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Monofrequenza o multifrequenza?

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E’ meglio allenarsi in palestra in monofrequenza o multifrequenza? Rispondiamo subito che una risposta univoca a questa domanda non esiste. E’ meglio farsi il culo, perché così facendo qualcosa di buono si porta sempre a casa. In questo articolo partiremo prima dalla teoria, per poi arrivare a delle conclusioni e consigli pratici. Monofrequenza o multifrequenza? DIPENDE, cerchiamo di capire il perché.

La supercompensazione non esiste

Quante volte avete sentito, in palestra, che il muscolo cresce a riposo? Che il recupero è più importante dell’allenamento? Chiunque ha provato ad allenarsi tutti i giorni, come un matto, si è accorto velocemente che ad un certo punto ha fatto il botto.

La fisiologia negli anni per descrivere l’adattamento degli organismi biologici agli stress, aveva creato il modello della supercompensazione. Nel nostro caso: ci alleniamo, creiamo uno stress, il nostro stato di forma peggiora, recuperando torniamo ad un livello leggermente superiore.

allenamento supercompensazione

Se mi alleno troppo spesso, non riesco mai a compensare e migliorare, praticamente continuo ad esaurirmi. Ma se mi alleno anche troppo di rado ritorno sempre ai livelli iniziali e non miglioro mai.

Questo modello, che in palestra viene dato come verità assoluta, in realtà è stato dimostrato solo per quanto riguarda il depauperamento e supercompensazione del glicogeno muscolare, da qui anche il motivo della nascita delle diete carb cycling.

Ma la supercompensazione in generale non esiste, semplicemente perché i vari sistemi del nostro organismo supercompensano con tempi completamente differenti.

  1. I fosfati in qualche minuto
  2. Il glicogeno in 20 ore
  3. La fibra muscolare in diversi giorni
  4. Il sistema nervoso richiede ancora più tempo
  5. Ecc.

Insomma mentre un sistema deve finire di compensare un altro si è già deallento.
La sintesi proteica, per esempio, che è uno dei parametri che più viene guardato nel bodybuilding e decresce dopo 48-72h da quando ci siamo allenati. Se guardiamo solo a questo parametro il muscolo andrebbe allenato ogni 3-4 giorni. Chi fa uso di steroidi può permettersi frequenze più basse perché la sintesi proteica viene mantenuta attiva dai farmaci.

allenamento e sintesi proteica

La monofrequenza non esiste

Chi pensa d’allenare un muscolo una volta a settimana in monofrequenza, in realtà non sa che sta facendo un allenamento pesante, più diversi richiami. Con le braccia questo discorso è evidente, il bicipite lavora anche nelle trazioni ed il tricipite nella panca piana. In realtà il bicipite lavora anche nella panca (stabilizzando la testa dell’omero) ed il tricipite lavora anche nelle trazioni estendendo l’omero. Per approfondire l’argomento leggi i muscoli biarticolari.

Ma anche i grandi ventri muscolari lavorano più volte a settimana, per esempio il grande pettorale interviene anche quando alleniamo le spalle: nelle spinte con manubri sopra la testa (fasci claveari), o quando alleniamo il dorso con la lat machine (fasci sterno-costali). Idem il gran dorsale che interviene nei dip, ecc.

Insomma il bodybuilding classico in monofrequenza è fatto dall’allenare il muscolo target una volta a settimana, più tanti richiami.

Monofrequenza o multifrequenza non è questo il problema

Arriviamo ora alla parte più pratica dell’articolo. Abbiamo quotidianamente esempi di atleti natural che hanno successo sia allenandosi in monofrequenza che multifrequenza. Questo avviene perché semplicemente i fattori che contano sono: volume (tonnellaggio) ed intensità. Che siano ripartiti in più o meno giorni è quasi indifferente e rispecchia principalmente come si trova meglio la persona.

La multifrequenza ha preso il sopravvento negli ultimi anni, semplicemente perché è più facile mantenere una buona intensità su tutti gli esercizi, se questi piuttosto che venire condensati in un’unica seduta, sono ripartiti su 2-3 giorni a settimana. Altrimenti vi ritroverete nell’ultimo esercizio ad essere cotti, senza poter dare il “massimo”.

Purtroppo, tuttavia, gli utenti seguono le mode e spesso la multifrequenza può essere un errore, cerchiamo di capire perché.

Dalla multifrequenza, alla monofrequenza, al ritorno in multifrequenza

monofrequenza o multifrequenza

Quello che vi mostreremo ora è una soluzione che cerca d’essere ottimale, tra quello che abbiamo studiato nella teoria e quello che poi serve nella pratica. Monofrequenza o multifrequenza dipende essenzialmente da due cose, strettamente correlate tra loro:

  • anzianità dall’allenamento
  • capacità d’attivazione

Ricordiamoci sempre che la fatica mentale sopraggiunge prima di quella fisica e molte persone che pensano di dare 10 in realtà si fermano a 6 (è questo il principale problema di chi non ottiene risultati).

Il neofita dovrebbe allenarsi in multifrequenza

Nei primi 6-12 mesi di palestra, la persona deve approcciarsi agli esercizi, imparare a farli, prendere familiarità. Se chiedete ad un principiante di fare 10 ripetizioni di panca al cedimento, lo vedrete soffrire sotto al bilanciere, arrivare esausto, ma dopo 30-60″ vi dirà che è già pronto per una nuova serie. Questo avviene perché il neofita non ha la capacità di attivarsi, recluta poche fibre muscolari ed è lontano dal suo potenziale.

In questi soggetti conviene allenarsi in multifrequenza per imparare prima la corretta esecuzione degli esercizi e perché, non raggiungendo un’intensità adeguata, la frequenza compensa.

frequenza ottimale allenamento

L’intermedio dovrebbe allenarsi in monofrequenza

Questa fase è la più delicata, perché qui i risultati non sono più rapidi come il primo anno di palestra ed il peso fa fatica ad aumentare sul bilanciere. La persona di solito compie l’errore, a questo punto, di considerarsi un esperto. D’altronde dopo un anno di palestra tutti sono già esperti ed hanno aperto il loro canale YouTube (cit Cristiano Sagoni).

In realtà abbiamo ancora diverso margine di miglioramento ma in questa fase dobbiamo capire cosa voglia dire farsi il culo e raggiungere certe intensità di lavoro. La resistenza alla fatica ed al dolore sono le prime caratteristiche che un intermedio deve migliorare. Se suddivide il lavoro in più giorni rischia di non conoscerle mai realmente. Il web è pieno di intermedi che lavorano in multifrequenza, sono maniacali sulla tecnica, ma poi non hanno nessun fuoco dentro, non conoscono cosa realmente sia la fatica. Per questi soggetti che ancora hanno del margine sul loro potenziale, conviene condensare il lavoro piuttosto che spalmarlo sulla settimana.

Non riuscendo ancora a raggiungere le intensità di lavoro degli avanzati, per rendere la seduta altamente allenante, è meglio condensare il lavoro, sfruttando così il volume e la densità in un’unica seduta, per stimolare l’organismo. E’ preferibile imparare cosa sia realmente la fatica e l’intensità dall’allenamento (percepita come sforzo), piuttosto che essere i Re della tecnica corretta (con 70kg).

L’avanzato conviene allenarsi in multifrequenza

Quando siamo realmente degli avanzati e non crediamo solo di esserlo, abbiamo raggiunto quella capacità d’attivazione e quella capacità di resistenza alla fatica ed al dolore, che ci permette di raggiungere buoni risultati in ogni caso, sia che ci alleniamo in monofrequenza o multifrequenza. Quest’ultima potrebbe essere migliore semplicemente perché permette di poter svolgere un maggior volume (uno dei parametri più importanti nei natural), spalmandolo su più giorni a settimana.

frequenza allenamento

Alternare la monofrequenza e multifrequenza

In quanti passando dopo anni di monofrequenza alla multifrequenza hanno notato ottimi risultati? Ed in quanti invece riducendo drasticamente il volume e ritornando alla monofrequenza si sono sentiti rifiorire?

Questo avviene perché il corpo si abitua agli stimoli, va incontro ad assuefazione.
La multifrequenza nei natural si è rivelata fisiologicamente migliore ed oggi la maggior parte degli atleti (ribadiamo natural, nei non natural la sintesi proteica è tenuta attiva dai farmaci), ha preso questa strada.

Tuttavia dedicare alcuni mesi  dell’anno (un 25%) alla monofrequenza, può essere un ottimo stimolo per obbligare il corpo a non adagiarsi, a riabituarsi a tipi differenti di lavoro.

Alla fine non esiste un meglio o peggio, quando scriviamo DIPENDE è perché pensiamo che la persona intelligente possa prendere il meglio da ogni cosa, senza sposare una filosofia, una verità.
DIPENDE perché nell’alimentazione e nell’allenamento tutto realmente dipende, chi non lo accetta si accorgerà che anche la vita è così.

Se hai deciso di vivere tutto in bianco o nero, non ti lamentare di chi prova a farti scorgere i colori.

Ti lasciamo con due link:

scopri project strength

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Metodo PNF: stretching propriocettivo

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Questo è il primo di una serie di articoli riguardanti lo stretching e la mobilità articolare. Oggi vedremo una breve panoramica generale sugli allungamenti ma ci soffermeremo in particolar modo sullo stretching PNF. Che cos’è? Scopriamolo.

Esistono tantissimi tipi di allungamento, ma due si distinguono in particolar modo:

Stretching passivo:

stretching passivo

In questo tipo di stretching, i muscoli sono in allungamento per via di particolari pose che permettono alla gravità di agire sul muscolo. Noi saremo rilassati e il muscolo entrerà in allungamento. Un esempio lampante è la spaccata frontale, dove, spinti dalla forza di gravità, scenderemo sempre più in basso. Oppure la forza esterna può essere quella della nostre braccia che tirano le gambe che si allungano. L’importante è che non siano gli antagonisti contraendosi a stirare i muscoli target.

Stretching attivo:

stretching attivo

Il muscolo entra in allungamento mediante la contrazione di un altro muscolo antagonista. Pensiamo di tirare un calcio con la gamba tesa verso l’alto. In questo caso il muscolo quadricipite femorale (oltre ad altri, ovviamente) si sarà contratto, permettendo l’elevazione della gamba (flessione dell’arto sul busto), ed il muscolo bicipite femorale sarà entrato in allungamento.

Stretching PNF

Il titolo dell’articolo doveva essere: Stretching PNF il segreto della gomma, ed era ovviamente irriverente, non esistono segreti ma soli metodi che portano determinati risultati.
Quello che vedremo è un sistema oramai molto popolare di stretching noto come PNF (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation – Facilitazione Neuromuscolare Propriocettiva). Come funziona questo metodo e soprattutto PERCHÈ funziona?

…Una obbligatoria premessa.

Stretching propriocettivo

stretching propriocettivo

Per capire perchè il PNF funziona è necessario capire che tutto dipende dal nostro SNC (Sistema Nervoso Centrale) e dal nostro cervello. All’interno dei nostri muscoli esistono diversi PROPRIOCETTORI (Fusi neuromuscolari, organi del Golgi, cellule di Renshaw) che monitorano l’attività all’interno del muscolo e generano delle inibizioni a determinati impulsi nervosi (fanno rilassare il muscolo) o delle facilitazioni per le contrazioni.

Proviamo a pensare a quando vogliamo alzare un peso troppo impegnativo per noi. Cosa succede? Il nostro muscolo si blocca e lasciamo cadere quel peso. Perchè è avvenuto ciò? Perchè il nostro cervello ha ”captato” un carico eccessivamente alto da sollevare, esso avrebbe potuto danneggiare il muscolo o le articolazioni, quindi ha inibito la contrazione muscolare lasciando cadere il peso.

Al contrario pensiamo a quando allunghiamo eccessivamente un muscolo, come per prendere velocemente, mentre guidiamo, qualcosa sui sedili posteriori della macchina, ed il muscolo (il gran pettorale in questo caso), si contrae con una scossa. In questa situazione opposta i propriocettori fusi neuromuscolari, hanno letto un allungamento improvviso ed eccessivo ed hanno fatto contrarre il ventre muscolare per proteggerlo.

Questa situazione avviene in modo identico con l’allungamento. Pensiamo a scendere in una posizione di spaccata. Arriviamo ad un punto in cui non è più possibile scendere ulteriormente. Perchè? Perchè i nostri muscoli sono in una posizione tale in cui un ulteriore allungamento significherebbe rischio di danno muscolare. Quindi il cervello inibisce l’allungamento, generando una contrazione che non ci permetta di scendere più giù.

Una questione di cervello!
Abbiamo così capito che tutto dipende dal SNC.

Situazione: siamo in allungamento e stiamo piangendo dal dolore perchè non riusciamo a scendere più giù. Cosa stà succedendo? Il muscolo ha paura del nuovo ROM, ha paura di scendere ulteriormente perchè esso può significare danneggiarsi. Come risolviamo? Aumentiamo la forza di QUEL muscolo in QUEL range, in questo modo esso non avrà più ”paura” di danneggiarsi. Per approfondire leggi: Stretching una quesitone di forza.

Proprio su questo si basa il PNF, sull’acquistare forza in range estremi, una contrazione isometrica generata nel punto di massimo allungamento. Il muscolo non si può allungare perchè il SNC (che riceve informazioni dai propriocettori) gli sta dicendo che scendere ulteriormente può provocare danni, quindi lo mantiene ”contratto” (inteso come incapacità di allungarsi maggiormete). A questo punto, col PNF, inaspettatamente il muscolo si contrae VOLONTARIAMENTE (siamo noi a dirglielo!), ingannando i propriocettori e ”dimostrando” di essere forte in quel range. Ora il cervello, imbrogliato da tale contrazione, inibisce la precedente contrazione muscolare (involontaria) e permette un ulteriore rilassamento, consentendo un allungamento maggiore rispetto a quello precedente.

Una figata, vero?

come funziona png stretching

Metodo PNF: come utilizzarlo

Step 1  Il respiro del drago

Premessa a dir poco FONDAMENTALE che evidenzio in ogni mio corso e workshop. Con lo stretching non ragiono mai in termini di secondi ma di respiri. Chi ragiona in secondi si ritrova spesso a fare stretching in apnea per 1′ ottenendo risultati scadenti. La respirazione gioca un ruolo fondamentale, non solo perchè garantisce l’ottimale afflusso di ossigeno e il ricambio di anidride carbonica nelle cellule (quindi nei muscoli), ma anche perchè permette di rilassare anche muscoli molto grandi come il retto addominale e gli obliqui. Tali muscoli, se contratti (come avviene quando siamo in apnea), possono peggiorare l’allungamento.
Quindi, ragioneremo sempre in termini di respiri, PROFONDI, e sostituiremo le diciture in secondi con respiri. Un respiro profondo deve durare dai 2-3 secondi di inspirazione e 2-3 secondi di espirazione. Quindi 8 respiri equivalgono a 30-45” di allungamento.  Per approfondire leggi: Il respiro del drago

Step 2 Come utilizzare il PNF nelle varie pose di stretching?

Questo metodo è stato esposto in differenti libri di testo, si trova in diversi siti online, ed è stato sottoposto a numerose rivisitazioni, molte funzionanti, altre meno… Ma si basano tutte sullo stesso concetto sopra esposto. Ora vedremo il metodo che a me piace e che trovo molto efficace. Non dico che sia il migliore e l’unico ma quello che a me e alle persone con cui interagisco porta risultati.

Divideremo il tutto in 3 fasi ben distinte tra loro:

1.FASE: Stretch. Nella prima fase saremo in una posizione di stretch, manterremo quindi una posizione statica di allungamento per un determinato numero di secondi. Nella mia personale esperienza tale fase dura da un minimo di 8 fino a 10 respiri.

2.FASE: Contrazione volontaria del muscolo sottoposto ad allungamento. In questa fase genereremo un contrazione volontaria del muscolo. I metodi di contrarre il muscolo variano di posa in posa, ovviamente. Tale fase dovrà durare da un minimo di 10 fino a 30 secondi, dipende dall’esperienza di allenamento e dalla grandezza del muscolo.
In genere consiglio una contrazione molto CONTROLLATA e non forte, diciamo che da 1 a 10 la forza della contrazione deve essere 5-6. Ricordare di respirare anche durante la contrazione è fondamentale, inoltre, è assolutamente necessario restare nella fase di massimo allungamento e non muoversi.

3.FASE: Re-stretch. La terza fase inizia con l’interruzione della contrazione. Quindi, lasceremo la contrazione e ridurremo l’allungamento del muscolo (restando comunque in posizione). Eseguiremo una profonda inspirazione (quì la durata deve essere superiore a 3-4 secondi) e, durante l’espirazione, torneremo in posizione di allungamento, questa volta tuttavia, noteremo che sarà un allungamento più profondo di quello precedente (ovviamente tutto ciò ha un limite, non aspettativi di riuscire a fare la spaccata alla prima o dopo 3 sedute!). Resteremo nella nuova posizione di allungamento almeno 10 respiri.

Una volta terminata la fase 3, sarete tornati in una posizione di allungamento. Quindi vi ritroverete alla fase 1. Infatti tale procedimento può essere ripetuto più cicli, per iniziare consiglio due tre volte.

Quindi:

– Stretch (10 respiri)
– Contraggo (10 secondi)
– Rilasso e restretch (inspirazione, espirazione e scendo in stretch, di nuovo 10 respiri in allungamento)
– Contraggo (10 secondi)
– Rilasso e restretch nale (inspirazione, espirazione e scendo in stretch, di nuovo 10 respiri in allungamento)

pnf spaccata

NOTA: COME VANNO FATTE LE CONTRAZIONI MUSCOLARI?

Le contrazioni muscolari durante le pose di allungamento devono essere CONTROLLATE. Non dovete contrarre il muscolo come se non ci fosse un domani. Calma, contrazione gentile e mirata. Spesso quando si vuole contrarre troppo forte, si finisce per mettere in tensione muscoli sbagliati. Con il tempo, acquisirete sempre più coscienza di voi stessi e riuscirete a contrarre sempre più specificamente l’area interessata. Respirate, anche durante la contrazione.

ATTENZIONE!

Il trucchetto sembra semplice, qualche numeretto, respiri al posto di secondi et voilà, sono subito in spaccata.
Lo stretching PNF è una metodologia di allungamento avanzata. Non va quindi presa alla leggera e non bisogna abusarne. Come linee guida generali mi manterrei su 2-3 esercizi per gruppo muscolare con una frequenza al massimo di 2 volte a settimana. È poco? No. E’ quello che va fatto, se volete fare ulteriore allungamento esiste quello passivo!
Altro avvertimento: se siete dei totali novizi e siete coscienti di non aver mai fatto allungamento in vita vostra e di essere delle frane… Non scoraggiatevi mai! Ma non iniziate con questa metodologia avanzata, subito. Passate 2-3 settimane a fare allungamento passivo, poi potrete applicare la tecnica. Il corpo ne ringrazierà!

Come ho precedentemente evidenziato, non aspettatevi miracoli immediati. Ci vuole pazienza. Ma questo è un metodo che garantisce risultati straordinari. Stratosferici. Ma con pazienza e consapevolezza.
Con questo articolo spero di avervi dato delle informazioni che vi aiutino a portare avanti la vostra passione e migliorare in quello che fate!

Al prossimo articolo, Elia

spaccata saggittale

(Io mentre mostro orgoglioso i miei calzini sporchi)

L’articolo: Metodo PNF: stretching propriocettivo è di Elia Bartolini

Note sull’autore
Sono un ragazzo classe 1994, che si allena da anni nella ginnastica e nel corpo libero. Credo in un allenamento graduale, sensato e sicuro, volto alla riscoperta delle vere potenzialità e movimenti del corpo umano. Amo muovermi, scoprire movimenti nuovi e allenare la forza del mio corpo. Seguo un discreto numero di atleti. Allenarmi ed allenare sono due costanti nella mia vita.
Elia segue diverse persone nella zona di PESARO – Tavullia – Cattolica e dintorni ma anche ONLINE
Mail: barto.elia@gmail.com
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Mal di schiena ed allenamento

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Hai iniziato ad allenarti, oppure lo fai da tempo, ma un fastidio lombare si affaccia…Attenzione a non sottovalutare una Lombalgia! Cosa dobbiamo sapere se abbiamo mal di schiena e ci alleniamo.

palestra mal di schiena

Quella patologia che spesso viene genericamente chiamata “mal di schiena” è una sindrome complessa, che prima viene accertata e trattata, e meno saranno le conseguenze. Infatti la maggior parte delle persone tende a sottovalutare i sintomi di un mal di schiena, prendendo degli antinfiammatori, e mettendo la testa sotto la sabbia, senza indagare la natura del fastidio.

L’iter corretto, è quello di iniziare da una lastra, un esame relativamente economico e veloce, ma in grado di mettere in evidenza molte patologie a carico della colonna lombare, come uno schiacciamento vertebrale, uno scivolamento vertebrale (spondilolistesi), o la modifica della curva lombare (iperlordosi o ipolordosi), o una frattura.

lombalgia radiografia

  • Lo schiacciamento vertebrale è una condizione in cui il disco che si frappone tra due vertebre, tende a perdere idratazione, determinando un minore spazio intervertebrale. Radiograficamente si nota facilmente, tale condizione e presuppone che ci sia una fuoriuscita di disco (erniazione), o un invecchiamento con disidratazione delle strutture discali
  • La spondilolistesi è una condizione in cui a causa di una rottura dell’istmo vertebrale (generalmente congenita, ma anche traumatica), si ha uno scivolamento di una vertebra in avanti, con probelmatiche serie che provocano dolore pressocchè cronico, e in taluni casi, necessita di un intervento di stabilizzazione.
  • L’iperlordosi o l’ipolordosi è una condizione per cui si modifica la curvatura fisiologica del tratto lombare, determinando un funzionamento errato della dinamica vertebrale, con degenerazione di uno o più dischi intervertebrali. Tale condizione si può correggere nel bambino, ma nell’adulto è opportuno un continuo follow up per evidenziare un peggioramento della situazione.

Solo in caso di ulteriori dubbi è opportuno procedere con esami maggiormente specifici come la risonanza magnetica che possono evidenziare meglio danni a carico del disco, e una compromissione del rapporto tra disco e radice nervosa, che possono provocare delle lombosciatalgie.

Quali sono i passi corretti da seguire per risolvere il proprio problema di mal di schiena?

Per prima cosa, subito dopo aver effettuato la lastra è importante rivolgersi ad un medico che saprà indagare e consigliare se vale la pena approfondire con la risonanza, oppure basta solamente la lastra. Tante volte vedo persone che saltano il primo passaggio, perchè pensano che la risonanza sia migliore, senza sapere che i due esami sono complementari, non sostitutivi!

Accertato il motivo della lombalgia si procede per step:

1) Se il dolore è di natura infiammatoria, sarà opportuno procedere con delle sedute di fisioterapia, per decontrarre la zona, mobilizzare il tratto con delle manipolazioni vertebrali e sfiammare i tessuti con macchinari quali la Tecarterapia, il Laser, o l’ipertermia.

2) Passata la prima fase, meramente sintomatica, si deve procedere con il trattamento sulla causa, che a parte le motivazioni traumatiche, è sempre di natura postulare.

3) La rieducazione posturale è una tipologia di trattamento volta all’allungamento della catena muscolare posteriore o anteriore (secondo il metodo Souchard), e soprattutto nella prima fase è fondamentale eseguirla con sedute settimanali (non più di 1 a settimana per permettere al corpo di assimilare i “cambiamenti posturali imposti nella seduta“), e sopratutto deve essere personalizzata in quanto ogni tipo di causa necessità di aggiustamenti specifici e progressivi. E’ essenziale comprendere che i problemi posturali sono di natura soggettiva e vanno trattati individualmente. Se mettiamo tutti ad allungare la colonna (appiattendola) miglioreremo chi soffre d’iperlordosi ma peggioreremo chi soffre ipolordosi, per esempio.

4) Quando il dolore è scomparso si può ritornare al normale allenamento, magari ponendo attenzione al rinforzo della muscolatura del “core” e mediante esercizi isometrici della muscolatura lombare. L’esercizio fisico è terapeutico alla guarigione. Non siamo fatti per stare fermi e non muoverci. Non abbiate paura d’allenarvi, abbiate piuttosto paura d’allenarvi male.

Mal di schiena ed allenamento: conclusioni

Quindi in definitiva, il trattamento migliore è certamente quello di rendersi conto in anticipo dei sintomi che il corpo fornisce e trattare immediatamente la patologia, in quanto da una semplice lombalgia, è facile il passo verso una protusione o un’ernia, con tutte le aggravanti che ne conseguono.

I consigli che possiamo dare sono:

  1. Eseguire sempre correttamente gli esercizi, rispettando gli adattamenti anatomici. Legamenti, tendini, capsule articolari si rinforzano più lentamente rispetto ai muscoli ed hanno adattamenti più lenti.
  2. Eseguire sempre esercizi di mobilità articolare, che non vanno intesi come stretching muscolare. La mobilità articolare permette alla colonna vertebrale di mantenere i suoi range fisiologici, tra una vertebra e l’altra.
  3. Eseguire sempre dello stretching, soprattutto attivo. La stabilità spinale è data sia dalla lunghezza dei suoi tiranti, sia dalla capacità di contrarsi. Schiene troppo rigide, ma anche troppo mobili, posso portare ugualmente ad infortuni ed infiammazioni.

Se soffriamo di lombalgia e mal di schiena, dobbiamo vedere nell’allenamento un alleato alla nostra salute lombare, non una causa.

L’articolo: Lombalgia come interpretare i sintomi è del Dottor David di Segni

Note dell’autore

Il Dottor David di Segni lavora a Roman nel centro Mdm fisioterapia, si è laureato nel 2003 presso l’univerità degli studi di Roma “La sapienza” con votazione di 110 e lode
Ho lavorato da sempre in campo Ortopedico, respiratorio
Info e contatti

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Donne e palestra: la preparazione di un’atleta Bikini

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Ormai mentre la maggior parte delle ragazze, pensa ancora che per raggiungere un bel fisico deve digiunare e camminare o fare Zumba, diverse ragazze in Italia stanno utilizzando la palestre ed i pesi, per raggiungere il loro stato fisico ideale.
Intendiamoci la bellezza è sempre una concezione soggettiva e culturale. Fossimo nati 10000 anni fa probabilmente avremmo apprezzato come bello la rotondità (cosa in natura veramente rara).
Oggi invece riconosciamo come bello un fisico magro, atletico, con una giusta massa magra correttamente idratata. Insomma un fisico sportivo e salutare.

Francesca Giannoni è un’atleta bikini natural (quarta classificata ai campionati italiani NBFI). Scopriamo assieme alcuni punti su cui Francesca ha lavorato, assieme al suo preparatore Riccardo Grandi, per prepararsi ai campionati italiani di bodybuilding natural.

La preparazione di un’atleta Bikini (Francesca Giannoni).

Se chiedete ad una ragazza su che punti vuole lavorare, facilmente vi risponderà: glutei ed interno cosca. Due punti centrali per ogni donna.
Per incentrare il lavoro in queste zone Francesca e Riccardo hanno adottato diverse strategie tra cui lavorare in superserie con  l’Hip Thrust e lo Stacco Sumo. Il primo esercizio viene eseguito con un disco tra le cosce, questo per costringere gli adduttori a contrarsi lungo tutto il ROM.
hip thrustIl secondo invece viene svolto con una tecnica inconsueta (chi fa powerlifting direbbe scorretta, se giustamente il nostro obiettivo è sollevare più peso possibile in sicurezza). Nello stacco sumo il bacino deve rimanere aderente il più possibile al bilanciere, qui invece rimane distante per coinvolgere di più l’estensione dell’anca ed il grande gluteo.
stacco sumo

Il lavoro metabolico in un atleta bikini

L’atleta bikini non deve presentare masse muscolari avanzate,ma deve avere belle gambe, un gluteo ben sviluppato, un’ottima V shape. Per ottenere tutto questo il lavoro metabolico coi pesi è preponderate; sia svolgendo esercizi metabolici “classici” sia mescolando lavoro meccanico con il lavoro metabolico (approfondisci il discorso sull’allenamento metabolico nel bodybuilding).

Un esempio sono le superserie che Francesca ha eseguito tra Panca Piana e Squat o tra Step Up e Distensioni su panca.

preparazione atleta bikini

Questo tipo di lavoro, che alterna un esercizio per la parte superiore, uno per quella inferiore, permette sia d’avere uno stress meccanico ma al contempo anche uno stimolo cardiovascolare e metabolico.

L’atleta bikini, per sopportare alti carichi di carboidrati, deve consumare molto glicogeno anche attraverso circuiti e lavori prettamente metabolici, come alternare affondi a burpees.

ragazza bikini lavoro metabolico

Il lavoro che Francesca svolge prevalentemente per gli addominali, è fatto principalmente da lavori isometrici come il Plank. Come tutte le atlete bikini, per avere un bel fondoschiena, bisogna avere una curva lombare accentuata. Questo però può creare problemi di schiena. Per questo un lavoro del CORE in retroversione aiuta a compensare ed a prevenire il mal di schiena.

allenamento ragazza addominali

Donne e palestra: conclusioni

Il lavoro di un atleta bikini non si può riassumere ovviamente in un articolo. Tuttavia l’importante è capire che il dimagrimento e lo sviluppo proporzionato della massa magra passa attraverso un corretto utilizzo dei pesi e dei sovraccarichi. Una buona ripartizione tra lavoro meccanico, metabolico, POSTURALE e l’attenzione all’alimentazione, sono gli ingredienti per ottenere il risultato desiderato.

francesca cannone atleta bikini

FRANCESCA GIANNONI Atleta Bikini NBFI

RICCARDO GRANDI Pontevico (BS) Mail: sustainablebodybuilding@gmail.com
Sito: http://www.sustainablebb.com
Classe 1969… Nato (culturisticamente parlando) all’età di 14 anni dove mi approccio alla palestra come preparazione atletica nel judo. Ma a 19 anni diventa la mia unica attività. A 21 anni iniziai ad insegnare come istruttore. Ho iniziato a preparare atleti agonisti all’età di 24 anni senza alcuna esperienza, ma con buoni risultati. Diventa il mio lavoro aprendo prima una palestra e poi un’altra. Come imprenditore del fitness perdo “la gioia” del lavoro di preparatore e per qualche anno esco dal mondo del BB. Nel 2011 rientro nel mondo del BB portando in gara 1 atleta… L’anno dopo fu ancora 1 più me stesso, poi 5, e via via sino ad oggi… Ora dirigo una squadra agonistica di 28 atleti TUTTI AGONISTI e soprattutto TUTTI DRUG FREE !!!! Altri 8 in preparazione per il 2017. Ho agonisti che partono dai 21 sino ai 69 anni. I miei atleti hanno vinto diversi titoli italiani e fatto gare internazionali. Il mio motto è CAMPIONI SI DIVENTA !!!

sustainablebb

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Animal Movement (Locomotion): primi passi

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Ido Portal, Mike Fitch, Nathan Helberg. Sono solo un po’ dei nomi di alcuni guru del corpo libero che si stanno dedicando all’argomento di questo articolo. Il ritorno a movimenti naturali è ormai pane quotidiano.

Si è partiti semplicemente ricominciando a fare degli esercizi un po’ più complessi dei classici esercizi in isolamento  (per intenderci il famoso: lo squat è più completo della leg extension), per arrivare ormai ad una vera e propria realtà di lavori da nerd (me compreso) del movimento naturale.

In questo ampio scenario, tutte le locomozioni a terra svolgono un ruolo fondamentale. Ci ricordano le nostri origini, da dove veniamo, come siamo fatti e come dobbiamo muoverci. In una società dove la maggior parte dei corpi si barcamena in linee rette ed angoli prestabiliti, un lavoro del genere non è da sottovalutare se vogliamo tornare realmente a Muoverci.

Step 1: controlaterale e ipsilaterale

Quindi, per chi non l’avesse ancora capito o per chi non è assolutamente pratico dell’argomento, le locomozioni sono degli esercizi che simulano delle andature. In particolare si ispirano ai movimenti degli animali, e lo scopo è per l’appunto quello di cercare di riprodurli il più fedelmente possibile.

Pensate a come si muove un orso, un granchio, una lucertola, un gorilla. Ognuno di essi adotta il sistema di locomozione più efficiente per la propria struttura. Ora dire se è la struttura dell’animale che ha creato la locomozione o è la locomozione che ha plasmato la struttura non è semplice. In ogni caso ogni essere di questo pianeta si è adattato alla forza di gravità a suo modo per svolgere al meglio le sue determinate mansioni.

Prendiamo per l’appunto l’uomo.

Animale bipede. Il suo scopo è stato ricercare una posizione verticale di dominanza che gli consentisse di controllare al meglio il mondo intorno a se e di usare gli arti superiori principalmente per manipolare le cose di cui ha bisogno. L’uomo quando si muove alterna le gambe e le braccia con un sistema controlaterale, il che significa che quando facciamo un passo con il piede sinistro, in contemporanea portiamo avanti la mano destra per controbilanciare.

La giraffa invece, per arrivare a mangiare le foglie degli alberi, sposta in contemporanea entrambe le zampe di destra e poi entrambe le zampe di sinistra, questo è un movimento ipsilaterale.

C’è da dire che la maggior parte dei mammiferi si muove con il sistema controlaterale come il nostro, in quanto è assolutamente più efficace per muoverci agilmente. Però ci sono per l’appunto delle eccezioni come la giraffa.

Esercizio: Il primo step per cominciare a muoverci con le locomozioni è semplicemente prendere consapevolezza di questi due movimenti differenti che possiamo utilizzare.

animal movement 2
animal movement
locomotion

Prendetevi una distanza. Una quindicina di metri per esempio; poggiate le vostre mani a terra e cominciate a procedere. Giocate nello sperimentare liberamente tutti i modi che avete per muovervi. Giocate nel provare tutti i movimenti controlaterali che vi vengono in mente e tutti quelli ipsilaterali.

Step 2: come utilizzare la mano

La maggior parte delle locomozioni viene svolta in quadrupedia. Per questo le nostre mani si trasformano nel gesto in una sorta di piede aggiuntivo.

Se analizziamo la nostra classica camminata noteremo facilmente come la prima parte che viene poggiata è il tallone, dopodiché il peso viene distribuito su tutta la pianta ed  in fine sulla punta. In una locomozione dobbiamo applicare lo stesso concetto alla mano.

Un errore classico dei principianti è poggiare tutto la superficie in contemporanea, ma così facendo risulteranno rigidi e inefficienti. Pensate invece che anche la nostra mano ha un “tallone” che deve poggiare a terra per primo, l’osso piriforme. Ovviamente su una locomozione verso dietro, il concetto è ribaltato. Come nel caso della camminata bipede, si appoggerà prima la punta, poi tutta la pianta e infine il tacco.

Esercizio: Concentratevi sull’appoggio corretto della mano. Prima deve poggiare il pisiforme, dopodiché il peso dovrà distribuirsi su tutto il palmo ed infine usciremo spingendo con le dita.
Quando tutto il palmo è poggiato a terra, portate molta attenzione all’orientamento della mano. Immaginate di tracciare una linea diagonale che attraversa il vostro palmo dal pisiforme fino all’origine del dito indice; questa è la linea che dovete seguire quando distribuirete il vostro peso dal pisiforme all’intero palmo.

appoggio camminata
mano locomotio

Nel momento che l’intero palmo è poggiato a terra e state per uscire dal passo spingendo dalle dita, immaginate che il peso deve scaricare principalmente nello spazio tra l’origine dell’indice e del medio.

Step 3: imparare a stabilizzare

Se analizziamo la camminata bipede, noteremo come il bacino è costantemente coinvolto con i suoi movimenti.

Ai seminari di Anatomy Trains ti fanno notare come le donne africane che camminano con un secchio in testa riescono facilmente nell’impresa proprio grazie ad una grande mobilità di bacino che gli consente di progredire senza inutili oscillazioni.

Hanno fatto provare la stessa mansione ai militari americani ed il risultato è stato che essi faticavano molto di più a mantenere il secchio in testa proprio per una minore mobilità di bacino. Nelle locomozioni, il bacino si comporterà alla stessa maniera: ruoterà verso destra e sinistra per rendere il movimento più efficiente.

In ogni caso, le prime volte che ci si approccia al mondo delle locomozioni, ci sono tante novità per il nostro cervello in ambito motorio e propriocettivo. E proprio per questo, forse non ha senso partire a rotta di collo con movimenti complessi come quello del lizard, ma è meglio porsi come primo obiettivo il controllo. Controllare, in una locomozione corrisponde a fare l’opposto di quello faremo naturalmente: Invece di lasciare andare il bacino e gli arti con nonchalance, bisogna controllare ogni centimetro di movimento.

Esercizio: Provate ad eseguire delle camminate in quadrupedia con la schiena in posizione neutrale, evitando di far ruotare il bacino. Utilizzate un bastone e poggiatelo sopra la vostra schiena in linea con la spina dorsale. Provate a progredire con un andamento crociato senza fare cadere il bastone. Potete provare ad andare avanti, indietro, di lato e a ruotare.

Cosa includere nel warm up

Per passare dalla posizione in piedi fino ad arrivare ad eseguire qualche locomozione, la cosa migliore è scendere in deep squat.

deep squat

Da questa posizione possiamo facilmente partire per tutte le locomozioni. Il deep squat a volte è parte stessa di qualche locomozione ed è spesso un passaggio di transizione da una locomozione all’altra. Per questo non dimenticate di curare il vostro deep squat . E’ consigliabile passarci qualche minuto ogni giorno, soprattutto prima di cominciare i workout.

Altro punto critico di un buon warmp up per le locomozioni sono i polsi. Moltissime persone (le ragazze di più) lamentano dolore ai polsi le prime volte. Per le locomozioni, il polso deve essere mobile e forte. Ricordiamoci di dedicargli tanto lavoro che abbia il fine di “stressarlo gentilmente”.

I vantaggi di includere le locomozioni nei propri programmi di allenamento

Personalmente, nella mia esperienza di trainer, considero le locomozioni come l’esercizio più completo del mondo a livello delle varie componenti fitness.

Perché mi permetto di dire questo?

Semplice, analizziamo ad esempio il Lizard Crawl

C’è bisogno di forza? Assolutamente si. Per rimanere orizzontali a pochi centimetri da terra c’è bisogno di molta forza.
C’è bisogno di mobilità? Notate l’anca quanto extra ruota. La spalla quanto scende in profondità e il bacino quanto deve ruotare.
C’è bisogno di una resistenza metabolica? Provate a fare venti passi di Lizard Crawl e ditemi se poi non avete fatto un lavoro metabolico.
C’è bisogno di coordinazione? Molte persone le prime volte che lo vedono neanche riescono a capire come si faccia. Si. c’è bisogno di coordinazione.

E poi ovviamente c’è tutto l’aspetto propricettivo. Quando mi rimetto in piedi dopo un lavoro di locomozioni, mi sento sempre più consapevole di come è fatto il mio corpo e di come bisogna utilizzarlo.

Penso che una sensazione del genere potrebbe essere utile alla stragrande maggioranza degli atleti in circolazione.

Volete un altro motivo? Sono veramente fighe e divertenti. Buon divertimento 😉

                                                                                                               Gabriele Pampanelli

Il materiale ed i concetti nascono dal seminario Movement X di Ido Portal e vi consigliamo di seguirlo per approfondire la tematica.

Articolo di Gabriele Pampanelli

Movement and Wellness Coach

Web: www.gabrielepampanelli.it
Fb: https://www.facebook.com/GabrielePampanelliPage/
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Dieta alcalina e osteoporosi. Facciamo chiarezza

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La dieta alcalina è sempre più popolare. Sembrerebbe che gli alimenti, a seconda se sono acidi o basici, possono influenzare la salute del corpo, in primis il metabolismo dell’osso, causando o prevenendo l’osteoporosi. Diversi “esperti” si sono espressi a riguardo. In questo articolo cercheremo di vedere cosa dice la Scienza, non partendo dalle affermazioni di un medico o un professore rinomato, ma mostrando le evidenze scientifiche.

Perché tutti possiamo dare un nostro parere personale, ma poi a livello scientifico sono gli studi, le metanalisi e le review che parlano. C’è davvero confusione sulla dieta alcalina e l’osteoporosi oppure gli studi sono concordi su una posizione?

Scopriamolo in questo articolo, perché solo chi conosce sceglie, altrimenti crede di scegliere.

La dieta alcalina è una bufala o funziona?

Del Dott. Angelo Fassio

Affermare che la dieta abbia un ruolo importante in tutti gli aspetti della vita dell’individuo è scontato; il metabolismo dell’osso non fa eccezione. Sfortunatamente è sempre più facile imbattersi, più o meno ovunque, in informazioni non del tutto corrette oppure in vere e proprie cialtronerie.

Mi rendo conto che questo articolo genererà qualche scompenso in alcuni, vorrei tuttavia sottolineare che non sto esponendo la mia personale opinione, o il mio metodo: riporterò alla fine una bibliografia essenziale che come vedrete sarà composta in gran parte da linee guida, da review sistematiche e metanalisi. Perché anche se spesso accade che su PubMed si possa trovare uno studio che afferma una cosa ed uno l’esatto opposto, è anche vero che non tutti hanno lo stesso valore.

Diffidante da chi opera la “scienza al rovescio”, ovvero da chi parte già con una opinione per partito preso e inizia a vagare su PubMed per selezionare quegli unici due studi che confermano la loro tesi ignorando il quadro generale (e generalmente limitandosi a scorrere velocemente gli abstract, visto che solo chi fa ricerca in abito universitario o è studente ha le credenziali di accesso per i full-text delle riviste… a meno di non pagare ogni volta per ogni articolo). Questo procedimento è profondamente scorretto e fazioso, ed è il tipico esempio di come NON si dovrebbe discutere in ambito scientifico.

Piramide evidenze scientifiche

Questo qui sopra è giusto un ripassino su cosa siano i livelli di evidenza (more at: www.google.it “levels of evidence”, ad esempio: http://researchguides.ebling.library.wisc.edu/content.php?pid=325126&sid=2940230). Confrontate dunque i dati riportati in questo articolo e le vostre fonti alla luce di tutto questo, e traete le vostre conclusioni. Come vedete l’esperienza personale è relegata all’ultimo livello (e anche qui, non l’esperienza personale del Sig. Rossi, ma solo quella di coloro che vengono considerati le “autorità riconosciute in materia”, ovvero gente che ha pubblicato su riviste internazionali e ha contribuito ad ampliare la conoscenza sull’argomento con dati e ricerche originali).

Quando ascoltate un video di un esperto su youtube, quando leggete un libro sull’alimentazione comprato alla Feltrinelli, vi state informando sul più basso scalino delle evidenze scientifiche (nel caso più ottimistico!). Credete magari di studiare cosa dice la “scienza” quando in realtà sono, probabilmente, pareri personali.

Considerate inoltre che nell’ambiente del fitness e dell’alimentazione la componente “marketing” è piuttosto pervasiva e non sempre ricavata da evidenza scientifiche di buona qualità.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza, prima di parlare di dieta alcalina, partendo da una veloce occhiata alle linee guida per l’osteoporosi, alla sezione “alimentazione” ([1] SIOMMS 2012 – potete recuperare nella bibliografia la versione completa e gratuita).

Linee guida per l’osteoporosi

cibi acidi osteoporosi

1) Introito di calcio:

Fabbisogno di calciomg/die
1-5 anni800
6-10 anni800-1200
11-24 anni1200-1500
25-50 anni1000
In gravidanza o allattamento1200-1500
Donne in postmenopausa in trattamento estrogenico // Uomini di 50-65 anni1000
Donne in postmenopausa senza trattamento estrogenico // Uomini di età superiore ai 65 anni1000

2) Vitamina D3: (leggi l’articolo completo su come comportarsi con la vitamina D3)

Ecco una stima della dose terapeutica e di quella di mantenimento in funzione dei livelli 25(OH)D in soggetti che non hanno ricevuto supplementi nell’ultimo anno

Valore basale di 25(OH)DDose terapeutica cumulativa di vitamina DDose giornaliera di mantenimento
<10 ng/ml o 25 nmol/l1.000.0002.000
10-20 ng/ml o 25-50 nmol/l600.0001.000
20-30 ng/ml o 50-75 nmol/l300.000800

3) Proteine:

“L’aumento dell’apporto proteico in soggetti con inadeguato introito riduce il rischio di fratture del femore in entrambi i sessi. Un adeguato apporto proteico è necessario per mantenere la funzione del sistema muscolo-scheletrico, ma anche per ridurre il rischio di complicanze dopo una frattura osteoporotica. “

Ma come? Le proteine non determinano un importante carico acidificante che costringe l’osso a “sciogliersi” per tamponare l’eccesso acido? Lo dice la dieta alcalina…

Abbandoniamo le linee guida per proseguire il discorso.

Il sospetto iniziale non era un’idea campata per aria: qualcuno, in passato, aveva infatti notato che un incremento della quantità delle proteine nella dieta induceva un aumento della calciuria (quantità giornaliera complessiva di calcio escreto con le urine). Ripeto, in passato. Parliamo infatti del 1973 [2]. Dal ’73 (ovvero, in medicina, praticamente la preistoria) cosa è stato in seguito messo in evidenza?

Riassumendo:

  • Una dieta ad alto “potential renal acid load” determina un aumento della frazione di assorbimento intestinale del calcio, che compensa l’ipercalciuria [3]. Il risultato è che il bilancio totale del calcio non cambia ovvero nessun cambiamento a livello di massa ossea totale).
  • Tale alimentazione non solo non modifica i marker di turnover osseo (per chi sa che cosa siano) ma addirittura aumenterebbe i livelli di IGF-1 e ridurrebbe quelli del paratormone (addirittura suggerendo un ruolo favorevole nei confronti della massa ossea) [3]
  • Nessuna relazione causale nei confronti del bilancio fosfo-calcico complessivo o variazioni del dato densitometrico (valore di densità minerale ossea valutato dalla DEXA ovvero la metodica gold standard) né tantomeno nei confronti del il rischio di frattura [4]
  • Non vi è nessuna evidenza a supportare l’ipotesi che una dieta ad elevato PRAL determini osteoporosi e nemmeno che una alcalinizzante la prevenga. Allo stesso modo non vi sono evidenze a supportare il consumo di integratori alcalinizzanti (attenzione, non è uno studietto da quattro soldi: è una metanalisi-review sistematica di trial randomizzati di elevata qualità statistica e di studi longitudinali a basso rischio di bias) [4].

Quindi una dieta iperproteica “cura” l’osteoporosi? In realtà, sebbene vi siano sono studi epidemiologici che individuerebbero una certa correlazione positiva tra massa ossea e intake proteico [5], questo aspetto va contestualizzato (ricordate: correlation doesn’t imply causation!). L’osteoporosi primaria (quindi postemenopausale-senile) è una malattia tendenzialmente dell’anziano. Tale popolazione è esposta, ad esempio, ad un elevato rischio di sarcopenia e malnutrizione (interessante è, a questo proposito, la cosiddetta “obesità sarcopenica”). Una dieta con un buon contenuto proteico è un fattore protettivo nei confronti di tale problematica e tendenzialmente si accompagna anche ad un decente apporto calorico. Prevenire la sarcopenia permette di mantenere dei migliori livelli di funzionalità muscloscheletrica che a loro volta sono protettivi nei confronti dell’osso, così come un introito calorico adeguato. Va da sé che il nesso causa-effetto non è così automatico (NB: come spesso accade in medicina).

[In definitiva non solo le basi su cui si fonda la dieta alcalina sono fisiologicamente scorrette, bisognerebbe riscrivere tutti i libri di fisiologia e l’inventore della dieta alcalina vincerebbe il premio Nobel per la medicina. Ma sia in ambito della ricerca scientifica, sia sul pratico attraverso le misurazione ospedaliere tramite DEXA, si è visto che non c’è nessuna correlazione tra aumento dell’introito proteico e osteoporosi. L’introito proteico alimentare non è uno dei fattori di rischio per l’osteoporosi, punto! Nd Andrea Biasci]

E frutta e verdura?

frutta e verdura

Potenzialmente tali alimenti sono ricchi di nutrienti favorevoli per la salute dell’osso. Antiossidanti, vitamine C e K (implicate nella sintesi della matrice ossea), minerali (potassio, magnesio, calcio). Ad oggi gli studi hanno tuttavia portato a risultati non concordanti, molto probabilmente a causa di una elevata eterogeneità dei campioni esaminati ed ad un elevato rischio di bias degli studi.

Alcol

L’abuso alcolico è un fattore di rischio assolutamente ben conosciuto. Troverete montagne di letteratura in merito.

Altri alimenti

L’eccessivo consumo di caffeina, bibite e sodio sembrerebbe avere un effetto negativo nei confronti del bilancio del calcio, ma le evidenze complessive sono limitate.

Introito calorico complessivo

Sebbene le persone obese abbiano dei valori di massa ossea mediamente più elevati (attenzione: ciò non significa un ridotto rischio di frattura, ovvero il vero risvolto applicabile alla clinica quando si parla di osteoporosi, anzi!), da uno studio emergerebbe come il grasso viscerale possa avere un effetto sfavorevole nei confronti della densità minerale ossea [6]. D’altro canto, una restrizione calorica potrebbe comunque determinare una perdita di massa ossea, in particolare se di entità importante (nello studio in questione ciò si evidenzia per percentuali inferiori al 55% della RDA) [7].

Bibliografia essenziale

  • Linee guida SIOMMS 2012 http://www.siommms.it/index.php?option=com_content&view=article&id=93&Itemid=71
  • Allen LH, Oddoye EA, Margen S. Protein-induced hypercalciuria: a longer term study. Am J Clin Nutr. 1979;32(4):741–9. Epub 1979/04/01.
  • Cao JJ, Johnson LK, Hunt JR. A diet high in meat protein and potential renal acid load increases fractional calcium absorption and urinary calcium excretion without affecting markers of bone resorption or formation in postmenopausal women. J Nutr. 2011;141 (3):391–7. Epub 2011/01/21.
  • Fenton TR, Tough SC, Lyon AW, Eliasziw M, Hanley DA. Causal assessment of dietary acid load and bone disease: a systematic review & meta-analysis applying Hill’s epidemiologic criteria for causality. Nutr J. 2011;10:41. Epub 2011/05/03
  • Promislow JH, Goodman-Gruen D, Slymen DJ, Barrett-Connor E. Protein consumption and bone mineral density in the elderly: the Rancho Bernardo Study. Am J Epidemiol. 2002;155(7):636– Epub 2002/03/27.
  • Bredella MA, Torriani M, Ghomi RH, Thomas BJ, Brick DJ, Gerweck AV, et al. Determinants of bone mineral density in obese premenopausal women. Bone. 2011;48(4):748– Epub 2011/01/05.
  • Caporaso F, Frisch F, Sumida KD. Compromised bone health in non-obese, older women with low caloric intake. J Community Health. 2011;36(4):559– Epub 2010/11/26.


FAQ sulla dieta alcalina, il latte e l’osteoporosi

(ovvero le aggiunte dell’ultimo minuto per non lasciare adito a dubbi…)

Dieta alcalina e osteoporosi

Q: il latte è acidificante?

A: NO. Svariati studi hanno dimostrato che il latte non è un cibo “acidificante”(1,2). Addirittura uno studio sul NAE (neat acid excretion) ha dimostrato come il carico del latte sia sovrapponibile a quello…dell’acqua (1)!

Q: il latte causa osteoporosi?

A: NO. Questa è davvero l’ennesima trovata commerciale. Una tesi ad effetto, che carpisce l’attenzione proprio per il paradosso che porta con sé e per il fatto soddisfa quella vena complottista che ultimamente sta andando piuttosto di moda (il che va a braccetto con le altre eresie del tipo: l’HIV non causa l’AIDS, le conseguenze della malattia neoplastica sono in realtà dovute alla terapia, i vaccini sono il flagello dell’umanità, ecc). Una review sistematica (pubblicata sul Lancet) ha confermato il ruolo del calcio nel supportare la salute dell’osso (3), ed un recentissimo studio pubblicato su Osteoporosis Int. (5) (impact factor 4 tanto per dire) conclude così: “Greater milk intake was associated with lower bone turnover, higher aBMD, and higher TBS in community-dwelling elderly Japanese men”.

latte dieta alcalina osteoporosi

Q: allora il latte cura l’osteoporosi?

A: NO. Il latte è un alimento ricco di calcio. Il calcio non cura l’osteoporosi, sarebbe come pensare che frutta e verdura possano curare una coronaria occlusa. Un adeguato apporto di calcio e vitamina D rappresenta una corretta abitudine nutrizionale per la salute dell’osso. Le persone intolleranti al lattosio o che non consumano latticini per i motivi più svariati possono senz’altro recuperare il fabbisogno giornaliero di calcio da altre fonti alimentari (o eventualmente da supplementi, che vengono tuttavia ritenuti di seconda scelta per vari motivi).

Q: le diete alcalinizzanti alcalinizzano?

A: NO, né il sangue né l’interstizio. Il discorso è lungo e complesso. Non è scopo di questo articolo spiegare l’equilibrio acido base perché è davvero un argomento molto articolato. Se siete interessati potete leggere questo breve articolo pubblicato su MedBunker. Se siete molto interessati dovete allora prenderla larga e fare un investimento di tempo, energie e denaro, iniziando a studiare l’argomento sui testi adeguati. Vi posso dare qualche indicazione:

  • Un testo universitario qualsiasi di chimica generale
  • Un testo di biochimica (es. principi di biochimica di Lehninger)
  • Un testo di fisiologia (es. Berne e Levy – Fisiologia, sebbene la parte di fisiologia renale non sia chiarissima, io ho trovato molto più chiaro il Vander – Fisiologia renale
  • Un libro di medicina di laboratorio
  • Un libro che tratti in maniera specifica l’argomento (che sia di anestesia-rianimazione, medicina interna, oppure –consigliato- anche lo Schiraldi-Guiotto, Equilibrio acido base, ossigeno, fluidi ed elettroliti; McGraw Hill edizioni)

Detto questo, una dieta alcalina NON cambia il pH sistemico, se non minimamente; anzi, così minimamente che il cambiamento è più piccolo dell’errore di misurazione possibile (4). Una dieta alcalina, altera semplicemente il pH urinario (il che è normale, anzi, banale, visto che ciò significa semplicemente che il rene compie il suo lavoro).

Bibliografia

  • Heaney RP, Rafferty K. Carbonated beverages and urinary calcium excretion. Am J Clin Nutr. 2001 Sep;74(3):343–7.
  • Spence LA, Lipscomb ER, Cadogan J, Martin B, Wastney ME, Peacock M, et al. The effect of soy protein and soy isoflavones on calcium metabolism in postmenopausal women: a randomized crossover study. Am J Clin Nutr. 2005 Apr;81(4):916–22.
  • Tang BMP, Eslick GD, Nowson C, Smith C, Bensoussan A. Use of calcium or calcium in combination with vitamin D supplementation to prevent fractures and bone loss in people aged 50 years and older: a meta-analysis. Lancet Lond Engl. 2007 Aug 25;370(9588):657–66.
  • Buclin T, Cosma M, Appenzeller M, Jacquet AF, Décosterd LA, Biollaz J, et al. Diet acids and alkalis influence calcium retention in bone. Osteoporos Int J Establ Result Coop Eur Found Osteoporos Natl Osteoporos Found USA. 2001;12(6):493–9.
  • Sato Y, Iki M, Fujita Y, Tamaki J, Kouda K, Yura A, et al. Greater milk intake is associated with lower bone turnover, higher bone density, and higher bone microarchitecture index in a population of elderly Japanese men with relatively low dietary calcium intake: Fujiwara-kyo Osteoporosis Risk in Men (FORMEN) Study. Osteoporos Int J Establ Result Coop Eur Found Osteoporos Natl Osteoporos Found USA. maggio 2015;26(5):1585–94.

Per concludere guardate questo video del Dott. Berrino (poi leggete il nostro commento).

Il Dott. Berrino (che non mi permetto assolutamente di giudicare come ricercatore, ci mancherebbe), ha pubblicato una serie di libri. Questi libri, per definizione, non sono pubblicazioni scientifiche e non seguono il consueto processo di revisione tra pari (ovvero il processo fondamentale che sta alla base della scienza basata sull’evidenza; inviterei chiunque non abbia del tutto chiaro l’argomento ad approfondire la questione). Chiunque, su un libro destinato al pubblico generico, può scrivere ciò che vuole. Il fatto che un libro, una dichiarazione, un video siano firmate da una persona rinomata, da un ricercatore, perfino da un premio Nobel, non è assolutamente garanzia di imparzialità (qualcuno forse ricorderà Watson, premio Nobel per aver scoperto insieme a Crick il DNA, dichiarare apertamente posizioni razziste nel senso più basso della parola).

La demonizzazione delle proteine della famosa dieta “Diana” effettivamente farebbe parte di un progetto di ricerca multicentrico. Eppure, se si cercano dati in merito su PubMed cosa troviamo? Poco o nulla (vedi: ‪http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=%22diana-5%22). Dove sono i dati che dimostrano che la dieta ridurrebbe drammaticamente l’incidenza e le recidive di malattia? (Per correttezza, ammetto che il trial è stato presentato nel 2012 quindi magari il periodo potrebbe essere considerato troppo breve. Eppure sono sempre 3 anni, che non sono pochi).

Per curiosità, cosa troviamo se andiamo a spulciare tra le pubblicazioni che portano il nome (anche) del Dott. Berrino? Beh, ne troviamo una recentissima del 2015: European Code against Cancer 4th edition: 12 ways to reduce your cancer risk. (disponibile per tutti, qui). Cosa c’è scritto riguardo all’introito proteico? Niente! Ma come? Infatti leggiamo:

Dichiarazioni studio berrino

Tutto qui!

La mia opinione: il Dott. Berrino ha delle convinzioni personali. Tali convinzioni possono essere supportate da una moltitudine di fattori ma al momento non sono assolutamente confermate dai dati complessivi della letteratura. Ecco perché sui libri liberamente editi troviamo scritti una serie di concetti che lui stesso non può permettersi di riportare quando pubblica su riviste scientifiche (le quali peraltro riportano raccomandazioni assolutamente condivisibili). Credo che queste precisazioni siano doverose ed aiutino ad inquadrare meglio ciò che leggiamo nel contesto corretto.

Se non vuoi essere schiavo delle diete ma padrone dei concetti, scopri il nostro libro Project Nutrition

Project Nutrition

Articolo del Dott. Angelo Fassio.
Lavora presso il reparto di reumatologia a Verona. Centro studi e punto di riferimento per l’osteoporosi.

Vi inseriamo anche un video del Dott. Mozzi. Se volete una completa disinformazione sulla dieta alcalina e l’osteoporosi non c’è nulla di meglio:

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Esercizi deltoide posteriore

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Anatomia e biomeccanica del deltoide posteriore

Il deltoide è un muscolo antagonista di sé stesso, ovvero alcuni suoi fasci svolgono funzioni opposte tra loro.

  • Fasci anteriori: flettono, abducono, intraruotano (leggermente)
  • Fasci posteriori: estendono, abducono, extraruotano

Il deltoide ha una connessione muscolo-fasciale col trapezio, quando si attiva il primo anche il secondo si contrae, non fosse altro che per supportare la scapola e farla ruotare. Per questo negli esercizi per il deltoide posteriore è molto facile trasferire il lavoro ai fasci superiori del trapezio, che tenderanno a ridistribuire le forze.

Altri muscoli sinergici sono i romboidi. L’estensione dell’omero richiama l’adduzione della scapola, attivando questi muscoli. Anche il capo lungo del tricipite, il grande rotondo ed il grande dorsale sono richiamati nell’estensione.

Il deltoide posteriore è tanto difficile da sviluppare perché tutta la muscolatura della schiena tende a sobbarcarsi il lavoro, togliendolo dall’anello più debole della catena.

anatomia-deltoide-posteriore

Esercizi deltoide posteriore

Tenendo a mente quanto appreso nella breve introduzione anatomica sul deltoide posteriore, gli esercizi dovranno essere mirati ad evitare

  • l’elevazione della scapola: per diminuire il coinvolgimento dei fasci superiori del trapezio.
  • l’estensione mediale dell’omero (gomito vicino al busto): per evitare il coinvolgimento del gran rotondo e gran dorsale
  • l’adduzione delle scapole: per diminuire il coinvolgimento dei romboidi

esercizi deltoide posteriore

Le tirate posteriori orizzontali:  Sdraiarsi su una panca e tirare indietro il gomito, è un ottimo esercizio per le spalle, a patto che il gomito sia ben distante dal busto e che nel contempo la scapola non si elevi.
Può essere molto utile avere un compagno che ci aiuta, (toccando), dove dobbiamo sentire la tensione muscolare e dove invece i muscoli vanno rilassati.

Tirate posteriori ai cavi: Lo stesso esercizio può essere svolto ai cavi. A seconda della rotazione del busto potremmo più dare più enfasi alla fase di allungamento o al picco di contrazione. Tuttavia l’esercizio ai cavi per i deltoidi posteriori è più difficile da eseguire, perché per tenere alto il gomito in tutte le ripetizioni, si tenderà ad elevare la spalla.

deltoide posteriore cavo

Alzate posteriori: Un altro esercizio per i deltoidi posteriori sono le alzate posteriori, libere o su panca inclinata. Questo esercizio richiamerà anche la muscolatura centrale della schiena. L’uso del cheating può servire nelle alzate posteriori per creare la giusta tensione muscolare sui deltoidi. La versione su panca è invece più indicata per chi deve ancora imparare a isolare correttamente i deltoidi posteriori. L’importante è la direzione dei gomiti che deve essere rivolta in alto, per disattivare il più possibile il gran rotondo.

alzate posteriori

Gli esercizi per i deltoidi posteriori sono fondamentali nel bodybuilding, per l’ipertrofia muscolare,  per dare pienezza alla spalla e perché spesso sono un muscolo carente. Anche a livello postulare aiutano a riequilibrare le forze, evitando intraruotazione e le spalle anteposte.

bodybuilding esercizi

Il video è stato girato con Marco Bassi e Mauro Copellini presso Xshape (via Ampola 11, Milano)
Mail: xshape.it@gmail.com

xshape

Guarda i nostri video d’anatomia e biomeccanica sulla spalla e sul deltoide posteriore.


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Dimagrimento localizzato nelle gambe: possibile?

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dimagrimento localizzato

Esiste il dimagrimento localizzato? La prima risposta che dobbiamo dare è NO e questa riposta è quasi d’obbligo per difenderci dai venditori di creme, apparecchiature dimagranti, diete, ecc che attraverso il loro prodotto commerciale ci vendono una speranza.

Il grasso ostinato, soprattutto negli arti inferiori è determinato da tutta una serie di fattori:

  • Vascolarizzazione (microcircolo)
  • Recettori adipocitari adrenergici (alfa e beta)
  • Numero di adopociti predisposti geneticamente
  • Estrogeni
  • Distribuzione dei liquidi tra il compartimento intra ed extracellulare
  • Ecc

Il panorama è estremamente complesso, se esistesse un sistema efficace ed universale per il dimagrimento localizzato, chi lo ha inventato sarebbe una delle persone più ricche del mondo.

Esiste il dimagrimento localizzato? La seconda risposta è NI. La letteratura scientifica dice (in prevalenza) che non esiste ma (mio zio diceva sempre che tutto quello che viene prima di un ma non conta).
Ma la pratica contestualizzata, potrebbe in parte smentire la teoria.
Teoricamente tra teoria e pratica non ci dovrebbe essere differenza, ma praticamente ce né”.
Ormai da diversi anni preparatori natural riportano la loro esperienza sul campo. In soggetti ALLENATI, con una buona (bassa) % di massa grassa, un allenamento mirato e specifico per il dimagrimento degli arti inferiori, può risolvere diverse situazioni.

Le gambe (che poi anatomicamente sarebbero le cosce) di solito hanno una peggiore vascolarizzazione, una % sfavorevole di recettori, una sensibilità diversa agli estrogeni, ecc che le porta ad essere l’ultimo posto anatomico dove resiste il grasso ostinato.
Scopriamo se rispettando la fisiologia possiamo in qualche modo ricercare un reale dimagrimento localizzato.

Il dimagrimento localizzato non esiste nella teoria

dimagrimento localizzato non esiste

La cosiddetta scienza ufficiale nega la possibilità che si verifichi la spot reduction sostenendo che il dimagrimento è sempre e comunque generalizzato.

Negli anni questo aspetto ha incuriosito alcuni ricercatori ed il dimagrimento localizzato è stato oggetto di diversi studi scientifici (tra i più famosi ricordiamo quello che prendeva in studio le braccia dei tennisti) le cui conclusioni non erano state positive e negavano l’esistenza di un effettivo dimagrimento localizzato; altri ricercatori sostengono che la spot reduction “esiste ma non è percepibile” ovvero non è rilevante ed altri ancora sostengono che si verifica ma è meno del 2-3% del totale.

Questi studi presentavano diversi limiti:

  • sono stati fatti su tempi relativamente brevi, non sufficienti per far si che si verifichi la spot reduction;
  • i soggetti presi in studio non svolgevano un allenamento finalizzato al dimagrimento localizzato nella zona tenuta sotto monitoraggio; quindi se mai si fosse verificato sarebbe stata una “conseguenza”, un “adattamento funzionale” allo sport praticato dalle cavie ma che comunque non aveva come fine ultimo quello di far dimagrire in una determinata zona del corpo (l’obiettivo del tennis non è perdere grasso sul braccio che impugna la racchetta!).
  • il numero di studi fatti fino ad oggi è comunque troppo basso per avere risultati definitivi.

Il dimagrimento localizzato esiste nella pratica?

dimagrimento localizzato esiste

L’aumento del lavoro – in particolare se di tipo “metabolico” – su un particolare distretto porta ad un aumento della capillarizzazione e della densità mitocondriale, fattori che favoriscono sia la lipolisi che il trasporto e l’ossidazione degli acidi grassi liberati, questo perché migliorando l’efficienza dei tessuti e rendendoli più efficienti, gli arriveranno più facilmente gli ormoni lipolitici, (le catecolammine, il GH, ecc.).

La vascologenesi è stimolata dall’ipossia, dal danno tissutale e dalle richieste metaboliche di un tessuto. Maggiore è il tempo in cui manca l’ossigeno, maggiore sarà il rilascio di fattori di crescita angiogenetici (come il VEGF, vascular endothelial growth factor). Più sarà alta la frequenza dello stimolo su un determinato distretto e più l’organismo percepirà la necessità di aumentare richieste metaboliche in loco, stimolando quindi la crescita di nuovi vasi (vascologenesi). Il danno muscolare genera infiammazione, e l’infiammazione porta con sé iperemia locale e sul lungo periodo genesi di nuovi capillari.

Ecco, la chiave sta proprio qua: sul lungo periodo! Se vi aspettate che questi specifici adattamenti si verifichino in tempi brevi, state pur certi che la spot reduction non esiste.

In generale, in una situazione di % di massa grassa piuttosto bassa, si può ottenere un miglioramento della condizione localizzata con l’aumento del lavoro locale, anche grazie ad un miglioramento della gestione dei liquidi. Questo discorso si presta molto bene per il dimagrimento localizzato nella gambe (dove risiede il 50% della nostra muscolatura), è molto dubbio invece il dimagrimento localizzato nella pancia, dove i fasci muscolari sono molto più sottili e metabolicamente molto meno importanti.

Strategie per il dimagrimento localizzato

strategie dimagrimento localizzato

Tornando al tema principale dell’articolo, ovvero l’allenamento delle gambe per ottenere un dimagrimento localizzato, va sottolineato che in presenza di cosce e glutei piuttosto grassi il problema centrale sono gli estrogeni e l’effetto che questi hanno nella parte inferiore del corpo, ovvero di limitare la proliferazione dei recettori beta adrenergici.

Quindi per far si che questa acidità locale si traduca effettivamente in una perdita di tessuto adiposo, è necessario un ambiente metabolico lipolitico. Per enfatizzare questo processo è consigliato iniziare l’allenamento in uno stato lievemente ipoglicemico (o al mattino a digiuno oppure evitando l’assunzione di cibo nelle ore precedenti l’allenamento), e di aumentare l’effetto lipolitico locale tramite l’assunzione di ammine simpatico-mimetiche prima dell’allenamento (es. caffè o caffeina, in piccole dosi pena l’effetto contrario); si potrebbe inoltre limitare l’azione negativa degli estrogeni assumendo dei beta-agonisti come ad esempio la Yohimbina che potrebbe avere degli effetti positivi sulla proliferazione dei recettori beta adrenergici.

Inoltre è importantissimo sottolineare che nel bodybuilding è fondamentale il fattore illusione: quando il muscolo scheletrico è sottoposto ad un processo di ipertrofia esso occupa un maggiore spazio, comprime lo spazio extracellulare tra le cellule adipose contro la pelle fino a che questa si adatta, ed il muscolo più voluminoso è più facilmente visibile. In altre parole un incremento del volume muscolare a parità di % di massa grassa su un determinato distretto lo renderà, in proporzione, comunque più magro.

E’ vero che l’allenamento lattacido – specie in situazioni di massa grassa non molto bassa – inibisce il drenaggio ma l’acqua c’è sempre tempo per gestirla: l’acidità locale provoca solo problemi momentanei di ritenzione idrica (al massimo misurabili in giorni).

Ma la caratteristica importante dell’acido lattico che è stata studiata non molti anni fa da un gruppo di ricercatori finlandesi è la capacità di quest’ultimo di incrementare l’afflusso sanguigno locale anche a livello di tessuto adiposo sottocutaneo e di determinarne una diminuzione qualora il corpo sia in uno stato generale di lipolisi: pertanto un lavoro prettamente lattacido localizzato può essere vantaggioso perché l’aumento dell’afflusso sanguigno in loco è finora l’unica metodologia di allenamento che abbia mostrato un effetto positivo ai fini di una spot reduction.

Riassumendo, per favorire la vascologenesi in un determinato distretto muscolare, aumentare la capillarizzazione e migliorare l’efficienza dei mitocondri:

  • alta frequenza di stimolo
  • tempi sotto tensione lunghi e medio-lunghi
  • lavoro prettamente metabolico

Ci tengo a sottolineare che questo tipo di lavoro che non va preso come sostituito del lavoro ipertrofico “classico”, né deve inficiare la buona riuscita di quest’ultimo.

Programma sul dimagrimento localizzato gambe

dimagrimento localizzato gambe

La nostra proposta pratica prevede un solo allenamento di gambe vero e proprio a settimana con fini ipertrofici – stile monofrequenza – in cui la priorità sarà data al carico ed al danno muscolare (magari si potrebbe finire con un leggero pompaggio sugli esercizi di isolamento) ed in aggiunta altri due richiami prettamente metabolici.

Lunedì

  • Allenamento gambe ipertrofico “classico” (in base al vostro programma)

Mercoledì                       

  • Hip Thrust 5 minuti no-stop con contrazione di picco 2 secondi
  • Leg press 1×100 in rest-pause
  • Step Stair master scaricando il peso sul tallone (enfasi glutei e femorali) 20’

Venerdì                     

  • Abduttor con busto in avanti 5 minuti no-stop con contrazione di picco 2 secondi
  • Squat bulgaro 1×100 in rest-pause
  • Step Stair master scaricando il peso sull’avampiede (enfasi quadricipite e polpacci) 20’

*Lo Step non va eseguito con intensità tipica dell’allenamento “cardio” tanto per completare i minuti previsiti, ma anzi dovrà essere un lavoro lento e preciso in cui andremo ad applicare una resistenza piuttosto alta e ogni passo dovrà avere l’attenzione che dedicheremmo ad una ripetizione in una serie con i pesi: un vero e proprio lavoro muscolare!

L’articolo sul dimagrimento localizzato nelle gambe è di Marcello Delfitto
Personal trainer e BB Natural agonista. Profilo FB

L'articolo Dimagrimento localizzato nelle gambe: possibile? proviene da Project inVictus.


Natural Peaking: Diario di una trasformazione corporea

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E’ possibile cambiare rapidamente, in Italia, il mondo del Natural Bodybuilding?
SI, se il metodo si chiama Natural Peaking.
4-5 anni fa la situazione era relativamente semplice. Chi si allenava da natural, facilmente seguiva metodi ed alimentazioni da Doped. Il motivo stava nelle alternative, non ce n’erano molte e spesso non funzionavano. Quindi andavano per la maggiore diete low carb/chetogeniche per perdere peso ed allenamenti con tecniche ad alta intensità.

Senza farmaci lo stess organico elevatissimo, portava atleti natural svuotati sul palco.

Annalisa e Kristian hanno riportato alla luce quello che già negli anni 70 molti bodybuilder facevano, fondendolo con le evidenze scientifiche pubblicate negli ultimi anni.
Nasce cos il Natural Peaking il metodo più discusso ed accusato del momento.
Per rispondere ai tanti dubbi e perplessità, vediamolo nel pratico, come funziona con un caso studio, perché

solo chi conosce sceglie, altrimenti crede di scegliere“.

Natural Peaking: diario di una trasformazione corporea

metodo natural peaking

Di Annalisa Ghirotti e Kristian Montevecchi

“La teoria è fondamentale, ma senza la pratica non muove una foglia”, ci disse una sera di qualche anno fa, il nostro mental coach durante una corso di PNL. “I migliori coach del mondo non sono tali solo perché hanno studiato, ma perché, oltre ad avere studiato, hanno fatto tanta pratica, commesso tanti errori e maturato tanta esperienza sul campo”. Queste parole mi fecero venire in mente quanto mi disse Rehan Jalali, personal trainer di molte star di Hollywood, quando una sera, davanti ad una pizza fumante, gli chiedemmo quali fossero secondo lui le tre principali caratteristiche che dovrebbe avere un trainer di successo: “Aspetto fisico, carisma e… un ottimo database!” rispose.

Da pochi mesi avevamo iniziato la nostra prima esperienza di preparazione agonistica sotto la guida di Mike Lipowski, utilizzando l’approccio alimentare della “new school” americana basato su flessibilità, sostenibilità e buon senso. Nonostante avessimo studiato sui libri la teoria e i principi fisiologici che stanno alla base del dimagrimento “sano”, non avevamo ancora capito come applicarli in un percorso agonistico. Ci sono voluti due anni di esperienza guidata per iniziare a capire come padroneggiare il processo. E anche ora, con altri due anni di lavoro alle spalle e un database che raccoglie i dati e le esperienze di un centinaio di atleti, ci troviamo quotidianamente ad affrontare situazioni nuove e criticità inedite che da un lato ci portano a rimettere tutto in discussione, dall’altro ci danno lo stimolo per continuare a fare ricerca e sperimentazione.

In questo articolo, pertanto, non parleremo di teoria, ma vi faremo vedere “step by step” come, nella pratica, abbiamo gestito un processo di ricomposizione corporea (ipertrofia muscolare abbinata al dimagrimento) utilizzando il processo interativo che sta alla base del Natural Peaking. Qualcuno probabilmente storcerà il naso davanti a certe scelte, magari citando quanto sostiene il guru di turno sul suo blog  oppure lo studio pubblicato su Pubmed che afferma il contrario di ciò che abbiamo fatto. E’ questo il punto. Quando si tratta di individualità biochimica, l’esperienza fa da padrona. Come dice sempre Andrea Biasci citando Yogi Berra:

“Teoricamente tra pratica e teoria non ci dovrebbe essere differenza, praticamente ce né”.

17 gennaio 2015 – La partenza col Natural Peaking

Simone Gibbin, 33 anni, addetto in un supermercato del Polesine, si presenta nel nostro studio di consulenza ad un mese esatto da quando ci aveva chiamato per prendere l’appuntamento (oggi ci vogliono 6 mesi!). Il primo incontro, della durata di 2 ore e mezza, ci serve per conoscere la storia passata della persona, valutare il suo stato attuale dal punto di vista antropometrico, metabolico, posturale e del fitness generale e definire gli obiettivi da raggiungere.

Simone è alto 1,81 cm, pesa 98 kg, con una percentuale di grasso corporeo, stimata con bio impedenziometro a 6 sensori, di circa il 21% (20 kg di grasso) e una circonferenza del girovita pari a 94 cm.

Dal punto di vista morfologico e metabolico rappresenta il classico tipo “surrenalico” con buono sviluppo dell’apparato osteomuscolare e ottime proporzioni fisiche. E’ anabolico e androgeno, ma tende ad accumulare grasso attorno alla vita e sulla parte alta della schiena oltre che su collo, stomaco e torace. A causa dello stress provocato da una situazione lavorativa molto complessa, tende ad avere il cortisolo sempre alle stelle.

simone gibbon prima del natural peacking

Oltre a questo, lo stile alimentare che ha adottato negli ultimi anni, fatto di 8 mesi di off season senza controllo sulle quantità e di diete estive con modalità chetogenica/metabolica, lo hanno reso un po’ insulino resistente, oltre che soggetto a frequenti picchi glicemici post prandiali seguiti da fenomeni di ipoglicemia reattiva. Tutto ciò lo ha portato ad accumulare nel tempo molto grasso viscerale. Dall’analisi del diario alimentare, che gli avevamo mandato via email chiedendogli di compilarlo quotidianamente, calcoliamo il suo consumo calorico medio, la ripartizione dei macronutrienti e verifichiamo le variazioni di peso e misure della circonferenza del girovita intervenute nel mese di rilevazione.

L’apporto calorico medio mensile è di 3.500 KCal.,composte da 433g di carboidrati, 254g di proteine e 85g di grassi medi mensili. Non essendoci state, nei 30 giorni di rilevazione, variazioni significative del peso e della circonferenza della vita, consideriamo queste calorie come indicative di un apporto di mantenimento.

Nel suo caso ovviamente non riteniamo necessario procedere ad alcun reset metabolico. Infatti, suddividendo le 3.500 kcal per il peso corporeo magro (78 kg), otteniamo 44,8 Kcal/kg massa magra, valore che indica un metabolismo “veloce” con un’alta capacità energetica ed una buona efficienza tiroidea, condizioni ideali per partire subito con il percorso di ricomposizione corporea.

L’obiettivo di Simone non è il semplice rimettersi in forma. Lui vuole vedere se, alla sua età, si può ottenere, senza usare farmaci, un aspetto fisico simile a quello di alcune persone di sua conoscenza che si allenano nella sua palestra e gareggiano nella categoria Men’s Physique in IFBB.

Poiché un obiettivo, per essere tale, deve essere definito con precisione, partiamo dalla percentuale di grasso corporeo tipica di un Men’s Physique in assetto da gara (6%) e, fissato quel valore come obiettivo, stabiliamo il peso corporeo, la massa magra e l’idratazione da raggiungere, tenendo conto del fatto che, per scendere a quei livelli così bassi di grasso, circa un quinto della perdita totale di peso potrebbe avvenire a discapito della massa magra.

analisi corporea

Un obiettivo, inoltre, deve essere definito in termini temporali, oppure rischia di trasformarsi in una semplice dichiarazione di intenti o in un sogno. Utilizzando le indicazioni che Alan Aragon e Lou Shouler forniscono nel libro “The lean muscle diet” sul ritmo ideale di dimagrimento, che ovviamente sarà decrescente al diminuire della % di grasso corporeo, abbiamo stimato in circa 38 settimane (9 mesi e mezzo) il tempo necessario a Simone per raggiungere il suo traguardo.

velocità dimagrimento

Poiché eliminare 16 kg di grasso in 38 settimane significa perdere mediamente 420 grammi di grasso a settimana, e poiché un grammo di grasso da consumare equivale a 7 Kcal,  in teoria avremmo dovuto applicare un taglio di 420 Kcal alla sua alimentazione.

Considerando però che il suo metabolismo è molto veloce e che probabilmente una buona parte delle calorie che consuma è dissipata sotto forma di calore, abbiamo deciso di partire con un taglio un po’ più consistente, anche se perfettamente all’interno dei limiti fisiologici di sicurezza, pari a 500 kcal.

Abbiamo quindi definito la quantità di proteine scegliendo un apporto di circa 2,7 g./kg massa magra obiettivo, per non allontanarci troppo dal suo apporto abituale, e quello dei grassi pari a 0,6 g/Kg di peso corporeo obiettivo. La differenza per arrivare alle 3.000 kcal stabilite ovviamente è costituita dai carboidrati.

  • PROTEINE: 2,7 X 73 = 200 g.
  • GRASSI: 0,6 X 73 = 44 g.
  • CARBOIDRATI = 3000 kcal – (4kCal X 200 g. + 9Kcal X 44 g.) = 1800 Kcal : 4Kcal/g.= 450 g

Invece che operare il taglio in un’unica soluzione, come le migliori teorie consigliano, noi abbiamo impostato una Fase di transizione di 4 settimane in modo da ricomporre gradualmente l’apporto dei macronutrienti e permettere al metabolismo ed al sistema digestivo di Simone di adattarsi al deficit calorico ed al minore apporto di proteine e grassi senza fargli avvertire troppo la fame.

L’apporto consigliato di acqua è di 5-6 litri al giorno che Simone, comunque, è già abituato a bere normalmente.

Come unica integrazione consigliamo: un multiminerale/multivitaminico ad alto dosaggio in due assunzioni (mattina e sera), 500 mg di magnesio citrato o pidolato in 2 assunzioni da 250 mg (mattina e sera) e 2 g. di Omega 3 al giorno.

Per quanto riguarda l’allenamento, poiché dalla valutazione posturale Simone ha evidenziato alcuni problemi di mobilità alle spalle, di attivazione del medio gluteo e di accorciamento dei femorali, i primi 15 giorni sono stati dedicati ad un protocollo da svolgere quotidianamente per migliorare queste criticità (Allenamento 1 – ripristino posturale).

Dal mese di febbraio siamo passati a un allenamento in split A-B da svolgere 4 volte alla settimana per 4 settimane e suddiviso in 5 parti: mobilità articolare, allenamento di densità a tempo sui movimenti fondamentali unilaterali e bilaterali, core training in isometria, condizionamento metabolico e stretching (Allenamento 2 – adattamento anatomico).

Abbiamo sviluppato questi schemi di lavoro, che personalizziamo sulla base delle esigenze individuali, allo scopo di stimolare un adattamento anatomico che vada a toccare quasi tutte le capacità condizionali: mobilità, stabilità, forza, potenza, resistenza muscolare, resistenza cardiovascolare, velocità ed equilibrio. Il lavoro in jump set e i protocolli di condizionamento metabolico, inoltre, hanno come obiettivo collaterale il miglioramento della sensibilità insulinica e della capacità ossidativa.

La nostra consulenza consiste nella verifica costante dei diari di allenamento e alimentazione, che Simone dovrà compilare quotidianamente e in un recall telefonico settimanale per valutare assieme i dati e ricevere un feedback sull’andamento del programma. Mensilmente è previsto il check dal vivo, con valutazione della composizione corporea, misurazione delle circonferenze e fotografie e, qualora necessarie, le spiegazioni degli esercizi e delle modalità per una loro corretta esecuzione.

18 Febbraio 2015 – La fase centrale del Natural Peaking

Dopo 4 settimane di transizione, 2 settimane di ripristino posturale e 2 settimane di condizionamento metabolico,  Simone si presenta al controllo mensile con evidenti segnali di miglioramento: 2 kg in meno di peso sulla bilancia, 2 punti % in meno di grasso corporeo e 4 cm di girovita e di fianchi. Massa magra inalterata. Nessun problema di fame.

natural peaking primo check in

L’unica questione che deve affrontare da lì a breve è l’impossibilità, per un paio di mesi, di allenarsi in palestra, a causa del cambio di gestione del supermercato in cui lavora. I suoi orari di lavoro, infatti, non saranno compatibili con gli orari di apertura della palestra. Per affrontare queste evenienze, che ricorrono periodicamente nel corso degli anni, Simone ha attrezzato il garage di casa con panca, bilancieri, manubri, rack e sbarra per le trazioni. Inoltre, sempre a causa del lavoro, non riuscirà ad allenarsi più di 3 volte a settimana.

Nel preparargli la scheda di allenamento successiva abbiamo pertanto dovuto tenere conto di questa situazione e abbiamo progettato un programma di 8 settimane di “preparazione alla forza” in split A-B-C con:

  • una coppia di esercizi di riscaldamento/mobiità in jump set,
  • una coppia di esercizi fondamentali antagonisti o distali sempre in jump set, ma alternando una settimana con un 5X5 ad esecuzione molto lenta con i fermi (esclusa l’ultima ripetizione da fare esplosiva) e una settimana con un 3X8 ed esecuzione lenta e controllata sempre con i fermi,
  • una coppia di esercizi di condizionamento metabolico ad alta intensità a corpo libero (allenamento 3).

Abbiamo determinato i carichi di lavoro da utilizzare in questa fase dopo avere verificato, con alcuni test, l’esecuzione degli schemi motori fondamentali sotto carico.

Anche per quanto riguarda l’alimentazione, abbiamo operato alcune modifiche al piano della fase centrale per adeguare l’apporto di macronutrienti e calorie al minor numero di allenamenti settimanali. Dal piano di partenza basato su una ripartizione ON-OFF 4:3 siamo passati ad un’onda HIGH-MEDIUM-LOW 1:2:4, riducendo l’apporto calorico medio giornaliero di circa 100 Kcal e modificando la proporzione dei macronutrienti medi come segue:

  • PRO: 210 (+10)
  • FAT: 38 (-6)
  • CHO: 429 (-21)

(Alimentazione Onde HIGH-MEDIUM-LOW)

27 Marzo 2015

Al secondo controllo, dopo altre 5 settimane di dieta ed allenamento, il peso sulla bilancia è sceso a 90,4 kg (-3,7 kg) ed il grasso corporeo al 17% (-2%). Anche la misura del girovita è scesa di altri 3 cm arrivando a 90 cm. La massa magra è rimasta ancora sostanzialmente intatta. L’idratazione per la prima volta è salita sopra al 60% e anche il grasso viscerale ha iniziato a dare segnali di diminuzione. Anche visivamente il miglioramento è evidente.

Natural peaking secondo check in

Simone ci riferisce che mentre nei giorni di riposo dall’allenamento avverte un po’ di fame, quando si allena ha meno appetito. Il giorno HIGH fa addirittura fatica a finire i 500g. di carboidrati previsti. Decidiamo di assecondare queste sue sensazioni e rimoduliamo la distribuzione dei macronutrienti mantenendo sostanzialmente costanti le calorie settimanali, ma programmando una strategia ON-OFF 3:4 inversa, con proteine e grassi costanti e con i giorni ON, a tenore di carboidrati poco più alto, in corrispondenza dei giorni di riposo.

(Alimentazione ON-OFF 3:4 inversa)

24 Aprile 2015

Dopo 4 settimane Simone si presenta nuovamente nel nostro studio per il check mensile facendo segnare sulla bilancia un peso di 87,1 kg (-3,3 kg) ed una percentuale di grasso corporeo del 15,3% (-1,7%) alla rilevazione impedenziometrica. Anche la circonferenza del girovita è scesa ulteriormente a 88,5 cm (-1,5 cm). Le sensazioni di fame, inoltre, sono sparite subito e non si sono più ripresentate per tutto il mese. La nostra strategia alimentare sta sortendo gli effetti sperati. Decidiamo di mantenerla inalterata per tutto il mese successivo. Come diceva Boskov: “squadra che vince, non si cambia!”

Natural peaking terzo check in

Per quanto riguarda l’allenamento invece, perdurando la situazione di difficoltà lavorativa e la conseguente impossibilità di allenarsi in palestra, decidiamo di sviluppare un protocollo di lavoro, con esercizi che Simone può eseguire utilizzando l’attrezzatura di cui dispone nella sua palestra casalinga, ma strutturato in jump set. L’obiettivo di questo programma, progettato secondo lo schema classico dell’allenamento per il Powerlifting, con tre sessioni settimanali e 12 settimane di lavoro (5 di basamento, 5 di densità e 2 di intensificazione), è di lavorare sulla tecnica di esecuzione dei movimenti fondamentali, per migliorare l’attivazione e mantenere la forza in modo da stimolare il mantenimento della maggiore quantità possibile di massa muscolare coadiuvando, nel contempo, il dimagrimento, grazie all’effetto metabolico dei jump set. Poiché questo programma di lavoro è in gran parte costruito utilizzando carichi in % di 1 RM, Simone dovrà provare i suoi massimali tecnici (ossia con tecnica di esecuzione corretta) degli esercizi fondamentali: squat, panca, stacco, press e rematore, oltre che il numero massimo di trazioni a corpo libero che è in grado di fare. (Allenamento Powerlifting MetCon).

30 Aprile 2015

Simone ci manda i video dei suoi massimali. Consideriamo valide solo le alzate singole eseguite con tecnica controllata e senza movimenti compensati.

  • squat:120
  • panca: 105
  • stacco: 120
  • rematore: 90
  • military press: 55
  • trazioni a corpo libero: 8

28 Maggio 2015

Al quarto controllo mensile il peso di Simone è ulteriormente sceso a 85,5 kg (-1,6 kg), la % di grasso corporeo è arrivata al 12,8% (-2,5%) e la circonferenza della vita a 87 cm (-1,5 cm). Tutte le circonferenze muscolari più importanti dal punto di vista del catabolismo (braccio, polpaccio, coscia mediana) sono rimaste sostanzialmente inalterate, a riprova di un buon mantenimento della massa magra.

Natural peaking quarto check in

Dall’analisi del diario giornaliero notiamo come il ritmo di dimagrimento però sia rallentato sensibilmente nelle ultime 2 settimane. Essendo l’apporto di acqua, complice anche il caldo, arrivato alla soglia dei 10 litri e non potendo pertanto agire su quella leva, decidiamo di apportare una piccola modifica al piano di Peaking, tagliando altre 150 Kcal medie giornaliere tramite una diminuzione dei grassi a 30 g. costanti al giorno, un incremento delle proteine a 230 g costanti al giorno e ciclizzando i carboidrati a 370 nei giorni OFF e 410 nei giorni ON, con un ritorno alla corrispondenza tra giorni ON e giorni di allenamento (Alimentazione ON-OFF 3:4).

Essendo finalmente cambiati gli orari di lavoro e riuscendo ora Simone ad allenarsi almeno un paio di volte la settimana in palestra, aggiungiamo al programma di “powerlifting metabolico” un Allenamento full body 30-20-15 con esercizi complementari ed accessori ad alto numero di ripetizioni (30-20-15) e con recuperi brevi di 45” da eseguire in un giorno OFF. Obiettivo di questo allenamento supplementare è da un lato di consumare quantità più importanti di glicogeno muscolare, dall’altro di iniziare a lavorare sul sarcoplasma per cercare il massimo pompaggio con carichi leggeri, senza raggiungere l’esaurimento a tutti i costi e senza pertanto provocare danni alle miofibrille che, in condizioni di alimentazione ipocalorica, potrebbero portare a catabolismo.

25 Giugno 2015

Quello che si presenta nel nostro studio 4 settimane dopo è un Simone completamente trasformato. Dalla verifica settimanale del suo diario alimentare e delle misure corporee avevamo notato una forte accelerazione nella perdita di peso e soprattutto nella diminuzione della circonferenza del girovita. Evidentemente l’arrivo dell’estate ha sortito i suoi effetti stimolando un aumento della produzione di adiponectina che, agendo sulle cellule adipose e muscolari, ha provocato un repentino switch metabolico grazie alla maggiore trascrizione delle “proteine disaccoppianti” (UCP) che hanno il compito di “sprecare” energia sotto forma di calore. Un segnale di questo fenomeno è l’aumento della temperatura corporea di Simone nel corso di queste 4 settimane da 36,6° a 36,9°. Il metabolismo di Simone in pratica è entrato in modalità “consumo”. Questo è uno dei motivi per cui riteniamo poco sensato fare gare di bodybuilding Natural in Aprile o Maggio. Non potendo sfruttare il vantaggio termogenico dell’adiponectina, la preparazione diventa molto più dura da sostenere oltre che comportare un maggior catabolismo. Il momento ideale per fare gare Natural è tra fine settembre e metà novembre!

Tornando a noi, il peso di Simone è sceso a 82,9 Kg (- 2,6 kg), la % di grasso corporeo è al 9,2%  (-3,6%!) e la circonferenza della vita è arrivata addirittura a 83 cm (- 4 cm!). La massa magra continua a mantenersi costante, mentre l’idratazione è salita al 67,4%. Sempre secondo la logica della “squadra vincente non si cambia”, decidiamo di mantenere inalterata la strategia alimentare.

Natural peaking quinto check in

23 Luglio 2015

Al controllo di Luglio, Simone ci stupisce ancora! Il peso è sceso a 81 kg (-1,9 kg), la % di grasso corporeo è arrivata al 7,5% (-1,7%), l’idratazione al 70,9% e la circonferenza della vita ha raggiunto gli 82 cm (- 1 cm).  Le sue condizioni di forma sono impressionanti. L’obiettivo del 6% di grasso potrebbe essere raggiunto con un mese o due di anticipo rispetto al programma iniziale. Dall’analisi bio-impedenziometrica, però, questa volta rileviamo una lieve diminuzione della massa magra. Per sicurezza verifichiamo le circonferenze più significative ai fini della valutazione del catabolismo e notiamo che effettivamente le misure di braccio, coscia mediana e polpaccio sono diminuite di circa di 1 cm, troppo per essere l’effetto della sola perdita di grasso.

Natural peaking sesto check in

Decidiamo pertanto di intervenire modificando il piano alimentare con un incremento dell’apporto di carboidrati di 10 grammi a settimana per le prossime 4 settimane (v. Alimentazione ON-OFF 3:4 – Risalita). L’obiettivo è di bloccare la perdita di massa magra sul nascere, senza però compromettere il dimagrimento. Per quanto riguarda l’allenamento, la prossima settimana, al termine dell’ultima fase del programma di “forza metabolica”, Simone riproverà i massimali sulle alzate principali. Dopodiché inizierà una nuova scheda di 4 settimane, con 3 allenamenti in SPLIT A-B-C  da fare a casa, dal momento che, per tutto il mese di Agosto, la palestra in cui si allena chiude per ferie. Questa scheda è un modello ibrido ad alta densità di lavoro. Ciascun allenamento è composto da:

  • Due esercizi fondamentali in modalità “mantenimento forza” a volume crescente (da 6 a 9 serie nel corso delle 4 settimane) con il 60-65% del massimale.
  • Una coppia di esercizi complementari antagonisti in jump set con 3 serie da 8-10 ripetizioni ad intensità crescente nel corso delle 4 settimane (ad esclusione delle gambe)
  • Una coppia (terna nel caso di spalle e braccia) di esercizi accessori in jump Set con 3 serie da 12-15 ripetizioni ad intensità crescente nel corso delle 4 settimane
  • Due esercizi per l’addome o i Polpacci con 4 serie da 10-15 ripetizioni ad intensità crescente per il primo esercizio seguito da 3 serie ad alte ripetizioni ed esaurimento all’ultima serie (3×30-20-max) per il secondo esercizio.

 (Allenamento ibrido ABC).

31 Luglio 2015

Simone ci manda i video dei suoi nuovi massimali. Come abbiamo fatto 3 mesi fa, consideriamo valide solo le alzate singole eseguite con tecnica controllata e senza movimenti compensati.

  • squat:140 (+ 20 kg)
  • panca: 120 (+ 15 kg)
  • stacco: 130 (+ 10 kg)
  • rematore: 100 (+ 10 kg)
  • military press: 60 (+ 5 kg)
  • trazioni a corpo libero: 12 (+ 4)

Questi miglioramenti sono un chiaro esempio di come il luogo comune secondo cui in fase di “cut” sia normale perdere forza non abbia alcun fondamento fisiologico. La perdita di forza, in cui la maggior parte degli atleti Natural incorre durante il dimagrimento, non è dovuta al dimagrimento in sé, ma alle strategie alimentari utilizzate (spesso troppo estreme) e all’utilizzo di modalità allenanti che, oltre a decondizionare la forza massimale, portano ad un incremento della lisi muscolare invece che coadiuvare il suo impedimento.

25 Agosto 2015

Quando alla fine di agosto Simone si presenta nuovamente nel nostro studio per il controllo mensile, restiamo piacevolmente sconvolti. La pelle, sottile come carta velina, fa emergere una vascolarizzazione impressionante. Non ci saremmo mai aspettati una risposta metabolica di tale portata dopo sole 4 settimane di risalita così lieve dei carboidrati. La bilancia segna il nuovo record di 78,4 kg (-2,6 kg), l’impedenziometria dice 6,3% (-1,2%) di grasso corporeo e 71,3% di idratazione, la circonferenza della vita è arrivata a 80,5 cm (-1,5 cm).  Massa magra e circonferenze antropometriche significative questa volta sono rimaste pressoché invariate. Il correttivo ha funzionato alla grande. L’obiettivo del 6% di grasso corporeo è ormai a portata di mano!

Natural peaking settimo check in

Considerati gli straordinari risultati raggiunti, proponiamo a Simone di alzare l’asticella dell’obiettivo e dare una degna conclusione all’ottimo lavoro fatto fino ad ora: partecipare al campionato italiano NBFI (bodybuilding natural) nella categoria Men’s Physique. Mancano ancora 8 settimane. Abbiamo tutto il tempo per ottimizzare la condizione e presentarci sul palco al top della forma possibile. Come immaginavamo non servono molte parole per convincerlo ad accettare la sfida!

Per definire la strategia alimentare da seguire per le prossime 4 settimane, analizziamo ed elaboriamo i dati registrati sul diario alimentare negli ultimi 3 mesi: macro e variazioni giornaliere di peso e misure. Quindi valutiamo la risposta di Simone all’incremento dei carboidrati e le sue sensazioni in allenamento e nei giorni di riposo. Ci dice che, dopo l’inizio della risalita dei carboidrati, ha iniziato gradualmente ad avvertire sempre più fame e che, soprattutto nell’ultima settimana, avrebbe mangiato volentieri molto più di quanto era previsto. Inoltre mentre al termine della scheda di forza metabolica si sentiva un po’ stanco e scarico, durante e dopo l’allenamento, ora con la nuova scheda le cose andavano meglio e riusciva a spingere fino alla fine. Anche nei giorni di riposo la sensazione di fame, soprattutto verso sera, era gradualmente aumentata. I segnali sono abbastanza chiari: è iniziata la fase di costruzione metabolica! Decidiamo di proseguire l’incremento di carboidrati aggiungendo 10 grammi ogni 3-4 giorni e lasciando invariate proteine e grassi. (Costruzione Metabolica 1). Decidiamo anche di intervenire sull’integrazione, che fino ad ora non era stata mai variata rispetto alle indicazioni iniziali, inserendo 3 grammi di creatina monoidrata, 3 grammi di beta alanina e 4 grammi di BCAA a elevato apporto di leucina come pre e post workout. Nei giorni di riposo due assunzioni a metà mattina e metà pomeriggio di 2 grammi di creatina e 2 di beta alanina.

Per quanto riguarda l’allenamento, considerata la riapertura della sua palestra, apportiamo alcune modifiche al programma ibrido in corso, aggiungendo una quarta sessione di lavoro e impostando un modulo 3:1 (3 settimane di carico ed una di scarico).

La nuova split routine è così composta:

  • A: petto orizzontale – schiena orizzontale – addome
  • B: cosce – glutei – femorali – polpacci
  • C: petto diagonale – schiena verticale – addome
  • D: estensione dell’anca – spalle e braccia

Gli esercizi fondamentali sono eseguiti in modalità “mantenimento forza”, con eccentriche lente, fermi in basso su squat e panca, salita lenta fino al ginocchio nello stacco, e con carichi calcolati sulle percentuali, volume a decrescere ed intensità a salire. Gli esercizi complementari e accessori sono eseguiti sempre in jump-set, con movimenti lenti e controllati, con buffer decrescente (e quindi con intensità a crescere) fino a raggiungere l’esaurimento solo all’ultima serie e solo nella terza settimana. Unica eccezione sono addome e polpacci, con alti volumi di lavoro ed esaurimento all’ultima serie di ogni allenamento. Diciamo a Simone di saltare l’ultima settimana della scheda precedente, che ancora doveva fare, e di iniziare subito questo nuovo programma. (Allenamento Pre-Contest 1)

19 Settembre 2015

Meno di 4 settimane dopo rivediamo Simone a Parma in occasione dell’inaugurazione della Parma Powerlifting Gym di Elisa Vinante. La sua condizione fisica è perfetta, con volumi muscolari eccellenti. Potrebbe indossare i bermuda e salire subito sul palco per gareggiare! La bilancia segna 78,8 kg (+0,3), l’impedenziometria stima il 5,9% di grasso corporeo (-0,4%): obiettivo raggiunto!! La circonferenza della vita inoltre è scesa ancora sensibilmente toccando gli 80 cm (-0,5 cm). Tutte le misure muscolari sono rimaste inalterate ad eccezione della circonferenza del torace che è addirittura aumentata di 3 cm! La costruzione metabolica sta funzionando alla perfezione.

Natural peaking ottavo check in

Decidiamo di proseguire questa fase continuando a incrementare l’apporto di carboidrati fino alla settimana della gara. Pianifichiamo pertanto un piano alimentare “pre contest”, ipotizzando anche una possibile “Peak Week”. Ovviamente i valori programmati sono solo indicativi e potranno essere oggetto di modifica in corso d’opera sulla base dei feedback di Simone, dell’andamento delle rilevazioni giornaliere di peso e misure, ma soprattutto delle foto che, in questa fase, dovremo valutare con cadenza settimanale (Alimentazione Pre Contest + Peak Week). Per quanto riguarda l’integrazione, l’unica indicazione che diamo a Simone è di raddoppiare la dose di multiminerale e di portare a circa 3,5 grammi al giorno l’apporto di sodio. Questo perché l’elevata quantità di acqua che sta bevendo (per sentirsi bene viaggia dai 10 ai 12 litri al giorno) porta il suo corpo ad eliminare quella in eccesso in modo consistente, provocando una perdita di minerali. Se a causa di questa perdita i livelli di sodio e di altri minerali fondamentali scendono troppo, il rischio è di non riuscire a mandare i carboidrati e l’acqua nelle cellule muscolari in modo efficiente e di apparire piatto.

Per quanto riguarda l’allenamento prepariamo una scheda con una base per l’attivazione neurale e il mantenimento della forza, sempre in modalità metabolica, mettendo in jump set da eseguire con il sistema di derivazione Tacfit “Each Minute on The Minute” per 12 minuti, coppie di esercizi fondamentali antagonisti o distali. Poi, tanto lavoro sarcoplasmatico con le J-REPS, in modo da consumare elevate quantità di glicogeno muscolare e ottenere il massimo pompaggio. (Allenamento Pre Contest 2)

17 Ottobre 2015

Simone si presenta sul palco NBFI di Figline Valdarno con un peso corporeo a digiuno al mattino di 81 kg (+ 2,2 kg) e una circonferenza della vita di 79 cm (-1 cm!). Questo è l’effetto della costruzione metabolica! I volumi, il tiraggio e l’aspetto generale lo rendono molto più simile a un Bodybuilder che a un Men’s Physique. Per questo probabilmente viene un po’ penalizzato e si classifica al quarto posto della sua categoria. Per quest’anno va bene così. Non avremmo avuto il tempo di preparare il posing da bodybuilding e la routine coreografica. Inoltre le sue gambe non sono ancora all’altezza della parte superiore. Ci penseremo il prossimo anno, dopo un bel periodo invernale dedicato alla costruzione di nuova massa e al bilanciamento della simmetria.

natural peaking metodo

La gestione dell’ultimo mese prima della gara ha rispettato sostanzialmente il piano previsto. Abbiamo fatto qualche modifica solo all’apporto di sodio, che siamo andati ad aumentare a circa 4 grammi durante la “Peak Week” per massimizzare la ritenzione di glicogeno e acqua intramuscolare.  In quella settimana, per bilanciare, abbiamo anche aumentato di circa 1 g. l’assunzione giornaliera di potassio, ma solo aumentando l’apporto di alimenti e spezie che lo contengono in quantità elevate: banane, funghi secchi, pomodori, tonno a pinne gialle, prezzemolo, basilico, curcuma, paprika, peperoncino, pepe di cayenna…

Conclusioni sul Natural Peaking 

Se avete avuto la pazienza e la costanza di leggere tutto questo racconto, vi sarete accorti di quanto la preparazione di Simone sia stata condotta in modo molto semplice, senza alcun tipo di estremismo, senza restrizioni alimentari eccessive, senza allenamenti estenuanti e senza buttare via soldi in chili di inutili integratori. Questo è un esempio pratico di ciò che noi intendiamo per “preparazione flessibile e sostenibile”. La flessibilità è la possibilità di gestire a propria discrezione la scelta qualitativa degli Alimenti, nel rispetto dei macronutrienti previsti per la giornata. La sostenibilità è la possibilità di seguire con costanza un regime alimentare e un programma di allenamento per molti mesi, senza avvertire disagi psicofisici, senza crearsi problemi di salute e senza svuotarsi il portafoglio. E’ chiaro che la sostenibilità è un concetto soggettivo. Ciò che è stato perfettamente sostenibile per Simone, che ha sempre affermato di non avere mai sofferto alcun disagio perché non si è mai sentito a dieta durante il percorso, potrebbe non esserlo, soprattutto psicologicamente, per altre persone. Del resto il bodybuilding non è uno sport adatto a tutti….

 Un discorso a parte va fatto per la semplicità. Noi tutti, negli ultimi 20-30 anni, siamo stati “educati” dai guru di turno, dalle riviste (prima) e da quanto passa per il web (oggi) a credere che l’efficacia di un sistema (allenante o alimentare) sia direttamente proporzionale al suo livello di complessità. Invece la lezione più importante che abbiamo imparato negli Stati Uniti è racchiusa in un acronimo che, tante volte, ci siamo sentiti ripetere dagli atleti e dai preparatori con cui abbiamo lavorato. “K.I.S.S”, che significa: “Keep It Simple Stupid!”.

Allora, perché gran parte dei sedicenti esperti del nostro settore continua a proporre metodi e sistemi di preparazione complessi e, spesso, estremi? La risposta è molto semplice: perché fanno vendere! Prendete quel noto modello di ricomposizione corporea che vi dice di mangiare 50 o 100 grammi di carboidrati al dì per tre giorni consecutivi per poi, dopo l’allenamento del giovedì e per tutto il venerdì, farvi ricaricare con 16 grammi di carboidrati per kg di peso, e quindi scendere, il sabato a 4-5 g, e la domenica a 2-3 g.  Un approccio come questo attrae più per il fascino che esercita la sua complessità e per come fa sentire chi decide di provarlo che per i risultati che fa ottenere. Nel medio termine, infatti, a parità di calorie e macronutrienti, otterrete gli stessi identici risultati utilizzando una semplice ciclizzazione ON-OFF con un 20-25% di differenza nell’apporto dei carboidrati e introducendo un REFEED ogni tanto nelle ultime settimane. Anzi, molto probabilmente questi risultati saranno anche migliori, perché non vi sarete stressati, soffrendo la fame per 3 giorni consecutivi, e non avrete appesantito il sistema digestivo abbuffandovi come coccodrilli per i due seguenti. Inoltre vi sarete risparmiati i soldi di tutti gli integratori che, guarda caso, fanno parte integrante del programma alimentare.

Ricordate infine che l’uso protratto nel tempo di modelli nutrizionali squilibrati e “estremi” è una delle prime cause di sviluppo di alcune forme di disturbo compulsivo del comportamento alimentare come il “binge eating”. Se volete ottenere risultati straordinari e mantenervi in salute nel tempo, pertanto, dovete fare 3 cose: studiare i princìpi fondamentali dell’alimentazione su Project Nutrition, usare sempre il buon senso e… Keep It Simple, Stupids!

Note sugli autori

Il Natural Peaking è stato ideato da Annalisa e Kristian. Hanno fuso la teoria e le evidenze scientifiche con l’esperienza dei migliori preparatori americani (con cui si incontrano annualmente). Annalisa è una delle migliori atleta mondiali di Bodybuilding Natural nella sua categoria.
Scopri di più sulla pagina FB, conosci i suoi ideatori Annalisa Ghirotti e Kristian Montevecchi .

Visita il sito di Annalisa

 

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Il dimagrimento nella donna

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Nel mondo del Bodybuilding vi sono due grandi categorie di interventi: quelli che riguardano l’uomo e quelli “unisex”, il che porta noi donne ad estrapolare alcuni concetti da una parte, altri da un’altra, dimezzare i quantitativi di qualsiasi cosa ed essere in poche parole trattate come “piccoli uomini”. Questo approccio è sbagliato. Mentre infatti alcuni principi di fisiologia sono universali (sistemi energetici, modalità di contrazione muscolare etc..) altri vanno a differirsi profondamente tra uomo e donna. Insomma, se ci sono estreme differenze tra individuo e individuo possono non essercene tra due sessi differenti?

Il vero problema è che la donna presenta molte problematiche. Siamo complesse, non solo all’interno delle relazioni (come piace pensare ai maschietti) ma in generale. Si pensi anche semplicemente al ciclo mestruale, alle fasi che attraversa e alle ripercussioni che ha da un punto di vista della performance in primis ma anche della composizione corporea. Variazioni in acuto che rendono difficile l’applicazione di metodologie come progressioni di Forza (che prevedano un aumento progressivo del carico), preparazioni alle gare, periodizzazioni ondulate etc..

Tratterò molte problematiche in successivi articoli nei quali illustrerò alcune possibili soluzioni e metodologie da applicare alla donna. In questo frangente però andremo ad analizzare quelli che sono i principi alla base della “definizione” per la donna. In altre parole risponderemo alla domanda “qual’è la strategia migliore, per una donna, per dimagrire?

Inquadrando bene l’assetto ormonale e fisiologico vedremo come un lungo e progressivo deficit energetico risulti la scelta ottimale.

Differenze tra uomo e donna | Bad News

differenze donna uomo

Cerchiamo anzitutto di dare dei principi generali riguardo le differenze uomo-donna.

Anzitutto le donne sono tendenzialmente più inclini all’obesità. Si tratta di un’osservazione epidemiologica ma risulta comunque utile ai nostri fini. Le donne hanno difatti più difficoltà dell’uomo a bruciare grasso e perdere peso, questo sembra essere dovuto in primis al NEAT (non exercise activity thermogenesis) ossia il dispendio energetico indotto da attività diverse dall’allenamento. Nell’uomo si è visto un aumento del NEAT in seguito ad un periodo di overfeeding, nella donna questo aumento è drasticamente più basso. C’è dunque una minor regolazione dell’omeostasi o meglio, essa tende a portare la donna ad un livello di massa grassa maggiore.

Altro fattore determinante riguarda la variazione del QR (quoziente respiratorio) in seguito ad un pasto (teniamoci sul generico). Per chi non lo sapesse, grazie al QR possiamo verificare quali sono i substrati energetici che il corpo utilizza. Ebbene nell’uomo vi è comunque sempre un parziale utilizzo di grasso, anche in presenza di insulina, cosa che non avviene nella donna. Questo dato è estremamente importante ai fini dell’impostazione del meal timing nella donna.

Ancora, la donna tende ad un accumulo di grasso sottocutaneo (più difficile da rimuovere) mentre l’uomo tende ad un accumulo viscerale che viene mobilizzato più velocemente).

La donna, mettiamoci il carico da novanta, rispetto all’uomo perde meno peso a parità di deficit calorico (dunque se, per esempio, sia uomo che donna stanno a 500kcal di deficit energetico, il primo perderà più peso).

La risposta della donna, in generale, allo stress è forte, più forte rispetto a quella dell’uomo. Possiamo dire che il corpo tende a mantenere l’omeostasi (o il set point) in maniera più marcata ed ostinata. Questo può esser dovuto a ragioni fisiologiche di sopravvivenza. La donna, durante una gravidanza, deve tenere in gestazione il bambino, farlo nascere, allattarlo e crescerlo. Questo porterà, come vedremo in successivi articoli, ad importanti conseguenze per la programmazione annuale di allenamento e alimentazione nella donna.

Differenze tra uomo e donna | Good News

differenze uomo donna

Ho detto prima che, a parità di deficit calorico la donna perde meno peso rispetto all’uomo, ma perchè questo? In fondo il deficit energetico è lo stesso. Il punto è che, tendenzialmente, la donna perde PIU’ grasso e meno LBM (massa magra). Stupiti? Non dovreste. La donna ha un quadro ormonale in un certo senso favorevole, questo perchè gli estrogeni (più presenti nella donna) hanno un buon potere anabolico. Difatti i nostri simpatici amichetti interagiscono con i recettori RE-beta che sembrano portare ad un aumento della massa magra per mezzo degli ormoni IGF-1 e GH  . Oltre a questo consideriamo anche che un giusto livello di estrogeni porta ad un aumento dell’uptake di glucosio a livello muscolare favorendo l’aumento o, in questo caso, il mantenimento, della massa magra.

Chiariamo subito un punto, il livello di estrogeni, quando troppo alto, porta ad un peggioramento di questa situazione divenendo controproducente in termini di mantenimento della massa muscolare e di perdita della massa grassa. Sappiamo bene che questo livello dipende anche dalla percentuale di grasso, per questo motivo il nostro assetto ormonale sarà in realtà sfavorevole nel momento in cui inizieremo la nostra dieta (se siamo alte di BF). Eppure questo periodo sarà molto proficuo in quanto vi è un fattore che ha prevalenza: il corpo tenderà a perdere maggior grasso in quanto, per via delle ampie scorte, sarà più “sacrificabile” a scopo energetico. Si tratta di semplici principi di economia, il classico grafico dei due panieri (n.b. non ho studiato economia).

Altra piccola bella notizia per le donne. Durante la gestazione e l’allattamento la mobilitazione del grasso risulta più facile, questo, verosimilmente, è dovuto al fatto che esso deve andare a formare il cibo per la sopravvivenza del bambino. In altre parole riprendere forma dopo il parto non è poi un’impresa così impossibile!

Periodo di definizione nella donna | Dieta

donna dieta

Veniamo dunque a noi e vediamo come impostare l’approccio alimentare per il nostro periodo di definizione. Possiamo distinguere due diverse fasi: una prima fase nella quale la BF sarà tendenzialmente alta, diciamo sopra il 20%, una seconda fase in cui la BF inizierà ad essere buona fino a calare sempre di più (scendendo sotto il 13-14%). Si tratta di valori “standard” quindi non prendeteli come verità escatologiche da tenere ben a mente.

 Prima fase

In questa prima fase, abbiamo visto, la percentuale di massa grassa sarà abbastanza elevata ed il corpo non la riterrà indispensabile. La diminuzione delle calorie porterà, come conseguenza, una diminuzione del metabolismo basale, in maniera sicuramente più drastica che nell’uomo, però non così tanto drastica. In questo contesto potremo dunque prenderci dei “lussi” in più e scendere in maniera più veloce. Possiamo ipotizzare quindi di inserire un deficit calorico del 20% in c.ca 6-8 settimane. In altre parole una ragazza che stava sulle 2000kcal arriverebbe a 1600kcal. Di nuovo, si tratta di stime, ognuno reagisce a modo proprio. Il concetto è quello di scendere lentamente ma in maniera non esagerata. In questo contesto risulterà utile inserire dell’attività cardiovascolare o dei circuiti (oltre all’allenamento in palestra), risulta comunque consigliato lavorare con metodologie di HIIT. Il deficit calorico dovrà dunque essere determinato  per il 50-75% dall’attività fisica e per il restante 25-50% dal deficit calorico stesso. Questo ci permetterà di mantenere attivo il metabolismo, la funzionalità metabolica e, conseguentemente, il nostro NEAT, il dispendio a riposo e lo stare in fisiologia. Dopo questo primo periodo (6-8 settimane) il deficit calorico dovrebbe prendere sempre più piede. Aumentare il Volume d’allenamento, infatti, potrebbe portarci in sovrallenamento sul lungo periodo. Il consiglio è quello di scendere di c.ca 80kcal ogni 2-3 settimane o comunque ogni volta che ci ritroviamo in uno stallo da un punto di vista della composizione corporea.

 Seconda fase

La seconda fase è quella che riguarda ragazze sotto il 18-20% di BF. In questo caso l’assetto ormonale è sicuramente favorevole al mantenimento dell LBM ma il corpo sarà più brutale nel mantenere l’omeostasi e sacrificarla con deficit troppo spiccati. Il punto di partenza sarà quello di una situazione di fatto isocalorica, infatti, sia se iniziamo da ora il periodo di definizione, sia se arriviamo da quella che abbiamo identificato come “prima fase”, l’output energetico sarà equivalente all’input (per esser chiari, nel secondo caso l’output sarà minore per via dell’abbassamento del metabolismo).

Il deficit energetico che dovrà crearsi dovrà essere ora minimo. In questo modo manterremo il più possibile la LBM e la composizione corporea ne trarrà estremo beneficio. Suggeriamo pertanto un down calorico di c.ca 50kcal ogni 2-3 settimane o ogni volta che ci ritroviamo in uno stallo del peso. L’allenamento cardiovascolare dovrà esser ridotto ma non eliminato andando a rappresentare il 25-50% del nostro deficit calorico. In questo modo teniamo a bada problematiche di sovrallenamento o stress eccessivo. Un altro consiglio è quello di ridurre o eliminare l’HIIT e scegliere metodologie più blande come il LISS (steady state low intensity).

Meal Frequency e ripartizione dei nutrienti 

frequenza pasti

Non abbiamo ancora espresso nessuna considerazione riguardo il timing dei nutrienti e la frequenza dei pasti da seguire. Non è questa la sede in cui mi dilungherò ad analizzare queste tematiche, tra l’altro già ampiamente espresse e analiticamente studiate in altri articoli del Project a cui vi rimandiamo col link sopra.

Faremo solo un breve ripasso per rinfrescare la memoria ai più (e dare un’infarinata generale agli altri).

Ogni quanto mangiamo non è poi così rilevante. Tutti noi ingrassiamo quando c’è un eccesso d’energia nei mitocondri. Questo avviene quando all’interno del flusso ematico sono presenti nel contempo alti zuccheri e alti trigliceridi. Dovendo scegliere uno di questi due carburanti, il nostro corpo si orienterà in direzione dei carboidrati, e i grassi prima presenti nel vostro pasto si sistemeranno belli comodi nella vostra ciccia. Ricordate che prima abbiamo parlato della variazione del QR e abbiamo visto che nell’uomo vi è sempre un parziale utilizzo di grasso anche se c’è contemporaneamente insulina, contrariamente a quanto avviene nella donna? Bene. A maggior ragione, per impostare il timing dei nutrienti, noi donne dobbiamo fare attenzione ad evitare la commistione di questi due macronutrienti (grassi e carboidrati) nello stesso pasto (ovviamente è una finezza è il surplus o il deficit a fare la differenza).

Risulterà pertanto logico scegliere di assumere un alto apporto di carboidrati a ridosso dell’allenamento (pre/intra/post workout). Questo perché in seguito all’attività sportiva svolta il nostro organismo è spinto a ripristinare le scorte energetiche parzialmente depletate (o depletate nel caso in cui si è svolto un lavoro in endurance). Pertanto, essendo la DNL inibita e i GLUT-4 più recettivi, l’assetto metabolico risulta particolarmente incline all’assunzione di glucidi, la quale tra l’altro non causerà uno shift metabolico a scapito dell’ossidazione lipidica, conducendo piuttosto ad un partizionamento dei nutrienti a favore del muscolo e a discapito del grasso (i nutrienti verranno captati più facilmente dal miocita e non dall’adipocita).

Inoltre, un pasto pesante, troppo glucidico ed eccessivamente condito, produce un effetto negativo sulla motilità gastrica, affaticando e rallentando il processo digestivo.

Periodo di definizione nella donna | Allenamento

donne dimagrimento

Per quanto riguarda l’allenamento abbiamo fatto solamente qualche cenno all’allenamento cardiovascolare nelle diverse fasi, vedremo invece adesso come impostare l’allenamento con i pesi.

Inutile soffermarsi su quanto sia fondamentale ed utile il lavoro con sovraccarichi in palestra, sono già state spese troppe (possibile?) parole in precedenti articoli. Andiamo piuttosto a vedere, in maniera rapida, come impostare l’allenamento nelle due diverse fasi che abbiamo considerato.

Prima fase

In questo caso il Volume d’allenamento dovrà essere alto. Abbiamo visto che il grosso del deficit energetico dovrà provenire proprio dall’attività fisica, motivo per il quale abbiamo ampi spazi di manovra. L’apporto energetico ancora abbastanza alto potrà inoltre permetterci di avere lavori lattacidi ed estremamente glicolitici (stress metabolico). Questi lavori nella donna sono piuttosto delicati in quanto portano ad un accumulo di potassio extracellulare e ad una forte infiammazione (con conseguente ritenzione). Non spaventiamoci dunque se ci sembrerà di non scendere troppo di peso o allo specchio nel primo periodo, si tratta di variazioni acute che spariranno presto. Man mano che scenderemo interverremo sull’allenamento cardiovascolare riducendolo ma, in questa prima fase, conviene mantenere sempre l’attività con i pesi molto impegnativa.

Seconda fase

Nella seconda fase dovremo invece far i conti con un apporto energetico sempre minore ed una funzionalità metabolica più debole. In questo contesto la performance ne risentirà così come il recupero. Inoltre il pericolo di overtraining sarà sempre più dietro l’angolo (non credo abbia senso come metafora). Ad ogni modo quel che ci converrà fare sarà ridurre il Volume dell’allenamento ma aumentare l’Intensità di carico. In altri termini lavorare sullo stress meccanico.. In altri termini ancora, lavori di Forza. Questa tipologia di lavoro avrà un duplice vantaggio:

  1. A parità di “guadagni” in termini di tono muscolare gestiremo un minor Volume.
  2. Il lavoro miofibrillare non porta all’instaurarsi di grandi fenomeni infiammatori e di conseguenza l’aspetto sarà più asciutto (come illustrato nell’articolo sulla Forza nel Bodybuilding).

Sarà qui quindi che uscirà la farfalla dalla crisalide e riscopriremo quell’aspetto tonico e definito che volevamo. Il lavoro sulla Forza permetterà infine di mantenerla il più possibile in periodi di restrizione calorica.

Conclusioni sul dimagrimento nella donna 

Questi sono solo cenni generali alla dieta di definizione della donna, poiché i fattori da considerare sono diversi. Primo fra tutti come impostare l’alimentazione e allenamento in funzione del ciclo mestruale. In secondo luogo andremo ad analizzare le variazioni di peso sul lungo periodo. Ma di questi aspetti ne parleremo nei prossimi articoli.

Note sull’autrice
Dopo una carriera agonistica nella Pallavolo, Giorgia Baglio si è dedicata al ramo del fitness in generale specializzandosi poi, nello specifico, nel settore della composizione corporea. Ha iniziato da diversi anni l’attività di preparatrice atletica e di personal training per poi unirsi, nel 2016, al progetto Rhinocoaching.

 

 

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C’era una volta il web (ed i forum)

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cera-una-volta-il-web

Se mi chiedete qual è lo strumento che più mi è stato più utile nella mia formazione professionale, non vi risponderò di un libro in particolare, né di un esame o dell’intera università. No, quello che so, l’ho appreso in gran parte dai Forum, 10 anni fa…

Nell’epoca pre Facebook i forum hanno permesso alle persona di tutto il mondo, gratuitamente, d’aggiungere un pezzettino della loro conoscenza. Oggi paradossalmente il livello si è abbassato.

Al project inVictus avevamo già provato a creare un Forum ma avevamo desistito per una semplice ragione: il tempo. Per leggere, per moderare, ci vuole tempo e non lo abbiamo.
Così in questa nuova prova, abbiamo prima creato un gruppo di supermoderatori esperti e competenti, per aiutarci in questa impresa.

Che aspettative abbiamo oggi per i Forum?

Sinceramente poche, perché ormai Facebook ha mostrato al mondo chiaramente una cosa: VINCE LA FIGA. E non stiamo scherzando. Perché Google+ o Twitter sono stati dei flop? Perché manca la figa. Su FB ti guardi un post e vedi commentare una ragazza e allora vai a spiare il suo profilo, ricevi un Mi Piace da una tipa? Subito vai a vedere il suo profilo, ecc. E’ inutile fare i falsi moralisti, Facebook è la vetrina delle passanti.

Allora che cosa ci aspettiamo da questa nuova iniziativa? Quella di catalizzare le poche persone interessate alla QUALITÀ’. Sui gruppi FB il livello delle discussione è generalmente basso, quelle interessanti vengono fagocitate dai nuovi post.

Vogliamo creare un luogo per pochi, che sia estremamente di qualità e che ci permetta di raccogliere informazioni ed idee all’avanguardia. I Forum sono lo strumento di condivisione del sapere sul web, FB aiuta a distrarsi ma l’informazione viaggia azzoppata.

E’ una nuova scommessa una nuova avventura. Grazie a Claudio ed a tutto il gruppo dei suoi moderatori, per aver potuto dar vita a questo nuovo progetto.

Riusciremo a trovare il tesoro nascosto nella tomba di Stanton indicata da Bill Carson? Al tempo l’ardua sentenza…

ISCRITIVI AL FORUM DEL PROJECT INVICTUS

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Olio di palma fa male?

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Ogni giorno l’interesse delle persone si focalizza su un alimento “target”. Certe volte parliamo di un alimento “magico”, altre volte invece è un alimento “killer”. In queste settimane si sta sentendo parlare molto dell’Olio di Palma. Come sempre c’è una parte schierata alla sua demonizzazione (l’olio di palma fa male) e una parte schierata alla sua difesa (fa addirittura bene). Si passa da un eccesso all’altro e come sempre la verità, sta “nel mezzo”. Cerchiamo di capirci qualcosa in più.

Con il termine “olio di palma” ci riferiamo comunemente a quello presente negli alimenti industriali che è l’olio di palma raffinato. In realtà esistono altre due varietà che differiscono in composizione, estrazione e lavorazione:

Olio di palma grezzo: ricavato dai frutti della palma a seguito di un processo di sterilizzazione, snocciolatura, cottura, pressione e filtrazione. Viene anche chiamato olio di palma rosso per il suo tipico colore, dovuto alla presenza di beta carotene. E’ composto da un 50% di acidi grassi saturi (palmitico in prevalenza) e un 50% di acidi grassi insaturi (oleico in prevalenza) ed è ricco in vitamina E, carotenoidi e fitosteroli.

olio di palma rosso grezzo

Olio di palma raffinato: il comune olio di palma che si trova nella maggior parte dei prodotti da forno e fritti, nonché nelle margarine “a panetti” che quasi non si vendono più. Il processo di raffinazione viene detto bifrazionamento e sostanzialmente porta alla formazione di due tipi diversi di “olio”:

– la palm-stearina, ricca di palmitico, solida a temperatura ambiete e utilizzata non solo nell’industria alimentare:
– la palm-oleina, ricca di monoinsaturi, liquida a temperatura ambiente e con un elevato punto di fumo viene utilizzata principalmente per le fritture.

palm-stearina palm-oleina

Nello specifico la palm-oleina, con l’intento di renderla più adeguata a preparazioni industriali alimentari diverse dalla frittura, viene intra esterificata e resa più solida
Il processo di raffinatura, qualsiasi forma derivante consideriamo, porta alla perdita di una percentuale consistente di vitamina E (circa il 40%) e di quasi tutti i carotenoidi presenti. Resta invece uguale la composizione in acidi grassi.

composizione acidi grassi olio di palma

Olio di palmisto: non viene ricavato dai frutti della palma, bensì dai semi essiccati, macinati e pressati. Ha una composizione completamente diversa da quella dell’olio di palma da frutto in quanto, oltre a contenere un maggior quantitativo di acidi grassi saturi (80%), è molto ricco in Acido Laurico (C:12) e più simile all’olio di cocco.

Composizione olio palmisto

Perché l’olio di palma è così ampiamente utilizzato nell’industria alimentare?

L’olio di palma ha cominciato a prendere piede con la necessità di sostituire nei prodotti confezionati “da forno” i tanto accusati (con giusta motivazione) grassi idrogenati.
I problemi fondamentali da risolvere restavano la consistenza, friabilità, croccantezza e gusto dei prodotti e non meno importante, la resistenza all’irrancidimento. Da tali punti di vista l’olio di palma si è rivelato un ottimo sostituto, soprattutto per il costo basso associato alla perfetta resa.

Accuse all’olio di palma

Negli ultimi anni le accuse mosse verso quest’olio sono state molteplici.

Innanzitutto vi è la questione acidi grassi saturi e aumento del rischio cardiovascolare. Una vasta letteratura scientifica ha messo in relazione il consumo di acidi grassi saturi con l’aumento dei marcatori di rischio cardiovascolare, soprattutto per quanto riguarda le c-LDL e le c-HDL. D’altra parte, alcuni studi e meta-analisi non hanno trovato un rilevante nesso causale tra acidi grassi saturi e aumento di rischio cardiovascolare, tuttavia, come è ben specificato anche nel documento del ministero della sanità, molti di questi studi sono finanziati da aziende che potrebbero avere conflitto di interessi (andiamo bene). Per cui la questione a livello di ricerca scientifico è ancora accesa ed è molto più complessa di quel che comunemente si pensa.

Resta in ogni caso valida la raccomandazione di mantenere la soglia di grassi saturi totali inferiore al 10% delle kcal consumate, anche a seguito di studi che hanno associato un eccessivo consumo di grassi saturi ad un aumento di rischio di patologie ossee e carcinoma alla mammella e del colon retto.

Da un altro lato, molti studi hanno concluso che l’olio di palma potesse essere addirittura protettivo per la presenza di antiossidanti. Se avete letto bene fino a questo punto forse avete già capito perché. In sostanza negli studi è stato utilizzato olio di palma grezzo, quello ricco di vitamina E, carotenoidi e fitosteroli. Ben diverso da quello presente nei prodotti in commercio.

In ogni caso accusare o scagionare i grassi saturi in generale ha poco senso è meglio soffermarsi sul tipo di grassi saturi e sulla loro funzione, per maggiori informazioni rimandiamo a questo video:

L’olio di palma fa male e causa il cancro?

A marzo di quest’anno l’EFSA ha pubblicato i risultati di uno studio che valutava la presenza, nell’olio di palma, di alcune sostanze cancerogene. Queste sostanze (2-MCPD, 3-MCPD e glicidil esteri degli acidi grassi) si sviluppano durante i processi di raffinazione e cottura (>200°) degli oli e grassi vegetali. Sebbene questo succeda per ogni tipo di grasso vegetale va sottolineato che nell’olio di palma e palmisto se ne formano in quantità maggiore rispetto agli altri.
Il punto sta nel fatto che queste sostanze si sono dimostrate genotossiche in vitro ed ad altissime concentrazioni, difficilmente raggiungibili con la normale alimentazione. Il rischio in sostanza è equiparabile a molte altre sostanze come caffeina, alcol, aflatossine ecc)
Essendo il rischio legato (come sempre) alla quantità di assunzione e considerato nei limiti di una normale esposizione a “fattori ambientali” va da se che non se ne vieta l’uso e la vendita.

L’olio di palma fa male e causa il diabete?

Questa affermazione nasce da questo studio, che ha valutato gli effetti dell’acido palmitico sull’espressione della proteina p66Shc, induttore di stress ossidativo e apoptosi soprattutto nelle cellule beta-pancreatiche. Dallo studio è emerso che l’acido palmitico (non presente solo nell’olio di palma) provoca un aumento della proteina p66Shc e un conseguente danno alle cellule pancreatiche. Questo risultato è stato ottenuto in cellule di ratto, in isole pancreatiche di topo e in isole pancreatiche umane (da donatori sovrappeso/obesi). È stato anche dimostrato che nelle cavie di laboratorio una dieta ricca di acido palmitico, in cui l’olio di palma idrogenato rappresentava il 60% delle calorie totali, produce effetti dannosi sulle cellule produttrici di insulina attraverso un aumento della proteina p66Shc.

Lo studio, per me nuovo, è risultato molto interessante. La dieta dei topi oltre ad essere ricca di olio di palma, era naturalmente high fat e ricca in saturi (di cui l’acido palmitico resta il principale rappresentante negli alimenti).
Quello che il prof.Giorgino (coordinatore dello studio) ha messo in luce è il coinvolgimento di una proteina (responsabile tra l’altro della longevità in generale) stimolata dall’eccessiva assunzione di grassi in particolare saturi che sono, insieme al grasso “viscerale”, fattori di rischio per lo sviluppo del Diabete 2. La suddetta proteina è stata coinvolta anche nello sviluppo delle complicanze legate al diabete (cardiovascolare e nefropatico).

Resta ovviamente una parentesi aperta importante.

L’olio di palma fa male all’ambiente?

olio di palma deforestazione

Già nel 2012 Nature aveva parlato del potenziale danno ambientale dovuto alla produzione di olio di palma. Non è mia competenza approfondire questo discorso ma appare ben chiaro che le coltivazioni di palma stiano provocando grossi danni di deforestazione e conseguente danno all’habitat di alcune specie animali, erosione del suolo, inquinamento atmosferico e conflitti sociali. Tant’è vero che alcune aziende hanno dichiarato e certificato che il loro è olio di palma contenuto nei propri prodotti derivati da coltivazioni ecosostenibili (anche se ci sono varie controversie in merito).

Il problema comunque non riguarda solo l’olio di palma ma tutti gli olii vegetali. Per produrne in quantitativi abnormi servono ingenti quantità di terreno. Se al posto dell’olio di palma ci mettiamo a coltivare l’olio di colza (per fare giusto un esempio) i danni ambientali saranno gli stessi (alcuni sostengono addirittura maggiori).

Conclusioni: ma allora l’olio di palma fa male oppure no?

olio di palma fa male

Alla luce di tutto questo, come dobbiamo comportarci nei confronti dell’olio di palma?
Come per ogni cosa per quanto riguarda l’alimentazione, non possiamo focalizzarci su un singolo componente. Fermo restando che attualmente le linee guida per una sana alimentazione prevedono di non eccedere con i grassi saturi sono questi che vanno semmai valutati nel contesto.

L’olio di palma resta solo UNA delle fonti di acidi grassi saturi. E’ un prodotto economico, nutrizionalmente non apporta nessun micronutriente miracoloso (ovviamente parliamo sempre di quello che comunemente si trova nei prodotti alimentari) ma nemmeno fa grossi danni (rispetto ad altri componenti equiparabili nella composizione). Il punto principale è che fino a poco tempo fa si trovava davvero ovunque, quindi eccedere con il consumo dello stesso e di conseguenza di acidi grassi saturi era molto più semplici.

Faccio un’ulteriore considerazione: i prodotti ricchi di olio di palma, a prescindere da quest’ultimo, sono prodotti piuttosto “scadenti”, ricchi di zuccheri semplici, privi di micronutrienti importanti, spesso ricchi in conservanti o semplicemente molto grassi. Da limitare il più possibile in una dieta sana a prescindere dall’olio di palma.

Ugualmente non va unito il concetto “senza olio di palma” = “sano”. Ho visto biscotti dal profilo nutrizionale pessimo, biologici e senza olio di palma.

Come sempre l’unica “magia” sta nella MODERAZIONE. Non sarà un biscotto con l’olio di palma ad aumentare il nostro rischio di patologie cardiovascolari, di sviluppo del diabete o di neoplasia, quello che invece potrebbe farlo è il biscotto, unito alla cioccolata scadente, alle merendine, alle patatine fritte surgelate, ai crackers, ai piatti pronti e chi più ne ha più ne metta.

Bibliografia

– http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2481_allegato.pdf – http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.2903/j.efsa.2016.4426/full
– https://www.efsa.europa.eu/it/press/news/160503
– http://link.springer.com/article/10.1007%2Fs00125-015-3563-2#Sec20 – https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27377870

– https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26254104
– https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25556747
– http://www.nature.com/news/palm-oil-boom-raises-conservation-concerns-1.10936 – http://www.greenpeace.org/italy/it/campagne/foreste/indonesia/Olio-di-palma/

Note sull’autrice
Articolo: l’olio di palma fa male è della Dottoressa Valeria Cangiano
Dietistica alla Facoltà di Medicina e Chirurgia Federico II. Appassionata di nutrizione sportiva e powerlifting.
Mail: valery.cangiano@gmail.com

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Bias scientifici, fitness ed alimentazione

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Sapete che cos’è un BIAS? E’ un processo mentale (inconscio) che ci porta a ricercare, formulare e convalidare pregiudizi (anche qui spesso inconsci) cha avevamo. Se siamo convinti che una cosa sia giusta, porremo più attenzione a tutte le notizie o dati che confermano quella cosa. Alla fine avremo la percezione che la realtà è fatta in un certo modo, non rendendoci conto che abbiamo aggiunto autoconvinzioni su autoconvinzioni.

Questo fenomeno viene definito bias psicologico, ma in realtà i bias sono anche sociali, nei sondaggi e i bias nella ricerca scientifica. Si perché anche i ricercatori sono uomini e spesso dati ritenuti oggettivi, hanno un bias alla base che può sconfessare i risultati di uno studio. Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha cercato di fare pulizia di tantissimi studi inficiati da bias (peccato solo che tantissimi “esperti” non se ne siano accorti, saranno a loro volta preda dei bias?).

Fitness, bias e la scienza dei poveri

Se notate nel mondo del fitness tutti ormai parlano di metodo scientifico, d’essere scientifici. Quelli grossi che dicono: fai come me perché sono il più muscoloso, mediamente non si mettono a scrivere e al massimo aprono un canale Youtube.

Insomma “teoricamente” i guru dovrebbero tutti porsi come paladini del metodo scientifico.

Noi non amiamo definirci scientifici, perché oggettivamente non lo siamo. Il problema è che non lo è neanche chi afferma di esserlo, il motivo è semplice: ad essere realmente scientifici ti leggerebbero 3 gatti, perché nel 99% delle discussioni ci sarebbero lunghe premesse per arrivare a timide conclusioni.

Quando vedete qualcuno che dice, la scienza afferma che…. Ecco quello non è scientifico, crede di esserlo ma non lo è. Perché la scienza è dubbiosa, prima di affermare con certezza qualcosa ci mette anni, centinaia di studi e anche quando si pensa d’essere arrivati a delle conclusioni, prova sempre a metterle in discussione.
Le certezze servono ai venditori, la scienza è più interessata a scardinarle piuttosto che ad inchiodarle nel legno.

Il problema di base è che il nostro è un ambiente commerciale, il fitness, la palestra ma anche diversi sport, hanno un’anima “capitalista”, la scienza oggi va bene perché ti aiuta a vendere.

(Qui sotto un’immagine che mi ha passato Antonio Paoli, uno dei pochi ricercatori italiani che abbiamo nel nostro settore, e mostra la differenza tra pubblicare un articolo scientifico e un articolo su un blog).

come funziona la ricerca scientifica, come funzionano i blog

Alimentazione: una scienza giovane piena di bias scientifici

Fatta questa doverosa premessa arriviamo al succo del discorso di oggi, i bias scientifici.
Il metodo scientifico si è strutturato 200 anni fa in materie come la chimica e la fisica, nella medicina e nell’alimentazione ha visto un suo reale riconoscimento a partire negli anni 70 (timidamente) e poi una definitiva affermazione negli anni 90 (meno di 30 anni fa). Sembra incredibile ma fino ad allora i punti di riferimento erano i grandi luminari che dicevano uno l’opposto dell’altro (probabilmente sbagliando tutti e due).

Se ci fate caso a livello mediatico tendiamo ancora a considerare l’esperto come il punto di riferimento, l’ha detto il medico X, il ricercatore Y, come se la persona fosse chi dobbiamo ascoltare.
SBAGLIATO, nel metodo scientifico sono le prove a contare non le persone, è un nostro bisogno psicologico trovare un mentore che guidi le nostre convinzioni.

Negli ultimi anni la letteratura scientifica nel nostro ambito (alimentazione e fitness) ha subito diverse review che hanno scardinato molte convinzioni. Si è visto che molti studi scientifici erano fallaci, ovvero chi gli aveva fatti era partito (si spera inconsciamente) con delle convinzioni e questo aveva sfalsato completamente i risultati dello studio.

Questo avviene soprattutto per gli studi statistici ed epidemiologici, non causali (magari in doppio cieco). Leggere i dati ed interpretarli presta molto il fianco ai BIAS, ovvero ai pregiudizi (inconsci) di chi li legge.

Anche la scienza sbaglia, lo fa di continuo, ma questo dato di fatto non dobbiamo interpretarlo come un male, per fortuna è insito in una mentalità scientifica mettere continuamente in dubbio le convinzioni moderne per, o convalidarle o confutarle. Se non fosse così si chiamerebbe fede e non scienza.

(Qui sotto la piramide delle evidenze scientifiche)

piramide evidenze scientifiche

Conclusione sui bias scientifici

Concludendo facciamo ben attenzione, se non siamo ricercatori, a riempirci la bocca con la parola scienza, soprattutto in un ambito come il nostro dove gli investimenti  sono praticamente inesistenti e spesso gli unici finanziamenti vengono dalle case d’integratori.

Per commercializzare un farmaco, l’investimento nella ricerca e nello sviluppo è mediamente di un miliardo di dollari. Quanti soldi si investiranno per decretare se 3 serie sono meglio o peggio di 5?

Per leggere ma soprattutto interpretare gli studi si richiedono esami universitari di statistica. Se citate uno studio perché avete letto l’abstract state attenti ai vostri bias!

bias scientifico alimentazione

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Spunti fondamentali nel Bodybuilding

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Il Bodybuilding è lo sport o disciplina (a seconda di come lo viviamo), dove si sente tutto ed il contrario di tutto.

Quante volte a settimana ti devi allenare? Si passa da una volta ogni 10 giorni fino due volte al dì.
Quante serie per muscolo: da una a venti
Che tecniche d’intensità devo fare, quanti e quali esercizi, stimolo meccanico o metabolico? ecc ecc.

Alla fine il segreto è che tutto funziona purché ci si faccia il culo. Ma (mio zio diceva che tutto quello che viene prima di un ma non conta).
Ma…

Concludere con le rifiniture o lavorare di prestancaggio?

Nella preparazione atletica gli esercizi vengono svolti in ordine di difficoltà neurale. Prima si esegue lo strappo, poi lo slancio ed infine lo squat. Dal complesso al semplice. Questo ha un senso perché gli schemi motori più complessi vengono richiamati per primi quando il sistema è fresco.

Nel bodybuilding non avviene sempre questo e soprattutto, non ha sempre senso farlo.

Può essere una buona regola generale quella di iniziare con gli esercizi fondamentali e poi lavorare con i complementari: prima lo squat e poi la leg extention. Prima coinvolgo le grandi masse muscolari che richiedono più energie e poi lavoro sui particolari e muscoli carenti.

Questa regola generale tuttavia ha delle eccezioni. Eccezioni che si accentuano soprattutto quando abbiamo muscoli carenti e quando vogliamo esaltare e far sviluppare un determinato distretto muscolare.

In questo caso possiamo e forse dobbiamo partire prima con il ventre (muscolare) rimasto indietro per poi passare ad esercizi fondamentali. Quindi possiamo fare prima i bicipiti della schiena o possiamo eseguire prima la leg extention dello squat.

Gli stimoli migliori arrivano sempre dai primi esercizi, quando il muscolo può rispondere bene e possiamo attivare e reclutare tutte le fibre muscolari.
Avete le braccia meno sviluppate del tronco? Pensate ancora che bastino panca e trazioni per svilupparle in modo ottimale?
Provate!

bodybuilding prestancaggio

Soltanto provando si può iniziare a fare pulizia delle informazioni.
Il nostro consiglio pratico è questo, mettete all’inizio dell’allenamento quello che per voi conta di più, non inchiodatevi a regole !

Note sugli autore del video:

RICCARDO GRANDI Pontevico (BS) Mail: sustainablebodybuilding@gmail.com
Classe 1969… Nato (culturisticamente parlando) all’età di 14 anni dove mi approccio alla palestra come preparazione atletica nel judo. Ma a 19 anni diventa la mia unica attività. A 21 anni iniziai ad insegnare come istruttore. Ho iniziato a preparare atleti agonisti all’età di 24 anni senza alcuna esperienza, ma con buoni risultati. Diventa il mio lavoro aprendo prima una palestra e poi un’altra. Come imprenditore del fitness perdo “la gioia” del lavoro di preparatore e per qualche anno esco dal mondo del BB. Nel 2011 rientro nel mondo del BB portando in gara 1 atleta… L’anno dopo fu ancora 1 più me stesso, poi 5, e via via sino ad oggi… Ora dirigo una squadra agonistica di 28 atleti TUTTI AGONISTI e soprattutto TUTTI DRUG FREE !!!! Altri 8 in preparazione per il 2017. Ho agonisti che partono dai 21 sino ai 69 anni. I miei atleti hanno vinto diversi titoli italiani e fatto gare internazionali. Il mio motto è CAMPIONI SI DIVENTA !!!

Visita il sito sustainablebb.com

Marco Cerri e Matteo Mazzotti campioni italiani NBFI 2016 e arrivati secondi e terzi agli assoluti.

sustainiblebb

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Una colazione da Re, un pranzo da Principe, una cena da Povero.

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Conoscete il detto: una colazione da Re, un pranzo da Principe, una cena da Povero? E’ uno dei consigli popolari (o della nonna) che si dà a chi si vuole mettere a dieta.
D’altronde se mangi troppo prima d’andare a letto, non muovendoti più, tutte le calorie che hai assunto si trasformano in grasso!

FALSO

Questa visione: che ingrasso o dimagrisco dopo aver mangiato è veramente miope (guardiamo il dito senza scorgere la luna), perchè il corpo non ragiona così.

  1. Il fattore più importante sono le calorie assunte nella settimana, non nel giorno.
  2. Se mangiamo di più per 2 giorni ma poi per 5 rimaniamo a dieta dimagriremo.
  3. Ingrassare dopo il pasto è del tutto irrilevante, quello che conta sono inizialmente le 24h, poi la settimana.

Insomma non c’è nessun vantaggio metabolico nel timing degli alimenti.

Non è vero che se, a parità di calorie mangiate di più a cena rispetto che a colazione, ingrassate o dimagrite di più!!!

Tuttavia il consiglio del fare una colazione da Re, un pranzo da Principe, una cena da Povero può essere sensato per molte persone. Vediamo di capire perchè.

La dieta è principalmente testa

colazione da re pranzo da principe cena da povero

Le diete che si basavano sulle calorie non hanno funzionato, ma non è che non hanno funzionato perchè una caloria non è una caloria, come molti vorrebbero far credere. Semplicemente nessuno ha voglia di calcolare e pesare gli alimenti. Le diete che si basano sul conteggio delle calorie falliscono perchè, per la maggior parte della popolazione, non sono perseguibili  nel tempo. E’ molto più bello e appagante pensare che le calorie non contano e sono invece fondamentali gli ormoni e le molecole, perchè questo rende tutto più fattibile e semplice.

Per questo la dieta dev’essere impostata per essere perseguibile, il fare una colazione da Re, un pranzo da Principe, una cena da Povero, può andare in questa direzione.

  • In quanti hanno fame al mattino appena svegli?
    E anche chi ha fame, riuscirà mai a mangiare a colazione quanto avrebbe potuto fare a cena?
  • In quanti se si riempiono con quello che vogliono a pranzo, poi non riescono più a lavorare o studiare bene?
  • In quanti a cena invece, dopo una giornata stressante, si possono appagare e gratificare col cibo?

Se andiamo a vedere le abitudini degli italiani, scopriamo che è molto più facile eccedere con le calorie a cena, rispetto che negli altri pasti della giornata. Limitare questo pasto pone così una restrizione calorica anche senza il contare le calorie.

Non è che non mangiando troppo la sera, il cibo non si converte in grasso mentre dormiamo, ma semplicemente assumiamo inconsciamente meno calorie.

Funziona nello stesso modo non mangiando i glucidi la sera.  Non è che ci sia un timing per cui è meglio mangiare i carboidrati di giorno o di sera, ma semplicemente se dal pomeriggio non possiamo più assumerli, eviterò di finire il pacco di biscotti davanti al film serale sul divano.

Conclusioni: colazione da Re, un pranzo da Principe, una cena da Povero

distribuzione calorie pasti colazione pranzo cena

Alla fine i vecchi detti popolari sull’alimentazione hanno un fondo di verità, basta capire però perchè funzionano e non perpetrare falsi miti.

Scegliete in libertà qual è lo stile alimentare: Zona, Digiuno intermittente, ecc che vi permette di sopportare meglio la restrizione calorica.
Se cercate fin da subito la dieta che vi dia un vantaggio metabolico, rimarrete nel tempo delusi, perchè quello che contano sono:

  • calorie
  • macronutrienti
  • costanza (e qui entra in gioco se la dieta è perseguibile nel tempo)

Il resto sono finezze.

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Dieta Low Carb vs Dieta Low Fat, qual è meglio per il dimagrimento

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Meglio seguire una dieta low carb o una dieta low fat? Quali sono i vantaggi e svantaggi dell’una e dell’altra?
Scopriamolo in questo articolo tecnico che puoi scaricarti e leggerti comodamente in PDF.

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meglio dieta low carb o dieta low fat

Articolo di Andrea Vshap e Claudio Lai

Benvenuti nel ventunesimo secolo, a voi tutti, veterani del ferro e non, novizi, persone sovrappeso e donne in cerca di un riscatto fisico; presto tardi arriva il momento per voi di confrontarvi con il dover abbassare la percentuale di massa grassa, preservando la massa magra. Ma siccome vi trovate nel ventunesimo secolo avete varie scelte per percorrere la strada della salita verso l’olimpo della qualità fisica e muscolare, molte più scelte del passato, quando il taglio dei carboidrati in primis era una cosa metodologicamente non solo accettata, ma si trattava di un vero e proprio must.
Il vasto campo delle diete possibili si presenterebbe, oggi, a voi più o meno così:

Diete Low Carb:

Vecchie

Nuove

  • Dukan
  • Dieta Psmf (Protein sparing modified fast)

Diete Circadiane:

Vecchie

  • Warrior diet

Nuove

Diete Ormonali:

Vecchie

  • Dieta a zona

Nuove

  • Dieta ancestrale
  • Dieta ABCDE

Diete Low fat: 

Vecchie

  • Dieta Mediterranea

Nuove

Diete a Macros:

  • If it fits your Macros (Flessibile)

Altre Diete:

  • Dieta scarsdale
  • Dieta del gruppo sanguigno
  • Dieta vegana
  • Dieta fruttariana

Sicuramente ce ne sono alcune omesse, le diete che sono uscite negli ultimi anni sono tra le più disparate, alcune anche assurde e prive di criteri logici e scientifici.

Appare abbastanza chiaro fin da subito che una domanda che entra prepotente nella mente di chi deve non solo perdere peso ma deve inseguire il sogno di un fisico perfetto, con grande qualità muscolare e la più bassa percentuale di grasso corporeo possibile, è la seguente: che strada percorrere, quale dei tre macronutrienti devo tagliare in maniera preponderante?
Anche se esistono diete che non si basano sul taglio netto di uno dei tre macro, nessuna comunque tiene le quote inalterate come in un normale regime calorico…anzi un momento, nemmeno una normocalorica avrà i tre macro perfettamente bilanciati! Unite a tutto questo anche il fatto che vi allenate in palestra e che siete stati pesantemente influenzati dal concetto di intoccabilità delle proteine e vi troverete più o meno alla successiva domanda: meglio tagliare i carbo o i grassi?

Anni fa, verso la fine degli anni 70, ci si accorse che un nuovo male moderno stava attanagliando la società americana: la sovralimentazione ed il sovrappeso. Nel 1977 la commissione eletta dal senato (Senate Select Committee on Nutrition and Human Needs, guidata dal senatore George McGovern,1) stilò delle linee guide a seguito di un indagine preliminare sui parametri di salute e sulle casistiche cliniche di un grosso campione di pazienti puntando il dito contro valori fuori scala di trigliceridi, rapporto sfavorevole di LDL sugli HDL, innumerevoli casi di arteriosclerosi e malattie affini con occlusione sanguigna data da placche trombotiche. I colpevoli erano loro: grassi e colesterolo. Le linee guide erano una diretta conseguenza: tagliare i grassi dalla dieta per purificare l’organismo. Detto fatto, cominciarono ad essere commercializzati una marea di prodotti light con basso tenore di grassi per tutti gli anni 80, con martellante pubblicità, alcune le ricordiamo anche noi nati in quella decade: la famosa Kaori che mangiava la Philadelphia light perchè voleva fare la modella.

Così nacque la coca cola light, lo yogurt magro, il latte magro, e altri centinaia di prodotti. Per il durare di tutti gli anni 90 e primi 2000 i guru dell’allenamento e gli scienziati che impostarono i trial clinici si trovarono a smontare volontariamente o involontariamente le semplicistiche conclusioni della commissione del 77: abbassare i grassi nella dieta non solo non migliorava il profilo dei grassi nel sangue, ma peggiorava praticamente tutti i markers considerati attendibili per la salute di un paziente fino ad allora (2).

Si capì che nonostante i grassi fossero stati eliminati completamente, nelle normali diete delle persone comuni abbondavano i carboidrati e in maniera allarmante gli zuccheri semplici con indice glicemico elevato. Il fruttosio poi, un carboidrato centelinato da madre natura nella frutta, ma stupidamente impaccato a dosi massicce in bibite e dolci sotto forma di sciroppo di mais dolce dall’uomo moderno, aveva oscure proprietà ingrassanti, semplicemente era in grado di distruggere il metabolismo di che ne consumava alte dosi. Molti guru pubblicarono libri sulla questione, e molti erano d’accordo su un punto focale: ridurre i carboidrati e possibilmente azzerare gli zuccheri. Alcuni poi consigliavano di non tenere conto delle calorie, altri di alzare proteine e grassi, altri di alzare solo i grassi o solo le proteine…

I detrattori delle diete Low Carb appena nate puntarono il dito contro un approccio così estremo, e alla risposta di cosa si dovesse abbassare alla fine rispondevano come nel 77, ma in maniera più diplomatica, o con sistemi ibridi: limitare il consumo smodato di grassi saturi, alzando i grassi polinsaturi e monoinsaturi, e limitare l’apporto di zuccheri. Tenere conto delle calorie. Era nata la grande guerra di pensiero: dieta Low Fat versus dieta Low Carb.

Che voi siate atleti di resistenza o di potenza, che siate aspiranti tali e state uscendo da un periodo lungo di sedentarietà, che siate giovani o siate anziani, avete tutti una cosa in comune: volete perdere grasso corporeo, questa guerra di pensiero vi interessa in prima persona. La cosa che oggi molti addetti al settore trovano realmente positiva è che sempre più persone riescano a comprendere come scendere di BF non equivalga necessariamente a perdere peso. Nel 2016 possiamo ritenerci tutti soddisfatti che una grande quantità di persone abbia compreso appieno questo concetto. Ma oggi abbiamo compreso molte più cose. Tutte le diete che sono uscite negli ultimi 30 anni hanno portato concetti nuovi da provare e ognuna di loro a suo modo a dimostrato che era possibile qualcosa che si riteneva impossibile: basti pensare al concetto di catabolismo e alla dieta Intermitting Fast. 2016 significa anche una profonda migliorata conoscienza a livello statistico applicato e a livello teorico, sia nel campo della microbiologia molecolare applicata alla genetica, sia nella endocrinologia, che alla fine si sono incontrati a metà strada, dove prima c’era un enorme buco vuoto (e qui mi riferisco alle straordinarie scoperte nel campo dei messaggeri autocrini e paracrini). Nel 1994 viene scoperta la leptina: qualcuno grida alla possibilità di creare un vaccino anti-obesità. Nel 2004 vengono scoperte la grelina e la obestatina, una isoforma prodotta per splicing dell’ rna messaggero. Nel campo dei messaggeri postallenamento vengono isolate e poi riprodotte varie somatomedine (IGF, MGF,ecc). Tutto questo per dire che abbiamo fatto molta strada in 30 anni.

Tuttavia questo articolo vuole tirare le conclusioni, senza volere essere un trattato di endocrinologia, partendo non dalle premesse teoriche, ma osservando le conseguenze di alcune scelte alimentari sul campo. Anticipiano subito un concetto: non esiste la parola “migliore” sullo scontro dieta Low Carb vs dieta Low Fat. Semplicemente esistono vantaggi e svantaggi. Cerchiamo di vederli insieme.

Perchè scegliere una dieta Low Fat

dieta low fat

Nel corso degli anni siamo passati da frasi come questa:”I carboidrati non sono necessari al corpo umano, solo le proteine lo sono. Dobbiamo forzare il corpo umano a bruciare le riserve di grasso obbligandolo alla chetosi. Le proteine prevengono il catabolismo e stimolano i segnali di crescita” a frasi come queste: ” i grassi bruciano al fuoco dei carboidrati, il corpo umano funziona male con i soli corpi chetonici, specialmente il cervello, le proprietà anticataboliche delle proteine in regime ipocalorico sono poco meno che una favoletta“.

Chi si allena in sport di potenza e velocità non può fare a meno dei carboidrati sotto una certa soglia senza che questi non comincino ad inficiare la prestazione atletica in maniera visibile: si spinge di meno, meno velocità e anche meno forza. Tutto questo porta ad un catabolismo indiretto, dato dalla mancanza di uno stimolo uguale al periodo di normocalorica, più che dalla mancanza di substrati. Quindi? Quindi perchè rinunciare al carburante che dona più efficienza ai muscoli in termini prestazionali e crea la migliore idratazione intramuscolare. La dieta ricca in carboidrati vi permette di non scalare il peso in palestra e di non farvi lasciare indietro sulla pista in tartan. Vi dona una pienezza ed un turgore muscolare unici. Secondo alcuni studi (3), le diete low fat diminuirebbero il rating di discesa della triiodiotironina, in questo conserverebbero un vantaggio chiave rispetto alle diete low carb, le quali metterebbero il freno a mano alla vostra tiroide facendo ristagnare i risultati. Anzi, con metodi in cui le calorie non restano costanti, ma vengono organizzate in schemi di salita graduale e periodi di taglio netto, riuscirebbero ad aumentare addirittura il metabolismo basale, mettendo il turbo alla vostra tiroide. Insomma, non stiamo parlando delle prime grezze diete Low Fat, stiamo parlando di un tuning molto evoluto che tiene conto delle scoperte sulla leptina. Gli atleti che si sottopongono oggi alle Low Fat aumentano le calorie del loro metabolismo basale e aumentano anche il loro appettito. La triiodiotironina inibisce la produzione della leptina, l’ormone che provocà sazietà: la persona avrà un aumentato appetito. Non solo: i grassi stimolano anch’essi la produzione di leptina, eliminandoli o quasi dalla dieta il fisico vedrà raramente la leptina e comincerà a sviluppare una sensibilità ad essa. Quindi anche quella poca leptina che verrà prodotta sarà consumata voracemente lasciando sempre il fisico metabolicamente molto attivo. In effetti alcune importanti ricerche (4) hanno sottolineato come la mancanza di leptina negli organismi obesi sia una causa alquanto rara, data da difetto genetico: nella maggioranza dei casi in questi soggetti leptina ce n’è in abbondanza, ma non viene vista poichè il fisico ha sviluppato una resistenza ad essa. In pratica è lo stesso meccanismo che si verifica nel diabete mellito di tipo 2 o nelle sindromi prediabetiche con insulino resistenza. Altro grande vantaggio di avere buona sensibilità alla leptina è l’attivazione degli adipociti bruni: essi bruciano grassi senza ricaricare ATP, poichè sono progettati con un citocromo disaccoppiato nella pompa protonica, non sono quindi in grado di ricaricare Nad e Fad ma sprecano l’energia chimica di legame in semplice calore. Gli adipociti bruni sono i nostri termosifoni corporei. Sono state trovate correlazioni positive tra luoghi a basse temperature, ormoni tiroidei e inibizione della leptina (5) .

Perchè scegliere una dieta Low Carb

dieta low carb

Se come abbiamo detto precendentemente una dieta Low Fat mantiene i liquidi intracellulari mentre la Low Carb li elimina (e lo fa in maniera davvero drammatica nei primi giorni) è anche vero che si elimina pure l’acqua extracellulare in eccesso. Anche se la condizione intermedia sotto dieta peggiora notevolmente e ci si vede parecchio svuotati, alcune persone potrebbero giovare moltissimo di questa proprietà della dieta, a patto di sorvolare per qualche mese la prova dello specchio. La mancanza di carboidrati manda in caduta la produzione di serotonina e aumenta la produzione di catecolamine (adrenalina), rendendoci più svegli e aggressivi durante la prestazione. Con l’adrenalina in circolo il fisico comincia a bruciare le proprie riserve, passa alla produzione di carboidrati attraverso la gluconeogenesi aminoacidica, bruciando ancora più calorie in questo processo altamente dispendioso, mobilita e brucia acidi grassi demoliti in corpi chetonici e al termine delle catene carburiche butta via acido acetil-acetico perdendo svariate calorie che non sa come utilizzare: un vero e proprio spreco di calorie. Come abbiamo visto nelle Low Fat dove avviene un aumento della sensibilità alla leptina, nelle Low Carb aumenta la sensibilità all’insulina (e quindi anche al GH e alle somatomedine). Il corpo diventa una spugna per i carboidrati, se programmiamo una ricarica la nostra condizione migliora nel giro di 12-24 ore, con acqua ristabilità alla normalità nei compartimenti intracellulari.

Perchè non scegliere una dieta Low Fat

Una Low Fat mette il turbo alla vostra tiroide e migliora la sensibilità alla leptina. La vostra qualità continua a migliorare mentre salite con il vostro metabolismo basale…ma, c’è un ma. Soffrite la fame, molta fame. Nonostante mangiate sempre di più il fisico è ingannato dai segnali chimici. La leptina è tenuta sotto controllo ed è anche spazzata via velocemente dal corpo, niente leptina niente sazietà. Che dire poi della costante presenza di carboidrati nel vostro corpo? Saprete gestirli correttamente perchè Low Fat non significa carbo veloci (zuccheri) consentiti, ma non avrete la stessa sensibilità che ottiene una persona in low carb. Questo si traduce in un problema in risalita calorica quando vorrete mettere su peso e vorrete uscire dalla fase di dimagrimento. Con la tiroide caricata al massimo anche capire dove finisce una ipo-normocalorica e comincia una ipercalorica sarà una questione nebulosa. A complicare le cose ci si potrebbe mettere anche una ridotta steroidogenesi data dal prolungato periodo di bassa assunzione di grassi. Se poi applichiamo un protocollo Low fat a persone che non sanno gestire bene i carboidrati e totali sedentari potremmo non ottenere gli stessi risultati rispetto a persone allenate: la questione è proprio la corretta gestione dei carboidrati e la sensibilità all’insulina. Una ridotta attività tiroidea (un metabolismo basale basso), non nell’ordine del patologico, potrebbe essere un interessante punto di partenza per una fase di massa, i guadagni di peso guidati dalla già citata sensibilità ai carboidrati danno un potente effetto rebound a chi vuole mettere muscoli: vi sarà capitato di aver sentito atleti che dopo il contest di bodybuilding guadagnano 4-6 chili in una notte. Sicuramente si tratta molto di acqua, ma cmq stiamo parlando dell’inizio di un trend potentemente anabolico.

Perchè non scegliere una dieta Low Carb

Abbiamo detto che le low carb danno dei segnali di dimagrimento e accensione metabolica inequivocabili, ma anche qui i ma ci sono e sono una problematica da affrontare con realismo. Le low carb dopo un iniziale perdita di peso dato da acqua e da consumo di grassi facilmente accessibili hanno dimostrato di far peggiorare la prestazione di un atleta per svariati motivi: primariamente il corpo diventa sempre più efficiente nella gluconeogenesi, quindi anche se non si introducono carboidrati il corpo riesce  a produrli a partire dagli aminoacidi (transaminazione e ciclo dell’alanina), una chetosi prolungata può portare a chetoacidosi troppo elevata nel sangue e negli ambienti extracellulari (in persone che non la compensano), il fisico diventa sempre più insensibile alle catecolamine autoprodotte poichè i recettori beta adrenergici diminuiscono sulle superfici delle membrane cellulari. Il fisico va incontro ad un down metabolico, con adrenalina a fiumi, chetoacidosi costante, tiroide che tira il freno a mano e quindi un metabolismo in forte rallentamento. Gli iniziali risultati di  4 o 8 chili persi si stampano contro un limite invalicabile, ci si sente fortemente affaticati, incapaci di riprendersi durante e dopo ogni allenamento, la forza diminuisce e le masse diminuiscono, consumate da cortisolo e catecolamine, ma soprattutto da una mancanza di prestazione nelle alzate (atrofia da stimolo inadeguato, più che da cause ormonali). Subentrano letargia e immunosoppressione, si fa fatica anche ad addormentarsi. Le sparute ricariche di carbo del week end non sono sufficienti ad invertire la tendenza in sole 24-48 ore, la tiroide ha bisogno di un tempo molto più prolungato per poter tornare a girare su alti ritmi.

Conclusioni sulla dieta Low Carb vs dieta Low Fat

Vedete già profilarsi all’orizzonte la soluzione così come la vedono in molti? La caduta del partigianesimo nella politica e nella storia ha dimostrato sempre di poter far attingere le persone dal meglio dei due opposti di una dicotomia: anche nel mondo del fitness molti auspicano ormai che i propositori delle due diete non debbano fare proselitismo come due religioni monoteiste, semplicemente c’è un buon periodo per fare una Low Fat e c’è un buon periodo per fare una Low Carb. Per la pace di tutti i preparatori.

Questo articolo non vuole essere una critica verso nessun tipo di approccio, ma più che altro una sorta di riappacificazione tra due mondi distanti che spesso fanno fatica ad incontrarsi. Se ci sono evidenze che danno favore sia all’una che all’altra teoria perché non fonderle insieme e trarne il massimo beneficio ciclizzandole nel migliore dei modi? Per quale ragione deve vincere il marketing quando può invece vincere un risultato finale di maggiore qualità e sostenibilità? Perché sbilanciarsi in favore di qualcosa al solo scopo di sostenere una fede in modo partigiano verso un proprio stile, quando è risaputo che il corpo si abitua ad un determinato stimolo protratto nel tempo?

Si suppone che non siamo stati creati da madre natura (ahi me!), per essere grossi forti e muscolosi, dobbiamo trovare la strategia migliore per trovare un compromesso che ci porti a un risultato finale soddisfacente. Abbinare periodi di low carb controllati sottovalutando ampiamente dei possibili svantaggi a breve termine dati in quel dato periodo, per goderne i vantaggi finali nel momento in cui si attui una repentina inversione di tendenza non può essere la sola via migliore. Perché non trarne il meglio dai vari sistemi?

Abituare il corpo a lavorare in modo efficiente sia in periodi a carboidrati alti sia in periodi a carboidrati bassi e grassi adeguati sembrerebbe la via più auspicabile. Non appare necessario dover creare iper metabolismi futili che bruciano migliai di calorie senza scopi apparenti . Che senso ha avere un metabolismo da medio massimo su un corpo da easy-4 ??

Ma soprattutto per quale motivo concentrarsi in modo cosi affannoso e fare a gara su quanti carboidrati si mangiano? Da quando in quà il punto centrale di un attività come il body building o una qualsiasi disciplina sportiva deve soffermarsi in modo cosi maniacale ed ostinato sulla conta dei carboidrati . Senza tenere in minima considerazione il tema centrale, la metodologia di allenamento. Cosa facciamo noi ? Ci alleniamo e ricerchiamo il massimo da tale attività . Non stiamo gareggiando a chi è in grado di sopportare il massimo introito di carboidrati in base alla propria condizione .

Torniamo in sala pesi e torniamo a concentrarsi su quello che ci piace.

ALLENARSI CRESCERE E VIVERE SERENI .

Per ulteriori informazioni sull’articolo e sui regimi alimentari esaminati contatta gli autori dell’articolo Dieta Low Carb vs Dieta Low Fat: Andrea Vshape e Claudio Lai

Riferimenti:dieta low carb vs dieta low fat

(1)McGovern’s Senate Select Committee on Nutrition and Human Needs Versus the: Meat Industry on the Diet-Heart Question (1976–1977). https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3910043/

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Comparison of the Atkins, Zone, Ornish, and LEARN Diets for Change in Weight and Related Risk Factors Among Overweight Premenopausal WomenThe A TO Z Weight Loss Study: A Randomized Trial; Christopher D. Gardner, PhD; Alexandre Kiazand, MD; Sofiya Alhassan, PhD; Soowon Kim, PhD; Randall S. Stafford, MD, PhD;Raymond R. Balise, PhD; Helena C. Kraemer, PhD; Abby C. King, PhD; 7 Marzo 2007. http://jamanetwork.com/journals/jama/article-abstract/205916

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(3)Spaulding, S. W., Chopra, I. J., Sherwin, R. S., & Lyall, S. S. (1976). Effect of caloric restriction and dietary composition on serum T3 and reverse T3 in man. The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism42(1), 197-200.

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Leptin, nutrition, and the thyroid: the why, the wherefore, and the wiring

Jeffrey S. Flier, Mark Harris, and Anthony N. Hollenberg. 2000 (articolo riassuntivo che tira le conclusioni sugli studi effettuti fino ai primi anni 2000). https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC377492/; è possibile trovare i riferimenti precedenti di ben 20 studi correlati:

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  1. Flier JS. Clinical review 94: what’s in a name? In search of leptin’s physiologic role. J Clin Endocrinol Metab. 1998;83:1407–1413.
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  1. Nicoloff, J.T., and LoPresti, J.S. 1996. Nonthyroidal illness. In The thyroid.L.E. Braverman and R.D. Utiger, editors. Lippincott-Raven. Philadelphia, PA. 286–296.

 

L'articolo Dieta Low Carb vs Dieta Low Fat, qual è meglio per il dimagrimento proviene da Project inVictus.

La contrazione muscolare

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Introduzione alla contrazione muscolare

La possibilità di eseguire contrazioni muscolari nell’uomo è una delle più complesse e affascinanti funzioni della macrostruttura in anatomia, della microstruttura in istologia e di entrambe per la fisiologia umana.

Tutte queste conoscenze non hanno come unico scopo la sola cultura personale specifica del settore, non che non sia di notevole importanza e rilevanza, anzi tutt’altro, ma per un Personal Trainer e/o Preparatore Atletico, che deve riscontrarsi con applicazioni pratiche da utilizzare durante l’allenamento, non bastano le conoscenze puramente teoriche, ma occorre sfruttare proprietà meccaniche, caratteristiche metaboliche e capacità di resistenza alla fatica nel modo più opportuno.

L’articolo è lungo, tecnico e teorico e si rivolge ai professionisti-laureandi che vogliono avere un compendio sintetico e pratico. Scaricalo e leggilo con calma

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Articolo di Grassadonia Gabriele

Applicazioni costruttive della contrazione muscolare

Entrando maggiormente nello specifico, possiamo distinguere delle percentuali indicative per comprendere meglio capacità e bisogni prestativi relativi alla composizione delle fibre muscolari.

I diligenti Hatfield e Poliquin sono stati tra coloro che si sono maggiormente confrontati con questa problematica negli anni passati (l’immagine 1  è stata elaborata proprio da Hatfield per un apposito test).

tipo di fibra muscolare in relazione alle ripetizioni

(In realtà il test del massimo numero di ripetizioni con l’80% del carico è stato smentito per predire il tipo di fibra prevalente. Questo test indica l’efficienza neurale. Più una persona la sviluppa più a parità di % di carico riesce a fare meno ripetizioni. Atleti forti neuralmente con l’80% del loro massimale fanno 5-6 ripetizioni. Atleti scarsi ad attivarsi neuralmente anche 10 o più).

Effettivamente non è una problematica di poco conto riuscire a determinare le capacità soggettive, il test proposto da Hatfield è ovviamente superato da test genetici rimanendo nel campo, piuttosto che dall’aver capito che il muscolo è un effettore di un qualcosa che lo precede, il sistema nervoso, anche se le caratteristiche miogene sono comunque in grado di influenzare le capacità di prestazione. Di conseguenza saranno molto diversi i risultati ottenuti con lo stesso tipo di allenamento somministrato ad un soggetto “SLOW GAINER” (prevalenza di fibre rosse o con difficoltà ad attivarsi neuralmente) che ad uno “EASY GAINER” (prevalenza di fibre bianche o con un sistema nervoso efficiente), ed è più che probabile che non sia efficace per almeno uno dei due, se non addirittura entrambi, perché non risponde al principio di specificità. Inoltre un’altra differenza riguarda la composizione di ogni singolo muscolo, perché ci potrebbero essere importanti diversità nelle caratteristiche miofibrillari  (es.: il tricipite surale è il muscolo con la più alta concentrazione di  fibra rossa del corpo umano, viceversa il tricipite brachiale è colui che ha la composizione più prevalente a fibra bianca del nostro corpo). Le stesse accortezze vanno comunque prese anche per i “MEDIUM GAINER”, che rappresentano la maggior parte della popolazione, loro saranno più propensi per sport a carattere misto e per raggiungimenti più veloci del livello ideale di fitness (inteso come equilibrio tra le capacità).                                                                                       Qui si potrebbe aprire anche il discorso sui somatotipi (alias biotipi) ma si rischierebbe di esser fuorvianti e anacronistici.

Ricordiamoci sempre che rapide variazioni nell’espressione di RNA messaggero nel muscolo scheletrico sono associate all’esercizio fisico, e gli adattamenti trascrizionali seguenti sono imputabili a variazioni del carico lavorativo.

Oltre a queste caratteristiche occorre conoscere le tipologie di contrazione muscolare (isotonica, isometrica, isocinetica, auxotonica, pliometrica e isoinerziale), per potersene avvalere in modo proficuo ed intelligente. Chiaramente l’obbiettivo (sport specifico, recupero funzionale, allenamento mirato al fitness, etc.) influenza notevolmente la scelta di una tipologia di contrazione a discapito di un’altra.

Il parametro finale che vale per tutti, dall’atleta Top Level al principiante che si iscrive in palestra, è rendere più specifico possibile l’allenamento a seconda dell’obbiettivo e delle capacità individuali donateci dal patrimonio genetico, e di sfruttare quest’ultimo in modo utile e perspicace.

CENNI D’ISTOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA APPLICATI

Il meccanismo di contrazione muscolare è simile in tutti e 3 i tipi di tessuto muscolare (striato, liscio e cardiaco), ma le cellule muscolari sono diverse nella loro organizzazione interna.

Le proprietà universali del muscolo sono l’eccitabilità e la conduttività (alcuni autori l’accomunano mentre altri legano la prima al sistema nervoso e la seconda al sistema endocrino), la contrattilità e l’estensibilità, ovvero la capacità di contrarsi ed estendersi rispetto alla normale lunghezza, ed infine l’elasticità, ovvero la capacità di ritornare alla lunghezza di riposo.

Il tessuto muscolare è il tessuto maggiormente presente nel corpo umano, e la contrazione di esso avviene a livello biochimico grazie ad una molecola chiamata ATP (adenosin trifosfato), che permette la contrazione meccanica grazie alla produzione di energia. Occorre quindi cercare di comprendere al meglio i meccanismi morfologici-funzionali tra le fibre muscolari.

Ogni singolo muscolo umano è ricoperto da tessuto connettivo, e la lunghezza delle fibre varia da circa pochi millimetri a 30 cm. Ogni cellula muscolare è rivestita da una fascia connettivale (endomisio), poi c’è un altro avvolgimento delle fibre muscolari detto perimisio (o sarcolemma), ed infine l’ultimo rivestimento  che riguarda l’intero fascicolo muscolare detto epimisio. L’epimisio continua agli estremi del ventre muscolare nel tendine, il quale è composto da un tessuto connettivale molto resistente, che si attacca in un punto d’inserzione dell’osso, fondendosi con lo strato superficiale che ricopre l’osso stesso detto periostio.

Epidmisio perimisio endomisio

Esiste anche una parte “fluida” della fibra muscolare che prende il nome di sarcoplasma, il citoplasma delle cellule muscolari, contiene varie sostanze in forma disciolta, prevalentemente proteine, minerali, glicogeno e grassi, e i necessari organuli. Il sarcoplasma si differenzia dal citoplasma delle altre cellule per la grande quantità di glicogeno ed una sostanza che serve a legare l’ossigeno: la mioglobina, molto simile all’emoglobina. Nel sarcoplasma sono presenti i tubuli T (tubuli trasversi), essi originano sia da un lato che dall’altro delle cisterne fenestrate, e confluiscono al confine tra Banda A e Banda I in una cisterna detta terminale, insieme ad esse formano il complesso chiamato “triade”, di cui è dotato ogni sarcomero (situato appunto al confine tra disco chiaro-disco scuro); tornando ai tubuli T, sono estensioni del sarcolemma (membrana plasmatica) e attraversano la fibra muscolare lateralmente. I tubuli T consentono  la trasmissione rapida dell’impulso nervoso che passa dal sarcolemma alle singole fibre; inoltre agiscono da “condotti” per le sostanze che devono penetrare nella cellula e permettono ai metaboliti di scarto di lasciare le fibre. In più troviamo una rete longitudinale di tubuli denominata reticolo sarcoplasmatico, che serve a immagazzinare il calcio (Ca), elemento essenziale per la contrazione muscolare, esso viene rilasciato dal reticolo sarcoplasmatico dopo aver ricevuto una carica elettrica (Ca2+). Esso è molto più sviluppato nelle fibre veloci.

Funzione tubulo trasverso

L’insieme degli eventi che si verificano tra la depolarizzazione della membrana e la contrazione del muscolo costituisce il fenomeno: accoppiamento eccitazione-contrazione (EC). Una volta generato l’impulso nervoso a livello della placca motrice, il potenziale d’azione si propaga in tutte le direzioni lungo il sarcolemma della fibra, attraverso l’ EC avviene la risposta contrattile dei muscoli. La presenza dei tubuli T favorisce la propagazione del potenziale fino alle regioni più interne della fibra muscolare, dove si trovano gli elementi contrattili: actina (proteina filamentosa, con molecole globulari di actina G e siti attivi per legarsi alla miosina) e miosina (proteina filamentosa, con un’estremità globosa detta testa e una porzione allungata detta coda, unite da una porzione intermedia detta collo) in modo particolare, ma vengono coadiuvate anche da troponina (proteina globulare) e tropomiosina (proteina filamentosa).

La troponina è costituita da 3 sub-unità: di tipo T, che lega con la tropomiosina, di tipo I, che lega con l’actina, di tipo C, la quale ha una elevata affinità con Ca2+. Actina e miosina vengono anche chiamate miofilamenti. La tropomodulina cche si lega ad actina e alla tropomiosina, con l’obbiettivo di far mantenere costante la lunghezza della catena dell’actina.

Actina, tropomiosina e troponina fanno parte del cosidetto “Filamento Sottile”, mentre la miosina essendo una molecola ad alto peso molecolare, costituita da ben 6 catene polipeptidiche sia Heavy (pesanti) che Light (leggere) forma il cosidetto “Filamento Spesso”.

A titolo informativo si specifica che esistono nel genoma di ogni specie vivente diverse isoforme, per esempio la catena pesante della miosina (MHC), ne ha ben 8 differenti tipi.

La sequenza degli avvenimenti principali nell’azione muscolare è: un motoneurone libera acetilcolina (ACh) e permette l’ingresso del sodio nella cellula muscolare (depolarizzazione), e solo se la cellula è sufficientemente depolarizzata, si lega ai recettori presenti sul sarcolemma. Se si fissa una quantità sufficiente di ACh un potenziale d’azione viene generato nella fibra muscolare, a questo punto il potenziale d’azione provoca la liberazione di ioni calcio (Ca2+) dal reticolo sarcoplasmatico all’interno del sarcoplasma, loro si legano alla troponina sul filamento di actina, ed è la troponina a rimuovere la tropomiosina dai siti attivi, permettendo alle teste di miosina di attaccarsi al filamento di actina, giunti a questo punto la testa di miosina s’inclina e tira il filamento di actina in maniera che i due filamenti scorrano l’uno sull’altro. L’inclinazione della testa di miosina rappresenta la cosiddetta fase utile (power stroke). L’azione muscolare richiede apporto di energia. La testa di miosina si lega all’ATP e all’ATPasi , l’attivazione di quest’ultimo porta all’idrolisi di ATP, che fornisce l’energia necessaria alla variazione della conformazione strutturale delle teste della miosina. L’ATPasi, il quale si trova sulla testa della miosina, scinde l’ATP in ADP e Pi (fosfato inorganico), liberando l’energia necessaria per la contrazione. L’azione muscolare termina quando il calcio viene restituito dal sarcoplasma al reticolo sarcoplasmatico, dove verrà nuovamente immagazzinato (anche questo processo richiede energia, fornita sempre da ATP). Quindi è necessaria energia sia per la contrazione sia per il “rilasciamento”. Nel corso di ogni contrazione muscolare i ponti di miosina effettuano continui “agganci” e “sganci” in modo indipendente, questo proprio per permettere un movimento fino, preciso e controllato. In ogni momento circa il 50% dei ponti della miosina sono agganciati all’actina (parliamo di complesso actomiosinico), che di fatto sviluppa l’azione contrattile, mentre gli altri ponti si trovano in varie fasi del processo aggancio/sgancio che possiamo suddividere in 4 fasi: avvicinamento della testa della miosina all’actina, legame actina-miosina, colpo di forza (power stroke), ed infine stato di rigor (sono attaccate). Un altro sito della testa del ponte della miosina presenta l’enzima adenosin-trifosfatasi miofibrillare (miosin-ATPasi), attivato dall’actina stessa. Esso provoca l’idrolisi di ATP e l’energia chimica che si libera si trasforma in energia meccanica. La velocità di scissione dell’ATP è minore se actina e miosina non sono agganciate, a differenza di quando i ponti hanno stabilito un aggancio.

Ci sono inoltre 2 molecole che svolgono un importante ruolo di controllo e  sono la nebulina e la titina (elemento elastico): la nebulina è disposta in prossimità dell’actina ed è deputata al controllo dei monomeri dell’actina stessa uniti sullo stesso filamento sottile, mentre la titina aiuta a mantenere il filamento spesso centrato rispetto alle 2 linee Z durante la contrazione muscolare, oltre che controllare il numero di molecole di miosina contenute in un filamento spesso.

La zona più scura di un muscolo striato viene chiamata banda A (non subisce variazioni durante la contrazione muscolare, contiene miosina e actina, tranne che al centro, dove si trova una zona di “gap”, in cui è presente solo miosina, che prende il nome di zona H, che si restringe in fase concentrica e allarga in fase eccentrica, nella sua parte centrale si trova un’area più scura nota come linea M, che rappresenta il centro del sarcomero), mentre la regione più chiara viene chiamata banda I (contiene solo actina, ed è quella che durante la contrazione muscolare subisce una maggiore variazione strutturale, infatti si restringe, a meno che la contrazione muscolare non sia di tipo isometrico), la linea Z (o disco Z), invece, si unisce al sarcolemma, grazie all’actina, per conferire stabilità e definire l’unità funzionale del muscolo scheletrico, il sarcomero.

banda muscolare a z

Oltre alle già citate proteine, che sono le più importanti, ce ne sono però altre che concorrono alla formazione e funzione del sarcomero, e sono: proteine C (disposte in strisce, aiutano a far mantenere la regolare disposizione spaziale dei filamenti di miosina), proteine M (regolano la disposizione spaziale dei filamenti spessi), miomesina (funge d’ancoraggio per la titina), M-CK (si trova in prossimità delle teste di miosina e consente la formazione di ATP a partire dalla fosfocreatina), α-actinina (mantiene la disposizione spaziale dei filamenti sottili), β-actinina (forma la linea Z), la desmina (essa forma connessioni tra le linee Z adiacenti ma appartenenti a diverse miofibrille, e quindi aiuta a mantenere un corretto allineamento del sarcomero), e la CapZ che è localizzata a livello della linea Z ed è responsabile dell’ assemblaggio del filamento sottile tramite allungamento e accorciamento.

Circa il 75% del peso del muscolo è rappresentato da acqua, mentre il 20% da matrice proteica e il restante 5% da sali inorganici, fosfati energetici, composti chimici vari (urea e acido lattico), minerali (calcio, magnesio e fosforo), enzimi vari, ioni (sodio, potassio e cloro), amminoacidi, grassi e carboidrati. La miosina è la proteina più abbondante.

Un altro fattore di vitale importanza per l’organismo umano e nella fatti specie per il tessuto muscolare è la sua vascolarizzazione, che serve a garantire un elevato apporto ematico. Di ciò ne sono responsabili prima arterie e vene che decorrono parallelamente lungo le fibre muscolari, poi esse si diramano in arteriole, capillari e venule che riescono a realizzare un importante rete all’interno e intorno all’endomisio, così da assicurare ad ogni singola fibra muscolare un adeguato apporto di sangue ossigenato proveniente dal distretto arterioso e un rapido allontanamento dell’anidride carbonica attraverso la circolazione venosa. Durante un esercizio fisico (di tipo dinamico), l’attività ematica è oscillante, infatti aumenta nella fase di contrazione per diminuire in quella di rilascio. L’alternanza di afflusso del sangue favorisce il ritorno venoso al cuore, tramite un effetto di “spremitura” delle vene (azione di pompa muscolare scheletrica).

Nel corso di una contrazione muscolare è possibile che intervengano più potenziali d’azione durante la contrazione della fibra, e la forza della seconda scossa sarà superiore rispetto alla prima; mentre i potenziali d’azione seguono la legge del tutto o nulla, infatti proprio per questo non sono sommabili, la tensione sviluppata può aumentare se il muscolo è stimolato da potenziali d’azione ravvicinati. Si possono verificare 2 tipi di condizioni: il tetano incompleto (o non fuso) o il tetano completo (fuso). Nel caso del tetano incompleto si verificano oscillazioni della tensione generata, ma aumentando la stimolazione della contrazione non si verificano più oscillazioni di tensione, in questo caso la forza della tensione tetanica generata è massima. Questo viene spiegato (nonostante la legge del tutto o nulla) con una duplice motivazione: la prima spiegazione riguarda l’apertura dei canali di Ca2+ e il loro rilascio teso a favorire il legame dei ponti, essa aumenta progressivamente nel caso del tetano incompleto o rimane costantemente elevata nel tetano completo; la seconda spiegazione fa riferimento al modello meccanico del muscolo, infatti la forza viene misurata a livello dei tendini e non del sarcomero, questo perché se si potesse misurare la forza all’estremità della componente contrattile, senza l’interposizione della componente elastica costituita dai tendini, la differenza tra la forza sviluppata nella scossa singola e nel tetano sarebbe molto ridotta. Ed è proprio quest’ultima componente a fare la differenza tra il tetano completo e quello incompleto, infatti l’allungamento dei tendini solo con il tetano completo arriva a compimento.

Diverso è invece il processo attraverso il quale viene regolata la dimensione della cellula e quindi i fenomeni di atrofia e ipertrofia. La via che può essere attivata dall‟insulin-like growth factor 1 (IGF-1) vede una serie di fattori tra cui il più importante è Akt (Protein Kinase B) in quanto esso è in grado di promuovere l’ipertrofia attivando la sintesi proteica attraverso parecchie vie. Anche mTOR è di fondamentale importanza per la sua funzione regolatrice di NAFT. L’elevata concentrazione di ioni calcio che si produce in risposta al potenziale d’azione attiva la calcineurina. La calcineurina è una fosfatasi serina/treonina regolata dal Ca2+ . Essa è in grado di attivare diverse vie per l’espressione genica di proteine specifiche delle fibre muscolari di tipo lento tra cui quelle del NAFT e MEF2 . Il NAFT può agire in unione con altri possibili regolatori quali: HDAC o MEF2.

Tipologia di fibre muscolari, disposizione spaziale e ruoli

Non tutte le fibre sono uguali!

Infatti, come accennato in precedenza, ci sono diverse tipologie di  fibre muscolari: fibre a contrazione lenta (ST, slow-twich) e fibre a contrazione rapida (FT, fast-twich), che a loro volta si suddividono in FT di tipo A, di tipo intermedio, e fibre FT di tipo B (alcuni le chiamano FT X), ed esiste, per essere bibliograficamente più corretti, un altro tipo di fibre, FT di tipo C, che  sono di norma rare e indifferenziate, rilevabili nel corso di processi di reinnervazione per modificazioni di carattere morfologico-funzionale dell’unità motoria. Le fibre bianche, a contrazione rapida, hanno una maggiore riserva di glicogeno, utilizzando principalmente i glucidi come carburante, oltre ad un reticolo sarcoplasmatico maggiormente sviluppato per potergli permettere un più veloce turnover di Ca2+; sono più grandi e presentano una grande innervazione cellulare oltre che più unità motorie, ma hanno una minore densità capillare, meno mitocondri e mioglobina. Mentre le fibre rosse, a contrazione lenta, hanno una maggiore riserva lipidica e presentano più mitocondri e mioglobina, che facilita la diffusione di ossigeno dal sarcolemma al luogo di utilizzazione, il mitocondrio; ma hanno l’innervazione cellulare più piccola.

muscolo tipologia di fibre

Oltre alla distinzione di “tipologie” di fibre c’è una distinzione dovuta all’”architettura” del muscolo e alla disposizione di queste fibre (angolo di pennatura). L’allineamento delle fibre muscolari cambia da muscolo a muscolo, infatti esistono muscoli fusiformi, digastrici, circolari, segmentati o laminari, semipennati, unipennati, bipennati e multipennati. Questa distinzione porta non solo a delle diversificazioni a livello “bibliografico”, ma anche sotto l’aspetto funzionale di questi singoli muscoli, infatti le fibre parallele all’asse longitudinale dei tendini consentono movimenti ampi e rapidi, mentre man mano che aumenta l’angolo di pennatura i movimenti saranno più lenti, di minore ampiezza ma avranno in compenso una maggiore produzione di forza dovuta a una maggiore sezione trasversa (PCSA, Physiological Cross Section Area) rispetto alla sezione longitudinale. L’angolo di pennazione solitamente aumenta quando un muscolo si accorcia.

fibre muscolari pennate

Per finire i muscoli possono in base al ruolo assunto durante il movimento essere definiti:

  • Agonista: Il muscolo più importante che esegue il movimento.                                                                
  • Antagonista: Il muscolo che può eseguire il movimento opposto al muscolo agonista. Quando esegue il movimento diventa agonista. Il muscolo antagonista agisce anche come modulatore ovvero, mantenendo un certo tono, assicura la giusta direzione del movimento.
  • Sinergico: Non è il muscolo effettore principale del movimento ma vi partecipa insieme all’agonista.
  • Fissatore: in quanto con una contrazione statica o isometrica, fissa saldamente i segmenti sui quali un altro segmento si muove.
  • Neutralizzatore e guidatore: La sua contrazione neutralizza l’azione di altri muscoli agonisti, soprattutto biarticolari, il cui intervento completo non permetterebbe la possibilità di localizzare il movimento ad una sola articolazione ma muoverebbe più segmenti corporei contemporaneamente.

*N.B.: Il muscolo ha una sua capacità tensile che cambia a seconda se la mobilità richiesta è di tipo attiva o passiva (la mobilità articolare passiva è generalmente maggiore di quella attiva). La differenza tra mobilità articolare passiva ed attiva viene definita riserva di movimento (Frey, 1975). La riserva di movimento è data dalle capacità di forza speciale e di coordinazione. Inoltre occorre sempre tenere a mente soprattutto in relazione al tipo di forza che utilizziamo che c’è una proporzionalità di tipo diretto con l’immagine in basso a dx e nell’ ordine la forza esplosivo-reattiva, la forza dinamico-massima e la forza massima (intesa in questo caso come carico massimo sollevato). In poche parole più allungo il tempo di tensione (si parla di millisecondi) più inibisco i riflessi da stiramento più la cosiddetta parte elastico-connettivale farà spazio a quella miogena prima e osseo-articolare dopo.

diagramma forza lunghezza muscolo

Nozioni di reclutamento muscolare

Un’altra fonte di ricerche e teorie sono stati negli anni i principi di reclutamento muscolare. A partire dalla legge di Henneman (le fibre lente vengono reclutate prima di quelle rapide, per carichi leggeri si utilizzano fibre lente, per i moderati fibre intermedie e per i carichi pesanti invece fibre rapide), per continuare con gli studi di Bosco, Komi, Hakkinen (etc.) che andavano a smentire la teoria precedente, o per esser più precisi a corregerla per quel che riguarda movimenti esplosivi che richiedono una forte frequenza di scarica.

La legge di Henneman rimane tutt’oggi ancora valida se i movimenti eseguiti con i carichi leggeri avvengono a bassa velocità. Nelle contrazioni balistiche tutte le fibre sono reclutate insieme, con ogni scarica alla massima frequenza, mentre nelle contrazioni crescenti le fibre vengono reclutate nell’ordine: lente, intermedie e veloci. Altro parametro studiato nel corso degli anni è stato la sincronizzazione delle fibre, che è regolata da un particolare sistema inibitorio composto da interneuroni chiamati cellule di Renshaw, che impediscono un’eccesiva attività muscolare a scopo preventivo; si concretizza tutto ciò con una diminuzione della frequenza di scarico. Chiaramente più è importante lo sforzo e maggiore è il numero delle unità motorie reclutate, e questa capacità di reclutamento motorio è maggiormente sviluppato in soggetti allenati rispetto a soggetti sedentari, ma tuttavia il sistema nervoso non recluta mai il 100% delle unità motorie, neanche in sforzi massimali, questo perché è una forma di prevenzione per muscoli e tendini.

differenza fibre muscolari

Parametri di allenamento

Dovremmo essere in grado di avvalerci delle conoscenze a disposizione per poter far ottenere dei vantaggi agli atleti o clienti, allo scopo di realizzare gli obbiettivi prefissati in partenza. Un esempio importante può essere l’allenamento della terza e quarta età, con l’obbiettivo generale di combattere la sarcopenia, e tutti i parametri che la riguardano e contraddistinguono, come l’atrofia muscolare maggioritaria nei flessori rispetto agli estensori, e la perdita di fibre prevalentemente a carico delle fibre bianche rispetto alle fibre rosse.

In precedenza abbiamo citato alcune tipologie di contrazioni muscolari che ora andremo ad analizzare con coscienza critica allo scopo di costruire delle sedute di allenamento che siano mirate e specifiche per il soggetto allenato. Chiaramente l’avvalersi di queste contrazioni fa sì che noi otteniamo dei risultati, e sono proprio questi ultimi a doverci dare lo stimolo di andare a rimodificare in modo continuo le nostre sedute di allenamento, sia per creare sempre nuovi stimoli, sia per cercare di migliorare sempre (Principio della Supercompensazione). Anche se poi questo non è veritiero al 100% sulla multidisciplinarietà delle capacità, infatti nessun recordman dei 100 metri piani ha mai vinto una maratona!

I professionisti, che operano nel fitness, devono essere in grado di “saper giocare” su questa multidisciplinarietà che si offre al cliente per dare sempre degli stimoli nuovi, specifici e funzionali alla vita e al benessere della persona che andiamo ad allenare (concetto di ‘’allenamento ecologico’’).

Ben diversa è la situazione vista dal Preparatore Atletico che deve cercare di tutelare l’integrità degli atleti che allena, ma nel contempo deve per forza di cose portarli alla migliore condizione possibile per eseguire una determinata performance al meglio delle loro possibilità. 

Contrazione Isotonica: nella contrazione isotonica il muscolo cambia la sua lunghezza, mantenendo però una continua tensione. E’ la contrazione che utilizziamo ogni giorno per muovere un oggetto, sollevare un peso e quant’altro. Questa contrazione è composta da 2 fasi ben distinte: fase concentrica e fase eccentrica; nella prima contrazione il muscolo subisce un accorciamento, mentre nella seconda il muscolo viene sottoposto ad una fase di allungamento. Le fibre muscolari in questo tipo di contrazione subiscono un maggior danno nella fase eccentrica del movimento, rispetto alla fase concentrica del movimento.

Contrazione Isometrica: la contrazione isometrica avviene senza variazioni di lunghezza da parte del muscolo. Si nota una minima variazione solo nel ventre muscolare che tende minimamente a gonfiarsi. La contrazione isometrica è chiamata anche contrazione statica.

Contrazione Isocinetica: si ottiene questo tipo di contrazione in un movimento senza variazioni di velocità, ovvero a velocità costante. Questo tipo di contrazioni sono impossibili in natura! Possono solamente essere ottenute grazie a macchinari “speciali” e “sofisticati”, detti per l’appunto macchinari isocinetici.

Contrazione Auxotonica: la contrazione auxotonica invece è quella che avviene mediante l’utilizzo di elastici. In questa tipologia di contrazione muscolare, notiamo che man mano che l’elastico si allunga la tensione muscolare aumenta, infatti proprio per questa peculiare caratteristica le contrazioni auxotoniche vengono dette contrazioni progressive.

Contrazione Pliometrica: le contrazioni pliometriche sono costituite da 3 fasi, facilmente distinguibili, la fase eccentrica, la fase di “volo” o “ammortizzazione” e la fase concentrica. Queste contrazioni hanno un’importante componente, basata sul riflesso di stiramento muscolare: la componente elastica (SEC, Series Elastic Component). La caratteristica funzionale di queste tipologie di contrazioni è: la maggiore “vigorosità” di contrazione del muscolo se precedentemente allungato.

Contrazione Isoinerziale: questi tipi di movimenti sono costituiti da una forte attivazione mioelettrica iniziale, che è corrispondente al momento in cui occorre vincere l’inerzia del carico (contrazione degressiva). Le contrazioni isoinerziali hanno un differente pattern di attivazione neuromuscolare e sono molto utili per ricostruire il rapporto forza-velocità. Vengono ottenute mediante apparecchiature molto particolari.

Non tutto è per tutti!
I motivi sono diversi, ma la realtà, anche se a volte è dura da accettare, è questa.

E’ qui che entra in gioco la bravura del Preparatore Atletico e/o Personal Trainer professionista, perché cercherà di individuare il lavoro più giusto ed appropriato per chi gli sta davanti in quel determinato periodo preparatorio. Non si può pensare di far fare degli esercizi pliometrici ad alta intensità ad un soggetto sedentario che soffre di una grave obesità (anche se ci sono delle ricerche recenti che sembra che vadano nel senso opposto, vedi Racil G. et al, 2015),e quindi anche qui occorre essere ‘’elastici mentalmente’’, oppure usare attrezzatura isoinerziale a chiunque, quando in una normale palestra non si è mai vista (questo però purtroppo dovuto al costo notevole e alla scarsa commercialità di queste tipologie di attrezzi); tutto questo almeno fino a quando non ci saranno determinati presupposti da parte dei soggetti in causa e delle strutture.

Ma tutte queste contrazioni muscolari, hanno un effetto sul corpo, in modo particolare una fase che caratterizza molteplici tipologie di contrazione in modo particolare: la fase eccentrica. Infatti è proprio questa fase che porta ad un maggior danno muscolare (può essere superiore fino al 30-40% rispetto alla fase concentrica del movimento), ed è responsabile di maggior ipertrofia muscolare.

Il danno muscolare è in genere correlato al tipo di attività contrattile esercitata. La distruzione meccanica è osservabile con EMG o per il rilascio di enzimi specifici delle fibre muscolari. Anche la sensazione soggettiva di stanchezza o crampi possono essere dei buoni indicatori di danno muscolare così come, in assenza di fatica, una diminuzione della forza sviluppata.

E’ facilmente comprensibile l’importanza di questa fase durante l’allenamento, anche se tendenzialmente cambia la velocità di interpretazione di essa tra Fitness e Sport (lenta e veloce) a causa dei differenti obbiettivi.

La rigenerazione del muscolo scheletrico è un processo altamente sincronizzato che coinvolge l’attivazione di varie risposte cellulari. La fase iniziale è caratterizzata dalla necrosi del tessuto danneggiato e dall’ attivazione della risposta infiammatoria. Questa fase è rapidamente seguita dall’ attivazione delle cellule miogeniche che proliferano, si differenziano e si fondono a formare nuove fibre muscolari. Si ha quindi la ricostituzione dell’apparato contrattile funzionale. L’attivazione delle cellule satelliti del muscolo adulto è come detto la fase chiave del processo. L’attivazione delle cellule satelliti assomiglia alla biogenesi embrionale per molti aspetti fra i quali l’induzione “ex novo” dei fattori regolatori miogenici.

Istologicamente le fibre in rigenerazione sono caratterizzate dal loro piccolo calibro e dalla posizione centrale dei nuclei. Le cellule satelliti sono normalmente quiescenti nel muscolo adulto e possono essere attivate per esempio da un danno muscolare. Una volta attivata, la cellula satellite di divide a produrre mioblasti che proliferano fino al momento in cui sono attivati per la differenziazione e quindi si fondono a formare miotubuli i quali poi maturano per diventare fibre muscolari.

Oltre l’allenamento in se per se contano moltissimo anche i tempi di recupero, che chiaramente sono un parametro imprescindibile dell’allenamento stesso, vanno rispettati per evitare condizioni di overreaching disfunzionale e overtraining.                                      

tempo rigenerazione fibre muscolari

CONCLUSIONI

Un buon allenamento, al di là di chi  ne sia il fruitore ultimo, deve rispondere a dei principi: delle differenze individuali, della sovracompensazione, del sovraccarico, degli adattamenti specifici (SAID), dell’uso/non uso, della specificità e degli adattamenti generali (GAS), in una parola “Eterocronismo”.

Eterocronismo:
“Gli adattamenti hanno un’inerzia diversa, tipica di ogni funzione”.R. Manno, 1989.
(Dinamica Carico/Recupero)

L’allenamento è una scienza con enormi sfaccettature, sia positive che negative, può diventare “un’arma” per i tecnici del settore che la sanno adoperare, ma per far ciò occorre conoscere profondamente le potenzialità ed i rischi annessi.

Sta a noi rendere l’allenamento quanto di più vicino possibile alla perfezione, nel rispetto del corpo umano, per poterlo esaltare al massimo.

L’allenamento è una scienza non una dottrina, e anche la scienza si basa su un processo induttivo/deduttivo: dal particolare all’universale ovvero dalla contrazione muscolare all’allenamento (induttivo), e viceversa, dal macro al micro (deduttivo).

Parafrasando un estratto di un articolo di Mel Siff (coautore di Supertraining: Special Strength Training for Sporting Excellence), <<troppi professionisti del fitness focalizzano l’allenamento sui muscoli come se fossero un’entità indipendente>>.

A cura di,

Gabriele Grassadonia

Laureando in Scienze delle Attività Motorie e Sportive (Università San Raffaele Roma).
Tecnico Specializzato in “Metodologie Anti-Aging e Anti-Stress” (Università La Sapienza Roma).                                         Personal Trainer NSCA (National Strength and Conditioning Association) – ISSA (International Sport and Science Association) – FIPE (Federazione Italiana Pesistica) e ELAV.

MAIL: gabriele.grassadonia@gmail.com

Principali Bibliografie:

1 –  McArdle William D., Katch Frank I., Katch Victor L., Fisiologia applicata allo sport Aspetti energetici, nutrizionali e performance  Casa Editrice Ambrosiana, 2009
2 – Wilmore Jack H., Costill David L., Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport  Calzetti&Mariucci, 2005
3 – Zocchi L., Principi di fisiologia EdiSES, 2012
4 – Martini F. H., Timmons Michael J., Tallitsch Robert B., Anatomia Umana EdiSES, 2012
5 – Saladin Kenneth S., Anatomia Umana PICCIN, 2011
6 – Baechle T.R., Earle R.W., NSCA National Strenght and Conditioning Association CPT Calzetti&Mariucci, 2010
7 – Baechle T.R., Earle R.W., NSCA National Strenght and Conditioning Association CSCS Calzetti&Mariucci, 2010
8 – Busin S., Nicosia N., Suardi C., Zambelli S., Hatfield F., FITNESS La guida completa ISSA (International Sport and Science Association), Edizioni Sporting Club Leonardo da Vinci, III Edizione, 2011
9 – Weineck J., L’allenamento ottimale, Calzetti&Mariucci, 2009

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Alimentazione corretta: conta la qualità o la quantità?

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Quando si parla d’alimentazione corretta tutti guardano alla qualità degli alimenti (giustamente). Negli ultimi 60 anni il cibo ha avuto un abbassamento notevole del suo valore biologico.

  • Gli allevamenti intensivi usano quasi solo a mangimi industriali, dando alle mucche mais e non fieno o erba
  • Le monoculuture hanno ucciso la biodiversità, impoverendo il suolo e legando la pianta ai fertilizzanti artificiali

Insomma perchè una corretta alimentazione possa esistere, dobbiamo ritornare a mangiare alimenti di qualità e su questo non ci piove.

Il valore biologico dei nostri alimenti ha visto negli ultimi anni non solo una minor % di micronutrienti, sia frutta che verdura (anche biologica) oggi non solo sono meno ricchi di vitamine e minerali, ma hanno anche più calorie. Molti frutti hanno più che raddoppiato il loro quantitativo di fruttosio (grazie alla selezione artificiale).
Dall’altra l’equilibrio degli acidi grassi negli animali si è sbilanciato verso i grassi saturi (ovviamente già presenti ma oggi in maggior quantità) e nel rapporto tra omega 3 e 6. Gli animali d’allevamento intensivo, oltre ad essere pieni d’antibiotici, vivono una vita cronicamente stressata ed infiammata.

Insomma se ci chiediamo ancora perchè una corretta alimentazione oggi è sempre più importante, la risposta è evidente.

Alimentazione corretta quando si fa sport

come deve essere alimentazione corretta

Purtroppo per chi fa sport e/o desidera dimagrire sotto una certa % di grasso corporeo, l’alimentazione corretta non deve tenere presente solo la qualità degli alimenti (che diamo per scontata) ma anche la quantità. Si perchè questo parametro in molti pensano di poterselo dimenticare se fanno attenzione alla qualità: sbagliato!

Si è visto chiaramente che chi inizia a mangiare “bene” con cibi a bassa densità energetica, inizia ad aumentare (anche inconsapevolmente) i quantitativi, per tornare al livello energetico che aveva precedentemente. Mangiare bene non deve diventare una scusa per mangiare di più.
I cereali integrali vanno considerati energicamente come quelli raffinati e l’olio d’oliva ha più calorie del burro.

Se siete magri semplicemente mangiando bene continuate così, ma se invece avete ancora un po’ di pancetta e fianchi non dovete solo guardare a cosa mangiare per un’alimentazione corretta, ma anche al quanto.

Si perchè il primo parametro metabolico del nostro organismo è l’equilibrio energetico. INDIPENDENTEMENTE da cosa mangiate, se eccedete con le calorie, metabolicamente peggiorerete, al contrario se siete in deficit, anche se mangiate male…. dimagrirete.

Questa constatazione non si vuole accettare, ma si dimagrisce molto di più a mangiare 1000 kcal di zucchero puro (saccarosio), che 2000 kcal di frutta.

Come dev’essere una corretta alimentazione

alimentazione corretta quando si fa sport

Per concludere chi vuole mangiare bene deve tenere presenti tutti e due i parametri: qualità e quantità.
Come impostare una alimentazione corretta:

  1. Scegliere frutta e verdura di stagione
  2. Scegliere carni magre non da allevamenti intensivi
  3. Preferire il pesce alla carne
  4. Non credere che l’etichetta del supermercato: Biologico , renda l’alimento migliore come lo immaginiamo
  5. Bere correttamente almeno 1-1,5l d’acqua ogni 1000 kcal assunte
  6. Distribuire i macronutrienti con % corrette (evitando diete ipoproteiche)
  7. Non credere che l’integrale permetta quantitativi maggiori del raffinato
  8. Non credere che l’olio d’oliva permetta d’assumere più kcal del burro
  9. Considerare tutti gli alimenti UGUALI dal punto di vista energetico (1 kcal è 1kcal)
  10. Considerare che semplicemente per dimagrire dovete assumere meno calorie di quelle che introducete, anche se nessuno lo vuole accettare.

Per finire; la corretta alimentazione per dare il massimo del risultato va sempre accompagnata da un corretto stile di vita e dall’attività fisica (senza esagerare). Soltanto un mix di questi elementi può aiutare realmente a vivere e rimanere in salute.

cosa mangiare alimentazione corretta

 

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Il latte fa male?

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L’uomo è l’unico animale che beve il latte dopo lo svezzamento! Ma allora il latte fa male?
Il latte non cura l’osteoporosi ma la causa! Ma allora il latte fa male per davvero?
Le caseine del latte causano tumori! Ecco definitivamente perchè il latte fa male!

Quante volte su internet avete letto frasi come queste sul latte? Se siete convinti di queste affermazioni (su Facebook ci sono verità che i ricercatori ignorano) potete anche smettere di leggere, se invece volete approfondire l’argomento in modo serio ed oggettivo, scoprirete che non esistono alimenti che fanno bene o male in assoluto. La nostra fisiologia è ben più complessa e spesso qualcosa che fa bene per un organo, può far male per un altro. Tra il nero ed il bianco c’è tutta una serie infinita di colori. Questa è la fisiologia umana e con questo spirito approfondiamo l’argomento sul latte.

Il latte non è un alimento “naturale”

uomo unico animale beve latte svezzamento

Per la maggior parte di noi bere latte è qualcosa di scontato, in molti lo fanno da quando sono nati e non hanno mai smesso. Eppure l’introduzione del latte d’altre specie animali non risale alla notte dei tempi, ma ha visto la sua comparsa in epoche recenti (guardando all’evoluzione dell’uomo), più o meno da quando, 10.000 anni fa, abbiamo iniziato ad allevare alcune specie animali.

Oggi bere il latte di mucca o capra non causa ribrezzo ma se vi offrissero del latte di cane, gatto, topo? Berreste latte di topo?
Ecco quello che noi diamo per scontato è solo grazie ad un’educazione culturale/alimentare.
Comunque l’uomo fin dall’antichità è stato dubbioso sul bere il latte, già Ippocrate (400 ac) diceva: “per ognuno il latte della propria specie è bene,  ma quello di altre specie è dannoso“.

Eppure perchè siamo arrivati a berlo? Il motivo è semplice, perchè in epoche di non sovrabbondanza calorica, il latte ed i suoi derivati apportarono nutrienti e calorie utili alla nostra sopravvivenza. Avere più fonti a cui approvvigionarsi e soprattutto poter conservare le calorie attraverso i formaggi, ha permesso nell’antichità all’uomo di sopravvivere più facilmente.

Il vostro aereo crolla su un’isola deserta, rimangono intatte bottiglie di latte e formaggi, che fate state a guardare se contengono caseine e lattosio?

Ok, molti di voi risponderanno che non essendo su isola deserta non devono scegliere il minore dei mali, quindi possono evitare benissimo il latte. Corretto, ma siamo sicuri che il latte faccia male alla salute? Scopriamolo.

La composizione del latte

composizione chimica latte

Guardate queste tabelle sapete cosa rappresentano?

Valori nutrizionali latte maternoValori nutrizionali latte materno

Valori nutrizionali latte parzialmente scrematoValori nutrizionali latte parzialmente scremato

Quello che vediamo sopra è un’immagine di quello che vede (in parte) il nostro organismo quando beviamo il latte. Noi lo chiamiamo con questo nome attribuendogli un significato positivo o negativo, a seconda di come la pensiamo. L’organismo vede aminoacidi, acidi grassi, disaccaridi o monosaccaridi (a seconda se abbiamo attiva la lattasi), micronutrienti, più qualche altra molecola.

Quindi il discorso: il latte fa bene, il latte fa male, è una semplificazione di quello che avviene in biochimica. Se fa bene o fa male è perchè qualche proteina (aminoacido), zucchero, acido grasso, molecola porta a quell’effetto nel nostro organismo. Se capiamo il principio, l’assunzione di quella molecola, indipendentemente se viene dal latte o da un altro alimento farà sempre bene o male.

Quindi se vogliamo avere una visione più veritiera della materia latte, smettiamo di chiamarlo così ed iniziamo ad analizzare i singoli elementi.

Il lattosio fa male?

latte e lattosio

Solo il 35% degli adulti ha ancora attivo l’enzima della lattasi e riesce a digerire il lattosio anche da grande. In realtà questa % a seconda da che parte della terra ci troviamo può aumentare ulteriormente o può scendere.
Chi perde la lattasi non è in grado di scindere in glucosio e galattosio il lattosio. Così questo disaccaride rimarrà nell’intestino producendo un duplice effetto: gas prodotto dai batteri che lo metabolizzano, richiamo di acqua e successiva diarrea per via dell’effetto osmotico dello zucchero che porterà acqua nell’intestino.

Bisogna tuttavia sapere due cose:

  • la lattasi è un enzima inducibile, il che vuol dire che chi ce l’ha ma non beve mai il latte lo perde, e solo tornando ad assumere latte e latticini in modo costante riesce di nuovo a riattivarlo.
  • la flora batterica è composta da diversi ceppi, anche se siamo intolleranti ma continuiamo a bere latte, aumenteranno i batteri in grado di scomporlo, facendo sparire nel tempo i sintomi dell’intolleranza (anche se continueremo ad esserlo).

L’intolleranza al latte ha diversi gradi, possiamo essere molto intolleranti per cui avremo problemi anche a mangiare derivati del latte (formaggi e yogurt) o poco. In ogni caso è l’abitudine con cui assumiamo questo alimento che ci porta ad esserlo in maniera maggiore o più lieve (questo avviene con tutti gli alimenti). Tutto questo non vale per gli intolleranti irreversibili che non lo potranno assumere per tutta la vita.

Per concludere il lattosio può essere con alcuni individui molto fastidioso, con altri invece si comporta come un qualsiasi dissaccaride (quindi non da problemi). Il quantitativo giornaliero di galattosio potrebbe essere simile a quello del fruttosio.

Le caseine fanno male alla salute?

le caseine fanno male

Chi ha letto China Study ricorderà che Cambell indusse il cancro nei topi attraverso l’utilizzo di aflattossine. Nel gruppo di roditori nutrito a caseine il tumore cresceva molto più rapidamente, mentre in quello nutrito con proteine del frumento l’effetto era inverso.

Questi studi sono poi stati clamorosamente smentiti dalla scienza:

  1. Le caseine hanno uno spettro aminoacidico completo (essenziale per tutte le cellule), le proteine del frumento invece sono limitate dalla lisina, per cui tutte le cellule hanno una carenza comprese quelle tumorali. Se aggiungiamo sempre da fonti vegetali tutti gli amonoacidi gli effetti sono identici.
  2. Cambell si dimentica di dire che un’alimentazione priva di alcuni aminoacidi essenziali può favore lo sviluppo di alcuni tumori (in primis il fegato), oltre a non essere salutare per l’intero organismo
  3. Gli studi effettuati sui roditori hanno una bassissima evidenza scientifica e non posso essere portati come prova per sostenere una tesi così importante

Le caseine non sono la causa primaria del cancro e anzi possono aiutare a prevenire alcuni tipi di tumore.

Va precisato che quando parliamo di cancro ci stiamo riferendo ad oltre 200 malattie diverse, che hanno in comune il fatto che “impazziscano” alcune cellule, ma che si sviluppano ed evolvono in modo completamente differente.

Infatti nella letteratura scientifica quasi sempre un alimento può aiutare contro un tipo di tumore, mentre favorirne un altro. Andiamo a scoprire nello specifico come si comporta il latte.

Il latte fa venire il cancro?

latte e cancro

Su internet tantissime persone sono convinte che il latte causi il cancro. La prima premessa da fare è che nessun alimento causa il cancro, al massimo aumenta o diminuisce la probabilità per determinati tipi di cancro.

La scienza è molto cauta e sul latte cosa dice:

Tumore colon-retto: il latte probabilmente protegge da questo tipo di tumore. Da una parte tutti i derivati del latte hanno un’azione probiotica che stimola la proliferazione di una flora intestinale positiva per il nostro organismo, dall’altra la presenza di calcio riduce l’azione infiammatoria degli acidi biliari e diminuisce la divisione cellulare.

Tumore vescica: l’azione del latte è simile a quanto descritto per il tumore colon-retto

Tumore alla prostata: il latte potrebbe favore l’aumento di rischio di questo tumore, questo per via della vitamina D che ha un effetto di stimolazione sulle cellule prostatiche

Tumore al seno: calcio e vitamina D sembrerebbero avere un ruolo leggermente protettivo per questo tipo di cancro. Quindi una correlazione col tumore al seno sembra improbabile. Tuttavia se la donna è già stata colpita sembra che l’effetto si inverta e aumenti il rischio di recidive. Questo per via dell’influenza del latte sugli estrogeni ed i fattori di crescita.

Va comunque ricordato che mentre su internet viene dato per scontato che i fattori di crescita (IGF-1), indotti dalle proteine, facciano male, nella comunità scientifica se ne sta ancora discutendo.

In conclusione il latte non è la causa principale del cancro e anzi mentre probabilmente può favorirne alcuni tipi, aiuta a combatterne altri.

Il latte causa l’osteoporsi?

latte osteoporosi

Quante volte avete letto che il latte, per via dell’acidosi metabolica, causa l’osteoporosi? E’ falso

  1. L’acidosi metabolica è una patologie complessa, multifattoriale. Il ruolo del latte è stato completamente smentito
  2. Il latta e gli alimenti a PRAL acido aumentano la calciuria (esplulsione di calcio con le urine), semplicemente perchè aumentano l’assorbimento intestinale. Il sistema essendo in equilibrio più ne assorbe più ne espelle

Dall’altro lato il latte non previene l’osteoporosi. E’ stato visto che la probabilità di fratture negli anziani è indipendente dal consumo di latte. L’osteoporosi è una patologia complessa che origina di già durante l’adolescenza. Le bambine che fanno più sport avranno una probabilità inferiore di soffrirne da anziane (perchè avranno creato una maggior riserva di minerali ossei). Lo stile di vita è uno dei fattori principali per prevenire questa malattia e l’alimentazione è soltanto uno dei cofattori che entrano in gioco.

Il latte non è indispensabile, il calcio possiamo benissimo assumerlo dai cavoli, le verdure a foglia verde e la frutta a guscio e tanti altri alimenti vegetali.

Ma allora il latte fa bene o fa male?

il latte fa male o bene

Concludendo possiamo affermare che è insito nell’uomo rassicurarsi togliendo determinati alimenti. L’effetto placebo che ne deriva è innegabile e anche misurabile. In quanti stanno meglio una volta che hanno tolto il latte?
Quasi tutti.

Ma lo stesso avviene per chi toglie i prodotti animali, il glutine, mangia solo alimenti del suo gruppo sanguigno, toglie i cibi con un PRAL acido, ecc ecc.

Le diete ad esclusione hanno l’incredibile effetto d’abbassare la percezione dello stress. Fisiologicamente ci ritroviamo a stare meglio, pur non avendo in teoria eliminato nessun alimento biochimico negativo.

Siccome il latte non è necessario, se vi sentite meglio eliminatelo pure, al contrario se vi piace continuate a berlo ed a mangiare i suoi derivati. Da un punto di vista nutrizionale, guardando alla composizione degli acidi grassi saturi del latte, conviene limitarli preferendo il latte scremato e lo yogurt magro (senza aggiunta di zuccheri).

Questa guida non ha la pretesa ne d’essere scientifica, ne esaustiva, ne veritiera.

Per la vostra formazione e forma mentis vi invitiamo in conclusione a fare una cosa

  1. Se pensate che il latte fa male, andate a cercare le prove scientifiche per cui fa bene
  2. Se pensate che il latte fa bene, andate a cercare le prove scientifiche per cui fa male

Siccome esistono evidenze per tutti e due, scoprirete che il mondo non è ne bianco ne nero.

Per maggiori informazioni consulta gli istituti di ricerca più importanti che abbiamo in Italia:

AIRC

FondazioneVeronesi

Istituto Nazionale Tumori

L'articolo Il latte fa male? proviene da Project inVictus.

Esperienze dal mondo del bodybuilding

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Nel mondo del Bodybuilding si sente di tutto e di più, si passa da quello grosso che sa tutto lui e ti dice “fai come me“, allo scienziato che fa studi sullo squat senza saper minimamente come si fa uno squat. Insomma il problema nel Bodybuilding sono proprio i punti di riferimento. Chi bisogna ascoltare?

Una prima risposta potrebbe essere: chi non antepone la necessità di vendere alla voglia di conoscere.
Una seconda risposta potrebbe essere: chi studia e mette in pratica, valuta i risultati e va avanti all’infinito con questo percorso.

L’articolo di oggi è di Davide Hahn un ragazzo che abbiamo contattato proprio perchè adotta questa forma mentis. Studia ma poi non si tira indietro quando deve allenarsi, non deve vendere nessun prodotto ed è imparziale nell’analisi e nel giudizio. Quello che leggerete è uno scorcio della sua esperienza nell’ultimo anno.

Siamo sicuri che se fate Bodybuilding vi possa interessare e vi lasciamo all’articolo con questo detto:

L’uomo intelligente impara dai propri errori, il saggio da quelli degli altri

davide hahn bodybuilding

Articolo di Davide Hahn

Magna e spingi”, “no pain no gain”, “mangia tutto scondito, senza sale e al vapore” sono tutte frasi con cui viene bombardato il povero cristo che inizia un percorso in sala pesi per migliorare fisicamente da parte del grosso di turno con la mascella ipertrofica. Senza voler sminuire i sacrifici di costoro – magari necessari per impegni agonistici o giustificati da una ricerca spasmodica della perfezione – è utile sottolineare come spesso sia necessario meno di quanto si pensi per ottenere dei miglioramenti fisici; cosa più importante, ci si può divertire facendolo. Per fare un paragone, l’apprendimento delle basi di una lingua straniera può essere tedioso e impegnativo se studiamo su un libro di testo; può diventare molto più appassionante e piacevole se per impararla frequentiamo una bella ragazza straniera oppure, se siamo dei nerd , ci guardiamo Star Wars in lingua originale.

Purtroppo, nel contesto del fitness, bombardati da mille informazioni contradditorie attribuiamo spesso importanza a cose pressoché irrilevanti, magari a scapito di ciò che ha importanza centrale. Finiamo dunque fare sacrifici a vuoto, come se ci preparassimo ad un esame studiando dalla mattina alla sera gli argomenti sbagliati. Ogni tanto vediamo qualche ragazzino plagiato dal mascellone di turno che si fa problemi per una pizza con gli amici quando sta ingrassando come un maiale perché introduce 800g di riso in bianco al giorno.

Io stesso ho iniziato la mia avventura in questo mondo facendo sacrifici assurdi, spesso inutili se non dannosi. In questo mi ha “aiutato” la volontà di un ossesso incanalata in comportamenti privi di senso: da fasi di massa in cui mi ingozzavo a fasi di definizione dove mi sbranavo le unghie per la fame , passando per ore e ore di allenamenti forsennati privi di pianificazione e margine di recupero.

Qualche mese fa, dopo una dieta ipocalorica che mi aveva tolto la gioia di vivere e di allenarmi, ho iniziato un percorso che mi ha fatto riscoprire il piacere di mangiare e allenarmi. Il ritrovato divertimento mi ha permesso di ottenere risultati che mai avevo ottenuto. Sono fermamente convinto che per avere successo in qualche attività essa ci deve provocare gioia. Privi da stress e animati da motivazioni siamo molto più bravi in ciò in cui ci impegniamo.

La brutta notizia è che imparare a conciliare il piacere con l’attenzione a ciò che ci può essere utile in termini di risultato non è facile; avviene dopo un lungo percorso di conoscenza di noi stessi: se dicessimo ad un sedentario ben nutrito di perseguire il piacere per ottenere il corpo dei sogni lo ritroveremmo in pasticceria poco dopo.

In estrema sintesi è necessario informarsi e acquisire conoscenza da fonti esterne (leggendo o facendosi seguire ad esempio), sperimentare su se stessi e registrare i segnali e le reazioni del nostro corpo ai vari stimoli. Una volta fatto ciò seguire i bisogni espressi dal nostro corpo rappresentano la migliore guida per vivere serenamente e proficuamente il fitness.

Ad esempio quest’anno, memore delle esperienze passate, ho deciso di calare le calorie prima del previsto. Il motivo? Iniziavo a mangiare controvoglia.

davide hahn fase di massa

Chi ha studiato sa bene come preservare la sensibilità insulinica sia importante per accrescere la massa magra minimizzando l’accumulo di quella grassa. Purtroppo periodi prolungati di surplus calorico compromettono questa sensibilità. L’anno scorso per rincorrere il peso sulla bilancia e diventare il più grosso della palestra ho prolungato il periodo ad alti carboidrati ignorando i segnali che il mio corpo mi lanciava sotto forma di inappetenza. Non solo presi kg di grasso senza prendere altri muscoli e trasformandomi in un bebé gigante.

Ottenni anche un aspetto “vuoto”; stendo poi un velo pietoso sulla fatica che feci per ottenere un aspetto dignitoso.

Davide Hahn massa

A sinistra (gennaio 2016) al termine di una dissennata ipercalorica pesavo 93kg con una BF siberiana e la faccia da bimbo ipernutrito. A destra (ottobre 2016) pesavo 88kg con una BF accettabile e la faccia da killer assatanato dopo due mesi di ipercalorica condotta con criterio.

Memore di questa esperienza quest’anno e rassegnatomi a non diventare il più grosso della palestra, ascolto il segnale del mio corpo e ridimensionerò le calorie seguendo una strategia di ciclizzazione dei carboidrati che mi diede ottimi risultati in reverse diet (riuscì a riattivare un metabolismo spento da mesi di ipocalorica estrema).

davide hahn meme

In pratica seguo tre giorni di leggera ipocalorica seguiti da 4 giorni di leggera ipercalorica. Nel caso specifico passo da 400g di carboidrati da lunedì a mercoledì e 500g di carboidrati da giovedì a domenica, tenendo conto che 500g di carboidrati mantengono il mio peso stabile. L’idea nasce dai vantaggi apportati da brevi periodi si sovralimentazione seguiti da brevi periodi di sottoalimentazione (vedasi ad esempio il ciclo ABCDE). Ho riadattato questo approccio per viverlo in modo meno stressante, riducendo al minimo il gap calorico e la durata dei periodi di sovra e sottoalimentazione. Personalmente arrivo a mercoledì con una fame decisa ma che definirei “piacevole” e non mi sento appesantito la domenica, ma anzi affronto l’inizio della settimana con una forte carica (lunedì posto su Facebook più foto in mutande del solito).

tabella alimentare

Un altro esempio di ascolto del proprio corpo, in tema allenamento, riguarda la percezione del muscolo allenato e il feeling con l’esercizio. Nei canonici allenamenti in split volti all’ipertrofia (vedasi Hatfield) si consiglia di adottare intensità di carico decrescenti e range di ripetizioni crescenti man mano che si prosegue nell’allenamento di un gruppo muscolare. In questo modo si forniscono nella stessa seduta gli stimoli multifattoriali che concorrono all’ipertrofia. Nel mio caso, tuttavia, iniziare subito con un esercizio a basse ripetizioni, nonostante un attento riscaldamento spesso pregiudica la sensazione di coinvolgere il muscolo target.
Per ovviare a questo problema ho preso in prestito la pratica consigliata da Meadows nel suo Mountain Dog Training ossia inserire un esercizio di attivazione a medie reps che aumenti la propriocezione col muscolo target prima di dedicarsi ad esercizi ad alta intensità di carico. Inoltre effettuo la scelta degli esercizi in modo da lavorare il muscolo nelle diverse posizioni di flessione (pozione intermedia, di allungamento e contrazione). Basandomi su questi principi ho sviluppato una semplice tabella che schematizzo di seguito fornendo un esempio per i quadricipiti.

tabella allenamento

Mi raccomando mangiate se provate a fare questo tipo di allenamento.

davide hahn

In conclusione la retorica del “sacrificio” è allettante: chi non sogna di essere visto come un “guerriero del ferro”? Attenzione però che il sacrificio non venga diretto verso comportamenti esasperati altrimenti rimarrete guerrieri secchi. Gli estremismi lasciateli agli eroi, agli agonisti o ai mascelloni.

Articolo di Davide Hahn (attualmente Davide sta gareggiando per avere postato, nel 2016 in Italia, più foto in mutande su FB)

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