna andare ad agire sulle “macchine” e sugli “operai”, cioè sulle componenti cellulari e sugli enzimi deputati alla metabolizzazione del glucosio: se ce ne sono pochi questi non potranno essere utilizzati al meglio.

Dato che una cattiva affinità con i carboidrati è dovuta a situazioni come eccessivo grasso corporeo, poca massa muscolare, scarso esercizio fisico, dieta protratta a bassissimo contenuto glucidico, per migliorare bisogna creare le situazioni opposte:

  • Diminuzione della massa grassa per chi è sovrappeso o anche per chi è normopeso ma ha grasso addominale: quindi, dieta ipocalorica
  • Allenamento per favorire la crescita, o il mantenimento se c’è già una buona massa magra, muscolare
  • Vita attiva
  • Adeguato introito proteico

Parallelamente a questi fattori, la dieta può gradualmente prevedere un incremento della quota glucidica.

Conclusioni sulla flessibilità metabolica

Tutto quello scritto finora va applicato insieme ad un nutrizionista (bravo e aggiornato), per il semplice motivo che a seconda della propria condizione l’approccio deve essere mirato.

Alcuni soggetti nel momento in cui danno un ordine alla propria alimentazione rispondono immediatamente, altri invece devono sforzare il corpo a sfruttare correttamente i grassi (soffrendo inizialmente di emicranie, debolezza, …).

Quello che devi portarti a casa dall’articolo di oggi è che tutte le diete ipocaloriche portano a dimagrire e migliorare l’assetto metabolico. Tuttavia, se il metabolismo è bloccato e già assumi poche calorie, mettersi a fare una dieta in cui tagli ulteriormente potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione erodendo la massa magra.

 

Bibliografia

McArdle, Katch F., Katch V. (2015). Exercise Physiology – Nutrition, Energy and Human Performance. Chapter 1: Carbohydrates, Lipids and Proteins. Wolters Kluwer Health.

Nelson & Cox. (2014). I principi di biochimica di Lehninger. Capitolo 23: Regolazione ormonale e integrazione del metabolismo nei mammiferi. Zanichelli.

Smith et al. (2018). Metabolic Flexibility as an Adaptation to Energy Resources and Requirements in Health and Disease. Endocr Rev.

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Come mangiare correttamente per dimagrire

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La palestra fa ingrassare o dimagrire?

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Andare in palestra fa ingrassare

In ogni palestra che si rispetti non mancano mai queste due tipologie umane: da una parte ci sono le ragazze che non vogliono sfiorare un peso perché “la palestra fa ingrassare”, dall’altra i ragazzi che nonostante i carichi non mettono su la massa magra che vorrebbero.

Com’è possibile? La palestra fa ottenere i risultati opposti a quelli desiderati? Meglio non andarci?

Scopri se e perché la palestra fa prendere veramente peso!

Il primo mese di palestra si ingrassa: è vero?

La palestra fa ingrassare o dimagrire

Un concetto molto importante, anche per comprendere meglio l’intero articolo, è capire come oggi “ingrassare” sia considerato un sinonimo di “i chili sulla bilancia sono aumentati” oppure “non mi vedo in forma”.

In realtà, prendere peso non significa per forza ingrassare, così come dimagrire non vuol dire avere un aspetto fisico migliore.

Le tre grandi variabili su cui puoi agire per modificare il peso corporeo sono tre: la massa muscolare, la massa grassa e l’acqua che può essere localizzata all’interno della cellula o all’esterno tra gli spazi interstiziali, dove dovrebbe starci il meno possibile per una migliore forma fisica. Quando una qualsiasi di queste tre cala perdi peso, mentre quando una incrementa aumenti di peso.

È quindi chiaro che se aumenti di 1 kg di muscolo o di acqua non sei ingrassato (= più massa grassa, adipociti, BF e sinonimi vari). Allo stesso modo, se la bilancia segna 1 kg in meno non necessariamente puoi dire di essere dimagrito (= meno grasso), perché potrebbe essere che tu abbia bevuto molto poco e sia disidratato (quindi 1 kg in meno di acqua) o che da un po’ di tempo tu non ti stia allenando e mangiando bene e che quindi ci sia stata perdita di un po’ di massa magra.

Motivi per i quali la bilancia non è uno strumento a cui prestare troppa attenzione. Se allenandoti (discorso valido soprattutto per le ragazze che vogliono essere “toniche”) hai preso 1 kg, ti vedi e senti meglio perché hai un po’ più di muscolo, meno grasso e meno ritenzione, la bilancia non ha nessuna voce in capitolo. È solo uno dei tanti parametri per la valutazione.

La palestra fa ingrassare nel vero senso della parola in due casi:

  1. Mangi troppo, oltre al necessario e quindi aumenti di peso
  2. Preso dai buoni propositi, ti alleni ogni giorno della settimana e mangi solo insalate ogni giorno: non fai altro che stressare l’organismo e diminuire il metabolismo, situazione che ti porta ad una condizione di stallo. Era meglio non iniziare ad allenarsi? No, ma meglio non esagerare ed usare il buon senso.

La palestra fa ingrassare le ragazze?

Le ragazze di solito non vogliono mettere su muscolo, ma non vogliono nemmeno mettere su grasso. Ma non vogliono nemmeno restare così come sono, perché se così fosse non si sarebbero nemmeno iscritte in palestra. Una vita difficile.

La premessa è che quando una ragazza dice di essere ingrassata a causa della palestra o rientra nei due casi precedenti, che richiedono un po’ di tempo, o semplicemente nel breve periodo si vedono e sentono più voluminose.

Quando una ragazza (finalmente) decide di approcciarsi all’allenamento con i sovraccarichi per migliorare la propria forma fisica, si accorge subito di essere più voluminosa. E ha ragione! Ma com’è possibile? Una lezione o due, una settimana (periodo breve) non sono sufficienti a far crescere il muscolo (ci vogliono settimane e mesi!) ma nemmeno a far depositare massa grassa. Il fattore responsabile dell’aumento del peso o di un leggero incremento delle circonferenze è… l’acqua! Le ragazze che utilizzano sovraccarichi è più facile che vadano incontro a ritenzione idrica.

Prima di mollare i pesi perché fanno ritenzione è bene conoscerla meglio. Innanzitutto, è una condizione fisiologica e, soprattutto, temporanea: la contrazione muscolare durante l’allenamento provoca uno stato infiammatorio che richiama acqua. Questa infiammazione è fisiologica, temporanea, localizzata e anche ricercata perché alla base degli adattamenti muscolari e di una progressione nell’allenamento indispensabile per il miglioramento – estetico, prestativo, fisico in generale che sia.

Un allenamento eccessivo e non supportato da una corretta alimentazione favorisce la ritenzione idrica e quindi l’inestetico accumulo di liquidi negli spazi interstiziali (al di fuori della cellula).

Come rimediare?

Un programma di allenamento graduale e ben strutturato è in grado di limitare questa condizione, anche se inevitabilmente a seconda del ciclo di allenamento o dello stato ormonale della donna ogni tanto può ripresentarsi. Una piccola pecca che però verrà compensata dai benefici conseguenti all’uso dei sovraccarichi:

  • il potenziamento muscolare degli arti inferiori favorisce il ritorno venoso e una miglior circolazione;
  • l’aumento della massa magra contribuisce a “spostare” l’acqua dentro alla cellula muscolare, togliendola dagli spazi interstiziali tra le cellule dove dà luogo alla ritenzione. Infatti, avere un corpo idratato conta quanto la giusta localizzazione dei liquidi nel corpo;
  • sempre la massa magra è una condizione necessaria per chiunque ricerchi un miglioramento fisico, estetico e di salute.

Tutto questo succede di meno nell’uomo mentre è più evidente nella donna a causa delle differenze ormonali e della struttura del microcircolo sanguigno: i capillari nel sesso femminile sono più permeabili e quindi, soprattutto in risposta a fattori stressanti, più facilmente rilasciano acqua nello spazio interstiziale.

Per un approfondimento sulla ritenzione idrica (che è diverso da cellulite) e sul come limitarla, puoi leggere questo articolo.

  • In poche parole, un aumento temporaneo delle circonferenze e del peso nelle ragazze è fisiologico e nel breve periodo non è dovuto ad un improvviso accumulo di grasso, ma bensì di liquidi, responsabili della ritenzione idrica. Situazione reversibile e limitabile grazie ad un esercizio fisico strutturato nel modo corretto e ai progressivi vantaggi indotti dallo stesso allenamento.

Troppo esercizio fisico fa ingrassare?

Non ti sei mai chiesto perchè la tipa o il tipo che vedi allenarsi fino allo stremo tutti i giorni in palestra non abbia il fisico di una top model o di un culturista americano? Magari l’hai sperimentato tu stesso sulla tua pelle: insalatina, palestra 3 ore tutti i giorni e poi niente, ad un certo punto l’ago della bilancia non scende più, i vestiti iniziano ad andare stretti e la pancia è sempre lì. Come mai?

La colpa è del cortisolo!

L’attività fisica intensa, infatti, in assenza di un adeguato recupero e supporto nutrizionale, provoca stress ed innalza i livelli di cortisolo (noto ai più, come ormone dello stress) da qui l’allenamento può non far dimagrire. C’è una reazione di mal adattamento al carico di lavoro e alla capacità di recupero in quanto “troppo” pesante. La risposta individuale varia in base a numerosi fattori sua genetici che riguardanti lo stile di vita.

Nel breve termine il cortisolo mette in atto la famosa risposta “combatti o fuggi” e ti prepara all’improvvisa esplosione di richieste energetiche.

Se lo stress però diventa cronico, sorgono i problemi… Aumentano i disturbi del sonno e quelli digestivi, salgono la depressione e il peso corporeo. Nel lungo periodo la massa muscolare diminuisce, il dimagrimento si blocca e il metabolismo rallenta, anche a causa dell’influenza del cortisolo sugli ormoni tiroidei che impattano sulle vie metaboliche.

Ma non solo, l’ormone dello stress favorisce l’ìnsulino-resistenza e, quindi, la deposizione di grasso soprattutto a livello addominale – un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari.

Come se non bastasse, andare in palestra tutti i giorni non aiuta nemmeno per l’ipertrofia. Come suggerisce Brad (Brad Schoenfeld) l’ipertrofia muscolare ottimale segue una curva ad U e si posiziona in un range a metà tra pigrizia e allenamento eccessivo.

curva gaussiana attività fiisica

Un eccesso di cortisolo abbassa anche il testosterone.

Ma tranquilli… E’ una situazione reversibile! Basta seguire qualche accorgimento:

  • Abbassa la frequenza degli allenamenti
  • Prenditi il tempo per recuperare
  • Last but not least, mangia in modo adeguato!

Per quanto riguarda il fattore nutrizionale, le diete low-carb sono spesso viste come il modo migliore per ridurre il grasso corporeo: in realtà, pochi carboidrati in concomitanza ad allenamenti strenui non fanno altro che innalzare i livelli di cortisolo, avere un impatto negativo sulla funzione immunitaria e sopprimere la funzione tiroidea.

Soprattutto dopo allenamento, se fai una bella scorta di carboidrati sfrutti quel lasso di tempo in cui il muscolo capta la maggior parte dei nutrienti per ripristinare le scorte di glicogeno e, inoltre, abbassi la risposta del cortisolo allo stress, sia fisico che mentale.

Vado in palestra e peso di più: sono ingrassata?

Andare in palestra, allenarti e aumentare di peso non è raro da sentire e non è neanche un’assurdità, anche se c’è da specificare quale sia la causa alla base di questo incremento di peso che avviene nel lungo periodo.

  1. Il primo motivo è che… Rullo di tamburi… Mangi troppo! Infatti, non basta muoversi per essere in forma. È vero che quando fai esercizio fisico bruci calorie, ma se i pasti durante la giornata sono ipercalorici c’è poco da fare: ingrassi. Considera poi che le calorie bruciate in un’ora di sala pesi non sono neanche così tante (in media 300 kcal), facilmente recuperabili, soprattutto se presi dalla fame post-workout o dal mangiare di più proprio con la scusa “posso mangiare quanto voglio, tanto ho fatto allenamento”. Inoltre, non c’è da fare troppo affidamento ai vari smart-watch o app che segnano le calorie “bruciate”, spesso arrotondate per eccesso rispetto a quelle davvero sfruttate e non precisamente calcolabili.
  2. La seconda possibile causa è legata al precedente discorso sul cortisolo: presa dai buoni propositi, di punto in bianco ti alleni 7 giorni su 7 e mangi pochissimo. Entrambi fattori stressanti che, soprattutto così all’improvviso e protratti, portano ad un innalzamento cronico del cortisolo e una maggior probabilità di stallare il peso o ingrassare.
  3. C’è poi une terza causa, da valutare su un periodo di tempo ancora più ampio rispetto alle due precedenti: mangi bene, non fai allenamenti eccessivi, forse ti vedi anche fisicamente meglio, ma il peso sulla bilancia è più alto.

Per spiegare perchè effettivamente ti vedi “meglio” “ma” pesi di più basta semplicemente dire che hai ottenuto i risultati del tuo allenamento: hai aumentato la massa magra, che pesa di più rispetto a quella grassa e che ti dà quell’aspetto più tonico che ricerchi.

Hai meno massa grassa e più massa muscolare: lo specchio, la tua percezione del corpo e i tuoi amici ti dicono che sei dimagrita e tu effettivamente così ti senti bene. Ma la bilancia segna comunque 1 kg in più del solito: ha davvero importanza un semplice numero rispetto al sentirti meglio e all’avere un’evidente forma fisica migliore? (Domanda retorica).

La palestra fa ingrassare o dimagrire?

La palestra fa ingrassare o dimagrire a seconda di quanto buon senso usi: se ti alleni ma mangi troppo o ti alleni in modo eccessivo finirai sicuramente con l’ingrassare. Per dimagrire davvero e nel modo migliore (diminuzione della massa grassa e della ritenzione, non della massa magra), l’allenamento in palestra e una dieta ipocalorica sono indispensabili. La chiave è riuscire a trovare l’equilibrio tra un allenamento strutturato, la corretta alimentazione a supporto e il tuo benessere psico-fisico.

Bibliografia

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15618989

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27716864

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15618989

alessandra-renzi

Co-autore: dott.ssa Alessandra Renzi

27 anni, Nutrizionista.

Innamorata della California, del sushi e dello zucchero filato.
Dopo un master, seminari, tirocini e corsi vari ho deciso di scrivere un blog (weight a minute) e parlare di nutrizione a modo mio.

Se volete saperne di più mi trovate qui: www.weightaminute.it

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Come mangiare correttamente per dimagrire

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Tendinite alla spalla: cause, sintomi e rimedi

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Dolore spalla

Tendiniti, tendinosi, tendinopatie… in qualunque modo li si voglia chiamare, i quadri patologici che coinvolgono i tendini sono disturbi estremamente comuni, e possono colpire sia soggetti sedentari sia sportivi, causando in alcuni casi dolore e impotenza funzionale, e influendo negativamente sulle attività quotidiane lavorative, ricreative e sportive. Ancora oggi accade molto spesso che sintomatologie legate alle tendinopatie siano avvolte da dubbi e confusione, e che vengano di conseguenza malinterpretate e gestite con trattamenti poco efficaci basati sul riposo e su terapie passive.

Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha analizzato approfonditamente l’eziologia e le caratteristiche dei disturbi tendinei, facendo notevoli passi avanti e rivoluzionando quella che era l’attuale concezione di questi ultimi. Per molto tempo, infatti, le tendinopatie sono state considerate come un processo patologico di natura prevalentemente infiammatoria… ma siamo sicuri che sia così? Quali sono le cause delle tendinopatie? Quali i rimedi e i tempi di recupero? E ancora, si dice “tendinite” o “tendinopatia”? Ci sono differenze? Scopriamo cosa ci dice la letteratura scientifica a riguardo, analizzando le tendinopatie del complesso anatomico della spalla.

Dolore di spalla

Che cos’è la tendinite alla spalla?

Per capire in cosa consiste un disturbo tentindeo dobbiamo necessariamente aver prima compreso cosa è un tendine e quale è la sua funzione. In poche parole, il tendine è l’unità muscoloscheletrica deputata alla trasmissione di forze dai muscoli alle ossa attraverso l’accumulo e il rilascio di energia. Il ruolo dei tendini è di fondamentale importanza, per cui lesioni e processi patologici che ne pregiudichino la funzionalità hanno spesso un notevole impatto negativo sulla vita quotidiana di chi ne soffre.

Tendine

La morfologia dei tendini è molto variabile in base alla dimensione, al ruolo e al posizionamento del muscolo dal quale prendono origine. Muscoli molto voluminosi e potenti possiedono solitamente tendini larghi e corti, mentre i muscoli più piccoli e deputati a movimenti più precisi e regolati hanno spesso tendini più lunghi e sottili. Il tendine si collega al muscolo attraverso una sua porzione definita “giunzione muscolotendinea”, mentre il punto in cui si inserisce sull’osso è chiamato “giunzione osteotendinea”.

Disordini tendinei possono verificarsi in diversi distretti muscolari del corpo, ma i più comuni sono quelli a carico della spalla (nello specifico, a carico dei muscoli della cuffia dei rotatori e del capo lungo del bicipite brachiale), del piede (tendine di Achille, tendini dei muscoli peronei e tibiali), del gomito (muscoli estensori e flessori del carpo), dell’anca (muscoli adduttori, ischio-crurali, medio e piccolo gluteo) e del ginocchio (tendine rotuleo).

Tendinopatie muscoli
Alcuni dei muscoli più spesso coinvolti nelle tendinopatie

Le tendinopatie sono processi patologici degenerativi intrinseci del tendine, caratterizzate da alterazioni strutturali e funzionali a carico di quest’ultimo, che analizzeremo più dettagliatamente nei paragrafi successivi.

Le tendinopatie della cuffia dei rotatori, in particolare dei muscoli sovraspinato e infraspinato, e del capo lungo del bicipite brachiale (che si inserisce nel margine superiore della fossa glenoidea, attraversando l’articolazione gleno-omerale e stringendo intimi rapporti con la cuffia dei rotatori) rappresentano il quadro patologico che più di frequente è responsabile del dolore di spalla (la letteratura parla di circa l’80% dei casi).

Muscoli spalla
Da sinistra verso destra i muscoli infraspinato, sovraspinato e capo lungo del bicipite brachiale

Studi recenti hanno evidenziato come processi degenerativi tendinei di grado più o meno avanzato siano presenti praticamente in chiunque, tanto da essere spesso considerati un fisiologico “segno d’invecchiamento” allo stesso modo dei capelli bianchi e le rughe sulla pelle.

In diversi casi le alterazioni tendinee sono asintomatiche e non è presente dolore (a conferma dell’estrema complessità e multifattorialità dei processi di elaborazione del dolore, e di quanto sia indispensabile correlare sempre gli esami strumentali ai quadri clinici attraverso un adeguato ragionamento clinico). Tuttavia, in molte altre situazioni le tendinopatie possono causare dolore e impotenza funzionale, la cui intensità può variare in base a diversi fattori tra cui il grado di irritabilità tissutale, il carico ricevuto, fattori genetici, fattori psicosociali ecc…

In questi casi il dolore ha solitamente manifestazioni e caratteristiche tipiche: spesso insorge lentamente, senza un trauma apparente, e si presenta ben localizzato nella zona anteriore, laterale o posteriore della spalla. È evocato durante i movimenti attivi a carico della spalla, in particolare oltre i 90° di flessione (sollevamento anteriore del braccio) e/o abduzione (sollevamento laterale del braccio), durante attività di sollevamento e talvolta durante il sonno sul lato interessato.

Si può assistere di frequente al fenomeno del “Warm up effect (effetto riscaldamento)”, che prevede che nei casi di tendinopatia il dolore vada diminuendo man mano che si svolge una certa attività sportiva/allenante, fino anche a scomparire, per poi tuttavia ripresentarsi qualche ora dopo o la mattina seguente, con intensità spesso più elevate.

Nelle fasi più acute e irritative il dolore può presentarsi anche durante banali attività di vita quotidiana, riducendo di molto le capacità funzionali di tutto l’arto superiore.

Tendinopatie
A sinistra un tendine sano, a destra un tendine patologico

Fra le varie cause delle tendinopatie, che analizzeremo nel paragrafo seguente, quella più importante e provocativa sembra essere l’aumento di carico sul tendine troppo poco graduale: in tutti i quadri di tendinopatia, infatti, se si indaga la storia del soggetto che ne soffre si può identificare quasi sempre un’attività “non ordinaria” che ha sottoposto il tendine ad un carico per il quale non è stato abituato, e che spesso può innescare un processo tendinopatico.

Nelle tendinopatie il riposo totale (ad eccezione di fasi molto acute e con alta irritabilità) è deleterio quanto il sovraccarico, in quanto non si fornisce in questo modo alcuno stimolo di adattamento positivo al tendine, che tornerà così a provocare dolore quando verrà sottoposto nuovamente al carico. I principi riabilitativi prevedono un sovraccarico progressivo, fornendo alla spalla via via stimoli sempre maggiori per riabituarla e rieducarla al movimento e al carico.

Va specificato che in questo contesto ci riferiamo alle tendinopatie, riconosciute in quanto tali come disturbi “intrinseci” del tendine, e che si differenziano da altri possibili patologie tendinee come le tenosinoviti (processi patologici a carico della guaina sinoviale del tendine) e le lesioni tendinee vere e proprie. Quando parliamo di lesione/rottura del tendine (parziale o massiva) ci riferiamo a una discontinuità macroscopica della struttura.

Cause delle tendiniti della cuffia dei rotatori

A livello strutturale una delle caratteristiche che inevitabilmente predispone i tendini allo sviluppo di processi tendinopatici è la ridotta affluenza di sangue: i tendini, infatti, sono scarsamente vascolarizzati, e ciò implica che anche i processi metabolici legati alla salute e alla guarigione dei tessuti tendinei siano fisiologicamente più compromessi rispetto ad altre tipologie di tessuti.

Sovraccarichi eccessivi, ripetitivi, non graduali e senza un adeguato periodo di riposo tra uno stimolo e il successivo possono portare nel tempo alla formazione di microlesioni tendinee, alle quali segue un processo di guarigione fallimentare.

A livello cellulare, sono stati evidenziati la perdita di organizzazione del collagene, il passaggio di alcune fibre collagene da “tipo 1” (una tipologia di fibre efficiente nella trasmissione di forze) a “tipo 3” (una tipologia di fibre collagene scarsamente efficiente nella trasmissione di forze), l’aumento del numero di  proteoglicani e la formazione di nuovi vasi sanguigni (neo-vascolarizzazione).

Tendinopatia

 

Le principali cause che possono portare allo sviluppo di tendinopatie possono essere suddivise in cause di natura intrinseca e cause di natura estrinseca. Queste vanno inquadrate non tanto come cause a sè stanti, ma come un insieme di possibili fattori contribuenti la cui manifestazione simultanea può portare, in alcuni contesti, allo sviluppo di sintomatologie. Fra queste troviamo:

  • Invecchiamento e fisiologica degenerazione tendinea, con possibile correlazione all’età (comuni dopo i 40 anni), a una predisposizione genetica o a una scarsa vascolarizzazione dei tendini. Questi cambiamenti indeboliscono i tendini che risultano pertanto meno resistenti ai carichi e più suscettibili a lesioni.
  • Eccessivo sovraccarico funzionale, il quale determina un’alterazione della matrice tendinea. Sia per neofiti che per soggetti avanzati è fondamentale impostare una progressione dei carichi di lavoro razionale e rispettare i tempi di recupero e ricondizionamento tendineo, evitando di eccedere con il carico funzionale sulla spalla.

Sovrallenamento

  • Rigidità gleno-omerale con conseguenti alterazioni nell’allineamento e nella biomeccanica della testa omerale durante i movimenti della spalla. Di comune riscontro in chi si allena in palestra è la rigidità della capsula posteriore associata ad una lassità della capsula anteriore della spalla, con testa omerale anteposta.

capsula spalla

  • Morfologia dell’acromion “a uncino” , che porterebbe ad un aumento delle forze compressive a carico dei tendini del muscolo sovraspinato. L’influenza di questa caratteristica morfologica sui processi tendinopatici è ancora oggi dubbia e molto discussa in letteratura.

Tipi di acromion

  • Instabilità gleno-omerale provocata da una scarsa performance dei muscoli della cuffia dei rotatori (debolezza o scarsa resistenza e controllo motorio) e degli stabilizzatori scapolari, sfociante in uno scarso controllo della testa dell’omero durante il movimento di spalla, con eccessiva migrazione superiore dell’omero in abduzione. Questa condizione è tipica nei soggetti molto lassi o nei soggetti che hanno subito operazioni chirurgiche alla spalla.
  • Alterazione del normale allineamento statico e della normale dinamica scapolare durante il movimento della spalla
  • Combinazione di alcuni movimenti come l’abduzione e l’intrarotazione, e l’abduzione e il tilt anteriore scapolare, che aumentano per loro natura gli stress compressivi a carico dei tessuti molli sotto-acromiali. Tali movimenti non vanno visti come “dannosi” in qualsiasi situazione, ma come combinazioni di movimenti il cui fattore di rischio è superiore rispetto ad altri.
  • Alterazioni posturali come l’ipercifosi toracica e le spalle anteposte. Anche qui è importante ricordare e sottolineare come la letteratura affermi che queste alterazioni non rappresentano la causa diretta delle tendinopatie e/o del dolore di spalla, ma possono rappresentare talvolta dei fattori contribuenti al quadro generale.

Analizzando i fattori di rischio evidenziati in letteratura riguardo allo sviluppo di tendinopatie, troviamo una maggiore incidenza di queste ultime nei casi di:

  • Soggetti che partecipano ad attività overhead ripetitive (sport di lancio come pallanuoto, baseball o pallavolo, o alcune attività lavorative), in casi di riposo scarso e/o inadeguato, in soggetti con BMI alto
  • Riposo scarso e/o inadeguato
  • BMI alto
  • Diabete e ipercolesterolemia
  • Età avanzata
  • Fumo di sigaretta
  • Storia passata di dolore di spalla e/o tendinopatie

Fattori di rischio tendinopatie

Infiammazione o degenerazione?

Diversi anni fa era credenza comune il fatto che l’infiammazione avesse un ruolo cruciale nello sviluppo delle tendinopatie. Grazie alle recenti scoperte messe in luce dalla letteratura scientifica, tuttavia, è stato abbandonato il vecchio modello secondo cui si pensava che i disturbi dei tendini fossero dovuti a meccanismi di natura infiammatoria (da qui il famoso termine “tendinite”, ormai abbandonato in quanto ritenuto erroneo ed obsoleto, poichè il suffisso “-ite” sottintende un quadro di natura infiammatoria) e il cui trattamento era basato prevalentemente sull’utilizzo esclusivo di farmaci e di riposo prolungato dall’attività.

Infiammazione

Ad oggi sappiamo invece che il quadro patologico è di tipo “degenerativo” (con alterazioni patologiche dell’architettura tendinea e delle proprietà intrinseche del tendine stesso), e non infiammatorio (alcuni brevi picchi infiammatori possono essere presenti nelle fasi più acute, ma non in quelle che seguono), e il termine più consono per rappresentare tale situazione risulta pertanto essere “tendinopatia”. In questo senso il problema è legato a una degenerazione del tessuto o a una mancata guarigione dello stesso, priva di meccanismi infiammatori.

Altri due fattori che hanno un ruolo rilevante nella genesi tendinopatica sono le forze tensive e quelle compressive, a carico dei tendini. La tensione (generata dall’attività muscolare) è infatti un meccanismo dominante nelle tendinopatie, e di frequente si verifica anche una compressione (per esempio nel caso tipico in cui il tendine viene compresso contro un osso). La combinazione di forze compressive e tensive a carico dei tendini può generare notevoli forze di taglio e stress importanti, con possibile sintomatologia dolorosa nei casi in cui i tessuti tendinei non siano abbastanza complianti da sopportarli.

Tendinite, tendinosi o tendinopatia?

Nonostante la letteratura abbia ormai raggiunto accordo unanime a riguardo, ancora oggi non è cosa rara sentire parlare di tendinite e di tendinosi, oltre che di tendinopatia, creando grande confusione sia nei pazienti che nei professionisti sanitari. Adottare una terminologia chiara e uniforme è di fondamentale importanza, così da facilitare la comunicazione e la comprensione sia tra i pazienti che tra i professionisti. Quale è, quindi, il termine da utilizzare, e perchè?

Uomo pensieroso

Per ciò che concerne la tendinite, abbiamo già visto come questo termine sia scorretto a causa della natura principalmente degenerativa e non infiammatoria delle tendinopatie, e poichè il suffisso “-ite” sta ad indicare un processo infiammatorio, va da sè che sia necessario abbandonare tale etichetta.

E per quanto riguarda il termine “tendinosi”?
In generale, il suffisso “-osi” viene utilizzato per indicare un processo di degenerazione e lesione strutturale. Da queste premesse si potrebbe concludere quindi che tale termine sia corretto per indicare un quadro tendineo patologico. In effetti il termine “tendinosi” non è di per sè scorretto, ma va fatta una considerazione a riguardo: come precedentemente affermato, oggi sappiamo che i cambiamenti tissutali osservati grazie agli esami diagnostici e/o istologici hanno una rilevanza clinica incerta.

In alcuni casi una alterazione delle fibre collagene potrebbe essere fisiologica (causata per esempio dal fisiologico invecchiamento, ad un adattamento tissutale ad una certa attività sportiva o lavorativa) mentre in altri casi potrebbe effettivamente rappresentare un processo patologico strettamente collegato alla sintomatologia dolorosa riferita. A causa di questo sfumato e poco definibile confine tra la fisiologia e la patologia riguardo ai processi degenerativi tendinei, anche il termine tendinosi potrebbe essere oggetto di critiche e malinterpretazioni.

Per fare chiarezza riguardo a questa tematica, nel 2019 è stato tenuto un simposio internazionale sulle patologie tendinee (ICON 2019) che ha visto riunirsi i massimi esperti del settore. Ciò che è emerso è che “tendinopatia” è il termine da preferire per indicare un dolore persistente e un’impotenza funzionale di natura tendinea. Tale terminologia, infatti, non implica la presenza di un particolare processo patologico o biochimico (come l’infiammazione o la degenerazione) e aiuta di conseguenza a focalizzarsi sulla sintomatologia e sulla funzione, semplificando anche la comunicazione tra pazienti e professionisti sanitari.
Tendinopatia

Sintomi della tendinite alla spalla

I sintomi più comuni nelle tendinopatie della spalla sono il dolore e l’impotenza funzionale, la cui intensità può essere molto variabile. Il dolore ha tipicamente un esordio lento e in assenza di un vero e proprio trauma che lo possa giustificare, inizia spesso senza un apparente motivo e va via via peggiorando (fase acuta) per poi stabilizzarsi (fase cronica).

È generalmente profondo, molto localizzato, più tipicamente anteriormente, posteriormente o lateralmente sulla spalla (nell’area dei quattro tendini della cuffia dei rotatori), in un’area ristretta che non irradia mai oltre l’inserzione del deltoide. È un dolore acuto, sordo, descritto come uno  “spillo” o qualcosa “che punge nella spalla”, o ancora come un dolore “a fitta” come una pugnalata, e intermittente, evocato e riprodotto ogniqualvolta si esegue un determinato movimento o esercizio.

Dolore spalla

I movimenti che tipicamente possono evocare questo tipo di dolore sono l’abduzione e/o la flessione, ma talvolta anche l’intrarotazione o l’extrarotazione di spalla. Oltre al dolore, può esserci crescente debolezza, riduzione del ROM e (raramente) lieve gonfiore locale. In alcuni casi, specialmente nelle fasi più acute e irritative, anche le attività di vita quotidiana e il sonno sul lato interessato possono causare dolore ed essere limitate.

Quanto può durare una tendinite alla spalla? Quali sono i tempi di guarigione?

In letteratura si afferma che per recuperare da una tendinopatia servano mediamente 12 settimane (a condizione che vengano rimossi gli stimoli dannosi e che vengano al contrario inseriti input che promuovano il recupero). Va tuttavia chiarito che questo intervallo temporale è variabile e influenzabile da una moltitudine di fattori (per esempio in caso di recidiva o di presenza di patologie concomitanti si parla di un’aumento temporale fino anche a 24 settimane) e che una percentuale di pazienti, seppur piccola, potrà andare incontro ad una cronicizzazione del dolore.

Il grado di irritazione tissutale, gli stimoli a carico dei tendini e le caratteristiche genetiche e psico-sociali possono influenzare enormemente il tempo necessario alla guarigione, e in molti casi la sintomatologia dolorosa tende a svanire anche prima delle suddette 12 settimane.
Tempo

Le 3 fasi del processo: il “Continuum Model”

L’evoluzione dei processi tendinopatici è stata descritta in letteratura attraverso vari modelli. Il più famoso e riconosciuto è stato proposto nel 2009 da Jill Cook e Craig Purdam (due fra i massimi esperti in ambito di tendini), definito come “Continuum Model”, un modello che si propone di descrivere i cambiamenti e i processi che determinano l’evolversi delle tendinopatie. Il modello si compone di tre fasi, e il tendine può spostarsi (a seconda degli input forniti) in alto o in basso nel modello raffigurato, o addirittura trovarsi contemporaneamente in due fasi distinte.

La prima fase è chiamata “tendinopatia reattiva”: in questa fase gli aumenti di carico sul tendine (troppo elevati e/o troppo poco graduali) portano ad una proliferazione cellulare anomala, con un incremento del numero di proteoglicani , un’alterazione della matrice extracellulare tendinea (dove avviene un accumulo acquoso) ed un adattamento a breve termine che vede un incremento dello spessore tendineo. Secondo tale modello, questa fase è ancora reversibile.

Continuum model

Se tale processo continua, l’alterazione della matrice extracellulare e la proliferazione cellulare tendinea prosegue ulteriormente, arrivando ad una seconda fase in cui si assiste ad un fallimento dei processi riparativi tendinei. L’architettura cellulare tendinea a questo punto è disorganizzata, e si verificano fenomeni di neo-vascolarizzazione, ossia la genesi di nuovi vasi sanguigni (e talvolta anche di terminazioni nervose). Questa seconda fase è denominata “fase di Dysrepair (o “alterata riparazione”) tendinea”, in cui è ancora presente un certo grado di reversibilità.

Continuum model

La terza ed ultima fase è denominata  “tendinopatia degenerativa”. In questa fase il tendine presenta alcune porzioni completamente degenerate e “inutilizzabili”, ed è presente una completa disorganizzazione della matrice extracellulare. Secondo il Continuum Model, questa fase viene considerata non reversibile. Attenzione, ciò non vuol dire che arrivati a questa fase non ci sia nulla da fare!

Arrivati in questa fase dobbiamo immaginare il tendine come se fosse una “ciambella”: considerando che i tendini patologici hanno ancora ampie porzioni di tendine sano, l’obiettivo del trattamento riabilitativo sarà dunque quello di aumentare la capacità di carico della struttura tendinea nelle sue porzioni sane (la “ciambella” vera e propria) piuttosto che cercare di rigenerare le porzioni di tessuto degenerato, (il “buco”) in cui sarà difficile (se non impossibile) ottenere miglioramenti.

Ciambella

Nel 2016 la stessa Jill Cook, insieme ad altri autori, ha rivisitato il Continuum Model. La principale criticità emersa era dovuta al fatto che diversi studi hanno evidenziato come i cambiamenti strutturali e tissutali degenerativi riscontrati nelle tendinopatie non giustificassero in modo autonomo la presenza del dolore. In altre parole, non è stata riscontrata alcuna correlazione diretta tra dolore e alterazioni tissutali (e quindi al grado di avanzamento della degenerazione tendinea).

Per tale ragione, la nuova rivisitazione propone di considerare le tendinopatie come un insieme composto da tre componenti: una relativa al dolore, una alla funzionalità tendinea e una relativa alla struttura tendinea.

 

Continuum model

 

Inoltre, anche la rappresentazione del precedente Continuum Model è stata ampliata:

Continuum model

L’obbiettivo del trattamento riabilitativo sarà quello di portare il tendine verso le sezioni verdi del grafico, dove non c’è dolore ed è presente una buona funzionalità tendinea.

La struttura del tendine può essere riportata alla normalità nelle prime fasi, dove è ancora presente un certo grado di reversibilità, e dove possiamo ancora quindi  “spingere” verso l’alto il tendine (riferendoci al grafico). Negli ultimi stadi della tendinopatia, tuttavia, i cambiamenti saranno irreversibili (non sarà quindi possibile “riportare il tendine verso l’alto”) e di conseguenza gli interventi riabilitativi dovrebbero essere mirati a “spostare verso sinistra il tendine”, riportando ad una buona funzionalità e assenza di dolore le porzioni sane del tendine stesso.

Tendinite della spalla recidiva

I dati dalla letteratura riferiscono che il 54% delle persone con disturbi della spalla riferisce che i sintomi sono ancora presenti a distanza di tre anni. I disordini della spalla (in primis le tendinopatie) infatti, tendono spesso a recidivare, ripresentandosi nel corso degli anni. Uno dei principali fattori di rischio per l’insorgenza di tendinopatie, infatti, è l’aver presentato tendinopatie in passato.

Per di più, un episodio di tendinopatia recidiva ha mediamente una prognosi più lunga (in alcuni casi arrivando a richiedere fino al doppio del tempo per guarire) rispetto a una tendinopatia che compare per la prima volta. Per tale ragione risulta fondamentale un approccio che si focalizzi sulla prevenzione delle recidive, specialmente nei soggetti che hanno avuto episodi passati di disturbi tendinei. L’esercizio contro resistenze e il carico graduale e progressivo è lo strumento preventivo più efficace in questo contesto.

Dolore spalla

Tendinite alla spalla in palestra e nel bodybuilding

Le tendinopatie della cuffia dei rotatori e del capo lungo del bicipite rappresentano l’infortunio alla spalla più comune anche in coloro che si allenano in palestra. In questi casi è molto frequente imbattersi in soggetti che lamentano dolore durante esercizi di spinta come la Panca Piana , il Lento Avanti/Military Press, le Alzate Laterali o le Dip, ma anche in esercizi di tirata come Pulley, Trazioni e Lat Machine.

Anche in questi contesti sarà fondamentale una programmazione di allenamento equilibrata che dosi al meglio l’incremento delle variabili allenamenti e i tempi di recupero tra una sessione e la successiva, dando ai tendini un adeguato tempo per adattarsi agli stimoli allenanti. Sarà fondamentale anche curare la tecnica e l’esecuzione degli esercizi, e inserire negli allenamenti esercizi di rinforzo, mobilità e allungamento specifici e risultanti da un’adeguata valutazione.

Dolore spalla

Come si cura la tendinite della spalla? Cosa fare?

Una volta analizzate le possibili cause di tendinopatia, quali sono i possibili rimedi per una corretta gestione? Partiamo col dire che un corretto trattamento dovrà necessariamente essere contestualizzato in base alle caratteristiche e alla storia del soggetto, alla tipologia di quadro patologico e alle attuali capacità funzionali.

In letteratura è oramai pienamente concorde nell’affermare che l’esercizio con sovraccarichi graduale e progressivo è il trattamento più efficace per le tendinopatie. Qualsiasi trattamento quindi dovrà basarsi principalmente sull’esercizio attivo, riadattando in questo modo le capacità di carico del tendine (o delle porzioni “sane” del tendine, in caso di fasi avanzate di tendinopatia degenerativa).

Esercizi spalla

Per quanto riguarda il dolore alla spalla durante gli allenamenti causato dalle tendinopatie, alcune strategie utili, sia in ottica preventiva che riabilitativa, sono le seguenti:

  • Rispetto delle corrette esecuzioni degli esercizi, specie negli esercizi più soggetti al dolore di spalla come la Panca Piana, il Lento Avanti e le Alzate Laterali. Dovranno essere preferite varianti con il più basso fattore di rischio possibile, e sarà fondamentale il costante mantenimento di un corretto assetto scapolare durante gli esercizi.
  • Evitamento/limitazione di linee di movimento dolorose, ricercando temporaneamente piani di movimento e ROM non dolorosi, per poi tornare gradualmente agli schemi motori originali quando il dolore sarà svanito.
  • Evitamento/limitazione di serie a cedimento e/o tecniche ad alta intensità
  • Rispetto della gradualità nella programmazione e nella progressione dei parametri allenanti, evitando (in casi di dolore) lavori a cedimento e serie lunghe e forzate, prediligendo invece lavori con un discreto buffer.
  • Inserimento di esercizi specifici finalizzati alla correzione delle eventuali disfunzioni articolari e muscolari riscontrate con un’apposita valutazione. Rientrano in questa categoria esercizi di rinforzo/resistenza/performance muscolare (spesso necessari per i muscoli della cuffia dei rotatori e per alcuni muscoli periscapolari come il trapezio medio e inferiore o il gran dentato), esercizi di allungamento muscolare e/o capsulare, esercizi di mobilità ed esercizi di propriocezione.

esercizi spalla

Esercizi per la tendinite della spalla

Ok, il trattamento più efficace è l’esercizio. Ma quale esercizi fare? Con quale dosaggio?

Diversi studi in letteratura hanno analizzato tale questione, ed è emerso che attualmente non è stato riscontrato nessun esercizio in particolare che sia più efficace di altri, così come nessun dosaggio in particolare. Basandoci dunque sul ragionamento clinico, ecco alcune proposte di esercizi utili in un trattamento riabilitativo per le tendinopatie dolorose della spalla:

Esercizi rinforzo e incremento performance muscolare

Esercizi di rinforzo della cuffia dei rotatori

Molto spesso nei casi di spalla dolorosa sono presenti quadri di debolezza e/o scarsa performance muscolare dei muscoli della cuffia dei rotatori. Gli esercizi di rinforzo per la cuffia dei rotatori risulteranno in questo senso fondamentali. Questi si dividono essenzialmente in due categorie: una mirata al rinforzo dei muscoli extrarotatori sovraspinato, infraspinato e piccolo rotondo, e una mirata al rinforzo del muscolo sottoscapolare (intrarotatore). 

Fra i principali esercizi per gli extrarotatori troviamo le extrarotazioni sul fianco, le extrarotazioni da posizione prona o seduta a 90° di abduzione e/o flessione omerale e le extrarotazioni eseguite in piedi con una resistenza elastica e l’omero a diversi gradi di abduzione.

Tutti questi esercizi possono essere eseguiti senza sovraccarico o con un sovraccarico generato da manubri o da elastici. In base al quadro di irritabilità e al livello funzionale si può optare per contrazioni isometriche (nei casi di elevata irritabilità e basso livello funzionale) o per contrazioni concentriche ed eccentriche (nei casi di irritabilità tissutale intermedia o bassa e discreto livello funzionale). Potranno essere inseriti in questo contesto anche esercizi con elastici in vari pattern di movimento come le diagonali con elastico, le varianti di wall slide con elastico per favorire l’attivazione degli extrarotatori, e molti altri ancora.

Esercizi di rinforzo dei muscoli periscapolari

Nei quadri di spalla dolorosa un altro gruppo muscolare che spesso va incontro a debolezza e alterazioni è quello dei muscoli periscapolari, detti anche “stabilizzatori della scapola”. Rientrano in questo complesso il muscolo trapezio (con i suoi fasci superiori, intermedi e inferiori), i muscoli romboidi e il gran dentato (o dentato anteriore).

Esercizi efficaci per allenare questi muscoli sono gli Shrug (per il rinforzo del trapezio superiore), le alzate laterali da prono (nelle varie propedeutiche e progressioni) con enfasi sul trapezio medio e romboidi o sul trapezio inferiore in base alla variante scelta; esercizi di tirata orizzontale (o “remata”) con cavi o elastici, esercizi di tirata con elastici poste a varie altezze per creare più enfasi sul trapezio medio e romboidi o sul trapezio inferiore.

Anche esercizi come il wall slide e gli esercizi di depressione scapolare (come il Press-up o gli Scapular-pull up) saranno efficaci per il rinforzo del muscolo trapezio inferiore. Il gran dentato invece potrà essere rinforzato grazie ad esercizi come il Plank plus, Push-up Plus, Dynamic Hug, diagonali con manubrio e Landmine Press.

Esercizi di rinforzo dei muscoli deltoide, gran pettorale e gran dorsale

Una adeguata funzionalità e performance dei muscoli deltoide, gran pettorale e gran dorsale è di grande importanza ai fini della salute della spalla. Va inoltre considerato che anche i muscoli della cuffia dei rotatori e i muscoli periscapolari sono molto attivi (sia per stabilizzare che per ottimizzare il movimento della spalla) nella quasi totalità degli esercizi con focus su deltoide, pettorale e dorsale.

Fra i principali esercizi per questi distretti muscolari troviamo le alzate laterali (con manubri, cavi o elastici), adduzioni con elastici (con lieve flessione di spalla associata per un focus sul gran pettorale, o lieve estensione associata per un focus sul gran dorsale), estensioni di spalla, rematori, trazioni  per il gran dorsale, push-up, spinte orizzontali e croci (ai cavi, con elastici o con manubri) per il gran pettorale.

Esercizi per la spalla con coinvolgimento della catena cinetica

Di recente la letteratura ha investigato il ruolo della catena cinetica (in questo caso intesa come la muscolatura del troncoe dell’arto inferiore controlaterale alla spalla dolente) negli esercizi terapeutici per la spalla dolorosa, concludendo che un suo inserimento negli esercizi è in grado di favorire una maggior attivazione dei muscoli target come infraspinato, trapezio inferiore e gran dentato.

Alcuni esempi di esercizi per la spalla che coinvolgono la catena cinetica sono le elevazioni di spalla eseguite con un simultaneo passo in avanti dell’arto inferiore opposto alla spalla dolente, o eseguite simultaneamente a uno squat o ad un affondo. Inserire anche una resistenza elastica fra i dorsi delle mani permetterà un’ulteriore attivazione dei muscoli extrarotatori.

Affondo

Catena cinetica

Esercizi per aumento della stabilità di spalla

Nei casi di instabilità di spalla, con debolezza muscolare e/o alterazioni nella coordinazione e nel controllo motorio fra i vari distretti muscolari della spalla, sarà importante inserire esercizi mirati all’incremento della performance muscolare, del controllo motorio e in particolare dell’azione stabilizzatrice di alcuni muscoli (in primis i muscoli della cuffia dei rotatori e gli stabilizzatori della scapola).

A tal riguardo esistono numerosissimi esercizi: alcuni esempi sono gli esercizi a “catena cinetica chiusa” come il plank e le sue varianti (in particolare il plank eseguito in appoggio sulle mani, su una mano sola o su una superficie instabile) o i “wall ball slide” ; esercizi con contrazioni pliometriche ripetute a bassa intensità, push-up pliometrici (eseguiti in ordine crescente di difficoltà al muro, su un rialzo inclinato a 45° o sul pavimento) ed esercizi specifici di rinforzo per la cuffia dei rotatori a vari ROM.

Stabilità spalla

Esercizi di stretching (allungamento) e mobilità

Oltre agli esercizi di rinforzo, in un piano riabilitativo completo è spesso necessario inserire anche esercizi di allungamento per le strutture o i movimenti riscontrate rigide/i in fase di valutazione (tali esercizi risultano spesso fondamentali anche nei casi post-operatori).

Mobilità spalla
Esercizio di mobilità in flessione di spalla con un rialzo (una sedia)

In questo senso potranno essere utili esercizi di recupero della mobilità in intrarotazione come il Cross Body Stretch, lo Sleeper Stretch e l’intrarotazione assistita con asciugamano o bastone (eseguita con le mani dietro la schiena); esercizi di recupero della mobilità in extrarotazione, estensione ed intrarotazione mediante l’assistenza di un bastone; esercizi di recupero della mobilità in flessione come l’ Open Book Stretch, l’automobilizzazione in flessione con elastico (per favore il movimento accessorio della testa omerale) e l’automobilizzazione in flessione in ginocchio con il supporto di un rialzo o una panca.

Tramite l’assistenza di foam roller, di un muro o di una spalliera, potranno essere eseguiti esercizi di stretching dei muscoli grande rotondo, grande e piccolo pettorale, romboidi, deltoide, trapezio superiore ed elevatore della scapola.

sleeper stretch
L’esercizio sleeper stretching per lo stretching della capsula posteriore della spalla

Esercizi di propriocezione scapolare

Nei quadri di spalla dolorosa, specie quando il dolore è presente da molto tempo, sono spesso presenti alterazioni nella propriocezione scapolare, in particolare dei movimenti di retrazione e/o rotazione craniale della scapola. Esercizi di recupero della propriocezione scapolare in questi movimenti con l’utilizzo di un bastone o una fitball potranno risultare molto efficaci.

Bastone

Esercizi sport specifici

Nei casi di dolore di spalla in atleti amatoriali o agonistici, dove l’obbiettivo principale non è solo la risoluzione della sintomatologia dolorosa, ma il ritorno allo sport, è fondamentale inserire (nelle fasi finali del percorso riabilitativo, una volta che il dolore sarà diminuito e la funzionalità sarà aumentata) esercizi “sport-specifici”, che vadano a mimare quanto più possibile il gesto specifico che verrà poi riprodotto numerose volte durante l’attività sportiva. Questo permetterà alle struttture muscoloscheltriche di adattarsi gradualmente agli elevati stress imposti da tali gesti sportivi. Alcuni esempi sono i seguenti:

  • Nei nuotatori si può parzialmente riprodurre la posizione sport-specifica attraverso degli esercizi di rinforzo (per esempio extrarotazioni o abduzioni con manubri) eseguiti in posizione prona sopra una fitball, aumentando la richiesta di stabilità del tronco e mimando la posizione del nuotatore in acqua.

Esercizio spalla su fitball

  • Nei lanciatori si potrà riprodurre il gesto del lancio utilizzando una resistenza esterna fornita da un elastico o dai cavi, in modo da poter regolare l’intensità della resistenza esercitata in opposizione al gesto del lancio riprodotto. In tale modo si potrà scegliere e regolare se allenare il gesto del lancio con ROM parziali o completi, modificando a propria scelta anche la velocità del gesto in funzione degli obbiettivi e del livello funzionale attuale.

Lanciatore

Il medesimo discorso vale anche per altri sport come la pallavolo, il tennis, la pallamano ecc…Nelle varie fasi riabilitative si potrà progredire modificando le variabili di questi esercizi, con l’obbiettivo di renderli nel tempo sempre più simili ai gesti motori che saranno riprodotti nelle attività sportive.

Terapie e trattamenti per la tendinite della spalla

Quali altri tipologie di trattamento, oltre all’esercizio, vengono proposte per le tendinopatie della spalla? Cosa dice la letteratura a riguardo?

Per quanto riguarda le terapie fisiche, il loro utilizzo nel trattamento riabilitativo per le tendinopatie non è consigliato dalla letteratura. Queste, infatti, non sono in alcun modo in grado di modificare la capacità di carico del tendine, e attualmente esistono poche evidenze di qualità che ne dimostrino e consiglino l’utilizzo.

Per ciò che concerne la terapia manuale, alcuni studi hanno evidenziato come il trattamento manuale della spalla e del torace sia in grado di ridurre il dolore e migliorare la funzionalità nel breve termine. I miglioramenti associati alla terapia manuale non sono tuttavia riconducibili ad un effetto biomeccanico, ma ad effetti neurofisiologici e psicologici. In breve, quindi, la terapia manuale può rappresentare un valido aiuto nel piano riabilitativo, ma il focus principale dovrà sempre essere sull’esercizio terapeutico con sovraccarichi.

fisioterapia spalla

E il riposo? È ormai verità inconfutabile che il riposo e/o l’immobilizzazione nelle tendinopatie non sia efficace, e che sia deleterio. Questo perchè un tendine immobilizzato non avrà alcuno stimolo che generi conseguenti adattamenti positivi come l’aumento della capacità di carico, la riorganizzazione cellulare e la sintesi di collagene.

Alcuni studi hanno dimostrato che dopo due settimane di immobilizzazione la sintesi di collagene nei tendini viene ridotta notevolmente, e che la disposizione delle fibre collagene diventa casuale e disorganizzata, peggiorando la capacità funzionale del tendine (è infatti il carico che permette alle fibre di disporsi in maniera ordinata). L’immobilizzazione, per di più, aumenta la produzione di alcuni enzimi responsabili della degradazione del collagene.

Riposo

Quindi in caso di tendinopatia non bisogna mai e per nessuna ragione restare a riposo?

Non proprio. In situazioni molto acute accompagnate da dolore molto elevato e presente anche nel quotidiano, può essere necessario un breve periodo di riposo, ma in un contesto in cui il soggetto resti comunque attivo e apporti possibilmente un minimo di carico sulla struttura, rispettando il dolore e la sintomatologia affinchè resti tollerabile. È poi importante sottolineare che dopo un periodo di inattività sarà fondamentale evitare aumenti improvvisi del carico (che potrebbero portare a processi tendinopatici), la cui progressione dovrà essere graduale.

La chirurgia invece?

Per quanto riguarda le tendinopatie della cuffia dei rotatori non esistono ad oggi prove a favore della superiorità dell’intervento chirurgico rispetto alle terapie basate sull’esercizio. I risultati dei trattamenti basati sugli esercizi appaiono infatti efficaci al pari di quelli ottenuti mediante chirurgia.

Sulla base di questi dati gli autori sostengono che gli interventi chirurgici nelle tendinopatie doverevvero essere considerarti solo dopo l’eventuale fallimento del programma di esercizi basato sul carico, proseguito per un tempo di almeno 12 mesi, o nei casi in cui il soggetto con dolore non sia stato in grado di tollerare in alcun modo il carico progressivo degli esercizi.

Sala operatoria

Anche le infiltrazioni non si sono rivelate migliori della fisioterapia a medio termine; anzi, i corticosteroidi sembrano avere effetti deleteri sui tendini nel lungo termine.

Parlando di impingement (o più correttamente, di “sindrome da dolore subacromiale”), un’intervento che negli ultimi decenni è stato fra i più diffusi è il cosiddetto intervento di “decompressione subacromiale” eseguito in artroscopia. L’efficacia di questo intervento è stata messa in prova da diversi studi, alcuni dei quali anche molto recenti, ed è emerso che tale procedura porta nel medio-lungo termine a risultati comparabili a quelli ottenuti tramite il solo trattamento con esercizi (in questo caso senza i rischi e i costi della chirurgia).

Oltre a ciò, tale intervento è stato confrontato con lo stesso intervento svolto in modalità “finta” (in sostanza veniva ricostruito lo stesso tipo di intervento ma nel concreto non veniva effettuato alcun intervento reale) riscontrando in entrambi i casi risultati comparabili, e portando gli autori ad attribuire i benefici di tale intervento legati principalmente all’effetto placebo e/o alla riabilitazione post-operatoria con esercizi. Per tali ragioni la letteratura sconsiglia ad oggi l’intervento di decompressione subacromiale.

Chirurgo

 

 

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L’indice glicemico della frutta

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Frutta a basso indice glicemico

Una mela al giorno leva il medico di torno. Poi scopri l’indice glicemico della frutta e inizi a mettere in dubbio la veridicità di questo proverbio. La saggezza popolare, però, ha spesso un fondo di verità e sicuramente non sa o non si preoccupa dell’indice glicemico.

Meglio mangiare la frutta ogni giorno, meglio prestare attenzione ad alcuni frutti o addirittura evitarli? Meglio la mela o meglio il medico?

Tabella indice glicemico frutta

L’ indice glicemico della frutta può essere più alto o più basso a seconda del contenuto di zuccheri semplici. Gli zuccheri della frutta sono costituiti da glucosio, fruttosio e saccarosio (1 molecola di glucosio legata ad 1 di fruttosio). A seconda del rapporto tra glucosio e fruttosio, che normalmente è del 50%, un frutto può avere un indice glicemico più o meno basso – considerando che l’indice glicemico del glucosio è 100, del fruttosio 20 e del saccarosio 70.

Frutto Indice

glicemico

Frutto Indice

glicemico

Datteri secchi 103 Mela 44-28
Melone 75 Prugna 39-35
Anguria  72 Albicocca 38-30
Ananas 59 Pere 38
Uva 59-46 Arancia 35
Pesca 58-36 Fichi 35
Kiwi 53 Mela cotogna 35
Banana 52 Ciliegie 22
Mango 51 Avocado  15

La frutta acerba ha un in indice glicemico più basso ed ha meno calorie?

Quali sono i frutti a basso indice glicemico

L’IG della frutta può variare molto, dato che dipende dal grado di maturazione e conservazione: più un frutto è acerbo e più ha acidi organici e meno zuccheri semplici. Quando è acerba, la frutta contiene amido resistente che poi con la maturazione viene idrolizzato e trasformato in zuccheri semplici.

Mangiare la frutta acerba è possibile, anche se può non piacere, perché l’apparato digerente è in grado di scindere l’amido, che, tuttavia, essendo resistente, in parte non verrà assimilato e sarà trattato come una fibra alimentare.

La frutta acerba possiede anche antinutrienti che sarebbe bene non introdurre in eccesso.

Indice glicemico frutta estiva

La colorata frutta estiva per quanto riguarda l’indice glicemico presenta valori variabili: ci sono alimenti a basso, medio e alto IG. L’anguria e il melone sono quelli con i valori più elevati, mentre le ciliegie con quello più basso. Che sia alto o basso, non serve fare troppe discriminazioni: la frutta estiva è nutriente, succosa ricca di vitamine e idratante!

Frutto estivo IG
Albicocche 30-38
Anguria 72
Ciliegie 22
Fichi 35
Melone 60
Pesche 36-58
Prugne 35-39

Indice glicemico frutta secca

La frutta secca non è famosa per il suo indice glicemico (infatti ce l’ha basso), ma piuttosto come fonte di grassi “buoni” (più tecnicamente: polinsaturi), di una piccola frazione proteica e di micronutrienti.

Sono alimenti che vanno mangiati con moderazione, in quanto molto calorici e lipidici, e che possono essere inclusi in una dieta sana ed equilibrata proprio come fonte lipidica e di minerali. Il basso IG non è una scusa per mangiarne in quantità smodata!

Frutta secca IG
Anacardi 27
Noce di cocco 45
Mandorle 15
Nocciole 25
Noci 15
Pinoli 15
Pistacchi 15

Dobbiamo mangiare frutti a basso indice glicemico?

Non c’è nessuna necessità di dividere la frutta tra buona e cattiva a seconda del suo indice glicemico: la frutta fa generalmente bene ed un frutto ad alto IG non fa ingrassare di più rispetto ad un altro che ce l’ha più basso.

Come sempre, scegli alimenti naturali, di stagione, ricordandoti sempre che la  composizione corporea è influenzata in primis dall’equilibrio energetico e dalla ripartizione dei macronutrienti e non dall’indice glicemico.

Anche per i diabetici (di tipo 1 o 2) la frutta non è un problema, dato che la variazione sulla glicemia è molto bassa. Infatti, anche se la frutta zuccherina ha un IG alto, il suo carico glicemico (quanto realmente influenza la glicemia) rimane molto basso.

Frutta ad alto indice glicemico

È vero che gli alimenti (frutta inclusa) sono suddivisi in:

  • A basso IG: valori compresi tra 0 e 55
  • A medio IG: valori compresi tra 56 e 69
  • Ad alto IG: valori superiori o uguali a 70

Il fatto che esista questa classificazione non implica che quelli a medio-alto IG siano “ingrassanti” rispetto quelli a basso IG in quanto stimolano maggiormente l’insulina. Questo perché l’indice glicemico non è un parametro tra quelli fondanti (come il bilancio energetico totale della giornata) per perdere o prendere peso.

Senza poi contare, che ci sono molti fattori che influenzano l’IG di un alimento: il tipo di zuccheri contenuto negli alimenti, il grado di maturazione dell’alimento, l’eventuale cottura e lavorazione, la presenza di altri macronutrienti nello stesso pasto (proteine e grassi).

Inoltre, l’aumento della glicemia e dell’insulina sono eventi del tutto fisiologici, che l’organismo è in grado di gestire senza intoppi. Soprattutto se l’evento è acuto e non così rilevante come il mangiare un frutto come spuntino.

Conclusioni pratiche sull’indice glicemico della frutta

Con la frutta l’importante non è considerare l’indice glicemico, ma mangiarla! La frutta fa bene perché contiene micronutrienti, acqua, fibra ed è una scelta di spuntino sano. Comunque, presta attenzione alla quantità: nella media, sono consigliati 2-3 frutti al giorno.

Non è la mela che ti fa stare in salute, bensì l’idea che c’è dietro il “mangiare una mela al giorno”: fare scelte sane e avere buone abitudini (come il mangiare sempre a merenda una mela piuttosto che una merendina) sono le vere chiavi per “levare il medico di torno”.

Approfondisci l’argomento dieta, dimagrimento e ricomposizione corporea, con la nostra guida gratuita per cominciare a farti delle solide basi su cui poi approfondire:

Guida di base alla nutrizione

Guida di base alla nutrizione

Come mangiare correttamente per dimagrire

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Spartan Race Italia e OCR Italia: miniguida per affrontarle

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Corsa ad ostacoli OCR

 Le corse ad ostacoli contano ad oggi più di 20 milioni di atleti in giro per il mondo. La loro storia è antichissima, risale addirittura ai tempi dei Greci e dei Romani, ma se si parla di OCR moderne sono nate in America e si sono presto diffuse anche in Europa, diventando negli ultimi 10 anni uno dei fenomeni sportivi più in voga.

Ma cosa sono esattamente queste OCR?

Il loro acronimo significa Obstacle Course Race: immaginatevi un percorso, solitamente sterrato e disseminato di ogni genere di ostacolo, che dovrete compiere di corsa nel minor tempo possibile.

Il fatto di essere su un terreno sterrato non può che farci venire in mente una parola: fango!! Scordatevi infatti di portare a termine una corsa ad ostacoli rimanendo puliti, anche perché se sarete fortunati e il clima sarà clemente, ci saranno sicuramente pozze d’acqua o ruscelli da attraversare e rotolamenti nella terra che vi faranno tornare un po’ bambini, quando ci si divertiva a rotolarsi nel fango giocando insieme agli amici.

E gli ostacoli quali sono?

Ostacoli spartan race

Beh innanzitutto bisogna distinguere 2 grandi categorie:

  • ostacoli naturali: fango, acqua, fuoco, rocce, neve, fiumi…
  • ostacoli artificiali: muri da scavalcare, trasporti di tronchi, catene, giavellotti da lanciare e ogni genere di ostacolo in sospensione.

Quindi per essere pronti ad affrontare una gara OCR in Italia dovrete differenziare i vostri allenamenti, in modo da avere una preparazione a 360° che vi permetterà di affrontare al meglio tutte le variabili che si presenteranno durante il percorso.

Spartan Race Italia SPRINT

Spartan race sprint

Quando si parla di corse ad ostacoli, è impossibile non menzionare le Spartan Race, senza dubbio il format di gara più diffuso e popolare del mondo.

Il ventaglio di gare che Spartan propone è composto da:

  • SPRINT 5Km
  • SUPER 10Km
  • BEAST 21Km

A cui si aggiungono le varie endurance, come ULTRA BEAST, HH, AGOGE. Noi per oggi ci concentreremo sulla più breve, la SPRINT.

La Spartan Race SPRINT, il punto di inizio per molti atleti, è la tipologia di gara che dall’anno 2020 prevede una lunghezza del percorso fissa di 5km e circa 20 ostacoli distribuiti lungo il tragitto.

Ora vediamo insieme meglio quali sono le sue due componenti fondamentali e le andremo ad analizzare così da comprendere meglio come affrontarla e come programmare i nostri allenamenti per migliorare la performance.

  1. Innanzitutto deve essere chiaro che, come dice il nome stesso, è una RACE, quindi la parte fondamentale che determina circa l’80% della performance è la corsa. Che voi siate muscolosi, atletici o bravissimi sugli ostacoli, una cosa è certa… dovrete percorrere dall’inizio alla fine quei 5 maledetti chilometri nel più breve tempo possibile, e l’unico modo per farlo è correrli nel miglior modo che potete.
  2. OSTACOLI: l’altra faccia della medaglia nasconde le vere insidie, gli ostacoli, che vengono suddivisi in categorie SOSPENSIONE, TRASPORTO, EQUILIBRIO, TECNICI e TATTICI. Mentre farete la gara capirete che loro saranno il vero motivo per cui state correndo una Spartan Race e non un semplice trail, vi metteranno alla prova sotto tutti i punti di vista; ricordate, per ogni ostacolo non superato la penitenza consiste nello svolgere 30 burpees.

Vedremo meglio nei prossimi articoli tutti gli ostacoli e come affrontarli ed allenarli uno per uno. 

Preparazione alla gara di corsa agli ostacoli

Preparazione corsa ad ostacoli

Veniamo alla preparazione.

Se siete alla vostra prima Spartan Race SPRINT potete preparare la componente n.1 (corsa) semplicemente con n.2 uscite settimanali:

  • la prima con ripetute a velocità variabile: 5 serie da 400m piano e 300m veloce, con 1’ di pausa tra le serie
  • la seconda uscita con 6/7km di corsa su percorso collinare con almeno 150m di dislivello.

Se riuscite a mantenere questo ritmo di allenamento almeno per un mese prima della gara sarete sicuramente in grado di avere una buona base di corsa per non “soffrire” la gara ed avere margine per divertirvi.

Per la componente n.2 (ostacoli) occorre sapere quali sono gli ostacoli che vengono solitamente piazzati sul percorso di gara Sprint, per poi capire come allenarli al meglio, ora li vediamo insieme:

Wall climb – sono i muri da scavalcare, li potete trovare sotto varie forme e altezze

O.u.o.u. – sono quattro muri dove l’atleta dovrà passare sopra-sotto-sopra-sotto

Multi rig – serie di prese in sospesione da superare solo con l’uso delle mani

Rope climb – la famosa e temuta salita della corda

Inverted wall – muro con inlcinazione invertita verso l’atleta

Slippery wall – muro scivoloso da risalire con l’aiuto di una corda

Cargo net – rete cargo da utilizzare per salire poi scendere da un container

Hercules hoist– sollevamento di un peso con una fune e una carrucola

Hurdles – travi sospese a mezza altezza da superare

Tire flip – ribaltamento dello pneumatico

Barbed wire – filo spinato

Log carry – trasporto del tronco

Balance beam – superare una trave di equilibrio

Monkey bar – molto simile al monkey rig ma composto solo da sbarre

Sandbag carry – trasporto della sandbag

Olympus – serie di prese da arrampicata fissate ad un pannello inclinato da superare lateralmente

Spear throw – lancio del giavellotto

Z wall – prese fissate su un muro verticale da percorrere lateralmente

Bucket carry – trasporto del secchiello pieno di ghiaia

Fire jump – salto del fuoco finale che vi porta al traguardo

Per migliorare l’esecuzione degli ostacoli, nella nostra guida completa troverete capitoli dedicati, che vi daranno spunti sull’allenamento delle tecniche anche senza avere a disposizione gli ostacoli, ma solo utilizzando le attrezzature comuni da palestra.

In generale per la preparazione di una Spartan Race in Italia noi utilizziamo accoppiato alla corsa l’allenamento a circuito, che oltre ad allenare la nostra forza resistente, possono incorporare una quantità di esercizi che migliorano tutte le componenti necessarie al superamento degli ostacoli.

Esempio di allenamento per la Spartan Race

Spartan race allenamento

5 rounds

  • 400m run sandbag
  • 1’ air squat
  • 30’’ hang grip alle sbarre presa supina
  • 1’ push up
  • 30’’ hang grip alle sbarre presa prona
  • 1’ pull up
  • 30’’ burpees

Come strutturare la preparazione per una gara competitiva?

Il bello di questo sport è la varietà, che ci obbliga ad essere completi sotto tutti i punti di vista, a 360°, dalla corsa, alla forza, grip, equilibrio e resistenza, disorientando molti atleti che non sanno come strutturare al meglio la propria preparazione.

Se ipotizziamo di partire non da zero, ma da un soggetto mediamente allenato che ha già provato in modo non competitivo l’approccio ad una Sprint, la programmazione degli allenamenti per arrivare al top della performance può essere fatta in un periodo di preparazione di 6 mesi.

Nella guida completa potrete trovare una programmazione dettagliata per ogni mese che precederà la gara: vi daremo gli strumenti necessari per potervi strutturare una preparazione “homemade” basata sul nostro protocollo INVICTUS, quella che consigliamo e proponiamo ai nostri atleti.

Nello specifico, vi proporremo una programmazione differenziata, implementando ed unendo insieme diverse tipologie di allenamenti che dovrete eseguire mese dopo mese, per arrivare ad essere competitivi alla vostra prossima Sprint.

Abbigliamento da gara

Adesso che siete fisicamente e tecnicamente pronti, è arrivato il momento di pensare a come vestirsi.

Partiamo dal presupposto che durante una OCR oltre ad affrontare una grande varietà di ostacoli , spesso sfideremo tutti gli elementi o buona parte di essi, di conseguenza il nostro vestiario dovrà essere in grado di resistervi ed arrivare a fine gara possibilmente integro.

NO AL COTONE!

Veniamo dunque al primo consiglio, che in realtà è più un assioma delle OCR: evitare il COTONE, in ogni sua forma e lavorazione. È un ottimo tessuto per la vita quotidiana, ma alcune sue caratteristiche lo rendono poco adatto al nostro sport: è idrofilo quindi trattiene acqua perdendo la sua forma originaria, è poco traspirante ed infine è più incline ad impigliarsi durante il superamento di alcuni ostacoli.

La conclusione è abbastanza ovvia: il cotone, almeno il giorno della gara resta a casa nell’armadio.

Dopo questa doverosa premessa, passiamo ad analizzare nel dettaglio come equipaggiare parte superiore ,inferiore ed eventuali accessori.

Parte superiore

Alcuni atleti, soprattutto tra gli elite, evitano addirittura di utilizzare una maglia, in particolare durante la bella stagione.
Molto spesso infatti nelle OCR, liberarsi del superfluo può essere una strategia vincente poiché si è più leggeri e non si assorbe acqua in eccesso durante gli ostacoli che prevedono immersione.

Il nostro consiglio è comunque quello di restare coperti ed optare per una t-shirt/top in tessuto sintetico che abbia a seconda delle preferenze un fit aderente o a compressione.
Tessuti come il nylon, poliestere, lycra, polipropilene rientrano ormai nella composizione di molti capi dedicati al running, triathlon, teniamoli quindi in considerazione in fase di acquisto.

Non lesiniamo sulla qualità e cerchiamo il giusto compromesso in modo da non dover rinnovare l’abbigliamento in vista di ogni gara.

Accessori

Spesso sui tracciati di gara possiamo notare atleti equipaggiati con manicotti, “sleeve” o gomitiere, se gli uni ci possono dare i comuni benefici dell’abbigliamento a compressione (ovvero migliore circolazione, riduzione dell’affaticamento e supporto del movimento) gli altri possono salvaguardare i nostri gomiti quando ci troveremo a contatto con il terreno e le sue asperità.

Acquisto non indispensabile, ma che comunque può rivelarsi utile, sperimentate.

Brand consigliati: Compressport, Gore, 2XU, UnderArmour, XBionic, Nike, Adidas, Wong, Reebok, Decathlon.

E poi rimane il dilemma su come trasportare i vari integratori, barrette, gel, sali minerali…. Ovviamente dipende dal tipo di gara che dovrete sostenere. Premesso che nelle gare endurance, o comunque oltre i 20 Km, lo zainetto idrico è molto utile/fondamentale, in una corsa da 5Km basterà un piccolo marsupio o addirittura le reti elastiche che si trovano sul retro dei pantaloncini a compressione

Parte inferiore

Per quanto riguarda la parte inferiore, possiamo davvero adottare svariate combinazioni.
C’è chi preferisce utilizzare soltanto uno short a compressione, chi aggiunge a questo uno pantaloncino tradizionale ed infine chi preferisce adottare il pantalone o calzamaglia a lunghezza intera.
Ancora una volta è valida la regola del tessuto sintetico, ricordate, dovete restare il più leggeri possibile e trattenere poca acqua/sudore.
Noi ci sentiamo di consigliare in ogni caso l’abbigliamento compressivo, vista la grande sollecitazione a cui sono sottoposti gli arti inferiori durante la corsa su sterrato.

Un altro piccolo consiglio dettato dall’esperienza, cercate di preferire capi dotati di tasche o scompartimenti elastici in grado di contenere gel, barrette o piccole fiaschette…insomma tutto ciò che potrebbe tornarvi utile in gare più lunghe ed impegnative.

Veniamo ora alle calze, sbagliare la scelta diciamolo, sarebbe una vera tragedia! Nessuno vorrebbe mai finire una gara con i piedi doloranti o peggio ancora martoriati da vesciche. Scegliamo quindi con cura e con un occhio di riguardo per la qualità, ne va dei nostri piedi.

Accessori
Polpaccere, sleeve, calze a compressione…ce n’è davvero per tutti i gusti.

Nonostante vi siano pareri discordanti, i benefici che dichiarano di promuovere sono:

  • Riduzione della fatica
  • Regolazione della temperatura muscolare
  • Protezione da detriti e abrasioni

In ultimo diciamolo, sono belli da vedere e danno un tocco di stile…
Se mai doveste decidere di acquistarli solo un paio di raccomandazioni: utilizzate le tabelle per scegliere con cura la taglia esatta e soprattutto testateli a lungo in allenamento prima di indossarli in gara poiché non tutti tolleriamo allo stesso modo l’effetto compressivo, soprattutto sui polpacci.

Brand consigliati: Compressport, Gore, 2XU, UnderArmour, Nike, Adidas, Wong, Reebok, Oxeego, Oxyburn, Xtech.

Scarpe

Dulcis in fundo abbiamo le scarpe. Ah le Scarpe!
Scegliere quelle giuste è talmente importante che vi aiuteremo a farlo in una sezione dedicata che troverete nella nostra guida completa.

Per ora possiamo dirvi che sui tracciati ne abbiamo davvero viste di tutti i colori nel corso degli anni…

Gente correre con vecchie scarpe da running, sneakers, scarpe da calcio e persino a piedi nudi.
Noi ovviamente scoraggiamo caldamente queste iniziative perché ricordate sempre, in una OCR/Spartan la nostra incolumità e quella di chi ci sta intorno ha la priorità su tutto.

Il nostro consiglio quindi è quello di optare per un paio di scarpe con una buona tassellatura, drenaggio e supporto. Tradizionalmente, la maggior parte delle scarpe da trail si sono rivelate un buon compromesso per iniziare a praticare OCR, ma ormai il mercato si è adeguato all’enorme crescita di questo sport e ci offre scarpe specifiche. Non abbiamo più scuse.

Alimentazione pre-gara

Un’altra domanda fortemente ricorrente nel mondo delle gare ad ostacoli è: cosa bisogna assumere nei giorni che precedono una gara?

Il primo consiglio che ci sentiamo di darvi è questo: non sperimentate mai un’alimentazione nuova prima di una gara, perché non saprete mai come risponderà il vostro fisico. Quindi non fate esperimenti strani con cibi mai provati prima di un allenamento o addirittura che non siete abituati ad assumere durante le vostre giornate.
Ovviamente con l’esperienza affinerete sempre di più la vostra alimentazione e va da sè che imparerete sempre di più a conoscere le esigenze del vostro fisico. Ma se siete alle prime armi ecco qui qualche consiglio utile per la vostra prima gara.

Innanzitutto chiariamo che la base è l’alimentazione classica, seguita però da un’integrazione ad hoc, necessaria dato lo sforzo extra che il nostro corpo andrà ad affrontare non paragonabile all’allenamento classico che effettuiamo nei mesi precedenti la gara; l’organismo consumerà ed avrà bisogno di elementi in più, non forniti nelle giuste quantità da una alimentazione standard.

Durante i 3-4 giorni precedenti la gara

Cercare di mantenere un’alimentazione semplice, regolare, consumando 5 piccoli pasti giornalieri:

  • Colazione
  • Spuntino a metà mattina
  • Pranzo
  • Merenda pomeridiana
  • Cena

A colazione abbondate leggermente con le calorie utilizzando fette biscottate, marmellata, uova, burro di arachidi ecc..

Durante i pasti principali (pranzo, cena) dovremmo semplicemente evitare alcool, cibi fritti, dolci ed altri alimenti che impegnano troppo il nostro corpo nella digestione.

Mentre durante gli altri pasti (spuntino, merenda) meglio utilizzare integratori o snack proteici, così assumerete i giusti elementi nutritivi assumendo il minor numero di calorie possibili (così da perdere un pochino di peso…vi sarà utile il giorno della gara).

La sera prima della gara

A cena cercate di abbondare con i carboidrati semplici (pasta integrale, riso) eliminando quasi totalmente le proteine, così da effettuare il cosiddetto Carbo-loading (carico di carboidrati) fornendo energia al corpo da utilizzare la mattina seguente durante la competizione.

La mattina della gara

Il pasto prima di una gara deve essere fatto abbastanza in anticipo (almeno un paio di ore prima) per poter consentire la digestione per lo meno parziale, dove ovviamente più sarà la quantità di cibo ingerita e maggiore sarà il tempo di digestione: è ideale fare un pasto che sia fondamentalmente energetico. Esso solitamente non dovrebbe essere al di sotto delle 250 kcal e dovrebbe essere di elevata digeribilità, favorendo la prevalenza di carboidrati complessi a medio – basso indice glicemico che consentono di mantenere appunto i livelli di zuccheri nel sangue costanti fornendoci energia per un buon lasso di tempo durante il nostro allenamento.

E gli integratori servono?

Anche qui è molto importante non fare esperimenti nel giorno della gara, ma consigliamo di effettuare test durante le sessioni di allenamenti nelle settimane che precedono la gara.

Quelli che seguono sono tra le sostanze più utilizzate per l’integrazione prima di un’attività sportiva:

  • Creatina: Il suo compito è quello di ottimizzare il sistema anaerobico alattacido, ossia il sistema dei fosfati, uno dei tre sistemi energetici impiegati dal muscolo scheletrico per la produzione di Adenosintri-fosfato (ATP), cioè la molecola energetica necessaria per l’attività muscolare, in altre parole è un concentrato di energia;
  • Taurina: contribuisce al metabolismo dei grassi e combatte lo stress ossidativo durante gli esercizi;
  • Vitamine del gruppo B: Favoriscono la produzione di globuli rossi e velocizzano i meccanismi di riparazione del DNA;
  • Caffeina: Aumenta il tasso metabolico, migliorando la funzione celebrale per un allenamento più produttivo ed efficace;
  • Beta-alanina: è un amminoacido il cui uso può ritardare l’insorgere dell’affaticamento neuro-muscolare.

Alimentazione post-gara

Volendo ora focalizzare la nostra attenzione sull’integrazione post gara, possiamo sintetizzare le caratteristiche che dovranno contenere gli integratori che andremo ad assumere: favorire il recupero del glicogeno muscolare depauperato dalla gara, stimolare l’anabolismo al fine di ottimizzare la sintesi proteica, favorire i processi di riparazione dei tessuti muscolari e favorire lo smaltimento delle sostanze tossiche prodotte durante l’allenamento.

Tra i principali integratori utilizzabili alla fine di una nostra sessione di allenamento possiamo menzionare:

  • Carboidrati: utili per favorire il ripristino del glicogeno muscolare e limitare la produzione di cortisolo osticolando il catabolismo;
  • Proteine: Necessarie per la sintesi proteica;
  • Creatina: Assunto a fine allenamento è particolarmente utile per l’aumento della forza e della massa muscolare, e, esercita un effetto “pump” a livello cellulare;
  • Glutammina: Esercita come la creatina un effetto di volumizzazione, e, risulta inoltre fondamentale per il sistema immunitario. Non necessaria se seguita un’alimentazione corretta.
  • Arginina: Favorisce lievemente la stimolazione del GH e induce la produzione di ossido nitrico causando una vasodilatazione che aumenta il flusso sanguigno favorendo l’apporto di nutrienti alle cellule muscolari;
  • Whey: Stimolando la sintesi proteica e gli ormoni anabolici.

Ovviamente questi sono solo consigli e linee guida derivanti dalla nostra esperienza e da quella dei nostri atleti. Se vorrete essere seguiti con un piano alimentare creato ad hoc per il vostro fisico e le vostre esigente vi consigliamo di rivolgervi ad un esperto del settore.

L’obiettivo di questo eBook è stato quello di accompagnarvi nell’approccio alle OCR e in particolare alla vostra prima Spartan Race Sprint.

Nella nostra guida completa potrete approfondire tutti gli argomenti che qui abbiamo solo accennato (abbigliamento, allenamenti specifici per i vari ostacoli, workout indoor, programmazione…) e concentrarvi sulla preparazione vera e propria alle gare. Oltre alla Sprint, infatti, vedremo come preparare al meglio una gara di media distanza, come la Spartan Race Super e ci spingeremo fino alla regina delle corse ad ostacoli, la Spartan Race Beast.

Note sugli autori

Invictus Cross Training
Squadra sportiva Obstacle Course Race OCR e Scuola di preparazione atletica personale / per squadre.
Nasce nel 2014 dal suo fondatore Mattia Franceschi, affiancato dai coaches Beniamino Bertoncelli e Cristiano
Rizzi e ad oggi conta 5 sedi dislocate in tutta Italia.
Il Team Invictus è da anni leader nel panorama delle Spartan Race e delle OCR, con varie partecipazioni a gare Europee e Campionati del Mondo.

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Colazione da re, pranzo da principe e cena da povero

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Colazione da re pranzo da principe

Conosci il detto “Una colazione da re, un pranzo da principe, una cena da povero”? È uno dei consigli popolari, o della nonna, che viene dato a chi vuole iniziare una dieta. Dopotutto, se mangi troppo prima di andare a letto, non muovendoti più, tutte le calorie che hai assunto si trasformano in grasso!

Falso! Il corpo non ragiona così:

  1. Il fattore più importante sono le calorie assunte nella settimana, non nel giorno o solo della colazione
  2. Se mangi di più per due giorni ma poi negli altri cinque resti a dieta, dimagrirai
  3. Ingrassare dopo il pasto è del tutto irrilevante, quello che conta sono le 24 ore e poi la settimana

Insomma, non c’è nessun vantaggio metabolico nel timing degli alimenti.

Tuttavia, il consiglio del fare una colazione da re, un pranzo da principe e una cena da povero può essere sensato per molte persone. Perché?

La dieta è principalmente testa

Colazione da re cosa mangiare

Le diete che si basavano sulle calorie non hanno funzionato, ma non perché una caloria non è una caloria, come molti vorrebbero far credere: più semplicemente, nessuno ha voglia di calcolare e pesare gli alimenti. Le diete basate sul conteggio delle calorie falliscono perché, per la maggior parte delle persone, non sono perseguibili nel tempo.

È molto più bello e appagante pensare che le calorie non contano e considerare invece come fondamentali ormoni, orari o alimenti specifici, perché questo rende tutto più fattibile e semplice. La dieta dev’essere impostata per essere seguita e il “fare una colazione da re, un pranzo da principe, una cena da povero” può andare in questa direzione.

  • In quanti hanno fame la mattina appena svegli? E anche chi ha fame, riuscirà mai a mangiare a colazione quanto avrebbe potuto fare a cena?
  • In quanti si riempiono con quello che vogliono a pranzo e poi non riescono più a lavorare o studiare bene?
  • Invece, in quanti a cena, dopo una giornata stressante, si possono appagare e gratificare col cibo?

È molto più facile eccedere con le calorie a cena, rispetto che negli altri pasti: quindi, limitare questo pasto pone una restrizione calorica anche senza contare le calorie.

Non è che non mangiando troppo la sera, il cibo non si converte in grasso mentre dormi, ma semplicemente assumi meno calorie.

Funziona allo stesso modo non mangiando i glucidi la sera: non c’è un timing per il quale è meglio mangiare i carboidrati di giorno o di sera, ma semplicemente se dal pomeriggio non puoi più assumerli, eviterai di finire un pacco di biscotti davanti al film serale sul divano.

Cosa mangiare in una colazione da re

La colazione non è il pasto più importante della giornata (per approfondire vedi l’articolo sul se saltare o meno la colazione), ma per alcuni può essere un pasto davvero irrinunciabile per iniziare con il piede giusto la giornata.

Una colazione per essere davvero definita “da re” deve essere ricca e abbondante, ma oltre alla quantità bisogna dare un occhio di riguardo anche alla qualità. Oggi è facile fare un primo pasto della giornata completamente sbilanciato verso gli zuccheri e i grassi, dato che i classici prodotti suggeriti nei supermercati per la colazione sono biscotti, merendine, yogurt, cacao zuccherato da sciogliere nel latte, cereali, marmellate zuccherose e creme spalmabili. Abbondare con questi prodotti non è il massimo: meglio limitarli se hai intenzione di fare un pasto abbondante.

Capito quali sono i cibi da limitare, qui sotto trovi degli esempi di alimenti non tipici di una “classica colazione” ma che sono sicuramente delle opzioni valide per limitare il consumo di quelli processati e fare una colazione bilanciata, magari anche con una componente proteica e con micronutrienti.

Esempi di colazione da re

Se non puoi fare a meno di marmellata o yogurt al mattino, scegli i corrispondenti come la marmellata light e lo yogurt magro o greco: con questi sostituti e senza troppa fatica nel primo caso riduci la quota di zuccheri, mentre nel secondo riduci i grassi e aumenti il quantitativo proteico.

Seguono alcuni esempi di cibi per la colazione, senza specifiche quantità indicate, dato che queste restano sempre un parametro molto soggettivo, sia per esigenze e preferenze personali che per idea di “abbondante”: magari per una ragazza mangiare 3 fette biscottate con marmellata, uno yogurt e un frutto è già molto, quando, invece, per un ragazzo è il minimo sindacabile per poter dire di aver mangiato qualcosa.

  • Colazione dolce: fette biscottate con marmellata light, yogurt greco, un frutto, frutta secca, pancake salutari, porridge, fiocchi di avena, burro di arachidi.
  • Colazione salata: pane toastato, affettati magri, uova, legumi.
  • Colazione proteica: frittata di albumi, frullato proteico, affettati magri (es. bresaola, fesa di tacchino), formaggi magri (es. ricotta).

Non dimenticare di bere al mattino, durante la notte il corpo si disidrata ed è opportuno re-integrare i liquidi: tè caldi, latte, spremuta, infusi, succhi di frutta senza zuccheri aggiunti, caffellatte. L’acqua e limone al mattino non fa sicuramente perdere peso, ma se ti piace e serve per bere più acqua è utile.

Conclusioni: colazione da re, pranzo da principe, cena da povero

distribuzione calorie pasti colazione pranzo cena

 

Alla fine, i vecchi detti popolari sull’alimentazione hanno un fondo di verità, basta capire però perché funzionano e non perpetrare falsi miti.

Scegli in libertà qual è lo stile alimentare che ti permette di sopportare meglio la restrizione calorica. Se cerchi fin da subito la dieta che ti garantisce un vantaggio metabolico, rimarrai nel tempo deluso, perché ciò che conta veramente comprende:

  • calorie
  • macronutrienti
  • costanza

Il resto sono finezze.

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Guida di base alla nutrizione

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Come mangiare correttamente per dimagrire

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Termoregolazione corporea: cos’è e come funziona?

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termoregolazione e freddo

Fa troppo caldo, fa troppo freddo e non ci sono più le mezze stagioni. Più o meno come nei vagoni del treno, dove in estate è un terno al lotto sul se sarà un viaggio all’insegna dell’ibernazione o del sudore, a seconda del funzionamento o meno dell’aria condizionata.

A prescindere dal vagone, ad essere impegnati lungo tutto il viaggio saranno i meccanismi della termoregolazione corporea: proprio loro sono i processi che ti consentono di mantenere a livello ottimale, a seconda dall’ambiente in cui ti trovi, la temperatura dell’organismo e i responsabili dei brividi di freddo, del sudore e altro ancora.

Cos’è la termoregolazione corporea?

L’essere umano è un sistema complesso: nell’organismo cooperano diversi organi e tessuti costituiti a loro volta da singole cellule. Per far sì che tutto funzioni per permettere la vita, nel corpo alcuni parametri fisiologici devono rimanere stabili e compresi all’interno di certi range: il pH, la glicemia, la pressione sanguigna e anche la temperatura corporea.

È inverno e ti appresti ad entrare nel tuo negozio preferito il primo giorno dei saldi: fuori ci sono -3 gradi, le porte automatiche si aprono e vieni investito dai 24 gradi dello store affollato. Come fa il corpo a sopportare cambiamenti climatici così improvvisi?

Il merito va proprio alla termoregolazione corporea: meccanismo che ha lo scopo di mantenere stabile (in media 37° C) la temperatura del corpo a seconda dell’ambiente in cui si trova. A sua volta il mantenimento di questo parametro fa sì che anche gli altri meccanismi siano più facilmente in equilibrio.

Se in estate sudi, in inverno hai i brividi e non viceversa un motivo c’è!

Fisiologia della termoregolazione corporea? Quale organo regola la temperatura?

Organo della regolazione della temperatura corporea

In fisiologia ricorre molto spesso la ricerca dell’equilibrio dinamico di un processo e questo vale anche per la fisiologia della regolazione della temperatura corporea: deve esserci un bilanciamento tra i fattori che incrementano il calore e quelli che lo sottraggono.

Il centro regolatore della termoregolazione è l’ipotalamo, che fa parte del sistema nervoso centrale: in pratica, è un gruppo di neuroni specializzati che fanno da “termostato”, solitamente settato su 37°C circa. Se il corpo subisce una variazione di temperatura (es. ambiente molto freddo o molto caldo), l’ipotalamo si attiverà per cercare di ripristinare i 37°C.

Perché questo meccanismo di risposta alle variazioni di temperatura funzioni, l’ipotalamo ne deve essere informato: i termorecettori cutanei e il cambiamento della temperatura del sangue che irrora l’ipotalamo servono proprio a questo. Ci sono recettori che percepiscono il freddo e altri il caldo; nella maggior parte dei casi sono localizzati proprio sulla superficie della pelle – che, per definizione, è la componente del corpo più in contatto con l’ambiente esterno.

Se il segnale proviene dai recettori del freddo ed il sangue ha una temperatura minore di quella ottimale, l’ipotalamo attiva i meccanismi per scaldare il corpo: in primo luogo bisogna conservare l’energia senza disperderla, in secondo iniziare a produrre calore. E viceversa nel caso in cui ci sia, invece, un incremento della temperatura corporea.

  • Termorecettori cutanei e sangue ipotalamico informano l’ipotalamo del cambiamento di temperatura del corpo; in risposta, l’ipotalamo attiva dei processi per ripristinare i 37°C: un meccanismo a feedback.

Come fa il corpo umano a produrre calore?

Quando sei in un ambiente freddo il corpo per non raffreddarsi e per mantenere la temperatura corporea nel range fisiologico deve iniziare a produrre calore: si parla di termoregolazione da freddo. Questa è regolata in primis da uno spostamento del flusso sanguigno: le estremità e la cute vengono meno irrorate a favore degli organi interni. Ecco il perché delle mani o dei piedi ghiacciati!

Successivamente, l’organismo può elevare la temperatura attraverso:

  • Brividi: come riflesso incondizionato della contrazione muscolare (contrazione involontaria).
  • Muscoli: il famoso “muoviti che ti scaldi” (contrazione volontaria).
  • Ormoni: nel caso in cui lo stress termico sia prolungato. Viene stimolato il rilascio degli ormoni tiroidei, dell’adrenalina e degli ormoni glucocorticoidi.
  • Adipociti bruni: il meccanismo molecolare alla base della produzione di calore e dell’aumento della temperatura corporea è la stimolazione da parte della termogenina delle proteine mitocondriali disaccoppianti UCP, responsabili di “cicli futili”: il disaccoppiamento dei processi ossidativi da quelli fosforilativi permette al flusso di protoni di generare calore invece che ATP. In pratica, non c’è generazione di energia chimica (ATP) ma di energia termica (calore disperso).

Cause di una termoregolazione alterata

La termoregolazione riguarda sia la capacità di disperdere il calore (termodispersione) che di produrre calore (termogenesi). In entrambi i casi, ci sono fattori sia esterni (esogeni) che interni (endogeni) all’organismo che possono alterare l’efficienza della regolazione della temperatura del corpo.

Il rilascio di calore verso l’ambiente, che serve a raffreddare il corpo ad esempio quando fa caldo, è ridotto quando c’è molta umidità, assumi alcuni farmaci (es. furosemide), sei poco idratato, sei affetto da obesità oppure se hai malattie cardiovascolari o del sistema nervoso.

Invece, c’è un incremento della termogenesi e, quindi, un aumento sopra la norma della temperatura corporea:

  • quando fai esercizio fisico intenso,
  • quando hai la febbre,
  • in caso di ipertiroidismo (aumento del metabolismo basale),
  • in caso di stati convulsivi.

L’avanzamento dell’età, in entrambi i casi, è anche una causa di un’alterata termoregolazione, come conseguenza di modificazioni alla struttura e alla funzione della pelle, dei vasi sanguigni (meno tendenza alla vasodilatazione), dei termorecettori e delle ghiandole sudoripare, che diminuiscono di numero.

In ambito femminile e fisiologico, le donne in età fertile durante la fase luteale subiscono un temporaneo incremento della temperatura corporea di circa 0.5°C, con modificazioni del controllo vascolare e della sudorazione sia a riposo che durante l’esercizio fisico, anche intenso. Tuttavia, non compromette la performance, i livelli di lattato o la capacità ventilatoria, se non in ambienti molto caldi e molto umidi. Nelle donne in età non più fertile, a causa delle molte modificazioni a livello sistemico dovute alla menopausa, può presentarsi un’alterata termoregolazione ad esempio con sudorazione eccessiva o momentanee vampate di calore.

Come migliorare la termoregolazione corporea?

Esercizio per migliorare la regolazione della temperaura

C’è sicuramente una componente soggettiva e psicologica, ma in media è possibile migliorare la termoregolazione per sopportare il freddo; come?

  1. Non essere troppo grasso: contrariamente a quanto si possa pensare, se un po’ di grasso è fondamentale come isolante, troppo non permette di avere abbastanza adipociti bruni da far intervenire, dato che quasi tutti gli adipociti sono bianchi.
  2. Fai attività fisica all’aperto: anche con l’arrivo del freddo abituati a fare sport fuori, dato che la contrazione muscolare aumenta considerevolmente la temperatura corporea.
  3. Abbassa il riscaldamento: abituarti in modo graduale a riscaldare sempre meno la casa non solo fa risparmiare, ma anche permette di prendere confidenza con ambienti più freddi.
  4. Docce fredde: abituati in modo graduale a fare la doccia sempre più fredda; parti da temperature miti.
  5. Meno vestiti: meno coperto, il corpo sarà automaticamente stimolato a dover reagire al freddo. In media ci vogliono 7-10 giorni per abituarsi.

Tutti questi passaggi non devono mai portare ad avere brividi costanti: l’organismo deve riuscire a reagire con strategie alternative. Se ti vengono, probabilmente c’è qualcosa che non va ed i passaggi sono stati poco graduali. Se lo stimolo è eccessivo peggiorerà la tua salute, quindi fai tutto in modo estremamente lento.

Termoregolazione corporea e dimagrimento

Uno dei tanti motivi per cui l’uomo moderno fa fatica a mantenere un peso corporeo ideale è che non è più sottoposto 24/24 ad alte o basse temperature: la modernità permette di mantenere le case, i mezzi di trasporto, i luoghi di lavoro e di svago a temperature costantemente confortevoli. Di conseguenza, non viene impiegata energia nel ristabilire la temperatura corporea.

Considera che l’organismo aumenta il proprio metabolismo del 13% per alzare di 1°C la propria temperatura corporea. Se non ci fossero abiti pesanti o il riscaldamento, il dispendio calorico sarebbe rilevante sul fabbisogno calorico giornaliero.

Inoltre, il freddo stimola l’irisina a trasformare gli adipociti bianchi in bruni: da passivi accumulatori di grasso diventano delle vere e proprie fornaci metaboliche, ma solo nel momento in cui c’è l’esposizione al freddo. A temperature confortevoli, gli adipociti bruni non consumano grassi per scaldare il corpo (perché non serve) e, inoltre, possono anche ritrasformarsi in adipociti bianchi.

Alla fine dei conti, perdere davvero peso grazie al freddo oggi non è la strategia che funziona o in cui riporre la speranza di dimagrire, la dieta e l’allenamento fanno sempre da veri padrone per il controllo del peso.

Conclusioni sulla termoregolazione corporea

Come gli altri parametri dell’omeostasi corporea, anche la temperatura è un fattore importante da mantenere in equilibrio, più per la propria salute che per ricercare un vero cambiamento della composizione corporea: sudare o avere i brividi sono i meccanismi biologici più evidenti e con cui hai più familiarità in termini di termoregolazione.

Per avere un approccio più zen la prossima volta che starai soffrendo il troppo freddo o l’eccessivo caldo, invece di lamentarti della pelle d’oca, dei piedi ghiacciati, dei litri di sudore, pensa all’impegno che l’ipotalamo sta mettendo nel mantenere il tuo corpo in una condizione ideale per funzionare!

 

Bibliografia

McArdle, Katch F., Katch V. (2015). “Exercise Physiology – Nutrition, Energy and Human Performance”. Chapter 25: Exercise and Thermal Stress pagg. 598-641. Wolters Kluwer Health.

 

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Melograno: calorie e valori nutrizionali

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Calorie melograno

Il melograno (Punica granatum) è considerato uno dei più antichi frutti conosciuti, simbolo di abbondanza e prosperità. Per migliaia di anni, i popoli hanno consumato la melagrana oltre che per il suo gusto anche perché considerata il “frutto della medicina” per le sue proprietà terapeutiche. Di questa veniva utilizzata una polvere, ricavata dalla corteccia e dalle radici e la scorza dei frutti essiccati all’aria per i decotti o i petali dei fiori per gli infusi.

Il melograno è un tipico frutto autunnale ed è reperibile sul mercato dal mese di Ottobre a quello di Dicembre.

Calorie del melograno

proprietà Melograno

Il frutto del melograno per 100 g di parte edibile è costituito per l’80% da acqua, il restante 20% è ripartito tra carboidrati (13%), fibre (3-4%), proteine (1%) e grassi (0,5-1%).

I glucidi sono tendenzialmente semplici, l’esiguo contenuto di proteine è di basso valore biologico e i lipidi sono prevalentemente acidi grassi insaturi come l’acido linolenico, linoleico, punico, oleico, stearico e palmitico.

Non apporta colesterolo ma nella sua composizione si possono identificare diversi fitosteroli. Non compaiono lattosio, glutine ed istamina.

La melagrana è fonte di minerali, tra cui soprattutto il potassio (236 mg per 100 g di parte edibile) e fosforo (22 mg per 100 g), ma si osservano anche buone quantità di sodio, magnesio e ferro (quest’ultimo in una forma non biodisponibile); la parte commestibile è ricca di vitamina C, acido folico e di provitamina A.

Infine il melograno contiene un’alta percentuale di composti fenolici che svolgono un’azione antiossidante (1).

Melograno
Calorie Kcal 83
Calorie Kj 346
Grassi g 1.17
Carboidrati g 18.7
Proteine g 1.67
Fibre g 4
Zuccheri g 13.67
Acqua g 77.93
Minerali
Calcio mg 10
Sodio mg 3
Potassio mg 236
Magnesio mg 12
Selenio mcg 0.5
Vitamine
Retinolo (Vit. A) mcg 15
Niacina (Vit. B3) mg 0.293
Acido Pantotenico (Vit. B5) mg 0.377
Folati, totali mcg 38
Acido ascorbico (Vit. C) mg 10.2
Alpha-tocoferolo (Vit. E) mg 0.6
Fillochinone (Vit. K) mcg 16.4

Fonte USDA

La parte commestibile del frutto costituisce almeno il 50% (40% di arilli e 10% di semi), il resto è buccia utilizzabile dopo trattamenti come integratore o in decotti. È proprio la buccia la fonte maggiore di fenoli oltre che di minerali e polisaccaridi. Gli arilli, a parte acqua (85%), contengono zuccheri, pectina, acidi organici, fenoli e flavonoidi (principalmente antociani).

I semi contengono proteine, fibre grezze, vitamine, minerali, pectina, zuccheri, polifenoli, isoflavoni; l’olio che ne deriva (12-20%) è caratterizzato da un alto contenuto di acidi grassi polinsaturi come acido linolenico e linoleico, così come acido punicico, acido oleico, acido stearico e acido palmitico.

Il contenuto dei polifenoli, che sono fra i principali responsabili delle proprietà benefiche della melagrana, varia molto a seconda che si utilizzino i soli chicchi o l’intero frutto.

Benefici e proprietà del melograno

Benefici melograna

Nel corso degli ultimi venti anni, sono stati numerosissimi gli studi effettuati sulla melagrana ma soprattutto sui suoi componenti per verificarne le sue proprietà.

Gli studi in vivo e in vitro evidenziano numerose attività biologiche (come anticancerogeno, antibatterico, antidiarroico, antimicotico, antiossidante e con azione di scavenging contro i radicali liberi, prevenzione delle malattie cardiache) oltre alla capacità di inibire la perossidazione lipidica anche a concentrazioni inferiori rispetto alla vitamina E (2).

Particolare attenzione è stata rivolta alla sua azione anticancerogena, molti studi hanno descritto l’attività antiproliferativa e apoptotica del succo di melagrana su alcune linee cellulari tumorali. Questo effetto tuttavia sembra essere attribuibile al contenuto di acido ellagico e di punicalagine, contenute maggiormente nella buccia di melagrana e somministrate in quantitativi non replicabili con la sola assunzione dei prodotti per il consumo alimentare disponibili in commercio. Ad ogni modo, in tutti i casi studiati, si parla di prevenzione e trattamento, in nessun caso di cura del cancro (3).

Esistono diverse prove scientifiche che manifestano le proprietà antinfiammatorie della melagrana e dei suoi prodotti derivati. Alcuni estratti, soprattutto quello di semi pressati a freddo, riducono l’azione degli enzimi ciclossigenasi e lipossigenasi in vitro. Le ciclossigenasi sono enzimi importantissimi per la degradazione dell’acido arachidonico in prostaglandine, importanti mediatori dell’infiammazione, che viene quindi ridotta in modo significativo.

Alcuni studi hanno verificato l’impatto del succo di melagrana e in particolare dell’acido ellagico, della punicalagina e dell’urolitina A sulle malattie metaboliche. Gli esiti delle sperimentazioni hanno evidenziato come questi composti abbiano attività anti-adipogenica con modalità dose-dipendente (4).

Un ulteriore studio ha valutato come l’ingestione di 200 ml di succo di melagrana diminuisca del 50% l’idrolisi degli amidi presenti in 100 g di patate, diminuendo quindi la glicemia post-prandiale, grazie all’inibizione dell’-glucosidasi e conseguente diminuzione del rischio di glicazione delle proteine nei pazienti diabetici (5).

Tutti questi studi hanno evidenziato come il consumo della melagrana possa avere effetti benefici sullo stato di salute, soprattutto a scopo preventivo, per il suo mix di nutrienti e composti bioattivi, tuttavia gli studi hanno anche dimostrato come la quantità e i rapporti di questi composti può variare enormemente a seconda della stagionalità, della varietà e della forma (frutto fresco, congelato, succo…).

Controindicazioni del melograno?

La melagrana consumata come alimento (sia fresco, che come succo, confettura, etc..) non risulta aver dato controindicazioni sulla popolazione sana. I casi di intossicazione da melograno sono tutti imputabili alla somministrazione eccessiva di principi attivi ricavati dalla corteccia; sonnolenza, cefalea, vertigini, difficoltà respiratoria sono gli effetti collaterali più ricorrenti in seguito all’uso smodato di tale estratto.

Lo studio pubblicato sulla rivista Pharmaceutical Biology, prende in esame tre componenti: l’acido oleanolico, l’acido ursolico e l’acido gallico, che si trovano comunemente in molti alimenti, ma non associati tra loro come nella melagrana. In alcuni casi, questi tre componenti in sinergia potrebbero avere un impatto inibente sui “trasportatori” che veicolano le sostanze medicinali nelle nostre cellule e che permettono al nostro organismo di espellere le tossine che l’apporto farmacologico produce (6).

Sebbene la melagrana sia un alimento considerato sicuro, questo giudizio non si applica ai suoi estratti e sono necessarie ulteriori ricerche per determinarne i limiti di sicurezza.

Quanto melograno si può mangiare al giorno?

Valori nutrizionali Melograno

Il miglior modo per assumere la melagrana è consumare ovviamente il frutto fresco, tuttavia questo ne limita il consumo sia per la stagionalità che per la comodità di uso.

L’alternativa migliore è quindi berne il succo, ampiamente diffuso in commercio anche senza zuccheri aggiunti. La dose consigliata è di 250 ml al giorno, in grado di fornire circa il 50% della dose giornaliera raccomandata per un adulto, di vitamine A, C ed E ed il 13% di potassio. Inoltre, è importantissima l’assunzione di melagrana nelle donne che cercano una gravidanza: il succo di melograno è in grado di apportare tutto l’acido folico necessario in questa fase della vita di una donna.

Cos’è il melograno?

Il melograno è un piccolo arbusto che produce fiori e frutti commestibili appartenente alla famiglia delle Lythracee e al genere Punica. Le origini, sono riconducibili ad una regione che va dall’Iran alla zona himalayana dell’India settentrionale, poi diffusasi fino al Nordafrica dove è stato conosciuto dai Romani.

Attualmente la sua coltivazione è molto sviluppata in Italia e Spagna (il frutto è presente nella bandiera della città di Granada), oltre che nel Medio Oriente, Nordafrica e alcuni stati dell’America settentrionale come la Georgia, la California e l’Arizona.

L’unica altra specie appartenente al genere è quella endemica dell’isola di Socotra, denominata Punica protopunica o più comunemente melograno di Socotra, che differisce per i fiori rossi o rosa di minori dimensioni e i frutti meno dolci e di colore giallo.

Esternamente ricorda la forma di una mela, ma all’interno è caratterizzata dalla presenza di chicchi di colore rosso brillante.

Varietà di melograno

In Europa si trova sia in Spagna che in Italia, con diverse varietà dolci: Alappia, Dente di Cavallo, Melograno Dolce, Neirana, Profeta Partanna, Racalmuto, Ragana e Selinunte. Si trovano anchevarietà africane e mediorientali, dal frutto più grosso e profumato come il Wonderful, il Rahab e il Khazar.

Si dice melograno o melagrana?

Il nome scientifico “Punica granatum” deriva dal latino “punicus” nome attribuitogli da Plinio, che riteneva l’arbusto originario dell’Africa Settentrionale, le cui popolazioni insegnarono ai romani la sua coltivazione. Il termine melagrana deriva sempre dai termini latini malum (mela) e granatum (con semi).

Il Vocabolario degli Accademici della Crusca, dalla prima alla quarta edizione (uscita tra il 1729 e il 1738), ha indicato per il frutto il termine melagrana e per l’albero quello di melograno, ma la quinta edizione (completata nel 1923) aggiunge che il maschile melograno vale anche per il frutto.

Come si può mangiare il melograno?

Succo di melograna

Il melograno può essere consumata al naturale, come succo di frutta fresco o fermentato oppure disidratato. Altri prodotti presenti in commercio a base di melagrana sono: confettura, gelatina, vino, aceto, pasta, e spezie.

Il prodotto tradizionale che deriva dalla melagrana selvatica è l’anardana, una spezia che viene prodotta essiccando i semi e la polpa del frutto.
La polpa aderisce saldamente al seme, quindi per poterla consumare occorre inghiottirlo, piccolo e di consistenza legnosa; mangiare i chicchi interi permette di assumere una maggiore quantità di fibre alimentari idrosolubili e di assorbire gli acidi grassi importanti, presenti nel seme.

Il succo non è dolce al pari dei chicchi perché nell’atto della spremitura si agisce anche sulla parte bianca della bacca, liberando tannini, mucillagini e altri composti antiossidanti.

Il materiale solido residuo (vinaccia), ottenuto dopo la spremitura commerciale, composto da buccia, endocarpo (parte bianca) e tessuti del seme, ha ancora una notevole quantità di polifenoli (20,1%).

Conclusioni sul melograno

La frutta, in generale, gioca un ruolo importante nel mantenimento di un’alimentazione equilibrata fornendo numerosi macro e micronutrienti, nonché composti bioattivi che promuovono la salute. Negli ultimi decenni sono stati condotti molti studi che hanno indicato l’importanza del consumo di frutta nella prevenzione dei rischi associati alla salute, oltre a campagne per incoraggiare il consumo di frutta nella dieta dei bambini.

In particolare sul melograno sono stati condotti numerosi studi sui potenziali benefici per la salute, dovuti principalmente alla presenza di punicalagine e in misura minore, ad altri metaboliti, come flavonoli e antociani; gli studi futuri serviranno a comprendere se gli effetti benefici riscontrati in vivo e in vitro siano replicabili anche sull’uomo, su possibili effetti sinergici con altri alimenti e sull’effettiva biodisponibilità dei composti bioattivi assunti con l’alimentazione tradizionale.

Bibliografia

  1. Tezcan F, Gültekin‐Özgüven M, Diken T, Özçelik B, Erim FB. 2009. Antioxidant activity and total phenolic, organic acid and sugar content in commercial pomegranate juices. Food Chem 115(3):873–7
  2. Arzu & Ozcan, Tulay & Yilmaz-Ersan, Lutfiye. (2012). The Therapeutic Potential of Pomegranate and Its Products for Prevention of Cancer. 10.5772/30464.
  3. Adhami VM, Khan N, Mukhtar H. Cancer chemoprevention by pomegranate: laboratory and clinical evidence. Nutr Cancer. 2009;61(6):811-815. doi:10.1080/01635580903285064
  4. (Les F, Arbonés-Mainar JM, Valero MS, López V. Pomegranate polyphenols and urolithin A inhibit α-glucosidase, dipeptidyl peptidase-4, lipase, triglyceride accumulation and adipogenesis related genes in 3T3-L1 adipocyte-like cells. J Ethnopharmacol. 2018;220:67-74. doi:10.1016/j.jep.2018.03.029)
  5. Bellesia A, Verzelloni E, Tagliazucchi D. Pomegranate ellagitannins inhibit α-glucosidase activity in vitro and reduce starch digestibility under simulated gastro-intestinal conditions. Int J Food Sci Nutr. 2015;66(1):85-92.
  6. Zhen Li, Ke Wang, Jian Zheng, Florence Shin Gee Cheung, Ting Chan, Ling Zhu & Fanfan Zhou (2014) Interactions of the active components of Punica granatum(pomegranate) with the essential renal and hepatic human Solute Carrier transporters, Pharmaceutical Biology, 52:12, 1510-1517, DOI: 3109/13880209.2014.900809)

Note sull’autrice

Dott.ssa Sara Latini

Laureata in dietistica all’Università “La Sapienza” di Roma. Certificata Personal trainer grazie al Project Invictus e Insegnante di Pole Dance

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Esercizi per la cellulite

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Esercizi per la cellulite

Cavigliere, bande elastiche e slanci in quadrupedia. Quante ripetizioni avrai fatto nella tua vita in questo modo cercando di eliminare la cellulite e la ritenzione idrica. Se hai fatto solo queste cose purtroppo hai perso il tuo tempo, perchè gli stimoli che ti possono dare sono troppo blandi per costruire massa muscolare. Ebbene si, perchè se vuoi migliorare l’aspetto della cellulite e il microcircolo delle gambe una delle cose da fare è aumentare la massa magra. Purtroppo la letteratura scientifica ha confermato più volte che non è possibile eliminare definitivamente la cellulite (detta anche PEFS, Panniculopatia Edemato Fibro Sclerotica), ma l’ allenamento è un valido aiuto per poterla migliorare. Vediamo come, con che esercizi e accorgimenti.

Esercizi contro cellulite su glutei, cosce e gambe

Esercizi cellulite cosce e glutei

Sarò ripetitiva, ma meglio ribadire che non è possibile eliminare definitivamente  la cellulite. Prima ce lo mettiamo in testa e prima ci liberiamo dalle aziende che vogliono venderci prodotti o metodi miracolosi.

Per quanto riguarda la ritenzione idrica invece, sappiamo essere un fenomeno fisiologico che accompagna ogni donna nel corso della vita e della giornata, ma uno stile di vita un po’ sregolato, posizione statiche tenute per parecchio tempo o lo stress la possono accentuare.

Cellulite e ritenzione sono due cose diverse, ma spesso una accompagna l’ altra. Per queste ragioni l’approccio in palestra a questi due inestetismi è simile. Se vogliamo migliorare l’aspetto degli arti inferiori la prima cosa da fare è cambiare stile di vita, che comprende quindi abitudini alimentari e il movimento.

La cosa che dobbiamo ricercare è quella di migliorare la nostra composizione corporea, e quindi aumentare la massa magra. Per farlo, dobbiamo usufruire di esercizi mono e multiarticolari, con particolare focus sulla catena cinetica posteriore (glutei e femorali). Inoltre è importante colpire la muscolatura su diversi angoli di movimento, in modo da avere una stimolazione a 360° della stessa.

Non dimentichiamo che una percentuale degli esercizi che scegliamo, anche se minore, deve essere dedicata a movimenti che coinvolgano maggiormente la catena anteriore (e quindi il quadricipite). Questo per non creare squilibri muscolari e perchè comunque c’è una stimolazione della catena posteriore.

Eccone alcuni esempi:

Esercizi Gluteo-dominanti Esercizi Femorali-dominanti Esercizi Quadricipite-dominanti
Hip Thrust Stacco Squat
Ponte per i glutei Good morning Affondi
Abduzioni d’anca Hyperextension Step up esercizio
Kickback glutei ai cavi Swing esercizio Leg press

 Ovviamente sono riportate solo le macro categorie, ma ogni esercizio può essere fatto in mille modi diversi e con l’uso di diversi attrezzi (kettlebell, manubri, bilancieri etc).

Esercizi per le braccia

Esercizi cellulite braccia

Ci sono casi in cui la cellulite può interessare anche gli arti superiori. In queste situazioni, che esercizi fare per poter migliorare l’ inestetismo?

Anche qui vale lo stesso discorso fatto per gli arti inferiori. L’obiettivo è migliorare la massa magra. Per queste ragioni dovrai lavorare con carichi stimolanti e colpire braccia e tronco con esercizi mono e multiarticolari. Per lavorare in particolar modo sui tricipiti, alcuni esempi possono essere: panca piana presa stretta, piegamenti sulle braccia con mani in posizione “diamante”, dipfrench press, push down, kickback con il manubrio, triceps press, etc.

Per quanto riguarda i bicipiti invece puoi fare le trazioni a presa inversa assistite oppure il movimento di curl in tutte le sue varianti di attrezzi e prese: bilanciere, manubri, macchine isotoniche, presa hammer, etc. Al di là degli esercizi in sè quello che conta veramente, sia per l’ allenamento degli arti superiori che degli arti inferiori è che:

  1. il carico che utilizziamo sia stimolante ai fini della crescita muscolare;
  2. si colpisca la muscolatura nei vari piani di movimenti e con diversi angoli in modo da avere una stimolazione totale e da ridurre il rischio infortuni o sovraccarichi articolari;
  3. procedere con una progressione didattica o sovraccarico progressivo per vedere dei risultati.

Esercizi da fare a casa per togliere la cellulite

Esercizi per casa

Se scegli di allenarti a casa valgono le stesse premesse fatte prima: focus sulla catena posteriore ed esercizi multi e monoarticolari. Se sei neofita dell’allenamento o sei ferma da tempo, allenarsi a casa a corpo libero può già portare a dei risultati, ma tieni presente che a lungo questo diventerà limitante o comunque non ti porterà ad ulteriori progressi.

Questo perchè per poter aumentare la massa magra è necessario un carico stimolante. No, non diventerai grossa e no, non devi avere paura a usare i pesi come scritto qui. Molto probabilmente hai una forza e un potenziale che nemmeno tu sai di avere.

Esercizi con gli elastici: sono efficaci?

Di base non esiste un esercizio “sbagliato”. Dipende sempre perchè lo si fa, come e quando.

Le bande elastiche possono esser utilizzate a corpo libero per fare, per esempio, delle abduzioni d’anca o ancora per intensificare esercizi più complessi come l’hip thrust o lo squat.

Di base quindi possono essere validi strumenti durante l’ allenamento. Tuttavia, da qui a dire che eliminano la cellulite passano due oceani. Se lavori sulle gambe facendo solo abduzioni o estensioni d’ anca utilizzando come resistenza le bande elastiche difficilmente vedrai migliorare la massa muscolare, perchè lo stimolo è blando.
Se invece le integri nel tuo workout come detto prima, allora si, possono essere un buon aiuto o una buona variante.

Esercizi in acqua per eliminare la cellulite 

Esercizi in acqua

Il fitness in acqua è da sempre ritenuto un ottimo allenamento per ridurre PEFS e ritenzione, ma è effettivamente così?

Sicuramente l’ attività in acqua può essere d’ aiuto se sei sovrappeso o se hai problemi articolari, perchè consente di muoversi in libertà riducendo il carico a livello articolare. Oltre a questo vantaggio, il movimento in acqua ha quasi una funzione “massaggiante” a livello della cute e dell’ apparato linfatico.
Se pratichi fitness in acqua ti sarà capitato infatti di avere un’ aumentata diuresi al termine della lezione, proprio a causa del massaggio che l’ acqua fa a livello del sistema linfatico.

Tuttavia la resistenza data dall’ acqua rimane comunque uno stimolo abbastanza blando se vuoi costruire una massa muscolare tale da ottenere visibili miglioramenti del quadro cellulitico. Per queste ragioni, se vuoi migliorare l’ aspetto della cellulite e della ritenzione, praticare attività in acqua potrebbe essere un’ attività complementare a quella in sala pesi.

Eliminare la cellulite con la cyclette

cyclette

La cyclette, intesa in questo caso come bike orizzontale, è vantaggiosa rispetto a quella verticale. Sembrerebbe infatti offrire un miglior ritorno venoso, aspetto fondamentale per chi soffre di PEFS e ritenzione idrica.

Ad aggiungersi a ciò, la posizione seduta della bike orizzontale è migliore di quella verticale, perchè evita lo schiacciamento delle zone perineali, cosa che bloccherebbe ancora di più la circolazione dei vasi sanguigni e linfatici in quella zona.

Tuttavia se hai cellulite e ritenzione e vuoi fare dell’ attività cardiovascolare in palestra, sarebbe più indicato utilizzare il tapis roulant, magari facendo delle camminate in leggera pendenza. Questo perchè la rollata del piede consente di attivare le strutture che sono deputate ad attivare la circolazione venosa (Soletta venosa del Lejars e il triangolo della volta). In ogni caso, se vuoi approcciarti all’ attività cardiovascolare, tieni presente che:

  • per avere dei risultati dovrebbe essere complementare all’ attività con i pesi e non sostitutiva;
  • in caso di PEFS  e ritenzione è bene evitare attività impattanti come la corsa perchè non stimolano adeguatamente le strutture del piede;
  • sarebbe meglio evitare di fare sessioni infinite di attività cardio perchè aumentano il cortisolo, ormone nemico di chi ha cellulite e ritenzione.

Acido lattico e ritenzione idrica

Acido lattico e ritenzione idrica

In presenza di cellulite l’ allenamento con i pesi è un valido aiuto per migliorare l’ aspetto della cute e la composizione corporea, ma ci sono degli accorgimenti da tenere in considerazione per non ottenere l’ effetto opposto.

Sappiamo che ai fini dell’ ipertrofia è necessaria la tensione meccanica (che dipende dal carico utilizzato), lo stress metabolico (produzione di acido lattico dovuta ad alti volumi e/o recuperi brevi) e il danno muscolare (microtraumi a livello muscolare).

Produzioni massicce di acido lattico peggiorano lo stato di PEFS e ritenzione, e per questo motivo è bene evitare di fare troppi allenamenti lattacidi per gli arti inferiori. Purtroppo o per fortuna, per la crescita muscolare è necessario anche questo tipo di stimolo, ma se hai PEFS e ritenzione è meglio alternare i lavori lattacidi per le gambe con esercizi per gli arti superiori (metodo PHA).

Così facendo favorirai un continuo flusso di sangue in tutto il corpo in modo da non imballare le gambe con tossine e liquidi. Per quanto riguarda la tensione meccanica invece, ricorda di utilizzare sempre un carico stimolante (70-80% di 1RM), ma ricorda di lavorare in buffer, ovvero tieni un margine di ripetizioni in modo da non arrivare all’esaurimento. Per esempio scegli un carico con cui riusciresti a fare 10 ripetizioni di squat ma ne completi solo 8.

Scheda palestra per cellulite 

Scheda palestra

Se hai PEFS un buon protocollo di allenamento è il PHA (Peripherial Heart Action).

Il concetto di base è quello di alternare esercizi che coinvolgano distretti muscolari lontani tra loro con l’ obiettivo di favorire la circolazione. Per progettare una scheda di questo tipo tieni sempre in considerazione le variabili dell’allenamento volto all’ ipertrofia ,evitando troppi lavori lattacidi e  tenendo a mente il concetto di buffer. Un esempio di piano di allenamento potrebbe essere questo:

Gambe + Upper Body

Esercizio Serie Ripetizioni Recupero
Stacco+ Push up 4 6 / 8 1’30” /1’30”
Hip Thrust + Rematore 4 8 /10 1’30” /1’30”
Squat sumo + Lat Mac. 3 10 /12 30 / 40″
Camminata laterale in sumo squat con banda elastica +
Alzate laterali
3 15 dx +15 sx
10
30 / 40″
Defaticamento su tapis roulant 5/10′ + stretching/foam roller

Come si vede dall’ esempio si è scelto di alternare esercizi che coinvolgono il lower con l’ upper body. Il focus è comunque sulla catena cinetica posteriore e si lavora su diversi piani di movimento. L’ ultimo esercizio per gli arti inferiori è un lavoro più lattacido, ma è comunque alternato alle alzate laterali.

Un’altra modalità di lavoro è il Cardio PHA che prevede delle stazioni cardio di 3/5′ al termine di ogni blocco. Prendendo in considerazione la scheda precedente, il lavoro sarebbe così:

  • stacco + push up x 4 serie + 3/5′ di cardio;
  • hip thrust + rematore x 4 serie + 3/5′ di cardio;
  • etc.

Esercizi da non fare per la cellulite

Esercizi da non fare

Come detto prima non esistono esercizi giusti o sbagliati, perchè dipende sempre dal contesto e soprattutto come, perchè e quando si fanno.

Alla base della crescita muscolare ci sono tensione meccanica, stress metabolico e danno muscolare. Sulla base di queste variabili scegli tra gli esercizi elencati prima variando il più possibile, in modo da colpire tutti gli angoli di movimento.

È chiaro che per raggiungere una tensione meccanica stimolante per i glutei serve un carico adeguato, cosa che le cavigliere non possono offrire. Evita quindi di fare solo esercizi con cavigliere o bande elastiche perchè non turberanno l’equilibrio del tuo corpo, che rimarrà quindi uguale o peggiorerà il quadro cellulitico.

Infine evita di fare sessioni infinite di cardio perchè sono controproducenti ai fini dell’ ipertrofia e aumentano il cortisolo.

Ritenzione idrica post allenamento

Sicuramente se ti alleni con i pesi avrai sperimentato un senso di gonfiore post allenamento. Molto probabilmente non è una tua fantasia, ma una sensazione reale. Tuttavia, se ti alleni in buffer ed eviti di fare troppi allenamenti lattacidi, questa fase è temporanea, e per questo non deve allontanarti da manubri e bilancieri.

Il gonfiore nasce dal fatto che quando ti alleni rompi l’equilibrio del corpo, che quindi richiama nella zona dove hai lavorato sangue e altre sostanze antinfiammatorie con l’obiettivo di ricostruire ciò che hai rotto o turbato durante l’ allenamento.

Per ridurre questa sensazione ci sono diverse strategie:

  • a fine seduta camminare in leggera pendenza sul tapis roulant per 5/10 minuti;
  • dopo l’ allenamento dedicare tempo allo stretching  e al foam roller;
  • a fine giornata mettersi in posizione di stretching globale, ovvero schiena a terra e gambe in alto appoggiate al muro. Questo favorisce il ritorno venoso dalla periferia al cuore;
  • se ne hai la possibilità fai periodicamente dei linfodrenaggi, massaggi o pressoterapie perchè riducono istantaneamente la ritenzione e il gonfiore agli arti inferiori.

Se nonostante questi accorgimenti il gonfiore e il senso di pesantezza persistono allora prova a rivedere la dieta, il riposo, la quotidianità (lo stress e alcuni farmaci predispongono a cellulite e ritenzione) e l’allenamento. Per esempio puoi provare a tagliare il volume allenante o a tenere un giorno in più di recupero se ti stai allenando molto.

Conclusioni

Cellulite

Cellulite e ritenzione non possono essere eliminate definitivamente, perchè fanno parte della fisiologia femminile, infatti non esistono esercizi anti-cellulite o anti-ritenzione.

Esistono però degli esercizi e dei metodi allenanti che ottimizzano la tua composizione corporea, migliorando indirettamente l’ aspetto della PEFS e il microcircolo.

Quando ti alleni pensa a costruire massa magra senza però imballarti le gambe ad ogni allenamento: sarebbe controproducente e peggioreresti il quadro cellulitico. Prediligi i multiarticolari perchè ti consentono di scegliere un carico stimolante e alterna gli esercizi per gli arti inferiori con quelli per gli arti superiori (PHA).

Bibliografia

– Baechle TR, Earle RW
Essential of strength training and conditioning
NSCA Natural Strength Conditioning Association, 1994

– Contreras B, Cordoza G
Glute Lab, The Art and Science of Strenght and Phisyque Training
Victory Belt Publishing Inc, Canada

– Ebben WP, Jensen RL
Strength training for women: Debunking Myths that Block Opportunity
The physician and sportsmedicine 1998; 26(5): 86-97

– Liparoti F
Project Bodybuilding, il manuale sulla ricomposizione corporea
IGB Group S.r.l., Brescia, 2018

– Paoli A, Neri M, Bianco A
Principi di metodologia del fitness
Editrice Elika, Forlì 2013

– Paoli A, Neri M
Cellulite, come combatterla con il fitness
Editrice Elika, Forlì 2003

Note sull’autrice

Dott.ssa Chiara Fezzardi

Mi chiamo Chiara Fezzardi, ho 28 anni e lavoro come PT e insegnante di Pilates a Brescia. Sono laureata magistrale presso l’ Università di Scienze Motorie a Milano e ho frequentato corsi di formazione con diverse scuole (FIF, SFSM, Power Pilates). Amo muovermi, ridere, viaggiare, leggere e aiuto le persone a migliorare il loro benessere e a riscoprire il loro potenziale fisico e mentale.”

Instagram: chiara.fez

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Dimagrire velocemente

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dimagrire velocemente come fare

Ok l’estate si avvicina e molte persone “disperate” cercano rimedi miracolosi per dimagrire velocemente. La prima “brutta” notizia che dobbiamo darti è che esiste una fisiologia del dimagrimento, che non può essere bypassata. È inutile che vai a cercare rimedi miracolosi dell’ultimo minuto. Fisiologicamente non possiamo perdere grasso troppo velocemente, possiamo perdere peso, disidratandoci, consumando glicogeno e muscoli, ma il dimagrimento (la perdita di grasso) ha dei suoi tempi organici.

Adesso vediamo di scoprire quali sono!

1kg di grasso equivale a 7000-7500kcal, alcuni si chiederanno perchè non 9000kcal, visto che un 1g di grasso sono 9kcal. La risposta è che nell’adipocita (la cella grassa), assieme ai lipidi troviamo anche dell’acqua, quando l’adipocita si sgonfia perde grasso ed acqua. Più le persone sono in sovrappeso ed obese, più avranno dell’acqua legata al grasso e questa è una bella notizia.

Oltra al dimagrimento (ribadiamo perdita di grasso), la perdita di peso più essere legata anche ai livelli di glicogeno. Quando mangiamo pochi carboidrati perdiamo in una settimana anche 2-4kg. Ecco ci stiamo “liberando” dell’acqua intracellulare ed interstiziale. Possiamo perdere anche muscolo e questo lo misuriamo quando calano le circonferenze degli avambracci e dei polpacci, un forte catabolismo muscolare può far perdere 400-800g di proteine in pochi giorni (un disastro).

Dopo questa breve e veloce panoramica possiamo dire che se vogliamo avere una riduzione della massa grassa velocemente possiamo perdere, dopo la prima settimana dove mediamente si cala più velocemente:

  • 1-1,5% del nostro peso a settimana (massimo massimo nelle prime settimane 2%) . Se pesiamo 100kg sono 1-2kg a settimana, se siamo 65kg sono invece 650g-1,3kg.

Questo vuol dire una perdita in un mese di 4-6kg negli uomini, 2-4kg nelle donne, quando dimagriamo velocemente. Poi più siamo grassi e più possiamo smaltire kg facilmente, più diventiamo magri e più la perdita sarà modesta. Nelle ultime fasi della dieta aspettati di perdere 250-500g massimo a settimana.

Quando non puoi perdere massa grassa velocemente

Mettersi a mangiare poco per perdere velocemente peso, potrebbe non essere una scelta saggia e salutare, per questo parlane con un medico o nutrizionista riconosciuto della legge italiana (gli unici abilitati a prescrivere diete e consigli nutrizionali). Normalmente non ci sono le condizioni per dimagrire velocemente se almeno la persona non è in buona salute e non sta assumendo:

  • per gli uomini il proprio peso corporeo x 28. Un uomo di 80kg dovrà mangiare almeno 2240kcal
  • per le donne il proprio peso corporeo x 26. Una donna di 60kg dovrà mangiare almeno 1560kcal.

Se non assumete queste calorie, mettersi a dieta, per perdere peso velocemente, vi farà solo male, catabolizzerete la massa magra ed abbasserete la vostra temperatura corporea, ritrovandovi a non mangiare niente senza perdere più peso. Ci sono tante ragazze che si allenano, assumono 800kcal al giorno e non calano di un etto, ritrovandosi piene d’acqua per il cortisolo alle stelle.

Come bruciare grassi velocemente per chi non conta le calorie

La maggior parte delle persone, giustamente non tiene conto della calorie. Una dieta giusta e bilanciata non dovrebbe aver bisogno di un conteggio calorico. Tuttavia più vogliamo far le cose bene e più dobbiamo essere precisi. Se vuoi sciogliere il grasso velocemente senza contare le calorie le strategie sono:

  • assicurati di incominciare la dieta solo se già mangi abbastanza (vedi il paragrafo sopra);
  • assicurati di mangiare abbastanza proteine, ti proteggeranno la massa magra e ti faranno soffrire meno la fame;
  • assicurati di mangiare almeno 30g di fibre alimentari al giorno, ti aiuteranno sia con la salute che col senso di sazietà (attenta solo nel caso di colon irritabile);
  • assicurati di bere molto, l’acqua aiuta a non sentire la fame. Non eliminare il sodio, mediamente 1g ogni litro d’acqua che bevi;
  • assicurati di mangiare molta verdura, in tutti i pasti sia cruda che cotta;
  • usa i condimenti al minimo, se versi l’olio mettilo sul cucchiaio e non direttamente sul piatto;
  • prediligi ai cereali raffinati i cereali integrali ed a questi i legumi ed ai legumi la frutta
  • prediligi alla carne rossa quella bianca, ed alla carne bianca il pesce (non grasso);
  • fai un numero di pasti che ti fa soffrire meno la fame, da due a sei;
  • distraiti, trovati nuovi hobby, non rimanere passiva davanti al televisore, fai qualcosa ti aiuterà a non pensare al cibo;
  • muoviti, allenati 2-4 volte a settimana in modo intenso, ma durante la giornata cammina, fai le scale, rimani attiva il più possibile;
  • non riempirti la casa di alimenti che ti possono tentare;
  • gratificati quando puoi, comprando un cd che ti piace, andando al cinema, o anche concedendoti una piccola porzione di dolce ogni tanto.

Questi sono consigli di buon senso che possono regolare una dieta sana che porta naturalmente a perdere peso (ma soprattutto grasso). Il segreto di Pulcinella è quello, per dimagrire, devi mangiare alimenti meno calorici e di muoverti di più (il segreto è che non esistono segreti).

Dimagrire velocemente: 4 strategie efficaci

come dimagrire velocemente

Ora che abbiamo fatto tutte queste premesse ed abbiamo visto dei consigli generali, ecco 4 protocolli testati e provati. Richiedono un controllo calorico preciso, quindi si adattano solo a persone motivate. Guarda in questo articolo quali sono le migliori app conta calorie.

1) Ricomposizione corporea

È il classico protocollo di dimagrimento veloce  (o meglio ricomposizione corporea). Si divide la settimana in due, la prima parte avrà un forte deficit calorico (-50% del TDEE). Il TDEE è il nostro fabbisogno calorico giornaliero, ovvero quante calorie abbiamo bisogno di mangiare per mantenere il peso). Il resto della settimana avrà all’inizio una ricarica della durata di 36-48h, mentre il resto della settimana avrà dei giorni di stabilizzazione calorica. Per capirci e fare un esempio:

  • Lunedì-martedì-mercoledì: -50% del TDEE (se il mio fabbisogno sono 2500kcal ne assumo 1250kcal).
  • Prima parte del giovedì: digiuno o semi-digiuno
  • Seconda parte del giovedì e venerdì: ricarica +100% del TDEE in 36h (se il mio fabbisogno sono 2500kcal ne assumo in 36h 5000kcal suddivise in tanti pasti).
  • Sabato e domenica: giorni di stabilizzazione come il TDEE
Esempio Luca TDEE 2500kcal

(17500kcal settimanali)

Kcal assunte
Lunedì -50% del TDEE 1250kcal Dieta chetogenica-iperproteica
Martedì -50% del TDEE 1250kcal Dieta chetogenica-iperproteica
Mercoledì -50% del TDEE 1250kcal Dieta chetogenica-iperproteica
Giovedì prima parte Semi-digiuno 250kcal Solo proteine
Giovedì seconda parte

+ venerdì

+ 100% del TDEE 5000kcal Ricarica glucidica e low fat
Sabato TDEE 2500kcal Dieta simil Zona
Domenica TDEE 2500kcal Dieta simil Zona
Totale calorie assunte=14000kcal, ovvero -3500kcal
ricomposizione corporea
Questo è un primo protocollo di ricomposizione corporea ideato da Lyle McDonald, ne esistono poi tanti altri.

Questo approccio è molto flessibile, i punti fondamentali sono creare un deficit calorico settimanale intorno a -3500kcal, alternare durante la settimana fasi di ipoalimentazione low carb, a ricariche glucidiche.
Potete sentirvi liberi di fare il taglio calorico fino a giovedì intero, o solo di tre giorni. Potete fare la ricaricare anziché di un giorno e mezzo di due ma più leggera. Insomma il protocollo è sempre molto personalizzabile, l’importante è il deficit settimanale.

Quello che dobbiamo portarci a casa è che si dimagrisce velocemente perchè c’è un importante deficit calorico, per non soffrire cronicamente la fame, si sta a dieta ferrea solo per metà settimana, poi si ricarica ed infine si stabilizza. Gli uomini in media sopportano un deficit settimanale di 3500kcal, le donne di 2500kcal.

2) Digiuno intermittente

Il digiuno intermittente è un protocollo molto comodo, almeno per alcuni, per soffrire meno la fame. Esistono due tipi di digiuno intermittente:

  • quelli che si basano sulle 24h
  • quelli che si basano sulla settimana

Nei primi abbiamo delle finestre temporali dove possiamo mangiare  le nostre calorie, le finestre mediamente vanno dalle 4 alle 8h. In questo lasso di tempo potremmo mangiare l’80% del nostro TDEE:

Esempio Luca TDEE 2500kca

(17500kcal settimanali)

Kcal assunte
Lunedì -20% del TDEE 2000kcal
Martedì -20% del TDEE 2000kcal
Mercoledì -20% del TDEE 2000kcal
Giovedì -20% del TDEE 2000kcal
Venerdì -20% del TDEE 2000kcal
Sabato -20% del TDEE 2000kcal
Domenica -20% del TDEE 2000kcal
Totale Calorie assunte= 14000kcal ovvero -3500kcal

Quindi questo approccio classico con un -20% del TDEE, a la particolarità che potremo mangiare, per esempio, solo dalle 16.00 alle 23.00 (17h di digiuno).

Un altro approccio, per dimagrire velocemente è quello di creare dei giorni di digiuno o semi digiuno potendo così mangiare normalmente gli altri giorni.

Esempio Luca TDEE 2500kca

(17500kcal settimanali)

Kcal assunte
Lunedì -60% del TDEE 1000kcal
Martedì TDEE 2500kcal
Mercoledì -60% del TDEE 1000kcal
Giovedì TDEE 2500kcal
Venerdì -60% del TDEE 1000kcal
Sabato TDEE 2500kcal
Domenica TDEE 2500kcal
Totale Calorie assunte= 14000kcal ovvero -3500kcal

digiuno intermittente

In questo caso abbiamo creato 3 giorni settimanali di semi-digiuno. Avremmo potuto farne uno di digiuno completo ed un altro di semi digiuno, farne 4 più una ricarica, solo uno, ecc. Insomma una volta che si sono capiti i principi (deficit settimanale) si spostano le varianti come si preferisce.

3) Ricariche settimanali

Con questo approccio al dimagrimento si tagliano tutti i giorni le calorie, la prima settimana non si fanno ricariche, la seconda settimana se ne inserisce una, la terza due, la quarta tre e la quinta quattro.

Esempio Luca Kcal assunte

nei giorni normali

Ricariche e

Kcal nella ricarica

Totale settimanale
1 Settimana 1750kcal 0 12250kcal

Deficit=5250kcal

2 Settimana 1750kcal 1 – 3000kcal 13500kcal

Deficit=4000kcal

3 Settimana 1750kcal 2 – 3000kcal 14750kcal

Deficit= 2750kcal

4 settimana 1750kcal 3 – 3000kcal 1600kcal

Deficit= 1500kcal

5 Settimana 1750kcal 4 -3000kcal 17250kcal

Deficit= 250kcal

ricariche settimanali

Ora l’esempio mostrato parte forse in modo troppo drastico e finisce in modo molto blando, si può sicuramente ottimizzare, ma era per mostrare il concetto in cui le ricariche di settimana in settimana aumentano per abbassare il deficit calorico. Mano a mano che aumentano potete volendo diminuire le kcal della ricarica. L’importante è che ogni settimana abbia più calorie dei quella precedente.

4) Discesa rapida e poi lenta risalita

Sulla scia del protocollo precedente possiamo iniziare a giocare coi macronutrienti (anche sopra i macro vanno modulati).

Esempio Luca Kcal assunte kcal settimanali e deficit Proteine Carboidrati Grassi
1 Settimana 1700kcal 11900kcal, -5350kcal 200g 100g  55g
2 Settimana 1900kcal 13300kcal, -3950kcal 200g 150g 55g
3 Settimana 2100kcal 14700kcal, -2550kcal 200g 200g 55g
4 settimana 2300kcal 16100kcal, -1150kcal 200g 250g 55g

Anche in questo caso l’esempio può essere ottimizzato, la media del deficit delle 4 settimane è comunque di -3250kcal. Quello che dobbiamo portarci a casa da questo protocollo è che la prima settimana è la più dura, poi la dieta è “in discesa”. Quello che infine conta è il deficit calorico mensile. La seconda cosa importante è che abbiamo deciso di tagliare i carboidrati per poi gradualmente rialzarli (un tipico protocollo di reverse diet). In questo caso abbiamo inserito, oltre al fattore calorie, anche i macronutrienti.

Cosa mangiare per togliere velocemente i kg in eccesso?

cosa mangiare per dimagrire velocemente

Ormai a questa domanda dovremmo aver risposto già sopra, pertanto più che soffermarci su cosa mangiare per dimagrire velocemente (alimenti a bassa densità energetica e ricchi di proteine), vediamo tre punti importanti che possono aiutare nelle dieta:

Allenamento

L’allenamento deve essere ben ponderato, allenatevi principalmente contro resistenze per preservare la massa magra. Ricordati che non esistono esercizi per dimagrire, perchè a prescindere da cosa fai, tutto fa bruciare calorie ed è semplicemente il deficit calorico a far perdere peso. In questo articolo sul cardio trovi degli spunti su come impostarlo.

Infine allenati ma ricordati che l’allenamento eccessivo non fa dimagrire. Quando stressiamo troppo il nostro organismo è facile incorrere in uno stallo metabolico.

Lo stallo metabolico

Il blocco del dimagrimento è un fenomeno molto frequente quando non si ottimizzano tutti i parametri. Se per 7-10 giorni smetti di perdere peso, piuttosto che continuare a stressarti, conviene fare due settimane di break diet, dove torni a mangiare in normocalorica, aumentando le calorie dai carboidrati. Spesso l’aumento delle calorie e dei carboidrati porta ad aumentare il senso della fame, vuol dire che la strategia sta funzionando. Parleremo in un articolo a parte di questo argomento molto interessante.

Donne e dieta

Infine le donne sono un capitolo a parte. Hanno vantaggi e svantaggi, preservano meglio la massa magra degli uomini ma incorrono più facilmente in stalli metabolici. Per evitare questo conviene, col gentil sesso, utilizzare approcci meno drastici, tagliere meno le calorie, tenere sempre almeno 50-60g di grassi e guardare che il ciclo rimanga regolare. Se sparisce è un segnale che la dieta non va bene. Attualmente abbiamo impegnate diverse nutrizioniste, ma appena si liberano pubblicheremo un bel po’ di materiale per aiutare le donne a dimagrire, un po’ sulla scia di questo articolo: dieta donna gli errori da evitare.

Spero che l’articolo di ti sia piaciuto, ricordati che arrivare a cercare di dimagrire velocemente non è mai una buona strategia. Se programmi bene tutto l’anno, quando mangi crei i presupposti per poi perdere bene e velocemente il peso. Il segreto è avere uno stile di vita gratificante, che ti permetta di mantenere la tua condizione ottimale quasi tutto l’anno.
Grazie di essere arrivato fino a qui, buon percorso 😉

Approfondisci l’argomento dieta, dimagrimento e ricomposizione corporea, con la nostra guida gratuita per cominciare a farti delle solide basi su cui poi approfondire:

Guida di base alla nutrizione

Guida di base alla nutrizione

Come mangiare correttamente per dimagrire

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Bioimpedenziometria corporea: cos’è e a cosa serve?

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biompedenziometria

La bioimpedenziometria (o, per gli amici, più semplicemente BIA) è uno strumento per valutare la composizione corporea: semplice, immediato e proprio per questi motivi ampiamente utilizzato. Non è però un sistema esente da un certo margine di errore, che può dare adito ad una cattiva interpretazione dei risultati.

Scopri cos’è la BIA, a cosa serve e anche, quindi, se le bilance da casa che dicono di stimare massa grassa, massa magra, localizzazione dell’acqua, metabolismo basale, numero di goccioline di acqua espulse ad ogni espirazione o lacrima e millilitri di urina funzionano davvero!

Cos’è la bioimpedenziometria? A cosa serve?

Bilancia, circonferenze, plicometria sono strumenti di facile utilizzo, semplici ed economici per avere un’idea di come il peso sia distribuito tra massa magra (Fat Free Mass, FFM) e massa grassa (Fat Mass, FM).

Negli ultimi vent’anni ha preso piede un’apparecchiatura che riesce a stimare la composizione corporea, non prendendo in considerazione solo FFM e FM, ma anche l’idratazione. Questo strumento è la bioimpedenziometria, anche chiamata BIA o impedenziometria: stima lo stato corporeo attraverso la conduzione elettrica generata tra gli elettrodi (impedenza).

Per impedenza si intende una resistenza, cioè della resistenza da parte del grasso corporeo al passaggio della corrente elettrica.

Come si fa e come si misura la bioimpedenziometria?

Bioimpedenziometria cos'è e come funziona

La BIA sfrutta le leggi della fisica della corrente elettrica, vede l’organismo come una sostanza che, a seconda della sua composizione, può più o meno far viaggiare tramite i propri fluidi un impulso elettrico.

Il soggetto viene fatto sdraiare su un lettino con una superficie che sia non conducibile. Vengono posti degli elettrodi sul dorso dei piedi e sui polsi e anche dei detector, rispettivamente a livello dei malleoli mediale e laterale e tra il radio e l’ulna. Tramite gli elettrodi, viene introdotta una corrente elettrica, localizzata e impercettibile: questa corrente viaggia nell’organismo grazie ai fluidi corporei.

Viene misurata l’impedenza (resistenza) del flusso della corrente tra la sorgente elettrica e il detector corrispondente all’elettrodo, che rileva il livello della corrente dopo che questa ha viaggiato nell’organismo. Questo valore rilevato dal detector viene convertito in % di BF tramite un’equazione che tiene conto di molti fattori (età, sesso, statura, peso corporeo e altro, come ad esempio la fase del ciclo mestruale).

In alternativa (meno accurata) allo stare disteso e all’applicazione degli elettrodi, può essere utilizzata un’apposita bilancia su cui stare a piedi scalzi e con delle componenti della stessa bilancia tra le mani, come ad esempio nella figura sottostante.

Come funziona la bioimpedenziometria

Valori di riferimento e valori ideali della bioimpedenziometria

Il passaggio dell’elettricità nell’organismo è facilitato dalla percentuale di acqua presente nei tessuti. La massa magra ha mediamente un’idratazione del 72-73%: l’osso 30%, il muscolo 75%, i polmoni 80%, il plasma 90%. La massa grassa, invece, mediamente ha solo il 10%: il grasso è poco idratato (anidro).

Da questi dati si capisce come l’idratazione sia dipendente da quanto grasso corporeo è presente.

% d’acqua uomo % d’acqua donna
Magro 65 55
Normale 60 50
Grasso 55 45

L’uomo ha meno grasso essenziale e un maggior tessuto muscolare rispetto alla donna, quindi risulta più idratato.

Massa corporea ripartizione acqua intracellulare extracellulare

Con l’avanzare dell’età l’idratazione diminuisce: rimanere idratati è così un indice di giovinezza.

Idratazione corporea età

Cosa calcola la bioimpedenziometria

In commercio esistono diverse apparecchiature, alcune con una solida letteratura scientifica, altre meno, altre ancora nessuna. In generale, quelle più accreditate stimano:

  • BCM (massa cellulare): è la componente più attiva dell’organismo, un suo aumento indica che sta incrementando la massa muscolare. Viceversa, una sua diminuzione vuol dire che c’è erosione della massa contrattile e/o sarcopenia.
  • TBW (acqua totale): una corretta idratazione è un parametro importante della salute. Se sei correttamente idratato è anche più facile fare la plicometria.
  • BCMI: è il rapporto tra la BCM e l’altezza del soggetto. Valori inferiori a 8 nella donna e a 10 nell’uomo indicano una probabile malnutrizione.
  • PA (angolo di fase): è il rapporto tra resistenza e reattanza. Normalmente il valore è compreso tra 6-7; risultati inferiori indicano una probabile ritenzione idrica o la rottura delle cellule, mentre valori superiori sono espressi da soggetti sportivi o disidratati.
  • Na/K (scambio sodio/potassio): sodio e potassio sono gli elettroliti più presenti nei fluidi corporei. Valori alti superiori a 1,6 indicano una forte iperidratazione, mentre valori inferiori a 0,6 una ipo- o dis-idratazione.

Alcune apparecchiature sostengono di poter misurare il pH del corpo, la densitometria ossea, il TDEE, ecc, ma c’è dubbio sull’accuratezza di questi dati (se così non fosse, verrebbero utilizzate in ospedale).

Bioimpedenziometria e massa grassa

Bioimpedenziometria e massa grassa

La massa grassa non è un buon conduttore della corrente elettrica, dato che non contiene molta acqua e quindi i molti ioni presenti nel fluido; gli ioni sono fondamentali per la conducibilità, in quanto dotati di carica (più o meno elettroni rispetto al corrispondente atomo/molecola neutro/a).

La percentuale di FM è un dato sicuramente ricercato tramite l’analisi bioimpedenziometrica, ma non bisogna riporre cieca fiducia nel dato ottenuto tramite BIA. Infatti, la misurazione della FM è facilmente influenzabile da più fattori, che possono alterare sia in difetto che in eccesso il valore:

  • Da una parte, il già accennato livello di idratazione del soggetto: un’ipoidratazione diminuisce il valore di impedenza e quindi la %FM sarà sottovalutata. Al contrario, se c’è un’iperidratazione la %FM viene sopravvalutata: viene stimata una maggior quantità di massa grassa.
  • La temperatura della pelle, condizionata da quella esterna dell’ambiente: in un ambiente freddo la massa grassa viene sovrastimata, al contrario quando è caldo.

Anche in condizioni di idratazione e temperature ottimali, comunque nei soggetti magri e con una buona massa muscolare la massa grassa viene stimata più alta di quella che realmente è. Nei soggetti obesi, invece, rileva una minor percentuale.

Un consiglio pratico per gli sportivi: è meglio evitare di effettuare la BIA dopo o anche il giorno successivo rispetto all’allenamento, dato che l’esercizio fisico naturalmente comporta una variazione in acuto dei fluidi corporei (es. sudorazione).

Inoltre, la BIA non rileva la distribuzione del grasso nel corpo.

Affidabilità ed errori della bioimpedenziometria

Normalmente si considerano i classici metodi d’analisi della composizione corporea (circonferenze corporee e plicometria) dei parametri quantitativi del corpo. La BIA, invece, dovrebbe aggiungere una componente qualitativa – passando da un modello bicompartimentale ad uno tricompartimentale, che oltre a muscolo e grasso considera anche l’acqua. Anche se ormai quest’apparecchiatura è utilizzata normalmente da biologi e personal trainer, rimane sempre solo una stima della composizione del corpo.

Riassumendo quanto detto fino ad ora in pochi punti, la BIA ha più fonti di errore: in primis il livello di idratazione, poi la temperatura corporea, la tipologia del soggetto (se è magro, se grasso), l’utilizzo di alcune equazioni piuttosto che di altre. Tutti questi elementi possono portare anche ad un margine di errore del 10%.

Detto ciò, per rispondere a chi si è sorbito tutta questa fisica sulla corrente elettrica quando voleva solamente sapere se la bilancia che ha a casa e che stima FM e FMM serve o meno… La risposta viene da sé: se già le apparecchiature professionali hanno questo margine di errore e richiedono delle specifiche procedure, non c’è motivo per cui una semplice bilancia comprata online sia più affidabile o accurata.

Bioimpedenziometria e dieta

Bioimpedenziometria e dieta

L’acqua, anche se spesso viene dimenticato, è un macronutriente, così come carboidrati, grassi e proteine, se non più importante; come tale è necessario un adeguato fabbisogno. Per mantenere un’idratazione e una ripartizione dei liquidi corrette, devi mantenerti attivo, mangiare frutta e verdura e non eccedere con il sodio, ma nemmeno escluderlo.

L’EFSA (ente europeo preposto alla sicurezza alimentare) consiglia di bere:

  • bambini da 1 a 3 anni: 1,1-1,3 l/die
  • bambini da 4-8 anni: 1,6 l/die,
  • bambini maschi 9-13 anni: 2,1 l/die,
  • bambine femmine 9-13 anni 1,9 l/die,
  • adolescenti, adulti e anziani 2,5 l/die,
  • adolescenti, adulte e anziane 2 l/die.

Bioimpedenziometria e ritenzione idrica

L’acqua nell’organismo è suddivisa tra una componente intracellulare (60%) e una extracellulare (40%). Quest’ultima a sua volta si divide in una componente interstiziale, plasmatica e linfatica. La BIA tramite la conduzione elettrica si prefigge di stimare anche la ripartizione idrica del corpo: una buona idratazione indica una buona massa cellulare, la capacità di termoregolare l’organismo e di mantenere funzionanti gli scambi chimici.

L’acqua che non è dentro alle cellule e che si trova nello spazio tra le cellule (interstiziale) è proprio quella che, quando diventa più pronunciata, comunemente viene definita ritenzione idrica. L’acqua dentro alle cellule è utile e va mantenuta a livelli ottimali, mentre quella “esterna” quando molto in eccesso è bene diminuirla – anche se prevenire è sempre meglio di curare.

Nella donna è fisiologico che ci sia un po’ di ritenzione, a causa degli ormoni e dei capillari (i vasi sanguigni più sottili) più permeabili. Tutti i fattori che migliorano la circolazione, come ad esempio l’essere costanti nell’andare a fare una camminata ogni giorno, favoriscono il riassorbimento dei fluidi presenti nello spazio interstiziale. 

Bioimpedenziometria e plicometria

Sia BIA che plicometria hanno i propri vantaggi e svantaggi, come trovi nella tabella. Per un’analisi e un quadro complessivo migliori per la valutazione della composizione corporea sarebbe opportuno integrare i risultati delle varie analisi, anche includendo le classiche misure antropometriche.

Vantaggi Svantaggi
BIA
  • Portabile
  • Facilità di impiego
  • Relativamente poco costosa
  • Non invasiva
  • % di BF può cambiare di molto (anche del 10%) a seconda del macchinario o della metodologia
  • Differenti categorie di soggetti necessitano di specifiche equazioni
  • Dipende molto dall’idratazione del soggetto
Plicometria
  • Portabile
  • Facilità di impiego
  • Economica
  • Non invasiva
  • Valutazione distrettuale del tessuto adiposo

 

  • La misurazione varia a seconda della manualità dell’operatore
  • Difficile da usare su soggetti con alta BF
  • Può risultare fastidiosa

 

Bibliografia

McArdle, Katch F., Katch V. (2015). “Exercise Physiology – Nutrition, Energy and Human Performance”. Chapter 28: Body composition assessment. Wolters Kluwer Health.

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Motivazione per andare in palestra: come trovarla?

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Motivi per amare in palestra

Oggi sono stanco, rimanderò il mio allenamento a domani”; “ho fatto tardi al lavoro, ormai non ho tempo per andare in palestra”; “comincerò la palestra il prossimo lunedì”; “non comincio neanche tanto non otterrò mai i risultati che voglio”. Scommetto che anche tu hai detto almeno una di queste frasi una volta nella vita. Ora ti svelerò un segreto… sono proprio queste le affermazioni che ostacolano la tua motivazione in palestra e non ti aiutano a raggiungere gli obiettivi che tanto desideri.

Perché? Non ti permettono di essere costante, e la costanza nell’allenamento è una delle chiavi principali per il successo. E ti assicuro che nessun bodybuilder è diventato tale ripetendo a se stesso queste frasi.

Perché non sei motivata ad andare in palestra?

Motivazione andare in palestra

Probabilmente perché non ti sei posto obiettivi raggiungibili o, peggio ancora, non ti sei posto un obiettivo, o forse perché pensi all’allenamento come un dovere e non come un piacere, o ancora perché continui a paragonarti agli altri senza focalizzarti sui miglioramenti che nel frattempo hai ottenuto. Spesso, anche le tue aspettative, i preconcetti e le scarse conoscenze riguardo al mondo del fitness possono ostacolare la tua motivazione. I motivi possono essere tanti, ma cerchiamo di capire meglio.

Che cosa causa la perdita di motivazione per la palestra?

Quante volte hai pensato “tanto oramai..”? Quante volte ti è capitato di mollare perché hai preso qualche kilo di troppo o hai perso kili di massa muscolare tanto sudati e desiderati?

Queste sono solo alcune delle cause alla base della perdita di motivazione per la palestra. Altre volte, alla base di un calo motivazionale, vi è il sovrallenamento, una condizione che probabilmente la maggior parte dei bodybuilder e dei frequentatori assidui di palestre ha provato.

Ma tranquillo, un calo di motivazione è capitato a tutti. L’importante è imparare a contrastarlo e continuare dritti per la propria strada.

Donne, uomini e motivazione per la palestra

Motivazione palestra

Cara donna, partiamo da te. Aspettative, preconcetti e scarsa conoscenza sono alla base della motivazione per la palestra. Probabilmente le aspettative che hai sono sproporzionate rispetto ai reali risultati che potresti ottenere.
Ecco perché anche dopo mesi di palestra ti senti insoddisfatta e poco motivata ad allenarti.

Anche la scarsa conoscenza e i preconcetti legati al mondo del fitness spesso frenano le donne ad approcciarsi a questo mondo: “ma se alzo i pesi divento grossa?”; “sembrerò un uomo”; “devo fare ore di tapis roulant per avere un fisico da urlo”.

Nulla di più sbagliato. Le donne non avranno mai un fisico uguale a quello di un uomo, anche dopo anni di allenamento con i pesi, semplicemente perché hanno una composizione corporea e ormonale diversa dai maschietti.

Ora veniamo a te, caro uomo. La scarsa conoscenza e le aspettative irrealistiche influenzano anche la tua di motivazione. Così come la fretta di vedere i risultati desiderati e la scarsa volontà ad abbinare alla tua attività fisica una corretta alimentazione che ottimizza i tuoi sforzi sotto il bilanciere.

Motivazione in palestra: quali sono i fattori che fanno la differenza?

In psicologia viene fatta una distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca. Vediamo come questi concetti si applicano al mondo dello sport.

Un atleta motivato intrinsecamente è colui che si allena perché trae piacere dall’attività fisica stessa. In altre parole, si allena perché ama allenarsi, confrontarsi con se stesso, apprendere nuove abilità e porsi degli obiettivi personali sempre più elevati.

Un atleta motivato estrinsecamente, invece, è colui che si allena per ricevere ricompense esterne: premi, lodi, complimenti, fama. In questo caso la sua motivazione sarà elevata solo se riceverà tali ricompense. In caso contrario, la sua motivazione calerà velocemente.

5 consigli per aumentare la motivazione in palestra:

Scheda allenamento

1. Poniti un obiettivo

Prima di cominciare ad allenarti, è fondamentale che tu abbia bene in mente l’obiettivo che vuoi raggiungere. Ogni volta che senti la tua motivazione calare richiama alla mente il motivo per cui hai cominciato e immagina te stesso come se l’obiettivo l’avessi già raggiunto.

Gli obiettivi devono essere realistici! Non farti ingannare dalle immagini dei corpi perfetti di modelli che ogni giorno ti scivolano davanti agli occhi. Probabilmente la perfezione che stai guardando non è altro che il risultato di un ottimo utilizzo di photoshop.

È fondamentale che non perda mai di vista il tuo punto di partenza, i tuoi limiti e i tuoi punti di forza: è da lì che devi cominciare per progettare il tuo percorso di allenamento. Altro aspetto da non sottovalutare è il porsi degli obiettivi a breve termine. È più probabile che tu riesca a raggiungerli più velocemente e questo farà aumentare la tua autostima e la tua motivazione a fare sempre di più.

2. Non paragonarti agli altri

Per aumentare la tua motivazione può essere utile prendere come esempio una persona con più esperienza di te nell’allenamento, ma occhio a non paragonarti agli altri! Ognuno ha la propria genetica, la propria composizione corporea, il proprio somatotipo, determinati livelli di forza e anni di esperienza nell’allenamento.

Tutti questi fattori ci rendono diversi gli uni dagli altri e confrontarti con un’altra persona, magari semplicemente più allenata di te, non farà altro che demotivarti e indurti a pensare che la palestra non fa per te.

3. Divertiti!

Non vivere l’allenamento come un obbligo o come uno strumento con cui punirti se per una sera hai mangiato un po’ di più. L’allenamento deve essere divertente, per cui fai quello che più ti piace (senza perdere di vista il tuo obiettivo)!

Con l’aiuto di un personal trainer, crea una scheda su misura per te, con degli esercizi che ti soddisfano e che ti fanno svagare. E perché no…ogni tanto modifica la tua scheda: questo renderà il tuo allenamento meno monotono e apporterà dei benefici anche in termini di crescita muscolare.

4. Traccia i tuoi progressi

aiuto degli altri

Per aumentare la tua motivazione tieni sotto controllo i tuoi miglioramenti, magari registrandoli su un diario o sul tuo smartphone, ma non affidarti esclusivamente alla bilancia.

Spesso la cifra che leggi non rispecchia del tutto i tuoi progressi. Fai delle foto al tuo corpo ogni due-tre settimane e confrontale tra di loro, con l’aiuto di un metro misura le circonferenze del tuo corpo, cerca di capire i tuoi miglioramenti attraverso i vestiti che indossi.

Fondamentale è anche tenere traccia dei tuoi progressi nell’allenamento: ogni volta che aumenti i carichi, il numero di serie o di ripetizioni appuntatelo e, quando senti che la motivazione cala, buttaci un occhio.

5. Scegli la palestra giusta

Un fattore che spesso viene sottovalutato è la palestra stessa. Quante volte ti sei detto: “sono troppo stanco per uscire di casa, prendere i mezzi e arrivare in palestra”; “devo farmi mezz’ora di viaggio per arrivare in palestra, per oggi resto a casa”; “se la palestra fosse sotto casa magari ci sarei anche andato”.

Quando scegli una palestra fai in modo che sia comoda e facile da raggiungere, altrimenti sarà più difficile per te, dopo una giornata intensa di lavoro o di studio, uscire di casa per andare ad allenarti. Inoltre, scegli una palestra che ti faccia a sentire a tuo agio, frequentata da persone con cui ti fa piacere scambiare due parole tra una serie e l’altra.

5 motivi per allenarsi

Motivi per allenarsi

1. Migliora l’umore

Ti è mai capitato di uscire dalla palestra più felice di quando sei entrato? Questo è l’effetto che l’attività fisica ha sul nostro organismo, in particolare sul nostro cervello. L’esercizio fisico induce il rilascio di endorfine e serotonina, due neurotrasmettitori che stimolano il buon umore. Non a caso, l’attività fisica è fortemente consigliata a chi soffre di sintomi depressivi.

2. Riduce l’ansia

L’ansia è una condizione psicologica che causa, tra gli altri, sintomi di natura fisica e una generale attivazione psicofisiolgica. Partiamo dal presupposto che l’allenamento non guarisce l’ansia, ma permette di alleviare alcuni dei suoi sintomi, tra cui tachicardia, tremori, capogiri, irrequietezza, nervosismo, e lo stato generale di malessere causato da tale condizione.

3. Migliora l’autostima e la fiducia in se stessi

Autostima

Ogni volta che raggiungi un obiettivo che ti sei prefissato la tua autostima fa un balzo in avanti. E cosa c’è di meglio dell’allenamento?

Man mano che raggiungi un obiettivo, ed esempio aumentando il volume di allenamento o incrementando i carichi, aumenti la fiducia in te stesso e nelle tue capacità. Questo ti permette di auspicare ad un obiettivo più elevato, che una volta raggiunto, rafforzerà questo fantastico circolo vizioso. Un toccasana per le persone insicure e meno self-confident. Senza considerare che l’allenamento migliora il tuo aspetto fisico, altro elemento che ti renderà più sicuro di te stesso.

Se vuoi aumentare la tua motivazione puoi provare ad utilizzare la tecnica delle “immagini mentali”, molto usata dagli atleti professionisti. Consiste nell’immaginare vividamente nella mente l’allenamento che devi eseguire: le varie fasi che lo caratterizzano, la sequenza degli esercizi e la loro esecuzione in ogni minimo dettaglio.

Questo permette di migliorare la tecnica di esecuzione e la prestazione che, a loro volta, aumentano la tua motivazione e il tuo senso di autoefficacia.

4. Migliora il sonno

Diversi studi hanno dimostrato che allenarsi costantemente durante la settimana produce un miglioramento della qualità e della quantità del sonno. Quando ti alleni, la tua stanchezza aumenta e questo aiuta a conciliare il sonno, a patto che tu non faccia un allenamento estremamente intenso durante le ore serali.

Allenamento e sonno vanno a braccetto: l’allenamento migliora il sonno e il sonno è essenziale per massimizzare i benefici dell’allenamento.

5. Aiuta a socializzare

La palestra può essere un luogo in cui conoscere persone nuove. Se sei fra i più timidi, trovarti in un contesto con persone che condividono i tuoi stessi interessi e passioni può aiutarti a socializzare e, chissà, magari anche ad ampliare il tuo giro di amicizie e trovare un partner.

Frasi che ti aiutano a trovare la motivazione in palestra

Frasi motivazionali

Hai bisogno di qualcuno che ti motivi ad andare in palestra ma non trovi nessuno attorno a te? Vorresti qualcuno che ti sproni nei momenti di down ma i tuoi amici hanno meno motivazione di te? Nessun problema, appuntati queste frasi che ti aiuteranno a trovare la motivazione che cerchi e rileggile ogni volta che ne senti il bisogno:

  • La grandezza non potrà mai essere raggiunta se si rimane nella zona di comfort.” (Ivan Abadjiev)
  • Il segreto per andare avanti è iniziare.” (Sally Berger)
  • Se non si è disposti a sacrificare l’usuale, ci si dovrà accontentare dell’ordinario.” (Jim Rohn)
  • Se non credi in te stesso, troverai sempre un modo per non vincere”. (Carl Lewis)
  • Per essere il numero uno, devi allenarti come se fossi il numero due”. (Maurice Green)

Canzoni e musica per mantenere la motivazione in palestra

Diversi studi scientifici hanno dimostrato come la musica sia una preziosa fonte motivazionale per gli sportivi. In particolare, alcuni scienziati della Brunel University of London hanno dimostrato come ascoltare musica durante l’attività fisica diminuisca la percezione della fatica e fornisca una carica maggiore, con conseguente miglioramento della quantità e della qualità della performance.

Sembrerebbe che i generi musicali più motivanti siano il pop e il rock e, in generale, tutte le canzoni che hanno dai 120 ai 140 battiti al minuto.

 Video motivazionali per andare in palestra

Se proprio non riesci ad aumentare la tua motivazione nonostante le chicche proposte in questo articolo, ti consiglio di aiutarti con dei video motivazionali. Il web ne è pieno, basta cercare su youtube e scegliere quello che fa più al caso tuo. Guardalo prima di andare in palestra o semplicemente ogni volta in cui senti il bisogno di un po’ di carica.

Conclusioni: come tornare in palestra?

Motivazione

In conclusione, per tornare in palestra più carico che mai poniti un obiettivo, crea il tuo piano di allenamento e non confrontarti troppo con chi ti sta attorno.
Traccia i tuoi progressi e magari regalati una piccola ricompensa ogni volta che hai raggiunto un nuovo step.

Ah, non dimenticarti le cuffiette a casa, mi raccomando!

Note sull’autrice

Dott.ssa Federica Vitale Psicologa

Dott.ssa Federica Vitale – Psicologa clinica e specializzanda in psicoterapia cognitivo-comportamentale.
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Allenare i muscoli carenti della schiena

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allenare i muscoli carenti del dorso

In questo articolo parleremo dell’allenamento per la schiena, dell’importanza che ricopre questo gruppo di muscoli e quali sono i migliori esercizi da svolgere per il dorso per aumentarne la massa muscolare.

Se ti è capitato di aver avuto mal di schiena, sai sicuramente quanto può essere fastidioso dal momento che ogni movimento del corpo la coinvolte  in qualche modo.
Rafforzare i muscoli della schiena può aiutare a prevenire questo tipo di problemi, sia durante i movimenti quotidiani che durante l’esercizio.

Inoltre diciamolo, in un uomo non c’è niente di più sorprendente ed imponente di una schiena ben sviluppata. Anche in ambito bodybuilding in effetti, un gran dorso può fare la differenza, tanto che spesso si dice che “le gare di bodybuilding si vincono di schiena!”

Allenare questo gruppo di muscoli può essere una vera sfida. Partiamo dunque dall’anatomia per comprendere come allenarla al meglio.

Anatomia della schiena 

muscoli della schiena

Sapere cosa fa un muscolo è fondamentale per poterlo allenare in modo corretto. Con questo in mente diamo un’occhiata all’anatomia della schiena.

Principalmente per puri fini estetici e di allenamento possiamo suddividere la schiena in:

Questo è un muscolo di forma triangolare molto ampio che copre quasi tutti i muscoli della nuca e gran parte della schiena centrale. È il muscolo più superficiale di tutti.

I romboidi hanno origine sulla colonna vertebrale e si attaccano al centro della scapola. La loro funzione è quella di addurre la scapola (ovvero portare la scapola verso la colonna vertebrale). Sono nascosti dal trapezio da danno spessore alla schiena.

Questo muscolo ha origine sul bordo esterno della scapola e si attacca all’omero. Serve ad estendere (tirare indietro) il braccio quando si trova in elevazione, e contribuisce all’adduzione dell’omero sul piano frontale.

Questo è il muscolo più grande della schiena. A ventaglio o a forma di “V”, è attaccato all’estremità superiore dell’omero e scende lungo la colonna vertebrale e la cintura pelvica. La funzione di questo muscolo è quella di estendere ed addurre il braccio (come il grande rotondo).

  • Erettori spinali

Un gruppo di muscoli che sostengono la colonna vertebrale. I più importanti a livello estetico sono: il lunghissimo, lo spinale e l’ileocostale. La loro funzione è quella di estendere e stabilizzare la colonna vertebrale.

Come scegliere gli esercizi per allenare la schiena

La schiena rispetto ad altri gruppi muscolari è piuttosto complicata ed è composta da tantissimi muscoli. Tuttavia, anche qui si tratta di avere una base di conoscenze ed esperienza per capire come e cosa fare.

Per prima cosa raggruppo i vari muscoli sopra elencati in tre categorie, considerando che alcuni di questi muscoli svolgono un ruolo molto simile e quindi possono essere allenati con gli stessi movimenti. Principalmente quindi suddivido la schiena in:

  • Dorsali: comprendente il gran dorsale e il grande rotondo, che svolgono entrambi il ruolo di adduttori ed estensori dell’omero. Questi muscoli donano ampiezza e spessore alla schiena, dando quel look a V tanto ricercato.
  • Adduttori delle scapole: comprende i trapezi, i romboidi e il deltoide posteriore. I primi due funzionano in sinergia adducendo e stabilizzando la scapola, mentre il deltoide posteriore estende ed abduce l’omero. Inserisco il deltoide posteriore in questa categoria poiché svolgendo gli esercizi di adduzione sul piano frontale è sempre coinvolto assieme ai trapezi e romboidi.
  • Erettori spinali: estendono e stabilizzano la colonna. Danno spessore a tutta la schiena e sono fondamentali per mantenere la colonna vertebrale in salute.

La parte centrale dell’allenamento della schiena sarà svolta dagli esercizi per i dorsali, i quali permettono alti carichi ed alti volumi. Gli esercizi specifici per gli adduttori possono essere visti come complementari mentre infine gli erettori spinali sono allenati sempre in esercizio come gli squat e gli stacchi e possono non essere inseriti nell’allenamento della schiena ma delle gambe.

Quali esercizi svolgere per la schiena

Muscoli schiena

Quando scelgo degli esercizi tengo in considerazione proprio le azioni muscolari svolte dai muscoli compresi in queste categorie.

Ad esempio sappiamo che il gran dorsale ed il grande rotondo lavorano in sinergia nei movimenti di adduzione (avvicina il braccio al tronco lateralmente) e di estensione  (porta indietro il braccio). Scegliendo quindi almeno due esercizi, di cui uno di estensione e uno di adduzione andremo a svolgere un lavoro abbastanza completo su tutte le fibre del gran dorsale e andremo a stimolare fortemente anche il grande rotondo.

Un altro fattore da tenere in considerazione nella scelta degli esercizi è quello di selezionare movimenti che permettono di sviluppare picchi di tensione elevati sia quando i muscoli si trovano in allungamento e sia quando si trovano in massimo accorciamento.

Vediamo quali esercizi possiamo utilizzare, per ogni gruppo muscolare seguendo la logica sopra esposta (le azioni muscolari considerate sono quelle di maggiore rilevanza quando si parla di bodybuilding, e la suddivisione dei gruppi muscolari è fatta in modo da considerare tutti i muscoli che vanno allenati; esempio: con dorso intendo sia il gran dorsale che il grande rotondo)

  • Dorso: azioni muscolari: adduzione, estensione del braccio

Esercizi:

Trazioni alla sbarra

  • Adduttori ed elevatori delle scapole (si intende principalmente deltoidi posteriori, trapezi, romboidi)

Esercizi:

  • Rematore bilanciere (gomiti medio-larghi);
  • Pulley presa larga(con picco di contrazione in accorciamento)
  • Facepull, uno degli esercizi complementari più interessanti, anche se spesso viene preso alla leggera come esercizio ed è difficile sviluppare una connessione muscolare tale da saperlo sfruttare bene;
  • Alzate posteriori;
  • Opzionale shrugs (se abbiamo il trapezio alto carente e vogliamo fare un richiamo oltre al giorno delle spalle).

Rematore manubrio

  • Erettori spinali: azioni muscolari: estensione e stabilizzazione della colonna

Esercizi:

  • Hyperextension (in modo da lavorare sull’estensione della colonna);
  • Stacco da terra (da valutare quando e se inserirlo)
  • Stacchi rumeni (esercizio che coinvolge fortemente gli erettori nel loro ruolo di stabilizzatori);
  • Bent Over Row (esercizio che coinvolge fortemente gli erettori nel loro ruolo di stabilizzatori).

Stacco da terra

Principali errori nell’allenamento della schiena

Allenare questo gruppo di muscoli può essere complicato poiché molte persone non riescono a sentire i muscoli della schiena lavorare quando si allenano. Questo è abbastanza comune principalmente per N. fattori:

  1. Perché è molto facile coinvolgere i bicipiti quando si svolgono gli esercizi per la schiena; in questo caso per escludere il lavoro da parte dei bicipiti puoi immaginare che la mano e l’avambraccio siano solo dei ganci, e quindi dovrai evitare di pensare di dover tirare di braccia.
    Puoi anche provare ad utilizzare una presa senza pollice quando esegui gli esercizi, in modo da escludere più facilmente l’intervento del bicipite.
  2. È complicato capire come portare in massima contrazione e in massimo allungamento i muscoli della schiena. Spesso è difficile far comprendere qual è il corretto movimento da compiere a partire dalle scapole.
    Per allenare il dorso ad esempio fondamentale capire che le scapole prima di iniziare un movimento di tirata devono essere depresse. Questo permette di portare il dorsale in massima contrazione.
    Inoltre è fondamentale cercare di non perdere mai la posizione della scapola durante lo svolgimento degli esercizi. Ad esempio nella Lat machine spesso e volentieri la scapola va in anteposizione e la tensione sul dorsale viene persa (vedi video per approfondire).

  1. Per quanto riguarda gli adduttori delle scapole, per esperienza posso dire che negli esercizi dedicati a questo gruppo muscolare si tende erroneamente a tenere i gomiti sempre troppo stretti rispetto al tronco, alterando il piano di lavoro ideale per gli adduttori che dovrebbe essere in buona parte frontale (gomiti larghi). Questo accade perché ci si mette in una posizione maggiore di forza favorendo l’intervento del gran dorsale che viene invece escluso quando si utilizza una tecnica corretta.

Allenamento della schiena per principianti: da dove partire?

Per i principianti è necessario partire proprio dall’apprendimento dei movimenti delle scapole, utile per non farsi male e caricare negli esercizi fondamentali per la schiena, per quanto riguarda lo sviluppo di dorso.

Per gli erettori è fondamentale iniziare fin da subito ad apprendere come stabilizzare la schiena sotto carico ed inserire degli esercizi pesanti nel proprio programma come lo stacco da terra e le sue varianti, eseguiti ovviamente in modo corretto.

Allenamento per aumentare lo spessore della schiena

Devi capire che lo spessore e la larghezza della schiena sono determinati entrambi da uno sviluppo armonico e completo di tutti i gruppi muscolari sopra elencati, e che è errato pensare che gli esercizi per la schiena possano essere suddivisi in esercizi per lo spessore ed esercizi per la larghezza.

Anche se si dice che la Lat machine eseguita con presa larga favorisca lo sviluppo dell’ampiezza, mentre con presa stretta favorisca lo sviluppo dello spessore, questo è un concetto in buona parte errato.
La differenza tra le due esecuzioni consiste nel fatto che con una presa larga si lavora di più sull’adduzione, con una presa stretta lavoriamo di più sull’estensione. Questo comporta un coinvolgimento leggermente diverso delle fibre che compongono il gran dorsale e dei muscoli che agiscono sulla scapola, ma non determina un reale aumento selettivo della larghezza o dello spessore della schiena.

Quello che puoi fare è cercare di sviluppare tutti i gruppi muscolari della schiena, includendo sia esercizi di tirata verticale (trazioni, lat machine) che di tirata orizzontale (rematore, pulley), poiché solo raggiungendo un buono sviluppo di tutti questi muscoli potrai avere una schiena ampia e spessa.

Quante ripetizioni e serie fare per allenare la schiena?

Anche per la schiena è consigliabile utilizzare più range di ripetizioni. Possiamo tranquillamente utilizzare quindi un range tra le 5 e le 30 ripetizioni. Per fare ciò ad esempio puoi semplicemente impostare due sessioni a settimana, una con un range di ripetizioni più metabolico (8-15 reps) e una con un range di ripetizioni più meccanico (5-8 reps).

Ricordati comunque che il primo fattore ad indurre l’ipertrofia è la tensione meccanica. È inutile fare 1000 esercizi se non acquisti forza (con le basse ripetizioni) sugli esercizi fondamentali.

Quanto volume totale fare?

La ricerca scientifica indica mediamente come numero di partenza 12 serie a settimana per gruppo muscolare (idealmente l’obiettivo è di arrivare a farne 18-24 in media). La ricerca suggerisce comunque che probabilmente è necessario stare tra le 6 serie e le 12 serie di lavoro per sessione nella maggior parte dei casi. Se vuoi ottimizzare la crescita di qualsiasi gruppo muscolare devi capire di quanto volume necessiti per avere una crescita ottimale del distretto desiderato.

Se, lavorando sulla tecnica nel modo più preciso possibile, ad un determinato numero di serie settimanali riscontri una buona crescita puoi continuare a tenere il numero di serie fisso, se invece noti che la crescita è troppo lenta o assente e le sessioni sono troppo poco stimolanti (non hai mai un buon pump e non senti mai dolori), puoi iniziare ad aggiungere una o due serie a settimana. E così via…

Per quanto riguarda la frequenza di allenamento la ricerca indica che c’è una forte evidenza che questo parametro non ha un impatto significativo sull’ipertrofia muscolare quando il volume è equiparato. Pertanto, per un dato volume di allenamento, gli individui possono scegliere una frequenza settimanale per gruppi muscolari in base alle preferenze personali, sempre considerando che esiste un limite alla capacità di svolgere lavoro in una singola sessione di allenamento e che quindi una frequenza di allenamento più elevata permette di svolgere un numero maggiore di serie nell’arco dell’intera settimana.

Puoi provare quindi ad impostare una frequenza iniziale di 2x a settimana con 6-12 set a sessione (sempre suddividendo la schiena in dorso, adduttori delle scapole ed erettori spinali). Se la schiena è un tuo punto carente puoi tenerti verso le 8-12 serie a sessione. Se in un determinato allenamento noti che, superate ad esempio le dieci serie l’undicesima la svolgi male è inutile provare a spingersi ulteriormente. Occhio che se fai tanto volume senza caricare, forse è meglio fare meno ma meglio.

Il tuo obiettivo deve essere quindi quello di trovare una combinazione ideale tra carico e numero di serie allenanti.

Lat machine

Come allenare il centro della schiena?

Se selezioni gli esercizi nel modo visto sopra automaticamente svolgerai una grande mole di lavoro per i muscoli del centro schiena, che sono principalmente i trapezi e i romboidi (anche se gli erettori spinali contribuiscono a riempire questa zona). Fondamentale però è il coinvolgimento della scapola durante i movimenti di tirata, sia orizzontale (esempio rematore), sia verticale (esempio trazioni alla sbarra). Infatti è solo coinvolgendo ed adducendo bene le scapole che potrai assicurarti di sviluppare in modo ottimale questa zona.

Se carente non lesinare con gli esercizi a gomiti larghi per gli adduttori delle scapole.

Allenamento della schiena alla sbarra

Un errore comune, che si vede soprattutto in chi pratica allenamento a corpo libero, è quello di eseguire i movimenti di tirata senza deprimere le scapole in partenza e di scalciare o compensare nelle fasi più difficile della salita (la chiusura).
Questo non permette un coinvolgimento ottimale del gran dorsale e ne limita fortemente il potenziale di crescita, per cui se stai cercando di sviluppare un fisico ben bilanciato o di massimizzare i guadagni ipertrofici, è fondamentale che cerchi di tenere una tecnica d’esecuzione più pulita possibile, senza perdere tensione durante l’esercizio.

Esempio scheda di allenamento per la schiena

Seguendo tutte le linee guida indicate nell’articolo possiamo impostare quindi una scheda per la schiena in questo modo:

  • Giorno 1 stimolo più meccanico su dorso ed erettori, stimolo più metabolico sugli adduttori
Esercizio  Serie   Ripetizioni
Stacco da terra (opzionale) 3-6 3-6
Lat Machine/trazioni alla sbarra  4-6 6-8
Rematore bilanciere presa larga 2-3 10-12
Pulley presa larga o Facepull 2-3 10-15
  • Giorno 2 stimolo più metabolico su dorso ed erettori, stimolo più meccanico sugli adduttori
Esercizio  Serie   Ripetizioni
Lat Machine/trazioni alla sbarra  3-5 8-12
Rematore Manubrio 2-3 8-12
Pulley presa larga o Facepull 2-4 6-8
Stacco rumeno (opzionale) 2-3 12-15

Allenamento schiena

Esercizi efficaci per la schiena a casa senza pesi

Per allenare la schiena a corpo libero il primo passo che dovresti compiere è quello di trovare una semplice sbarra per trazioni, o un qualsiasi appiglio che possa sostituirla. Pull-up e chin-up lavorano dorsali, deltoidi posteriori, core e bicipiti allo stesso modo di una lat machine eseguita in palestra.

Puoi anche iniziare a lavorare sulla tua schiena eseguendo degli esercizi con gli elastici o con un TRX in modo da spendere poco e comunque fare veramente tanto, anche se non hai la forza iniziale per fare le trazioni. In questo caso anche i body row sono un ottimo esercizio per iniziare a mettere forza.

Se sei creativo e hai voglia, puoi anche costruire il tuo sistema di carrucole o ricavare dei manubri da valigie, zaini e casse d’acqua, ma se puoi comprati comunque almeno un manubrio caricabile per iniziare a fare il rematore.

Conclusioni sull’allenamento della schiena

L’inclinazione naturale per l’uomo è quello di dare priorità a ciò che vede quando guarda lo specchio, tuttavia quando si parla di allenamento della schiena non si tratta solo di migliorare l’estetica. Rafforzare la schiena ha tanti vantaggi, i più importanti sono quelli di aiutarti a vivere la vita di tutti i giorni in modo più semplice e a correggere la tua postura.

Apprendere come allenare la schiena è molto utile e permette di mettere su parecchia forza che ti consentirà di conseguenza di migliorare la tua massa muscolare.

Note sull’autore

Giuseppe De Biase

Studente scrupoloso e appassionato. Atleta di bodybuilding e powerlifting. Trainer qualificato presso Shredded By Science Academy (attuale Personal Trainer Collective).
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Grasso ostinato e set point metabolico

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Set point e come rimuovere il grasso ostinato

Il grasso ostinato è un tessuto adiposo che ci ha creduto molto, talmente tanto che cerca di rimanere fedele a se stesso e che non se ne vuole andare: di solito è sulle gambe e sui fianchi per le donne, sulla pancia per gli uomini. Ridurre il grasso ostinato è lo step che si trova più verso la fine di un percorso di dimagrimento.

A rendere più difficile il perdere grasso, oltre alla cioccolata che ti chiama dalla dispensa o al demoralizzarsi al primo stallo del peso, c’è anche qualcosa di natura genetica: il set point.

Se ti interessa scoprire in modo scientifico e allo stesso tempo semplice cos’è il set point metabolico e come è correlato alla perdita del grasso ostinato, sei nell’articolo giusto!

Che cos’è il grasso ostinato?

grasso resistente

Ogni giorno sei sempre uguale (o quasi), eppure centinaia di migliaia di cellule muoiono e altrettante rinascono, cellule del grasso (adipociti) incluse. Questo processo dinamico in cui cellule nuove sostituiscono quelle vecchie viene definito turnover cellulare e, nel caso degli adipociti, dura 8-10 anni.

Gli adipociti non sono tutti uguali e si differenziano per i recettori che presentano sulla membrana cellulare:

  • I recettori alpha: hanno globalmente un effetto anti-lipolitico e quindi tendono a trattenere il grasso,
  • I recettori beta: hanno, all’opposto, un effetto lipolitico.

Il grasso ostinato tende a subire lo stesso turnover del resto del tessuto adiposo, tuttavia, gli adipociti alpha in questione appena rilasciano i trigliceridi cercano immediatamente di richiamarli al loro interno in un ciclo quasi futile. Durante il dimagrimento tutte le cellule vengono svuotate, ma quelle del grasso ostinato (alpha) richiamano immediatamente i grassi espulsi nel flusso ematico.

Cos’è il set point?

adipocita e grasso ostinato

Geneticamente esiste un set point che stabilisce quante cellule adipose hai e l’alimentazione fino ai 10 anni di età lo può notevolmente influenzare, più che da adulto – motivo per cui, già da bambino (ma in realtà anche dalla vita fetale) predisponi alcune carte sul come ti ritrovi da adulto.

Si crea un equilibrio tra vita e morte cellulare, ma tenderai sempre ad avere lo stesso numero di adipociti, anche quando cambi il peso corporeo: ad esempio, quando dimagrisci e perdi massa grassa, il numero degli adipociti rimane sostanzialmente lo stesso. Quindi… Cosa cambia dato che in effetti grazie a dieta e allenamento hai davvero perso massa grassa? Cambia il contenuto! Il dimagramento prevede il cambiamento delle dimensioni della cellula grassa: dato che conterrà meno molecole di grassi, diventerà più piccola… Anche se c’è da fare qualche precisazione!

La cellula grassa è a forma di sfera: questa caratteristica determina un rapporto ottimale tra:

  • Distribuzione del grasso nello spazio corporeo,
  • Tensione tra parte intra- ed extra-cellulare.

Quando la cellula viene man mano svuotata dei suoi grassi, tende a riprendere la sua forma originale, per cercare di mantenere il rapporto sopra indicato. Lo spazio che prima era occupato dai grassi viene sostituito dall’acqua: motivo per cui, ad un certo punto, sembra che smetti di dimagrire. In realtà, stai dimagrendo (perdendo grasso) ma non lo noti perché la cellula mantiene la sua forma e il suo volume grazie all’acqua.

C’è così un forte controllo omeostatico dell’adipe, caratterizzato anche da influenze ormonali.

  • In definitiva, il set point stabilisce un punto di equilibrio genetico a cui la massa grassa tende in continuazione. Le calorie in eccesso o in difetto spostano questo set point molto (!) lentamente.

In realtà, un concetto più nuovo è il settling point, in pratica un set point aggiornato: è la quantità di grasso a cui tendi in relazione al tuo stile di vita, all’allenamento, all’alimentazione – insomma, le “solite cose” su cui puoi davvero giocare per modificare la tua composizione corporea, ma che spesso chi non riesce a raggiungere i risultati che vorrebbe trascura.

Set point e grasso ostinato: che relazione c’è?

Capito che cos’è il grasso ostinato e a cosa serve il set point metabolico, non resta che vedere come questi due concetti siano correlati. Sei in salute. anche normopeso ma con un po’ di grasso che vorresti eliminare dalla pancia, dai fianchi o dalle gambe, ma sei così da anni nonostante qualche periodo di dieta.

La verità è che se il tuo corpo è in equilibrio così, anche con un chilo di grasso in più rispetto al tuo ideale, farà di tutto per mantenere questa condizione ottimale, come anche nel caso della cellula grassa che pur di mantenere la sua forma ingloba acqua. Ogni tuo tentativo di discostarti da questo equilibrio, come l’iniziare una dieta, fa reagire il corpo: mangi di meno? Avrai più senso di fame e fisiologicamente inizierai a consumare di meno. 

Nonostante gli sforzi per dimagrire, il set point rimane stabile e, con lui, anche il grasso ostinato, che resta l’ultimo ad andarsene e il primo a ripresentarsi.

Per questo, per raggiungere e soprattutto mantenere i risultati è importante una fase di consolidamento del peso e della situazione metabolica, altrimenti è facile riacquistare i chili persi appena finisci di seguire la dieta ipocalorica. Pochi mesi di dieta, un nuovo peso e un “nuovo” set point non sono nulla rispetto a tutti gli anni precedenti, in cui hai ben che consolidato uno stile alimentare, un peso e un set point diversi da quelli stabiliti in qualche settimana. Perseverare con le nuove abitudini è l’unico modo per mantenere il risultato.

L’ultimo strato di grasso addominale: addome “basso” e fianco

Il grasso a livello dell’addome è tipico dell’uomo, per una questione genetica di distribuzione degli adipociti nelle varie zone del corpo. Infatti, i recettori delle cellule grasse prima citati ci sono ora utili per capire perché gli uomini tendono ad ingrassare di meno sulle gambe e di più sulla pancia.

Le cellule adipose con i recettori alpha, cioè quelle che tendono a trattenere i grassi, si trovano di più nella parte alta del corpo; quelle con i recettori beta, invece, sono più nella parte bassa del corpo. Un soggetto con queste caratteristiche quando inizia la dieta, quindi, perde prima il grasso sulle gambe e solo poi, perseverando con il regime ipocalorico, a livello addominale.

Probabilmente, non ti interessa dimagrire le gambe, quello che vuoi è solo perdere la pancetta. Ma per il tuo corpo non è così, a lui non interessa se vuoi perdere peso solo lì: per definizione, l’organismo è un sistema, e, in quanto tale, guarda alla complessità totale e non al singolo e inestetico chilo di troppo sulla pancia. Motivo per cui, quando perdi peso dimagrisci generalmente dappertutto e non in un solo punto – per questo, il dimagrimento localizzato, sebbene ricercato, non esiste.

Ultima nota: anche l’allenare solo gli addominali per dimagrire la pancia non ha di per sé nessuno scopo.

Grasso ostinato sulle gambe, l’interno coscia e i glutei

L’accumulo di grasso sulle cosce e sui glutei è caratteristico delle donne e definito ginoide. Per sfortuna, è anche quello che richiede più sforzi per essere eliminato per più motivi, oltre alla predisposizione genetica e ormonale. Nelle donne sono proprio le cosce il punto in cui ci sono più recettori alpha, al contrario della parte alta del corpo in cui tendenzialmente sono in maggior concentrazione quelli beta, quando negli uomini è il contrario.

Questa zona del corpo è poco irrorata: il minor flusso di sangue rende difficile il dimagrimento anche con una dieta ipocalorica. Inoltre, il momento in cui c’è un maggior apporto di sangue è dopo un pasto: condizione che favorisce il trasporto dei nutrienti e, quindi, la probabilità di stoccaggio dei grassi ingeriti proprio sulle gambe!

Oltre a questo, c’è una bassa sensibilità alla lipolisi, data la presenza dei recettori alpha, e una concomitante alta sensibilità insulinica.

Come eliminare il grasso ostinato

Come ridurre il grasso ostinato

Non troppo strano ma vero, anche per il grasso ostinato vale la stessa regola del perdere grasso in generale: l’unico modo è una dieta ipocalorica costante e con l’obbiettivo prefissato a lungo termine (settimane, mesi, anni).

Protocollo per il grasso ostinato

Per riuscire a perdere peso, è opportuno il giusto deficit: non troppo irrilevante, non troppo drastico. Perdere molto peso in poco tempo (eccessivo taglio calorico) non è salutare e, inoltre, in poco tempo ti farà riprendere il peso perso.

Per questo, perdere in media 0.5 kg/settimana è il parametro più consigliato per un dimagrimento più fisiologico. Un numero che non piace a chi pretende di perdere 5 kg in una settimana o 10 kg in un mese.

Alla parte dietetica è da coadiuvare quella allenante per avere un risultato migliore: il protocollo più adatto per perdere gli ultimi chili ostinati prevede la combinazione di esercizio fisico contro resistenze con alti carichi e esercizio fisico metabolico per favorire la capillarizzazione.

Grasso ostinato nel bodybuilding

Per liberarti degli ultimi chili e avvicinarti alla condizione estetica desiderata, è consigliato un approccio abbastanza severo, che puoi seguire per qualche settimana e sotto la supervisione di un nutrizionista.

Questo protocollo si basa su uno schema di tre giorni (da ripetere nel corso della settimana/e): 2 giorni e mezzo fondamentalmente di dieta chetogenica più una mezza giornata di ricarica glucidica. A deficit energetico impostato, le calorie giornaliere derivano da: massimo 30 g di carboidrati, 35-50 g di grassi e il resto dalle proteine – in maggior quantità per preservare la massa magra. La ricarica prevede un innalzamento consistente dell’apporto di carboidrati e un leggero aumento anche dell’introito lipidico.

Chiaramente, oltre alle quantità, un occhio deve restare anche sulla qualità e sulla scelta degli alimenti.

Conclusioni sul grasso ostinato e il set point

Strategie per il set point metabolico e grasso ostinato

Le abitudini, lo stile di vita, l’allenamento e l’alimentazione sono in grado di modificare nel lungo periodo gli equilibri del corpo.

Puoi cambiare il rapporto tra i macronutrienti, la composizione della colazione e della cena, il tipo di allenamento, ma per rimuovere l’ultimo strato di grasso ostinato ci vuole molta pazienza e tempo, perché, in definitiva, stai combattendo contro la genetica alla ricerca di un modello che forse ha ben poco di naturale.

 

 

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Guida di base alla nutrizione

Guida di base alla nutrizione

Come mangiare correttamente per dimagrire

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Come diventare personal trainer

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Personal Trainer

Quello del personal trainer ad oggi è un mestiere che sempre più sta suscitando l’interesse di molti, in una società sempre più sedentaria, pigra, fuori forma e povera di movimento. La ricerca della forma fisica perfetta e della salute a lungo termine attira oggi moltissime persone a iscriversi in palestra o a impegnarsi nell’iniziare un programma duraturo di attività fisica che possa permettergli di raggiungere i propri obiettivi estetici.

Il personal trainer si propone come professionista capace di accogliere, valutare e guidare la persona nel suo percorso di attività fisica dentro o fuori una palestra.

Per fare ciò oggi nel lavoro di istruttore di sala e personal trainer è richiesta una formazione scientifica completa e trasversale che possa permettere di gestire al meglio ogni situazione portando le persone a migliorare la propria estetica, rispettando la propria individualità ed evitando di farsi male. Il personal trainer è così chiamato a costruire schede di allenamento personalizzate (da qui il termine personal training) che siano adatte alla persona, ai suoi obiettivi, alle sue esigenze e al suo stato attuale di forma e di salute articolare.

Le conoscenze richieste per svolgere questa professione abbracciano quindi numerosi campi: dalla programmazione dell’allenamento, passando per la composizione corporea, fino ad arrivare alla corretta esecuzione degli esercizi. Come si diventa personal trainer, cosa significa fare il personal trainer? Quale il percorso migliore per acquisire queste conoscenze? Scopriamolo passo passo.

Personal Trainer

Come diventare personal trainer qualificato senza laurea

Innanzitutto è bene fare qualche importante precisazione. A livello legale, per quello che riguarda la regolamentazione della figura professionale del personal trainer, la situazione è confusa e in continua evoluzione e ad oggi, sulla carta, chiunque può diventare personal trainer anche senza una laurea. Tuttavia, vista la vastità di conoscenze necessarie a svolgere un lavoro efficace e rispettoso della salute delle persone, un percorso di laurea in scienze motorie è più che mai consigliato per acquisire quel bagaglio di conoscenze scientifiche necessario a svolgere l’attività con consapevolezza.

Detto ciò, ad oggi il percorso di laurea non prepara in maniera specifica per diventare personal trainer e per questo, associate o meno all’università, possono essere svolti dei corsi per personal trainer riconosciuti che si impegnano a fornire un percorso di studi valido per la professione. La bontà del corso è strettamente dipendente dal numero di ore, dal corpo docenti e dalle materie affrontate.

Come diventare personal trainer professionista

Diventare un personal trainer professionista significa quindi non lasciare nulla al caso e saper impostare un programma di allenamento efficace e sicuro basato su:

  • un colloquio iniziale in cui vengono raccolte una serie di informazioni utili alla stesura della scheda di allenamento. Tra queste le domande più importanti riguardano soprattutto l’obiettivo della persona (miglioramento estetico, dimagrimento, aumento della forza, benessere, miglioramento della postura, ecc.), la sua disponibilità settimanale in giorni e ore da dedicare all’allenamento per rendere l’attività sostenibile e ben integrata con la vita di tutti i giorni, l’eventuale esperienza di allenamento passata per stabilire il livello iniziale di partenza, e la possibile presenza di problematiche al sistema muscolo-scheletrico e cardio-resipiratorio meritevoli di attenzione, adattamenti o collaborazioni con figure professionali del campo sanitario.Per questo un buon professionista non può prescindere dalla conoscenza delle giuste domande da porre per iniziare la personalizzazione già dalle prime fasi e per instaurare subito un rapporto basato sulla disponibilità e la fiducia reciproca;

  • una valutazione funzionale in cui viene analizzata la postura del cliente e vengono testati forza e flessibilità dei principali gruppi muscolari da allenare.
    In particolare saranno fondamentali alcuni test per valutare la mobilità delle principali articolazione come caviglia, anca, colonna, spalla e polso, per limitare le forzature in allenamento, individuare gli esercizi ideali e migliorare anche eventuali alterazioni.In questo senso la valutazione funzionale si presuppone come attività imprescindibile per la prevenzione e la riduzione dei rischi articolari in allenamento.
    E si sa evitare gli infortuni è una condizione necessaria a dare continuità agli allenamenti e indirettamente a raggiungere i risultati;

 

  • una valutazione iniziale della composizione corporea e una verifica dei risultati nei mesi successivi. Il concetto di valutazione e rivalutazione del risultato durante il percorso di personal training è un altro tassello chiave.
    Un buon professionista ha sempre il dovere di utilizzare gli strumenti giusti, come per esempio la plicometria, per valutare lo stato di composizione corporea iniziale e per rivalutarla in maniera affidabile nel tempo.Il raggiungimento dei risultati passa anche dalla rivalutazione degli stessi, per comprendere se il dimagrimento o l’aumento della massa muscolare sono effettivamente avvenuti secondo le aspettative, oppure c’è qualcosa da sistemare nel programma.
    Un personal trainer che non misura è un personal trainer che lavora al buio e non possiede una bussola per condurre il proprio cliente alla meta;

 

  • un’educazione alla sana alimentazione e a un corretto stile di vita. Sebbene, lo ricordo, il personal trainer non ha la possibilità per legge di redigere diete o piani nutrizionali (a meno che non sia in possesso di una laurea che lo permetta), è pur vero che questo ha comunque il dovere di educare il proprio allievo al miglioramento del proprio stile di vita e della propria cultura nutrizionale fornendo consigli utili a migliorare la propria alimentazione, sfatando alcuni miti popolari e indicando alla persona la via migliore per supportare i risultati dell’allenamento e la propria salute a lungo termine.
    Inoltre, in soggetti sani, il personal trainer  può suggerire al proprio cliente di adottare un’alimentazione basata sulle linee guida nazionali ed internazionali. Un buon professionista non si ferma a dare indicazioni solo durante l’ora di allenamento anzi, ha il dovere di influenzare in positivo la vita della persona anche al di fuori della palestra indirizzandola verso scelte alimentari più sane e consapevoli;

  • un’ottima conoscenza della didattica e della biomeccanica degli esercizi, per favorire un’ottimale lavoro muscolare e allo stesso tempo tutelare la salute delle articolazioni. Gli esercizi costituiscono la materia prima che va a costruire una scheda di allenamento personalizzata.
    Per scegliere gli esercizi giusti, ottimizzare il lavoro muscolare e diminuire i rischi alle articolazioni è fondamentale una conoscenza approfondita dell’anatomia dell’apparato muscolo-scheletrico e della biomeccanica delle singole articolazioni, nonché la capacità di insegnare gli esercizi tramite una didattica efficace e diretta.
    A tale scopo un buon personal trainer è quello che ha provato su di sé le difficoltà dei singoli movimenti e del loro apprendimento, ed è così i grado di trasmettere al suo allievo le indicazioni anche sulla base della propria esperienza in allenamento;

 

  • ottime capacità comunicative. Qualità umane come l’empatia, la disponibilità e la gentilezza premieranno sempre all’interno di un contesto di lavoro dove è fondamentale la conoscenza teorica e pratica ma anche la capacità di vendere al meglio questa conoscenza, facendola percepire come realmente di alto livello.
    Un personal trainer preparato tecnicamente ma poco aperto alla comunicazione avrà sicuramente meno successo di un personal trainer altrettanto preparato ma allo stesso tempo capace di far percepire questa preparazione durante tutto il percorso fino al raggiungimento del risultato.

Corso online per Personal Trainer (riconosciuti da ASI / CONI)

Come scuola di formazione Project inVictus forma ogni anno centinaia di personal trainer sul territorio e si è impegnata in tal senso a proporre un percorso didattico scientifico capace di formare professionisti di alto livello caratterizzati da questo mix di conoscenze teorico-pratico. Per fare ciò si è affidata a un corpo docenti comprendente professori universitari, medici, fisioterapisti, laureati in scienze motorie, nutrizionisti e psicologi, una squadra capace di garantire la connessione tra tutte le conoscenze multidisciplinari necessarie a svolgere un ottimo lavoro sul campo.

Project Invictus propone un percorso formativo aperto a tutti, riconosciuto e abilitante alla professione composto da oltre 50 ore di video-lezioni online fruibili ovunque e di altrettante ore di formazione pratica con lezioni dal vivo a contatto con i docenti in due sedi in Italia, a Milano e a Roma. Inoltre la nostra scuola permette un’interazione costante durante l’anno di studio grazie a una lezione in diretta settimanale, e grazie al costante supporto del corpo docenti.

La filosofia della scuola si riassume nel motto “fare, saper fare e saper far fare“, tanto studio sì, ma anche tanta pratica sul campo. Per questo ogni studente per accedere all’esame finale dovrà superare alcune prove pratiche dimostrando di fare e saper fare (trazioni, squat, panca piana, stacco, dip), e dovrà produrre una tesina scritta di approfondimento nella quale applica quanto studiato su sé stesso o su un suo allievo e dimostra di saper far fare portando la persona al risultato finale.

Una volta superati gli esami pratici e la tesina, l’accesso e il superamento di un esame scritto finale certificherà il percorso e il corso di formazione rilascerà così un diploma ed un tesserino valido legalmente riconosciuto dall’ASI, di cui appunto Project Invictus è ufficialmente una scuola formatrice (per chi non lo sapesse l’ASI è dal 1994 un ente di promozione sportiva del CONI aderente al sistema SNAQ, sistema nazionale di qualifiche dei tecnici sportivi).

Il corso prepara quindi personal trainer che possono lavorare in palestra o in uno studio di personal training con lo specifico brevetto di terzo livello.

Come diventare personal trainer di successo

Diventare un personal trainer di successo necessita al giorno d’oggi capacità tecniche e umane trasversali. Da un lato i risultati raggiunti da sé stessi e dai propri clienti potranno creare un passaparola positivo capace di aumentare il bacino di clientela. In questo senso la capacità di promozione e valorizzazione dei propri risultati estetici anche grazie a un sito web o ai social network aiuterà molto ricordando sempre che noi siamo la prima pubblicità di noi stessi e che ogni cliente soddisfatto è un catalizzatore di persone desiderose anch’esse di migliorare la propria forma fisica.

Da un altro lato però anche il personal trainer più preparato non potrà avere il successo che merita senza qualità umane come il carisma e delle spiccate capacità comunicative e di vendita. L’empatia, la capacità di ascolto e di adattarsi faranno sempre la differenza per diventare un personal trainer di successo.

Libri per diventare Personal Trainer

Project inVictus è da anni il punto di riferimento dell’editoria del Fitness in Italia. Tra i suoi libri ci sono nozioni di biomeccanica, programmazione dell’allenamento, fisiologia, nutrizione, adatti a chi si vuole avvicinare alla professione di trainer e Personal Trainer.

Ti invitiamo a visitare i nostri prodotti, leggere le recensioni, per comprendere se le nozioni che riportiamo ti possono essere utili, in modo da orientarti sui contenuti del nostro corso online.

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Grasso localizzato: cos’è, cause e come eliminarlo

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grasso localizzato

È un dato di fatto che l’ingrassamento localizzato esiste: uomini che tendono ad avere la pancia, donne con grasso indesiderato più frequentemente su cosce e glutei. C’è chi cerca di porvi rimedio con infinite serie di addominali in palestra o con esercizi mirati alle gambe, ma senza tangibili risultati. Perché? Semplicemente, l’ingrassamento localizzato esiste, il dimagrimento localizzato… No!

Per risolvere questo problema, più o meno pronunciato, a volte di salute a volte inestetico (soprattutto per chi fa bodybuilding), l’unica vera cosa da fare è eliminare il problema alla radice. Come?

Che cos’è il grasso localizzato?

Tutti hanno un punto del corpo in cui vedono che hanno più grasso rispetto alle altre parti e che, proprio lì, è più difficile riuscire ad eliminarlo.

La fisiologia ci dà una risposta: le cellule adipose non sono tutte uguali. Queste rispondono in modo differente allo stimolo delle catecolamine (adrenalina e noradrenalina), a seconda del tipo e del quantitativo di recettori adrenergici, liberando così nel flusso ematico una parte più o meno consistente del loro contenuto di acidi grassi.

Questo fa sì che alcuni adipociti, quelli con più recettori sensibili alla lipolisi (recettori beta), vengano svuotati prima rispetto a quelli resistenti (recettori alpha).

Dove ci sono più adipociti alpha (cioè con la maggior parte dei recettori di tipo alpha), lì ci sarà un maggior accumulo di grasso.

Dove si accumula il grasso negli uomini?

Negli uomini (in molti, non in tutti) più di frequente il grasso viene accumulato nella parte superiore del corpo, specialmente a livello addominale, proprio perché lì gli adipociti sono poco sensibili alla lipolisi e con difficoltà rilasciano gli acidi grassi che contengono.

Il grasso addominale è dal punto di vista salutare il più pericoloso, tanto che lo sforare dalle circonferenze normali è uno dei fattori di rischio cardiovascolare oltre che di disordini metabolici. Valori inferiori a 102 cm sono quelli desiderabili per l’uomo per la salute.

Questa localizzazione del grasso è evidente anche chi è in buona salute, ha una buona muscolatura e poca massa magra: gli addominali bassi sono più difficili da riuscire a vedere “allo scoperto” rispetto a quelli alti.

Dove si accumula il grasso nelle donne?

Al contrario degli uomini, le donne tendono ad accumulare il grasso nella parte inferiore del corpo che, sebbene possa essere inestetico quando in eccesso, non è così rischioso per la salute come quello addominale.

Culotte de cheval (accumulo tra coscia e gluteo), grasso localizzato su cosce, glutei e fianchi sono il risultato degli adipociti con molti recettori alpha. Quelli beta si trovano con più frequenza nella parte alta del corpo, anche se può essere il contrario (la “conformazione a mela”).

Grasso localizzato o cellulite? Qual è la differenza?

Grasso localizzato nelle donne e cellulite

In poche parole, la cellulite senza grasso non esiste, il grasso senza cellulite sì.

In tante parole, invece… La cellulite, anche se è dura da ammettere, è anche fisiologica e anche se tutte sanno cos’è, forse in realtà non è davvero così: non si parla di cellulite per ogni inestetismo che si presenta sulle cosce. Infatti, potrebbe anche trattarsi solo di ritenzione idrica o di grasso localizzato, entrambi fattori predisponenti alla vera e propria cellulite.

In pratica, si parla di cellulite quando l’inestetismo “a buccia d’arancia” è ben evidente ad occhio nudo: ci sono delle alterazioni a livello della struttura del tessuto connettivo. Le alterazioni prima della cellulite (come la ritenzione) si possono vedere pinzando la pelle del soggetto. In questo caso, il problema non è a carico del tessuto connettivo, ma da problemi lievi e reversibili a livello microcircolatorio: sostanzialmente, c’è “troppa” acqua nello spazio extra-cellulare (appunto, quella che viene chiamata ritenzione idrica).

Che ruolo ha il grasso localizzato in tutto questo? Gli adipociti sia portano quella zona ad essere meno irrorata dal sangue e quindi ad avere più difficoltà a dimagrire, sia più sono voluminosi più contribuiscono alle alterazioni connettivali.

In questo modo, il grasso localizzato, così come una cattiva circolazione, favorisce la comparsa della cellulite.

Se ti interessa approfondire l’argomento trovi nel sito altri articoli su come si forma la cellulite, cause e rimedi e altro ancora.

Cause del grasso localizzato e ormoni

grasso localizzato recettori adrenergici

 

L’accumulo di grasso in determinati punti è una questione genetica: basti pensare come, tendenzialmente, il grasso a livello della parte inferiore del corpo sia più caratteristico delle donne e quello della parte superiore degli uomini. Questa differenza è dovuta alla differenza della tipologia e della quantità degli ormoni: ogni ormone è diverso dagli altri e a struttura diversa corrisponde una funzione diversa.

Per fare un esempio di come gli ormoni sessuali siano in parte responsabili della diversa localizzazione del grasso corporeo, consideriamo la donna che entra in menopausa. In questa fase della vita (in media in Italia intorno ai 50-51 anni) avviene un graduale cambiamento: gli estrogeni (ormoni tipici femminili) calano. Tra le varie conseguenze di un nuovo equilibrio ormonale c’è anche il cambiamento della distribuzione del grasso corporeo: la donna inizia ad accumulare peso anche nella parte superiore del corpo a livello addominale.

Oltre agli ormoni sessuali, entrano in gioco anche le cellule adipose bianche: alcune sono più tendenti a svuotarsi (adipociti beta) e a perdere i grassi che contengono, altre sono più restii e si tengono i loro grassi ben stretti (adipociti alpha). Proprio la presenza di questi ultimi in determinati punti del corpo fa sì che lì ci sia più grasso rispetto ai punti in cui sono molto meno numerosi. A seconda delle sue caratteristiche intrinseche, l’adipocita risponde in modo diverso agli ormoni da cui riceve lo stimolo.

Più adipociti alpha sulla pancia? Ingrassi di più sulla pancia. Più adipociti alpha sulle cosce? Tenderai ad accumulare facilmente peso in quel punto.

Come eliminare il grasso localizzato sull’addome e sui fianchi? Rimedi

Nell’introduzione hai letto che per non avere il grasso localizzato bisogna risolvere il problema alla radice. Finalmente in questo capitolo trovi la risposta!

Per evitare che ci sia un accumulo localizzato di grasso basta… Non accumulare grasso! Se il tuo corpo tende a prendere peso sull’addome, sui fianchi, sulle cosce, è chiaro che proprio lì andranno a depositarsi le calorie di troppo che mangi. Una dieta normocalorica per chi vuole mantenere il peso e una ipocalorica per chi vuole perdere peso sono il modo per evitare che quei pannicoli adiposi indesiderati siano sempre più evidenti.

Il dimagrimento localizzato, come già preannunciato, non esiste, ma il perdere peso complessivamente grazie al deficit calorico fa anche sì che venga perso anche nei tuoi punti più critici.

Tutte le “terapie” o i prodotti che si auto-propongono come il rimedio definitivo per il grasso localizzato in realtà non lo sono: come può una crema, un determinato cibo, un massaggio far uscire i grassi dai tuoi adipociti? I massaggi, ad esempio, possono avere la loro utilità perché favoriscono il flusso sanguigno in quella zona: praticati in modo secondario ad una dieta ipocalorica e comunque con costanza danno i loro risultati. Se dopo un massaggio drenante ti vedi più magra sulla zona massaggiata (addome, cosce) non sei dimagrita, non hai grasso ma c’è stato un riassorbimento di acqua!

Come non accumulare il grasso sull’addome?

Per non avere grasso sulla pancia è fondamentale fare 4 ore di fila di plank la mattina, prima di colazione. Lo faresti? Molto probabilmente no. Ma la bella notizia è che infatti non serve proprio a nulla al fine di non accumulare grasso sull’addome! Tutti gli esercizi per gli addominali, di qualsiasi tipologia, durata, alla fine o all’inizio dell’allenamento, da 2 a 20 volte a settimana, non portano a mettere in vista gli addominali: se il grasso c’è, lì resta. Una verità brutale che in poche parole frantuma i sogni di molti.

Per semplificare, per non ingrassare sulla pancia, così come nelle altre parti del corpo, “basta” non perseguire un regime alimentare costantemente ipercalorico e poco salutare. Se c’è grasso sull’addome per toglierlo bisogna iniziare a dimagrire, che, in altre parole, vuol dire instaurare un deficit calorico – con criterio, un taglio troppo drastico non fa bene.

Più il grasso lì localizzato è ostinato più sarà necessaria pazienza: non intravedere subito i risultati è normale, la fisiologia ha i suoi tempi e, proprio per questo, perseverare con il giusto piano alimentare sarà la condizione necessaria per arrivarci.

Grasso localizzato e bodybuilding

In ambito del bodybuilding natural si nota un marcato dimagrimento localizzato nelle gambe quando vengono allenate in modo:

  • frequente e suddividendo in split le cosce tra muscoli flessori ed estensori,
  • con TUT elevati, a volta anche sopra i 10’,
  • alternando stimoli meccanici e metabolici.

I risultati potrebbero essere dati da una maggior vascolarizzazione dei muscoli allenati, dato che più flusso di sangue arriva agli adipociti e più viene facilitata la lipolisi, oppure, semplicemente dal fatto che una maggior crescita muscolare porta, a parità di grasso, ad una sua riduzione in percentuale: se hai 10 kg di massa grassa (FM) su 70 kg di massa magra (FFM) possiedi il 12,5% di FM, ma se aumenti la FFM a 75 kg la percentuale scende all’11,5%.

In ogni caso, il dimagrimento localizzato per eliminare il grasso ostinato rimane molto difficile da ottenere. Le strategie alimentari che sostengono che grazie alla modifica delle percentuali di macronutrienti nella dieta ed al rispettivo timing d’assunzione si vada ad interagire sull’assetto ormonale e sul suo specifico biotipo, portando così ad un dimagrimento localizzato, trovano più consenso nel marketing che nella fisiologia.

Nello stesso modo, se l’allenamento lipolitico stimola le catecolamine ed il rilascio di acidi grassi, gli adipociti con un rapporto sfavorevole di recettori adrenergici alpha2/beta2 si trovano più resistenti all’azione lipolitica degli ormoni. Inoltre, più acido lattico viene prodotto con l’allenamento, più c’è una stimolazione adrenergica, ma contemporaneamente l’abbassamento del pH, dato da un aumento degli ioni H+, porta un blocco momentaneo della lipolisi, facendo sì che l’azione di adrenalina e noradrenalina venga inibita proprio nel momento in cui sarebbe più efficace per attaccare il grasso ostinato.

Per questo, nel tempo, si sono ideati dei protocolli d’allenamento (come lo Stubborn Fat Protocol) che cercano di coniugare una giusta stimolazione degli ormoni adrenergici, un corretto pH cellulare ed una richiesta organica rivolta alla lipolisi.

Conclusioni sul grasso localizzato

Grasso localizzato come eliminarlo in palestra

Chi dice che ha grasso localizzato “per sfortuna” un po’ ha ragione: in quel punto gli adipociti con più facilità si riempiono e con più difficoltà vengono svuotati. Se invece la “sfortuna” è anche il mangiare troppo, l’avere una vita sedentaria, il poco muscolo o simili c’è ben poca sfortuna ma, allo stesso tempo, molto margine di potenziale miglioramento!

Grazie al cambiamento dello stile di vita, ad una dieta ipocalorica protratta nel tempo e non breve e drastica riuscirai a perdere peso e, con pazienza, anche il grasso ostinato.

 

Riferimenti

  1. di Palumbo A et al. Effect of combined resistance and endurance exercise training on regional fat loss. J Sports Med Phys Fitness 2017;57:794-801.
  2. Stallknecht B et al. Are blood flow and lipolysis in subcutaneous adipose tissue influenced by contractions in adjacent muscles in humans? Am J Physiol Endocrinol Metab. 2007 Feb;292(2):E394-9.
  3. Trapp EG et al. The effects of high-intensity intermittent exercise training on fat loss and fasting insulin levels of young women. Int J Obes (Lond) 2008;32:684-91.
  4. McDonald L. The Stubborn Fat Solution. Lyle McDonald, 2008.

Note sul co-autore: Lorenzo Pansini

Personal trainer, bodybuilder natural, divulgatore scientifico e co-direttore della rivista Project Journal (di prossima pubblicazione). Appassionato di Nutrizione e di tutto ciò che ruota attorno all’allenamento per il bodybuilding e fitness, basa il suo lavoro su analisi critiche, oggettive, fondate su un’accurata indagine bibliografica e l’analisi del contesto tramite l’esperienza, cercando di rendere i contenuti ricchi di informazioni e nozioni scientifiche ma allo stesso tempo che abbiano un’estrapolazione pratica.

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