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Frequenza dei pasti: tra realtà e falsi miti

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Uno dei falsi miti più duri a morire nel mondo della nutrizione, soprattutto quella sportiva, riguarda la frequenza dei pasti (Meal frequency) ed in particolar modo la convinzione che esisterebbe un certo vantaggio (aumento del metabolismo) nel mangiare più volte al giorno con pasti piccoli e frequenti rispetto che nell’assumere le stesse calorie in pochi pasti ma più abbondanti.

Non saltare la colazione, mangiare ogni 2-3 ore, fare 6 pasti al giorno…sono tutti consigli che almeno una volta nella vita in molti hanno ascoltato e seguito alla lettera.

Si pensa che mangiare più volte al giorno possa portare ad incrementare il metabolismo, incentivare la perdita di massa grassa, ridurre la fame (e controllare l’appetito) e migliorare il controllo di insulina e glucosio [1]. In letteratura è stato coniato il termine “stocking the metabolic fire” quando negli anni ’60 – attraverso una serie di studi – era emerso come effettivamente le persone che mangiavano più volte al giorno tendevano anche a perdere più facilmente peso [2][3][4]. Ma quanto c’è di vero in tutto ciò? Esiste davvero tutta questa differenza a livello metabolico e salutare nel fare pasti più frequenti?

Lo scopo di questo articolo è di fare chiarezza sull’argomento utilizzando buona parte della letteratura scientifica in merito messa a disposizione negli ultimi decenni.

Frequenza dei pasti

Saltare la colazione fa ingrassare?

Uno dei consigli cardine di quasi ogni dieta e delle varie linee guida nutrizionali è di non saltare mai la colazione. La colazione è da molto tempo ormai considerato il pasto più importante della giornata, questo soprattutto perché esistono in letteratura associazioni che mostrano come gli individui che saltano la colazione hanno anche un alto IMC ed un aumento dei rischi di diabete 2 e di CAD. Inoltre secondo diversi studi osservazionali sembrerebbe esistere una certa correlazione tra il consumo di un pasto al mattino e la perdita di peso e il miglioramento della composizione corporea. Secondo tali studi la colazione potrebbe avere effetti positivi nel migliorare il controllo della fame durante il corso della giornata, avere più energie a disposizione e fornire un quadro metabolico migliore. [5][6][7]

Come sappiamo però gli studi osservazionali non implicano la presenza di una relazione causa-effetto. Molti di questi studi non tengono conto del fatto che le persone che tendono a fare una colazione ricca e sostanziosa sono anche quelle più meticolose nel controllare il proprio apporto calorico. Pare infatti che queste siano più abituate a consumare frutta, verdura ed alimenti ricchi di fibre. [8] Le persone che saltano la colazione solitamente, non monitorando le calorie che assumono durante la giornata, tendono spesso a mangiare di più e/o male e di conseguenza ad ingrassare. La maggior parte degli studi osservazionali si scontra spesso su questo tipo di fallacia.

Dobbiamo anche tener conto del fatto che molti di coloro che saltano la colazione lo fanno con lo scopo di dimagrire ritrovandosi comunque già in una condizione di sovrappeso.

In uno dei pochi studi randomizzati che affronta l’argomento condotto nel 2014 da Dhurandhar et al [9] erano stati comparati gli effetti sulla composizione corporea tra chi saltava la colazione e chi invece consumava un pasto al mattino su un totale di 283 soggetti tra obesi e sovrappeso.

Nell’arco delle 16 settimane non è stata riscontrata alcuna differenza nella perdita di massa grassa tra i due gruppi.

Non sembrerebbe quindi esistere una posizione univoca riguardo l’importanza della colazione nella letteratura e la scelta potrebbe semplicemente basarsi sulle preferenze personali. Fare o non fare la colazione è semplicemente questione di abitudine e stile di vita alimentare. E’ sempre l’introito calorico giornaliero/settimanale a far da padrone.

Al di là degli studi scientifici basterebbe osservare semplicemente cosa succede nel mondo animale dove nessuno si chiede né si preoccupa di cosa o se mangiare la mattina, soltanto l’uomo lo fa e nemmeno da molti decenni a questa parte; da quando cioè l’obesità e le malattie che ne conseguono sono in aumento. [10] Siamo sicuri che il problema sia davvero la colazione?

Metabolismo

Vi è l’idea che aumentare il numero dei pasti porterebbe ad incrementare il metabolismo ed incentivare così la perdita di massa grassa. [11] In particolare si è più volte pensato che stare troppe ore senza consumare un pasto potesse causare un rallentamento del metabolismo e portare in una condizione che in letteratura viene definita come “starvation mode”, una condizione metabolica che – a causa di uno scarso apporto di cibo- comporta una riduzione del metabolismo e di conseguenza ad un blocco della perdita di peso. Quest’idea è però completamente infondata.

In realtà pochi studi nel passato avevano appoggiato tali teorie. Tra questi uno studio condotto sugli animali aveva infatti mostrato che i cani che mangiavano 4 pasti al giorno presentavano una risposta alla termogenesi maggiore rispetto ai cani che consumavano un solo pasto al dì [12] In un altro studio lo stesso gruppo di ricercatori era riuscito a dimostrare lo stesso effetto però questa volta sugli uomini [13]. Gli stessi erano arrivati alla conclusione che questo fosse dovuto ad un aumento della stimolazione del sistema nervoso simpatico. Numerosi altri studi invece non hanno trovato differenze significative in questo senso. [14][15][16]

Il fatto che negli animali si siano riscontrati certi risultati non dovrebbe però stupire. Gli animali infatti – soprattutto quelli più piccoli – hanno una durata di vita media molto inferiore rispetto agli uomini e stare già alcune ore senza mangiare potrebbe equivalere ad una intera giornata e più di digiuno per l’uomo.

Gli aumenti della termogenesi dovuti alla frequenza dei pasti sono spesso correlati al TEF (termic effect of food) o effetto termico indotto dal cibo (chiamata anche DIT da dietary induced thermogenesis). Il TEF rappresenta una piccola parte dell’energia consumata dal corpo durante la giornata. Per l’esattezza si tratta della quantità di energia consumata dopo un pasto. Essa rappresenta in pratica la quantità di energia che viene utilizzata dal corpo per digerire ed assorbire i macronutrienti.

Il TEF differisce a secondo del tipo di macronutriente digerito: il consumo di energia per la digestione dei carboidrati è pari infatti al 5-10%, quello delle proteine arriva fino al 20-30% circa mentre per i grassi si aggira intorno allo 0-3%. [17] In generale l’effetto termico indotto dal cibo con un pasto misto si stima abbia un valore pari al 10% circa del metabolismo. Ciò vuol dire che ogni volta che si consuma un pasto viene bruciato il 10% circa delle calorie contenute al suo interno.

In una meta-analisi condotta da Bellisle nel lontano 1997 non era stata però trovata alcuna correlazione tra la frequenza dei pasti e l’aumento della spesa energetica del corpo. Questa risulta essere uguale indistintamente dal numero dei pasti che si sceglie di consumare durante la giornata. Infatti più ricco è il pasto maggiore è anche il TEF [11] .

Per fare un esempio pratico quando con una dieta di 1800 kcal consumiamo sei pasti al giorno di 300 kcal ciascuno il valore del TEF per ogni pasto è pari a 30 mentre il TEF totale durante la giornata avrà un valore pari a 180. Se consumiamo la stessa quantità di calorie però in tre pasti da 600 kcal ciascuno in questo caso il TEF per ogni pasto sarà di 60 mentre quello totale sarà sempre di 180 [18].

 

Effetti sulla composizione corporea

E’ stato più volte ipotizzato che l’aumento della frequenza dei pasti possa essere direttamente collegato con la perdita della massa grassa e che possa anche favorire il mantenimento della massa muscolare (ideale quindi nelle diete per dimagrire). Esistono infatti diversi studi osservazionali che indicano una correlazione inversa tra frequenza dei pasti e la percentuale di tessuto adiposo [2][3][4]

In uno studio di Iwao et al [19] condotto su dei pugili era emerso che gli atleti che consumavano sei pasti al giorno perdevano meno massa magra e presentavano livelli molecolari di catabolismo muscolare inferiori rispetto agli atleti che ne consumavano solo due. Lo stesso studio però presenta alcune lacune e limitazioni come mostrato anche da diversi altri ricercatori: innanzitutto la durata della ricerca che è di poche settimane, poi il numero esiguo di soggetti presi in esame e infine il tipo di dieta ipocalorica ed ipoproteica che venne somministrata agli atleti di appena 1200 kcal e 60 g di proteine. Uno dei pochi casi in cui la frequenza dei pasti può risultare rilevante è quando la quantità di proteine consumate durante la giornata è insufficiente. In questo caso dividere le proteine in più pasti sembra permettere di risparmiare più massa magra. [20]

In un altro studio di Benardot [21] condotto su atleti erano stati comparati gli effetti del consumo di tre piccoli spuntini aggiuntivi di 250 kcal rispetto ad un gruppo placebo che aveva consumato spuntini non calorici. Il primo gruppo mostrava incrementi della performance anaerobica ed una migliore ritenzione di massa magra. Ovviamente però è impossibile stabilire se tali benefici siano dovuti alla frequenza dei pasti o all’aumento delle calorie.

Un recente studio di Arciero et al. [22] aveva mostrato che il consumo di 6 pasti al giorno in una dieta ad alto contenuto proteico (35% delle calorie totali) era superiore ad una dieta di tre pasti al giorno con un consumo di proteine alto o moderato (15% delle calorie totali) per quanto riguarda la composizione corporea. Anche qui però possiamo trovare diverse limitazioni quale ad esempio il tipo di soggetti presi in esami ovvero donne in sovrappeso che non svolgevano alcun tipo di allenamento, né aerobico né soprattutto di contro resistenza. Alcuni autori come Schoenfeld hanno mostrano poi alcuni dubbi sulla validità delle misurazioni prese in tale studio.

Una ricerca invece aveva mostrato addirittura un miglioramento nella composizione corporea con una maggior perdita di massa corporea e massa grassa e un miglioramento della massa magra nei soggetti che consumavano un unico pasto al giorno rispetto a chi ne consumava tre [23]; non si sa bene il motivo di tale risultato anche se si presume sia dovuto per effetto del partizionamento calorico. [24]

Nella prima meta-analisi in assoluto condotta sulla correlazione tra frequenza dei pasti e composizione corporea da parte dei ricercatori Schoenfeld, Aragon e Krieger [25] era emerso in una prima analisi un piccolo vantaggio nel consumare più pasti al giorno. Rimuovendo poi alcuni studi come quelli di Arciero e Iwao, che come già abbiamo visto presentano diverse limitazioni, è emerso invece che non sembra esserci alcuna differenza tra chi consuma più o meno pasti al giorno.

Da tener conto però che la meta-analisi ha raccolto una serie di studi esclusivamente su soggetti sedentari. E’ stato diverse volte ipotizzato – anche attraverso alcuni riferimenti scientifici – che dopo un allenamento i muscoli sono più recettivi al consumo di proteine mostrando quindi un possibile maggior vantaggio nell’aumentare la frequenza dei pasti nell’incremento della massa muscolare nelle 24 ore successive l’allenamento.

Resta comunque consigliato per gli atleti di consumare circa 3-4 pasti al giorno per massimizzare i guadagni ipertrofici soprattutto con pasti proteici (almeno 20 g di proteine a pasto). Gli effetti anabolici di un pasto durano infatti circa 6 ore [26] e sono dovuti soprattutto all’effetto dell’aminoacido leucina (nella scienza dell’esercizio fisico è stato introdotto il concetto di leucine threshold). 20-30 g di proteine contengono circa 2-3 g di leucina che è stato dimostrato essere la quota ottimale per massimizzare la sintesi proteica, eccetto in soggetti anziani dove la soglia aumenta fino a 35-40 g di proteine (3-4 g di leucina). [27]

Infrequenza e frequenza dei pasti

Mentre quindi come abbiamo visto nei paragrafi precedenti non sembra esserci molta differenza nella scelta del numero dei pasti, pare invece che una infrequenza di questi nel corso della settimana possa portare a degli squilibri metabolici soprattutto sul metabolismo glucidico e lipidico. In particolare in alcuni studi condotti su delle donne è stato dimostrato che quando non si tiene costantemente una frequenza regolare dei pasti avviene un peggioramento della sensibilità all’insulina [28], con un aumento dell’insulino resistenza e una riduzione dell’effetto termico del cibo (TEF) [29] con tutti gli effetti negativi sulla composizione corporea e sul quadro metabolico che ne conseguono (aumento del colesterolo totale e LDL in particolare).

Al di là della scelta del numero dei pasti che risulta quasi del tutto ininfluente ai fini dei nostri risultati, è preferibile e raccomandabile quindi mantenere costantemente più o meno lo stesso numero dei pasti durante il corso della settimana per evitare possibili effetti negativi sulla salute.

Fame e sazietà

Riguardo la questione in merito all’appetito e al senso di sazietà in letteratura non c’è purtroppo una posizione univoca.

Alcuni studi hanno mostrato che quando le stesse quantità di calorie vengono consumate in piccoli pasti durante il corso della giornata si riesce ad avere un maggior controllo dell’appetito correlando tale risultato probabilmente ad una attenuazione della risposta all’insulina. [30][31]

Altri studi invece hanno mostrato proprio l’esatto contrario, rivelando che l’aumento della frequenza dei pasti potrebbe causare un aumento della fame e del desiderio di mangiare. [32][33][1]

Proprio per il fatto che le posizioni non sono univoche e non esiste una soluzione che vada bene per tutti sarebbe consigliato semplicemente mangiare quando si ha fame in base anche alle proprie necessità e allo stile di vita.

Se abbiamo problemi a controllare il nostro appetito possiamo comunque ricorrere all’ormai noto “digiuno intermittente”.

Uno dei vantaggi del digiuno intermittente è quello di riuscire ad aiutare a controllare la fame e ad essere sazi. Per comprendere meglio come questo possa agire dobbiamo iniziare a distinguere la fame limbica (ovvero quella proveniente dalla testa) da quella somatica (proveniente dallo stomaco). La prima si presenta quando abbiamo di fronte del cibo o anche quando semplicemente pensiamo ad esso. Si presenta anche a stomaco pieno e soprattutto quando siamo abituati a mangiare ad una certa ora. Per questo motivo è anche facilmente regolabile a seconda delle nostre abitudini alimentari.

La fame limbica non è in realtà un processo innato ma si manifesta per abitudine al cibo. Per fare un esempio banale basta guardare il comportamento dei bambini che spesso sono riluttanti a mangiare e il più delle volte devono anche essere svegliati per mangiare durante i primi mesi dalla nascita.

Il digiuno intermittente , in base a molte evidenze pratiche, è stato dimostrato essere uno strumento utile per riuscire a distinguere la fame limbica da quella somatica (cioè quella vera). Basta infatti abituarsi a digiunare per diverse ore nel corso della giornata per far sì che il corpo e la mente si abituino a contrastare la fame. [34]

Qual è quindi la frequenza ottimale dei pasti?

In realtà non esiste una frequenza migliore; o meglio, la frequenza migliore è quella che riesce ad inserirsi meglio nelle abitudini alimentari del singolo individuo. C’è chi per impegni lavorativi o di studio si trova più a suo agio a fare solo 2 pasti chi invece preferisce farne 5 o 6 perché ha difficoltà a stare troppo tempo senza cibo sotto i denti.

Come abbiamo visto dalla letteratura scientifica in merito non esistono grossi vantaggi nel fare più pasti al giorno, né sulla composizione corporea né sulla regolazione della fame e della sazietà. L’unico caso in cui si potrebbe fare un minimo di attenzione è quando si vogliono massimizzare i guadagni ipertrofici. Anche se a riguardo si attendono nuove ricerche e conferme in ambito scientifico pare che sarebbe più idoneo consumare circa 3-4 pasti al giorno distanziati di circa 5-6 ore per sfruttare al meglio la sintesi proteica e massimizzare i guadagni di massa muscolare [18] mentre non fa alcuna differenza o potrebbe essere addirittura controproduttivo consumarne una quantità ulteriore [35].

Non vi resta quindi che scegliere e provare qual è la frequenza migliore che più si adatta a voi ricordando comunque che sono sempre le quantità di calorie e la ripartizione di macro e micronutrienti ad avere la priorità .

Frequenza dei pasti: tra realtà e falsi miti è di Ivan Pitrulli

Ivan Pitrulli: Classe ’92 laureato in scienze delle attività motorie e sportive presso l’università di Palermo, ha sviluppato durante gli studi la passione verso la letteratura scientifica attraverso la quale cerca di combattere i falsi miti che girano nelle palestre su allenamento e nutrizione.

Mail: ivan.pitrulli@gmail.com

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Project Nutrition

Bibliografia

1) Leidy et al 2011 – The effect of eating frequency on appetite control and food intake: brief synopsis of controlled feeding studies.

2) Fabry et al 1964 – The frequency of meals: its relation to overweight, hypercholesterolaemia, and decreased glucose tolerance

3) Fabry et al 1966 – Effect of meal frequency in school children: changes in weight-height proportion and skinfold thickness

4) Hejda et al 1964 – Frequency of food intake in relation to some parameters of the nutritional status.

5) Dubois et al 2009 – Breakfast skipping is associated with differences in meal patterns, macronutrient intakes and overweight among pre-school children

6) Deshmukh-taskar et al 2010 – The relationship of breakfast skipping and type of breakfast consumption with nutrient intake and weight status in children and adolescents: the National Health and Nutrition Examination Survey 1999-2006.

7) Giovannini et al 2010 – Symposium overview: Do we all eat breakfast and is it important?

8) Rampersaud et al 2005 – Breakfast habits, nutritional status, body weight, and academic performance in children and adolescents.

9) Dhurandhar et al 2014 – The effectiveness of breakfast recommendations on weight loss: a randomized controlled trial.

10) Piccini 2015 – La dieta più antica del mondo
11) Bellisle et al 1997 – Meal frequency and energy balance.

12) LeBlance et al 1986 – Effect of meal size and frequency on postprandial thermogenesis in dogs.

13) LeBlance et al 1993 – Components of postprandial thermogenesis in relation to meal frequency in humans.

14) McCrory et al 2011 – Eating Frequency and Energy Regulation in Free-Living Adults Consuming Self-Selected Diets

15) Palmer et al 2009 – Association between eating frequency, weight, and health

16) Cameron et al 2010 – Increased meal frequency does not promote greater weight loss in subjects who were prescribed an 8-week equi-energetic energy-restricted diet.

17) Westerterp et al 2004 – Diet induced thermogenesis

18) http://www.lookgreatnaked.com/blog/are-frequent-meals-beneficial-for-body- composition/

19) Iwao et al 1996 et al – Effects of meal frequency on body composition during weight control in boxers.

20) McDonald Lyle 2007 – Protein Book

21) Benardot et al 2005 – Between-meal energy intake effects on body composition, performance, and total caloric consumption in athletes

22) Arciero et al 2013 – Increased protein intake and meal frequency reduces abdominal fat during energy balance and energy deficit.

23) Stote et al 2009 – A controlled trial of reduced meal frequency without caloric restriction in healthy, normal-weight, middle-aged adults.

24) http://www.vivereinforma.it/alimentazione/item/la-frequenza-ottimale-dei-pasti

25) Schoenfeld et al 2015 – Effects of meal frequency on weight loss and body composition: a meta-analysis.

26) Layman 2004 – Protein quantity and quality at levels above the RDA improves adult weight loss.

27) Schouler & Aragon 2015 – Lean muscle diet

28) Farshchi et al 2004 – Regular meal frequency creates more appropriate insulin sensitivity and lipid profiles compared with irregular meal frequency in healthy lean women.

29) Farshchi et al 2004 – Decreased thermic effect of food after an irregular compared with a regular meal pattern in healthy lean women.

30) Speechly et al 1999 – Greater appetite control associated with an increased frequency of eating in lean males.

31) Smeets et al 2008 – Acute effects on metabolism and appetite profile of one meal difference in the lower range of meal frequency.

32) Ohkawara et al 2013 – Effects of Increased Meal Frequency on Fat Oxidation and Perceived Hunger

33) Munsters et al 2012 – Effects of meal frequency on metabolic profiles and substrate partitioning in lean healthy males.

34) http://www.bodybuilding-natural.com/alimentazione/il-digiuno-intermittente/
35) http://www.bodyrecomposition.com/muscle-gain/meal-frequency-and-mass-gains.html/

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