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L’alimentazione vegana nello sportivo

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Benvenuti nella rubrica del Project, dedicata a chi vuole intraprendere e passare ad una dieta vegana, mantenendo e migliorando la sua composizione corporea e performance sportiva.

alimentazione vegana sport

Di Alberto Rusciano

Una velocissima presentazione:
Sono Alberto e nasco come atleta bodybuilder e in seguito personal trainer-preparatore atletico.La formazione professionale comincia nel 1995 con l’ISEF (oggi Scienze Motorie), per poi proseguire nei vari master e percorsi formativi di enti ed associazioni sportive dalle sigle più o meno famose quali ISSA, NABBA, ecc… Dal 2011 studio e mi specializzo nell’alimentazione vegan applicata allo sport.
Nell’estate del 2014 fondo Corpo Vegano: insieme col collega e amico, Maurizio Falasconi, mettiamo insieme un Team composto da quelli che consideriamo essere attualmente, alcuni dei migliori tecnici del settore (preparatori atletici, personal trainer, nutrizionisti e atleti) vegani.
Ci avvaliamo anche della collaborazione esterna di professionisti onnivori, perché siamo del parere che la scienza dell’alimentazione e dello sport, non è esclusiva di nessuno (né onnivori né vegani) ma piuttosto patrimonio universale.
Le parole chiave del team vogliono essere “conoscenza” e “coscienza”.
Credo che in queste due parole vi sia il collante che lega tanti professionisti così diversi tra di loro.
Oggi, Corpo Vegano è diventato un punto di riferimento nel panorama del vegan nello sport in Italia.

Ma veniamo a noi. È sotto gli occhi di tutti il cambiamento in atto.
Siamo in una “fase di transizione”: l’orientamento alimentare di tantissima gente è diretto alla limitazione degli alimenti di origine animale (vegetarianismo) o alla loro completa eliminazione (veganesimo). Questo “cambio di direzione” sarebbe addirittura auspicabile, poiché sembrerebbe che la prima causa al mondo di inquinamento ambientale, sia l’industria della carne. Non sono certo io a dirlo, ma 2000 scienziati dell’ONU nel “World Ecosytem Assessment”, un report  costato 24 milioni di dollari.

Ma cosa s’intende per “vegan”?

come iniziare un alimentazione vegan

È vegan chi elimina dalla propria dieta, sia gli alimenti di origine animale (carne, pesce, ecc) che i loro derivati  (latte, uova, miele, ecc). La scelta può nascere da una motivazione etica o salutare (c’è chi lo fa per “moda”, ma su questo soprassederei volentieri). Chi lo fa per etica, è spinto dal senso di repulsione verso il “concetto” di ammazzare un animale senziente al solo scopo di farne cibo. E c’è chi lo fa perché ritiene che possa trarne un beneficio salutare.
Oggi, il vegan è argomento d’attualità. Se ne parla ovunque, in TV, nelle pubblicità, sul web e dal salumiere sotto casa.
Da ciò, l’inevitabile: in molti hanno fiutato l’affare, ed ecco nascere improvvisati dispensatori di consigli su fantomatiche diete vegan senza capo né coda.
La conseguenza di tutto ciò è il “fai da te” che regna incontrastato. E allora, daglie col latte di soia tutti i giorni (anche ai bambini, col rischio di donare loro un futuro patrimonio ormonale non proprio del top di gamma), aridaglie coi prodotti confezionati che, in realtà, dietro la parola “vegan” nascondono null’altro che cibo spazzatura. E poi quantità esagerate di pasta, pane, farine raffinate, solo perché non sono di origine animale.
Questi signori si stanno facendo più male adesso, col cibo “vegan trash“, che quando erano onnivori.

Tutto ciò ovviamente, nulla ha a che vedere con la filosofia vegan né col lato salutistico di questa “scelta alimentare” che non si limita semplicemente all’abolizione di alimenti animali e derivati, ma anche a quella di cibi “artefatti”, “modificati” o comunque “poco naturali”. Prima ancora di lanciarsi nel “fai da te” e dispensare consigli, sarebbe saggio quantomeno studiare e informarsi tramite validi canali d’informazione, perché se le mode passano, il corpo invece, resterà con te per molto più tempo.
Abbine cura e usa il cervello.

Questa rubrica nasce con l’intento di fare informazione seria e coscienziosa su tutto quanto sia VEGAN.

La prima cosa da chiarire immediatamente, è che non si diventa vegan dalla mattina alla sera, o almeno non è consigliabile.

Una premessa è doverosa: ognuno è libero di approcciarsi al vegan, come meglio crede. Ciò che stai per leggere, quindi, non va inteso come “Il metodo universale per diventare vegan”, anche perché non esiste, ma è il frutto di un lavoro lungo 5 anni, in cui sono stati presi in esame, dal sottoscritto e da Falasconi, centinaia di sportivi e sedentari nel loro passaggio da onnivoro a vegan. Il tutto, in collaborazione con un Team di nutrizionisti e professionisti del benessere. 5 anni di prove e tentativi, fallimenti e successi, hanno delineato inevitabilmente la linea guida più adattabile e di facile praticità, per la maggior parte dei soggetti presi in esame.

Diventare vegan passo dopo passo

A mio parere, l’approccio migliore per diventare vegan senza “effetti collaterali”, sta nel non imporsi di diventarlo subito, ma cominciando una graduale “disintossicazione”, imparando a costruire i presupposti per essere pronti a nutrirsi, in futuro, di soli vegetali.
Se fino a ieri sei stato il “classico atleta onnivoro”, avrai introdotto sicuramente abbondanti proteine animali nella tua dieta (per non parlare degli atleti che di questo cibo ne avranno spesso abusato).
Se sei stato per molti anni, fan delle diete iperproteiche a base di cibo animale, senza mai aver fatto periodi di scarico, è molto probabile che, al momento, la cosa migliore che tu possa fare è depurarti, cercando di (passami il termine) “disintossicare” il tuo modo di alimentarti.
Attenzione, per “disintossicare” mi riferisco all’adottare uno stile alimentare che ti faccia stare lontano da cibi che tendono ad infiammare i tessuti. Mi spiego meglio: il fatto è che l’eccesso di proteine animali (accompagnato da uno scarso apporto di cibo vegetale) avrà accumulato nel tuo corpo tutta una serie di tossine racchiuse nei grassi animali. Anche nell’uomo il grasso è il tessuto preposto ad imprigionare le tossine, in modo che non vadano in circolo. Quando mangi la carne puoi togliere col coltello la parte grassa, ma non puoi eliminare i grassi intramuscolari, che inevitabilmente vengono ingeriti.

Quindi i vegani sono più sani perché vivono in un ambiente più “disintossicato”.
Purtroppo no. Non è una regola!
Conosco tantissimi vegani intossicati. Sono quelli che si rimpinzano di (alcuni) cereali, zuccheri, spezie, condimenti, olii ecc…

Dunque, il primo passo da fare non è eliminare tutto il cibo animale, ma mirare ad una “disintossicazione graduale”. È questo il periodo detto di “transizione”.
Il primo passo, sarà quello di eliminare la carne (quella che accumula più scorie). Pollo, tacchino, manzo, vitello, agnello, ecc…
Le fonti animali resteranno quindi: uova, latte, pesce, miele. Tutto, però, di alta qualità (non dimenticare che, per disintossicarsi, il cibo di qualità è indispensabile). Uova: di galline tenute libere e senza alcun tipo di costrizione. Latte: “demeter” (venduto in bottiglie di vetro) ovvero proveniente esclusivamente da mucche tenute in completa libertà e non ingravidate artificialmente. Pesce: possibilmente azzurro, non da allevamento.

Per quel che concerne le fonti vegetali: cereali, pseudocereali, frutta, verdura, semi, tuberi, frutta secca, erbe, spezie, alghe, olii, piante officinali e legumi di ogni genere.

Evitare o comunque, limitare al minimo: pasta, pane, pizza e comunque farine raffinate.

 

Quali cereali scegliere nella dieta vegan?

cereali alimentazione vegan

Di seguito una panoramica sui migliori e i “peggiori”.

Chiariamo subito che i cerali, sono importantissimi per la nostra salute e rappresentano un ottimo nutriente per lo sportivo.
Sono da preferire ovviamente i cereali integrali ai raffinati, al massimo semintegrali.
Ma anche in questo caso, senza abusarne.
Chi fa sport, ovviamente può mangiarne di più rispetto al sedentario.

Tra i cereali, un posto di eccellenza spetta sicuramente al riso.
Le sue caratteristiche genetiche gli garantiscono di essere un ottimo antinfiammatorio naturale, caratteristica vincente in una dieta disintossicante.
Il riso, poi, tra tutti i cereali è quello che meglio resiste alle alte temperature e che ha meno antinutrienti e proteine allergeniche.
Ottimo è il riso vadi con 15 mg di ferro.

Buono anche il farro.
C’è il farro piccolo (Triticum monococcum, 7 paia di cromosomi) che è un grano ancestrale, e il farro grande (Triticum dicoccum, 14 paia di cromosomi).

Anche orzo e segale vanno bene, anche se quest’ultima in alcune persone può dare più problemi. Presentano 7 paia di cromosomi, anch’essi ancestrali, ma sensibili alla cottura.

Anche l’avena può andar bene con le sue 7 paia di cromosomi.

Il miglio è un cereale di facile digestione, troppo spesso sottovalutato. Basti pensare che è quello con il più alto contenuto di vitamine e sali minerali; in particolare contiene: magnesio, calcio, fosforo, acido silicico, ferro, fluoro, potassio, zolfo, vitamine del gruppo PP, B1, B2, e proteine di alto valore biologico.

Esistono ancora altri tipi di cereali validissimi ma che purtroppo non vengono studiati: per esempio i cereali selvatici tipo il kram-kram, (il più diffuso cereale dei confini meridionali del Sahara) contenente 20% di proteine, 60 mg di calcio, 6mg di ferro per 100 grammi. Ricchissimo di proteine per essere “solo” un cereale.

Il mais, lo trovi quasi ovunque ed è facilmente reperibile perché facilmente coltivabile. Presenta caratteristiche molto simili ai cereali più consumati, è senza glutine, ma in un periodo di “disintossicazione” andrebbe consumato con parsimonia visto il suo contenuto di omega 6.

Interessante è invece il mais ceroso col quale ci si fanno bevande energetiche, dalle ottime qualità rigeneranti. L’ideale per ripristinare le scorte di glicogeno dopo un allenamento intenso.

Ma veniamo agli pseudocereali.

pseudocereali alimentazione vegan

Derivano da piante che producono semi commestibili come: quinoa, grano saraceno e amaranto.

Dalle caratteristiche molto simili ai cereali, ma privi di glutine e più ricchi di proteine, rappresentano per l’essere umano una fonte preziosissima di nutrienti.

Tra questi, un posto d’elite spetta certamente alla quinoa. La quinoa è una pianta appartenente alla famiglia delle chenopodiaceae. Ricchissima di tutti gli aminoacidi essenziali presenti in un rapporto correttamente bilanciato, sono l’ideale per l’atleta che necessita di proteine di alta qualità. La forte presenza di trimetilglicina, le conferisce un elevato potere anti-ossidante contro i radicali liberi e anti-tumorale. Assolutamente consigliata quindi, per il tuo “piano disintossicante”.

Ottimo il grano saraceno. Ricco anch’esso in proteine e aminoacidi essenziali, rappresenta un’ottima fonte di minerali altamente biodisponibili, quali ferro, zinco e selenio.

Infine, c’è l’eccezionale amaranto, pianta quasi selvatica, delle Ande, col valore proteico intorno al 15% e con ben 400 mg di calcio, minerale fondamentale per i bodybuilders.

 Alternare nell’arco della settimana questi cereali e pseudocereali di qualità, è quindi cosa buona e giusta!

Ritornando ai cereali, un paragrafo a parte meritano i grani:
Tutti i grani con più di sette cromosomi sono il risultato di ricombinazioni genetiche più recenti.

Il grano tenero ha ben 21 paia di cromosomi. Tra l’altro, la lievitazione accelerata usata per la sua panificazione, ne fa un prodotto molto instabile. Come se non bastasse, le farine di questo cereale, se troppo raffinate, lo rendono ancora più instabile. Per questo motivo, è meglio limitarlo il più possibile.
Presta attenzione a quello che c’è scritto sulle etichette dei prodotti confezionati che acquisti, perché è presente nel 90% di questi.

Il pane di grano duro (quello fatto con lievito madre), se è vero che resiste meglio alla cottura da forno è altresì vero che le sue proteine subiscono modifiche importanti a causa dell’alta temperatura dei forni. Anche questo dunque, andrebbe usato con parsimonia.

E la pasta?

Se parlassimo di grani antichi, allora varrebbe la pena inserirla anche 1 volta a settimana. Oggi il grano viene prodotto con tecniche agricole che tendono ad accelerarne la crescita per via di una domanda di mercato enorme rispetto a quella di secoli fa.  Il frumento non viene più fatto crescere col rivestimento che attacca il seme allo stelo. Ciò fa si che vengano perdute, tantissime sostanze che ne facevano un alimento d’eccellenza per l’essere umano.

Altra caratteristica che fa della pasta un alimento da evitare in un “periodo disintossicante”, è la presenza di esorfine.
Ti sei mai chiesto perché, dopo aver mangiato un bel piatto di spaghetti “ti senti felice”?
Le esorfine, sono molecole di tipo aminoacidico che una volta nel flusso ematico, si legano con estrema facilità ai nostri recettori oppioidi del tratto encefalico. Vale a dire che stimolano “artificialmente” i nostri recettori del “buon umore”. La pasta contiene piccolissime quantità di queste sostanze (gluteomorfine).
La cosa potrebbe sembrare simpatica, ma il problema è che le esorfine danno assuefazione e, se il loro uso è frequente, diventa poi difficile separarsene. Il mondo scientifico riconosce la dipendenza da esorfine esattamente come riconosce quella da nicotina, caffeina, cannabis, ecc…

Infine, la pasta è un alimento contenente molto (troppo) glutine. Sul glutine è stato detto di tutto, non sarò quindi io a ripeterti le stesse cose. Leggi questo articolo se vuoi sapere le cose importanti sul glutine. Sappi solo che se è vero che un pò di glutine in un’alimentazione equilibrata non fa male, è anche vero che la pasta spesso ne contiene davvero troppo, e questo basta a farne un alimento non ottimale per il nostro obiettivo disintossicante.

Sconsigliate anche le “mitiche” gallette a causa della tecnica dell’estrusione (con cui si fa la plastica), a causa della troppa pressione a cui vengono sottoposte, che ne altera le componenti proteiche.

Come hai avuto modo di leggere più sopra, esistono tanti altri tipi di cereali e pseudocereali più sani e ugualmente saporiti. Usali.

Semplice no? 😉
L’articolo l’alimentazione vegana nello sportivo è di Alberto Rusciano
alberto rusciano

Personal trainer, preparatore atletico, fondatore e Member Corpo Vegano®.
Per saperne di più tra pochi giorni sarà attivo il nostro sito: Corpovegano.com.
Invece esiste già la pagina Facebook Corpo Vegano, dove facciamo informazione scientifica su vegan&sport.

 

 

 

Condividiamo anche questo interessante video di Stefano sull’alimentazione Vegana, riservandoci di non concordare sulla quota proteica (che nello sportivo deve essere più alta) e sul fatto di dover mischiare gli aminoacidi essenziali nello stesso pasto (quando i tempi di digestione e l’emivita ematica permettono d’avere uno spettro di 4-6 ore, per completare lo spettro aminoacidico).

 

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Lo zucchero fa male?

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Sapete quella storia che lo zucchero fa male?

Male? Si, forse, ma quanto fa male? Quanto zucchero serve per diventare diabetici, insulino resistenti o con la sindrome metabolica?

Ormai è appurato che l’eccesso di zucchero è una droga e infatti sul nostro cervello si comporta proprio come tale, andando a stimolare le stesse aree della cocaina.

effetto zucchero coaina sul cervello

Sui nostri tendini, invece il glucosio tende a glicarsi (incollarsi), rendendoli più rigidi e fragili, un suo eccesso contribuisce alla formazione della cataratta sugli occhi. Si comporta come una colla (glicazione) un po’ in tutto l’organismo, se vi fate degli esami ematici e vi accorgete che avete l’emoglobina glicata troppo alta, be potrebbe essere un serio problema.

danni dello zucchero

Insomma abbiamo appurato che lo zucchero fa male. O meglio l’eccesso di zucchero fa male, perchè guardate questi tre alimenti:

zuccheri frutta verdura

Sono fatti principalmente da zuccheri: glucosio-fruttosio, ma fanno male?
Perché nel regno vegetale cereali e legumi hanno principalmente amido (pacchetti di glucosio), ma i carboidrati della frutta e della verdura sono il glucosio e fruttosio.

Quindi lo zucchero fa male?

La riposta è semplice, assolutamente no. Potete mettere la bustina di zucchero nel caffè, potete usarlo per fare i dolci e per quello che preferite. Quello che semplicemente non potete fare è abusare dello zucchero. Quello si che fa male, ma è sempre un suo eccesso a creare casini, non il fatto d’introdurre saccarosio o destrosio.

Il problema della nostra società è che assumiamo, spesso inconsciamente, troppo zucchero:

  1. perchè ci piace il gusto del dolce
  2. perchè il saccarosio si trova ovunque

zucchero nascosto alimenti

L’industria alimentare nasconde lo zucchero in tantissimi alimenti, quelli sopra esposti sono solo alcuni. Andate a leggere le etichette, il glucosio prodotto dal mais è praticamente su tutti i prodotti alimentari industriali.

Tuttavia questo non è che ci deve far cadere nell’errore di pensare che mangiando normalmente si ecceda in automatico con lo zucchero. E’ soltanto se mangiamo troppo che facilmente rischiamo di introdurre troppo glucosio.

Chi si preoccupa di un nutriente dovrebbe in primis preoccuparsi di mangiare il giusto, perchè il sovrappeso è dato da un eccesso calorico, non per un eccesso di zucchero, sarebbe troppo facile.

Per esempio questo film:

è molto bello, ma è falso. Perché se da una parte giustamente ci mostra quanto sia nasconosco il saccarosio, in quello che mangiamo, dall’altra ci fa credere che lo zucchero fa male a prescindere e che non è l’eccesso calorico a far ingrassare ma l’eccesso di zucchero (che è falso).

Insomma alla fine noi siamo dei CONSUMATORI e ci facciamo fregare all’ennesima potenzia. Sia quando da ignari consumatori assumiamo prodotti arricchiti con lo zucchero, l’industria lo inserisce quando gli alimenti sono scadenti per conservarli e renderli più palatabili, sia quando consapevoli, crediamo che tutti i mali vengano da questo mono/disaccaride.

La regola di base del consumatore intelligente è quella di capire che non esiste UN SOLO NEMICO, elimino lo zucchero per aver così eliminato tutti i mali del mondo, ma è quella di capire che nell’alimentazione conta sia la qualità che la quantità.

Quindi alla fine quello che influenza la salute e la composizione corporea, sono le calorie, i macro e miconutrienti che hai assunto nel corso della giornata (e della settimana).

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Hai messo una bustina di zucchero nel caffè?
Stai tranquillo, non lo dico a nessuno.

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PS Le raccomandazioni dell’OMS sono quelle di non superare il 5-10% delle calorie da zuccheri semplici. In una dieta di 2000kcal parliamo quindi di 25-50g

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Progressioni nell’allenamento per l’ipertrofia – applicazioni pratiche

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Da quando entriamo in palestra per la prima volta a quando postiamo la prima foto in mutande sui gruppi di Facebook (almeno per me), ci viene detto che è il “sovraccarico progressivo”, la chiave per crescere sani e forti – o meglio – grossi, brutti, squartati e ripugnanti alla figa. L’intuizione dietro è semplice: se faccio sempre le stesse cose sarò sempre uguale.

Risultati allenamento sovraccarico

Se quasi tutti sono d’accordo su questo punto, le grandi azzuffate iniziano quando si cerca di capire come realizzare il “sovraccarico progressivo”. Negli sport non c’è dubbio: il progresso avviene sulla performance testata in gara (ad esempio il massimale nel PL, il tempo per uno sprint o una maratona, la distanza nel lancio del peso, i likes per le mie foto in mutande…). Nell’allenamento per l’ipertrofia tuttavia non vi è una vera e propria performance atletica. Cosa fare allora? Su cosa realizzare la progressione?

Sappiamo che l’ipertrofia è un adattamento multifattoriale: danno muscolare, tensione meccanica e stimolo metabolico. Quindi se progredire sui carichi è un ottimo modo per crescere, altre vie possono complementare e arricchire (non sostituire) questa strada. Questo è importante soprattutto per atleti di una certa maturità (sia atletica che anagrafica) dove l’aumento dei carichi diventa sempre più arduo e/o stressante per le articolazioni. I neofiti al contrario dovrebbero, a mio avviso, pensare in primo luogo a sfruttare l’ampio margine per migliorare sui carichi (il che non significa necessariamente fare “programmi di forza” a triple e doppie bensì lavorare attentamente sulla tecnica). Come progredire su diversi fattori alla base dell’ipertrofia è stato suggerito negli articoli sui muscoli carenti nei pettorali e dorsali: in breve oltre a puntare all’aumento sui carichi (danno muscolare), si può puntare all’aumento del numero di ripetizione (tensione meccanica) e alla riduzione del recupero tra i set (stimolo metabolico).

Partendo da queste premesse voglio offrirvi un’applicazione pratica di come impostare una progressione in un mesociclo di allenamento di ipertrofia “pura”. Nello specifico è descritta una progressione in termini di intensità (di carico) e di densità (volume d’allenamento nell’unità di tempo). In poche parole da un lato andremo a migliorare i carichi di lavoro allo scopo di aumentare il danno muscolare e la tensione meccanica (intensità); dall’altro andremo a ridurre i tempi di recupero per aumentare il lavoro eseguito nell’unità di tempo al fine di incrementare lo stimolo metabolico (densità).

Foto gara bodybuilding

Affascinante vero? Peccato che chi ha un minimo di esperienze coi pesi e si allena già da un po’ sa che è difficile di seduta in seduta aumentare un solo parametro (anche attraverso i celeberrimi microcarichi). Per farlo o iniziate con un ampio margine (i primi allenamenti fate finta di non allenarvi) oppure deteriorate la tecnica di settimana in settimana (i famosi full squat che alla fine della “scheda” si trasformano in dildo squat) o ancora andate in esaurimento nervoso per l’ansia di non concludere con successo gli allenamenti.

Un’altra via che reputo affascinante è quella che mette insieme il principio tipico degli allenamenti della forza “pianifica allenamenti fattibili” con il principio degli allenamenti di ipertrofia “non fare mai un allenamento uguale al precedente” o ”varia sempre gli stimoli”. All’atto pratico per progredire ma allo stesso tempo non far finire i vostri allenamenti allo spotter, per ciascun una progressione si agisce su due parametri contemporaneamente: su uno si “appesantisce”, su altro si “alleggerisce”.

  • Per “l’intensificazione” ad esempio di può semplicemente pensare di aumentare il carico esterno e diminuire le ripetizioni in maniera lineare nel corso delle settimane.
  • Per “la densificazione” si può pensare di accorciare i tempi di recupero e diminuire i carichi (lasciando invariate le ripetizioni).

Ci sono diversi modi per inserire queste progressioni in un mesociclo o un macrocico (chi ha letto Project Strenght sa meglio di me che esistono vari tipi di periodizzazione – lineare, ondulata o coniugata). In breve a ciascuna progressione possiamo dedicare mesocicli diversi, sedute diverse nell’ambito di un microciclo (un po’ come succede nel PHAT) o possiamo effettuarle entrambe nell’ambito della stessa seduta (diversi stimoli nella stessa seduta si trovano ad esempio nell’allenamento Hatfield).

Allenamento ipertrofia metabolico meccanico

Di seguito presento un esempio in cui adotto l’ultima soluzione, ovvero diversi tipi di stimolo all’interno della stessa seduta. Alcune note per capire meglio la tabella:

  • Gli esercizi sono a carico fisso: non bisogna diminuire il peso nelle serie successive alla prima. Se non ce la fate a chiudere le ripetizioni prefissate con il carico fisso il peso era eccessivo nella prima serie. Nella tabella fornisco un RM indicativo (ad esempio 10RM significa il peso con cui riuscite da freschi a fare al massimo 10 ripetizioni).
  • I recuperi sono “a piacere” per gli esercizi di intensificazione. L’obiettivo deve essere chiudere lo schema con il carico e le ripetizioni prefissate anche a costo di riposare di più tra due set. Al contrario negli esercizi di densità bisogna rispettare scrupolosamente i tempi di recupero. Male che vada faccio una ripetizione in meno.
  • Gli esercizi sono generalmente scelti in modo da lavorare il muscolo nelle diverse posizioni: allungamento, intermedia e contrazione. Gli esercizi in posizione intermedia sono adatti a creare tensione muscolare; quelli in allungamento generano danno muscolare: sono dunque perfetti per le progressioni sul carico. Gli esercizi “di contrazione” generalmente forniscono la possibilità di effettuare una contrazione di picco e sono quindi ottimi per creare danno metabolico nella progressione di densità.
  • Questo mesociclo dura 3 settimane; andrebbe ripetuto due volte con gli stessi esercizi. Dopo una settimana di recupero attivo (lo scrivo ma tanto non la fa nessuno) potete cambiare esercizi e ripetere lo schema o passare ad altri programmi.

Esempio scheda ipetrofia muscolare

Se vi è piaciuto l’articolo non esitate a unirvi al #teambraghecalate.

Il mio braccio credo misuri almeno 40cm. Se il vostro misura di più, ignorate questo articolo. Sono troppo secco per darvi spunti utili.

Davide Hahn

Articolo di Davide Hahn 

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Stretching anche e bacino: the frong routine

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In questo articolo vedremo la Frog routine una sequenza di allungamento per i muscoli: adduttori, estensori dell’anca ed i lombari.

La routine è adatta a tutti coloro che cercano di migliorare la propria mobilità articolare e flessibilità nelle anche e nel bacino e non presentano problematiche pregresse osteo-articolari.

È una sequenza che non prevede pause, passando da una posizione all’altra in maniera fluida, gestendo il respiro in maniera controllata. Ogni posizione di stretching che vedremo di seguito va tenuta per 5 respiri profondi. Nulla vi viete di incrementare tali respiri fino a 10, in questo caso durerà di più e potrete ottenerne maggiori benefici! Tuttavia, 5 respiri nella mia pratica è un ottimo compromesso tra durata ed efficacia.

Iniziamo posizionandoci seduti a terra con le ginocchia divaricate e i piedi raccolti tra loro a questo punto ci siederemo sui talloni cercando di mantenere il bacino in anteroversione. Restiamo in questa posizione per cinque respiri.

stretching anca

Da questa posizione mantenendo i glutei a contatto con i talloni ci flettiamo verso l’avanti portando il petto il più possibile vicino al pavimento durante questa pausa il bacino e la schiena dovranno essere iperestesi. Rimaniamo in posizione per cinque respiri.

stretching anche

Una volta completati cinque respiri passeremo alla posizione di Frog stretch, allargando le tibie e portandole esattamente sotto le ginocchia ( prendete come riferimento il tallone che deve stare sotto la linea del ginocchio). Il bacino durante la posizione di Frog stretch dovrà rimanere in anteroversione. Rimaniamo in posizione per cinque respiri.

stretching bacino

Dalla posizione di frog stretch eseguiremo dei passaggi portando il sedere più avanti e indietro possibile durante il movimento le ginocchia e le tibie resteranno sempre nella stessa posizione. Anche in questo caso il bacino dovrà rimanere in anteroversione.

stretching bacino dinamico

Completati i passaggi torneremo nella posizione di Frog stretch cercando di allargare ulteriormente le ginocchia. Altri cinque respiri.

A questo punto passeremo nella posizione di frog stretch a una gamba tesa. Posizioneremo un piede esattamente dove punta il ginocchio stendendo la gamba e cercando di scendere il più possibile con il bacino, ovviamente mantenendolo in anteroversione. 5 respiri anche qui.

stretching anche unilaterale

Ripetiamo il procedimento sull’altro arto piegando quello che prima era teso e stendendo quello opposto, per altri cinque respiri.

Una volta ripetuto su entrambi gli arti, procederemo a stenderli entrambi, arrivando in una posizione di spaccata con il busto avanti. A questo punto è necessario avere cura di mantenere le gambe tese, il bacino in anteroversione e rilassarsi il più possibile. Questa sarà la posa più impegnativa della sequenza.

stretching spaccata frontale

Terminata la spaccata, ci siederemo dietro arrivando in una posizione di pancake.

stretching posizione di pancake

Piegare una gamba raccogliendo il piede verso il bacino, e scendere con il busto verso il basso cercando di toccare con il petto il ginocchio. Durante questa posa, abbiate cura di non sollevare il gluteo da terra. Questa posa per i glutei e piriformi ci prepara all’ultimo stretch. Ripetere sull’altro lato. 5 respiri per lato.

stretching piriforme

Terminate le pose per i glutei, tornare in pancake. A questo punto, avremo due strade:

  • Per chi è flessibile, lasceremo le gambe tese e fletteremo il busto avanti, per cinque respiri. Passeremo poi a flettere il busto verso sinistra per altri cinque respiri e ugualmente a destra. Finiti i cinque respiri a destra torneremo al centro per concludere la sequenza con altri cinque respiri in pancake.

stretching femorali

  • Per chi e meno flessibile consiglio di piegare le gambe e ruotarle verso l’esterno. La sequenza a questo punto è identica a quella precedente, ovvero, cinque respiri al centro, a destra, a sinistra e infine concludere la posa con cinque respiri al centro.

stretching per fare la spaccata

Quando eseguire questa routine di stretching per il bacino?

La routine è ottima sia come riscaldamento, che come routine a fine allenamento o per aumentare la mobilità dell’anca e del bacino, in sedute separate di stretching.

In base alle vostre esigenze potrete inserirla in diversi momenti della giornata! Il suo principale vantaggio è che dura al massimo 10 minuti dandovi enormi benefici nella mobilità generale, in particolar modo del vostro bacino.

Con questo è tutto, ricordatevi che la respirazione è un fattore fondamentale nel raggiungimento di alti livelli di flessibilità! Buon allenamento,

Elia

L’articolo: Stretching anche e bacino: the frong routine; è di Elia Bartolini

Note sull’autore

elia bartoliniSono un ragazzo classe 1994, che si allena da anni nella ginnastica e nel corpo libero. Credo in un allenamento graduale, sensato e sicuro, volto alla riscoperta delle vere potenzialità e movimenti del corpo umano. Amo muovermi, scoprire movimenti nuovi e allenare la forza del mio corpo. Seguo un discreto numero di atleti. Allenarmi ed allenare sono due costanti nella mia vita.
Elia segue diverse persone nella zona di PESARO – Tavullia – Cattolica e dintorni ma anche ONLINE
Mail: barto.elia@gmail.com
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Non riesco a dimagrire: ecco la causa

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Quante volte ti sei chiesta: “non riesco a dimagrire dove sbaglio?“.
In questo articolo non scoprirai nessun segreto per perdere peso, nessuna strategia miracolosa che ti porterà a dimagrire velocemente. Ma avrai due numeri per comprendere perchè ci vuole tanto tempo per perdere peso in modo definitivo, cosa fare di giusto quando non riesci più a dimagrire.

Proviamo a far finta che la storia della tiroide pigra, delle ossa grosse, del fatto che ingrasso solo a bere acqua, non sia vera.
Facciamo finta per un attimo che per dimagrire basta creare un deficit calorico. Che una caloria è una caloria e che l’uomo risponde alla legge della bioenergetica, che rispecchia sugli esseri viventi quella della termodinamica.

Per dimagrire sarebbe tutto molto più semplice, crei un deficit calorico ed il gioco è fatto.
Quindi così per scherzo, proviamo a vedere se cosa succede.

Non riesco a dimagrire: colpa delle calorie?

Questa è Lucia

perdere peso

Pesa 75kg ed ha le ossa grosse. Vorrebbe un po’ ridurle e decide di mettersi a dieta. L’obiettivo è arrivare a 55kg. Prova per una settimana a segnare tutto quello che mangia, lo mette su un’app che le calcola le calorie e scopre che assume 1600kcal al giorno.

Decide di dare un taglio drastico alla sua alimentazione e di togliere un quarto del cibo che mangia (meno il 25% delle calorie), quindi di seguire una dieta da 1200kcal.

Con tagli così drastici (di solito si consiglia di non scendere sotto al 10% massimo 15% di deficit) si soffre la fame, ma Lucia è fortemente motivata e vuole vedere rapidamente i risultati.

Bene, iniziamo a capire quanto velocemente perderà grasso. Un kg di ciccia sono 7000kcal (nell’adipocita c’è anche l’acqua che fa scendere da 9kcal a 7kcal 1g di lipidi).

7000:400= 17,5. Lucia impiega 17,5 giorni per perdere realmente 1kg di grasso. Ne vuole buttar giù 20, questo vuol dire che con un deficit del 25% ci vorranno solo 350 giorni. Quasi un anno…
Se ci pensiamo bene forse val la pena di spendere un anno per tornare da 75kg a 55kg.

perchè non perdo peso

Ma… mio zio diceva che tutto quello che viene prima di un ma non conta.
Ma vuoi non sgarrare 1-2 giorni a settimana? Con un deficit del 25%, soffrendo cronicamente la fame vuoi non lasciarti andare ad un aperitivo con gli amici, ad una festa di compleanno, al cenone di Natale, ecc?

Supponiamo che le abbuffate di Lucia (che arriveranno inevitabilmente)  raggiungono ad un totale di 1400kcal a settimana (se il sabato sera prendete l’aperitivo, vi mangiate degli stuzzichini e finite con la pizza li raggiungete facilmente).
Allora in questo caso il nostro deficit settimanale di 2800kcal (400kcal per 7 giorni) diventa di 1400kcal, quindi solo per colpa degli sgarri, per ottenere gli stessi risultati i tempi raddoppiano e ci vogliono due anni.

Ora alla domanda perchè non dimagrisco? affiora una risposta semplice: perchè ci vuole tempo, ma se sgarri ci vuole molto più tempo.

Se a questo ci aggiungiamo che con un deficit del 25% non stiamo bruciando solo grasso ma anche del muscolo, portando ad abbassare il metabolismo, probabilmente arrivati ad un certo punto le 1200kcal che assumiamo non apportano più un deficit di 400kcal ma magari solo di 300-200kcal.

A questo dobbiamo aggiungere che assumendo meno energie, inconsciamente, ci muoviamo meno risparmiando anche 100-200kcal al giorno. Quindi il nostro deficit iniziale di 400kcal, si riduce ulteriormente, per via della minor attività fisica giornaliera.

Con deficit calorici così bassi ci vuole anche più di un mese per perdere un kg…
Chi ha la pazienza e la costanza per fare un percorso dimagrante del genere? NESSUNO

Questa è la ragione per cui le persone non dimagriscono, perchè se ti metti a fare i conti della serva ti accorgi che o hai una volontà di ferro, o fallirai sicuramente.
Allora non resta altro che trovare delle soluzioni ottimali per superare questo muro.

Sono grassa e non riesco a dimagrire: ecco la soluzione

ecco perchè non dimagrisco

La strada a questo punto è semplice e consiste nel non perdersi nelle 10.000 supercazzole che si leggono in giro e concentrarsi sui pochi fattori che contatto realmente:

  1. Aumento del metabolismo
  2. Migliore sensibilità insulinca

Il primo punto consiste nel far migliorare a Lucia il suo TDEE ovvero la quota calorica giornaliera che le serve per mantenere il peso. Se aumenta il suo metabolismo passando da 1600kcal/die a 2000kcal/die, quando andrà a mettersi a dieta ed a tagliare sarà tutto più facile.

Per approfondire il come fare leggi l’articolo su come accelerare il metabolismo.

Il secondo punto è strettamente correlato al primo. Per aumentare il metabolismo bisogna ridurre l’insulino resistenza migliorando la sensibilità insulinica. Per farlo dobbiamo potenziare la nostra affinità coi carboidrati e col glucosio (vedi i link sopra).

Una volta che Lucia sarà in grado di mangiare più calorie senza ingrassare e riuscirà a gestire meglio gli zuccheri, avremo creato i presupposti per metterci a dieta.

Non riesco a dimagrire: ho sempre fame

non riesco a dimagrire

Uno dei problemi della dieta è il soffrire la fame. Per superare questo scoglio gli step sono:

  1. Mettersi a dieta solo se assumiamo abbastanza calorie
  2. Creare deficit calorici del 10-15%
  3. Mangiare alimenti a bassa densità calorica
  4. Imparare a gestire i cheat day e cheat meal (sgarri)
  5. Fare attenzione ad alcuni tipi di grassi saturi
  6. Fare attenzione ai tipi di carboidrati che mettono fame

Tutti questi punti richiedono un articolo ognuno, in sintesi quello che è importante capire, è che la dieta deve essere sostenibile. Non deve essere drastica, non deve far soffrire eccessivamente la fame e deve prevedere delle ricariche programmate nei giorni che inevitabilmente sgarreremo.

La persona deve comprendere che quando non riesce a perdere peso, spesso è inutile continuare in quella direzione. Conviene dedicare del tempo per far ripartire il metabolismo per poi successivamente rimettersi a dieta. E’ un continuo sali e scendi in cui però il trend è rivolto al dimagrimento.

Concludendo, possiamo affermare, che salvo rari casi in cui i problemi metabolici ed ormonali richiedono un’accurata valutazione e personalizzazione della dieta, nel 97% dei casi alla domanda: perchè non riesco a dimagrire? la risposta è: perchè non fai le cose correttamente.

Temo.

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Impedenziometria: quando il peso non è il peso

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La bioimpedenziometria o impedenziometria è uno strumento d’analisi della composizione corporea. In ambito fitness/nutrizionale negli ultimi 15 anni è sempre stata più utilizzata. Scopriamo cos’è e perchè può servire.

impedenziometria come funziona

A cura del Dr Giovanni Cortile

Perché il mio peso continua ad aumentare? Ho iniziato a svolgere attività fisica in modo costante ma non vedo risultati in termini di peso, perché? Anzi, seguo lo schema alimentare, faccio sport come mai prima, ma kg, invece di diminuire, stanno aumentando, Come è possibile?

Queste sono solo alcuni dei quesiti che spesso e volentieri mi vengono posti dai pazienti durante le visite di controllo. Queste stesse persone vedendo che il peso sulla bilancia non cala si trovano in procinto di mollare e spesso e volentieri ritornano alle loro malsane abitudini oppure si affidano alle classiche diete “fai da te” iperproteiche e ipocaloriche per far calare repentinamente il numerino sulla bilancia.

perdere peso impedenziometria(da Lercio.it)

Ma perché accade ciò? Perché se si inizia a fare attività fisica e contemporaneamente si miglioria la propria alimentazione può capitare che il peso non diminuisce? Vediamo di capirci qualcosa.

Il Peso non è un buon parametro per valutare l’andamento di un percorso di dimagrimento o ipertrofia associato all’avvio di un programma di allenamento. Il peso corporeo non è altro che la sommatoria dei vari compartimenti corporei. Semplicisticamente possiamo distinguere:

  • –  FM (Massa Grassa) che rappresenta la massa lipidica totale;
  • –  FFM (Massa magra) che è la massa priva di grasso ed è costituita dai muscoli scheletrici e non scheletrici, tessuti magri e organi. Chimicamente è costituita da acqua per il 73 % circa e da proteine, minerali e glicogeno.
  • –  TBW (Acqua corporea totale) che rappresenta circa il 60-62% del peso nell’uomo e il 56/58% nella donna. L’acqua corporea è presente all’interno delle cellule (ICW) per il 60% e nello spazio extracellulare (ECW) per il restante 40%.
  • – ECW comprende il liquido interstiziale, linfatico e transcellulare e il plasma.
  •  BCM (Massa Cellulare) che costituisce la massa metabolicamente attiva. Rappresenta la componente cellulare del corpo ed è la frazione della FFM che svolge lavoro; cioè consuma ossigeno e produce CO2.

composizione corporea

Quando si inizia a svolgere attività fisica il corpo inizia ad adattarsi a nuovi stimoli e di conseguenza si va in contro ad un accumulo di acqua all’interno del compartimento cellulare a cui fa seguito, successivamente, un aumento della grandezza delle cellule (ipertrofia). Questo processo di adattamento positivo non favorisce una rapida discesa del peso, anzi, in alcuni casi, ci sarà, paradossalmente, un aumento dello stesso.

Proprio per questo non ha senso fermarsi alla sola valutazione del solo peso ma bisogna considerare le variazioni della composizione corporea. Esistono varie metodiche che consentono di analizzare la composizione corporea quali la plicometria, la DEXA, la bioimpedenziometria, la RMN, la pesata idrostatica e così via. L’esame impedenzometrico è una delle migliori metodiche utilizzate in ambito clinico e sportivo per la sua caratteristica di essere non invasiva, non operatore dipendente, abbastanza precisa rispetto al gold standard (DEXA). Questa metodica analitica sfrutta la diversa conducibilità dei tessuti al passaggio di una debole e inavvertita corrente elettrica alternata e permette, calcolando lo stato di idratazione, di determinare la composizione corporea dell’individuo indirettamente.

Sul mercato esistono diverse bioimpedenziometrie, si va dalla bilancia che ti misura da in piedi (ovviamente la distribuzione dei liquidi corporei varia da in piedi o sdraiato) a quella che ti misura la densità ossea e se sei alcalino. Non aspetta a noi giudicare l’attendibilità di tali apparecchiature, ma vi diamo un consiglio, valutate la letteratura scientifica non promossa dalle aziende venditrici (altrimenti sarebbe come chiedere al pescivendolo quant’è fresco il suo pesce).

Di seguito vedremo l’analisi bioimpedenziometrica di 2 persone con obbiettivi diversi: Dimagrimento nel primo caso e ipertrofia nel secondo caso clinico.

Bioimpedenziometria: due casi clinici

bioimpedenziometria risultati

Nell’immagine si vede il confronto tra 2 analisi bioimpedenziometriche di una donna di 48 anni che ha intrapreso una modifica del proprio stile di vita iniziando un percorso di educazione alimentare volto al dimagrimento ed una costante e moderata attività fisica trisettimanale di circa un’ora. Nel giro di 2 mesi il peso della signora è persino aumentato (da 88,2 a 89 kg), il che poteva benissimo farci pensare al fatto che lo schema dietetico non era adeguato oppure che la paziente non era stata poi così brava; invece così non è stato. Dall’analisi con la BIA è emerso uno straordinario miglioramento della composizione corporea:

– BMR (metabolismo basale) aumentato di 85 kcal/die – BCM (Massa Cellulare) aumentata di 3 kg
– FFM (massa magra) aumentata di 5,1 kg
– FM (Massa Grassa) ridotta di 4,3 kg

Da ciò si evince che la strada intrapresa è quella giusta poiché si sta eliminando il grasso corporeo e sta aumentando la muscolatura e il metabolismo basale. Questo è il vero dimagrimento o meglio è un ricomposizione corporea!

impedenziometria risultati secondo soggetto

Anche in questo caso valutiamo 2 analisi impedenziometriche, eseguite a 2 settimane di distanza, di un ragazzo di 20 anni che svolge un’attività di pesistica 3 volte a settimana. Malgrado il lasso di tempo tra le 2 misurazioni della composizione corporea è molto breve, già si iniziano a vedere degli ottimi risultati.

Il peso è rimasto quasi invariato (100g in più) ma si è avuto:

  • –  Aumento della BCM di 1,2 kg
  • –  Aumento della FFM di 700 grammi
  • –  Diminuzione della FM di 600 grammi
  • –  Aumento del Metabolismo Basale di circa 35 kcal/die

E’ vero che parliamo di piccole variazioni ma sono comunque miglioramenti che ci fanno intuire che la via per l’ipertrofia che stiamo seguendo è quella giusta.

Impedenziometria: conclusioni

Quello che dobbiamo portarci a casa dopo questo piccolo sproloquio è che considerare solo il peso, soprattutto nel breve periodo, è una “cagata pazzesca”.

Non scoraggiatevi se il peso rimane quasi invariato ma andate a ricercare cosa si nasconde dietro quei chili: valutate la composizione corporea con l’ausilio della bioimpedenziometria, o di altre metodiche analitiche, per quantificare oggettivamente i cambiamenti positivi della vostra composizione corporea.

Il reale dimagrimento è rivolto all’eliminazione del grasso in eccesso e non alla riduzione del peso sulla bilancia; come, d’altronde, l’ipertrofia è rivolta all’aumento della muscolatura e non della massa grassa.

A cura del Dr Giovanni Cortile.
Dietista laureato presso la facoltà di medicina e chirurgia della Federico II di Napoli. Laureando alla magistrale in scienze degli alimenti e della nutrizione umana. Lavora come libero professionista in Terzigno (NA) occupandosi di nutrizione pediatrica, sportiva e clinica.
Mail: cortile.giovanni@hotmail.it
Pagina FB: Dr Giovanni Cortile

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Bodybuilding e postura

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Chi ricerca il pieno sviluppo muscolare dovrebbe prestare attenzione alla sua postura. Sia dal punto di vista estetico, cher dal punto di vista dello sviluppo muscolare.

Le nostre generazioni passano sempre più tempo sedute, prima sui banchi di scuola poi a lavoro in ufficio. Mentre nel dopoguerra l’atteggiamento prevalente era quello iperlordotico, oggi all’opposto, è quello retilinizzato cifotico ad essere più comune.

postura cifotica

L’anteposizione delle spalle pone cronicamente il gran pettorale in accorciamento e gli adduttori delle scapole in allungamento. Crea così uno squilibrio di forze tra i vari gruppi muscolari, spostando la posizione della scapola e/o dell’omero.

spostamento scapola omero

Questo pone un limite di mobilità all’abduzione e agli esercizi per le spalle, limitando la possibilità di generare il massimo della forza ed aumentando la possibilità di farsi male.

test mobilità spalla

Per questo prima di dedicarsi completamente al bodybuilding bisognerebbe partire da un’analisi postulare.

I problemi possono arrivare da:

  1. Curve della colonna vertebrale modificate, con mobilità limitata o blocchi vertebrali.
  2. Posizione della scapola alterata: controllo dei muscoli (17) che si inseriscono sulla scapola
  3. Posizione dell’omero alterata: controllo del rapporto di forza/lunghezza dei muscoli rotatori e test della spalla

Da questi dati creeremo un percorso d’esercizi posturali rivolti al miglioramento ed al riequilibrio delle curve del rachide e della muscolatura. In questo modo il bodybuilder potrà essere messo nelle condizioni ottimali per sviluppare la sua muscolatura in piena sicurezza.

postura bodybuilding

 

Note sull’autore del video

RICCARDO GRANDI Pontevico (BS) Mail: sustainablebodybuilding@gmail.com
Classe 1969… Nato (culturisticamente parlando) all’età di 14 anni dove mi approccio alla palestra come preparazione atletica nel judo. Ma a 19 anni diventa la mia unica attività. A 21 anni iniziai ad insegnare come istruttore. Ho iniziato a preparare atleti agonisti all’età di 24 anni senza alcuna esperienza, ma con buoni risultati. Diventa il mio lavoro aprendo prima una palestra e poi un’altra. Come imprenditore del fitness perdo “la gioia” del lavoro di preparatore e per qualche anno esco dal mondo del BB. Nel 2011 rientro nel mondo del BB portando in gara 1 atleta… L’anno dopo fu ancora 1 più me stesso, poi 5, e via via sino ad oggi… Ora dirigo una squadra agonistica di 28 atleti TUTTI AGONISTI e soprattutto TUTTI DRUG FREE !!!! Altri 8 in preparazione per il 2017. Ho agonisti che partono dai 21 sino ai 69 anni. I miei atleti hanno vinto diversi titoli italiani e fatto gare internazionali. Il mio motto è CAMPIONI SI DIVENTA !!!

Visita il sito sustainablebb.com

sustainiblebb

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Guida allo strappo olimpico: la seconda tirata

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Benvenuti al terzo articolo sullo strappo! Se state leggendo anche questo pezzo vuol dire che siete sopravvissuti ai primi due e volete saperne di più, ma stavolta avrete davvero pane per i vostri denti…

Qui trovate i primi due episodi della guida sullo strappo:

  1. La posizione di partenza
  2. La posizione al ginocchio

Nei due articoli precedenti abbiamo descritto la posizione di partenza, poi quella al ginocchio e, infine, la prima tirata. Questa volta ci occuperemo di analizzare la seconda tirata (o second pull, secondo la terminologia anglosassone), cioè quella porzione della tirata che va dal ginocchio fino all’inguine e che rappresenta, probabilmente, la parte più importante e al tempo stesso più complessa dello strappo. Ma prima…

Disclaimer 1. Quella che sto per illustrarvi, come del resto ciò che vi ho esposto finora, rappresenta la mia personale interpretazione tecnica dell’esercizio e non vuole essere una verità assoluta anche perché, come immaginerete, nella pesistica, al pari di altri sport, non esiste solo il bianco o il nero ma tutta una serie di sfumature che cambiano da scuola a scuola e da allenatore ad allenatore, e che possono essere comunque corrette.

Disclaimer 2. Cercherò di essere il più chiaro e preciso possibile ma non posso, ahimè, sostituirmi all’occhio di un bravo tecnico che, dal vivo, momento per momento, potrà dirvi quali errori commettete e come fare a correggerli. Trovatene uno e fidatevi di lui!

Torniamo alla nostra chiacchierata. La seconda tirata, didatticamente, può essere suddivisa in tre micro fasi: una fase di transizione, una fase di accelerazione e la fase di contatto con il bacino ed estensione massima. Ricordiamoci però che si tratta di un artificio: il movimento deve essere fluido, senza interruzioni o “scatti” che ne comprometterebbero l’efficienza!

FASE DI TRANSIZIONE

La fase di transizione è quella porzione della seconda tirata che inizia al ginocchio e si conclude a metà coscia circa.

posizione strappo tirata

Incominciamo allora con l’assumere la posizione al ginocchio vista la volta scorsa e controlliamo che il nostro set-up sia corretto: stiamo guardando il punto fisso e coprendo con le spalle il bilanciere? Le scapole sono addotte e depresse? Abbiamo le braccia intraruotate? La schiena è iperestesa? Siamo in equilibrio, con il peso più o meno al centro del piede?

Bene, una volta sicuri che tutto sia in ordine, iniziamo a spingere con le gambe contro il pavimento (continuando idealmente la prima tirata) e, al contempo, estendiamoci col busto. Mi raccomando però, l’apertura del busto deve essere sincrona con la distensione delle gambe! Evitiamo di drizzare il busto troppo presto, rischieremmo di perdere una buona porzione di spinta. A questo proposito, un indice di verticalizzazione prematura è rappresentato dal movimento delle ginocchia: queste dovrebbero rimanere praticamente fisse nella posizione assunta quando il bilanciere era appena sopra la rotula. Se le ginocchia slittano in avanti, “infilandosi” sotto il bilanciere, vuol dire che abbiamo drizzato il busto troppo in fretta. Se, viceversa, scappano indietro è probabile che abbiamo invece raddrizzato troppo le gambe, rimanendo inclinati col busto. Prestiamo attenzione a questo particolare, nasconde uno degli errori più comuni per un principiante.

posizione busto strappo

Teniamo il bilanciere vicino alla coscia usando i dorsali. E per vicino intendo proprio vicino, al punto da strusciarsi. Anche in questo caso non esageriamo, l’eccessivo attrito, oltre a scorticarci, penalizzerà lo scorrimento fluido del bilanciere e la sua velocità.

snatch sguardo(bilanciere troppo lontano)

Altra considerazione importante è che, anche in questa parte della tirata, le braccia rimangono rilassate. Non facciamoci sopraffare dalla frenesia di tirare in alto il bilanciere solo perché stiamo facendo una tirata! Staccheremmo il bilanciere dalle cosce costringendolo ad una traiettoria lontana dal corpo che quasi inevitabilmente finirà per decretare il fallimento dell’esercizio.

busto strappo

E poi, pensiamo veramente di poter tirare con le braccia carichi elevati? Può andare con 40, 50 o 60 chili, ma poi? Insomma, ripeto, le braccia non tirano nulla (almeno per ora). A questo proposito vorrei fare una considerazione, forse sfora un po’ nel filosofico, però vi prego di seguirmi. Molti degli errori di un principiante sono accumunati da un fattore, cioè quello di voler tirare il bilanciere il più in alto possibile per avere il tempo e lo spazio per accosciare e riceverlo. “Errore? Ma non è quello a cui serve la tirata?” starete dicendo. E dite bene!

Facciamo però una piccola precisazione: il principiante non deve concentrarsi sul muovere il bilanciere, bensì imparare a muoversi col bilanciere. Tutto il discorso della traiettoria, dell’accelerazione ecc ecc. è semplicemente una conseguenza del movimento del nostro corpo. Stiamo attenti a spingere con le gambe, aprire il busto al momento giusto ed estenderci completamente? L’alzata andrà bene. Pensiamo a scagliare il bilanciere in alto? Ecco che infiliamo le ginocchia, tiriamo con le braccia, anticipiamo la discesa e lo strappo va a farsi benedire. Quindi impariamo prima a gestire per bene il nostro corpo!

Ricapitolando: dalla posizione al ginocchio cominciamo a spingere con le gambe per terra e, contemporaneamente aprendoci col busto, arriviamo a metà coscia circa. Dopo tutto è banale, no? In effetti il sollevamento pesi, come mi disse una volta un Maestro, è semplice come alzarsi in piedi. Attenzione, semplice, non facile…

FASE DI ACCELERAZIONE

La fase di accelerazione è quella che inizia a metà coscia circa e si conclude con l’incontro del bilanciere con il bacino.

snatch busto

Scommetto che vi starete chiedendo: “perché, se accelerare il bilanciere è così importante, non iniziamo ad esplodere da subito, dal ginocchio? Un’accelerazione più lunga ci permette di far raggiungere al bilanciere una velocità maggiore e quindi un’altezza più elevata, vero?”

Osservazione giusta ma che tralascia la complessità dell’esercizio in toto. È vero che l’accelerazione che imprimeremo al carico è fondamentale ma non dimentichiamo che esiste un altro particolare, altrettanto fondamentale, rappresentato dalla traiettoria. Se acceleriamo da subito, esattamente come dicevamo a proposito della prima tirata, rischiamo di perdere il controllo del carico e addio traiettoria corretta. Anche in questo caso quindi dobbiamo trovare un compromesso, cioè accelerare il bilanciere il più a lungo possibile senza però pregiudicare la traiettoria. Un buona idea è quello partire ad accelerare da metà coscia, poco più su o poco più giù.

Iniziamo quindi la descrizione della fase di accelerazione parlando della traiettoria. Non complichiamoci troppo la vita e continuiamo quello che stavamo facendo nella fase di transizione: raddrizziamo le gambe ed estendiamoci col busto, in maniera coerente, senza muovere le ginocchia in avanti o indietro, facendo scorrere il bilanciere sulla coscia. Concludiamo il movimento col bilanciere all’inguine, le gambe quasi stese e il busto ancora leggermente flesso.

Ed è proprio su questa traiettoria che dobbiamo inserire il turbo. Ma… come si accelera? Domanda che sembra stupida ma che non lo è. Così come non lo è la risposta: con le gambe e con la schiena, principalmente. Spingiamo le gambe a terra con più veemenza, raddrizzandole più velocemente e al contempo aprendoci più violentemente col busto. È importante che vi sia sempre una concordanza tra i due movimenti (delle gambe e del busto).

Qui però sorge un problema, bello grosso, almeno all’inizio. Se siete stati attenti, finora abbiamo solo parlato di posizioni statiche (quella di partenza e quella al ginocchio) e di movimenti controllati (la prima tirata e la fase di transizione della seconda tirata). Tutto sommato, i movimenti lenti ci permettono di controllare il nostro corpo e il bilanciere piuttosto bene. Sì, è vero, prima abbiamo visto che gli errori ci sono e si fanno lo stesso, ma sono tutti ampiamenti evitabili con un po’ di attenzione. Ora però introduciamo l’accelerazione. Questa scompiglia tutto: se pensiamo ad accelerare con le gambe ci dimentichiamo di aprirci col busto, oppure verticalizziamo il busto con forza ma scordiamo di usare le gambe, oppure ancora, presi dall’impeto, tiriamo con le braccia… Questi errori sono assolutamente normali. Voi non sapete quante volte ho bacchettato (e ancora bacchetto) i ragazzi che seguo su queste cose. Credo siano arrivati al punto da odiarmi profondamente ma sanno (spero!) che lo faccio per il loro bene!

Come dico sempre per rincuorarli, il sollevamento pesi è una coperta corta: quando ci imbacucchiamo i piedi ci rimane fuori la testa e viceversa. Pensiamo ad accelerare e ci dimentichiamo di estenderci, acceleriamo e ci estendiamo col busto ma lasciamo indietro le gambe… Perdiamo sempre qualcosa! E il motivo di tutto ciò è da ricercare, oltre che nella scarsa coordinazione, in velocità di un principiante, anche nel fatto che questo pensa troppo a ciò che sta facendo. Avete visto quanti dettagli ci sono da considerare e, all’inizio, metterli insieme, non è affatto automatico. Se pensiamo di voler fare un movimento nel momento stesso in cui lo eseguiamo, soprattutto durante questa fase, il fallimento è praticamente certo. Troppe cose da mettere in fila e troppo poco tempo per attuarle in maniera ragionata. Piano piano, con l’allenamento costante, riusciremo a fare nostri tutti questi particolari e poi ad amalgamarli correttamente senza pensare al singolo tassello, ma focalizzandoci sul movimento nel suo insieme.

Insomma, come detto all’inizio, siamo arrivati al punto cruciale dell’esercizio: è in questa fase che si deciderà, in buona parte, se lo strappo andrà a buon fine o meno, ed è in questa parte che emergono tanti errori. Ripeto, è assolutamente normale sbagliare tutto, anzi, sarebbe strano se così non fosse! Volete un consiglio? Dovete avere pazienza, pazienza e ancora pazienza e prima o poi imbroccherete la strada giusta.

FASE DI CONTATTO COL BACINO ED ESTENSIONE MASSIMA

In questa fase il bilanciere colpisce il bacino e si ha l’estensione massima del corpo che coinvolge anche le caviglie, braccia e spalle.

snatch piedi

Perché mi soffermo su questo passaggio? È così fondamentale? In un certo senso sì. Il movimento del bacino, se effettuato correttamente, da un ulteriore aiuto all’elevazione del bilanciere. Se fatto bene, appunto. Se fatto male, invece, è il disastro. Scendiamo nel dettaglio.

Abbiamo visto che la fase di accelerazione prima descritta si conclude col bilanciere all’inguine, le gambe quasi stese e il busto ancora leggermente flesso. A questo punto non dobbiamo commettere l’errore di sparare il bacino in avanti per dare una botta al bilanciere. No, davvero, non facciamolo, anche se “quelli americani che sollevano tanti chili” lo fanno. Semplicemente è un modo grezzo (passatemi il termine) di affrontare questo passaggio. E il perché è presto detto: il colpo d’anca aggiunge una componente orizzontale alla traiettoria del bilanciere che, di certo, non è un bene per l’esito dell’alzata. Più il bilanciere si sposta lontano da noi, più ci scappa, e più sarà difficile da incastrare correttamente, con alte probabilità di fallire l’alzata. Ok, ma se il bacino non incontra il bilanciere, che dobbiamo fare? Semplicemente l’inverso, cioè dobbiamo far sì che sia il bilanciere a prendere contatto col bacino. Nella fase di accelerazione tiriamo quindi i dorsali, quasi a voler fare una remata, e avviciniamo il bilanciere al bacino. Non esageriamo eh, altrimenti scadiamo nell’errore di inforcare sebbene, in questa fase, un piccolo avanzamento del ginocchio è tollerato. Questione di misura e di tempismo. Il bacino quindi “accoglie” il bilanciere e si estende. Mi raccomando, NON in fuori però.

posizione bilanciere

poszione inclinazione busto sollevamento olimpico(eccessiva estensione)

Parliamo quindi un po’ dell’estensione. È fondamentale estendersi verso l’alto. In realtà, soprattutto con carichi elevati, l’estensione, pur essendo su una linea retta, sarà leggermente inclinata all’indietro, per compensare il peso del carico stesso. Enfatizzo però il concetto di “verso l’alto” perché spesso, soprattutto con pesi che incominciano a diventare interessanti, potremmo avere la tendenza a piegarci verso l’indietro, schienando. No, non si schiena.

A dirla tutta, una minima iperestensione è consentita, anzi, è addirittura ricercata, solo non si tratta dell’iperestensione del tratto lombare della colonna vertebrale bensì di quello toracico: dobbiamo pensare ad aprire gli spazi intercostali, quasi a voler prendere un respiro profondo (ovviamente, come già detto all’inizio della nostra chiacchierata, lo strappo va eseguito in apnea). Questo piccolo particolare, che consente di portare le spalle leggermente indietro, ci permetterà di far tracciare al bilanciere la traiettoria giusta per poterlo ricevere al meglio.

sollevamento olimpico busto

Cosa estendiamo? Bè, chiaramente le gambe ed il busto (compresa la piccola iperestensione del tratto toracico della colonna), ma anche le caviglie, arrivando sull’avampiede. Non facciamo i ballerini però, ricercare troppo la punta, pur facendoci guadagnare qualche centimetro in altezza, potrebbe farci perdere stabilità e impedirci di trasferire efficacemente a terra la potenza generata dalle gambe.

sollevamento olimpico piedi

Nell’estensione del corpo sono coinvolte anche le spalle e le braccia. Per quanto riguarda le prime il discorso è presto fatto: dobbiamo scrollare i trapezi (cioè elevare le spalle come a volerle avvicinare alle orecchie) in maniera vigorosa, cosa che darà un ulteriore quid all’elevazione del bilanciere.

spalle snatch

Arrivati a questo punto devo fare però una precisazione: avete sentito parlare fin dall’inizio di adduzione scapolare, ma forse ho un po’ esagerato. È un comando molto semplice che uso per indurre i principianti ad aprire il petto in partenza e a compattare la schiena, ma in alcuni casi non è la soluzione ideale. L’adduzione troppo forzata rischia di contrarci troppo, rendendoci poco fluidi nel movimento e, tornando al nostro discorso, riduce l’ampiezza della scrollata. Provate la differenza tra adduzione scapolare forzata e retrazione più blanda e valutate ciò che è meglio per voi.

Per quanto riguarda le braccia è dall’inizio che diciamo che vanno tenute rilassate, che devono servire da mero collegamento tra busto e bilanciere, ma qui siamo ad un punto di svolta: nell’estensione assumono un ruolo attivo che non è tanto quello elevare il carico (anche se un loro piccolo contribuito è innegabile) quanto quello di direzionarlo, mantenendolo vicino al corpo. Per questo motivo, al momento dell’estensione, puntiamo i gomiti in alto e leggermente indietro.

passaggio petto

Non erriamo però nell’usare le braccia eccessivamente per portarci il bilanciere sopra la testa, ci guasterebbe tutta l’alzata facendoci perdere ritmo e velocità.

Quindi, riassumendo: una volta che il bilanciere ha incontrato il bacino (e non viceversa!) estendiamoci verso l’alto con tutto il corpo, comprese caviglie, spalle e gomiti. Parole, parole e parole per un concetto che può essere riassunto in due righe… è evidente: non ho il dono della sintesi!

A questo punto non ci resta che unire le tre fasi in un solo movimento continuo, fluido, in cui però l’accelerazione dovrà essere vigorosa ed evidente.

Siamo così arrivati a concludere la descrizione della seconda tirata, è stata dura ma ce l’abbiamo fatta. Visto l’argomento un po’ complesso da spiegare a parole (in questo senso sono molto utili i video di Federico Fontana) è possibile che in qualche punto non sia stato chiarissimo. Se così fosse non abbiate timore a farmi domande o critiche, sarò qui pronto a rispondervi.

Vi ringrazio per avermi seguito fino a qui e arrivederci al prossimo articolo (l’ultimo?)!

Buon allenamento e ricordate: “practice does not make perfect. Only perfect practice makes perfect

Mezzo Pesista

 

P.s vorrei ringraziare in primis Andrea Dallari per essersi prestato a modello per le foto di questo articolo e per le infinite e stimolanti discussioni che intratteniamo quasi quotidianamente sul mondo dell’allenamento. Ci tengo poi a ringraziare la Parma Powerlifting Gym e soprattutto Elisa Vinante e Simone Carniel, per il sostegno che mi hanno sempre offerto e per la guida costante verso miglioramento.

 

L'articolo Guida allo strappo olimpico: la seconda tirata proviene da Project inVictus.


Lo STRESS fa dimagrire o ingrassare?

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Come mai lo stress, quasi sempre fa ingrassare?  Cerchiamo di scoprire attraverso lo studio della fisiologia perchè e come possiamo fare per limitarlo.

stress e sovrappeso

Di Aimone Ferri 

Che cos’è lo stress? Lo si può definire come un’azione esterna (stressor) che cerca di rompere l’equilibrio psicofisico del nostro corpo, quindi potenzialmente qualsiasi evento che ci coinvolge crea uno stress.
Lo stress fisiologicamente viene superato con una risposta adattativa proveniente in primo luogo dal nostro sistema nervoso simpatico (SNS) ma che può arrivare a coinvolgere molti altri organi e tessuti.

Questo lo possiamo osservare praticamente quando ci alleniamo (l’allenamento è lo stressor), il corpo viene stressato meccanicamente, si attiva il sistema nervoso simpatico, vengono prodotti ormoni, mangiamo, recuperiamo e siamo più forti di prima, raggiungendo un nuovo set point omeostatico.

Questo fenomeno è stato inizialmente descritto in letteratura dal dr. Selye, chiamandolo GAS ( General Adaptive Syndrome).

Lo stress da quanto descritto fin’ora sembra quindi non solo un risultato dell’evoluzione di un sistema biologico ma anche un fattore positivo che porta ad un miglioramento (faccio le doppie con 360kg di squat = divento Ronnie Coleman), tuttavia sappiamo bene cosa succede al nostro corpo e alla nostra mente quando si è sempre stressati, infatti l’esposizione cronica ad uno stressor genera una riposta più stressante dello stressor stesso diventando impossibile ritrovare l’omeostasi.

FISIOLOGIA DELLO STRESS

fisiologia dello stress

Ecco in breve qual’è la riposta neuroendocrina ad uno stressor :

  1. attivazione del SNS
  2. rilascio di catecolammine dal surrene
  3. mobilizzazione di depositi energetici per renderli disponibili all’encefalo, ai muscoli e al cuore.
  4. contemporaneo rilascio di CRH dall’ipotalamo (ormone di rilascio delle corticotropine)
  5. attivazione dell’asse HPA (ipotalamo ipofisi surrene) e rilascio di Cortisolo
  6. (CRH –> ACTH –> Cortisolo ) che coadiuva l’effetto delle catecolammine sui substrati energetici.
  7. Il Cortisolo agisce a feedback negativo sul rilascio di CRH, si abbassa il tono del SNS tornando in equilibrio con il SNP che ci riporta all’omeostasi.

Il nostro corpo pertanto subisce queste alterazioni fisiologiche acute e reversibili :

  1. maggior reattività motoria
  2. aumentata funzione cognitiva
  3. soglia del dolore più elevata
  4. inibizione dei processi anabolici e di divisione cellulare
  5. immunosoppressione
  6. aumento del dispendio energetico
  7. soppressione appetito

Ma allora perchè ingrassiamo? Il cortisolo da solo può fare tutto questo? E se l’adrenalina aumenta la termogenesi non fa dimagrire? Non erano le calorie a fare da padrone?

Vedremo che il continuo stimolo di questo processo porta ad una risposta completamente alterata, sregolata e dannosa a lungo termine.

Dato che il bilancio calorico è una variabile fondamentale per le variazioni di peso, andiamo a vedere brevemente come ci viene fame e perchè scegliamo certi tipi di cibo, perchè sappiamo bene che quando siamo stressati non viene di certo voglia di mangiare una carota…

REGOLAZIONE DELLA FAME E SAZIETA’ 

fame e sazietà

Il nostro corpo ha come obbiettivo l’omeostasi,l’assunzione di cibo in condizioni fisiologiche; infatti è strettamente regolata da molti segnali che intercorrono tra il nostro sistema digerente e il cervello ( glicemia, stato energetico del fegato, distensione gastrica, peptidi gastrici e intestinali, insulina, leptina…).
La regolazione avviene nell’ipotalamo, che comprende specifiche famiglie di neuroni interconnesse tra loro e specializzate nella ricezione e secrezione di ormoni:

– i neuroni oressigeni, che sono inibiti dalla leptina, secernono NPY ( il più potente oressigeno endogeno)

– quelli anoressigeni, che producono altri ormoni, invece sono stimolati dalla leptina.

Quando questo sistema lavora in fisiologia si ha una fine regolazione dell’assunzione di cibo che ci porterà a mantenere lo stesso peso (omeostasi) per lungo tempo.

Tuttavia nella nostra società occidentale, c’è una grossa disponibilità di alimenti ricchi di grassi e zuccheri a basso costo, i “comfort food” che sono il tipo di cibo che ci gratifica istantaneamente nel mangiarlo e siamo spinti a mangiarlo anche senza alcuna necessità reale (a differenza della carota di prima…) perchè si attiva il circuito dopaminergico del piacere, lo stesso coinvolto nelle dipendenze dall’alcool e dalle droghe.

Questo meccanismo edonico è fortemente spinto da emozioni negative e dallo stress cronico, e crea forte dipendenza andando a stimolare i recettori degli oppioidi (gli stessi su cui agisce morfina ed eroina) e dei cannabinoidi responsabili nell’implementazione sistematica di un’abitudine nel nostro cervello ( ecco il perchè dello “smetto quando voglio” che spesso funziona solo quando si ha una grossa forza di volontà).

FISIOPATOLOGIA NELLO STRESS CRONICO 

stress cronico

Il rilascio di CRH (che agisce direttamente inibendo la sensazione di fame) e di Cortisolo (che alza la glicemia e stimola processi catabolici) stimola a sua volta il rilascio di insulina ( glucosio + insulina segnalano all’ipotalamo sazietà). In un secondo tempo però, il CRH si abbassa in quanto è un peptide e ha breve emivita, lasciando spazio al cortisolo che stimola l’appetito. Questo meccanismo è perfettamente fisiologico, infatti dal punto di vista evolutivo è sensato reintegrare energie dopo un evento stressante.

Lo stress cronico tuttavia, è caratterizzato da una cortisolemia perennemente elevata, tutt’altro che fisiologica,  che spinge inevitabilmente al consumo di cibo e allo stimolo del circuito dopaminergico del piacere che dovrebbe avere il compito, agendo a feedback negativo sull’asse HPA ‘di “spegnere” l’ipersecrezione di cortisolo ( cosa che non avverrà mai finchè saremo stressati…).

Il cortisolo causa anche leptino resistenza nell’ipotalamo, andando quindi a stimolare la fame, inoltre la glicemia elevata in concomitanza con l’insulinemia elevata porta all’insulino resistenza. Sapere in anticipo se e quando il fisiologico meccanismo che regola lo stress diventa patologico è impossibile perchè l’epigenetica influenza moltissimo la nostra riposta individuale allo stress, ecco perchè una minoranza di persone in risposta allo stress cronico perde peso.

Come viene alterato il nostro metabolismo nello stress cronico? 

TESSUTO ADIPOSO :

Oltre agli effetti già descritti sul metabolismo glucidico, il Cortisolo stimola sia la HSL (enzima chiave della lipolisi) che la LPL ( enzima di membrana che permette l’ingresso degli acidi grassi nell’adipocita), tuttavia si hanno delle differenti espressioni di questi enzimi nel tessuto adiposo sottocutaneo e viscerale, difatti lo stress cronico porta ad una ridistribuzione del grasso nella regione addominale (viscerale) che aumenta  l’infiammazione, predispone a malattie del metabolismo e aumenta il  rischio cardiovascolare. Inoltre, in sinergia con l’insulina, promuove la differenziazione e la proliferazione degli adipociti.

ASSE HPT (ipotalamo ipofisi tiroide) 

Downregulation generale dell’asse con inibizione dei neuroni che liberano TRH, segue un abbassamento del T4 nonchè nel T3 e dei metaboliti più attivi come 3,5-T2 perchè il cortisolo è un potente antagonista delle deiodinasi dei tessuti. Bassi livelli di T3 e dei  metaboliti inibiscono la sintesi delle proteine disaccoppianti UCP, responsabili della termogenesi.

SISTEMA IMMUNITARIO 

Resistenza delle cellule immunitarie al cortisolo, per cui non svolge più la sua funzione immunosoppressiva ; complice anche il grasso viscerale si ha un’aumentata secrezione di citochine infiammatore come IL-6, TNF-alfa, e adipochine come la Resistina coinvolta nella insulino resistenza e nella leptino resistenza.

MICROBIOTA 

Ormai è sempre più chiara la relazione intestino-metabolismo-immunità, tanto che si definisce l’intestino il secondo cervello. Un’alterata flora batterica intestinale è il risultato di abitudini alimentari scorrette ( troppi grassi o proteine, poche fibre) che favoriscono lo sviluppo di ceppi di batteri che alterano la permeabilità intestinale, producono sostanze infiammatorie e diabetogene, andando a peggiorare la risposta allo stress, ma è anche vero viceversa: lo stress cronico altera la nostra flora batterica intestinale in modo negativo.

RIASSUNTO DEL CIRCOLO VIZIOSO

circolo dello stress

Lo stress cronico sregola il preciso lavoro dell’ipotalamo, andando a creare una situazione ancora più dannosa dello stressor stesso; si ha iperattivazione del SNS (che arriverà ad un vero e proprio esaurimento), ipercortisolemia, iperglicemia, ridotto dispendio energetico, bassa tolleranza glucidica, fame, necessità di ingerire cibo caloricamente denso, infiammazione sistemica più elevata, ambiente complessivamente catabolico per il tessuto scheletrico in particolare, ambiente neutro o anabolico per il tessuto adiposo.

Insomma una situazione disastrosa…

COSA FARE ?

  1. trovare il modo di ridurre o meglio elimnare lo stressor per interrompere il circolo vizioso (banale, ma fondamentale …)
  2. evitare approcci alimentari drastici nonostante non dimagriamo o non mettiamo su muscolo; non cercare di aumentare le Kcal e mantenere i glucidi entro il 55% delle Kcal totali, limitando gli zuccheri semplici.
  3. Stesso discorso per l’allenamento : ridurre il volume e l’intensità per non esacerbare gli effetti del cortisolo e non sovraccaricare ulteriormente il SNS.
  4. Non porsi obiettivi specifici o PR’s da raggiungere in un periodo molto stressante, conservare le energie.
  5. Provare attività alternative che favoriscano il recupero psicofisico (cardio LISS per tempi brevi, Yoga, tecniche di meditazione…tutta roba che non ci piace ma che è utilissima per aiutare il recupero della nostra fisiologia)
  6. Evitare stimolanti vari (caffeina, guaranà, thè, sinefrina, termogenici vari) che non faranno che andare a sovraccarica il SNS fino all’esaurimento.
  7. Dormire bene e riposarsi abbastanza, non sottovalutare mai questo aspetto.
  8. Qualora non si riuscisse a superare questi periodi stressanti può essere utile farsi consigliare dal proprio medico per eventuali terapie farmacologiche mirate e/o piscoterapiche.

Per approfondire ulteriormente la lettura lascio una pubblicazione in cui ha collaborato la mia prof.ssa di fisiologia della nutrizione Ilaria Demori, ricercatrice press l’Università di Genova: https://www.omicsonline.org/open-access/stressrelated-weight-gain-mechanisms-involving-feeding-behavior-metabolism-gut-microbiota-and-inflammation-2155-9600-1000457.php?aid=66897

L’articolo: Lo stress da dimagrire o ingrassare è di Aimone Ferri 

FB:https://www.facebook.com/aimone.ferri
Mail: aimoktm@gmail.com

Letteratura consultata :

  • Maniam J, Morris MJ (2012) The link between stress and feeding behaviour. Neuropharmacology 63: 97-110.
  • Spencer SJ, Tilbrook A (2011) The glucocorticoid contribution to obesity. Stress 14: 233-246.
  • Sominsky L, Spencer SJ (2014) Eating behavior and stress: a pathway to obesity. Front Psychol 5: 434.
  • Papadimitriou A, Priftis KN (2009) Regulation of the hypothalamic-pituitary-adrenal axis. Neuroimmunomodulation 16: 265-271.
  • Schneeberger M, Gomis R, Claret M (2014) Hypothalamic and brainstem neuronal circuits controlling homeostatic energy balance. J Endocrinol 220: T25-46.
  • Berridge KC (2009) ‘Liking’ and ‘wanting’ food rewards: brain substrates and roles in eating disorders. Physiol Behav 97: 537-550.
  • Volkow ND, Wang GJ, Baler RD (2011  Reward, dopamine and the control of food intake: implications for obesity. Trends CognSci 15: 37-46.
  • Monteleone P, Maj M (2013) Dysfunctions of leptin, ghrelin, BDNF and endocannabinoids in eating disorders: beyond the homeostatic control of food intake. Psychoneuroendocrinology 38: 312-330.
  • Liu S, Borgland SL (2015) Regulation of the mesolimbic dopamine circuit by feeding peptides. Neuroscience 289: 19-42.
  • Pecoraro N, Reyes F, Gomez F, Bhargava A, Dallman MF (2004) Chronic stress promotes palatable feeding, which reduces signs of stress: feedforward and feedback effects of chronic stress. Endocrinology 145: 3754-3762.
  • Jéquier E (2002) Leptin signaling, adiposity, and energy balance. Ann NY AcadSci 967: 379-388.
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  • Suzuki K, Simpson KA, Minnion JS, Shillito JC, Bloom SR (2010) The role of gut hormones and the hypothalamus in appetite regulation. Endocr J 57: 359-372.
  • Macfarlane DP, Forbes S, Walker BR (2008) Glucocorticoids and fatty acid metabolism in humans: fuelling fat redistribution in the metabolic syndrome. J Endocrinol 197: 189-204.
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  • Wisse BE (2004) The inflammatory syndrome: the role of adipose tissue cytokines in metabolic disorders linked to obesity. JASN 15: 2792-2800.
  • Fontana L, Eagon JC, Trujillo ME, Scherer PE, Klein S (2007) Visceral fat adipokine secretion is associated with systemic inflammation in obese humans. Diabetes 56: 1010-1013.

Personal trainer ISSA, istruttore di powerlfting FIPL e studente di Dietistica all’Università degli studi di Genova , appasionato di bodybuilding, powerlifting e nutrizione sportiva.

 

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Programmare la fase di scarico

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programmare la fase di scarico

È noto ormai, anche grazie alle ultime ricerche scientifiche, come la performance e l’ipertrofia muscolare siano influenzati principalmente dal volume allenante.

Il volume allenante si comporta un pò come la pressione fiscale, ebbene si, l’esempio calza a pennello, la curva di Laffer (se siete stati attenti a lezione di economia politica dovreste saperlo) mette in relazione le imposte con le entrati fiscali, all’aumentare della pressione fiscale (maledetti) vi è un aumento delle entrate, ma superato un certo limite, le entrate diminuiscono a causa dell’aumento di evasione fiscale.

Ora, penserete di aver sbagliato articolo, e vi chiederete cosa centri tutto ciò.. eppure..

All’aumentare del volume corrisponde un aumento di performance ed eventualmente ipertrofia muscolare (l’ipertrofia muscolare è multifattoriale e non si può associare ad una solo fattore quale il volume, anche se è il più importante).

Superato un certo limite però le capacità del corpo di supercompensare lo stimolo vengono sempre meno e la fatica percepita aumenta. Tutto ciò se protratto in cronico potrà portare a stati di sovrallenamento (Overtraining, in inglese è più figo), ed è qui che entra in gioco lo scarico (Deload).

Quindi possiamo dedurre che lo scarico serva a diminuire la fatica accumulata e riequilibrare tutti quei meccanismi endocrini di risposta agli stimoli allenanti.

(In questo studio effettuato sui ratti, i segnali intracellulari che regolano la crescita muscolare sono stati ripristinati a seguito di 12 giorni di deallenamento )

Lo scarico può essere attivo o totale:

  • scarico attivo: è quello che più viene usato e consiste in una diminuzione di volume e/o intensità e/o frequenza degli stimoli allenanti. La diminuzione non si può quantificare, verrà adattata al soggetto in base al suo stato e alle sue capacità di recupero ma in genere, per comodità, si prende come riferimento il micro ciclo settimanale.
  • Scarico totale: consiste nella sospensione totale degli stimoli allenanti. Si può attuare più raramente e in genere viene consigliata soprattutto a seguito di infortuni o gravi stati di sovrallenamento.

Quando possiamo/dobbiamo inserire lo scarico?

Come abbiamo detto poco fa il volume allenante dovrebbe aumentare nel tempo per permettere sempre più adattamenti, ma può e dovrebbe capitare più volte all’interno della periodizzazione, che il corpo entri in uno stato di sovrallenamento funzionale (Overreaching).

L’Overreaching corrisponde allo step antecedente l’overtraining.

curva overreaching

Occorre precisare che molto difficilmente si andrà in overtraining (soprattutto con le classiche 3 split settimanali da Bro no pain no gain) perché in genere il corpo ci manda segnali ben specifici che quasi ci “obbligano” a diminuire lo stress allenante.

Questi segnali si manifestano durante lo stato di overreaching, e in genere sono:

  • stallo o diminuzione della performance
  • stanchezza cronica
  • insonnia
  • dolori articolari
  • perdita di appetito
  • bassa autostima e bassa motivazione di allenamento
  • perdita di concentrazione durante le attività giornaliere o durante l’allenamento

Continuare a stressare il corpo in questo stato per un lungo periodo è controproducente. ( e qui il no pain no gain mettetelo da parte)

overtraining o overreaching

Tutto questo si risolve appunto inserendo la tanto odiata “settimana di scarico

Per gli amanti del ferro e in generale gli sportivi, questa fase è quasi sempre vista come noiosa ma si potrebbe addolcire lo scarico facendolo coincidere per esempio con un periodo di vacanza oppure lavorando su aspetti quali propriocezione, tecnica e lavori posturali, cercando il più possibile di ricercare e/o di far coincidere l’overreaching con la settimana precedente.

E se lo scarico è forzato e protratto per lunghi periodi? Perderò tutti gli adattamenti?

Anche qui la scienza viene in nostro soccorso: 14 soggetti sono stati divisi in due gruppi, un gruppo si è allenato senza stop per 24 settimane, l’altro gruppo ha fatto uno stop di 3 settimane ogni 6 di allenamento, sempre per un totale di 24 settimane.

Alla fine dei 6 mesi i risultati in termini ipertrofici risultarono uguali.

Il mio consiglio quindi è di porre attenzione e di pianificare attentamente il periodo di scarico, sapendo che fa parte anche esso della periodizzazione e tanto più il livello di performance è alto, tanto più è indispensabile.

supercompensazione

Esempi di scarichi attivi

Chi si allena in monofrequenza generalmente sente meno il bisogno di scaricare. Questo avviene perchè il muscolo già recupera tra una settimana e l’altra. Chi invece si allena in multifrequenza, stimolando lo stesso muscolo 2-3 volte nella stessa settimana, più facilmente può sentire il bisogno di staccare la spina.

Lo scarico attivo può essere suddiviso sia nelle settimane, che negli allenamenti. Il primo può coincidere con:

  • una settimana di scarico attivo ogni 3-5 settimane di allenamento.

Il secondo invece suddividendo gli allenamenti durante la settimana in leggeri o pesanti, oppure in allenamenti intensi o voluminosi. Diversificare gli stimoli permette al corpo di stancarsi in una direzione ma nello stesso modo di recuperare in un’altra. Sessioni leggere in generale dovranno sempre essere inserite ma più variate gli stimoli (con cognizione di logica), più il corpo si potrà allenare senza avvicinarsi all’overtraining.

L’articolo: Programmare la fase di scarico, è di Danilo Russo

danilo russoPersonal trainer (anche Online) ISSA,.
Ha gareggiato per la prima volta nel 2016 in ainbb categoria men physique.
Seguilo su FB e Instagram 

 

 

 

 

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Dieta donna: gli errori da evitare

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Le persone, ma soprattutto le ragazze, pensano che per vedere calare il peso della bilancia sia necessario mangiare poco, saltare i pasti o addirittura digiunare. Il desiderio di molte donne è “voglio dimagrire nel minor tempo possibile, percorrendo la strada più semplice che non richieda tanti sforzi”.
Bè, voglio svelarvi un segreto: non esiste nessun metodo che vi faccia avere tutto e subito.
La chiave per dimagrire (in modo corretto) è la pazienza.

dieta per dimagrire velocemente

Articolo della dott.ssa Giorgia Stramigioli

Oltre ad essa occorre avere un metodo efficace che faccia permanere la situazione di calo di peso stabile nel tempo.
Pazienza e metodo efficace; due punti difficili da ottenere.

Molte pensano “meno mangio e più dimagrisco” ma in breve tempo il processo diventa come un cane che si morde la coda. La donna risponde agli stimoli molto più rapidamente dell’uomo, questo si traduce anche in un adattamento al deficit calorico indotto dalla dieta. Purtroppo nelle ragazze il dimagrimento si ferma molto più velocemente, questo perchè appena l’organismo legge un rilevante deficit energetico, nella donna abbassa subito la leptina (un ormone che regola il metabolismo).

Con questo articolo voglio spiegarvi che cosa accade nel corpo quando si abbassano di colpo le calorie o si applica la mentalità “meno mangio e più dimagrisco” nel tempo, facendo attenzione all’universo femminile (che risente molto di più di alcune varianti rispetto a quello maschile).
Vi svelerò quali sono i veri trucchi da applicare ogni giorno per perdere peso senza effetti rebound.

Donna e dieta: un rapporto difficile

dieta donna errori

Innanzitutto smettiamola con il controllare ossessionatamente il peso della bilancia. La bilancia non è il nostro giudice, noi siamo i giudici di noi stessi.

Questa frase è indirizzata soprattutto a chi crede che la nostra autostima è direttamente proporzionale alla forma del nostro corpo: appena compare un accenno di fianco in più la ragazza entra in depressione. Ricordate che noi non siamo solo il nostro corpo, ma molto di più. In ogni modo, se ci si guarda allo specchio e non si è soddisfatte di se stesse, si può agire in modo intelligente, sempre ben armate della parola magica pazienza.

Perché non devo pesarmi tutti i giorni?
Semplice, il nostro peso è un insieme di muscolo, grasso, acqua, ossa e altri tessuti. Avete mai provato a pesarvi di mattina a digiuno e di sera dopo cena?
Sicuramente avrete notato delle variazioni nel valore del peso.

Tranquille, non siete ingrassate nell’arco di un giorno, semplicemente il nostro corpo è continuamente soggetto a variazioni di acqua che possono essere date da molti fattori.

Per le donne un accumulo di liquidi (e dunque di peso sulla bilancia) si ha soprattutto nei periodi vicini al ciclo mestruale, ma in generale si ha anche nei periodi di intenso stress (l’aumento dell’ormone cortisolo aumenta la ritenzione idrica) e dopo un intenso allenamento.
Le ragazze consumano meno calorie degli uomini, durante l’attività fisica. Questo sia perchè pesano meno, sia perchè hanno in proporzione meno tessuto muscolare. Questo vuol dire che per bruciare le stesse calorie, devono allenarsi per più tempo, ma questo comporta anche un maggior stress organico ed una produzione più elevata di cortisolo. Questo spesso si traduce in una maggior ritenzione idrica soprattutto negli arti inferiori.

Se sentite di avere gambe e addome gonfi non entrate subito in panico “Oddio! Sono ingrassata tutto d’un tratto! Quale magia nera è accaduta?”, considerate anche la variante ormonale e pensate che possa essere semplicemente acqua.
Il grasso si accumula nel lungo termine, non da un giorno all’altro, quindi evitate di smettere di mangiare dopo che constatate la vostra situazione, perché è assolutamente temporanea. 

Cosa non vi dicono delle diete drastiche

donna dieta drastica

Vuoi dimagrire 7 kg in 7 giorni? Bevi acqua e vedrai che risultati!
Spero vivamente che le persone non credano davvero a queste parole, anche se sono convinta che ancora qualcuna spera che questo sia il metodo giusto.

Come detto prima, per dimagrire, occorre un metodo efficace. Ecco, la frase “tanti chili in pochi giorni e senza sforzi” non lo è. L’errore più comune che fanno le ragazze è sicuramente quello di togliere carboidrati e i grassi perché “fanno ingrassare”.
Sbagliato, è l’eccesso (anche di proteine) che fa ingrassare, il nostro corpo deve assumere tutti i macronutrienti necessari perché, in caso contrario, ce la fa pagare. Le proteine sono importanti per preservare il tessuto magro, per fortuna le ragazze , rispetto agli uomini (almeno un punto a nostro favore), tendono a catabolizzare meno la massa muscolare a parità di deficit energetico.

Ma ora vi spiegherò perché il togliere carboidrati, grassi o digiunare del tutto è come un “cane che si morde la coda”

  1. Il corpo va in riserva.

Il nostro organismo è una macchina predisposta a mantenere l’omeostasi. Ciò vale a dire che ogni qualvolta si verifica un cambiamento nel corpo si ha una risposta che ripristina l’equilibrio. Se si tolgono calorie con il tempo si abbassa il metabolismo, tradotto “consumo meno energia”. Non crediate che il corpo non si accorga che si sta mangiando di meno, non possiamo ingannarlo a lungo. Soprattutto nella donna, l’organismo legge velocemente i cali energetici e risponde deprimendo il metabolismo.

Sicuramente fra di voi c’è qualcuna che si ammazza di attività cardio e palestra, mangia poco e rimane sovrappeso.
Sapete perché accade questo? Perché probabilmente il vostro metabolismo è sotto le scarpe. Ecco, questo non è il giusto metodo, quindi provate a cambiarlo.
Quando non si alimenta più in modo corretto il nostro corpo, esso tenderà a tenersi stretto le riserve di grasso che ha perché percepisce il deficit calorico come “stato di carestia”.

  1. Stato di chetosi 

I carboidrati sono il nutriente d’elezione che viene usato a scopi energetici e ci sono dei componenti che non possono viverne senza: eritrociti, globuli bianchi, alcune cellule del rene e delle gonadi.
Fortunatamente però il corpo ha imparato a sviluppare delle vie alternative per ricavare energia anche senza l’apporto di zuccheri, al fine di sopravvivere ad uno stato di “carestia”.

Esso attiva due principali vie metaboliche: gluconeogenesi e chetogenesi.

La gluconeogenesi porta alla sintesi di glucosio a partire da substrati alternativi, come alcuni aminoacidi ed il glicerolo. Inizialmente è promosso il catabolismo adiposo, ma già dopo alcune ore di digiuno si verifica una deplezione di proteine, in primo luogo albumina, successivamente quelle appartenenti al distretto muscolare.
Il corpo inizia il processo di autocannibalismo e al diminuire della quantità di muscolo, diminuisce il metabolismo (il muscolo è tessuto attivo, capace di ossidare substrati nutritivi).

Parallelamente al processo di gluconeogenesi (che si instaura anche durante il digiuno notturno), si verifica anche la chetogenesi, via metabolica dove vengono sintetizzati i corpi chetonici (aceto acetato, acetone, e 3-idrossi-butirrato), altre molecole con cui il cervello può sopravvivere nel caso di un mancato apporto glucidico.
E’ possibile capire di essere in stato di chetosi dall’odore dell’alito: l’acetone è una molecola volatile e conferisce uno specifico odore ad esso.

 

La chetosi nel medio lungo periodo porta ad un abbassamento degli ormoni tiroidei e a peggiorare l’affinità dei recettori Glut-4 col glucosio. Questo porta ad un peggioramento dell’efficienza metabolica dell’organismo che impara a consumare meno calorie.

La donna rispetto all’uomo fa più fatica a gestire i carboidrati (minor sensibilità insulinica), questo perchè avendo più grasso essenziale, ha più ormoni predisposti verso il metabolismo lipidico (come il GH). Tuttavia cercare di consumare solo grassi, limitando fortemente i carboidrati è il classico errore di chi vuole tutto subito, senza riuscire mai ad ottenere realmente quello che desidera.

  1. Sofferenza della tiroide con conseguenze sul metabolismo e sul ciclo mestruale

Avete mai notato che quando si abbassano considerevolmente le calorie in breve tempo, il ciclo mestruale scarseggia o, nel peggiore dei casi, scompare (amenorrea)?
Ciò accade perché i carboidrati sono importanti per il funzionamento della tiroide, organo che controlla il metabolismo glucidico e lipidico.

Se non si assumono carboidrati la tiroide non produce sufficienti T3 e T4, ormoni addetti a numerose funzioni nell’organismo : agiscono sui reni, aumentano la gittata cardiaca e la ventilazione respiratoria, agiscono sulla termoregolazione ed infine rivestono importanti ruoli nella mobilizzazione di lipidicarboidrati e proteine.

Ecco spiegato il meccanismo controverso di ciò che accade con tagli drastici dalla dieta: una diminuzione di produzione di T3 e T4 comporta un calo delle capacità di poter ossidare carboidrati e lipidi, da qui deriva la difficoltà a calare di peso.

La conseguenza da sottolineare maggiormente riguarda le donne: l’inadeguato apporto di carboidrati e grassi comporta un ipo-funzionamento della tiroide poichè l’ipotalamo, organo addetto alla sua regolazione, comunica di abbassare la produzione di ormoni tiroidei mediante una iperproduzione di TSH, ne consegue la scomparsa del ciclo mestruale.

Questo è un chiaro segnale che il corpo vi sta dicendo “sono talmente in riserva che non riesco nemmeno a farti arrivare il ciclo!”

  1. Diminuzione dell’affinità con i carboidrati

Conosco persone talmente convinte che i carboidrati siano il male di vivere che portano avanti diete ipoglucidiche per anni (presente!).
Conosco altre che ne hanno pagato le conseguenze sul proprio corpo (eccomi, di nuovo presente!).

Cosa accade se non do la giusta quantità di zuccheri al mio corpo nel lungo termine? Succede che l’organismo ti ripaga di ciò che gli hai tolto, con gli interessi.
Come si sa, lo zucchero che viene assorbito nel corpo va nel sangue, e dal sangue va nei tessuti grazie alla secrezione dell’ormone insulina da parte del pancreas.
Questa molecola si lega a specifici recettori, permettendo l’entrata di glucosio nei tessuti.

Se non sono apportati carboidrati al nostro corpo, a lungo andare si verifica una diminuzione della sintesi di tali recettori oltre alla diminuzione di affinità verso il glucosio.

Ad una nuova e casuale reintroduzione di carboidrati, si verificheranno picchi glicemici esagerati e la mancata capacità di rispondere adeguatamente ad essi, si creerà una specie di insulino-resistenza.

La reintroduzione di una quota glucidica dopo lunghi intervalli di astinenza comporterà effetti di eccessivo gonfiore, eccessiva ritenzione idrica, fatica, appesantimento, difficoltà di digestione, attivazione di processi infiammatori (diventerete praticamente una piccola palla d’acqua).

Tutte condizioni dovute alla scarsissima affinità con gli zuccheri che avete creato nel tempo, privando l’organismo di questi importantissimi nutriente.

  1. Radicali liberi e aumento dell’invecchiamento

Il glucosio va incontro a molte vie metaboliche nel corpo, una di queste è lo “shunt dei pentosi”. Questa via è importante per la produzione di zuccheri pentosi (ribosio) necessari alla sintesi di nucleotidi, ma soprattutto per la produzione di NADH, un importante cofattore di alcuni enzimi e molecola che previene dagli attacchi ossidativi dei radicali liberi.

L’ossidazione delle cellule è un evento indesiderato perché aumenta l’invecchiamento e danneggia i tessuti, pertanto esistono dei specifici sistemi di difesa.

Uno di questi utilizza proprio il cofattore NADH che permette di prevenire l’ossidazione delle membrane cellulari grazie a specifiche reazioni di ossido-riduzione.
Se non sono introdotti sufficienti carboidrati, diminuirà la produzione di questa molecola, e il corpo sarà maggiormente esposto all’ossidazione cellulare.

Siete sicure di voler invecchiare giovani? Ha senso comprarsi costose creme per il viso e poi non mangiare carboidrati?

Dieta donne: tiriamo le conclusioni

dieta donna

Questi sono solo 5 dei tanti altri motivi che bisognerebbe elencare (alterazione dell’umore, stanchezza, abbassamento delle difese immunitarie…) ma spero che possano bastare per iniziare a ragionare e capire che dimagrire non è togliere.

Dimagrire è investire: tempo, pazienza, fiducia in se stessi, determinazione. Assicurati prima di metterti a dieta d’aver creato una base da cui poter tagliare. Prima di togliere bisogna investire. Leggi come accelerare il metabolismo.

Non abbiate paura di mangiare perché il corpo capisce che può iniziare ad ossidare nutrienti solo se si trova in una condizione metabolica di “benessere” (l’insulina è l’ormone che comunica benessere, e l’insulina è prodotta principalmente ingerendo zuccheri) e non di “carestia”.

Voglio invitare,  le ragazze, a trovare il coraggio di cambiare metodo, di provare a vedere cosa succede se si elimina la mentalità “meno mangio-più dimagrisco”.
Se il vostro metodo non sta funzionando, se vi sentite spossati, tristi, affaticati nonostante i vostri sforzi ma senza ottenere i giusti risultati, iniziate a cambiare la rotta.

…ma, quindi alla fine di tutto, qual’è il segreto per dimagrire?

Il segreto è avere tanta pazienza, bisogna investire giorno per giorno, bisogna avere determinazione nel dire di no a quella fetta di torta in più, iniziare a muoversi e fare attività sportiva.
Bisogna dire basta alle scuse che ci si dice ogni giorno.

Senti necessità di cambiare? Fallo da adesso, non aspettare quando smette di piovere, quando finiscono gli esami o il giorno in cui smetterai di fumare.
Metti in ordine delle priorità o preferisci mangiare schifezze tutti i giorni? Benissimo, allora inizia ad accettare il tuo corpo così come è.

Se invece non ne sei soddisfatta allora mettila come priorità quella di voler ottenere un altro fisico, da subito, ciò comporta l’iniziare a mettere impegno nel seguire un alimentazione sana e a praticare sport, per ottenere uno scopo ben preciso: un corpo come tu desideri.

Bisogna smetterla di voler tutto e subito ed aprire la mente a pensare nel lungo termine.

Un kg di grasso sono 7000 kcal. Mediamente le ragazze per dimagrire creano un deficit energetico di 300kcal giornaliere. Questo vuol dire che ci vorranno 23 giorni per perdere un kg di grasso (23 giorni non 3!). Se dimagrisci più in fretta stai perdendo anche acqua e tessuto muscolare e stai andando incontro ad un blocco del dimagrimento.

Devi perdere 5kg? Prenditi 4 mesi
Devi perdere 10kg? Prenditi 8 mesi
Devi perdere 15kg? Prenditi un anno.

Questi sono tempi fisiologici, sani e realisti

Quindi, care lettrici, il segreto è fare piccole rinunce, giorno per giorno, e godere, alla fine della corsa, della vittoria più grande e soddisfacente di aver raggiunto il proprio obbiettivo con le proprie forze.

Buon viaggio.

L’articolo dieta donna: gli errori da evitare è della dott.ssa Giorgia Stramigioli

giorgia stramigioli

 

Laureata in Scienza della nutrizione a Urbino, lavora a Milano come consulente alimentare. Ama la buona cucina e l’allenamento. Sperimenta su se stessa quanto studia gareggiando in AINBB.

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Come sviluppare i glutei

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Sarà che nella vita ci vuole culo, ma alla fine tutti sono interessati a sviluppare un bel paio di glutei. Sarà che ancestralmente siamo attratti dal muscolo più forte del nostro corpo (in realtà è il massetere), sarà che un buon gluteo è vantaggioso nella corsa e nei salti, ma alla fine quello che conta nella vita è avere culo.

E allora iniziamo a capire come sviluppare i glutei, in modo ottimale.

Un muscolo perennemente corto non si sviluppa

Naturalmente alcune persone sono portate ad avere ottimi glutei senza allenarli, mentre altre per quanto si dedicano allenamento, continuano a mantenerlo piatto. Perché succede, perchè dobbiamo subire questa ingiustizia?

grande gluteo

Questa immagine ci mostra origine ed inserzione del grande gluteo. La parte craniale si articola sul bacino mentre quella caudale sul femore.

Chi ha la zona lombare piatta e l’osso sacro verticale, avrà perennemente il culo piatto. C’è poco da fare, anche se lo allena, otterrà un po’ d’ipertrofia ma il muscolo lavorerà sempre in accorciamento.
Al contrario chi ha l’iperlordosi con un osso sacro inclinato più in orizzontale, avrà i glutei perennemente allungati, pronti a contrarsi in modo ottimale al minimo stimolo.

antiversione retroversione bacino

Se guardate le fitness models su internet, vi accorgerete che non fanno mai un full squat decente, ma mezzi squat al multipower. Eppure sviluppano ottimi glutei anche con esecuzioni degli esercizi raccapriccianti. Questo perchè geneticamente hanno un gluteo predisposto a lavorare.

Un muscolo leggermente allungato si attiva prima ed è più forte, rispetto ad uno accorciato. In fisiologia questo fenomeno viene mostrato nel diagramma forza-lunghezza.

diagramma muscolo

Volete sviluppare i glutei? Partite da un’analisi postulare e nel caso non siate baciati dalla natura, concentratevi più su gli esercizi di mobilizzazione delle anche e del tratto lombare, piuttosto che su gli esercizi contro resistenze. Ovviamente potete fare tutte e due ma finché il bacino rimarrà in retroversione, il culo sarà piatto.

Ecco un’immagine che mostra quali sono i muscoli che portano il bacino in antiversione (da rafforzare) e quelli che invece lo portano in retroversione (da allungare).

muscoli per sviluppare i glutei

Come vedete il bacino è stato diviso in 4 quadranti, due remano a favore dello sviluppo dei glutei, due contro. Se volte allenare gli addominali, fatelo sempre raggiungendo il massimo allungamento, un retto dell’addome accorciato contribuisce ad appiattire il culo…

Scegliete gli esercizi per i glutei giusti

Abbiamo già fatto 4-5 articoli sull’allenamento dei glutei, vi rimandiamo al link per un approfondimento. In sintesi quello che ora ci preme sottolineare è che gli esercizi migliori per sviluppare i glutei sono:

  1. quelli che coinvolgono importanti sovraccarichi (visto che i glutei sono i muscoli più forti, ha senso allenarsi con basso carico ed alte ripetizioni? Un uomo alto due metri lo mettereste a giocare a basket o a fare il fantino?)
  2. quelli che pongono enfasi sul picco di contrazione in allungamento ed in accorciamento.

Vediamo di sviluppare meglio questo secondo punto. Ci sono due esercizi principali per i glutei: lo squat e l’hip thrust.
Nello squat più scendiamo, più il gluteo si allunga sobbarcandosi la maggior parte del lavoro (a patto di non retrovertere il bacino). Squat profondi allenano bene il gluteo, mezzi squat alleano principalmente i quadricipiti.
Il picco di contrazione per i glutei, così nello squat, è in allungamento.

Al contrario nell’hip thrust il gluteo raggiunge il suo picco di contrazione in accorciamento, quando il bacino è parallelo al terreno

Questi due esercizi assieme ad affondi, salite sul gradino (o step alto) e salti, dovrebbero essere la base per sviluppare correttamente i glutei.

Gli stacchi rumeni e a gambe tese possono essere utili ma fanno lavorare molto anche i femorali, pertanto vanno valutati sul soggetto e sulla sua capacità di far lavorare i glutei al posto dei muscoli posteriori della coscia.

Come sviluppare i glutei: conclusioni

L’allenamento del gluteo segue tutte le regole dell’ipertrofia muscolare. Va allenato con buoni carichi per creare uno stimolo meccanico e con carichi medi, per uno stimolo metabolico.

Una frequenza di 2-3 volte a settimana è ottimale per sviluppare il gluteo. Più si alza il volume di questo distretto e più bisognerà sottrarlo agli altri muscoli per non aumentare eccessivamente l’affaticamento organico.

Quello che dovete portavi a casa dall’articolo di oggi è che le sensazioni vanno riconosciute ed interpretate. Il classico esercizio per i glutei a sinistra vi causa bruciore, vi da la sensazione di lavorare, ma la risposta organica del muscolo è debole. La sensazione di bruciore è spesso tendinea e non muscolare. L’esercizio per i glutei a destra invece è faticoso, è tassante a livello generale ma è invece molto efficace perchè rispetta le leggi della fisiologia.

come sviluppare i glutei

Per sviluppare così i glutei bisogna fare quello che serve, imparando a gestire la corretta postura durante l’esecuzione dell’esercizio e soprattutto partendo dal presupposto che: per sviluppare i glutei bisogna farsi il culo.

 

 

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Parte 2: l’alimentazione vegana nello sportivo

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alimentazione vegana sportivo parte 2

di Alberto Rusciano – Member Corpo Vegano
con la supervisione della dott.ssa Sabina Bietolini – Consulente Scientifico Corpo Vegano

Benvenuti nella seconda parte della rubrica del Project dedicata allo sportivo che vuole diventare vegan.

Nella prima parte abbiamo introdotto il concetto di vegan, identificando gli alimenti vegetali che lo sportivo in salute dovrebbe inserire nel proprio piano alimentare e quelli che sarebbe meglio evitasse.
Abbiamo altresì chiarito il concetto, che non sempre “vegan” è sinonimo di salute, avendo distinto il “vegan trash” dal “vegan salutista”.
Infine abbiamo accennato al cosiddetto “periodo di transizione”, ovvero quel lasso di tempo indispensabile per avvicinarsi al vegan in maniera graduale, escludendo di volta in volta degli alimenti di origine animale dalla propria alimentazione.

Nella fattispecie, abbiamo identificato la carne (di qualsiasi tipo: vitello, pollo, tacchino, maiale, prosciutti vari, ecc..) come il primo prodotto animale da eliminare immediatamente.
Uova, latte, pesce e miele invece, sono tra quelli da eliminare gradualmente.

Ma quando è il momento di toglierli definitivamente?

Primo passo: crederci!

Conosco molte persone che vivono il periodo di transizione in maniera davvero stressante per loro stessi e per chi li circonda.
A costoro, vorrei ricordare che diventare vegan è prima di tutto una scelta individuale, oserei dire intima: non c’è mica bisogno che tutto il mondo debba venire a conoscenza che vuoi diventare vegano!

Vegan è un viaggio per una sola persona: tu.

Certo, puoi accettare la compagnia di altri passeggeri, a patto però, che anche loro vogliano fare la tua stessa esperienza.
Evita di cercare a tutti i costi l’approvazione di chi ti sta intorno o, peggio ancora, coinvolgerli nel tuo percorso. Così facendo, ti troverai a vivere il periodo di transizione in maniera stressante e con un’alta percentuale di fallimento.

Non dimenticare che tu stesso sei ancora onnivoro, e dunque non hai nulla da “insegnare” agli altri: perché mai dovrebbero approvare la tua scelta o comunque condividerla?
Per essere credibile, devi prima di tutto dimostrare di aver raggiunto il tuo obiettivo con successo.

Tanto per cominciare, non escludere che la “voglia di carne” non torni ogni tanto a far capolino.
La tentazione potrebbe farsi sentire, ed è normale che ciò possa accadere.
L’importante è non dimenticare perché hai cominciato questo percorso.

Introducendo sempre più spesso alimenti vegetali nelle tue giornate, molto probabilmente inizierai ad apprezzare e riscoprire sapori quasi dimenticati, ritrovandoti addirittura a desiderarli con più frequenza.

Un altro consiglio è quello di non farsi ossessionare dalla voglia di eliminare i derivati animali fin da subito: nella fase iniziale, mangiare un biscotto fatto con uova o gustare cioccolata con tracce di latte non deve preoccuparti.
Hai mangiato animali fino a ieri, non succederà nulla se te ne sbarazzerai gradualmente.

Pian piano, senza nemmeno rendertene conto, i prodotti animali cominceranno a non essere poi così indispensabili.

Secondo passo adeguarsi psicologicamente

Ora, per progredire, è fondamentale che tu comprenda alcuni concetti fondamentali:

  • Le proteine (tanto importanti per lo sportivo) NON sono assolutamente contenute solo nei prodotti animali. Esse fanno parte del regno animale, quanto di quello vegetale.
  • Non è scritto da nessuna parte che “il primo piatto è quello a base di carboidrati e il secondo è quello proteico”.
  • È normalissimo (per alcuni) in questa fase, riscontrare qualche disturbo (un po’ come quando si smette di fumare). L’importante è monitorare tutti i parametri salutistici (che puoi vedere col medico), saranno quelli a mostrare se sei sulla corretta strada.
  • Armati di pazienza: per la maggior parte delle persone non è facilissimo adeguarsi ad uno stile di vita assolutamente nuovo.
  • Fregatene di parenti ed amici che non appoggeranno, o peggio, che derideranno la tua scelta: molti di loro lo fanno semplicemente perché sanno che loro stessi non riuscirebbero mai a fare una cosa del genere.
  • Infine, preparati a conoscere una parte di te che ancora non immagini.

La transizione vegan

transizione alimentazione vegan

Bene, è arrivato il momento di cominciare ad eliminare gradualmente i prodotti animali dalla nostra alimentazione.

Subito dopo la carne, puoi cominciare a togliere  latte e latticini dalla dispensa.
La ricerca scientifica, ha ormai chiaramente dimostrato che il latte non è assolutamente indispensabile per l’essere umano (attenzione: non ho scritto che la scienza ufficiale dichiari che non bisogna usarne, ma solo che non è indispensabile. Sono 2 cose ben diverse).
Se un alimento non è indispensabile, allora vuol dire che può essere tranquillamente eliminato, senza provocare nel contempo alcun tipo di effetto collaterale.
Il latte è stato eletto in passato, l’alimento principe per contenuto di calcio.
La ricerca scientifica ha largamente dimostrato, che il calcio bisognerebbe prima di tutto “non perderlo dalle ossa” piuttosto che pensare solo ad introdurlo mediante gli alimenti.
Se è vero che il latte è ricco di calcio, è anche vero che esistono alimenti vegetali che ne contengono tantissimo oppure ne consentono un altissimo grado di assimilazione: mangiare regolarmente alimenti quali cavolo, porro, ceci, tofu, mandorle, semi di sesamo, ecc.., apporta all’organismo tutto il calcio di cui hai bisogno.
Sarà poi il tuo stile di vita (in primis seguire un’alimentazione corretta e fare sport, ad esempio) a determinare una perdita o meno di calcio dalle tue ossa.
Una volta compreso che puoi togliere il latte senza problemi, potresti però essere ancora legato alla consuetudine di bere latte la mattina a colazione.
In tal caso esistono deliziosi tipi di latte vegetale, che imparerai facilmente ad apprezzare: latte di riso, d’avena, di soia, di quinoa, di farro, di mandorla, di cocco e tanti altri. Altro non sono che la versione “spremuta” di questi alimenti. Attenzione nella scelta: anche qui è facile imbattersi in prodotti “trash” e potresti ritrovarti a bere latte addizionato di zuccheri, sale e dolcificanti. Scegli la versione non addizionata di quelle sostanze che abbassano inevitabilmente la qualità nutrizionale del prodotto.

Una volta eliminato latte e i vari tipi di carne, rimangono: pesce, uova e miele.

Togliere il miele è obiettivamente più facile dato che non è un alimento che per la maggior parte delle persone rappresenta la quotidianità.
È certamente una fonte di zuccheri valida, sia per lo sportivo che per il sedentario, ma sappiamo che fonti di zuccheri ugualmente valide se ne trovano davvero tantissime in natura (le tratteremo certamente nei prossimi paragrafi a venire).
Intanto sappi che se sei abituato ad usare miele, puoi imparare a sostituirlo con malto di riso, di frumento, di grano o d’avena, o semplicemente sciroppo d’agave, hanno tutti una consistenza ed un sapore zuccherino molto simile al miele.

Discorso diverso per pesce e uova.
Dopo anni di “prove su campo” siamo arrivati alla conclusione che sarebbe più corretto eliminarli insieme gradualmente.

Abbiamo chiarito più sopra che quello delle proteine NON è un problema del vegano. Dunque possiamo tranquillamente sostituire le proteine animali (che pian piano stai abbandonando) alle proteine vegetali (che vedremo in seguito, ovviamente).

Eliminando pesce e uova, seppur gradualmente, ci ritroveremo però inevitabilmente a diminuire drasticamente, un’elevata fonte di grassi polinsaturi essenziali (definiti “essenziali” perché non siamo in grado di sintetizzarli da soli e siamo obbligati ad introdurli dall’esterno attraverso la dieta).

OMEGA 3 & OMEGA 6

omega 3 fonti vegan

I cosiddetti Grassi Polinsaturi Essenziali (PUFA) sono l’acido alfalinolenico (ALA) e l’acido linoleico (LA).

L’ALA, una volta assunto con i nutrienti, viene convertito in omega-3, da questo derivano l’EPA (dall’importante effetto antinfiammatorio) e il DHA (importante per gli effetti positivi neurologici e perché componente delle cellule nervose del cervello).

Il LA, invece, viene convertito in omega6: GLA, DGLA e Acido arachidonico.

Fonti di grassi polinsaturi vegetali sono: semi ed olio di lino, noci, cereali germogliati, e (anche se in piccola parte) sono presenti anche in alcune verdure a foglia verde, legumi, nocciole e mandorle.

Una dieta troppo ricca di omega-6, a discapito degli omega3, è riconosciuta essere infiammatoria per l’organismo, con tutto ciò che questa condizione comporta.

I detrattori della dieta vegana asseriscono che l’ALA assunto dai vegetali non produce dosi soddisfacenti di EPA e DHA.
Gli oli derivati da semi sarebbero poi troppo ricchi di omega6 e quindi pro-infiammatori a causa della produzione di certe molecole definite eicosanoidi, attraverso la via dell’acido arachidonico.

Ma ce ne è un’altra di verità scientifica: nell’organismo, omega-6 e omega3 (LA ed ALA) competono per l’utilizzo degli enzimi coinvolti nella loro desaturazione, ciò vuol dire che un’eccessiva assunzione di omega6 può compromettere la formazione degli omega3.

E ciò vale per tutti gli esseri umani, siano essi onnivori o vegani.
Sarebbe quindi indispensabile risolvere prima di tutto, questo problema!

Gli scienziati ritengono che avvicinarsi quanto più possibile ad un rapporto omega-3 e 6 di 1:1, sia la condizione fisiologica ideale per scongiurare processi infiammatori degenerativi.
L’obiettivo, quindi, è quello di cercare di ridurre al minimo l’apporto di omega-6, che in natura è presente in quantità maggiori rispetto agli omega-3.
Da qui la difficoltà oggettiva a raggiungere il rapporto ideale di 1:1 [1]
Il consiglio degli scienziati è quello comunque di non superare il rapporto di 1:6.
Meglio ancora sarebbe raggiungere quello di 1:4 ma anche questo risulta davvero difficile da raggiungere [2].
Ma a questo punto la domanda nasce spontanea: qual è il rapporto omega-3/6 nei soggetti che si alimentano senza prestare particolare attenzione al giusto rapporto tra gli acidi grassi essenziali polinsaturi?
Si stima che tale rapporto nella media della popolazione sia di 1:20 [3]
Un dato preoccupante, dato che è stato dimostrato che uno squilibrio perpetuato nel tempo tra omega-6 e omega-3 può portare a patologie quali: problemi cardiovascolari, ipertensione, diabete mellito di tipo II, artrite, altri disordini immunitari e cancro. [4]

Vista quindi la realtà dei fatti, non ci si stupisca se il problema di uno sbilanciamento di PUFA, coinvolga i vegani quanto gli onnivori, poiché non sembrerebbe affatto un problema legato ad un’alimentazione più o meno vegetale, quanto ad un eccesso di grassi pro-infiammatori (omega-6).
Tanto è vero che di studi che dimostrano livelli di EPA e DHA normali fisiologici, in soggetti vegani ce ne sono parecchi [5].

E allora, qual è la soluzione ideale per risolvere questa situazione?
La prima cosa da fare è migliorare quanto più possibile il rapporto tra omega-6 e omega-3.
Come?

Le indicazioni del mondo scientifico sono:

  • Limitare l’assunzione di grassi saturi e idrogenati (il primo non è un problema certo del vegano, il secondo potrebbe esserlo se si introducono olii vegetali idrogenati (presenti in merendine, margarine idrogenate, crackers, biscotti, torte, pasticcini, prodotti surgelati), ma questi tipi di alimenti non rientrano certamente nell’alimentazione dello sportivo.
  • Limitare al minimo l’uso di olii ricchi in omega-6 (olio di mais, di cartamo, di girasole, di cotone, margarine, olio di soia, olio di noci).
  • Aumentare la quantità di omega-3 nella dieta come l’olio di semi di lino.
  • Dalle ultime ricerche sembrerebbe che esistono alcune microalghe (già in commercio come integratore) che contengono EPA e DHA: si chiamano Schizochytrium e Crypthecodinium cohnii, e arrivano a contenere un quantitativo di DHA anche del 40%.

Non dimentichiamo che gli omega-3 contenuti nei pesci provengono proprio dalle alghe [6]

  • Attenzione al modo in cui assumere i semi di lino: non vanno mangiati interi altrimenti l’assimilazione ne verrà compromessa. Prima di essere ingeriti, vanno macinati e tenuti in un liquido (un latte vegetale va benissimo) in cui possono rilasciare le loro preziose sostanze.
  • Per l’olio di semi di lino, scegliere sempre la versione spremuta a freddo che va conservata in frigo per mantenere integre le qualità nutrizionali.

E la vitamina B12?

vitamina B12

Quello della vitamina b12 (subito dopo le proteine) è tra gli argomenti più in voga nei dibattiti tra vegani e onnivori.
La vitamina b12 viene prodotta da microrganismi presenti nel terreno e nell’intestino degli animali (compreso il nostro).

La sua presenza è garantita anche nei prodotti vegetali, solo che in una forma non assimilabile dal nostro organismo. Chi si illude, dunque, che rimpinzandosi di spirulina risolve il problema, dovrà ricredersi.

I ruoli della vitamina b12 sono importanti per il mantenimento della salute:

  • E’ fondamentale per la formazione di globuli rossi.
  • Lavora in sinergia con l’acido folico nella sintesi di DNA e RNA.
  • Contribuisce alla formazione di globuli bianchi.
  • Interviene nella formazione della guaina mielinica.

La ricerca scientifica riporta il dato che i vegetali cresciuti in terreni dove è praticata una coltura non intensiva, presentano una buona concentrazione di b12.
Riuscire a reperire questi alimenti, e nutrirsene senza prima averli lavati in maniera ossessiva, garantirebbe un adeguato apporto di b12 per l’organismo.

Ci rendiamo conto che però, quanto descritto sopra non può essere una condizione alla portata di tutti.
In tal caso, non ci sarebbe nulla di male ad assumere un valido integratore di B12, che tra l’altro non presenta alcun tipo di effetto collaterale, perlomeno se assunto in dosi fisiologiche, attenendosi ai LARN 2014.

E in tal caso sarebbe auspicabile avere adeguati livelli di B12, perché tale condizione è indispensabile per non rischiare un accumulo di omocisteina.

L’omocisteina è un aminoacido solforato che si forma in seguito a perdita di un gruppo metilico da parte della metionina.
L’aumento dell’omocisteina nel sangue viene oggi considerato un fattore di rischio cardiovascolare.
I ranges di riferimento dell’omocisteina vanno letti in maniera diversa rispetto a come viene consigliato. I range consueti tra 13 e 15 sono assolutamente elevati. Si è visto invece che i valori persino di appena 10, denotano un aumento del doppio del rischio di eventi cardiovascolari problematici.
Ha un ruolo di capacità ossidativa del LDL. Infatti, non è tanto importante il valore del LDL ma piuttosto il suo grado di ossidazione.

Come fare a contrastare un’iperomocisteinemia?

Un buon mix di vitamine del complesso B riesce e a riconvertire l’omocisteina in metionina oppure a trasformarla in cisteina che infine evolve in glutatione che è un fortissimo antiossidante.
Un ruolo predominante in tal senso lo riveste la vitamina B12 (la cui forma attiva è la metilcobalamina) assunta per via sublinguale in maniera tale da essere assorbita dall’organismo.

In realtà, il valore rischia di superare i limiti border line anche con buoni livelli di B12 ematica.
In tal caso, una corretta integrazione con acido folico può aiutare a riportare i valori di omocisteina nel range ottimale.

Per concludere questo breve paragrafo sulla vitamina B12, vorrei porre l’attenzione sul fatto che oggi non è difficile riscontrare valori sotto i range di riferimento, anche in soggetti onnivori.
Ciò accade, perché in realtà il principio che “i nutrienti per essere utilizzati dal nostro organismo, devono essere adeguatamente assorbiti”, vale per tutti: onnivori e vegani.

Fumo, alcool, stress di diverso genere, possono contribuire ad infiammare i villi dell’ileo, situazione questa che comporterebbe una difficoltà nel trasporto al suo interno, della cobalamina e del suo co-trasportatore, poiché questo richiederebbe energia da parte della cellula che invece sarà impegnata ad abbassare lo stato infiammatorio. [7]

E la vitamina D?

Vitamina D3

Per quanto riguarda la “similitudine” tra onnivori e vegani, nel caso della  vitamina D è ancor più evidente.

Anche in questo caso infatti, un calo evidente di questo micronutriente, rappresenta una costante nella maggior parte della popolazione, sia onnivora che vegan.
Il motivo, risiede principalmente nel fatto che l’uomo moderno si espone molto poco alla luce del sole durante la giornata, e ciò comporta un abbassamento inevitabile dei valori ematici di questa vitamina.

Anche in questo caso, è consigliabile assumere un buon integratore di vitamina D3, che riporti i valori almeno sopra la sufficienza, dato che i range di riferimento per uno sportivo devono essere più alti rispetto a quelli del sedentario.
L’integrazione di questa vitamina, diventa infatti indispensabile per lo sportivo che voglia migliorare le proprie performances, poiché la D3 è direttamente collegata, tra l’altro, ad un corretto funzionamento della tiroide e l’assorbimento del calcio (importantissimo quest’ultimo, anche per regolare la contrazione muscolare).

A onor di cronaca, bisogna specificare che la maggior parte della vitamina D in commercio è la D3 di origine animale (colecalciferolo)
Esiste anche la D2 che non è di origine animale (ergocalciferolo), che però ha un grado di assimilazione minore rispetto alla D3. Vale a dire che per assimilare lo stesso dosaggio di D3, si dovranno aumentare le dosi.

In realtà, però, è già da un po’ in commercio una forma di vitamina D3 prodotta da licheni [8]
I licheni derivano dalla simbiosi di funghi ed alghe.
Dato però il costo davvero alto di questa forma di D3 (a causa del grosso lavoro che c’è dietro la sua produzione), si è riusciti recentemente ad estrarre la forma di D3, direttamente da alcuni funghi.
Questa recente scoperta potrebbe abbassare notevolmente il prezzo dell’integratore di vitamina D vegetale.

E il ferro?

ferro alimentazione vegana

Sono ancora in molti a pensare che sia importante mangiare carne rossa per non rischiare di avere il ferro basso nel sangue.
Finchè trattasi di chiacchiere sul web, la cosa può ancora essere giustificata.
Ma se a diffondere questa bufala sono i medici, allora la situazione diventa addirittura imbarazzante.

Ma andiamo per ordine:
Il ferro è un minerale necessario per la sintesi di emoglobina, mioglobina, collagene, fondamentale nei processi di respirazione cellulare e per il metabolismo degli acidi nucleici.

Molti alimenti vegetali, a parità di calorie, contengono più ferro della carne.

Tanto per cominciare il Ferro è presente nei cibi in due forme: forma eme e forma non-eme.
Il Ferro eme è quello assorbito con maggiore facilità e rappresenta il 40% del ferro contenuto in cibi animali.
Il Ferro non-eme invece è quello meno assimilabile che rappresenta il restante 60% del Ferro contenuto nei prodotti animali e il 100% del ferro contenuto in alcuni prodotti vegetali. [9]
La prima cosa che balza all’occhio è che i vegani dovrebbero avere una quantità insufficiente di ferro, poichè essi si nutrono esclusivamente di prodotti che contengono la versione poco assimilabile.

Ebbene, alcuni studi a riguardo [10,11,12] hanno ampiamente dimostrato che il livello di ferro nella maggior parte dei vegani, è assolutamente soddisfacente.
Come è possibile?
Le ragioni sono essenzialmente 2.
1) Molti prodotti di origine vegetale, superano di gran lunga il quantitativo di ferro rispetto a quelli animali.
2) Come è risaputo la Vitamina C, aumenta di molto la capacità di assorbimento di Ferro non-eme da parte dell’organismo.
Il vegano, grazie ad una dieta ricca di vegetali, ha una disponibilità di vitamina C assolutamente superiore all’onnivoro medio. Questa condizione rende il ferro 6 volte più assimilabile. [13]

Tra l’altro, se si presta attenzione al corretto abbinamento di alcuni nutrienti, l’assimilazione del ferro sarà notevolmente maggiore. [14]

SOSTANZE CHE INIBISCONO L’ASSORBIMENTO DEL FERRO:

  • Fitati (contenuti nei legumi e nei cereali)
  • Calcio
  • Polifenoli (contenuti nel te, caffè, tisane, cacao).

SOSTANZE CHE MIGLIORANO L’ASSORBIMENTO DEL FERRO:

  • Riduzione dei livelli di fitati mediante l’ammollo e la germogliazione di cereali, legumi e semi, nonché la lievitazione del pane.
  • Vitamina C
  • Consumare aglio e cipolla con i cereali aumenta l’assimilazione del ferro del 70%. [15]

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Nella terza parte della rubrica, parleremo approfonditamente di un argomento molto scottante:
Come sostituire definitivamente le proteine animali con quelle vegetali senza rischiare di avere un calo della massa muscolare e della performance atletica?

Appuntamento sempre qui, sul Project.

Colgo l’occasione per informarvi che sono in corso le iscrizioni per i Workshop Corpo Vegano dove verranno affrontati tutti i temi inerenti vegan e sport:

  • 11 marzo 2017 a Roma con Maurizio Falasconi
  • 30 aprile 2017 a Napoli con Alberto Rusciano

per info potete contattarci scrivendo a corpovegano@gmail.com

L’articolo è di Alberto Rusciano,  con la supervisione della dott.ssa Sabina Bietolini, PhD, biologa nutrizionista, consulente scientifico Corpo Vegano, docente a contratto Università UNICUSANO, membro SINU, SIPEF, ARTOI e comitato scientifico ASSOVEGAN.

Tra pochi giorni sarà attivo il sito corpovegano.com.

Esiste invece già la pagina facebook Corpo Vegano dove viene fatta informazione scientifica su vegan & sport.

alberto rusciano

Alberto Rusciano: personal trainer, preparatore atletico, fondatore e Member Corpo Vegano®.
Per saperne di più tra pochi giorni sarà attivo il nostro sito: Corpovegano.com.
Invece esiste già la pagina Facebook Corpo Vegano, dove facciamo informazione scientifica su vegan&sport.

Per la bibliografia dell’articolo chiedi direttamente ad Alberto

 

Bibliografia:

  1. Simopoulos A.P. Omega-3 fatty acids in health and disease and in growyh and development. Am J Clin Nutr 1991 Sep;54(3):438-63.
  1. Simopoulos A.P. Omega-3 fatty acids in health and disease and in growyh and development. Am J Clin Nutr 1991 Sep;54(3):438-63.

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  1. Galli C. & Simopoulos A.P. Fatty acids and lipids: biological aspects. World Rev Nutr Diet 1994;75:1-196.

Roshanai F. & Sanders T.A. Assessment of fatty acid intakes in vegans and omnivores. Hum Nutr Appl Nutr 1984 Oct;38(5):345-54.

  1. Siguel E.N. & Lerman R.H. Altered fatty acid metabolism in patiens with angiographically documented coronary artery disease. Metabolism 1994 Aug;43(8):982-93.

De Lorgeril M. et al. Effect of a mediterranean type of diet on the rate of cardiovascular complications in patiens with coronary artery disease. Insights into the cardioprotective effect of certain nutriments. J Am Coll Cardiol 1996 Nov 1;28(5):1103-8.

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Simopoulos P. Essential fatty acids in health and chronic disease. Presentation. The third International Congress on Vegetarians Nutrition, march 1997.

Fischer M. et al. Effects of dietary fish oil supplementation on polymorphonuclear leukocyte infiammatory potential. Infiammation 1986;10:387-92.

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Calorie: perchè contano

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Nell’alimentazione c’è un argomento che fa da padrone: le calorie.
Le discussioni si dividono in due fazioni, chi sostiene che le calorie contano e chi invece dice che sono ininfluenti e sono invece molecole ed ormoni ad essere essenziali nella composizione corporea.
Abbiamo già mostrato che in realtà nell’alimentazione bisogna tener conto di TUTTI i parametri e che le stesse calorie influenzano gli ormoni. Una dieta ipocalorica o ipercalorica ha di per sé un’influenza sulla sensibilità e resistenza insulinica, anche senza variare i macronutrienti.

I detrattori delle calorie di solito portano i seguenti esempi, per mostrare che una caloria non è una caloria.

Perché le calorie non dovrebbero contare

calorie e composizione corporea

Sapete che cos’è l’ADS (la spesa dinamica specifica)? E’ quanto il nostro corpo consuma per digerire ed assimilare i vari macronutrienti. A seconda di cosa mangiamo abbiamo un costo energetico (termogenesi indotta dagli alimenti).

  • Proteine tra il 10-35%  (media di 22,5%).
  • Carboidrati tra il 5-10%  (media di 7,5%).
  • Grassi tra il 2-5% (media di 3,5%).
  • Alcol tra il 10-30% (media di 20%).

Pertanto se mangiamo 100 kcal di proteine alla fine rimarranno 77,5 kcal, se le calorie sono di grassi introduciamo 96,5 kcal, una bella differenza.

Un altro fattore che  sfasa le calorie che pensiamo di assumere è la tolleranza nell’etichetta degli alimenti. Avete mai osservato che a seconda del tipo di marca che acquistate, nell’etichetta calorie e macronutrienti variano. Eppure l’alimento è sempre lo stesso: pasta, yogurt, tonno, ecc.
Perché questo succede? Perché forse la materia prima è leggermente diversa, ma probabilmente perchè a seconda della categoria alimentare, le aziende hanno un margine (una tolleranza) con cui possono indicare i valori nutrizionali.
Alcuni alimenti hanno una tolleranza del 15% vuol dire che se nell’etichetta leggete 100 kcal, potrebbero in realtà essercene 115 come 85 kcal. Anche qui la differenza è rilevante.

Altri fattori che vanno a sfasare il conteggio calorico sono i tempi di cottura, più cuociamo un alimento, più spezziamo i legami chimici e più i nostri enzimi riescono a catturare tutte le calorie. Anche quanto è stato tagliato e quanto mastichiamo un cibo incide sulla nostra capacità enzimatica di scomporlo. Le farine vengono assorbite più facilmente dei chicchi, per esempio.

Insomma esistono veramente tantissimi fattori che ci danno la certezza che le calorie che assumiamo non possono essere quelle, ma hanno un margine d’errore probabilmente rilevante. Quindi le calorie non contano?

Perché le calorie dovrebbero contare

calorie e bomba calorimetrica

Chi dice giustamente che l’uomo non è una macchina calorimetrica, che un acido polinsaturo non equivale ad uno saturo, ecc  dovrebbe tuttavia ricordarsi che viviamo in questo universo e come tutta la materia rispondiamo alle leggi delle termodinamica e come tutti gli essere viventi a quelle della bioenergia. “Queste leggi descrivono come il calore (o energia termica) viene convertito da e per diversi tipi di energia, e l’effetto che questo può avere sulle varie forme di materia.

Tradotto noi quando mangiamo introduciamo dell’energia, questa energia non può sparire nel nulla.
Avete presente quello magro che mangia di continuo alimenti supercalorici? Potrebbe avere problemi d’assorbimento intestinali, disfunzioni delle proteine mitocondriali UCP2-3, in ogni caso non è che il suo stomaco è un buco nero, l’energia che introduce si trasforma sempre seguendo le leggi dell’universo.

Nello stesso modo quello grasso che mangia poco potrebbe soffrire d’insulino resistenza, potrebbe avere gli ormoni tiroidei sotto i piedi, potrebbe limitare al minimo la spesa data dall’attività fisica non sportiva e dalla termoregolazione. Anche per lui le leggi dell’universo continuano ad esistere.

Dire che una caloria è una caloria non vuol dire che tutti dobbiamo dimagrire a 1800kcal e dobbiamo ingrassare a 2500kcal.
Semplicemente ognuno di noi ha un suo equilibrio energetico, quanto sia alto questo equilibrio dipende dallo stato metabolico. Questi due fattori si influenzano a vicenda ed uno non può non tener presente l’altro.

Conclusioni sulle calorie

una caloria è una caloria

Diventare magri è fisiologico. Bisogna impegnarsi ma il 99% della popolazione  può arrivare tra il 12-15% di BF (riferita ai maschi). A seconda del proprio set point (l’omeostasi del grasso) ci sarà chi riuscirà con più facilità o meno, ma con l’impegno è un traguardo che tutti possono e devono ambire.

Chi invece vuole scendere sotto al 10% mantenendo i muscoli e senza usare sostanze illegali, le calorie e/o i macronutrienti li deve contare. Non c’è storia. Alcune persone non hanno idea di quanti macronutrienti stanno assumendo ma sanno che introducono 400g di riso e 600g di petto di pollo, ecc alla fine si basano sul conteggio degli alimenti che fondamentalmente si traduce in un conteggio di macronutrienti e calorie.

Chi conosce altre strade ce le scriva perchè possiamo diventare le persone più ricche del mondo. Pensate di trovare un mix di cibi per dimagrire. Questa scoperta economicamente quanto potrebbe valere?

La realtà è che per ottenere il massimo devi essere disposto ad impegnarti il massimo. Contare le calorie e macronutrienti è palloso, per scendere fino al 12-15% non è necessario, ma se lo si fa è tutto molto più facile.

Anche se le calorie che contiamo non sono esatte, ci danno un riferimento, ci permettono d’avere un quadro della situazione su cui poter lavorare e variare in base ai feedback che riceviamo.

La persona intelligente lo capisce, decide se calcolare le calorie o meno, ma non dice che le calorie nella composizione corporea non contano.

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Serve il fermo al petto nella panca piana?

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Serve il fermo nella panca piana?
La risposta è ovviamente DIPENDE.

Se vuoi allenarti nella forza (magari facendo powerlifting) ovviamente è essenziale (anche se non tutte le ripetizioni per forza devono averlo), se invece vuoi diventare grosso non serve, anzi a dir la verità non serve neanche necessariamente fare la panca piana, ma… (mio zio diceva che tutto quello che viene prima di un ma non conta)…

Ma, nel 21 secolo è bene conoscere più cose possibili, anche quelle che potrebbero non servire direttamente. Quindi analizziamo un attimo come funziona il gran pettorale e vediamo quando e perchè potrebbe servire il fermo nella panca piana.

Gran pettorale e fermo nella panca piana

gran pettorale

Questo muscolo è un antagonista di se stesso. Mentre tutti i fasci (claveari, sternali ed addominali), adducono ed intraruotano, i fasci alti (claverari) portano su il braccio (flettono l’omero), mentre i fasci bassi (addominali) lo estendono quando si trova in una posizione elevata. Tradotto il gran pettorale si attiva sia quando facciamo i DIP, ma anche nelle TRAZIONI.

Nella panca piana il pettorale (tutti i fasci) lavorano di più quando il bilanciere è basso, vicino al petto, mentre quando distendiamo le braccia e chiudiamo la ripetizione è il deltoide anteriore a prevalere.
Questa immagine presa dal sito smartlifting.com mostra molto bene quanto appena espresso:

attivazione pettorale panca pianaQuando vedete qualcuno, anche se grosso, che fa la panca piana e si ferma a metà strada, sta facendo un ottimo esercizio per i deltoidi anteriori. Nella panca l’unico modo per lavorare bene col petto è scendere il più possibile ed allungare questo muscolo.

Quando è utile il fermo al petto nella panca

fermo petto panca piana

Torniamo finalmente al fermo nella panca piana, questa tecnica ha il vantaggio/svantaggio di fermare il bilanciere proprio nella fase di massimo allungamento del pettorale nella panca. Questo è  sicuramente un vantaggio per imparare a lavorare bene col gran pettorale.
Il fermo nella panca piana può essere così utile:

  1. Quando non eseguite le ripetizioni in full rom (complete)
  2. Quando rimbalzate al petto per aiutarvi a ripartire
  3. Quando volete dare uno stimolo differente all’esecuzione della panca

E’ essenziale col fermo non perdere le spalle, altrimenti buttate via tutti i benefici. Per questo tenete sempre un leggero arco ed una posizione sull’attenti del busto.

Alla fine il fermo al petto non è essenziale ma può essere utile. Prima di dire che non serve perchè si è sempre diventati grossi senza (cosa vera), impariamo a farlo, poi scopriremo vantaggi e svantaggi e se e quando utilizzarlo.

Alla fine il fermo è un po’ come una trombamica, è meglio averla che non averla, quando tutte ti hanno dato buca.

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Cosa succede quando il muscolo incontra il grasso?

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Quello che stai per leggere è un articolo tecnico che mostra le interazioni ormonali, metaboliche, genetiche che avvengono nel nostro organismo, tra il tessuto grasso ed il muscolo.  E’ un articolo non da leggere ma da studiare. Nel suo insieme riesce a fare una panoramica sullo stato metabolico del corpo umano.
Buona lettura.

L’obesità è una pandemia!

Epidemia obesi

Articolo della Dott.essa Roberta Martinoli

La prevalenza dell’obesità è arrivata a livelli mai raggiunti prima. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2008 oltre 500 milioni di adulti (pari al 10-14% della popolazione mondiale) erano classificabili come obesi sulla base dell’Indice di Massa Corporea (IMC ³30).

A causare questo trend contribuiscono più fattori contemporaneamente: i determinanti genetici, l’eccessivo introito energetico e la sedentarietà che caratterizzano la vita moderna.

L’obesità è a sua volta alla base dell’aumentata suscettibilità a sviluppare sindrome plurimetabolica, ipertensione, malattie cardiovascolari, diabete mellito di tipo 2 e alcune forme di cancro.

L’obesità, come l’invecchiamento, è una perdita di flessibilità

obesità invecchiamento perdita flessibilità

Così come ogni altra forma vivente, vista la nostra necessità di adattarci alle variazioni dell’ambiente esterno e di quello interno, abbiamo bisogno di essere “flessibili”. La flessibilità è la caratteristica che ci rende dinamici. Se ci pensate bene l’invecchiamento altro non è se non una perdita di flessibilità e di capacità di adattamento, un divenire sempre più statici. Da vecchi mal ci adattiamo ai cambiamenti: il nostro ambiente interno si impoverisce tanto da non riuscire a rispondere alle variazioni che provengono dall’esterno. Il Sistema Immunitario diventa rigido così come il nostro armamentario biochimico perché gli enzimi sono meno efficienti o perché vengono sintetizzati in più piccole quantità. Ovunque ci sono giunture “arrugginite” che cigolano proprio come le nostre articolazioni. Se la vecchiaia è rigidità la giovinezza è flessibilità al massimo grado. E la flessibilità ci consente un equilibrio perfetto tra sistemi di regolazione e sistemi di contro-regolazione (proprio come in una democrazia nella quale esiste un partito al governo e l’altro all’opposizione). Questo equilibrio me lo immagino fatto da tante piccole bilance. Ed eccoci arrivati al punto.

Grasso e muscolo: due braccia della stessa bilancia

Le adipochine prodotte dal tessuto adiposo e le miochine prodotte dal tessuto muscolare sono come le due braccia di una stessa bilancia. Se le prime prevalgono sulle seconde si instaura uno stato infiammatorio cronico di basso grado (Low Grade Chronic Inflammation) responsabile della gran parte delle malattie grasso-correlate!

Ovvio che non è semplice come lo descrivo. Tanto per apprezzare la complessità dell’intero sistema bisogna sapere che le cellule muscolari derivano dagli stessi progenitori da cui derivano gli adipociti bruni mentre non hanno nulla a che fare con gli adipociti bianchi!

Il grasso non è tutto uguale

tipi di grasso

Gli adipociti bianchi sono cellule dalla caratteristica forma sferica il cui volume è occupato per più del 90% da una singola goccia di grasso mentre d’altra parte i mitocondri sono pochissimi. Sono i costituenti principali del tessuto adiposo bianco (WAT, White Adipose Tissue) localizzato a livello sottocutaneo (subcutaneus WAT), a livello intramuscolare (intramuscolar WAT o IMAT) e a livello viscerale (visceral VAT). Scopo principale di questo tessuto è quello di stoccare il surplus energetico sotto forma di trigliceridi in modo da poterne disporre quando dovesse sopraggiungere una “carestia” (ma quando mai).

Se esiste un WAT esiste pure un BAT (Brown Adipocite Tissue). Questo è formato dagli adipociti bruni che non hanno più un’unica grande goccia di grasso ma tante piccole goccioline, non sono più dotati di pochi sparuti mitocondri ma ne posseggono tanti (ragion per cui il loro colore tende al bruno). Scopo del BAT è quello di fare termogenesi. Grazie alla presenza di proteine disaccoppianti (Uncoupling protein, vedi UCP1) a livello della membrana interna dei mitocondri gli adipociti bruni riescono a produrre calore a partire dai loro grassi di riserva.

È interessante notare che l’attività delle UCP è sotto il controllo del sistema simpatico (e ancora una volta, tanto per fare un richiamo a sopra, è da giovani che prevale il tono simpatico, da vecchi diventiamo decisamente più vagotonici) e risente anche di altri fattori quali la presenza di acidi grassi liberi provenienti dalla lipolisi.

Simpaticotonia e lipolisi sono due eventi che si verificano normalmente a seguito dell’attività fisica. Vi è mai capitato di passare un certo periodo della vostra vita in relativa sedentarietà (a me purtroppo sì) e di accorgervi di sentire più freddo? Quando poi riprendete ad allenarvi regolarmente questa sensazione scompare e potete tornare a sfidare anche la più fredda delle tramontane senza alcun timore!

Di certo abbiamo grande bisogno di grasso bruno e della sua capacità di generare calore nei primi mesi dopo la nascita. La massima riserva di grasso bruno si trova tipicamente nella regione interscapolare. Crescendo purtroppo questa sorta di termosifone incorporato tende ad esaurirsi. Il surplus energetico verrà allora più facilmente convertito in grasso di riserva.

Studi recenti hanno identificato in sede vascolare e perivascolare i progenitori degli adipociti bianchi e hanno identificato una serie di markers molecolari specifici di questo tipo di cellule (Zfp423, VE-Cod, PDGFR-beta e PDGFR-alfa). Nessuno di questi markers compare negli adipociti bruni. Al contrario questi presentano una proteomica mitocondriale molto simile a quella delle cellule muscolari. Del resto non è un caso che sia gli adipociti bruni che le cellule muscolari siano in grado di contribuire, ciascuno a suo modo, alla termogenesi.

E infatti, prima della loro differenziazione in cellule mature, i precursori degli adipociti bruni esprimono una serie di geni miogenici, gli stessi che ritroviamo nelle cellule muscolari.

Dunque miociti ed adipociti bruni sono per così dire parenti di primo grado mentre adipociti bruni e adipociti bianchi sono solo parenti alla lontana.

Il Browinig degli adipociti ovvero come trasformare gli adipociti bianchi in bruni

trasformare adipocita bianco bruno

Pensate ai salti di gioia che devono aver fatto i ricercatori quando, ormai più di 5 anni fa, hanno scoperto nei topini la possibilità di indurre un processo di “browning” negli adipociti bianchi a seguito dell’esposizione al freddo e della somministrazione di beta-adrenergici.

A qualche buontempone sarà pure venuto in mente di far dimagrire le persone sottoponendole alle basse temperature magari chiudendole all’interno di una cella termostata oppure facendole immergere in una vasca di acqua gelida (un’idea del genere non ce l’ha avuta neanche il dott. Birkenmaier di fantozziana memoria).

Il browning degli adipociti bianchi è un interessante processo a seguito del quale l’unica grande goccia di grasso si separa a formare tanti piccoli depositi mentre si avvia un processo di genesi mitocondriale. I nuovi mitocondri sono ben forniti di UCP. Ma come quando mescoliamo latte e caffè esce fuori un cappuccino, a seguito di questo processo di browning i nuovi adipociti non saranno né bianchi né bruni bensì beige. Gli scienziati parlano anche a tal proposito di inducibile BAT e lo indicano con la sigla iBAT.

Riuscite ad apprezzare di quanta flessibilità siamo dotati?

A questo punto abbiamo ben chiaro che a partire da un precursore comune si possono generare miociti oppure adipociti bruni mentre occorre un precursore diverso per dare origine ad un adipocita bianco che poi all’occorrenza si può trasformare in adipocita beige.

Mi trasformo in miocita o in adipocita bruno? Che bel dilemma!

Su che base la cellula progenitrice decide di diventare miocita oppure adipocita? PRDM16 (PR Domain Containing 16) è uno degli switch bidirezionali che una volta attivato promuove la differenziazione delle cellule progenitrici in cellule muscolari. Al contrario, se inibito, il PRDM16 blocca la funzione degli adipociti beige e induce la ridistribuzione del grasso bianco dallo spazio sottocutaneo a quello viscerale. Bel capolavoro! Ci possiamo lamentare perché abbiamo le cosce grandi, l’effetto “tendina” sulle braccia, le maniglie dell’amore, la cellulite e il sedere grosso ma il grasso viscerale è il peggior tipo di grasso che si possa avere! È un grasso infiammato e infiammante capace di farci ammalare a causa del grosso carico di molecole segnale che vengono sparse in giro.

Tanti tipi di grasso… altrettanti modi di chiamarlo

I classici depositi di grasso bruno sono

  1. isBAT, BAT interscapolare;
  2. cBAT, BAT cervicale;
  3. paBAT, BAT periartico;
  4. rBAT, BAT renale;

mentre i depositi di grasso bianco comprendono

  1. asWAT, grasso sottocutaneo anteriore;
  2. inWAT, grasso inguinale;
  3. rWAT, grasso retroperitoneale (viscerale);
  4. gWAT, grasso gonadico (viscerale);
  5. mWAT, grasso mesenterico (viscerale);
  6. IMAT, grasso intramuscolare.

Il grasso retroperitoneale, gonadico, mesenterico e intramuscolare è un grasso ectopico. Sta lì ma non ci dovrebbe stare. In particolare con il termine IMAT (IntraMuscolar Adipose Tissue) si indica la presenza di adipociti bianchi a livello dell’interstizio muscolare, condizione che differisce di gran lunga dalla presenza di depositi lipidici all’interno dei miociti. “Adipociti bianchi nell’interstizio muscolare” ad occhio e croce non suona come una cosa buona (a meno che non siate dei maratoneti)!

I muscoli scheletrici, motore del metabolismo

La muscolatura scheletrica rappresenta il 40% del peso corporeo ed è per questo il più esteso organo di cui disponiamo. Proprio in ragione della sua estensione svolge il ruolo di principale regolatore dell’omeostasi energetica.

Così la contrazione delle fasce muscolari stimola l’uptake del glucosio attraverso l’attivazione di una protein chinasi AMP-dipendente o AMPK. L’AMPK promuove infatti la traslocazione del recettore per il glucosio (GLUT4, GLUcose Trasporter type 4) a livello del sarcolemma, la membrana esterna del miocita.

In altri termini la contrazione muscolare, comportando un aumento del dispendio energetico, porta ad un incremento del rapporto AMP/ATP. L’AMPK prende atto del fatto che il livello energetico della cellula è in decremento essendo sensibile alle variazioni dell’AMP/ATP ratio. Ed ecco che arriva una serie di segnali che culminano con la traslocazione dei GLUT4 dalle vescicole citoplasmatiche al sarcolemma. Come gli uccellini nel nido aprono a dismisura il piccolo becco quando hanno fame così le cellule muscolari espongono numerosi i loro GLUT4 quando sono in deficit energetico.

In quanto master regolatore del livello energetico cellulare l’AMPK promuove inoltre la sensibilità all’insulina attraverso meccanismi che coinvolgono l’IL-6 ed altri mediatori.

Muscolo e insulino-resistenza

L’insulino-resistenza è comunemente associata all’obesità e al diabete mellito di tipo 2 e descrive la condizione in cui le cellule sono poco o per niente sensibili all’insulina circolante. Questa condizione si associa normalmente ad iperinsulinemia, iperglicemia e dislipidemia. Dal momento che l’80% dell’uptake del glucosio indotto dall’insulina avviene a livello delle cellule muscolari, l’insulino resistenza dei miociti può essere devastante e può portare ad un circolo vizioso dal quale prendono avvio le malattie cronico-degenerative. La “flessibilità metabolica” (ed ecco che ritorna ancora questo fatto della flessibilità) tipica delle fibrocellule muscolari fa sì che queste possano utilizzare non solo glucosio ma anche acidi grassi e proteine. Durante il digiuno ad esempio l’ossidazione degli acidi grassi (FAO, Fatty Acid Oxidation) copre oltre il 90% del fabbisogno energetico. Un muscolo sano è in grado di ossidare acidi grassi non esterificati (NEFA, Non- Esterified Fatty Acid o FFA, Free Fatty Acids) grazie all’azione della lipoproteinlipasi ormone sensibile (hs-LPL, hormone sensitive Lipoprotein Lipase). Al contrario nei diabetici e negli obesi questi processi sono meno efficaci. Il ridotto catabolismo degli acidi grassi liberi è responsabile dell’accumulo di grasso in sedi ectopiche e della riduzione della massa mitocondriale.
Così come nella filastrocca “C’era una volta un re seduto sul sofà che disse alla sua balia raccontami una storia. La balia incominciò: c’era una volta un re…”, il grasso ectopico è responsabile dell’insulino-resistenza che è responsabile della deposizione di grasso ectopico che è responsabile dell’insulino-resistenza che …

“Organo adiposo” e “organo muscolare”

grasso e muscolo

Così come parliamo di “organo adiposo” riferendoci al grasso corporeo e lo interpretiamo come un organo endocrino capace di produrre specifiche citochine allo stesso modo potremmo parlare di “organo muscolare” sottolineando la capacità dei muscoli scheletrici di produrre miochine che diffondono con modalità autocrina, paracrina ed endocrina esercitando i loro effetti anche a distanza. Tra le miochine le più comuni sono

  1. l’irisina;
  2. la miostatina;
  3. le interleuchine 6, 7, 8 e 15.

L’irisina è stata definita un “exercise hormone”. Una volta secreta la molecola diffonde attraverso il circolo ematico e giunge a livello del tessuto adiposo dove promuove il fenomeno del browning grazie alla mediazione del PPARGC1 (Peroxisome Proliferator-Activared Receptor Gamma Coactivator 1-alfa). A livello del muscolo scheletrico l’irisina induce inoltre la biogenesi mitocondriale: aumentare il numero e l’efficacia dei mitocondri equivale ad aumentare la cilindrata del motore.

La miostatina è nota come GDF8 (Growth/differentiation Factor 8), appartiene alla famiglia del TGF-beta e la sua mancata espressione si traduce in un impressionante incremento delle masse muscolari.

Curioso è il caso dell’IL-6 che quando prodotta dal tessuto muscolare promuove l’ipertrofia e la rigenerazione e quando prodotta dal tessuto adiposo è concausa di insulino-resistenza e di infiammazione sistemica. Dunque l’IL-6 è sia una miochina che un’adipochina. È come quando si ha la doppia cittadinanza e allora se ci si trova in Italia si parla l’italiano ma se siamo in Germania parliamo il tedesco. L’IL-6 quando abita nel tessuto adiposo parla l’inflammese quando si trova nel tessuto muscolare l’anti-inflammese!

Obesità sarcopenica? Di che bestia si tratta?

L’obesità è di solito accompagnata da un aumento della massa muscolare oltre che della massa grassa. Il punto è che la massa grassa aumenta con un passo più celere di quanto non faccia la massa magra tanto che alla fine il rapporto tra muscolo e grasso risulta diminuito(lean muscle to fat ratio). In alcuni casi l’estrema conseguenza di questo processo è l’instaurarsi di un’obesità sarcopenica (NWO, Normal Weight Obesity). Capita allora che mentre il peso è ancora nella norma (IMC nel range tra 18 e 25) la massa magra sia scarsamente rappresentata. Ed è così che la percentuale di grasso corporeo risulta >30% anche in presenza di un basso peso. Tipica è in questo caso la deposizione di grasso nelle zone centrali (grasso viscerale).

Trigliceridi fibrocellulari versus adipociti interstiziali

L’esercizio fisico da moderato ad intenso promuove l’accumulo di FFA all’interno delle fibrocellule muscolari. Questo fenomeno noto come “paradosso dell’atleta” è giustificato, nel muscolo in attività, da un aumentato metabolismo ossidativo a carico dei trigliceridi (che quindi vengono attratti nel miocita come sotto l’azione di un’aspirapolvere). Diverso è invece il fenomeno della deposizione ectopica di grasso nel soggetto sedentario e francamente obeso. In questo caso il grasso presente nell’interstizio tra un miocita e l’altro, non venendo usato per sostenere il lavoro muscolare, si comporta piuttosto come “centro di nucleazione” per l’accumulo di altro grasso. È un po’ come quando uno butta al lato di una strada una busta di spazzatura e dopo qualche giorno intorno a quella busta sorge una discarica abusiva!

E poiché l’unione fa la forza anche quando il fine non è nobile tutti questi adipociti assieme cominciano a produrre adipochine pro-infiammatorie. È come se un teppista (l’adipocita) giunto in un paese straniero (il tessuto muscolare) continui a parlare la propria lingua, raccolga intorno a sé tanti che la pensano allo stesso modo (altri adipociti) e cominci a spargere i propri veleni.

Il tessuto muscolare risente gradatamente di questa anomalia e si indebolisce perché non è in grado di dar seguito ad un’opportuna biogenesi mitocondriale. Addirittura in queste condizioni sarebbe compromessa la capacità di rigenerazione dei miociti per l’effetto delle adipochine sulle cellule satelliti.

Manteniamoci flessibili

Flessibilità metabolica

Se è vero che l’invecchiamento è un processo inevitabile quello che può essere evitato è diventare rigidi prima del tempo. L’obiettivo è invece quello di mantenerci flessibili nel corpo e nella mente e riusciamo a farlo regolando il flusso di informazioni che, provenendo dall’ambiente esterno, pervade ogni singola cellula. Le informazioni migliori sono quelle che prendono avvio dalla giusta quantità e dalla giusta qualità di cibo ed attività fisica.

Quindi le raccomandazioni di:

  • svolgere attività intense, per preservare (e migliorare) il tessuto magro;
  • essere attivi durante la giornata, per mantenere (e migliorare) una buona ossidazione dei grassi
  • alternare il quantitativo calorico nei giorni della settimana, per continuare a stimolare il metabolismo
  • alternare giornate con maggiori carboidrati o grassi, per insegnare al corpo un miglior partizionamento dei macronutrienti verso il muscolo

Sono raccomandazioni di buon senso che portano l’attenzione dell’organismo verso il tessuto muscolare e non quello grasso.

Questo articolo è tratto liberamente dall’entusiastica lettura dell’articolo “Fighting obesity: when muscle meets fat” (Adipocyte 2014)

Articolo della Dott.essa Roberta Martinoli

Note sull’autrice:

Roberta Martinoli

Roberta ha iniziato a studiare nutrizione con la laurea in Scienze Agrarie e non ha più smesso fino alla laurea in Scienze della Nutrizione Umana e poi in Medicina e Chirurgia.
Appassionata di questa materia è convinta che attraverso una sana alimentazione sia possibile fare vera prevenzione. Dell’opera di divulgazione vuole fare una vera e propria missione perché è convinta che solo attraverso la consapevolezza si possa indurre le persone a mangiare bene.”
dott.roberta.martinoli@gmail.com
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L'articolo Cosa succede quando il muscolo incontra il grasso? proviene da Project inVictus.

Alzate laterali in intra o in extrarotazione? Riflessioni pratiche di buon senso

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Le Alzate Laterali sono da sempre considerate un esercizio tanto semplice quanto ricco di dubbi. Infatti, se è pur vero che prendono vita da un banale sollevamento laterale del braccio (abduzione dell’omero), è altrettante vero che, negli anni, più di una variante si è aggiunta nel corteo di esecuzioni proponibili in ambiente fitness e bodybuilding. Oggi rappresentano una delle fonti più prolifiche di discussioni tra professionisti e appassionati, tra chi consiglia di eseguirle associandovi una rotazione interna dell’omero, chi una esterna e chi nessuna rotazione. In questo video-articolo voglio mettere in chiaro quattro punti fondamentali che possano una volta per tutte fare chiarezza intorno a questo esercizio.

Una piccola premessa è bene farla, doverosa se non altro per chi è stato solo sfiorato dall’argomento e ha bisogno di comprendere il contesto nel quale ci stiamo collocando. Come per tutti gli esercizi per i quali nascono discussioni anche in questo caso la questione gravita essenzialmente intorno a due grossi scenari di senso:

  • il reclutamento muscolare, viene consigliata una determinata esecuzione perché vi sono benefici sull’attivazione del muscolo target, nella fattispecie del deltoide mediale;
  • il rischio articolare, viene consigliata una determinata esecuzione perché si limitano i potenziali rischi a cui l’articolazione principale, in questo caso la spalla, è sottoposta.

alzate laterali

Figura 1. A sinistra Alzate Laterali in rotazione neutra, al centro Alzate laterali in intrarotazione parziale, a destra Alzate Laterali in rotazione esterna parziale.

Le due visioni antitetiche appena esposte generano spesso divisioni e incomprensioni che non fanno altro che nuocere all’ambiente. Da una parte abbiamo chi si preoccupa di enfatizzare al massimo il lavoro sul deltoide mediale, dall’altra abbiamo chi si adopera per eludere la dinamica articolare considerata più a rischio durante le Alzate Laterali: l’impingement sub-acromiale (rimando all’articolo per approfondimento). Le esecuzioni così proposte vengono generalmente classificate nel seguente modo:

  • Alzate Laterali in intrarotazione dell’omero (figura 1, al centro). Da sempre consigliate nel body building per via della presunta maggiore attivazione del deltoide mediale, sono considerate la variante che sottopone a un rischio maggiore di impingement per via dell’associazione tra abduzione e intrarotazione dell’omero;
  • Alzate Laterali in extrarotazione dell’omero (figura 1, a destra). Da sempre considerate le più sicure da un punto di vista articolare perché eludono un contatto tra acromion e trochite nella cinetica dell’abduzione, prevenendo fenomeni di impingement;
  • Alzate Laterali in rotazione neutra (figura 1, a sinistra), nelle quali nessuna rotazione viene associata al movimento di abduzione puro eseguito.

I seguenti quattro punti cercheranno di mettere ordine grazie a un approccio alla materia differente. È importante in questi casi, a mio parere, non etichettare gli esercizi (“esercizio sbagliato”, “esercizio giusto”, “esercizio pericoloso”, “il migliore esercizio”), bensì considerarli più o meno adatti a seconda dei contesti nei quali orbitiamo e delle persone a cui sottoponiamo l’esecuzione (soggetto inattivo, sedentario, posturalmente alterato, body builder, semplice amatore, ecc. ecc.).

Punto uno: Alzate Laterali rotazioni e rischio impingement

Clinica ortopedica-riabilitativa, letteratura scientifica, analisi del movimento e casistica infortuni sportivi sembrano essere concordi nel ritenere l’abduzione in intrarotazione dell’omero la combinazione di movimenti che aumenta di più il rischio di impingement sub-acromiale (per chi fosse interessato alla folta bibliografia mi contatti direttamente). Anche l’extrarotazione completa è sconsigliabile, mentre l’extrarotazione parziale è senza dubbio la scelta migliore parlando di salute articolare a lungo termine (figura 2).

Rotazione dell'omero

Figura 2. Abduzione e rotazioni associate. In alto a sinistra abd+intrarotazione. A destra in alto abd+extrarotazione completa. In basso abd+extrarotazione  parziale.

Punto due: Alzate Laterali intrarotazione dell’omero o pronazione dell’avambraccio?

Le Alzate Laterali in intrarotazione con annessa l’indicazione “svuota l’acqua”, proposte dalla old school del bodybuilding, sono spesso eseguite inconsapevolmente in rotazione neutra dell’omero (o intrarotazione solo parziale) e pronazione completa dell’avambraccio (figura 3 in alto). La pronazione non alza il rischio impingement di per sé, ma lo alza indirizzando l’omero nella direzione dell’intrarotazione (“si prona con la spalla”, Kapandji docet). Tuttavia, se il risultato finale è un’Alzata Laterale in rotazione neutra (guardate la piega cubitale) e avambraccio pronato allora il rischio impingement scende decisamente e il muscolo maggiormente attivo sarà il deltoide mediale. Diverso è il discorso se si eseguono volontariamente Alzate Laterali in completa intrarotazione dell’omero stile Jobe’s test: appare questa una follia in piena regola (figura 3 in basso).

alzate laterali intrarotazione

Figura 3. In alto, Alzate laterali in rotazione neutra e pronazione dell’avambraccio. In basso, Alzate Laterali in intrarotazione.

Punto tre: Alzate Laterali reclutamento muscolare e contesto di allenamento

Le Alzate Laterali in extrarotazione parziale dell’omero sono le più sicure ma spostano il lavoro muscolare dal deltoide mediale a quello anteriore (figura 4 in alto a sinistra). Se allenate persone comuni e senza mire agonistiche queste dinamiche di reclutamento muscolare risultano poco rilevanti e interessanti fino a un certo punto. La stragrande maggioranza di queste persone otterrà comunque risultati e lo farà in sicurezza. Se allenate body builder (o aspiranti tali) invece, sarà meglio optare per un’esecuzione in rotazione neutra dell’omero fino a 90° di abduzione per essere sicuri di ottenere un’attivazione selettiva del deltoide mediale (figura 4 in basso). In questi soggetti i dettagli muscolari potrebbero fare la differenza (figura 4).

alzate laterali deltoide

Figura 4. Alzate Laterali e reclutamento muscolare.

Punto quattro: Alzate Laterali reale rischio o terrorismo?

Un ultimo monito. Le Alzate Laterali sono un esercizio che facilmente si presta al terrorismo da impingement. È ormai assodato che l’esecuzione in extrarotazione parziale è quella in assoluto più fisiologica e sicura, tanto è vero che è anche quella che eseguiamo senza pensarci ogni giorno nella vita quotidiana e che si eseguo nei protocolli riabilitativi. Tuttavia ricordate che questo è un esercizio a leva lunga che non permette di sollevare carichi elevati e ciò, vista l’elevata rilevanza che ha il carico nella genesi delle lesioni alla spalla, potrebbe ridimensionare le paure associate all’esecuzione delle sue varianti “spauracchio”, specie se non vanno oltre i 70-80° di abduzione. Ricordate che si parla sempre di fattori di rischio e che è molto più semplice farsi male con esecuzioni scorrette alla Panca e al Lento Avanti (grazie a dinamiche che comprendono il corretto movimento scapolare).

Concludendo, possiamo dire con sufficiente certezza che:

  • la spalla mal digerisce rotazioni estremizzate associate all’abduzione. Meglio evitare dunque di intraruotare o extraruotare l’omero in maniera eccessiva con la speranza di ottenere miglioramenti determinanti nel reclutamento del deltoide;
  • in soggetti sedentari, inattivi da anni, con un male allineamento del cingolo scapolare e senza mire agonistiche mi sento di consigliare l‘esecuzione in rotazione esterna parziale dell’omero, quella utilizzata anche in riabilitazione (figura 1 al centro);
  • in soggetti giovani aspiranti body builder e bene allineati può essere tranquillamente consigliata un’esecuzione in rotazione neutra che attiva in maniera maggiore il deltoide mediale (figura 1 a destra). È importante divenire finalmente consapevoli che la classica esecuzione “svuota la brocca d’acqua” non è un’abduzione in rotazione interna bensì un’abduzione in posizione neutra con associata una ininfluente pronazione dell’avambraccio;
  • tra i tanti esercizi potenzialmente rischiosi per la spalla (Panca piana e Lento Avanti su tutti), le Alzate Laterali non ricoprono un ruolo da protagonista visti i carichi potenzialmente sollevabili. In tal senso l’unica esecuzione davvero sconsigliata in maniera tassativa è quella in intrarotazione dell’omero fino a 90° di abduzione (movimento che ricorda il Jobe’s test; figura 1 a sinistra), tenendo sempre a mente che in palestra tali movimenti risultano pericolosi non tanto nell’immediato durante l’esecuzione stessa, quanto nel lungo periodo con l’usura articolare e lo stress lesivo perpetrato nel tempo.

Articolo del Dr Andrea Roncari (Fisioterapista e laureato in Scienze Motorie)
Lavora a Milano e provincia

 

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Pettorale interno: esiste e quali esercizi?

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Capita spesso, in palestra, sentire dei ragazzi che chiedono quali esercizi fare per il pettorale interno.
Ora dobbiamo semplicemente distinguere quelle che sono le sensazioni da quella che è la realtà anatomica.
Scopriamo assieme se veramente esiste il pettorale interno.

Pettorale interno: anatomia.

Contraendo il petto ed adducendo l’omero possiamo vedere il pettorale gonfiarsi, soprattutto nella parte interna. Questo avviene perchè l’omero contro il busto sposta la massa del pettorale verso l’interno aumentando il senso di pienezza. Semplicemente la stessa massa estesa ora si trova compressa medialmente ed aumenta il suo spessore.

Gran pettorale adduzione

Anatomicamente non esiste il pettorale interno o il pettorale esterno. I fasci di fibre sono collocato orizzontalmente non verticalmente, altrimenti collegherebbero le coste tra loro e non lo sterno con l’omero.
Il pettorale si divide tra:

  • fasci claverari
  • fasci sternali
  • fasci addominali

pettorale interno

Esercizi pettorale interno

Esistono alcuni esercizi che portano maggiori afferenze e sensazioni verso il “pettorale interno”. Sono tutti quelli esercizi dove il picco di tensione avviene in chiusura, come nelle croci ai cavi.

Qui la massima tensione l’abbiamo in accorciamento, quando l’omero è addotto medialmente. Per questo si sente molto il petto interno.

Al contrario negli esercizi dove, per via della leva muscolare il picco di tensione è in apertura, la sensazione è completamente differente, questo è il caso della panca piana o delle spinte con manubri.

Pettorale interno: conclusioni

In palestra dobbiamo saper distinguere quelle che sono le nostre sensazioni, dalla fisiologia ed anatomia.
Mentre le metodiche d’allenamento (metodo Hatfield, PHAT, ecc) sono argomento tutt’oggi di discussione, la biomeccanica e l’anatomia hanno ancora pochi segreti da scoprire, ma tra questi non c’è il pettorale interno ed esterno.

Se prendo un bastone e te lo do sul petto interno, lo senti, ma non per questo ti cresce di più…

Credere ancora oggi che alleni il petto interno, vuol dire decidere di rimanere ignoranti.

 

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E’ in vendita Project Exercise

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project exercise Vol.1

Finalmente è partita anche questa avventura, Project Exercise è in vendita. Si tratta di una collana in due volumi:

  • Vol.1 arto superiore (tutti gli esercizi che coinvolgono la spalla ed il gomito)
  • Vol.2 tronco ed arto inferiore (in pubblicazione nel 2018)

Project Exercise è un manuale di biomeccanica applicata agli esercizi in palestra. Parte dalla teoria della fisiologia articolare per arrivare a come svolgere gli esercizi in sala pesi.

Un libro indispensabile per tutti i professionisti del settore, laureati e laureandi ma anche per gli appassionati che non vogliono rimanere indietro.

Per scoprirne di più vi rimandiamo alla landing page di Project Exercise, perchè solo chi conosce sceglie, altrimenti crede di scegliere.

SCOPRI PROJECT EXERCISE

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Extrarotatori: muscoli, esercizi ed altro ancora

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Le Extrarotazioni dell’omero sono l’esercizio principe utilizzato in palestra (e non solo) per il rinforzo della cuffia dei rotatori e in particolare dei 3 muscoli extrarotatori: piccolo rotondo, sottospinato e sovraspinato. In ambiente fitness e bodybuilding, la conoscenza basata solo sul “si dice” riguardo il fondamentale ruolo della cuffia dei rotatori (figura 1) sulla biomeccanica scapolo-omerale, rende le Extrarotazioni un esercizio alquanto abusato e considerato troppo superficialmente come la panacea per la spalla.

muscoli extrarotatoriFigura 1. La cuffia dei rotatori e i muscoli che la compongono.

Non di rado capita di osservare appassionati di lunga data o neofiti dediti al “fai da te” eseguirle nella speranza di veder scomparire, come per magia, i dolori alla spalla procuratisi grazie ad allenamenti mal dosati o a esecuzioni poco scientifiche. Vediamo di chiarire ogni singola questione riguardante questo esercizio (tanto semplice quanto poco conosciuto) grazie a una serie di video- articoli dedicati.

Modalità esecutive ed errori da non fare negli esercizi per gli extrarotatori

In palestra generalmente si osservano solo Extrarotazioni dell’omero in due diverse modalità:

1. a gomito flesso a 90° e braccio fermo lungo il corpo (figura 2);
2. a gomito flesso a 90° e braccio fisso abdotto a 90° (figura 3).

extrarotzioni eserciziFigura 2. Extrarotazioni dell’omero con elastico in piedi.

extrarotatoriFigura 3. Extrarotazioni con manubri in piedi con gomito flesso e omero abdotto a 90°.

Un iniziale disorientamento si nota già parlando del sovraccarico utilizzato in queste esecuzioni. Non di rado si osservano persone eseguire Extrarotazioni in modalità 1 con manubri in piedi (figura 4). Ecco, una tale esecuzione, se l’obiettivo è il rinforzo della cuffia dei rotatori, appare sconsigliata. Se extraruotiamo l’omero in questo modo con un manubrio in mano, stiamo allenando più il bicipite che altro.

esercizi extrarotatori spallaFigura 4. Extrarotazioni con manubri in piedi. Questa modalità di esecuzione è sconsigliata perché attiva gli extrarotatori in scarico di gravità diminuendo lo stimolo allenante.

Il momento generato dalla gravità è estensorio al gomito e non rotatorio alla spalla. Si attiveranno sicuramente anche gli extrarotatori, ma in scarico di gravità. Sarà cosa buona e giusta invece sdraiarsi sul fianco (figura 5) se vogliamo continuare a utilizzare un manubrio oppure utilizzare carrucole ed elastici rimanendo in piedi.

extrarotatori sdraiatoFigura 5. La modalità consigliata per eseguire le extrarotazioni con manubrio e braccio lungo il fianco è quella in decubito laterale che allena gli extrarotatori contro gravità.

Entrambe le modalità esecutive lasciano ampio spazio a compensi ed errori. La prima molto spesso palesa un compenso in adduzione della scapola: la persona extraruota mantenendo fermo il gomito ma gran parte del range è garantito da un’adduzione di scapola piuttosto che da una reale extrarotazione, specie in soggetti poco mobili e con dominanza dei romboidi (figura 6 a sinistra).

adduzione scapola extrarotatoriFigura 6. A sinistra compenso in adduzione di scapola da evitare durante le extrarotazioni con elastico. A destra esecuzione corretta con scapola ferma e movimento di extrarotazione dell’omero puro intorno al suo asse.

Questo non deve accadere. Imparate a controllare la scapola e a fissarla durante l’esercizio. L’escursione raggiunta dovrà essere solo ed esclusivamente a opera dell’extrarotazione dell’omero anche a costo di ridurla al minimo (figura 6 a destra).

La seconda modalità prevede di mantenere l’omero a 90° di abduzione mentre avviene l’extrarotazione. Tenete conto che alcuni soggetti non saranno in grado di tenere questa posizione o per il dolore o per l’affaticamento muscolare (figura 7).

esercizi extrarotatori erroriFigura 7. Esecuzione scorretta delle extrarotazioni con manubrio con l’omero che perde il corretto allineamento.

Entrambe queste complicanze impediranno di mantenere il braccio fermo, il quale subirà facilmente spostamenti che faranno perdere l’adeguato allineamento alla testa dell’omero. Ricordo che per far lavorare correttamente i muscoli extrarotatori della cuffia è necessario mantenere ben centrata la testa dell’omero nella glena durante tutto l’arco di movimento (figura 8 a sinistra), pena il reclutamento di muscoli più lontani dall’articolazione e meno funzionali a tale scopo. È un errore comune in tal senso staccare il gomito dal tronco durante l’esecuzione con braccio lungo il fianco (figura 8 a destra).

errori esercizi extrarotatoriFigura 8. A sinistra esecuzione corretta delle Extrarotazioni in piedi con l’omero allineato. A destra esecuzione scorretta delle extrarotazioni con elastico con il gomito che si stacca dal fianco.

La seconda modalità permette sì un’escursione maggiore di movimento (l’abduzione detende il legamento coraco-omerale) ma richiede anche un impegno muscolare maggiore non alla portata di tutti e che può generare dolore in soggetti già sintomatici.

Figura 8. A sinistra esecuzione corretta delle Extrarotazioni in piedi con l’omero allineato. A destra esecuzione scorretta delle extrarotazioni con elastico con il gomito che si stacca dal fianco.

Extrarotatori: conclusioni di buon senso in palestra

Una volta analizzate le modalità esecutive e gli errori più frequenti giungiamo a delle conclusioni: per quale modalità optare? Se si decide di proporre o eseguire questi esercizi (nei prossimi video-articoli vedremo se e quando sarà utile farlo) tendenzialmente l’esecuzione con il braccio lungo il fianco è quella da preferire perché aiuta a controllare meglio l’omero e a mantenerne centrata la sua testa anche quando affaticati (ricordate di non muovere la scapola). Se optate per questa modalità utilizzate cavi ed elastici in piedi e un manubrio sul fianco per lavorare sempre contro gravità (figura 9 a sinistra).

Differenze esercizi extrarotatoriFigura 9. A sinistra esecuzione corretta delle Extrarotazioni con l’omero lungo il fianco in piedi. A destra esecuzione corretta delle Extrarotazioni con l’omero abdotto a 90° in piedi.

La seconda modalità appare migliore in quei soggetti molto allenati e con un ottimo schema corporeo, i quali potranno sfruttare l’escursione maggiore mantenendo fisso l’omero a 90° di abduzione (figura 9 a destra). Manubri, elastici, cavi, utilizzate quello che volete purché eseguiate l’esercizio correttamente, diate uno stimolo adeguato e soprattutto lavoriate contro gravità.

Continua con la seconda parte…

Scopri Project Exercise Vol.1

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